

LO SCHERZO E BELLO QUANDO DURA POCO
• I FUORIPOSTO •




Chiunque fosse stato a darle un appuntamento in segreto non poteva avere buone intenzioni.
Negli ultimi mesi Beba si era trovata più volte in pericolo, in balia di persone poco raccomandabili, tra pistole puntate alla testa e inseguimenti nei boschi. Aveva capito che nel mondo esiste gente da cui è bene tenersi alla larga.
Ma aveva anche capito che non era in grado di resistere alla curiosità. Doveva scoprire chi le aveva scritto e perché.
YOUNG
Luca Di Gialleonardo
I Fuoriposto. Lo scherzo è bello quando dura poco
della stessa serie:
I Fuoriposto. La mummia scomparsa
I Fuoriposto. Dolcetti micidiali
I Fuoriposto. Il campeggio della luna piena
ISBN 979-12-221-0879-7
Prima edizione aprile 2025
ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
anno 2029 2028 2027 2026 2025
© 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma
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Luca Di Gialleonardo
Lo scherzo è bello quando dura poco
• I FUORIPOSTO •
Ad Andrea e a tutta la sua fantastica classe: mi avete dimostrato che l’amore può superare ogni barriera.
1
Caro diario
Non riesco a dormire. Continuo a pensare a come mi hanno guardata oggi, neanche fossi diventata invisibile.
È questo che mi fa più male: nessuno ha avuto il coraggio di dire niente. Sono rimasti zitti, come se non gliene importasse di me. Come se non gliene fosse mai importato.
Pensavo fossimo amici. Ridevamo, scherzavamo, facevamo progetti insieme. Ma forse fingevano e basta. Per loro era solo un modo tra i tanti per passare il tempo, come giocare a carte o guardare la tv.
E lui, lui mi ha deluso più di tutti. Mi sembrava diverso dagli altri. Credevo che almeno lui sapesse quanto era importante per me. Invece è rimasto in silenzio.
Mamma e papà dicono che me ne farò una ragione, che è per il mio bene. Ma loro non capiscono.
Niente sarà più come prima. Niente potrà mai più essere come prima.
Se solo vivessero anche loro il tormento che sento...
Chi ben comincia...
Non ce la faccio più!
Per un attimo, Beba ebbe il terrore di essersi lasciata sfuggire a voce alta quel commento esasperato.
Si guardò intorno: nessuno faceva caso a lei, nemmeno il professor Giuliani, che continuava a fare esempi per spiegare il concetto di predicato, scribacchiando sulla LIM. Tutto concentrato, si muoveva spalle alla classe in una specie di danza, scandita dal suo tono cantilenante.
Filippo scherzava con Franco, agitandosi sulla sedia. Anche a Beba scappò una mezza risata, quando si rese conto che il suo compagno stava imitando i movimenti del docente.
«Che succede?» le chiese sottovoce Dante, seduto dietro di lei.
Beba si girò verso di lui, serissima. «Sssh!»
«E dài, perché ridi?»
«Sta’ zitto e ascolta la lezione, che poi non capisci niente e chiedi a me»
«Tanto non ci sto capendo niente lo stesso» ribatté, grattandosi la testa riccioluta.
E lo diceva anche sorridendo, quel tontolone!
Beba sospirò, per poi tornare a guardare la lavagna. C’era stato un momento, durante l’estate, in cui aveva provato affetto per Dante Pilozzi, una sorta di istinto di protezione, sentendosi come una sorella maggiore con il fratellino più piccolo. Ma da quando sua madre aveva cominciato a frequentare il padre di Dante, Beba si era accorta che lei un altro fratello non lo voleva assolutamente. Bastava e avanzava Renato.
Filippo riprese a ondeggiare come faceva sempre il professor Giuliani quando spiegava qualcosa. Anche altri compagni di classe ridacchiavano.
Aisha aveva gli occhi gonfi di lacrime e si teneva le mani schiacciate sulla bocca per evitare di scoppiare.
