Una famiglia imperfetta (estratto) di Nicola D'Attilio, Edizioni San Paolo

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Nicola D’Attilio

UNA FAMIGLIA IMPERFETTA Romanzo

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Tutti i diritti delle opere di Nicola D’Attilio sono trattati da Agenzia Letteraria Internazionale, Milano, Italia.

Š EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-215-9484-7

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A Francesca, Diego e Diana.

Primavera non bussa, lei entra sicura come il fumo lei penetra in ogni fessura ha le labbra di carne e i capelli di grano che paura, che voglia che ti prenda per mano che paura, che voglia che ti porti lontano. (F. De AndrĂŠ, Un chimico)

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PRIMA PARTE

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– Dimmi che stai scherzando. Anna sapeva perfettamente quanto Margherita non avesse il minimo senso dell’umorismo, ma aveva il disperato bisogno di una prova d’appello. – No, no, mamma: è incinta. Incintissima. Mi ha spiattellato in faccia il test. – Non vedo cosa ci sia di così negativo, – disse Andrea. – Mi ha quasi infilato il test nel naso, papà. – Non vedo cosa ci sia di così negativo nella gravidanza. Anna fissò il marito aggirarsi per la cucina in pigiama carta zucchero: a parte l’evidenza di quel regalo sbagliato (non se ne sarebbe mai pentita abbastanza), non capiva il motivo per il quale insistesse nel prepararsi la colazione con la massima tranquillità e la solita meticolosa cura. – Non è certo la notizia che ti aspetti di ricevere appena sveglia. Dovevamo pure andare al Carlo Felice: c’è l’Opera, stasera. Andrea si chinò sui fornelli e accese il fuoco sotto la moca. – Non ci andiamo più? – disse, senza distrarre lo sguardo, probabilmente attratto da qualche effervescenza della fiamma o dalle sfumature dell’acciaio. Anna allontanò da sé la tazza ancora fumante, e si strinse nella vestaglia. – Tua figlia è incinta: hai capito? 9

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– Ha trentadue anni, mica tredici. – La smetti di fissare quella dannata caffettiera? Non sapevamo nemmeno che si vedesse con qualcuno! – Non si vede con nessuno, – disse Margherita. – Non si vede con nessuno? – Me lo ha detto lei. – Te lo ha detto lei? Anna trovava naturale fare eco alle parole della figlia, ma capì che avrebbe dovuto smettere. Margherita si servì di una delle sedie della cucina e pescò un biscotto dal pacco dei Tarallucci sul tavolo. Ad Anna diede sui nervi la noncuranza di quel gesto. – Con qualcuno si sarà ben vista – disse Andrea. Recuperò finalmente una postura corretta. Si voltò verso la figlia e le indirizzò un cenno. – Ho già fatto colazione con Clelia, – rispose lei. – Era così disperata che non ha quasi toccato niente: ho dovuto finire tutto io. Anna osservò la figlia esibirsi in uno dei suoi sorrisini infantili, del tutto inadeguati per una donna di trentaquattro anni. La trovò irritante quanto l’odore di caffè che aveva riempito tutti gli spazi della cucina. – Solo persone senza sale in zucca potrebbero fare colazione come se nulla fosse. – Non c’è niente di male a rimanere incinte: è la natura, in fondo, – disse Margherita. – Si dovrebbe rimanere incinte dopo aver conosciuto un uomo e aver quantomeno valutato l’ipotesi di fare figli con lui. – Oggi a chi vuoi che importi se rimani incinta di uno sconosciuto, mamma? Forse cent’anni fa... – Il mondo è sempre lo stesso, – disse Anna nel tentativo di salvarsi dall’immersione in un oceano di vecchiaia e inadeguatezza, – sempre lo stesso. 10

