La storia della Formula 1 in 50 ritratti

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Umberto Zapelloni

La storia della Formula 1 in 50 ritratti illustrazioni di Roberto Rinaldi

Publisher

Balthazar Pagani – BesideBooks

Fact checking

Massimo Perrone

Editing della nuova edizione e fact checking

Fabia Brustia

Graphic design

PEPE nymi

ISBN 979-12-221-1022-6

Nuova edizione aggiornata luglio 2025 ristampa 9876543210

anno 2029 2028 2027 2026 2025 © 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso BALTO print, Utenos g. 41B, Vilnius LT-08217, Lituania nel mese di giugno 2025

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SOMMARIO

I RITRATTI

FERNANDO ALONSO

ESP (Oviedo, 29 luglio 1981)

Titoli mondiali: 2 (2005, 2006)

Fernando Alonso ha vinto meno Mondiali di quanti ne meritasse per il suo talento. È una frase che ripetono in tanti nel mondo della Formula 1. Perché non bastano i successi nelle 24 Ore più famose del mondo (da Le Mans a Daytona), nei rally, nei raid, nelle corse americane a riempire quel vuoto nell’albo d’oro. Due Mondiali sono tanti, ma è da tre titoli in poi che si entra nell’olimpo degli immortali. A Fernando quel terzo titolo è mancato. Per colpe sue e non solo sue, d’accordo, ma è mancato perché nei suoi anni Fernando era uno dei piloti con più talento in pista. Magari in qualifica non era sempre il più veloce, ma in pochi sapevano interpretare le gare come lui. Il suo è sempre stato un problema più politico che sportivo. È amatissimo dai tifosi, meno dai team manager che lo reputano un po’ troppo piantagrane, un po’ poco uomo squadra. Il resto è colpa di scelte sbagliate che lo hanno allontanato dalle monoposto vincenti.

Se Fernando Alonso è diventato un campione lo deve a papà, che a tre anni gli ha regalato il suo primo kart e ha fatto ogni sacrificio per permettergli di seguire la sua passione, e poi lo deve all’Italia. A Giancarlo Minardi e Cesare Fiorio che lo hanno scoperto e lanciato, a Flavio Briatore che gli ha dato un’auto vincente e per lui ha giocato anche un po’ sporco (vedi Singapore Gate, quando chiese al giovane Piquet di schiantarsi per far intervenire la safety car e favorire così Fernando). Se Fernando Alonso non è diventato tri-campione del mondo lo deve a se stesso, ma anche all’Italia, quella colorata di rosso Ferrari, perché il clamoroso errore dei box nella gestione della corsa decisiva ad Abu Dhabi 2010 gli ha sottratto un titolo già vinto. Nei suoi cinque anni a Maranello, Fernando ha totalizzato 639 punti in più rispetto ai suoi compagni, Massa e Räikkönen, ma i numeri che pesano sulla sua carriera sono altri: i quattro punti per cui ha perso il Mondiale 2010 e i tre per cui ha perso quello 2012. Sempre contro Vettel. O “contro Adrian Newey”, come preferisce dire lui. Fernando è un uomo senza mezze misure. Quando c’è da ferire con le parole non ci ha mai pensato su più di tanto. Ha incrinato amicizie, distrutto rapporti, si è chiuso delle strade. D’altra parte, se dici in mondovisione che il motore Honda è un “Gp2 engine” poi è difficile recuperare. Chissà che accadrà ora che Newey lavora per lui all’Aston Martin e la Honda gli fornisce i motori…

ALBERTO ASCARI

ITA (Milano, 13 luglio 1918 – Monza, 26 maggio 1955)

titoli mondiali: 2 (1952, 1953). Gare: 32. Vittorie: 13. Pole position: 14.

È stato il primo e l’ultimo e, per adesso, anche l’unico pilota italiano a conquistare un Mondiale con la Ferrari. Alberto Ascari, figlio di quell’Antonio grande pilota degli anni Venti, anche lui morto in pista, è stato il miglior pilota italiano dopo Tazio Nuvolari. Con un padre che lo portava in pista a Monza, lo faceva sedere al volante della sua Alfa Romeo, gli faceva annusare il profumo delle corse, era difficile che Alberto scegliesse altre strade. Era un ragazzino vivace che una volta diede fuoco pure alla barba di un professore e che si divertiva ad andare veloce. Prima in bicicletta, poi in moto, quindi in auto. Quando Enzo Ferrari cercò di dissuaderlo dal correre in macchina, lui fu chiarissimo: “O la macchina me la dà lei o la vado a comprare da qualcun altro”. Ferrari, che era stato grande amico e ammiratore del padre, si lasciò convincere e diede vita al rapporto che regalò a Maranello i primi due Mondiali. Alberto Ascari era quasi imbattibile quando partiva in testa, meno quando doveva inseguire. Così almeno lo ha sempre raccontato Ferrari, che con lui aveva un legame speciale. Due campionati mondiali vinti di fila, 1952 e 1953, 9 vittorie consecutive nei Gran premi a cavallo delle due stagioni (senza considerare Indianapolis), un record eguagliato solo da Vettel più di cinquant’anni dopo. Lo chiamavano “Ciccio” che non è propriamente un soprannome entusiasmante, ma quando indossava la sua maglia azzurra e il suo casco dello stesso colore, sapeva trasformarsi in supereroe. Era superstizioso. Molto. Se un gatto nero gli attraversava la strada scendeva dall’auto, cambiava percorso. Anche per questo è molto strano il modo in cui andò incontro alla morte a Monza al volante di una Ferrari che non era più la sua auto, senza la sua maglia, il suo casco, i suoi guanti. Pochi giorni prima era finito in mare al Gp di Montecarlo. Ripescato, ricoverato in ospedale, era tornato a casa a Milano, in Corso Sempione. Il suo amico Villoresi lo chiamò per chiedergli di andare con lui a Monza a vedere Castellotti che provava una nuova Ferrari. Ascari, che era un pilota Lancia, chiese all’amico di fargli fare un giro. Voleva tornare subito al volante dopo l’incidente con bagno a Monaco. Da quei giri non tornò più. Era il 26 maggio. Come era il 26 (luglio) quando suo padre morì in Francia. E tutti e due avevano trentasei anni. Il destino aveva colpito.

