N 1 Anno 6 Generazione Over60

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Gennaio 2024

“Il cambiavalute e sua moglie” è un dipinto ad olio su tavola del pittore fiammingo Quentin Massys, realizzata nel 1514 e attualmente conservata a Parigi al Museo del Louvre.

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano: n°258 del 17/10/2018 ANNO 6, n.1

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Le rubriche

EDITORIALE “Amoglianimali” Bellezza Da leggere (o rileggere) Da vedere/ascoltare Di tutto e niente Il desco dei Gourmet Il personaggio Il tempo della Grande Mela Comandacolore Incursioni In forma In movimento Lavori in corso Primo piano Salute Scienza Sessualità Stile Over Volontariato & Associazioni

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Generazione Over 60 DIRETTORE RESPONSABILE Minnie Luongo

I NOSTRI COLLABORATORI Marco Rossi Alessandro Littara Antonino Di Pietro Mauro Cervia Andrea Tomasini Paola Emilia Cicerone Flavia Caroppo Marco Vittorio Ranzoni Giovanni Paolo Magistri Maria Teresa Ruta

DISEGNI DI Attilio Ortolani Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com Issuu: https://issuu.com/generazioneover60 Facebook: https://www.facebook.com/generazioneover60 Youtube: https://www.youtube.com/channel/generazioneover60

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Generazione Over 60 MINNIE LUONGO DIRETTORE RESPONSABILE

Foto Chiara Svilpo

Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).

Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”. Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60. Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.

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Chi siamo DOTTOR MARCO ROSSI SESSUOLOGO E PSICHIATRA

è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.

DOTTOR ALESSANDRO LITTARA ANDROLOGO E CHIRURGO

è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo

PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO PLASTICO

presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).

DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO

è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.

ANDREA TOMASINI GIORNALISTA SCIENTIFICO

giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.

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Chi siamo PAOLA EMILIA CICERONE GIORNALISTA SCIENTIFICA

classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione. Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.

FLAVIA CAROPPO GIORNALISTA E AMBASCIATRICE DELLA

CUCINA ITALIANA A NEW YORK Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie

MARCO VITTORIO RANZONI GIORNALISTA

Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.

COMANDACOLORE è uno Studio di Progettazione Architettonica e

Interior Design nato dalla passione per il colore e la luce ad opera delle fondatrici Antonella Catarsini e Roberta D’Amico. Il concept di COMANDACOLORE è incentrato sul tema dell’abitare contemporaneo che richiede forme e linguaggi mirati a nuove e più versatili possibilità di uso degli spazi, tenendo sempre in considerazione la caratteristica sia funzionale che emozionale degli stessi.

MONICA SANSONE VIDEOMAKER

operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.

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Sommario

-10Generazione F Il rapporto più irrealizzabile e irrealizzato? Quello fra me e il denaro Editoriale di Minnie Luongo -12Foto d’autore Dai diamanti non nasce niente... di Francesco Bellesia -14Versi Di...versi La vera moneta Di Bruno Belletti -15Salute L’illusione della felicità Di Rosa Mininno

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Sommario -17Stile Over Il mio rapporto con il denaro di Paola Emilia Cicerone -21Per approfondire Parco di divertimenti. Di Federico Maderno -27Da leggere (o rileggere) Il biglietto giusto Di Amelia Belloni Sonzogni -32In movimento A Biella per ammirare Pistoletto Gli Erranti

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Generazione F IL RAPPORTO PIÙ IRREALIZZABILE E IRREALIZZATO? QUELLO FRA ME E IL DENARO EDITORIALE

Ignoro quanto costi un chilo di pane e tantomeno un litro di latte. Fino a una quindicina d’anni fa non avevo neppure capito che anch’io, facendo il lavoro di giornalista (essendo al contempo insegnante statale, tutto mi veniva trattenuto alla fonte), dovevo… pagare le tasse. Finché mi arrivarono non so quante cartelle esattoriali arretrate da pagare e, vergognandomi per la mia stupidità, mi presentai allo studio di quello che sarebbe diventato il mio commercialista, pregandolo di credere che non volevo imbrogliare nessuno, ma semplicemente non ne ero a conoscenza. La faccenda era talmente surreale che, a dispetto delle quasi due lauree conseguite, dei lavori “importanti” che svolgevo (fra cui preside e collaboratrice fissa del Corriere della Sera) e del fatto che vivessi e mi mantenessi da sola da quando avevo poco più di vent’anni, lui mi credette e- nonostante i tanti e tanti anni meno di me- mi “adottò”, svolgendo personalmente tutte le prime pratiche necessarie che, dopo avermele spiegate decine di volte, continuavo a non capire fino ad arrivare alla domanda che per poco lo fece svenire:”Va bene dottore, ma non ho ancora capito che cos’è l’Irpef”. Questa sono io. Eppure lavoro da quando ho 17 anni, continuando poi per mantenermi all’Università, pago da sola affitti bollette e tutto il resto, ma non ho mai pensato che un conto corrente serve anche per depositare eventuali risparmi. Solo la parola risparmio mi ha sempre procurato una sorta di orticaria: dove li devo portare i soldi “in eccedenza” una volta lasciata questa terra, non avendo eredi né familiari? Va da sé che per come sono fatta, non ho avuto alcun dubbio a rinunciare in toto alla cospicua eredità materna “per questioni di principio”. Ahimè, so anche che se tornassi ai miei 30 anni, farei lo stesso. Almeno temo.