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Andrea versò il caffè nella tazzina e prese posto a tavola tra le due donne. Il tavolo non offriva un lato abbastanza spazioso, perciò Anna dovette spostarsi trascinando la sedia. – Sai, – disse Andrea rialzandosi subito, – se avessi dovuto scommettere su chi tra te e tua sorella fosse rimasta incinta in questo modo, non avrei avuto dubbi. – Avresti vinto? – chiese Margherita, seria. Anna si domandò come potesse essere figlia sua. Andrea aprì il pensile accanto al frigorifero e lo studiò: – No, certo. – Papà! – Margherita raggiunse il padre e appoggiandosi alla sua spalla spiò anche lei all’interno del mobile. Si mise in punta di piedi, nonostante non ne avesse bisogno. – Cosa cerchi? – Non saprei, in effetti, – disse Andrea. – La crostata è finita, – sospirò Anna. Andrea tornò a sedersi. Prese la confezione di Tarallucci sul tavolo, la soppesò e scelse un biscotto; lo inzuppò nel caffè. – Quanti ragazzi hai portato a casa, negli anni? Non l’ho mai confessato, ma all’inizio li segnavo tutti su un blocco. Al terzo ho smesso; di blocco, intendo. – La smetti di scherzare? – disse Anna. Avrebbe continuato, ne era certa. – E chissà quanti ne avrà frequentati in questi cinque anni che non vive più con noi. – Che male c’è? – disse Margherita. – Nessuno, per carità, sai quanto ami la tua vitalità; ma Clelia ha continuato a vedersi con Alex fino alla scorsa primavera. Naturale scommettessi su di te. – Abbiamo due modi differenti di vivere la nostra passionalità. – Non è il momento di discutere di passionalità, – li interruppe Anna. 11

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– C’entra sempre la passionalità, mica siamo di legno – disse Andrea, dopo l’ultimo sorso di caffè. Anna si sentì osservata da uno sguardo divertito: era certa non contenesse malizia, né cattiveria, ma non per questo lo detestò di meno. – Mi compiaccio che una tale notizia ti crei questo brio. Andrea rimestò con il cucchiaino lo zucchero sul fondo della tazzina. – Diventeremo nonni, animo. È un fatto che dovrai accettare, prima o poi; ci sono cose peggiori. – Non lo metto in dubbio. E invece sì, lo metteva in dubbio. Aveva sperato che, prima o poi, i figli avrebbero smesso di rappresentare un problema; che si sarebbero rassegnati a farli invecchiare serenamente lasciandoli soli a godersi una terza età fatta di crociere, viaggi, relax. E ora, un nipote avrebbe fatto schiantare a terra gran parte di questi sogni. – Nonna Anna, – ridacchiò il marito. – Non ho nessun problema con questo. Diventare nonni è una benedizione. Era facile: avrebbe dovuto ripeterlo per i prossimi mesi e anni, sino a metabolizzarlo del tutto. E certamente aveva ragione Andrea sulla maturità dei tempi: sua madre si era trasformata in nonna ben prima di lei, che in fondo lo sarebbe diventata all’età di... no; meglio evitare questo genere di conti e paragoni; sarebbe stata una nonna giovane; alla peggio giovanile. Punto. – Forse è proprio di Alex, il figlio, – ipotizzò Andrea. – Forse si sono rimessi insieme. – Per carità, papà: solo il cielo sa come abbia potuto tenerselo tanto a lungo. Anna assentì. Il processo di maturazione di quel ragazzo si era inceppato intorno ai vent’anni: naturale che fosse scappato a gambe levate quando Clelia aveva iniziato a parlare di casa e convivenza. Margherita agguantò un altro biscotto. 12

