Tutto il mondo dentro

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GRAZIANO VERSACE è nato a Belmore in Australia nel 1964. Laureato in Lettere Moderne, vive a Sant’Agata di Militello, con la moglie e il figlio, dove attualmente insegna. Per le Edizioni San Paolo ha pubblicato il romanzo Ladri di locandine (2009).

€ 19,50

9 788821 570933

Graziano Versace

Giovanni Buscemi, detto u magu, è uno psicoterapeuta tornato da pocoa Cittanova, in Calabria, da dove era fuggito ancora ragazzo per inseguire isuoi sogni. In paese incontra Livia Antonietta, il suo amore di gioventù. Ladonna gli chiede di aiutare Maria, una diciassettenne che la madre credeposseduta dal demonio. Giovanni comincia la terapia e, con la forza della parola, inizia a scavarenel passato della ragazza, orfana di padre e cresciuta in un ambiente repressivo.Cosa tormenta Maria e la rende preda di crisi convulsive cosìterribili da farla sembrare indemoniata?Nonostante la cura sembri funzionare,c’è ancora qualcosa nascosto nel cuore della ragazza. Nel frattempoa Cittanova le malelingue dicono che tra medico e paziente ci sia in realtà una relazione, e Maria viene aggredita verbalmente e fisicamente da alcunedonne del paese. Sarà Giovanni – che ha riallacciato i rapporti sentimentalicon Livia – a salvarla da loro e a riuscire, con pazienza e intuito, aliberare la ragazza dai suoi dèmoni interiori, che in parte risalgono a un fatto accaduto molti anni prima.

TUTTO IL MONDO DENTRO Non avvertiva nessuna presenza quella notte. Le voci erano calme o forse se n’erano andate.

G. Versace

E se i morti vegliassero davvero sui loro cari? Forse non c’era da averne realmente paura. I morti erano con noi – pensò –, a loro modo ancora vivi, espressioni di un’energia che permetteva alla vita di continuare. Rabbrividì. Cercò il padre nel buio, come se fosse lì ad aspettarla, come se non se ne fosse mai andato, e si voltò verso la madre che dormiva serena. Poi, si alzò dalla poltrona e scese di sotto a bere un po’ d’acqua. La brocca di vetro la manteneva fresca. Da lontano, arrivavano voci e latrati di cani che si rincorrevano nella notte. Sapeva cosa doveva fare. Finalmente, molte cose le apparivano chiare.

TUTTO IL MONDO DENTRO

82L 50

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NARRATORI

ROMANZO

Foto di copertina: Veronica Gradinariu/Trevillion Images Progetto grafico: Angelo Zenzalari


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Graziano Versace

TUTTO IL MONDO DENTRO Romanzo


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Š EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2011 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino ISBN 978-88-215-7093-3


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A mia madre


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Fu Livia Antonietta, la sarta, a parlargli per prima di Maria. Lo aveva incontrato davanti al Crocifisso, lungo la via che portava al vaduni, dove ancora qualche donna andava a lavare i panni servendosi dei lavatoi e dell’acqua del ruscello, in una mattina di umido e nebbia, e chiedendogli del suo lavoro, gli aveva raccontato di Marietteda, l’indemoniata. Nessuno sapeva che cosa le fosse accaduto. Di punto in bianco, si era messa a fare la pazza, a rifiutarsi di mangiare, di vestirsi, di parlare. Era diventata un’ossessa, e sua madre aveva fatto di tutto per tenere la cosa nascosta. Avevano chiamato don Edoardo, per esorcizzarla, per mandare via il diavolo, ma le novene e l’acqua santa erano servite a ben poco. Livia Antonietta fu prodiga di particolari, e Giovanni Buscemi, mentre lei parlava, sentì i brividi d’un tempo scorrergli di nuovo dentro. Era tornato a Cittanova da qualche mese, e ancora la gente, riferendosi a lui, lo chiamava u magu. Il mago era tornato, quello che si interessava di carte, di tarocchi, di predizioni; quello che se n’era andato via anni prima, scordandosi di sua madre, scordandosi dei morti. A nulla era valso spiegare le sue ragioni e il suo interesse per i sistemi di divinazione. Per gli altri, restava Giovanni Buscemi, l’incantatore capace di leggere gli occhi delle persone per conoscere le loro vite, magari per poi approfittarsene. 7