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Generazione F Allo stesso modo- ma di questo non ho ancora capito il motivo- ho in pratica regalato una casa appena acquistata con un vantaggiosissimo mutuo riservato a dipendenti statali come me. A questo punto si evincerebbe che sono stupida, superficiale o, quantomeno, con le mani bucate. No, sono ignorante nell’accezione latina. E non ho mai fatto più di tanto per cambiare. Se qualcuno è messo peggio di me cerco sempre di aiutarlo, la parola “prestito” per me non esiste. Se regalo, regalo. E qui arriviamo al triste epilogo della storia. Ora, Over da un bel po’ e con l’editoria ridotta com’è ridotta per non parlare di tutto l’ambito del lavoro, mi ritrovo spesso con l’acqua alla gola per pagare affitto e altro. Come faccio a… farcela? Devo tantissimo ad alcuni amici e amiche che vengono in mio soccorso quando, prima che glielo dica, capiscono come sono messa. Magari qualcuno si chiederà come ho speso i soldi guadagnati. Facile rispondere: in regali (un tempo credevo che fossero un modo per farmi voler bene, ma qui si aprirebbe un capitolo doloroso) e in viaggi. Stop. Sono anacronisticamente rimasta all’epoca di “Chi ha di più paga per gli altri”. Non mi pento, mi sento solo stupida- sempre e sempre- e, a mano a mano che l’età avanza, mi accorgo di quanto i vituperati e mai avuti risparmi servirebbero. Eccome!

Il denaro ed io siamo due entità che s’incontrano tutti i santi giorni, ma non riescono a dialogare. Fine delle confessioni più intime e spudorate. Peggio che vada, andrò con Holly all’angolo della strada. Sono certa che lei, al contrario di me, saprà risparmiare quanto ricevuto in offerta.

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Foto d’autore DAI DIAMANTI NON NASCE NIENTE...

Lo scatto di Francesco Bellesia sulla sua pagina Facebook viene da lui stesso commentata così- in modo tristemente ironico- parafrasando alcune parole del brano “Via del Campo” del grande Fabizio De André: “Dai diamanti non nasce niente, dalla merda nascono i fior”...

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Foto d’autore FRANCESCO BELLESIA Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita. Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt. Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti. Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.

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Versi Di...versi LA VERA MONETA Di Bruno Belletti - autore

Scambiarci sorrisi e promesse, con volo leggiadro che scruta orizzonti. Nutrirsi di cuori intrecciati Foto di Josh Appel all’emporio degli atti mancanti. Saper di non essere soli. Supporto e risorsa, a vicenda, è il vero baratto, la vera moneta. Foto di Josh Appel

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Salute L’ILLUSIONE DELLA FELICITÀ Il gioco d’azzardo è un serio disturbo psicologico. Rincorrere i soldi a tutti i costi è una vera e propria malattia Di Rosa Mininno – psicoterapeuta, fondatrice di Sibilla (Scuola italiana di biblioterapia, del libro, della lettura e delle arti) “I soldi fanno la felicità”, “I soldi mandano l’ acqua per l’ insù”, “ I soldi non fanno la felicità”. Vecchi detti popolari che hanno un fondamento di verità: non fanno la felicità, ma l’aiutano. L’illusione della felicità la danno quei famigerati” gratta e vinci” che attirano schiere di persone di diversa età, anche molto giovani, ma soprattutto adulti e anziani che si giocano parte della pensione “grattando, grattando” pezzi carta colorati, pieni di numeri, che promettono vincite stratosferiche spingendo i giocatori a ritentare acquistando altri biglietti. Così l’illusione dura e continua. A volte si vince qualcosa, molto raramente una bella cifra, spessissimo nulla, ma la speranza nella fortuna resta. È tutto opportunamente calcolato per attirare il maggior numero di giocatori possibile . Un inganno psicologico che miete moltissime vittime . Non è raro sentir dire : «Per un numero non ho vinto ! » .

Bar e tabaccai sono pieni di “Gratta e vinci”, schedine del Lotto e dell’Enalotto. Giochi popolarissimi che alimentano le tasche dello Stato e svuotano quelle delle persone che tentano la fortuna giocando, spesso inconsapevoli del rischio di diventare dipendenti dal gioco. Questa dipendenza psicologica fa parte delle “ Dipendenze non da sostanza”, annoverate in Psicologia Clinica e Psichiatria come patologie che necessitano di cure psicoterapeutiche e farmacologiche. Il “Gioco d’azzardo patologico” è un serio disturbo psichico che sottende depressione, atteggiamenti e comportamenti ossessivo- compulsivi ingravescenti . Il suicidio è un rischio quando ci s’indebita pesantemente

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Salute per il gioco d’azzardo . Si spezzano le famiglie, bisogna curarsi anche ricorrendo ad un eventuale ricovero in strutture psichiatriche ospedaliere o in comunità per giocatori d’azzardo . Una grande e profonda infelicità sottende questi comportamenti patologici. Giocare piccole cifre può essere un divertimento, ma non deve essere qualcosa di più. Credere di poter cambiare la propria vita in meglio con una giocata di numeri è illusorio.