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– E comunque, – continuò, – fosse stato lui me lo avrebbe detto, o lo avrei capito. Anna assentì nuovamente, non tanto per le capacità deduttive della figlia, quanto perché certa che Clelia non sarebbe mai tornata con uno così. – E poi, non avrebbe questa idea di abortire, – concluse Margherita. Anna impiegò qualche secondo per elaborare la notizia: sfruttò quel tempo per allontanare il pacco di biscotti dalla figlia, prima che glieli finisse. Poi fissò la tazza di tè e capì che non l’avrebbe finita. – Vuole abortire? – disse Andrea. Se non altro quelle parole contribuirono a togliergli dalla faccia il sorrisino di superiorità. – Non diventeremo nonni? – ripeté. Si era ingobbito e con le mani raccoglieva meccanicamente le briciole sul tavolo. – È per questo che sono corsa qui, che credevate? Ho detto a Clelia che andavo a comprarle della focaccia, mentre si riposava un po’; mica per la gravidanza, quella è una non notizia; si scopre da sé, col tempo. L’aborto non lo scopri, se nessuno te lo vuole dire. – Perché tua sorella vorrebbe abortire? – disse Andrea. Versò le briciole nella tazzina. Margherita scrollò le spalle, poi si allungò nuovamente per afferrare il pacco di biscotti fuori portata. – In effetti, ha un suo senso. – Anna si sentì pronunciare quelle parole, pur non avendone intenzione; però era vero: pur considerandola una scelta di pancia, non le sembrava così campata per aria. Se non altro, ricomparivano all’orizzonte le vacanze al Club Med o il viaggio in Argentina. – Non dire stupidaggini, – le rispose suo marito. Si alzò, facendo scivolare rumorosamente la sedia sulle piastrelle di gres. Prese la tazzina e la posò nel lavello senza la consueta delicatezza. 13

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– Non la condivido certo, – provò a difendersi Anna, – ma posso capirne il motivo, ho detto solo questo. – Tu rivuoi la tua giovinezza e pensi che un nipote te la tolga, – la incalzò Andrea. – Me lo ha detto mentre facevamo colazione, – disse Margherita. – Ora sei tu a dire stupidaggini, – disse Anna cercando di scacciare le tentazioni. – Dovremo farle cambiare idea. – Ci sono rimasta malissimo: io adoro i bambini, giuro. – Al diavolo! – esclamò Andrea tornando a sedersi. – Aspetto da anni di poter giocare ai soldatini con un nipotino. – Sembrava molto convinta. – Conosci tua sorella, – disse Andrea, – se si mette in testa una cosa è finita. – È coerente. – È stupida, – ribatté Anna. – Non è la stessa cosa? – chiese Margherita. Anna si alzò e raccolse i resti della colazione sul tavolo. Da qualche parte aveva letto quanto fare le pulizie e risistemare casa fossero attività utili alla stimolazione del pensiero. Non si ricordava effetti del genere, ma poteva essere colpa della presenza, due volte a settimana, della donna delle pulizie. – Ti arrendi così? – disse avvicinandosi al marito. – È una decisione che spetta a lei. Si era afflosciato dentro a quel pigiama orribile. – Clelia ha sempre ascoltato i tuoi consigli. – Solo quando me li ha chiesti. Anna cercò almeno uno dei motivi che l’avevano convinta a sposare l’uomo più politicamente corretto del pianeta. – Andiamo almeno a vedere come sta. Andrea scosse la testa. – Finireste per litigare. – Non è vero. 14

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Con la mano sinistra, Andrea si prese in sequenza le dita della destra, per aiutarsi nell’elenco: – L’aggrediresti; non ti risponderebbe; diresti qualche cattiveria; ti insulterebbe; faresti per andartene; rimarrebbe ancor più sulle sue posizioni. – Gli mancò il dito per l’ultima voce. Margherita si alzò dopo aver gettato uno sguardo all’orologio sopra la televisione. Ciò non le impedì di prendere un ultimo biscotto. Anna si domandò come potesse rimanere tanto magra. – È meglio che vada. Non voglio che sospetti qualcosa se sto troppo fuori. Appena scoprirà che ve l’ho detto andrà su tutte le furie. Anna richiuse lo sportello del pensile e scrollò le tovagliette all’americana nel lavandino. – Ti ricordi quando ci hai detto della fine con Alex? – disse Andrea. – Non ci ha parlato per oltre un mese, – sospirò Margherita. – O quando ci hai spifferato l’incidente con l’auto? – Mmm... – O del Capodanno in Costa Azzurra... – Basta, – li interruppe Anna, – non siete di nessun aiuto. Andrea la guardò dal basso: – Fino a cinque minuti fa nemmeno lo volevi, questo nipote, – disse. – Non ho mai detto una cosa simile. Anna si chiese il motivo per cui la notizia dell’aborto le avesse peggiorato l’umore ancor più di quella sulla gravidanza: era convinta che un errore non si risolvesse con un altro errore? O in realtà invidiava che Clelia approfittasse di opportunità a lei negate? Non trovò la sincerità necessaria alla risposta. – Facciamo qualcosa: scopriamo chi sia il padre e coinvolgiamolo, per esempio, – propose Anna. – Non lo trovo corretto, – disse Andrea, scuotendo nuovamente il capo. Fissava il pavimento come volesse contare tutte le piastrelle. 15