«…e quindi, come stavamo dicendo, il predicato è un elemento fondamentale della frase. Vedete, possiamo trovare due tipi di predicato e la
differenza è molto importante. Per esempio, nella frase “il gatto dorme”…»
Beba represse uno sbadiglio. Giuliani sapeva spiegare in maniera chiara, doveva ammetterlo, ma ripeteva dieci volte lo stesso concetto. A lei era bastato ascoltare una volta la differenza tra predicato verbale e nominale e ora cominciava a sognare di gettarsi dalla finestra pur di sfuggire a quel fiume d’inutilità. L’anno precedente la professoressa Belli le aveva proposto di seguire un percorso di studi più adatto al suo elevato quoziente intellettivo, ma lei aveva rifiutato. Ogni tanto si pentiva di quella scelta. Se solo avesse avuto qualcosa di cui occuparsi per far lavorare le meningi, ma tutto procedeva limpido e tranquillo. Nessuno aveva abbandonato una mummia in uno scantinato, o aveva disseminato dolci nella scuola, come era accaduto l’anno precedente. Guardò fuori per evitare di addormentarsi. La strada era trafficata come di consueto. Un motociclista urlò qualcosa contro una ragazza, che si fece piccola piccola dentro la macchina. Chissà se quel gradasso avrebbe fatto tanto il coraggioso se si fosse trovato davanti un tizio più grosso di lui.
«Beba! Ohi, Beba!»
Chiuse gli occhi.
Dante non registrò neppure quel tentativo d’ignorarlo, anche perché dal suo posto non poteva vederla in viso. «Li hai fatti i compiti di inglese?» sussurrò.
Inspira, espira, inspira, espira…
«Ma sì che li hai fatti» insistette Dante. «Me li fai copiare?»
«Ti ho detto che non ti faccio copiare più!» sibilò lei, rinunciando a fingere che non esistesse.
«Lo dici sempre. Dài, passami il quaderno, tanto adesso abbiamo una supplenza e ho tutto il tempo».
Era vero, dopo italiano l’aspettava un’altra ora persa a non fare niente di niente. Beba non poteva sopportarlo. «Non te lo do!» esclamò, indispettita.
La scuola era ricominciata da quasi tre settimane, ma non era ancora stato nominato un nuovo insegnante di matematica, dopo che la professoressa Lapetti, diventata preside alla fine dell’anno precedente, aveva lasciato la cattedra. Finora era toccato ai docenti delle altre sezioni tappare le ore di buco, limitandosi a tenere i ragazzi a bada, senza spiegare niente. Quelli erano i momenti migliori per gli studenti come Dante, che approfittavano
del tempo libero per fare i compiti o per divertirsi. Per Beba invece era un inferno di noia. Se anche avesse voluto sfruttare quel tempo per studiare qualcosa di utile, la confusione le avrebbe impedito di concentrarsi.
«Che sorella cattiva che sei»
«Io non sono tua sorella!» sbottò Beba ruotando sulla sedia.
«Non ancora, ma…»
«Mi hai rotto le scatole!»
La cantilena di Giuliani si era smorzata di colpo. Beba si accorse che stava guardando lei, mezza piegata all’indietro, con una mano sul banco e una sullo schienale della sedia. Stavolta aveva decisamente parlato a voce alta.
«Mi scusi» mormorò, tornando a sedersi composta.
«Qualche problema, Tomasi?» chiese Giuliani.
«No, no, tutto ok»
«Allora perché hai urlato?»
«Non volevo». Sentì salire la rabbia. Non sopportava di essere costretta a chiedere scusa per qualcosa che non dipendeva da lei.
Se la frittata si sta bruciando, girala, diceva la nonna.
Rialzò la testa, che aveva incassato tra le spalle. «Dante aveva un dubbio sulla lezione, ma è timido e non voleva disturbarla, così gli ho fatto un altro esempio, oltre quelli che stava già facendo lei»
«Quale esempio?»
«“Mi hai rotto le scatole”. “Tu” è il soggetto sottinteso, “mi” è complemento di termine e indica a chi è rivolta l’azione, “hai rotto” è il predicato verbale e “le scatole” è il complemento oggetto»
«Io non ti avevo chiesto niente» borbottò Dante, per fortuna a voce bassissima.
Qualcuno scoppiò a ridere, ma non il professor Giuliani. «Io non ho ancora spiegato il complemento di termine e il complemento oggetto» commentò. «E comunque ti sembra un esempio da fare?»