I soldi servono per vivere, certo, ma non dobbiamo mai metterli al primo posto nella scala dei nostri valori. Nella vita gli affetti, la serenità e la salute sono valori fondamentali che nessuna cifra potrà mai sostituire. Esiste nella nostra società un movimento economico e sociale che predilige lo scambio di servizi, il baratto, i consumi ecosostenibili, la spesa collettiva per risparmiare sull’acquisto di prodotti, il riuso di oggetti, mobili, vestiario, accessori. “Regalare esperienze” e non oggetti è la filosofia che condivido con molte persone. Si può vivere meglio non sprecando risorse e soldi. Una spesa alla quale non rinuncerei: quella dei libri di carta. Un patrimonio culturale ed economico che può sopravvivere alla nostra esistenza terrena, continuando a parlare anche di noi attraverso i nostri Ex libris, le nostre note grafiche, le nostre sottolineature a chi leggerà i nostri libri dopo di noi. Il loro fascino resterà in quegli occhi.

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Stile Over IL MIO RAPPORTO CON IL DENARO Che l’atteggiamento verso i soldi derivi in gran parte dall’ambiente in cui si è vissuti da bambini è un dato di fatto, ma forse non basta a spiegarlo completamente Di Paola Emilia Cicerone – giornalista scientifica Non ho la minima idea di quale fosse l’atteggiamento di mia madre nei confronti del denaro. Quando è morta ero troppo piccola, posso solo dire che le piacevano le cose belle, e che non disdegnava le piccole comodità, il confort di un cappuccino in un bar piacevole o un taxi quando era il caso. E, in effetti, nella mia famiglia equamente divisa in due, era il lato materno, per quanto meno fornito di denaro, a indulgere volentieri in spese frivole, aperitivi o cene fuori. Mentre il mio nonno paterno, pur non avendo mai avuto grossi problemi economici, era noto per stratosferici atti di avarizia che in me bambina rievocavano la figura di Zio Paperone (anche se, per essere onesti, non mi aveva mai fatto mancare un regalino o un pacchetto di caramelle).

Quanto a mio padre, aveva un atteggiamento ambivalente: spendeva volentieri ma solo per le cose che gli interessavano, ossia per libri, viaggi e scuole o corsi per me. Le spese inutili (e la voce comprendeva abiti, bar, ristoranti e altri confort) lo infastidivano, e ogni acquisto richiedeva faticosi negoziati dai quali assai spesso uscivo perdente. Non c’è da stupirsi quindi che io abbia qualche difficoltà a relazionarmi con il denaro.

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Stile Over Tutto sommato, forse preferirei tornare all’epoca del baratto: nella storia dell’umanità il concetto di denaro è nato abbastanza tardi, e per diversi millenni ce la siamo cavata egregiamente con altre forme di scambio. Pare che le prime operazioni commerciali nel senso moderno del termine - utilizzando però metalli preziosi o granaglie, non quindi denaro in senso stretto - siano avvenute nel vicino Oriente circa tre millenni pima della nostra era. Questi e altri sistemi hanno comunque permesso di sviluppare fiorenti commerci.

Aes signatum (Repubblica Romana dopo il 450 a. C.)

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Stile Over E se la tradizione attribuisce l’invenzione della moneta al re della Lidia Creso, vissuto nel VI secolo a.C., è possibile che i due sistemi abbiano convissuto per secoli: lo stesso termine denaro deriva da denarius, il nome di una moneta romana in argento, mentre il salario si chiama così perché una razione di sale - salarium - era per i soldati romani una componente importante della retribuzione. Anche in tempi assai più vicini a noi - senza scomodare i capponi di Renzo Tramaglino, obolo destinato a ingentilire l’avvocato Azzeccagarbugli - specie in campagna era piuttosto frequente integrare o sostituire una parcella con omaggi di vino, formaggio o altri alimenti.

Marcus Aurelius Denarius Poi, certo, sono arrivate le banconote, nate in Cina e diffuse in Europa solo dopo molti secoli: inizialmente si trattava di lettere di cambio - o note di banco, da cui il termine banconota - che attestavano l’avvenuto deposito di una certa quantità di oro o argento presso una banca, permettendo al portatore di ritirarne analoga quantità presso un’altra filiale, senza dover viaggiare con il metallo prezioso. Da queste lettere è nata anche la cambiale, che rappresenta una promessa di pagamento: la sua invenzione è in genere attribuita al mercante pratese Francesco Datini. Assai più tardi sono arrivati gli assegni bancari, poi le carte di credito - di cui oggi ci sembra di non poter fare a meno mentre sono un’invenzione recente, essendo comparse intorno al 1950 negli Stati Uniti - fino agli attuali sistemi elettronici di pagamento. Per quanto mi riguarda, mentre apprezzo le comodità e la sicurezza faccio molta fatica a desiderare il denaro in quanto tale: da bambina quando settimanalmente ritiravo la - modesta - paghetta che mi era riconosciuta la vedevo immediatamente trasformata nei beni di mio interesse immediato, ossia giornalini e frattaglie di macelleria per i gatti randagi che popolavano il mio cortile. Non mi è mai venuto in mente di “risparmiare” per comprarmi qualcos’altro, o di chiedere un aumento.

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Stile Over

Anche adesso, molti anni più tardi, penso che - per chi abbia il necessario - sia più semplice moderare i propri desideri che cercare di guadagnare di più, una scelta che impone inevitabilmente dei sacrifici, in termini di tempo libero o di piacevolezza delle occupazioni cui ci si dedica. Cercando di perseguire la giusta via di mezzo, secondo la tradizione buddista - e non solo - che invita a evitare gli estremi dell’auto-indulgenza e dell’auto-mortificazione. E quando leggo di vincite milionarie, la mia prima reazione è un’ansia sincera per chi improvvisamente si trova a gestire somme al di là della propria portata, e rischia di dover fare i conti con la difficoltà a distinguere tra amici sinceri e persone che si avvicinano con la speranza di ricavarne qualcosa.

