illustrazioni di Fabian Negrin
Van’ka
Storie che saltano di testa in testa, lasciando il prurito contagioso della lettura. Piccoli capolavori ritrovati, grandi autori classici che ci consegnano schegge d’infanzie indimenticabili. Bambini che si misurano con un mondo severo, estraneo e, spesso, assurdo e incomprensibile: quello degli adulti. ro
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Van’ka
pulci nell’orecchio
Cechov Anton
A. Cechov
Un’infanzia segnata da una tirannica figura paterna e da una famiglia numerosa, Anton Cechov, nato a Taganrog nel 1860, finito il liceo si trasferì a Mosca per studiare medicina. Furono tuttavia i suoi primi racconti umoristici a permettergli di contribuire al mantenimento dei genitori e dei suoi cinque fratelli. Come scrisse lui stesso “La medicina è la mia legittima sposa, mentre la letteratura è la mia amante: quando mi stanco di una, passo la notte con l’altra”. Ma né la medicina né la letteratura riuscirono a distrarlo mai da un forte e convinto impegno sociale.
“E gli apprendisti mi prendono in giro, mi mandano all’osteria a prender la vodka e mi dicono di rubare i cetrioli ai padroni, e il padrone mi picchia con qualsiasi cosa. E da mangiare non c’è niente. La mattina mi danno del pane, a pranzo grano bollito, la sera ancora del pane.”
Il nonno è il destinatario della lettera che il piccolo orfano Van’ka scrive nella notte prima di Natale. A lume di candela, nel silenzio, con il terrore di farsi scoprire, prega l’unico parente a lui rimasto di venire a portarlo via da quell’apprendistato di botte, fame e poco sonno che il calzolaio gli impartisce. E ricorda i giorni felici di quando, al villaggio, le giovani cameriere della padrona lo viziavano a caramelle o il nonno lo portava nel bosco a tagliare l’abete per il Natale.