Estratto il caso sindone non e chiuso

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BRUNO BARBERIS MASSIMO BOCCALETTI

IL “CASO SINDONE” NON È CHIUSO

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Un’edizione rilegata Nuova edizione in brossura 2015

© 2010 Edizioni San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) © 2015 Periodici San Paolo s.r.l. Via Giotto, 36 - 20145 Milano www.credere.it www.famigliacristiana.it

Allegato a Credere di questa settimana Direttore responsabile: Antonio Rizzolo Settimanale registrato presso il Tribunale di Alba il 23/10/2012, n. 4/12

Allegato a Famiglia Cristiana di questa settimana Direttore responsabile: Antonio Sciortino Settimanale registrato presso il Tribunale di Alba il 7/9/1949 n. 5 P.I. SPA - S.A.P. - D.L. 353/2003 L. 27/02/04 N. 46 - a.1 c.1 DCB/CN Ricerca iconografica: Max Mandel Progetto grafico: Angelo Zenzalari Impaginazione: Giuseppe Oggioni Tutti i diritti riservati.

Nessuna parte di questo volume potrà essere pubblicata, riprodotta, archiviata su supporto elettronico, né trasmessa con alcuna forma o alcun mezzo meccanico o elettronico, né fotocopiata o registrata, o in altro modo divulgata, senza il permesso scritto della casa editrice. ISBN 978-88-215-9533-2

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La Sindone non teme l’esame. Teme solo di non essere esaminata.


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Prefazione

NUOVO APPELLO DEL TESTIMONE SILENZIOSO

Ad ogni Ostensione della Sindone milioni di persone,

credenti e non, si recano a Torino per vedere il misterioso

Telo. Ricordando solo le Ostensioni più recenti, oltre quattro milioni di pellegrini da ogni parte del mondo hanno varcato le porte del Duomo di Torino per venerare la Sindone nel 1998 (l’Ostensione dell’era Internet) e nel

2000 (l’Ostensione dell’anno del Giubileo). Nel 2010, la prima Ostensione del Terzo millennio ha richiamato a Torino oltre due milioni e mezzo di persone. La Sindone veniva mostrata per la prima volta pubblicamente dopo il

paziente lavoro di conservazione eseguito nel 2002: la rimozione delle toppe cucite dalle Clarisse di Chambéry in

occasione dell’incendio del 1532 e la ripulitura del Lino dai residui di tessuto bruciato. Operazioni necessarie per

salvaguardare la Sindone e assicurare alle generazioni fu-

ture la possibilità di continuare ad ammirare questa immagine unica e affascinante.

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Altri tre milioni e mezzo ne aveva registrati la celebre

Ostensione del 1978, al termine della quale la Sindone

venne sottoposta alle prove scientifiche più disparate.

Per non parlare dei milioni di telespettatori che il 23 no-

vembre 1973 poterono osservarne la prima immagine te-

levisiva sui teleschermi di vari Paesi dell’Europa e dell’America. Operazione ripetuta, in un certo senso, il 30

marzo 2013, Sabato Santo, quando la Sindone è stata

mostrata al mondo in televisione per un’Ostensione televisiva straordinaria durante l’Anno della Fede 20122013. Papa Francesco ha voluto rendersi spiritualmente presente attraverso un video-messaggio in cui ha invitato a «venerare», a «lasciarsi guardare» dal Volto della

Sindone: «Lasciamoci raggiungere da questo sguardo

che non cerca i nostri occhi ma il nostro cuore. Ascoltiamo ciò che vuole dirci, nel silenzio, oltrepassando la stessa morte».

