

IL GIOCO DEGLI ARCANI
«Che cosa volete?»
La sua voce squillò graffiante. La ragazza si era voltata, ma l’aveva aggredito con quella domanda senza guardarlo in faccia. Quasi un insulto, più che un approccio. Lo stava chiaramente sfidando. Era come tutti i Colonna, audace e implacabile. E lui, doveva mostrarsi da meno? Drizzò la schiena. «Avete visitato la povera Giovanna, durante la sua agonia?»
«Sono accorsa quando ho sentito gridare. Poi sono tornata in camera mia. Mi hanno chiamata quando è morta, per la veglia di preghiera»
«Avete notato qualcosa di strano nella sua stanza?»
La ragazza aggrondò le sopracciglia come in una smorfia di condanna, poi si morse un labbro. Crescenzio espirò lentamente, a fatica. Non lo fare più, bellezza. Non lo fare! Sennò rischi grosso.
Fiction storica
Barbara Frale
Il gioco degli arcani
ISBN 979-12-221-1029-5
Prima edizione luglio 2025 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
anno 2029 2028 2027 2026 2025
© 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma
Copyright © 2016 Barbara Frale
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Barbara Frale Il gioco degli arcani
Non si dice che la storia sia un enigma sanguinoso e insensato?
Umberto Eco, Il pendolo di Foucault
Prologo
Anni fa lavorai per il principe Caetani d’Alençon, ultimo discendente di un casato prestigioso.
Questo anziano signore – allora sulla novantina –era un membro di spicco della “nobiltà nera”, il patriziato romano più illustre e vicino al Papa. Possedeva un palazzo avito nel cuore dell’Urbe, dove custodiva molte opere d’arte e antiche carte di famiglia che mi aveva chiesto d’inventariare.
L’archivio dei Caetani d’Alençon era racchiuso in tre monumentali armadi di noce all’ultimo piano di una torre che il principe usava come studio. Accettando il suo invito, scoprii che il locale aveva una vista mozzafiato sulle glorie millenarie di Roma, i Fori Imperiali e il Colosseo. Scoprii anche qualcos’altro: il compito era più impegnativo del previsto. E presentava diverse incognite.
Pazienza che le antiche carte fossero scritte in latino, e per giunta nella contorta grafia corsiva che usavano gli amanuensi dei secoli andati: a questo ero preparata. Il vero guaio era il caos che regnava in quegli armadi. Il principe aveva semplicemente disposto in ordine i volumi rilegati, accatastando poi alla meglio tutto ciò che non riusciva a classificare. Avevo insomma davanti seicento anni di incartamenti vari gettati lì dentro alla rinfusa.
Un lavoraccio, ma non privo di attrattive: nel casato si tramandava di padre in figlio la voce che tra quelle scartoffie ci fosse anche un bozzetto di Michelangelo rimasto sconosciuto. Per uno storico certe scoperte rappresentano il sogno di una vita; per me, che ero agli inizi, ritrovare il capolavoro perduto poteva significare uno straordinario esordio di carriera.
Con santa pazienza cominciai a riordinare quella montagna di carte polverose; ma ben presto notai qualcosa che mi pose in sospetto. L’armadio centrale aveva alla base uno zoccolo massiccio, troppo alto rispetto agli altri due. Perché?
Picchiai sul fondo con le nocche: suonava cavo. Liberai il ripiano da ogni ingombro, accorgendomi che avevo visto giusto. Il fondo dell’armadio era composto da cinque lunghe assi che si tenevano insieme in un complesso gioco di incastri quasi invisibili. For-
mavano una specie di cerniera, come se si potessero mettere e levare a piacimento.
Non è raro scoprire qualche cassetto o ricettacolo segreto negli arredi dei palazzi nobiliari. I grandi lignaggi detenevano il potere, quindi avevano sempre documenti riservati e questioni sensibili che preferivano tenere per sé. Presi un fermacarte dal tavolo e con molta cautela feci leva in uno degli incastri per sollevare la prima asse. La mano mi tremava, stavo all’erta per captare eventuali passi fuori dalla porta. Cosa avrebbero pensato il principe o i domestici trovandomi a disfare la mobilia, invece che intenta ai miei studi?
La curiosità mi attanagliava. Dovevo sapere cosa ci fosse lì dentro.
Il ripostiglio nascosto era lungo più di un metro, profondo quanto l’armadio stesso e alto una ventina di centimetri. Ci trovai stipati molti fascicoli cartacei avvolti con lo spago, simili ai piccoli quaderni economici sui quali rogavano un tempo i notai. Ne aprii uno.
Lo spago si sfaldava, mentre delicatamente procedevo a scioglierlo, la polvere anneriva le dita. La filigrana di quella carta manufatta e spessa rivelava che era vecchia di secoli, forse medievale. La scrittura era una gotica elegante e minuta, ricca di correzioni
come in un brogliaccio di lavoro. Non c’erano sigle né segnature; mai registrati, i fascicoli per il mondo in pratica non esistevano. In quelle pagine vidi nomi e date a me ben noti.