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Livia Antonietta lo scrutò in viso, forse anche per cogliere meglio i segni dell’età, e disse: – Vincenzina, sua mamma, è sconsolata. Non ha più pace. Se vieni, te la presento. – Ma io non posso fare niente. – Tu non curi i pazzi? – Non proprio. Livia Antonietta ebbe un lieve sorriso. Era sempre bella, piena di vita, procace. Una ruga le contornava la guancia destra, curvandosi all’altezza del mento, sotto le labbra. Doveva essere prossima ai cinquant’anni, ma il suo seno restava alto e prosperoso. I capelli erano mossi, ondulati, come a indicare che qualcosa ancora fioriva dentro di lei. Non si era mai sposata. – E che cosa fai allora, di preciso? – chiese. – Sono uno psicoterapeuta – le spiegò. – Uno psicologo? – Un medico dell’anima. S’incuriosì. – C’è differenza? – chiese. – Direi proprio di sì. Livia Antonietta si fece ancora più interessata: – Ma le anime si possono davvero curare? – Vorrei saperti rispondere – sorrise Giovanni. – Facciamo che un giorno mi spieghi meglio con calma – disse. Suonò come una promessa, o un invito. Aveva un nastro tra i capelli, un vezzo giovanile. Si lasciarono, mentre un lampo le attraversava gli occhi. Giovanni proseguì lungo la via Grimaldi e scese fino alla piazza di San Rocco. Don Mimì era seduto fuori sulla sua sediola, le mani esperte che intrecciavano i cestini che poi Piero, il figlio, avrebbe venduto nelle fiere. La tramontana soffiava dal castagneto, senza incontrare ostacoli lungo la sterrata che si fermava in pros8


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simità di un terrapieno. Don Mimì lo salutò e lo invitò per un caffè corretto con l’anice. Lo conosceva da quando era bambino, ma ora lo trattava con una certa deferenza, come se non sapesse più con chi aveva a che fare. Giovanni si sedette vicino a lui. Era cresciuto in quel quartiere, e ora lo ritrovava deserto e senza più mocciosi in giro. Dall’altra parte della strada, a sinistra della piazza ammattonata, si apriva il cancello del liceo classico. Verso mezzogiorno, la piazza si riempiva di studenti. Gli piaceva uscire a quell’ora del giorno, era come un ritorno di vita. I sorrisi e la contentezza dei ragazzi riuscivano a rincuorarlo, a farlo sentire meno estraneo; a riempire il vuoto di quelle vie destinate a sfaldarsi anche nella memoria. Cos’era tornato a fare? Cosa voleva ritrovare? Sua madre non c’era più, ma la sua casa era l’unico posto che ormai poteva offrirgli un rifugio, con le sue vecchie stanze che ancora l’accoglievano. Aiutò don Mimì a far passare un cordoncino spesso quanto uno spago tra gli intrecci di legno ancora tenero, presero il caffè, poi se ne andò. Il vento lo investì, riottoso. Ripercorse la strada in salita, chiudendosi nella giacca. Il sapore dell’anice ancora in bocca lo accompagnò fino a casa.