Quasi certamente anche la prossima Ostensione por-

terà davanti alla Sindone milioni di pellegrini. Dinanzi a tali cifre c’è da chiedersi, cristiani o no, credenti o no, “come mai” l’ormai celeberrimo Telo continui ad eser-

citare un richiamo universale. Interrogativo intrigante

che ne presuppone altri: cos’è l’immagine visibile sulla Sindone? Chi è colui che ne fu avvolto? 8


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Nuovo appello del testimone silenzioso

A queste due domande, che affaticano da secoli coloro

che si accostano, in spirito non preconcetto o settario, al

Telo, i due Autori tentano di dare una risposta, rivolgendosi soprattutto all’“uomo della strada”, a chi della Sin-

done ha sentito parlare il più delle volte in modo preconcetto o settario, per l’appunto, o non ne ha mai sentito

parlare. Loro presunzione è chiarire “sine ira et sine

studio” soprattutto i termini del “caso Sindone”, niente

affatto chiuso dopo i risultati della datazione del Lenzuolo con il Carbonio 14. Ma aperto, apertissimo e che rimarrà tale finché non si daranno risposte “scientifiche”

obiettive e condivise ai due interrogativi che abbiamo accennato poc’anzi.

Agli Autori piace pensare che il corretto atteggiamento

dinanzi all’immagine sia quello che dovrebbe avere chiunque si trovi di fronte ad un mistero, uno dei tanti che cir-

condano la nostra vita. Ossia curiosità e desiderio di sapere. Non di parteggiare.

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Premessa

AUTENTICITÀ, TERMINE DECISAMENTE EQUIVOCO

Tutti coloro che si interessano della Sindone, siano essi scienziati, storici, fisici, chimici o medici legali, scettici o credenti, conoscitori profondi od orecchianti, indistintamente, si pongono la domanda: “Vera o falsa?”. Un interrogativo assai diffuso, espresso in termini banali, equivalente di quell’altro che banale non è: “La Sindone di Torino è autentica?”. Dove tale termine sta a significare che è “miracolosa”, essendo impossibile costruirne un’altra eguale. Chi non accetta l’autenticità (nell’accezione in cui equivale alla “miracolosità”) entra, quasi automaticamente, nella schiera di coloro che la considerano “falsa”. Del resto moltissimi considerano acriticamente autentica la Sindone, solo perché sono cristiani. Come tantissimi atei (o non cristiani) la giudicano un falso, solo per il fatto di essere tali. Facile prevedere che anche in occasione della prima Ostensione del XXI secolo il quesito di fondo agiterà la mente e il cuore di molti visitatori che verranno a contemplare una 11


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delle immagini più inquietanti, scientificamente più studiate della storia. E magari si daranno una risposta che potrebbe incidere sulla loro vita spirituale. La persistenza nei secoli dell’interrogativo fondamentale sembra divenuta più assillante a seguito delle molte certezze scientifiche acquisite nel ’900 in conseguenza degli studi e delle ricerche sulla Sindone. Come se il moltiplicarsi di risultanze teoriche e sperimentali pacificamente condivise rendesse più urgente dar soddisfazione ad un mistero rimasto a tutt’oggi senza risposta. L’assillante riproporsi rende comunque evidente che il concetto di “autenticità”, così puntigliosamente ricercato, non sia affatto univoco ma assuma almeno tre significati diversi, tutti parimenti rilevanti. Nella sua prima accezione autenticità può voler dire che «l’immagine e le macchie impresse su quel Telo sono state prodotte dal cadavere di un essere umano attraverso un procedimento “naturale”, ossia senza l’intervento di un artista o l’utilizzo di tecniche e/o materiali per la sua produzione». La tesi in contrario, dura a morire, viene da lontano. Addirittura dalla fine del Trecento, quando Pierre d’Arcis, vescovo di Troyes, per impedire ai canonici di Lirey, suoi sottoposti, le Ostensioni che attiravano gran folla (e offerte), arrivò a minacciarli di scomunica. 12