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– Basta con questa correttezza. Tua figlia è incinta ed è una pessima notizia, d’accordo. Ma vuole abortire e questo è un modo anche peggiore di rovinarsi la vita, lo sai anche tu. Noi non vogliamo che finisca così: vogliamo diventare nonni e portare il mocciosetto al parco. – E all’Acquario, – disse Margherita. – E all’Acquario. Quindi vediamo di fare qualcosa. – E se Clelia non volesse? – Non è detto che tua sorella sappia quale sia la cosa migliore per lei, in questo momento, – rispose Anna. In fondo, pensava di essere l’unica lì dentro ad avere il diritto di parlare. Margherita sorrise e afferrò la giacca che aveva posato sullo schienale della sedia. La infilò e si mise la borsa a tracolla. – Torna a casa; io convinco tuo padre; veniamo da voi e scopriamo qualcosa su questo benedetto padre, dovessimo legarla. – Sono bravissima con i nodi... – ridacchiò Margherita. – Certe cose preferirei non saperle, – sospirò Andrea. – Bisogna provare tutto nella vita. – Va bene, – disse Anna, – parleremo dei massimi sistemi un’altra volta. – Spinse Margherita fuori dalla cucina e fino alla soglia di casa. – Sarà un successo, mamma, – disse appena prima che la porta la chiudesse fuori.

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Clelia osservò il poster di Kandinsky sulla parete di fronte al proprio letto. Assaporò il silenzio nel quale era piombata la casa una volta uscita Margherita. Era stato facile sbarazzarsi di lei, scioccandola prima con la storia dell’aborto e poi inventandosi una improvvisa voglia di focaccia. Si sdraiò sopra le coperte e continuò a fissare il poster, lasciando che la vista sbiadisse le curve delle linee e le macchie di colore. Come inizio di giornata non era stato granché, doveva ammetterlo, e qualcosa dentro di lei le garantiva che tutto poteva ancora precipitare. Aveva speso la prima ora di veglia dondolandosi sulla tazza del water, incapace di staccare gli occhi dal test di gravidanza che stringeva tra le mani. Aveva sperato che, raggiungendo una concentrazione perfetta da maestro Yogi, avrebbe potuto cancellare da quel pezzo di plastica almeno una delle due righe rosa in bella evidenza. Forse un maestro Yogi non avrebbe snocciolato una volgarità dietro l’altra per raggiungere l’Illuminazione, e magari quello era uno dei motivi per cui la riga in eccesso era rimasta al proprio posto. Recuperato il coraggio di uscire dal bagno si era trovata davanti il volto pallido e pieno di efelidi di Margherita. Non che non sopportasse sua sorella – in fondo, aveva deciso lei di viverci assieme – ma esistevano momenti in cui solo osser17