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Per approfondire PARCO DI DIVERTIMENTI. … Ossia, di chi vive con niente. O così parrebbe…Ma davvero il denaro è un demone dal quale bisogna stare lontani? E’ il tema del racconto dal finale spiazzante Di Federico Maderno – scrittore “Il denaro è un demone dal quale bisogna tenersi lontani!” Me lo aveva detto sotto il sole del primo pomeriggio, pochi giorni dopo che ci eravamo conosciuti ufficialmente. Si chiamava Angelo P., aveva forse cinquanta anni, ma ne dimostrava almeno venti di più. Sarà stato il suo abbigliamento logoro e stazzonato. Saranno stati barba e capelli tenuti incolti e francamente assai poco puliti. Faceva il muratore, ed operava presso un fabbricato rurale, arrampicandosi su un ponteggio traballante ad una cinquantina di metri dall’edificio per il quale curavo, da un paio di settimane, lavori di ristrutturazione. Lui faceva il suo, da solo, ed io passavo spesso da quelle parti in ore nelle quali il mio cantiere era in pausa pranzo.

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Per approfondire Così, quando andavo a controllare l’avanzamento dei lavori, avevo preso l’abitudine di salutarlo ed osservandolo all’opera, se si escludeva l’imbarazzo per quei dispositivi di sicurezza che non erano certamente rigorosissimi, avevo avuto modo di apprezzare la sua evidente manualità e la competenza con la quale eseguiva ogni tipo di intervento necessario per il recupero del piccolo e graziosissimo rustico. Un giorno, avendolo trovato ai piedi di quel suo trabattello sbilenco, avevo fermato l’automobile e ci eravamo presentati. – Così, Lei fa il Geometra – mi aveva detto, scrutandomi ad occhi socchiusi. – Veramente, io sono Ingegnere – avevo fatto presente, non senza una subitanea vergogna per quella precisazione che poteva apparire altezzosa ed era, al contempo, inutile. – Ah, bene, bene… – aveva considerato. – E mi dica, Signor Geometra, come sta andando, adesso, il mercato immobiliare? Mi ero tenuto sul vago: – Oh, beh! Le case, oggi… Ha presente? E lei… è suo questo bel rustico? – Oh, no di certo – si era schermito. – Questa è roba per gente con soldi. – Ah ecco, credevo! Avevamo scambiato qualche impressione, quella volta. Niente di eccezionale, ma ormai il ghiaccio era rotto e da quel giorno, ogni volta che passavo a fare un controllo e lo trovavo al lavoro, non mancavo mai di trattenermi con lui un quarto d’ora, per informarmi su come procedeva la sua attività. Così, capitò che una di quelle volte si parlasse di denaro. – Chissà quanto costerà un intervento così consistente! – aveva detto, contemplando con le mani sui fianchi le attività per le quali ero progettista e direttore dei lavori. – Parecchio – avevo convenuto. – A volte, mi chiedo se la gente si renda conto di quanto denaro dovrà sborsare, prima di poter metter piede in casa. In effetti, la trasformazione del cascinale aveva comportato un moltiplicarsi di spese, alcune delle quali motivate da imprevisti in corso d’opera, ma molte altre imputabili ai capricci dei committenti che sembravano perfino contenti di sobbarcarsi l’onere di scelte bizzarre, francamente futili. – Quella pietra di Luserna, per esempio, deve valere una fortuna – aveva considerato, indicandomi una mezza dozzina di bancali di piastrelle luccicanti che sarebbero servite per pavimentare gran parte del piazzale davanti all’abitazione. – Quella è roba che non viene via con meno di 40 euro al metro quadro. – Cinquantaquattro, per la precisione – avevo puntualizzato. Aveva emesso un lungo fischio e poi aveva stretto le labbra e annuito con il capo, non avrei saputo dire se per lo stupore o per la disapprovazione.

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Per approfondire – Oggi, la gente crede di ottenere tutto, con i soldi. – Non è così? – avevo puntualizzato. – Ah, i soldi… Brutte bestie. – Però, senza soldi… – mi ero sentito in obbligo di dire, rischiando un’assoluta banalità. – Dia retta a me, Signor Geometra: il denaro è un demone dal quale bisogna tenersi lontani! Di certo, lui addosso ne aveva poco.

Qualche tempo dopo, lo avevo invitato, una prima volta, a pranzo. Si trattava di una locanda alla buona, a conduzione famigliare. Niente di pretenzioso, ma proprio per quello la cucina era genuina e l’atmosfera rilassante. Finito il desinare, si era allontanato un momento, per andare ai servizi, e io ne avevo approfittato per regolare il conto, senza costringerlo a mortificanti ringraziamenti. Così era successo altre cinque o sei volte. Lui rimaneva un po’ impacciato, si tastava le tasche dove avrebbe dovuto esserci, forse, un portafoglio, e alla fine con lo sguardo un po’ sfuggente mormorava un “Va beh, allora… grazie!” che io fingevo di neppure sentire. Il suo rapporto con il denaro, mi ero fatto convinto, doveva renderlo, se non altro, un uomo libero. – Vede, – mi aveva detto durante una di quelle nostre chiacchierate – i soldi sono come ogni altra esigenza umana. Né più, né meno. Non conta quanti se ne hanno, ma qual è il desiderio di averne, il senso di man-

