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VITTORIANO (un ricordo di Valerio Bonato)

Il primo ricordo che ho di Lui, sarà 65 anni fa, quando, insieme con Benito, Giampietro e Mimmo, avevano messo su un’officina campale per riparare le biciclette bucate.

Allora, erano gli anni ‘55, c’erano solo quelle! Le strade erano ancora bianche. I copertoni logori e consumati. Le camere d’aria toppate e rattoppate. Mastice bisognava comprarlo. I ferri bisognava averli. E la carta vetrata per grattare la gomma perché poi il mastice facesse presa, invece pure. E, infine, bisognava saper fare il tutto. Saperlo fare bene. In fretta. E a basso costo. Possibilmente anche gratis! Perché soldi allora non ce n’erano.

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E allora, i Nostri Magnifici Quattro, capitanati giusto da Vittoriano, hanno deciso di esporre cartello, con su scritto, a caratteri maiuscoli e in stampatello:

“Qui, si giustano biciclette!”

E perché la cosa fosse chiara, pubblica, evidente a tutti, avevano issato proprio sulla sommità di pilastro angolare della recinzione di casa, prospiciente la strada, un cerchione di bicicletta, nudo e crudo, all’impiedi, con i raggi e il cerchio e il perno al centro in bella evidenza, come se fosse un simil ostensorio.

Non so quanti e quali fossero i Loro clienti, so, però, che tutto il giorno presidiavano la strada in attesa di avventori, seduti sul muretto di fronte, pronti a intervenire al primo cenno di chiamata o di necessità.

Il secondo ricordo che ho di lui, saranno stati dieci anni dopo, saranno stati gli anni ‘65, io avrò avuto 15 anni, il silenzio era allora assai assordante in paese, non c’era ancora il ponte, Campolongo era ancora una nicchia isolata in mezzo al mondo al di là del fiume, le macchine passavano di là, il treno passava di là. Tutto il movimento era di là.

Di rumore, di qua, da noi, c’erano sono le campane e il trattore de Ducato. E forse, raramente, la sua moto Guzzi che, Roberto dei Ducati, peraltro, teneva ben riparata nel garage, di angolo in cima alla riva de Micel. Or ecco che la sera, era appena suonata l’Ave Maria ultima, il silenzio tutto attorno, le Nonne ancora sul pergolo di casa a confabulare, parlottando, sulla sera d’estate che stava per andare, or ecco, dico: Vittoriano montato a cavallo di una moto a scoppio risonante blu che, sandali ai piedi, a velocità supersonica - sarà andato a 10 km all’ora! - fa giri e rigiri di piazza, svegliando galline, rondini, colombi, gatti, cani, prete, perpetua, suore, sindaco, medico e fornaio, pecore e buoi e vacche e vitelli e attizzando ad attenzione i bambini che già si apprestavano a dormire. Povere mamme! Grida di protesta somme emergevano dalla Piazza a quel trambusto che svegliava il paese dal suono eterno in cui era immerso, da secoli, al rumore prorompente della vita moderna del tempo che stava per arrivare. E non una, non due, non tre, erano le volte che Vittoriano, con a bordo sua sorella Annamaria, sul seggiolino di dietro, con fazzoletto rosso sgargiante al collo, faceva quel giro e quel rigiro e quel rigiro ancora per la gioia, la meraviglia e la sconcerto di tutti. E scomparire! Poi, Vittoriano, divenne ingegnere. Era una Persona che sapeva ascoltare. Non si meravigliava di nulla. Ascoltava come se tutto lui avesse già visto prima quello che si andava dicendo. Ed era paziente nella forma e sapiente nella sostanza.

Era mio secondo, forse anche terzo cugino. Bonato era di cognome. Loro essendo della Maestra, noi degli Anzolettini.

Quando, mio Nonno partì, chiamammo Lui, come Ufficiale Rogante nella con-divisione dell’eredità. Povere cose, ma tante per chi le cose non sa come sono.

E Vittoriano ha ascoltato e ascoltato e ascoltato ancora e, in due fasi, forse anche tre, di 10 anni alla volta in 10 anni ulteriori e 10 ulteriori ancora, Vittoriano, dico, ha risolto e districato e dipanato quell’inestricabile roveto ardente che era l’eredità di mio Nonno.

Se ne andò nel 1982, la sera del Venerdì Santo, mio Nonno! 91 anni, aveva. Nel 2010, pervenimmo, di grazia, al rogito dei beni! Un’impresa! Ineffabile. Ecco, il Roveto Ardente che Vittoriano, da visionario e stratega e geniere, già allora era, vedeva e immaginava, ora Lo vede di Persona.

E toltosi, i sandali che indossava quand’era giovane, da Novello Mosè, ora, prono a terra, Ne sta ascoltando di Persona le disposizioni, gli ordini e i mandati: per traguardare la sua moto, dopo i tre giri canonici di ispezione di Piazza, verso il paese buono e spazioso dove, si racconta, scorra il latte e il miele.*

Ciao, Vittoriano! E salutami i Miei! Valerio

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