L'inaffondabile Sam - anteprima

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Loricangi · Maurizio A.C. Quarello

L’INAFF O N DABILE

L ’ INAFFONDABILE SAM

un racconto di Loricangi illustrato da Maurizio A.C. Quarello

Ricordo che pioveva.

Ero l’ultimo della fila dietro i miei fratelli e seguivamo la mamma che ci stava portando in un posto sicuro.

Il ricovero degli attrezzi ultimamente era troppo frequentato dagli umani.

Si era appena diradata la pioggia, quando ho visto per la prima volta una lucertola e ogni cellula del mio corpo mi ha ordinato di acchiapparla!

Peccato che durante l’inseguimento sono inciampato e quando mi sono rialzato, intorno a me non c’era più nessuno. Ho miagolato forte. Niente. Avevo freddo, ero fradicio e anche un tantino disperato, lo ammetto. All’improvviso una mano calda mi ha raccolto.

In quell’istante ho capito che la mia vita sarebbe cambiata per sempre. Avrei vissuto un po’ più da uomo e un po’ meno da gatto.

Fu così che conobbi Karl, il ragazzino che mi aveva trovato. Abitava in un quartiere di operai alla periferia di Berlino, a ridosso dei campi.

A quei tempi, tante persone vivevano in miseria, senza lavoro per via della crisi economica causata dalla Prima guerra mondiale.

La famiglia di Karl era fortunata e se la cavava: il padre faceva l’operaio in una fabbrica di cappelli e la madre stirava per una famiglia benestante.

«Ti chiamerai Oskar!» disse Karl e ogni giorno, quando tornava da scuola, mi trovava ad aspettarlo sulla porta di casa, allora buttava la cartella sul letto e correvamo insieme in giardino. Dei campi mi piaceva masticare l’erba, annusare i fiori, inseguire calabroni e bombi.

Trascorrevo pomeriggi interi sugli alberi e da lassù osservavo il tramonto: non mi sfuggiva una farfalla in primavera o una foglia in autunno.

Ricordo che Karl andava alla mensa dei poveri per aiutare in cucina. «Hai un cuore d’oro!» gli dicevano i cuochi sorridendo, mentre gli insegnavano a sbucciare le patate. Gli piaceva cucinare e quando tornava mi portava sempre qualcosa: mezzo würstel, un pezzetto di stufato o una fettina di strudel.

Qualche volta mi piaceva guardarlo di nascosto. Ogni suo movimento mi incuriosiva e quando se ne accorgeva e sorrideva, io chiudevo gli occhi stretti come due fessure e mi giravo dall’altra parte: non volevo che sapesse quanto gli ero affezionato.

Passarono un paio d’anni e Karl non ebbe nemmeno il tempo di veder spuntare la prima barba che fu arruolato in Marina. Quando ricevette la lettera che lo precettava, l’intera famiglia cadde in un silenzio tombale: era arrivata la guerra. Quella sera, nel letto, mi strinse forte e mi confidò le sue paure: come sarebbe stato vivere lontano da casa? E combattere?

Quando mi scoprì, Karl non credeva ai suoi occhi: gli saltai in braccio e mi riempì di baci. Appena si riebbe dalla sorpresa, mi portò a visitare la dispensa e la grande cucina dove avrebbe preparato i pasti per i marinai.

Mi presentò agli uomini dell’equipaggio che fecero a gara per darmi un’occhiata e farmi una carezza. Erano contenti di avere un gatto a bordo: li facevo sentire in famiglia.

In un paio di settimane perlustrai ogni angolo della Bismarck e quell’enorme ammasso di ferro galleggiante divenne la mia nuova casa.

La salvezza delle provviste dipendeva dalla buona riuscita del mio lavoro, quindi ero la mascotte, ma anche un membro dell’equipaggio a tutti gli effetti.

Cacciare topi divenne il mio compito, oltre a essere il mio passatempo preferito.

Amavo fare l’acrobata sul parapetto e arrampicarmi in alto sulle attrezzature per guardare gli uomini da lassù.

Adoravo posare per le fotografie in braccio ai marinai e mordicchiare le onorificenze degli ufficiali.

Inoltre, ero l’unico della Bismarck che poteva dormire e sbadigliare davanti all’Ammiraglio e per questo l’equipaggio mi apprezzava ancor di più.

Nessuno avrebbe potuto immaginare quel che sarebbe accaduto di lì a poco. Fummo attaccati mentre attraversavamo le acque dello stretto di Danimarca.

Ero sul ponte quando notai, sotto la superficie dell’acqua, delle ombre nere simili a scarafaggi giganti correre veloci verso lo scafo. Udii un tonfo sordo rimbombare sul fianco dell’ammiraglia, il ponte di ferro sotto i miei piedi ballò e io scivolai per un paio di metri.

Eravamo stati colpiti da una nave nemica e perdemmo velocità. Restammo immobili e in silenzio in mezzo al mare per far perdere le nostre tracce. Quella notte nessuno riuscì a dormire.

Non era permesso parlare o fare il minimo rumore perché avrebbero potuto intercettarci. Il tempo non passava mai. Mi distesi tra le braccia di Karl e poi a turno anche tra quelle del cuoco, di due inservienti e del lavapiatti amico loro. Il mattino successivo, proseguimmo il viaggio senza che ci seguissero ma, tempo un giorno, fummo nuovamente avvistati.

Le bombe caddero dal cielo come uccelli in picchiata.

Mi ritrovarono che galleggiavo, aggrappato a una tavoletta di legno.

SEGUE…

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