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Per approfondire canza. La persona ricca non è quella che ne ha tanti, ma quella che non ne sente il bisogno. – Si spieghi meglio – lo avevo invitato. – È concettualmente semplice: immagini un viaggiatore che nel deserto abbia cento litri d’acqua. Ed un altro tizio, invece, che sia il proprietario di una risaia. Chi ha più acqua a disposizione? – Oh bella! – avevo risposto. – Non c’è dubbio che il coltivatore sia assai più fornito. – Ebbene, adesso immagini che si tolga a queste due persone metà della loro dotazione. Ora, non v’è dubbio che mentre all’esploratore cinquanta litri potrebbero ancora essere più che sufficienti per attraversare il suo deserto o arrivare ad una piccola oasi, probabilmente il contadino sarebbe messo in grave difficoltà dall’improvvisa aridità dei terreni. – Credo di aver capito. – Gliel’ho detto: non conta quanto denaro si abbia, ma quanto uno ritiene di averne bisogno. C’è il rischio che pur avendone moltissimo si abbia l’impressione, anzi la certezza, di non possederne mai abbastanza. Mente se non se ne sente l’esigenza si può ragionevolmente dire di esserne sazi, ossia davvero ricchi. – È un concetto interessante – avevo detto, con convinzione e guardandolo con rinnovata e diversa ammirazione. Qualche giorno dopo, recatomi da solo in quella stessa osteria, avevo chiesto con discrezione alla proprietaria qualche informazione sul mio nuovo precettore in tema di sobrietà economica. – Angelo è un po’ fatto a suo modo – mi aveva detto. – Certo, fa una vita di sacrifici che per me non ha molto senso. Alla fine, potrebbe almeno tenersi un po’ più curato nella persona. Ma del resto, se piace a lui… – Mi sembra di aver capito che questa sua mancanza di ossessività per i beni materiali gli regala una serenità invidiabile. La signora aveva alzato in maniera ostentata gli occhi al cielo, evidentemente poco convinta. – Del resto – avevo considerato – come lavoratore mi sembra assolutamente abile e competente. – Oh, per quello nulla da dire. Nessuno può negare che come muratore ci sappia fare davvero. Magari, è solo un po’ caro… Ne avevo tratto la convinzione che la locandiera poco o nulla avesse capito, nel profondo, di quella persona. Una settimana dopo, mi capitò di essere invitato da Angelo presso la sua abitazione. Per la verità, si trattò di un auto-invito. Dovemmo andarci fortuitamente, dal momento che un improvviso rovescio d’acqua mi aveva colto proditoriamente mentre ispezionavo i lavori del tetto, così che ne ero disceso fradicio e francamente insozzato negli abiti. Lo avevo scorto sotto la tettoia del “suo” rustico, intento a proteggersi da quella burrasca e ad osservare il cielo che si era fatto di piombo. Gli arrivai davanti grondante di acqua e con i pantaloni imbrattati di fango e della ruggine dei ponteggi.

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Per approfondire – Posso chiederle la gentilezza di ospitarmi una mezz’ora per darmi una lavata e mettere ad asciugare gli abiti che ho addosso? Acconsentì, non senza una certa titubanza. Evidentemente, le cortesie che gli avevo rivolto non gli consentivano di cercare una minima scusa per rifiutarmi un aiuto. Salimmo sulla mia vettura e mi guidò dunque fin davanti ad una casetta malconcia, alla quale, davvero, molto sarebbero servite le cure delle sue mani di muratore abilissimo. Angelo sembrava a tal punto impacciato che ero già pentito di avergli rivolto quella richiesta istintiva.

Entrammo in una stanza piccola e disadorna. Un letto a pagliericcio di quelli che una volta si riempivano con le spoglie del mais, un paio di sedie ed un mobile scalcagnato erano gli unici arredi di quel vano, nel quale aleggiava, a dirla tutta, un afrore niente affatto gradevole. Restammo, qualche secondo, nell’imbarazzo di cosa fare veramente. Mi balenò l’idea che nemmeno ci fosse un bagno dove potermi dare una lavata e in merito ad una provvidenziale fonte di calore alla quale esporre i miei abiti, quei muri mal intonacati rimandavano invece tutta l’umidità ed il freddo che l’incipiente autunno riusciva già a regalare. – Ebbene… – disse, senza davvero sapere come venirne fuori. – Ehhh… Io... – Oh, non si preoccupi per me – mentii spudoratamente. – Se solo riesco a togliermi un po’ queste scarpe che sono fradicie…

