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Bologna – Fattori

L’umanità tradotta in pittura

Dal 16 dicembre 2022 al 1 maggio 2023

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La prestigiosa sede espositiva di Bologna, Palazzo Fava, ospita la mostra monografica dedicata ad un importantepittore del Novecento, esponente del movimento macchiaiolo toscano e artista inimitabile ed innovatoredella pittura italiana dell’epoca, confinata nelle secche dell’accademismo: si tratta del livornese Giovanni Fattori (1825-1908). Questo artista è di modeste origini ma è dotato di gran talento; possiede una rigorosa formazione pittorica, arricchita dalle nuove idee circolanti a Firenze dove prende dimora. Si incontra con giovani artisti portatori di vivaci fermenti creativi e frequentatori assidui del Caffè Michelangelo diFirenze che diviene famoso proprio per il singolare clima di scambi culturali innovativi che lì hanno luogo e che lo contraddistinguono. Fattori si dimostra pienamente immerso nel contesto della sua epoca caratterizzata da violenti contrasti e rapidi mutamenti sociali. La sua arte non viene compresa subito per via di una modernità di linguaggio che non rispecchia i gusti di un insegnamento ufficiale ancora assai radicato nell’Italia postunitaria: egli è un artista pienamente europeo, ancor prima che italiano. Ha saputo raccontare un difficile periodo e non bastano le grandi tele delle battaglie risorgimentali a caratterizzarlo, la mostra intende connotarlo come il creativo che “traghetta” la nostra pittura verso la modernità che consiste nell’essere capace di cogliere l’immutabilità del sentimento umano dietro la contingenza. Nella prima mostra bolognese di 50 anni fa spiccano opere di ricerca sul tema della pittura a macchia come “Soldati francesi” del ‘59 o l’inedito “In marcia”. L’introspezione raggiunge il massimo livello nei ritratti fra l’ottanta e il novanta dell’Ottocento. E diventa cronista di personaggicome “Il buttero”o “Lo scialle rosso”, lavori nei quali si avverte marcatamente l’accento verista toscano.Il paesaggio, invece, siafferma come protagonista centrale in opere realizzatenel periodo di frequentazione diCastiglioncello,amato paese disoggiornodove si ritrovano diversi altri pittori, tutti ospitatinella casa del comune amico e protettore, Diego Martelli.

La rustica e genuina Maremma nativa sarà al centro della sua narrazione specialmente nell’ultimo periodo di vita del pittore; tra le opere messe in particolare risalto ci sono: la mena in Maremma, Viole e buoi, Lo spaccapietre. La rassegna comprende oltre settanta opere fra dipinti, incisioni e disegni; la maggior parte dei lavorisono opere di proprietà privata, gentilmente concessi per l’occasione; il percorso espositivo segue l’intera evoluzione creativa della pittura di Fattori ed è di ordine tematico: la macchia, la nascita di una nuova arte, il tema militare come documento di storia e vita contemporanea, i paesaggi e gli animali, creature amiche.Fattori ha un atteggiamento di amore e disincanto nei confronti della natura verso la quale non ha un atteggiamento idealista bensì un legame che non gli impedisce di vedere le dure condizioni di vita dei contadini così come si dimostra altrettanto sensibile verso i soldati del Risorgimento ed è per nulla celebrativo nei suoi quadri, anzi egli mostra la fatica dei militari durante le ordinarie funzioni quotidiane. Intanto, col passare del tempo, gli ideali risorgimentali si affievoliscono enell’animo dell’artista resta la tristezza nell’assistere agli esiti fallimentari delpassato pieno di progetti; inoltre anche la sua situazione economica è precaria. I paesaggi maremmani in tarda età sono capolavori altamente drammatici. Basti ricordare “Lo staffato” e la “Libecciata”.La mostra mira anche a evidenziare in Fattori quell’inquietudine, racchiusa nelle sue opere, che locaratterizzano come un precursore del malessere che saràtipico degli artisti del Novecento e di oggi. Egli,oltre ad essere un innovatore per quanto concerne il linguaggio pittorico (non compreso fino in fondodurante gli anni della sua vita), è pertanto un personaggio profondamente attuale dal punto di vista umano.E’un’esposizione, se possibile, che merita di essere visitata.

Palazzo Fava-Palazzo delle Esposizioni Via Manzoni 2 - 40121 Bologna Realizzazione GenusBononiae con la collaborazione del Palazzo Meucci

Curatela: Claudia Fulgheri- Elisabetta Matteucci, Francesca Panconi, tre studiose di Fattori Costo 15 euro intero- 13 euro ridotto Orario 09.99/19.00 tutti i giorni, lunedì chiuso Tel. informazioni 39 051 19936 365 Sito ufficiale http://genusbononiae.it Catalogo Skira con prefazione e postfazione di Pupi Avati

“Il realismo può e deve essere magico non se cerca di abbellire la realtà: m solo perché ne rivela il volto segreto” Pupi Avati)

Giovanni Boldini e il mito della Belle Époque

Dal 26 Novembre 2022 Fino Al 10 Aprile 2023

La Belle Époque, i salotti, le nobildonne e la moda: è il travolgente mondo di Giovanni Boldini, genio della pittura che più di ogni altro ha saputo restituire le atmosfere rarefatte di un’epoca straordinaria.

