Cittadini attraverso lo Sport 2

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2 • CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT Via G.Marcora 18/20 • 00153 Roma Tel. 06.5840650 • Fax 06.5840564 progetti.usacli@acli.it www.usacli.org

QUANDO LO SPORT È SOCIALE

Quando lo sport e ‘sociale

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT Quando lo sport e ‘sociale Progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi dell’art. 12, c. 3, lett.f, legge n. 383/2000 – Direttiva 2009 Le attività inerenti al progetto sono a titolo gratuito


CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT


Responsabile progetto Alessandro Galbusera Responsabile scientifico progetto Laura Bernardini Content editing Marinella Cucchi Segreteria progetto Annamaria Tufano, Elisabetta Salvatore Responsabile amministrativo progetto Damiano Lembo Segreteria amministrativa progetto Monica Baffa Pacini Progettazione grafica e impaginazione Aesse Comunicazione - Roma Foto US Acli Agrigento, US Acli Benevento, US Acli Cuneo, US Acli Milano, US Acli Padova US Acli Roma, US Acli Treviso Archivio fotografico US Acli, Flickr Editore Aesse Comunicazione - Via Giuseppe Marcora 18 - 00153 Roma aesse.comunicazione@acli.it

Progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi dell’art. 12, c. 3, lett.f, legge n. 383/2000 – Direttiva 2009 Le attività inerenti al progetto sono a titolo gratuito


CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Una scelta per “agganciare” il futuro

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Marco Galdiolo

Documentare è fare memoria

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Nino Scimone

La cosa più bella

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Alessandro Galbusera

Sport laboratorio di cittadinanza

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Elisabetta Mastrosimone

Cittadini attraverso lo sport

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Marinella Cucchi

La questione immigrazione

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Antonio Russo

Nuove culture: una lettura antropologica

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Giovanna Guerzoni

L’attenzione alla salute nei processi di integrazione

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Massimo De Girolamo

Il razzismo nello sport

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Mauro Valeri

Esperienze territoriali

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Pino Rampolla

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Una scelta editoriale per “agganciare” il futuro Marco Galdiolo *

D are un senso di continuità e cercare di rendere visibile, evidente e leggibile un “solco comune” in ogni cosa che facciamo, costituisce un altro dei nostri impegni e un’altra nostra scommessa. Gli stessi territori, in più occasioni, hanno esplicitamente richiesto strumenti che favoriscano la messa a punto della nostra “rete di esperienze”: per vivere a pieno uno spirito di condivisione e per riconoscere e realizzare le potenzialità di modelli replicabili. L’idea della collana “Quando lo sport è sociale” penso sia nata soprattutto da queste esigenze ma l’opportunità di inaugurarla in occasione dell’Assemblea nazionale, l’arricchisce di ulteriori significati, collocandola a pieno titolo nel panorama più ampio dei contenuti assembleari e permettendoci così di rifinire il quadro dei principi ispiratori. I TEMI CHIAVE I temi della sfida educativa, della centralità del territorio, della progettualità sportiva e sociale, oltre ad essere i temi chiave della nostra pianificazione associativa e quindi ulteriori fonti da cui abbiamo tratto l’idea delle pubblicazioni, risultano pienamente inquadrati nelle pagine di questa collana. Restituendo, tra l’altro, un segno tangibile di quanto emerso nei diversi percorsi territoriali, di quanto realizzato, di quanto conseguito e di come vorremmo che tutto ciò diventasse patrimonio comune, oggi e sempre, per uno sviluppo associativo capace di individuare quelle “tracce di futuro” che concretamente aiutino e favoriscano un impegno sempre più appassionato, motivato e competente. Passione, motivazione e competenza che vorremmo trasmettere anche ai tanti volti nuovi e giovani che sistematicamente incontriamo nelle nostre esperienze quotidiane. LE BUONE PRATICHE Nello specifico, il progetto “Cittadini Attraverso lo sport” introduce e sviluppa un’ulteriore questione centrale del nostro vivere associativo: la maturazione di buone pratiche di cittadinanza attiva. Una materia che in questo caso ne “trascina” con sé altre: la responsabilità e la responsabilizzazione, la sussidiarietà, l’accoglienza, la tolleranza, l’integrazione, l’universalità del linguaggio e del messaggio sportivo e molto ancora. E con un po’ di temerarietà ma assolutamente con irrinunciabile tempismo, collega l’intero processo progettuale ad una prospettiva di protocollo informatico, per incidere in profondità là dove non arrivano