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Per approfondire Cercavo, nella penombra della stanza, qualcosa che mi consentisse di organizzare un rimedio minimale per la mia oggettiva difficoltà, ma non avevo idea di quale dovesse essere una strategia percorribile. – Posso almeno… – disse Angelo con voce incerta. – Posso… Lo gradisce un bicchiere di vino per scaldarsi un attimo? – No, guardi… La ringrazio, ma proprio… – Solo un bicchiere di quello schietto… – No, davvero – provai a controbattere. Io ero a tal punto pentito di averci cacciato in quella situazione che avrei preferito essere ancora sotto lo scroscio di acqua sul viscido dei ponteggi e lui, credo, probabilmente si malediceva per non aver saputo trovare una scusa, per quanto assurda. – Un sorso soltanto... – insistette l’uomo. C’era, sopra il pagliericcio, una mensola fissata al muro molto in alto; e su quella, un paio di bottiglie di vino ed alcuni bicchieri che dovevano aver visto poca acqua in vita loro ed ancor meno detersivo. – Lasci stare, grazie… davvero, non è necessario. Ma Angelo P. era già salito sulla fiancata del letto e si sporgeva per afferrare bottiglia e bicchieri, che avrebbe raggiunto a stento. Si sentì uno schianto secco, proditorio e inimmaginabile come lo era stata la pioggia. L’uomo cercò d’istinto un appoggio e mentre il letto cedeva di schianto finì con entrambe le scarpe sul pagliericcio di tela logora, che si aprì come fosse stato raggiunto dalla più tagliente delle lame. Ne vennero fuori… C’era di tutto, in quel sacco. C’erano tagli da cinquanta euro, con il loro inconfondibile marroncino chiaro, e c’erano quelli da venti, di un blu più sgargiante. Perfino, e non poche, sgusciarono fuori banconote da cinquecento, con il loro viola inquietante. Alcune parevano essere state sistemate ed introdotte a mazzette, altre erano francamente spiegazzate e perfino quasi appallottolate. E poi, c’erano divise di altri paesi, che neppure riuscivo a distinguere o non conoscevo. Molte scapparono dal loro involucro inopinato e caddero, frusciando un poco, sul pavimento. Ma la maggior parte dovette rimanere dentro, perché il pagliericcio ne sembrava ancora assai ben fornito. Angelo P. si rimise in piedi, poi mi guardò con occhi disperati ed un’espressione di incontenibile vergogna. – Mi creda, Signor Geometra… Il denaro è davvero una gran brutta bestia.

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Da leggere (o rileggere) IL BIGLIETTO GIUSTO [… proprio quest’anno, nella notte in cui la Befana se ne è andata, la ricca cornucopia della lotteria di Capodanno si è rovesciata in gran parte su Milano. Risuonano nella mia mente le probabili parole di commento di chi ci ha sempre provato…] di Amelia Belloni Sonzogni - scrittrice Ogni volta che esco – non proprio ogni volta, ma molto spesso – acquisto un biglietto della lotteria e cerco di farlo sempre in un posto diverso: nel botteghino sotto i portici di corso Vittorio Emanuele dal cieco che lo strofina sul portafortuna, all’edicola di una stazione in cui scendo se mi capita un viaggio, breve o lungo che sia, o a quella vicino a casa quando ci passo (mi piace abitare vicino alle stazioni, trovo sia comodo specie nelle grandi città). Dissemino così, il più possibile, i miei tentativi di acchiappare la fortuna o di farmi notare da lei, nella speranza che mi colpisca. Prima o poi, capiterà. D’altronde, me lo hanno predetto. Passeggiavo con un paio di amici e compagni di classe in corso Roma, nella mia cittadina natale; era un giorno di inizio estate, la scuola era quasi finita e facevamo programmi per andarcene al fiume, liberi dalle lezioni, quando una voce mi apostrofò: «Ehi, bel giovanotto, dammi la mano: te la leggo». Era una donna bruna, con gli occhi chiari: una maga, una zingara, una chirologa, non so e non so neppure da dove venisse; apparve, quasi dal nulla e non c’erano circhi o giostre o luna park in zona in quei giorni. Ricordo benissimo la sua voce, il tocco leggero dei suoi polpastrelli sul mio palmo sinistro e poi sul destro, per seguire le linee della vita, dell’amore, della fortuna; parlava sottovoce e io, in realtà, non badavo a quel che diceva perché non credevo e non credo a queste divinazioni. I miei amici poi, ridacchiavano con battutine allusive ad ogni sua parola, rendendo tutto molto confuso, irrilevante, scherzoso. Ne ero dispiaciuto per lei che mi sembrava invece seria e assorta; non badava a loro, ma io con le peggiori occhiatacce tentavo lo stesso di farli smettere. La lettura delle mani si concluse con un’affermazione un poco brusca, pronunciata con tono più alto e quasi di corsa: «Nella tua vita ci sarà una grossa vincita». Dopo averlo detto, la donna mi chiuse, con le sue, le mani a pugno e se ne andò, senza chiedere nulla; sparì dietro l’angolo di una via laterale. Non ho mai dimenticato quella frase, rimasta impressa come una promessa da mantenere. Da allora, ho tentato la sorte: no, non sono diventato un giocatore d’azzardo; anzi, credo non ci sia nulla in me di più lontano da questa patologia; però ho sempre comprato qualche biglietto delle lotterie. I primi sono stati della lotteria di Tripoli, un circuito automobilistico sul bel suol d’amore. Saranno in pochi a ricordarsene, forse per sentito dire. Risale ai tempi dell’impero fascista…

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Da leggere (o rileggere)

Quella profezia si è trasformata in una chimera da inseguire; resta a lungo silente, riappare, si mostra in un bagliore e se ne va di nuovo. Riuscissi ad afferrarla, una volta almeno! È una fissazione, sostiene bonaria mia moglie, attenta a spendere bene ogni lira guadagnata. Riconosco senza titubanze la sua oculatezza, parsimoniosa al centesimo, il contributo costante che dà alla nostra vita familiare, al nostro bilancio: mai una sbavatura, un eccesso, una concessione. Qualche volta la rimprovero, amorevolmente; se non se li concede lei, gli strappi alla regola, ci penso io: una serata al cinema sotto casa, una leccornia acquistata nella nostra gastronomia di fiducia; il signor Regalini cucina un merluzzo da leccarsi le dita e qualche volta ne prendo un paio di porzioni perché non si riesce a scucirgli la ricetta, nonostante mia moglie gliel’abbia chiesta un’infinità di volte, con l’intento di risparmiare, ovviamente. Panettiere, fruttivendolo, lattaio, salumiere ci servono tutti con una cortesia che avverto sincera. Il signor Cerri, il droghiere, dal quale ero passato a ritirare degli acquisti già pagati, una volta mi ha detto: «Eh, caro signore, lei può star sicuro che con sua moglie non andrà più in malora! » La battuta mi aveva fatto sorridere, ma le parole avevano prodotto più di una riflessione e, mentre prendevo il pacchetto che mi porgeva dall’alto del bancone in vetro zeppo di merci, gli rispondevo che aveva proprio ragione. Lavoro e risparmio, rinuncia e sacrificio: ci siamo costruiti così la nostra esistenza appena sposati, nel 1946: l’anno della Sisal! Cos’è? L’antenata del totocalcio.