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vare la tranquillità di quel volto, così vicino all’atarassia, la mandava in bestia. – Già sveglia? – Guarda! – aveva detto Clelia, puntandole contro il test di gravidanza, – Sono incinta... Avrebbe voluto urlarlo, ma la voce si era affievolita man mano che il pensiero aveva acquistato consistenza dentro la sua testa. – Toglimi questo orrore dalla faccia. – Hai capito cosa ho detto? – Non sapevo ti vedessi con qualcuno. Margherita aveva il dono innato di mettere il dito nella piaga, e non lo faceva nemmeno apposta. – Neppure io. – Almeno sai di chi è? Clelia si era vista dentro la desolazione di quella domanda. – La smetti? Non mi aiuti per niente così. – Cosa posso fare per aiutarti, allora? – Sparire, per esempio. – Facciamo colazione, così ne parliamo. – Non ho fame. – Tu. Ma c’è una vita nella tua pancia, magari lei vuole mangiare. – Non ho intenzione di pensare a cosa ci sia nella mia pancia, e se abbia fame o meno. Si diresse in soggiorno, schivando un inopportuno tentativo di abbraccio da parte della sorella. Erano quasi le otto e se fosse stato un venerdì qualunque, probabilmente sarebbe stata ancora a letto. Invece aveva aspettato il giorno libero dagli impegni scolastici per fare il test di gravidanza e solo perché intimamente era convinta non potesse essere positivo: adesso le sarebbe toccato disperarsi con sua sorella, anziché sfogarsi sugli alunni con un bel compito in classe a sorpresa di italiano o storia. Ripensandoci, era stata una pessima strategia. 18

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Si sedette sul divano di pelle bianca, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e reggendosi la testa con le mani. Margherita la raggiunse con una flemma invidiabile. I capelli rossi le ricadevano arruffati sulle spalle coperte da uno scialle amaranto. Si sedette accanto a lei e le fece scivolare addosso una vestaglia rosa. – Prendi freddo. Clelia alzò le spalle. Sentiva la rabbia scorrere via, giù dalla pancia, lungo le gambe e nei piedi. Voleva trattenerne ancora un po’, ne aveva tutto il diritto. Aveva trentadue anni, qualcosa dentro la pancia e accanto a lei non c’era un uomo, ma Margherita. – È tutta lisa, – disse sua sorella, strofinando tra pollice e indice le maniche penzolanti della vestaglia. – Ne ho vista una di seta, in via San Vincenzo, con ricami in macramè. – Odio il macramè. Clelia lo disse fissando il nulla. Avrebbe voluto un po’ di silenzio, ma Margherita rompeva tutte le pause, quasi ne avesse paura. – Hai idea di come si prepari un biberon? – Non si usa più il seno? – Ti verranno un sacco di smagliature. Clelia si tirò indietro i capelli con entrambe le mani, lasciando la fronte scoperta. – Il problema, Margherita, non è che mi verranno tante smagliature da farmele cadere per terra. Il vero problema è che la vita è una totale fregatura: passi anni a pianificare ogni singolo passo, a sognare un momento simile e quando arriva, arriva in un modo tutto sbagliato. Io non voglio che sia così: sbagliato. – Ma è arrivato, guarda il lato positivo. E poi è così, è la vita, non c’è necessariamente un giusto o uno sbagliato. Io adoro il macramè, per esempio: molto raffinato. Le si avvicinò, accarezzandole la schiena con una mano. Clelia non cambiò posizione, lasciandosi massaggiare: ave19