«In effetti ho usato una frase colloquiale, e in un contesto di insegnamento probabilmente non sarebbe il caso. Ma lei ha già fatto molti esempi» (fin troppi) «e ho pensato di cambiare un po’… lo stile, per essere complementare e non sostitutiva».
La faccia del professore si fece paonazza. Se prima aveva il dubbio che Beba stesse cercando di prenderlo in giro, ora ne aveva la certezza.
La lingua a volte è meglio usarla per contare i denti, invece che per parlare a sproposito, diceva la nonna.
La campanella arrivò in suo soccorso. Giuliani sbuffò, come la valvola di una pentola a pressione. Con quel verso anche l’irritazione parve fluire via dal suo corpo, e il colorito tornò a rischiararsi. «Per lo meno non hai fatto errori nell’analisi logica» bofonchiò, raccogliendo le sue cose nella borsa.
Dante tornò alla carica non appena il professore uscì dalla classe e i compagni cominciarono a vociare. «Allora, me lo dài il quaderno di inglese?»
Beba si lasciò scappare un lamento. Tirò fuori il quaderno dallo zaino e lo lanciò alle proprie spalle, senza neanche guardare. Per quanto fosse arrabbiata con Dante, preferiva tenerlo buono e assecondarlo con quel contentino, come si fa con i bambini, a cui si dà il ciuccio perché smettano di piangere.
«Prima o poi ti mandano dalla preside, Baby». Aisha si sedette sul banco di Beba, spostando il libro di grammatica.
«Ti ho detto che non mi piace che mi chiami così».
In prima media, loro due si erano quasi sempre ignorate, ma dopo l’avventura estiva, vissuta insieme in un campeggio a dir poco fuori di testa, Aisha aveva iniziato a darle più confidenza. Da un lato questo le faceva piacere, dall’altro la destabilizzava…
Aisha si strinse nelle spalle, agitando i capelli scuri. «La mia testa è più dura della tua»
«Non sarebbe una novità finire nell’ufficio della preside. Sai quante volte mi ci ha spedito la Lapetti lo scorso anno?»
Quasi evocata da Beba, Cecilia Lapetti entrò in classe, spettrale come un demone denutrito. Che ci faceva lì?
«Tutti a sedere, subito!» intimò. Anche se nessuno fiatava, batté con forza la mano destra sulla cattedra, facendo tintinnare i braccialetti. Era un suo vizio, tanto che Beba si era sempre chiesta come facesse a non rompersi il polso o qualche altro osso. Chissà come si chiamavano gli ossicini nel palmo della mano: se ne avesse conosciuto il nome avrebbe potuto visualizzare in modo più vivido la scena di quella strega che si faceva male.
Aisha balzò via e andò al suo posto come gli
altri. Dopo uno stridio di sedie trascinate sul pavimento, il silenzio tornò a regnare nell’aula.
La Lapetti li scrutava con il suo sguardo tagliente, dietro gli occhiali a punta. La bocca, coperta da un rossetto sgargiante, era così contratta da essere diventata un cerchio rosso.
Beba, però, era più interessata all’uomo che era entrato con lei. Era molto alto e leggermente ingobbito. Sebbene non dovesse avere nemmeno cinquant’anni, aveva i capelli quasi del tutto grigi. In compenso erano folti e piuttosto lunghi, scendevano ondulati incorniciandogli le guance, coperte di barba ispida. Non sembravano molto puliti, ma aggiungevano al suo aspetto un po’ trasandato un tocco piratesco. Beba se lo immaginò con una bandana in testa e un coltellaccio tra i denti, le labbra carnose tirate in un ghigno.
«Vi presento Sergio Milani» esordì la preside. «Da oggi sarà il vostro nuovo insegnante di matematica. Prenderà il mio posto e sono certa che saprà portare avanti il programma meglio di quanto abbia fatto io»
«Ne sono certa anche io» sibilò Beba.
Aveva emesso un suono impercettibile, poco più di un fiato, eppure la Lapetti le puntò addos-
so i suoi occhi da vipera. Non poteva aver sentito le sue parole, ma a lei bastava un pretesto da niente per rimproverarla.