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Da leggere (o rileggere)

Una schedina della Sisal Giocavo tutte le settimane, con la puntata minima, pochi spiccioli, diventati sempre più preziosi con il passare degli anni e delle necessità. La schedina! La conservavo con cura, infilata nel portafogli fino alla domenica sera. Avvertivo cadere su di me lo sguardo di mia moglie, di indulgente sopportazione, quando controllavo l’esito delle partite di calcio (delle quali non mi è mai importato nulla) per verificare i punti totalizzati. Un bel 13 al totocalcio! Mi leverei una soddisfazione, potrei provvedere a qualche immediata esigenza senza aspettare di aver radunato la somma necessaria alla spesa e metterei da parte il rimanente, per il domani, per un domani, per una vecchiaia tranquilla e perché lei, nostra figlia, abbia un sostegno; glielo dico sempre: «pan e pagni, ien bon compa’gni» (pane e abiti sono buoni compagni). Un bel 13 al totocalcio non mi è mai capitato, ma non demordo: ogni sabato gioco le mie due colonne; per compilarle uso spesso un aggeggio a forma di galletto ruspante: lo agito e la pallina di metallo che gira su una piccola roulette si ferma su 1, X, 2. Mi affido a lui, che capisce di pallone molto più di me.

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Da leggere (o rileggere)

Non ricordo più se lo abbiamo usato, io e mia figlia, per compilare quella colonna: «Papà… abbiamo fatto 12!» Quasi non ci si credeva. Come eravamo contenti! La cifra vinta era bassa – quarantaseimila lire – e gliel’ho lasciata tutta per comprarsi un paio di pantaloni nuovi da Brigatti, il suo negozio preferito, di fronte al quale si ferma sempre, in corso Venezia; ma la soddisfazione! Ho sperato fosse un preludio, una sorta di stuzzichino prima dell’avverarsi della famosa predizione. E sto ancora aspettando. Intanto, visto che invecchio e le occasioni per gironzolare si diradano, ricordo sempre a mia figlia di comprare un biglietto della lotteria. «Quale, papà?» mi prende in giro, talvolta, e ne ridiamo insieme. Merano, Agnano, Monza, Capodanno… una vale l’altra. E visto che ha preso la patente e guida, oltre alle stazioni è il caso di fermarsi negli autogrill. Ho notato che la dea bendata li predilige. Bisogna diversificare gli “investimenti”, o no? Mi guardano sorridendo, le mie due donne, scuotono un po’ il capo e mi compatiscono – lo so, me ne accorgo anche senza guardarle – quando la mattina di ogni 7 gennaio – come oggi per esempio: 7 gennaio 198* – biglietti in una mano, giornale nell’altra, controllo accuratamente – molto accuratamente – se per caso uno dei miei sia stato estratto almeno come premio di consolazione. Non sono tra i primi neppure quest’anno: lo so da ieri sera. «Venduto a Milano… ho preso la serie… i primi numeri… niente, anche questa volta. Pazienza! Riproverò» borbotto tra me. Per sicurezza – potrei aver letto male – chiedo a moglie e figlia un controllo incrociato; è inutile, lo so, però potrei anche essermi sbagliato. Penso agli studi, alle lezioni ricevute e impartite, agli insegnamenti sul risparmio, l’investimento, il lavoro. Al valore del denaro, quando è guadagnato con onestà. E questi biglietti mi sembrano un po’ ridicoli. Cara-

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Da leggere (o rileggere) melle, bonbon, una golosità che mi concedo, uno spiraglio che lascio aperto alla sorte. Entrasse, sarebbe bene accolta. Penso al senso del denaro: meglio averne più dello stretto indispensabile per vivere con animo più disteso, per lasciarlo a chi c’è dopo di te, ma oltre? Che te ne fai, a parte usarlo per aiutare chi non ne ha? Ecco, così questi biglietti mi sembrano meno ridicoli. Le lotterie si sono ridotte di numero nel tempo; mi pare che, da quando ci siamo lasciati, si sia ricordata

Salvadanaio a forma di cassaforte qualche volta di prenderne almeno uno, poi ha smesso; si è stancata o dimenticata o ha avuto altri pensieri. Non le è più importato di controllare dove finissero tutti quei soldi. Se li vincesse, li spenderebbe bene, lo so, gliel’ho insegnato io e sono certo di quanto ho trasmesso. Ricordo ancora il giorno in cui le ho regalato quel salvadanaio a forma di cassaforte in miniatura: le era piaciuta tantissimo e la teneva come uno scrigno prezioso, per le paghette e i regali dei nonni a Natale. Ogni tanto la scuoteva per valutarne il peso. Ora ci infila i ramini, gli spiccioli di resto. La svuota di rado, preleva qualcosa ogni tanto, quando sa di doverli infilare in qualche macchinetta, per pagare un parcheggio, ad esempio. Sorride e pensa a cosa le avrei detto, oggi, 7 gennaio 2024, nel constatare che Milano è stata ben baciata dalla fortuna. Chissà perché le è venuta la curiosità di controllare. Forse – in ritardo, ma pazienza – avrà sentito il mio suggerimento: «Ricordati di comprare un biglietto. Potrebbe essere quello giusto».