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i nostri consueti canali comunicativi; per preservare i “prodotti” realizzati e difenderli dalle rapide archiviazioni e per condividere dati e risultati con l’intero sistema delle Acli. Evitando dispersioni e cominciando a “capitalizzare”, in termini reciproci, le risorse progettuali, umane, elaborative e operative. UN PASSO AVANTI I primi due numeri della collana ci hanno così permesso di custodire la preziosa avventura di questo biennio, che ci ha visti protagonisti in 27 Comitati Provinciali, in 14 Comitati Regionali, con oltre 3000 ore di attività e oltre 500 persone coinvolte a più titoli. Le prossime edizioni ci permetteranno di agganciare a queste statistiche nuove analisi, nuove esperienze, nuove conoscenze e nuove vicende: per vivere i prossimi due anni con l’entusiasmo e la tenacia di chi ha tutta l’intenzione di voler rafforzare il proprio investimento progettuale. Un grazie particolare a chi ha creduto a questa scommessa e a chi ci ha permesso di realizzarla. Con la collana editoriale Quando lo sport è sociale, siamo pienamente certi di non aver risolto tutti i nodi della comunicazione interna ed esterna dell’US Acli ma siamo altrettanto convinti di aver fatto un decisivo passo avanti. *Presidente nazionale US Acli

Rodolfo Tagliaferri

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Documentare è fare memoria Nino Scimone *

Documentare è fare memoria, rendere partecipi i nostri associati delle nostre esperienze, dei nostri progetti; è comunicare e quindi mettersi in relazione con il nostro sistema ma anche con il variegato mondo dello sport, con la scuola, con i cittadini. La documentazione diviene perciò risorsa e strumento di collegamento con queste realtà per far comprendere il perché di determinate scelte e attività programmate dall’US Acli. L’idea che sta dietro alla scelta di pubblicare una collana collegata all’attività formativa dell’US Acli, è quella di concretizzare il percorso più profondo della documentazione: quello del recupero, dell’ascolto, della rielaborazione e della comunicazione dell’esperienza. UN’OFFICINA DI SCELTE E PERCORSI La “comunicazione” materia la cui importanza va di pari passo con la volontà di cambiare, di avviare nuove forme di dialogo e di relazione con il territorio, le comunità US Acli, i cittadini. Ogni volume rappresenta un progetto con caratteristiche molto precise. Non ci troviamo di fronte a “libri” ma ad una “officina” di scelte e percorsi complessi compiuti con il rigore, le competenze e la passione di sportivi delle Acli. Senza una comunicazione che abbia al centro il cittadino non si riuscirà a creare un “percorso di rinnovamento e apertura del mondo dello sport, per la valorizzazione e la promozione della persona e una migliore comprensione dell’altro.” La prima cosa che si deve avere ben chiara è che se noi non crediamo nei nostri progetti, è molto difficile che lo facciano gli altri. È importante quindi imparare a comunicare questa sicurezza, anche nel modo in cui esponiamo chi siamo e le nostre idee. Dare il giusto peso alla presentazione delle nostre esperienze, del nostro essere aclisti impegnati nello sport, della nostra visione di uno sport che sia “diritto di cittadinanza”, che favorisca l’integrazione sociale anche in una prospettiva interculturale, è il primo passo per comunicare la nostra professionalità e affidabilità. *Presidenza Nazionale US Acli - Area Comunicazione

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Fabio Del Ghianda

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La cosa più bella Alessandro Galbusera *