Un memoriale, ma di chi? E perché così frammentario? L’autore si firmava come magister Crescentius Caietanus, e aveva scritto in un arco temporale di circa 15 anni (1300-1314). Il nome non mi suonava sconosciuto. Papa Bonifacio VIII aveva un nipote chiamato così, un tipo davvero eccentrico per i suoi tempi: pur essendo nobile, preferiva lavorare anziché vivere di rendita. Quelle carte rimaste ignote per settecento anni rimontavano dunque a un personaggio storico preciso. Ma chi le aveva rinchiuse in quel nascondiglio? E perché?
Sprofondai nella lettura, che ben presto mi assorbì al punto da farmi scordare il mio lavoro di catalogazione, eventuali passi sulle scale della torre, persino il luogo in cui mi trovavo.
Questo Crescenzio aveva incrociato i grandi protagonisti del suo tempo come Dante Alighieri o l’ultimo Gran Maestro dei Templari, morto sul rogo proprio nell’anno in cui i suoi quaderni si interrompevano. Un nome in particolare mi colpì: Arnaldo da Villanova, detto il Catalano. Medico di straordinario intuito, al punto che usava disinfettare i ferri chirurgici con
l’acquavite secoli prima che fossero scoperti i batteri grazie all’invenzione del microscopio, conosceva tutte le lingue antiche compresi l’ebraico e l’aramaico, ma anche l’idioma dei maghi Caldei; fu al servizio di Bonifacio VIII, il quale lo teneva in grande considerazione, e operò la trasmutazione alchemica del piombo in oro puro davanti ai cardinali del Sacro Collegio. Una specie di Leonardo da Vinci, insomma: ma tra i personaggi più enigmatici e inafferrabili. Crescenzio Caetani era stato in stretto rapporto con lui facendosi aiutare dal Catalano nelle indagini su certe persone molto potenti, su fatti scabrosi che dovevano rimanere segreti. Di ogni cosa era stato testimone fedele, dimostrando fra l’altro uno spirito critico raro negli uomini del Medioevo. In quei brogliacci aveva steso appunti, ragionamenti, deduzioni.
Perché non li aveva mai divulgati? Oppure l’occultamento era avvenuto in seguito?
Molti dei retroscena che raccontava potevano cambiare il giudizio della storia sui suoi contemporanei.
I santi avevano commesso colpe imperdonabili, i malvagi non di rado erano stati spinti dalla necessità. Avevo tra le mani delle cronache, insomma. Ma erano cronache occulte, e per qualcuno inconfessabili.
Lo squillo importuno del cellulare mi strappò alle mie congetture. Mi attendeva un impegno, di lì a
un’ora. Nessuna traccia del bozzetto di Michelangelo, e i taccuini del Trecento, un rompicapo allettante, richiedevano però moltissimo lavoro. In ogni caso, non era una scoperta che potessi tenere per me; così presi un paio di fascicoli e scesi con trepidazione le scale della torre.
Il principe sedeva in biblioteca. Le luci soffuse mi sembrarono abbacinanti rispetto all’epoca buia e alla storia piena di ombre da cui ero appena emersa. Mi accolse con un sorriso malizioso.
«Dunque li ha trovati» disse, gli occhi acuti fissi sulle carte che portavo. «Bambina, lei ha fiuto!»
Giuro che rimasi di stucco. Se voleva che io leggessi quelle carte, perché nasconderle? Qualcosa nella sua espressione mi spinse però a cambiare domanda.
«Perché non ha mai divulgato quegli scritti?» chiesi lentamente.
«Perché ho passato gli ultimi vent’anni a cercare di capire cosa accadde davvero» rispose dopo un lungo silenzio. «Dentro quei fascicoli polverosi c’è la verità sulle nostre radici».
Dunque il nobiluomo non si era limitato a ragionare e basta, su quelle carte.
«Lei li ha studiati, vero?»
Lui annuì, con soddisfazione. Vidi brillare i suoi denti in un altro enigmatico sorriso da Sfinge.
«Ho verificato punto per punto ciò che sta scritto lì sopra. Vuole vedere il frutto delle mie fatiche?»
Naturalmente accettai. Il principe indicò uno stipo incastrato fra gli scaffali di libri. Girai la chiave. E di nuovo faldoni, involti stracolmi di carte che sembravano moltiplicarsi fra le mie mani.
Il nobiluomo aveva messo a confronto quei brogliacci trecenteschi con numerose fonti ufficiali e illustri, le cronache di Giovanni Villani, i registri papali e altri famosi testi medievali. Aveva speso un tempo incalcolabile per dipanare la matassa di quei casi ingarbugliati, elaborando così un autentico metodo da segugio. Compresi che si era divertito molto, negli anni trascorsi, giocando a risolvere quei celebri cold cases della storia. Ma perché passava la mano proprio adesso? Perché a me?