Letteratura e moda, musica e lusso, arte e bistrot si confondono nel ritmo sensuale del can can e producono una straordinaria rinascita sociale e civile.

Dal 26 novembre 2022 al 10 aprile 2023 Giovanni Boldini, uno degli artisti italiani più amati di ogni tempo, viene celebrato con una grande mostra a Palazzo Mazzetti di Asti.

Dopo i successi delle mostre Chagall. Colore e magia, Monet e gli impressionisti in Normandia, I Macchiaioli. L’avventura dell’arte moderna, la collaborazione tra Fondazione Asti Musei e Arthemisia continua a richiamare folle di visitatori ad Asti.

Il nuovo progetto, a cura di Tiziano Panconi, è dedicato al genio indiscusso di Boldini.

80 magnifiche opere – tra cui Signora bionda in abito da sera (1889 ca.), La signora in rosa (1916), Busto di giovane sdraiata (1912 ca.) e La camicetta di voile (1906 ca.) – sono protagoniste di una narrazione cronologica e tematica al tempo stesso. L’esposizione presenta una ricca selezione di opere che esprime al meglio la maniera di Boldini, il suo saper esaltare con unicità la bellezza femminile e svelare l’anima più intima e misteriosa dei nobili protagonisti dell’epoca.

Una mostra che pone l’accento sulla capacità dell’ar- tista di psicoanalizzare i suoi soggetti, le sue “divine”, facendole posare per ore, per giorni, sedute di fronte al suo cavalletto, parlando con loro senza stancarsi di porle le domande più sconvenienti, fino a comprenderle profondamente e così coglierne lo spirito, scrutandone l’anima. Farsi ritrarre da Boldini significava svestire i panni dell’aristocratica superbia di cui era munificamente dotata ogni gran dama degna del proprio blasone. Occorreva stare al gioco e accettarne le provocazioni, rispondendo a tono alle premeditate insolenze ma, infine, concedersi, anche solo mentalmente, facendo cadere il muro ideologico dell’alterigia, oltre il quale si celavano profonde fragilità.

La mostra Giovanni Boldini e il mito della Belle Époque con il contributo concesso dalla Direzione generale Educazione, ricerca e istituti culturali del Ministero della Cultura, è realizzata dalla Fondazione Asti Musei, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, dalla Regione Piemonte e dal Comune di Asti, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, in collaborazione con Arthemisia, con il patrocinio della Provincia di Asti, sponsor Banca di Asti.

Per informazioni e prenotazioni:

Tel. 0141 530403

Cell. 388 1640915 info@fondazioneastimusei.it

Prima di indicare il salto della mente oltre la soglia del sensibile, la parola “astrazione” suggerisce sul piano etimologico un processo di separazione, se non di vera e propria “estrazione”, di una parte dal tutto a cui appartiene. Come dire, in altre parole, che l’astrazione non consiste in una negazione di ciò che è dato sull’orizzonte del visibile e tantomeno in un vagare senza mèta in uno spazio illimitato. Si tratta, invece, della capacità sottile di guardare attraverso le cose, traendone l’essenza e le ragioni nascoste. È quanto accade nell’opera di Franco Margari dove tutto ciò che richiama l’ambiente naturale – orizzonti, colori, riflessi di luce – altro non è se non il risultato di una “estrazione” di senso e di valori espressivi che, desunti dall’osservazione del paesaggio, non solo diretta ma anche mediata dalla migliore tradizione pittorica, confluiscono in una dimensione che non appartiene più alla sfera del visibile, dell’esperienza estetica o contemplativa, ma procede dalla percezione all’interiorizzazione del dato naturale. In questo caso, quindi, parlare di astrazione vuol dire riferirsi anzitutto alla decostruzione dell’idea stessa di paesaggio che nelle opere di Margari non è più un luogo collocabile nel tempo e nello spazio, ma è un condensato di memorie, pensieri, suggestioni liriche, stati interiori. Non è la natura in quanto tale l’oggetto di interesse, ma è l’utopia che al concetto di natura si lega quando l’immagine dipinta diventa rivelazione del non visibile o, per meglio dire, di un “vedere” che va oltre, facendo coincidere la natura con l’idea più profonda ed organica dell’esistere. A questa identificazione si deve il carattere per così dire “magmatico” del colore, il sobbollire di armonie e dissonanze – non prive di una vera e propria partitura musicale – che suggeriscono il divenire continuo, sull’epidermide del dipinto, di verità fragili, apparizioni inattese, crepuscoli di luce pronti a dissolversi. È la seduzione della pittura quella che Margari ci invita a considerare, il suo farsi “evento” sullo specchio riflettente della lamina metallica che accoglie e restituisce le stesure di colore permeandole di un’intensa quanto can- giante profondità luminosa. Non è un semplice sommarsi di materia e luce, superficie e colore, realtà riflessa e miraggio interiore, ma è il germogliare di una condizione dello sguardo che consente di “vedere” e di “vedersi” per tramite della pittura, di coniugare l’istante della percezione e l’assoluto del pensiero in un linguaggio che da sempre interroga la poesia dell’indefinito.

Daniela Pronestì

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