Con “Cittadini attraverso lo sport” all’interno di questo secondo volume raccontiamo un’idea, poi diventata progetto ed infine un “fare” del territorio dove l’US Acli ha scelto di rimettere al centro e su scala nazionale un tema importante: quello della convivenza interculturale, interetnica e interreligiosa. Ma “Cittadini attraverso lo sport” è anche e molto più di questo. Certamente perché per la nostra associazione questo è innanzitutto il cuore del mandato che il XIII Congresso nazionale di Roma ha consegnato ai dirigenti e alla base associativa dell’US Acli, quale obiettivo programmatico per quattro anni di mandato. Certamente perché è un impegno fortemente radicato nella storia dell’US Acli ma soprattutto perché il tema della cittadinanza, del diritto ad una cittadinanza attiva, dell’opportunità che a tutti deve essere data di essere costruttori della propria vita e della società che li accoglie, apre a temi e valori che vanno oltre la sola integrazione interetnica e riguardano tutte le “fasce più deboli”: a partire dai giovani. UNO STRUMENTO PER TUTTI “Dare corpo ai diritti di cittadinanza nello sport e attraverso lo sport”. Questo l’obiettivo. Ancora una volta quindi lo sport come mezzo che, grazie alla semplicità e all’immediatezza del suo linguaggio, arriva a tutti e si fa strumento per un’azione sociale di sussidiarietà rispetto ad una “ferita aperta” che sta segnando in profondità questi anni. Ancora una volta quindi per rilanciare “uno sport dal sapore sociale”. Una cosa è sicura: la sola opportunità di poter utilizzare lo sport non basta per fare integrazione e il solo impegno dei molti dirigenti dell’US Acli che, con entusiasmo e convinzione credono in questo obiettivo, non basta per rendere quotidiana e reale la cittadinanza dei molti che oggi ancora,rimangono ai margini. COME “ARRIVARE”? Allora come “arrivare”? Il progetto ha scommesso su quella che è la vera anima e l’ossatura portante della nostra associazione: le società sportive. Terminali e “sentinelle” sul territorio del sistema sportivo intero e della nostra US Acli. A loro con questo progetto abbiamo chiesto un grande impegno e affidato una grande responsabilità: essere luoghi di accoglienza e integrazione, facendo la stessa identica cosa che quotidianamente, da oltre 60 anni a questa parte, fanno tutti i giorni con i ragazzi. È questa forse la cosa più bella. Lo sport, lo sport che l’US Acli promuove, non ha bisogno di artificiosi innesti, di modificare il proprio

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quotidiano o di inventarsi esperti “di”, per diventare luogo di integrazione: questo modo di vivere e di far praticare lo sport è già fare integrazione, con il linguaggio più antico e universale del mondo, quello del gesto e della corporeità. E infine è anche bello quando un progetto non inventa e non impone ma cerca di dare corpo e valorizzare qualcosa che tutti i nostri comitati e le nostre società già fanno, valorizzare e raccontare il nostro impegno è importante e i progetti anche a questo devono contribuire. Mi auguro che “Cittadini attraverso lo sport” sia riuscito ad arrivare e abbia contribuito, magari anche in piccola parte e facendo un primo piccolo passo, a “dare corpo ai diritti di cittadinanza nello sport e attraverso lo sport”. Sono comunque convinto che questa sia la strada perché, rispetto a tutto, credetemi: lo sport è un bell’argomento! *Responsabile nazionale progetti US Acli

Enrico Gazzini

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Sport laboratorio di cittadinanza NELLO

SPORT CI SONO ESPERIENZE CHE RAFFORZANO LA CITTADINANZA ATTIVA

MANIFESTANDOSI COME “PALESTRA” DI IMPEGNO SOCIALE PER I GIOVANI E COME AIUTO AL LORO PROCESSO DI CRESCITA E DI FORMAZIONE DELLA PERSONALITÀ.

di Elisabetta Mastrosimone *

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egli ultimi decenni, sempre più pedagogisti, operatori sociali ed educatori che si impegnano quotidianamente per la crescita e la formazione delle nuove generazioni, hanno evidenziato la necessità di individuare percorsi nuovi per favorire l’integrazione fra quelle diverse culture che animano i nostri territori, valorizzandone identità ed origine e contemporaneamente promuovendo atteggiamenti di accoglienza e compartecipazione. In questo scenario, un ruolo decisivo può essere svolto da quelle azioni che mirano a promuovere lo sradicamento del pregiudizio sociale in tutte le sue forme. ALLA SCOPERTA DELL’ALTRO Da sempre la pratica sportiva in particolare e la cultura del movimento e dell’espressione corporea più in generale, sono strumenti efficaci per la promozione della cittadinanza attiva. L’universalità e l’immediatezza del linguaggio del corpo e dei gesti, la piacevolezza del gioco attraverso il quale si sviluppa lo sport di squadra, la ricerca del confronto che presuppone la necessità di accettare e rispettare le regole, sono elementi fondamentali che spingono coloro che praticano lo sport all’incontro e alla conoscenza, alla “scoperta” dell’altro e delle sue peculiarità e fanno dell’attività sportiva un’esperienza privilegiata per la crescita e la formazione individuale e comunitaria, partecipata e responsabile. Oggi di fronte alla crisi generale dei valori e all’emergenza educativa del nostro tempo, questi elementi diventano importanti punti di forza per una proposta sportiva che mette al centro la partecipazione e la persona anziché la performance, favorendo forme di integrazione e valorizzando le diversità. UNA “PALESTRA” DI IMPEGNO SOCIALE Partecipare all’attività della squadra sportiva, vivere quotidianamente i principi della correttezza, del rispetto delle regole del gioco e degli altri, sperimentare la solidarietà e la disciplina, sono esperienze che rafforzano e consolidano la cittadinanza attiva. Quest’esperienza sportiva diventa quindi “palestra” di impegno sociale, offre ai giovani possibilità interessanti di impegno e partecipazione alla società e può aiutarli