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Secondo il vescovo, infatti, non si trattava della vera Sindone di Cristo, bensì di una sua raffigurazione, come scrisse l’antipapa Clemente VII, chiamato a dirimere il conflitto nella bolla del 6 gennaio 1390. Il vescovo affermava anche di aver conosciuto il pittore (senza tuttavia fornirne il nome) attraverso il suo predecessore. Oggi, però, sappiamo che così non è, non è mai stato, non costituendo la Sindone un dipinto. Avrebbe evitato che qualcuno, nel tentativo di dare una paternità all’immagine pittorica, la attribuisse a… Leonardo da Vinci, che, come è noto, nacque cent’anni dopo. Perché, nella storia della Sindone, è successo anche questo. A quella remota e perentoria affermazione di “opera fatta da uomo” se ne contrappongono numerose altre che la definiscono con il termine greco “acheiropoietos”, ossia non di origine umana. I sostenitori della “Sindone = dipinto” sono fioriti numerosi anche in secoli più recenti, ma la loro voce sembra ormai definitivamente subissata da risultati scientifici inequivocabili, oltre che dai numerosi tentativi (falliti) di crearne in laboratorio una che si avvicini almeno alla “complessità creativa” dell’originale. Paul Vignon, scienziato e pittore dilettante, di cui avremo modo di parlare diffusamente, osservò sin dall’inizio che in nessuna parte del Lenzuolo erano visibili scaglie come ci si 13


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potrebbe invece aspettare da un telo dipinto e arrotolato. Le tracce stesse non presentano contorni, sfumando nel tessuto, senza soluzione di continuità. Conclusione? A tutt’oggi la Sindone rimane (e sino a prova contraria) “acheiropoietos” e in questo senso si può ben definire “autentica”. Una seconda accezione del termine è di carattere storico. Si parte dalla considerazione che sia i quattro Vangeli canonici (senza dubbio storici) sia alcuni di quelli cosiddetti apocrifi (ritenuti non storici perché composti molto più tardi), descrivendo la passione di Gesù (figura certamente storica anch’essa) parlano di una Sindone, ossia di un lenzuolo funebre usato per avvolgere il suo corpo dopo la deposizione dalla croce. Quella di Torino sarebbe quindi autentica se veramente fosse un lenzuolo dell’epoca (non necessariamente “quel Lenzuolo”) risalente al I secolo dopo Cristo, usato per avvolgere un cadavere (non necessariamente “quel Cadavere”). Come è noto, l’esame con il Carbonio 14, al quale per una cognizione più approfondita rinviamo il lettore, avrebbe decisamente escluso questo tipo di autenticità, collocando il Telo di Torino tra il XIII e il XIV secolo. L’ultimo significato è quello prevalente, che sottintendono quasi tutti coloro che si pongono il dilemma dell’autenticità: «È forse questo il lenzuolo funebre di cui parlano 14


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i Vangeli, che duemila anni fa avvolse il corpo di Cristo crocifisso?». In tal caso colui che viene anonimamente sempre definito come l’Uomo della Sindone (impossibile aver certezza diretta della sua identità) e Gesù Cristo sarebbero la stessa persona. Finché il Telo fu solamente oggetto di culto (in pratica fino al 1898, quando Secondo Pia, con le sue fotografie, diede indirettamente il via ad una delle più appassionanti avventure scientifiche della storia), tale coincidenza non fu mai sostanzialmente messa in dubbio, anche se nel merito non c’è mai stata una presa di posizione ufficiale della Chiesa. Ma la qualifica di “sacra” comunemente attribuita alla Sindone, il moltiplicarsi delle Ostensioni, la proliferazione di immagini che la rappresentano, la dicono lunga su “Chi” milioni di fedeli (ma anche agnostici) vedano dietro quelle impronte evanescenti. A partire da quella fatidica data, vero e proprio spartiacque della storia della Sindone, in virtù della quale nella travagliata vicenda della Sindone si può parlare di un “prima” e di un “dopo”, i due aspetti, devozionale e scientifico appaiono inestricabilmente intrecciati. Anche se in genere il primo è (e deve essere) considerato a sé stante, indipendente da quello scientifico. La Sindone – e lo ribadì il cardinale Anastasio Ballestrero nel presentare i risultati 15