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va fatto sesso con uno sconosciuto e le precauzioni avevano fatto cilecca. Stop. A quante altre donne era successo? Non lo sapeva: sperava non fossero poche, se non altro per sentirsi meno stupida. Era forse vita anche quella? Avrebbe usato un sostantivo diverso. – Tu vai a letto con decine di uomini e io rimango incinta. – La vita è bella per questo, non puoi fermarla. – Una sola volta in cinque mesi; una. – Come quel verso di De André! Com’era: “la primavera come fumo che entra dalle fessure; che non bussa e ti prende per mano”. – Non c’è niente di primaverile, invece: la vita è una scelta, non è tirare dadi a caso. – Pensa ai racconti di Flannery O’Connor. L’unico racconto di Flannery O’Connor che Clelia fosse in grado di ricordare in quel momento aveva come protagonista un criminale che sterminava un’intera famiglia, bambini compresi, al solo scopo di rubare una macchina. La sua vita si stava trasformando in un inferno simile? Forse Margherita non si era allontanata troppo da una sintesi spietata della realtà, nonostante il suo unico scopo fosse quello di pavoneggiarsi con qualche riferimento alla O’Connor, De André, David Foster Wallace o chiunque avesse attirato la sua attenzione morendo con un po’ di clamore. – Non puoi semplicemente disinteressarti della mia vita? Ne hai una anche tu, in fondo. – Vuoi la colazione o no? Clelia sospirò. Recuperò una maglietta e raggiunse sua sorella in cucina. Si appollaiò su uno degli sgabelli accanto alla penisola. – Ricordi cosa è successo con Pepe? – disse Margherita. – Ricordi le tue scenate? – Infilò la tazza di latte nel microonde. Clelia non capì dove volesse arrivare sua sorella: probabilmente da nessuna parte. Pepe era il cane della vicina di casa, 20

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e qualche mese prima aveva fatto pipì in ascensore, sporcandole pure le scarpe. – Sembrava che il mondo finisse con quelle scarpe, – continuò la sorella, – poi siamo andate in centro e hai trovato quelle che ti piacevano, a metà prezzo, e ci siamo pure mangiate una pizza buonissima in corso Italia: una serata magnifica. Non era stato un giorno tanto memorabile, Clelia ne era certa, ma sarebbe stato inutile rispondere. Primo: rimanere incinta di uno sconosciuto era ben peggio della pipì di un cane su un paio di scarpe, per di più di bassa qualità; secondo: non se la sarebbe cavata con uno sconto del 50% e una pizza. Una gravidanza, a parte i nove mesi di devastazione fisica e morale, le avrebbe lasciato una persona con cui fare i conti per il resto della sua vita: una persona che, ogni santo giorno, con la sua semplice presenza, le avrebbe ricordato quanto era stata stupida e patetica. Poteva evitarsi quel futuro? Poteva cancellare quello sguardo che già la tormentava nonostante non esistessero ancora due bulbi oculari? La collega di informatica le aveva insegnato a ripartire da un punto di ripristino quando il pc è vittima di un virus. Perché la vita non era così? Non poteva semplicemente ricominciare? Perché andare avanti e farsi massacrare? Era questo che le mancava, un punto di ripristino da cui ripartire e se la cosa che gli assomigliava di più era Margherita, doveva esserci qualcosa che non andava e che aveva urgenza di essere risistemata. Margherita aveva preparato la tavola con cura: latte caldo, caffè, tè; marmellata, fette biscottate; brioche confezionate. Dal salotto giungeva il suono della radio e alle parole di Alice di De Gregori, Clelia sentì una fitta di malinconia improvvisa e tanta voglia di piangere. – Lo sapevo che Ariete aveva un periodo difficile, – disse Margherita, – di crisi. – Addentò con delicatezza una fetta biscottata coperta da una patina sottilissima di marmellata. 21

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– Lo sai che in giapponese crisi significa rischio, ma anche opportunità? – In cinese. Clelia tentò di mantenere la calma, poi inzuppò un biscotto nel cappuccino, osservandolo annegare nel dito di schiuma: – Non lo voglio questo bambino. – Sarai di quattro o cinque settimane; se ricordo bene si contano dall’ultima mestruazione. – Dopo una pausa troppo breve, aggiunse: – Sarà un Gemelli. – Mi ascolti quando parlo? Non lo voglio questo bambino. Margherita contò sulle dita per accertarsi. – Gemelli, sì. Forse Cancro. Clelia allontanò da sé la scatola trasparente di biscotti, appoggiando gli avambracci sul tavolo; prese il tovagliolo di carta, iniziando a piegarlo in quadrati sempre più piccoli. – Forse dovrei abortire. Margherita sembrò meditare qualche secondo sulla notizia. Non aveva però la stessa espressione di un bimbo che scopre la verità su Babbo Natale e Clelia ne fu un po’ delusa. – Non è nel tuo karma. – La smetti di dire idiozie per una volta? Margherita posò la fetta biscottata che per tutto quel tempo aveva tenuto sospesa come un vassoio. – Hai paura di quello che penserà la gente? – Smettila. – O forse di crescere un figlio da sola? – Preferivo parlare di karma. E comunque tu odi i bambini, Margherita, non sei credibile. Margherita irrigidì la schiena e sgranò gli occhi. – Io non odio i bambini! – Vorrei vederti al mio posto. Credi che sia facile? Che basti un’alzata di spalle canticchiando De André per prepararsi a un cambio di vita così radicale? 22