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in un percorso di crescita e di formazione della personalità in grado di opporsi a quelle sollecitazioni negative che arrivano da un contesto esterno difficile e con scarsi riferimenti di valore. Come emerge chiaramente dal “Libro bianco sullo sport” della Commissione Europea (2007), lo sport può facilitare anche l’integrazione sociale dei migranti e delle persone d’origine straniera sostenendo il confronto interetnico e interculturale. Le indicazioni esaltano per la prima volta l’importanza dello sport nella vita quotidiana e la sua funzione strategica nelle politiche di dialogo, di integrazione e di lotta contro ogni discriminazione e razzismo.

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L’INCONTRO CON LA DIVERSITÀ L’esperienza della mobilità, così frequente nei nostri territori, ci pone in situazione di incontro continuo con il “nuovo”, con la diversità, sollecitando una costante attenzione a fenomeni sociali come la multiculturalità. Lo sport che coinvolge i cittadini indipendentemente da genere, razza, età, disabilità, religione e convinzioni personali, orientamento sessuale e provenienza sociale o economica; lo sport che promuove un senso comune di appartenenza e di partecipazione, può essere allora anche un importante strumento d’integrazione dei cittadini stranieri nel nostro paese. Per questo è importante mettere a disposizione spazi per lo sport e sostenere le attività di pratica sportiva affinché immigrati e società di accoglienza possano interagire positivamente. In una società sempre più complessa, multietnica e multiculturale, l’integrazione è la vera grande sfida del nostro tempo; una sfida che richiama la responsabilità di tutti, dalle istituzioni ai singoli cittadini, dalle associazioni alle forze sociali, perché a tutti chiede di ripensare e ridisegnare nuovi scenari di convivenza civile. Perché l’inclusione e la coesione sociale si traduce in un percorso di maturazione culturale, di superamento delle paure, delle incertezze e di riconoscimento della diversità quale elemento e patrimonio comune da mettere in gioco a partire dai giovanissimi. FAVORIRE L’ACCESSO ALLO SPORT Oggi è più che mai indispensabile diffondere nel tessuto sociale un’immagine positiva degli immigrati come soggetti propositivi, portatori di elementi culturali che non minacciano la nostra identità. Nel nostro terreno di iniziativa lo si può fare facilitando l’accesso allo sport ed ai luoghi dello sport soprattutto a chi generalmente ne viene escluso o anche a chi oggi rischia di allontanarsene per le oggettive difficoltà economiche. Questo percorso di rinnovamento e apertura del mondo sportivo si concretizza lavorando e impegnandosi a valorizzare e a promuovere ogni persona, a favorire una migliore comprensione dell’altro attraverso la personalizzazione delle proposte sui bisogni e la cono-


scenza diretta delle pratiche sportive e del tempo libero in uso presso i paesi di provenienza delle comunità di immigrati. Sostenere attraverso lo sport, l’integrazione sociale dei cittadini immigrati, vuol dire oggi anche sperimentare la realizzazione di percorsi a supporto della crescita di associazioni sportive integrate capaci di promuovere e organizzare attività per e con immigrati e autoctoni. Da tutto ciò deriva che è ormai inevitabile intersecare lo sport di cittadinanza con le politiche sociali; ne deriva poi una comprensione più netta di quanto questo sport sia ormai elemento fondamentale di un nuovo sistema di welfare pro-motore di sviluppo sociale. PRESUPPOSTI DI CONVIVENZA CIVILE “Cittadini attraverso lo sport” è un progetto tutto interno al compito dell’US Acli di promuovere uno sport come laboratorio di cittadinanza attiva, impegnato alla promozione di un sistema sociale integrato, in grado di creare i presupposti di una convivenza civile e costruttiva. In questo contesto l’azione educativa è veicolo fondamentale per la diffusione dei valori di uguaglianza, di accoglienza, di partecipazione consapevole e di crescita comune. D’altra parte lo sport proprio perché fenomeno di massa, coinvolge, trascina, semina e stimola, mettendo in luce tutte le meravigliose potenzialità dell’uomo, favorendone la sua crescita globale. La proposta dell’US Acli attraverso la pratica ludico-motoria e sportiva, le manifestazioni, i progetti, le campagne, la formazione, promossi quotidianamente sul territorio, si concretizza nella sensibilizzazione e nella promozione di attività rivolte a soggetti di ogni età e di ogni condizione - immigrati inclusi -, con percorsi educativi,formativi e culturali che favoriscono pari opportunità e prevengono ogni forma di esclusione. Dare corpo ai diritti di cittadinanza nello sport e attraverso lo sport vuol dire far sì che questi diritti diventino realmente esigibili.