ENZO FERRARI

ITA (Modena, 18 febbraio 1898 – Modena, 14 agosto 1988)

Per raccontare la vita di Enzo Ferrari sono bastate a malapena le oltre 1100 pagine di Ferrari Rex, la biografia più completa e documentata mai pubblicata sul genio di Maranello. Condensare il suo ritratto in una pagina è impresa più difficile di una vittoria a Montecarlo. Il Commendatore, poi ingegnere honoris causa, per molti “il Drake” o “il Grande Vecchio”, per il suo barbiere semplicemente “Ferrari”, si definiva “agitatore di uomini e di idee”. Riduttivo per uno che è stato pilota, organizzatore e costruttore, reinventando la sua vita quando aveva già cinquant’anni, in un’epoca in cui quell’età pesava ben più di oggi. “Un giovane che aveva sognato di diventare Ferrari e lo è diventato”, come si è descritto a Enzo Biagi in un’intervista. Enzo Ferrari è stato un genio, un precursore, un uomo capace di conquistare il mondo con le sue auto rosse, muovendosi raramente da Maranello. Nel 1929 ha creato la Scuderia, per far gareggiare le Alfa Romeo, nel 1947 ha fondato la Ferrari vera e propria. Ha lasciato dietro di sé un tesoro che oggi in Borsa è quotato come un brand del lusso e che ancora porta orgogliosamente il suo nome. In azienda, come vicepresidente e proprietario del 10 per cento, c’è suo figlio Piero che, più passa il tempo, più assomiglia al padre. Enzo Ferrari ha avuto la tentazione di cedere tutto alla Ford, poi ha preferito battere gli americani in pista (indimenticabile la tripletta in parata a Daytona 1967). Ha ceduto la sua creatura alla Fiat solo dopo aver ricevuto la garanzia di poterne gestire la parte sportiva come voleva. “Il secondo è il primo dei perdenti”. “La Ferrari più bella sarà la prossima”. Ci ha regalato frasi che non passeranno di moda. Ha amato tanto, ma ha sofferto tantissimo. Ha avuto una vita tormentata, ricca di quelle che chiamava “le mie gioie terribili”, come ha intitolato uno dei suoi libri. È stato geniale, cinico, spietato con chi non lo seguiva. Ma sapeva anche essere tenero, romantico, curioso. Per lui le auto venivano sempre prima dei piloti, ma qualche volta si è lasciato prendere dal sentimento, come con Nuvolari, Ascari, Villeneuve e Alboreto. Quando gli chiedevano come avrebbe voluto essere ricordato, rispondeva: “Dimenticatemi!”. Impossibile. Basta guardare le sue auto, leggere la sua storia, contare i suoi successi, per incominciare a sognare.

LA

CHE

FORMULA 1, PRIMA CHE DI AUTO, È FATTA DI UOMINI

SI MISURANO

CON GRANDI SFIDE E IMPRESE ESTREME.

EROI SUI CIRCUITI E, A VOLTE, ANCHE AL DI FUORI DELLE GARE.

Ci sono i campioni del mondo, ma anche i piloti entrati nel mito, oltre agli ingegneri, ai costruttori e ai manager che con le loro idee hanno segnato l’evoluzione della Formula 1.

Da figure storiche come Enzo Ferrari e Bruce McLaren a campioni presenti e passati come Max Verstappen , Ayrton Senna e Michael Schumacher , fino ad arrivare alla giovane promessa Andrea Kimi Antonelli . Illustrati da Roberto Rinaldi , ecco i ritratti di coloro che, insieme alle loro leggendarie auto, negli anni sono entrati nell’Olimpo di uno sport che dal 1950 affascina tutte le generazioni.

UMBERTO ZAPELLONI

segue la Formula 1 dagli Anni Ottanta, quando come inviato del “Giornale” di Montanelli ha cominciato a raccontare i Gran premi dagli autodromi di tutto il mondo. Dopo essere stato 16 anni al “Giornale”, è diventato responsabile della redazione sport e motori del “Corriere della Sera” e poi vicedirettore della “Gazzetta dello Sport” fino al 2018. Ha scritto diversi libri sulla Formula 1 e i suoi protagonisti. Attualmente è responsabile dell’inserto sportivo e di quello mobilità del “Foglio”, cura il blog “Top Speed” e scrive per “il Giornale”, oltre a essere opinionista di Race Anatomy su Sky Sport e per Radio 24. Per Gallucci | Centauria ha scritto anche La storia del basket in 50 ritratti e La storia della Ferrari in 50 ritratti.

ROBERTO RINALDI è autore di fumetti e illustratore. Collabora dal 1988 con “Il Giornalino”, dal 1993 con la Sergio Bonelli Editore disegnando Dylan Dog e dal 2005 con “La Gazzetta dello Sport” per cui ricostruisce le azioni dei gol e i fatti di cronaca sportiva. Dal 2013 realizza copertine per il settimanale “Autosprint”.

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