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– Non ci riempirei la casa, come di animali del resto; ma questo vuol forse dire odiarli? Ho pure fatto una donazione al WWF e mi sono presa cura di Patty. Clelia ripensò al loro bastardino, e al modo bizzarro con cui il destino sembrava volerlo rimpiazzare. Abbassò lo sguardo e iniziò a strappare i piccoli riquadri che aveva fatto con il tovagliolo, ottenendo tanti anonimi coriandoli. – Quando si chiude una porta, si apre un portone. – Non lavori oggi? Margherita guardò l’orologio posto sopra la porta della cucina. – Carlo capirà. – Non voglio che tu ne parli con nessuno, tantomeno con Carlo! Carlo era il proprietario della gioielleria presso cui Margherita lavorava: nonostante avesse perennemente la testa tra le nuvole, sua sorella era un’eccellente orafa, e per Clelia questo rappresentava uno dei tanti misteri della vita. Margherita annuì con aria annoiata. – Che tipo è il padre? Clelia si resse la fronte con la mano: – Cambiamo argomento. – Lo conosco? – Cosa non ti è chiaro nella frase: cambiamo argomento? Margherita bevve un sorso di tè. – E se lui volesse il bambino? Non ci hai pensato? Clelia disperse con l’indice i coriandoli. Ne spinse alcuni dentro una grossa goccia di latte e li osservò raggrinzirsi, invecchiare, morire. – Perché mai la sua volontà dovrebbe contare qualcosa? – È il padre! – Ma non lo sa. Margherita: ho capito che tu vuoi questo bambino, ma sono io quella incinta. – Anche papà e mamma saranno felicissimi di diventare nonni. 23

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– Come credi. Ma nonostante il tuo dilagante ottimismo, non sono un’incubatrice che potete usare per farvi un nipote. Margherita aggrottò la fronte: – Che brutta immagine; ma come ti vengono in mente? Clelia fece spallucce: – Un figlio si fa in due; si fa con un futuro davanti, o quantomeno con un passato dietro; non si fa da soli o per qualcuno. – Il mondo è pieno di donne madri. – E io non voglio esserlo. Ok? Clelia si morse le labbra pur di non lasciarsi sfuggire qualche lacrimuccia stile Tempesta d’amore. Era forte: doveva solo tenere duro e anche questa disavventura sarebbe passata. – Io sono con te, Clelia. – Hai uno strano modo per dimostrarlo. Margherita si alzò e l’abbracciò con una emotività imbarazzante. Clelia non apprezzava i gesti sentimentali, tanto più se avevano i modi affettati di sua sorella, ma non trovò immediatamente la forza di respingerla, né una parola abbastanza sgradevole per allontanarla. – Ho voglia di focaccia, – disse all’improvviso. Non era riuscita a dormire, o riposare. Il Kandinsky era sempre lì con le sue incomprensibili macchie. Non era sbiadito sino a farla sprofondare in un sonno accogliente. Accanto al poster, sulla destra, un alone rettangolare sull’intonaco ricordava che in quel punto era rimasta appesa per anni una foto che la ritraeva con Alex. Quel ricordo le peggiorò l’umore. Udì Margherita rientrare. Guardò l’orologio sul comodino: sua sorella era stata via più di mezz’ora; doveva averne comprato quintali, di focaccia. Capì di non avere alcuna voglia di rivederla, chiuse le tapparelle e cercò di dormire.

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