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Vincenzo Di Campli

* Responsabile area welfare US Acli


Cittadini attraverso lo sport FINANZIATO DAL MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI (EX LEGGE 383/2000), QUESTO PROGETTO PUNTA A FAVORIRE ATTRAVERSO LO SPORT, LENTI MA PROGRESSIVI PROCESSI DI INCLUSIONE DEI CITTADINI IMMIGRATI.

SOCIALE

Marinella Cucchi

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DIVERSITÀ E UGUAGLIANZA Finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, questo progetto dell’Unione sportiva Acli incrocia la lunga esperienza dell’associazione quale soggetto promotore di sport per tutti e di tutti con la realtà dell’immigrazione: fenomeno spesso ancora avvertito dai cittadini e dalle istituzioni – soprattutto di fronte a situazioni ripetute e particolarmente gravi - come una questione d’emergenza, circoscritta quindi unicamente ad un problema di costi e di ordine pubblico. Tuttavia è ormai un fatto che l’Italia si stia oggi sempre più trasformando da antico paese di emigranti, in terra d’approdo per immigrati: persone che hanno scelto e scelgono di partire per avere l’opportunità di migliorare la propria vita e persone obbligate a migrare per motivi politici, per fuggire da guerre o da condizioni di forte rischio personale. Nel primo caso c’è più propensione ad integrarsi; nel secondo si tende a rimanere più legati alle proprie tradizioni e al proprio paese di origine. Nell’un caso o nell’altro, l’integrazione tra persone di etnie, culture, riferimenti valoriali e religiosi diversi, si pone attualmente a tutti come sfida aperta: la posta in gioco è quella di una società multietnica e multiculturale – i cui segnali sono già ampiamente evidenti in Italia - che collochi “diversità” e “uguaglianza dei diritti” come binomio ineludibile alla base di nuove forme di convivenza civile. LA SOSTENIBILE “LEGGEREZZA” DELLO SPORT Con “Cittadini attraverso lo sport” l’US Acli ha voluto rilanciare uno dei suoi obiettivi fondamentali: quello di esercitare nello sport l’accoglienza e la cura delle persone, progettando e portando avanti iniziative che contrastino, là dove si presentano, l’esclusione, la discriminazione, l’emarginazione sociale di quanti vivono situazioni di difficoltà e di fragilità. Anche di chi sperimenta la condizione di immigrato sia temporaneo sia di prima o di seconda generazione. Nel caso dell’immigrazione soprattutto, accogliere è diverso da tollerare, è molto di più che vivere fianco a fianco ignorandosi senza cercare occasioni di incontro e di relazione; è diverso dal riconoscere pari dignità a chi è “straniero” nel nostro paese, restando in attesa che si assimili a noi, che diventi come


