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Il capriccio: cos’è e perchè lo mettiamo in atto

Analizziamo un altro comportamento che rende complicata e “difettosa” la comunicazione tra esseri umani: il capriccio.

a cura di Elisa Amelia

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Cosa costruisce il capriccio?

Il “NO”

Ma procediamo con ordine e facciamoci chiarezza.

Ci vuole un po’ di umiltà nel comprendere che sì, siamo molto cresciuti, ma abbiamo spesso ancora gli stessi atteggiamenti che avevamo da bambini nel nostro quotidiano. Magari per questioni di età o per “dignità” non rimaniamo in camera attendendo che qualcuno venga a cercarci, ma è molto probabile che perpetriamo atteggiamenti simili su altri, fuori e dentro le mura di casa.

Pensiamo ad esempio, in un rapporto di amicizia, ad una persona che esprime il suo dissenso sentendosi ferita perché rifiutata e non amata, mai ri - cambiata nella sua affettività dall’altra; stanca di dare e non ricevere mai. Dall’altra parte, una persona che, sotto ricatto dai propri bisogni, ricambia l’amicizia, ma resta sempre in una incolmabile richiesta.

Cosa comprendiamo?

Entrambe le persone mettono in campo una comunicazione: la prima di non essere riconosciuta nel suo dare affetto, la seconda di non essere amata abbastanza. Fondamentalmente la mancanza denunciata da entrambe è la stessa ed ecco “il capriccio”: entrambe vogliono essere amate e volute nei modi che rispettivamente desiderano, ma senza comunicarlo alla controparte, pretendendo che le modalità vengano comprese a prescindere. Lo stesso meccanismo scatta tra genitori e figli. Anche in questo caso il fraintendimento affettivo nasce dalla pretesa che l’altro mi mostri amore nel modo in cui io voglio e, se ciò non avviene, il mio bisogno diventa così grande da sfociare in un “NO”: questo capriccio diventa motivo di scontri, sofferenze, malattie e incomprensioni nella comunicazione.

È importante fare una riflessione: Se non si comprende efficacemente il proprio bisogno affettivo al punto da perdere il valore di sé stessi, si perde il potere che si ha su di sé.

Dando colpa all’altro, l’altro diviene più potente di me, perché a lui attribuisco il potere della mia esistenza. In parole semplici, non ci è utile né ci aiuta mettere in atto un capriccio nella speranza che l’altro ci dia ciò che vogliamo come noi lo vogliamo, delegandogli la responsabilità della nostra sofferenza o delusione se ciò non avvie - ne (come quasi sempre succede). Molto più semplice e meno costoso è chiederci che cosa cerchiamo dall’altro, comunicandolo in termini chiari. Scopriremo che, adottando questo sistema, otterremo molto di più con un risparmio di energia considerevole. L’accoglienza, la comprensione e la chiarezza che si porta all’altro è ciò che possiamo imparare ad usare anche verso noi stessi. Insomma, non solo è più semplice e meno dispendioso, ma ci permette di comunicare con noi stessi e conoscerci realmente. Chiariamo un altro concetto di non poco conto: non è detto che mettendo in campo la giusta comunicazione di cui argomentato sinora, l’altro obbligatoriamente ci darà riscontro. Dobbiamo ricordarci sempre che tutti noi siamo rapiti dai nostri bisogni e “capricci”; ma, sicuramente, farlo permette a noi di comprendere e di farci comprendere, a prescindere da ciò che è o meno il ritorno. E qui si apre un’altra grande diga stra - bordante che si chiama ASPETTATIVA. Dovremmo imparare a comunicare con gli altri aldilà di ogni aspettativa, questo perché?

Semplice, facciamo un esempio: io vado da mio padre denunciando la mia mancanza di carezze. Se la mia comunicazione fosse fine a sé stessa non avrei né timore di dirlo, né del riscontro. Invece io celo una grande aspettativa: che mio padre si dispiaccia e/o mi dia le carezze a me mancate. Se questo non avviene per i motivi più svariati (di cui avremo modo di parlare) la mia aspettativa viene disattesa e io cado in un’emozione ancor più terribile che si chiama DELUSIONE. Questa emozione negativa bloccante dà l’avvio a tutta una serie di comportamenti molto dannosi per me. Ecco perché, seppur non semplice, dovremmo cercare di comunicare agli altri ciò che vogliamo per sentirci liberi di manifestarci aldilà dell’altrui riscontro.

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