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del Carbonio 14 – è un’icona. L’autenticità (ossia la grande probabilità che il Telo sia quello che avvolse il Cristo) non può che rafforzare la fede e dare a quell’immagine una forza irresistibile, rendendola la prima e la più sublime di tutte le icone. Perché se è vero che la fede non dipende dalle immagini, è anche vero che da esse ne esce rafforzata e talvolta ne scaturisce. Per usare le parole di Ballestrero «sappiamo tutti che le immagini da un punto di vista religioso hanno un grandissimo, diremmo, valore ed efficacia. Ma nella stragrande maggioranza sono soltanto opera di uomini». Nel caso di non autenticità «rimarrebbe una grandissima immagine fatta da uomini, espressione di fede e sussidio per la pietà e la fede del popolo cristiano». Commenta Giuseppe Ghiberti, biblista insigne: «In una foto (a me cara per l’immagine e magari per chi me l’ha data) non c’è la persona morta. Così pure nella Sindone. Per questo motivo la promozione di un movimento devozionale non si lascia condizionare e non rimane in attesa dei referti scientifici, anche se nutre verso di essi grande interesse». Per concludere, ci si potrebbe rifare al concetto di autenticità così come emerge dalle parole di uno dei “padri” della sindonologia, il chirurgo francese Pierre Barbet, le cui ricerche ed osservazioni fondamentali vengono spesso ri16


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chiamate in questo volume: «Cominciai con un certo scetticismo ad esaminare le immagini esistenti sulla Sindone – ricorda – ed ero del tutto pronto a negarne l’autenticità, se non concordavano con la verità anatomica. Viceversa i fatti sono andati via via raggruppandosi in un fascio di prove sempre più convincenti. Non solo la spiegazione delle immagini era così naturale e semplice che le proclamava genuine. Ma altresì, se dapprima sembravano anormali, la sperimentazione dimostrava che erano quali dovevano veramente essere. Che non potevano essere diverse né quali un falsario le avrebbe raffigurate. Così l’anatomia recava la testimonianza della loro autenticità, in piena concordanza con i testi dei Vangeli». Qualunque sperimentazione tuttavia si vorrà effettuare, non potrà mai esserci una risposta sicura al cento per cento alla domanda se si tratta veramente del lenzuolo funebre che avvolse il corpo di Cristo dopo la deposizione dalla croce. Più concisamente Alan Adler, professore emerito dell’Università del Connecticut, scomparso una decina di anni fa, affermò che la scienza non è in grado di dimostrare l’autenticità della Sindone come lenzuolo funerario di Cristo, ma esclusivamente la sua non-autenticità. Infatti, mentre non esiste un accettabile esperimento di laboratorio per provare l’identità dell’immagine sul Telo, un’eventuale prova della 17


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sua origine pittorica sarebbe sufficiente per dimostrarne la non autenticità. A questo punto facciamo nostro l’interrogativo posto da uno studioso nell’ottobre del 1987, ma pienamente valido ancor oggi: «In una società scristianizzata come l’attuale, in cui si è perso il senso della sacralità della vita, in cui a maggior ragione si è smarrito il senso della sacralità della morte, quale significato si vuole ancora attribuire ad un lenzuolo funebre?… Oggi, in cui l’informazione viene trasmessa sempre più per immagini, la Sindone può veramente costituire un testo-immagine di straordinaria efficacia emotiva».

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Capitolo I

AGLI ALBORI, TRA REALTÀ E LEGGENDA

«Il problema più grosso per chi crede nell’autenticità della Sindone è che non esistono prove storiche che, secondo la versione più favorevole, sia più vecchia di 650 anni. Essa “salta fuori” di punto in bianco verso la seconda metà del XIV secolo nel centro della Francia senza preavviso e senza la minima spiegazione di come sia finita lì. Tanto il mistero della sua precedente collocazione quanto il modo stesso della sua apparizione depongono contro l’autenticità». L’opinione espressa dagli Autori di un volume sulla Sindone, apparso negli anni ’90 corrispondente a quella dei cosiddetti “medioevalisti”, non manca di qualche verità. La storia della Sindone si può suddividere, infatti, in due grandi periodi: il primo, sostanzialmente oscuro, va dalle origini agli anni cinquanta del Trecento, periodo in cui fa la sua comparsa nella storia. E il secondo, in cui la “tracciabilità” storica della Sindone appare ben definita, senz’ombra di dubbi o confusioni, fino ai nostri giorni. 19