Indovinò la mia domanda prima che la ponessi.
«Lei è giovane, dottoressa. Però ha un certo intuito.
Mi sembra la persona giusta per mettere ordine nelle mie carte private. Però… Non voglio nasconderle che esiste un problema».
Lo disse in tono così solenne da mettermi in allarme, anche se non sono il tipo che si tira indietro di fronte a una sfida.
«Quale problema?»
«C’è qualcosa di magico, in quelle pagine» proseguì
lui, la fronte appena aggrottata. «Potrei dirle che somigliano alle sabbie mobili»
«In che senso?»
«Mi chiedo cosa ne sarà delle sue certezze, dopo che avrà letto quei taccuini» insinuò. «Vede, ognuno di noi tende a credere vero ciò che lo rassicura e falso ciò che lo spaventa, e così conserva la fiducia nel futuro. Sta di fatto però che certe verità sono capaci di scatenare guerre. Io giudico santa la mano che le rinchiude per sempre laddove non porteranno morte e distruzione»
«Ed è stata la sua mano, a rinchiudere questi taccuini?»
«La mia mano li ha riportati alla luce» fu la sua risposta, come una confessione. «Ora però ho bisogno d’aiuto. Se lei se la sente».
Il silenzio tra noi si fece teso. Mi sentivo sotto esame, sull’orlo di qualcosa che percepivo come un vago pericolo.
«Su cosa ci è stato mentito?» chiesi con cautela.
«Può vederlo con i suoi occhi. Il primo brogliaccio è quello datato 1300. I fatti iniziano in quell’anno, l’anno del primo Giubileo».
Lo sguardo mi cadde ancora sul plico di fogli. Cominciavo a capire che da quell’armadio avevo estratto scheletri senza pace. Forse per questo qualcuno un
giorno li aveva nascosti; il destino doveva decidere quando il mondo sarebbe stato pronto per sapere.
«Mi dica qualcosa di più» insistei.
Lui sedeva con la pipa in mano; non rispose, ma mi gettò un sorriso di sfida fra le sue lente boccate di fumo azzurrino. Era esasperante.
«Vuole tenermi sulle spine, insomma» sbottai. «Lei mi ricorda proprio il Brucaliffo, lo sa? Il baco onnisciente al quale si rivolge Alice quando arriva nel Paese delle Meraviglie. Quello che sa tutto, però parla solo per enigmi».
Lui ridacchiò fra i denti, poi si alzò e raggiunse lentamente la porta.
«Il Paese delle Meraviglie» borbottò. «Sì, il paragone è azzeccato. Ma faccia attenzione alle regine cattive! Ora la lascio studiare, signorina. Solo un avvertimento: si tolga subito dalla testa Sherlock Holmes. Il nostro Crescenzio era poco più che un ragazzo, a quel tempo. E fu gettato di peso nelle indagini come un martire nella fossa dei leoni. Le confesso però che è proprio questo il motivo per cui mi sono tanto appassionato ai suoi scritti…»
«Ci ha trovato il sapore della vita reale» annuii.
«Solo che oggi la chiamiamo “storia”» chiosò. E con un ambiguo cenno di saluto mi lasciò sola, circondata da un mare di carte. E adesso?
Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Puntoweb srl (Ariccia, Roma) nel mese di giugno 2025
BARBARA FRALE
È Officiale presso l’Archivio Segreto Vaticano e studiosa di storia, nota per le ricerche sui cavalieri templari, sul papato e sulla Sindone di Torino. Si dedica inoltre alla scrittura di saggi e romanzi gialli a sfondo storico con grande successo di pubblico e di stampa.
Copertina: Sebastiano Barcaroli Studio Immagine: Elaborazione da © Arcangel Images
ROMA, ANNO 1300. Bonifacio viii ha indetto il primo Giubileo della Storia e la città è invasa di pellegrini. La nobile Giovanna Savelli viene avvelenata poco tempo dopo aver avuto uno scontro in strada con una zingara che le ha letto gli arcani e le ha predetto… la morte. Per il Papa la questione è spinosa: i suoi avversari politici non aspettano che un motivo per vendicarsi e questo delitto misterioso offrirebbe loro un ottimo pretesto. Decide allora di affidare un’indagine riservatissima a Crescenzio Caetani, il nipote appassionato di medicina, e di farlo assistere da una pia badessa fedele al papato, Benedetta Petrocomite. Mentre i due ricostruiscono gli ultimi giorni della vittima, però, i sospetti si moltiplicano e la soluzione dell’enigma sembra sempre più sfuggente, perché tutti mentono e le distrazioni perverse del diavolo non si fanno attendere.
Barbara Frale compone con finezza e sapienza un complesso giallo storico ambientato nella Roma papale ostaggio di una nobiltà avida, di religiosi corrotti e intrighi di potere, mentre il popolo dei fedeli fluisce per le vie in cerca del perdono dei peccati.
«CHI CERCA MAGHI, TROVA IL DEMONIO!»