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Le persone avevano sempre avuto paura di lui, della sua parlantina, dei suoi occhi da delinquente. Lo consideravano inaffidabile, litigioso, polemico come un vecchio. Ma poi quando si sedeva sullo scalino di casa con i libri in mano, cambiava aspetto, come se tutta quella furia, quell’irrequietezza, si traducesse d’improvviso in sete di sapere, voglia di conoscere. Aveva scoperto a soli dieci anni la biblioteca del duca Alberto, e quando poteva, si faceva accompagnare da sua cugina Angelina per prendere in prestito qualche volume, a insaputa dei signori, che, da quando la guerra era finita, trascorrevano sempre meno tempo a Cittanova. Di fronte alle librerie che oscuravano intere pareti, Giovanni alzava lo sguardo e puntava i libri in alto, quelli di cui non riusciva a leggere neanche il titolo. Saliva sulla scaletta e prendeva i volumi a uno a uno, sfogliandoli e leggendone i risvolti di copertina, sforzandosi di carpire il senso oscuro di certe espressioni o di certi titoli. Per molto tempo, dormì con un vocabolario a fianco del materasso imbottito di lana. Si svegliava nell’abbaino, al canto del gallo, e non appena filtrava il primo raggio di sole dalla finestrella, riapriva il vocabolario per riprendere la lettura e lo studio delle parole. Non c’era altro, in quel periodo della sua vita. Si alzava, si lavava, aiutava il nonno a fare i cestelli di ricotta, e poi partiva per andare a scuola, a piedi, 10


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le scarpe risuolate più e più volte, la brama nel cuore di sapere sempre e sempre più. Fu il primo nel quartiere ad andare all’università. Studiò psicologia, e un’agitazione ben strana cominciò a pervaderlo, come una malattia dei sensi. Si trasferì in Svizzera, prima a Zurigo, poi a Lugano, per mettere a frutto la pratica psicanalitica accumulata in anni di sedute e viaggi. Era questo che più voleva: penetrare a fondo la mente degli altri, cercare l’origine di ogni male psichico, salvare i suoi pazienti, impossessarsi delle loro esperienze, delle loro storie. Il loro sentire, o, in una parola sola, il loro dolore, era quanto più agognava. Il dolore di esistere, di vivere. C’era forse questo alla base di ogni sofferenza? O era forse l’angoscia più sottile e più nascosta della morte a turbarlo? A cosa poteva servire la sua conoscenza di fronte al tempo che trascorreva inesorabile? E quel sentimento di onnipotenza che lo sfiorava, che si insinuava in lui, era forse il frutto del panico che, al suo solo apparire, imbiancava i suoi occhi, rendendolo come cieco? Poi, una notte, sbarrò gli occhi, urlando nel buio. Non capì subito quello che era successo. Non riusciva a respirare, e aveva come l’impressione di essere adagiato su una pozza d’acqua, le spalle inermi contro un suolo molle. Un dolore spasmodico al petto si allargava, gli occludeva la gola. Aveva le labbra imbrattate forse di saliva, mentre un gorgoglio, simile a un conato di vomito, stentava a farsi strada nella sua bocca. Vide un’ombra, dei capelli fluenti, e poi più niente. Si tastò il petto e trovò il coltello. Era conficcato all’altezza dello sterno, in profondità, nel mezzo di un taglio netto e preciso. Passò un dito su un lembo di carne aperto e rabbrividì. Era bagnato del suo stesso sangue, ma non riusciva a vederlo. Galleggiava nel vuoto, in un’ac11


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qua che adesso aveva la stessa consistenza del suo panico. Non riusciva neanche a muovere le mani. La luce non esisteva, e lui non avrebbe saputo dire in quale punto del letto si trovava riverso. Non riusciva a distinguere la lampada poggiata per terra, né a voltare la testa per provare a cercarla. Ore prima aveva consumato l’ennesimo atto d’amore, un’altra dura fusione di corpi che non gli dava più alcun piacere. Provò a chiamare Magda, la sua compagna, ma lei non rispose. Provò ancora, sfidando il silenzio della casa, soffocando nel pianto le sue ultime parole, e rimase a fissare il soffitto spazzato via dalle ombre, fino a che non chiuse gli occhi sicuro di morire. Si risvegliò in un letto d’ospedale. Un forte odore di gelsomini aleggiava nella stanza, portando con sé l’odore dell’estate. Un’infermiera accorse subito al suo capezzale per tranquillizzarlo sul suo stato di salute. Era stato in coma per un mese, ma adesso poteva dire di avercela fatta. Chiese di Magda, ma lei non c’era. La polizia cercò per mesi di rintracciarla, ma di lei non si seppe mai più nulla.

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Stampa SocietĂ San Paolo, Alba (Cuneo) Printed in Italy


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