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Se abbondanti e storicamente incontrovertibili sono i richiami all’esistenza del Telo da quella data in poi, i tentativi di tracciare un percorso storicamente plausibile nei tredici secoli precedenti si scontrano inevitabilmente con la leggenda, dando robusto fiato ai medioevalisti di negarne la pre-esistenza. Non che manchino flash ad illuminare questi secoli “di buio profondo”, ma si tratta pur sempre e solo di lampi improvvisi che illuminano in modo non coerente e plausibile la scena storica. Dopodiché tornano implacabili le tenebre, lasciando spazio alle ipotesi, e per giunta talvolta assai fantasiose. Partiamo comunque dall’ultimo punto fermo riguardante la Sindone costituito dal resoconto dei quattro “storici” di fede che sono gli Evangelisti. Secondo Matteo «Giuseppe [di Arimatea] prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia…». Gli fanno eco, praticamente all’unisono, Marco: «[Giuseppe] allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia» e Luca: «Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto». Giovanni invece: «Allora [Giuseppe] andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza 20


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Agli albori, tra realtĂ e leggenda

Sepoltura di GesĂš. Giovanni Battista Della Rovere, olio su seta. (XVII secolo) Torino, Pinacoteca Sabauda.

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I VIAGGI DELLA SINDONE

Lirey

Chambéry Torino Istanbul (Costantinopoli)

Urfa (Edessa)

Atene

Gerusalemme

era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di aloe. Essi presero il suo corpo e lo fasciarono con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per la sepoltura». Descrivendo il proprio arrivo di corsa, prima di Pietro, alla tomba trovata vuota, Giovanni dice di sé che «si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette». 22


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Situati all’altra estremità di quel ponte ideale che collega il primo secolo al XIV, i primi “storici” della Sindone danno un esempio di quella “concordia discors” che caratterizza i loro scritti. Giovanni non usa infatti nemmeno la parola “sindone”, preferendo il plurale “teli” e aggiungendo il termine “sudario” ossia un fazzoletto mortuario che può avere svariati usi, tra i quali il più probabile sembra essere quello di “mentoniera”, cioè di un fazzoletto arrotolato attorno al viso e legato sulla sommità del capo allo scopo di tenere chiusa la bocca. Al di là di sporadici e vaghi accenni nei primi secoli che testimoniano comunque la conservazione e la venerazione dei teli funebri di Gesù, il richiamo più concorde degli studiosi di storia sindonica va ad un altro reperto in cui la Sindone si identificherebbe, conosciuto sotto il nome di “immagine edessena” (da Edessa, l’attuale Şanliurfa, tra Turchia e Siria). Secondo la tradizione infatti il Telo coinciderebbe con il volto di Gesù impresso su un fazzoletto conservato in quella città e abbondantemente citato anche da famosi Autori, soprattutto di lingua greca. Colpito da grave malattia ed essendo la fama dei miracoli di Gesù giunta fino a lui, Abgar V Ukhama, re di Osroene (piccolo regno a cavallo tra l’impero romano e quello dei Parti), aveva inviato a Gesù il pittore di corte Anania con 23