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In movimento A BIELLA PER AMMIRARE PISTOLETTO Quando l’arte contribuisce ad arricchire cultura ed anima Gli Erranti

Attirati dall’idea di esplorare il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, pittore e scultore biellese protagonista dell’Arte Povera, siamo partiti per Biella, non prima di aver prenotato una visita guidata alla CITTADELLARTE https://www.cittadellarte.it/ creata dall’artista all’interno dei locali di un vecchio opificio dismesso, l’ex Lanificio Emilio Trombetta . Arrivato a Biella nel 1871, Trombetta acquistò alcuni terreni sulla riva destra del fiume Cervo e fece costruire (su quella che oggi è via Serralunga 27) un edificio multipiano che già nel 1873 lavorava a pieno ritmo con ottanta operai e trentotto telai con 1340 fusi per la lana . Nella costruzione sono state adottate soluzioni particolari, conservate ancora oggi, che rendono gli interni dell’opificio di notevole interesse architettonico Ad ogni piano, ad eccezione del terzo, si trovano eleganti colonne in pietra che sorreggono le grandi volte a vela, oggi ristrutturate e allestite come spazio espositivo per le opere di Pistoletto, mentre nel sottotetto una serie di archi realizzati tramite assemblaggio di tavole lignee, che ricordano il sistema costruttivo codificato nel sedicesimo secolo dall’architetto Philibert de l’Orme, sostiene l’orditura della copertura con un impatto scenico di grande effetto. Nel 1991, trovandosi a Biella per una mostra, Michelangelo Pistoletto vide il fabbricato allora dismesso e decise di acquistarlo iniziando l’avventura della CITTADELLARTE. Già durante il restauro, che è proseguito dal 1991 al 1997, sono stati organizzati eventi e incontri tra artisti negli spazi disponibili. Oggi oltre alle opere del Maestro l’edificio ospita uno store, una caffetteria, e tutti i mercoledì un mercatino di alimenti naturali e a km 0. Ma veniamo al museo, partendo dall’ex stenditoio del sottotetto, che ci è parso uno degli spazi più suggestivi insieme all’opera esposta, “Porte-Uffizi”, pensata e realizzata nel 1995 e presentata qui in un allestimento inedito arricchito da nuove porte. Si tratta di una rappresentazione spaziale della filosofia di CITTADELLARTE, che da diciotto anni vuole sviluppare interventi artistici in ogni ambito della società civile - Arte, Educazione, Ecologia, Economia, Politica, Spiritualità, Produzione, Lavoro, Comunicazione, Architettura, Moda e Nutrimento - per contribuire a indirizzare le profonde mutazioni in atto. Ai piani inferiori si trovano altre opere dell’artista, autoritratti molto particolari realizzati in gioventù e serigrafie su acciaio inox lucidate a specchio che permettono al visitatore di entrare a far parte dell’opera: un’esperienza emozionante !

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In movimento

Più avanti troviamo una versione della famosa Venere degli stracci, una scultura in cemento che riproduce la Venere con mela dello scultore neoclassico Thorvaldsen, affiancata da una montagna di stracci. La statua, del 1967, può essere considerata il simbolo del rapporto tra il pianeta e la società iperconsumista: “Venere raffigura l’umanità di oggi chiamata a esprimere il suo lato migliore”, ha dichiarato Pistoletto. E con la sua bellezza rigenera gli stracci che di colpo ritornano a vivere come opera d’arte. Qualche mese, fa una versione monumentale dell’opera, esposta in piazza del Municipio a Napoli è stata data alle fiamme da un clochard: l’artista non ha sporto denuncia ma si è limitato a dichiarare che avrebbe ricostruito l’opera, che dovrebbe essere presto ricollocata in piazza in una nuova versione.

Venere degli stracci (1967) Un’altra opera che ci ha colpito è la Grande sfera di giornali, realizzata in poliestere e giornali pressati: ci sono molte versioni di questa scultura realizzata la prima volta nel 1967, utilizzate dall’artista in diverse performance pensate per far interagire gli spettatori con l’opera.

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In movimento

A pochi minuti dal museo, in uno stabile di via Cernaia 46 si trova Terzo Paradiso: il simbolo realizzato sul pavimento è la riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, composta da tre cerchi consecutivi. I due esterni rappresentano tutte le diversità, tra cui natura e artificio, mentre quello centrale è la compenetrazione tra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità. Questa versione dell’opera è accostata a una celebre immagine di guerra “Il soldato americano che gioca al pallone con un bambino in Kuwait”, ma ne esistono altre versioni in vari luoghi e il simbolo è riprodotto su diversi edifici della CITTADELLARTE: quello che ci ha colpito di più è stato realizzato da una studentessa con degli stracci. Abbiamo apprezzato in modo particolare questa visita, anche grazie alla preparazione e competenza della giovane guida, che ci ha regalato l’emozione di compenetrarci fisicamente con le opere del Maestro.

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Immagini e fotografie

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ILLUSTRAZIONE DI ATTILIO ORTOLANI


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