«Hai una domanda da fare, Tomasi?»
Rigirare la frittata le aveva permesso di trarsi d’impaccio già una volta, quella mattina, tanto valeva ritentare.
«Una sì, ma non a proposito del professor Milani, che sono certa sarà un ottimo insegnante»
«Non sta a te giudicarlo, Tomasi» rispose la preside.
Milani, invece, sorrideva.
«Certamente. Se mi permette, preside, vorrei rivolgere a lei una domanda, visto che per ora non ha ancora voluto rispondere alle richieste arrivate da tanti studenti».
La Lapetti contrasse le dita, facendo scorrere le unghie sulla cattedra. Di certo sapeva già dove voleva andare a parare Beba.
«Non mi sono rifiutata di rispondere, Tomasi. Come ho già detto in più occasioni, non so ancora quando potremo riaprire i club pomeridiani».
Fino all’anno precedente, la preside dell’istituto era stata Maria Belli, che aveva concesso agli studenti degli spazi scolastici per formare gruppi di lavo-
ro nel pomeriggio. Gli studenti si erano organizzati in club, accomunati da una stessa passione. C’erano stati club sportivi, o dedicati a interessi come la moda o la lettura. E c’era stato il club del giornalino scolastico, l’unico a cui Beba aveva interesse a partecipare, anche se all’inizio era stata costretta a farlo.
Da quando Cecilia Lapetti era subentrata alla Belli, li aveva chiusi tutti, a tempo indeterminato.
«Non è possibile che non sappia darci una risposta! Noi abbiamo diritto di avere i nostri club!»
Qualcuno pronunciò un «Ben detto!» senza troppa convinzione.
«So io cosa è possibile o meno, quando si parla della gestione della scuola» rispose la Lapetti, schiaffeggiando di nuovo la povera cattedra.
«La preside Belli ha sempre favorito i club con convinzione e non ci sono mai stati problemi, perché lei non ci riesce?»
«Che cosa?» La donna alzò la voce fin quasi a gridare.
Stavolta Beba aveva esagerato, se ne rendeva conto da sola. Anche Aisha la guardava scuotendo la testa. Ma lei era troppo zuccona per chiedere scusa. Rimase con le braccia incrociate e il mento alto, pronta alla battaglia.
Cecilia Lapetti scoprì invece i lunghi incisivi in quello che sembrava un sorriso. «Visto che non sai stare al tuo posto, riprenderò un’altra abitudine dello scorso anno. Vai nel mio ufficio, subito!»
Beba lanciò un’occhiata verso il nuovo professore di matematica, che sembrava ancora divertito dalla scena. Forse era davvero un bravo insegnante, ma lei, almeno per quel giorno, non avrebbe avuto modo di saperlo.
Luca Di GialLeonarDo vive a Roma. Autore di romanzi storici e di gialli, scrive anche libri per ragazzi, fantasy e di fantascienza e si diletta nel game design di giochi da tavolo. Con Gallucci ha già pubblicato La mummia scomparsa, Dolcetti micidiali e Il campeggio della luna piena, i primi tre episodi della serie IFuoriposto.
Della stessa serie:



In copertina
Illustrazioni: Betti Greco
Art director: Stefano Rossetti
Graphic design: PEPE nymi


Uno strano simbolo appare sulle porte delle case: chi è che imbratta il paese, proprio alla vigilia della rievocazione storica? Che messaggio nasconde quel segno? Beba, Laura e Paolo – i giovani investigatori che si sentono sempre “fuoriposto” – sono pronti a mettere da parte i costumi medioevali e impegnarsi in una nuova indagine. È arrivato il momento di risolvere anche questo mistero, in un vorticoso intreccio tra passato e presente.
Si aVvIcInÒ cOn cAuTeLa e cOlSe uN vAgO bAgLiOrE, sImIlE a qUeLlO dI uNa sTeLlA cAdUtA nElLa nOtTe. L’aUtOrE dEgLi sChErZi eRa aNcOrA lÌ… dagine.
Il cUoRe lE sAlTò uN bAtTiTo. ErA aRrIvAtA tRoPpO tArDi?