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una lettera alla quale egli non avrebbe risposto ma, colpito da tanta fede, si sarebbe lasciato ritrarre. Questa la prima versione, che ha ben poco di “storico”. Un’altra riferisce invece che Gesù inviò al re malato un fazzoletto con impresso il suo volto. Tenuta in grandissimo conto da re Abgar e dai suoi diretti discendenti, l’immagine dovette tuttavia essere nascosta per sottrarla alle successive persecuzioni contro i cristiani ad opera di un discendente di Abgar stesso. Sarebbe rimasta ben celata nelle mura di Edessa almeno fino a quando venne riscoperta in occasione dell’assedio delle truppe persiane di Cosroe. Leggende a parte, l’immagine di Edessa, altrimenti denominata Mandylion (ossia fazzoletto o piccolo asciugamano, termine tuttora usato in alcuni dialetti italiani), godette di grande popolarità tra i cristiani. A forma rettangolare aveva al centro un tondo con il viso del Cristo e tutt’attorno una decorazione: ancora oggi ne esistono diverse raffigurazioni realizzate in varie epoche. Nel 944 sul trono di Bisanzio regna Romano I Lecapeno, di origine armena. L’imperatore ritiene che la più venerata delle immagini dell’antichità debba essere conservata nella sua capitale, Costantinopoli, non a Edessa, tanto più che la città all’epoca è in mano all’emiro. Ordina pertanto al suo miglior generale Giovanni Curcuas di assediarla con l’esercito imperiale. Tiene talmente al Mandylion, da promettere 24


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Il re Abgar con il Mandylion. Icona. Monastero di S. Caterina del Sinai.

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in caso di consegna spontanea, l’indulgenza, la liberazione di 200 prigionieri arabi di alto rango e la consegna di dodicimila denari d’argento. Allettato dall’offerta, il califfo di Bagdad, Al Muttaqi, ordina all’Emiro di Edessa di consegnare la reliquia, contro l’opposizione della minoranza cristiana della città. La reliquia arriva a Costantinopoli il 15 agosto (festa della Dormizione della Vergine) nel tripudio generale, con la famiglia imperiale al gran completo ad attenderla. Resta per breve tempo nel Santuario Theotòkos (Madre di Dio) delle Blacherne per essere collocata nella chiesa della Theotòkos detta “del Pharos”, nel Palazzo imperiale Boucoleon, come riferiscono concordemente cronache arabe, greche e siriache. Un anno dopo, a Romano I succede il genero, Costantino VII Porfirogenito, il quale conia monete d’oro con l’effige del Mandylion e istituisce il 16 agosto la festa ufficiale. In tale occasione, Gregorio il Referendario, alto dignitario incaricato delle relazioni tra l’imperatore e il patriarca, pronuncia una celebre omelia, fondamentale per la comprensione della vicenda storica della Sindone, ritrovata nel 1986 negli archivi storici vaticani dallo storico Gino Zaninotto. Gregorio parla infatti dell’impronta portata da Edessa e «impressa dalle sole gocce di sudore dell’agonia, sgorgate dal volto che è origine di vita, stillate giù come gocce di san26


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gue […] ulteriormente abbellita dalle gocce di sangue sgorgate dal suo stesso fianco». Un particolare più che significativo, ai fini della presunta coincidenza con il Mandylion, come afferma padre André Maria Dubarle, nella sua Histoire ancienne du Linceul de Turin. Perché, non dimentichiamolo, la parte visibile del Mandylion era limitata all’effige del solo volto e non di tutto il corpo, mentre il Referendario dimostra di aver visto altro. L’ipotesi secondo cui il Mandylion non sarebbe altro che la Sindone piegata in 8 parti fu avanzata da Ian Wilson, storico inglese, già presidente della British Society for the Turin Shroud, e condivisa da diversi sindonologi, ma criticata dai medioevalisti. Tra le obiezioni è che, se così fosse, sulla Sindone si noterebbe una differenza d’invecchiamento tra la zona del Volto (esposta per un periodo più lungo) e le altre zone. «Se davvero sono lo stesso oggetto – si chiede un Autore – perché si fece quella mascherata? Perché nascondere l’esistenza del Telo mediante una piegatura ottupla?». «Per gli Ebrei come per i Cristiani – è la spiegazione – la Sindone era un oggetto impuro. Solo con orrore si guarderebbe ad un Telo insanguinato, che mostra le tracce della flagellazione e della crocifissione. Non era possibile: un tale oggetto poteva solamente causare un sentimento di rifiuto. L’unico rimedio per conservarlo era trasformarlo in un ritratto». 27


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