noi siamo. Accogliere è la premessa di ogni processo di integrazione da intendere come grande occasione anche per noi, con la consapevolezza di aver molto da imparare nell’incontro e nello scambio con l’altro. Di fatto, nel progetto dell’US Acli, “scambio” e “incontro” sono parole chiave sorrette dalla convinzione che lo sport sappia e possa essere uno degli strumenti per contribuire a costruire una società integrata, plurale e solidale; un mezzo leggero per intrecciare quella rete di rapporti tra territori, tra culture, tra genti diverse che, nel nome del gioco e di un corretto confronto sportivo, mobilitino un comune senso di appartenenza; un efficace canale di comunicazione e di visibilità di nuovi soggetti e di nuovi bisogni. PERCORSI INTEGRATI, IN RETE CON LE ACLI Fin dal suo avvio “Cittadini attraverso lo sport” coglie l’opportunità di mettersi in rete con diverse componenti delle Acli e in special modo con quelle più immediatamente di servizio (come ad esempio il Patronato con i suoi sportelli immigrazione) che sul territorio promuovono e tutelano diritti e dignità di quanti sono in situazioni di difficoltà e di bisogno. Con questa marcia in più che consente percorsi integrati, non settorializzati, il progetto - pensato e formulato per consolidare o aprire nuovi spazi in grado di proporre l’attività sportiva come pratica sperimentata e affidabile di inclusione e come processo di educazione alla differenza - si muove su più piani. Il punto di inizio è l’esperienza quotidiana dell’associazione che rileva situazioni dove per praticare sport i giovani immigrati si inseriscono in squadre locali o formano squadre proprie, qualche volta omogenee, qualche volta più eterogenee sul piano della nazionalità di origine dei loro componenti. Sono gruppi coesi ma spesso isolati e con loro, in pressoché tutti i casi, la proposta dell’US Acli trova riscontri sorprendenti. UN PROGETTO ARTICOLATO Le realtà territoriali dell’associazione che accettano di sperimentare il progetto, avviano una serie di incontri: per favorire dialogo e scambio di conoscenze iniziando dalle pratiche sportive in uso nei paesi di provenienza; per approfondire i temi del gioco di squadra, del fair play, del rispetto delle regole e dell’avversario; per offrire le informazioni necessarie alla costituzione di una propria associazione sportiva in forma stabile e autonoma ed anche quelle per far “vivere” i propri diritti di cittadinanza nel nostro paese. Incontri che non si fermano qui ma che acquistano un significato pieno nella apertura alla vita associativa dei comitati provinciali e delle associazioni sportive dilettantistiche dove “conoscersi” passa anche attraverso serate, stages, allenamenti. E naturalmente, grande privilegiato lo sport, con l’organizzazione congiunta (associazioni sportive italiane

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e di immigrati) di tornei e gare nelle discipline sportive praticate sul territorio italiano e in quelle tipiche dei paesi d’emigrazione. A questa fase è legato un concorso fotografico quale strumento utile a sostenere l’interesse verso il progetto e a restituire e divulgarne le attività. Elemento importante di “Cittadini attraverso lo sport” è quello relativo alla tutela sanitaria e alla prevenzione dei possibili rischi di chi fa sport, attraverso una visita medico sportiva completa degli immigrati partecipanti per garantirne l’idoneità alla pratica. Al di là di questo aspetto legato alla sicurezza e previsto dalla legge, è un passaggio importante verso l’acquisizione di consapevolezza che la salute è un diritto e di conseguenza del proprio diritto alla salute. VERSO LA CITTADINANZA SOCIALE Punto clou del progetto la promozione di gemellaggi tra le nuove associazioni e quelle già esistenti con lo scopo principale di facilitare l’integrazione dei gruppi sportivi delle comunità migranti. L’iniziativa del gemellaggio ha in sé l’elemento formale della sottoscrizione di un protocollo di impegni e di collaborazioni e l’elemento simbolico della visibilità di un riconoscimento concreto nel contesto sociale e istituzionale: un piccolo passo anche verso la diffusione, a cominciare dal mondo sportivo, di un immagine propositiva degli immigrati in contrasto con persistenti stereotipi e pregiudizi. Il progetto, promuovendo un apprendimento delle pratiche di cittadinanza attraverso la condivisione di luoghi e di attività comuni, può sostenere * ed è uno dei suoi obiettivi più qualificanti * l’avvio di un altro percorso: quello che partendo dall’acquisizione del diritto di cittadinanza nello sport dei cittadini stranieri, contribuisce ad un futuro riconoscimento del loro diritto ad una piena cittadinanza sociale.

Anna Maria Mantovani

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La questione immigrazione LA

CONSIDEREVOLE PRESENZA DI IMMIGRATI IN ITALIA CI RESTITUISCE L’IMMAGINE

DI UN

PAESE

PROFONDAMENTE CAMBIATO NEL QUALE GIÀ OGGI VIVONO POTENZIALI

NUOVI ITALIANI “IN ATTESA DI UN FORMALE RICONOSCIMENTO GIURIDICO CHE LI

RENDA CITTADINI A TUTTI GLI EFFETTI.

Antonio Russo *

La considerevole presenza di immigrati in Italia ci restituisce l’immagine di un Paese profondamente cambiato nel quale già oggi vivono potenziali “ nuovi Italiani “ in attesa di un formale riconoscimento giuridico che li renda cittadini a tutti gli effetti e non italiani dimezzati. Chi sono? Quanti sono? Quanti saranno nel prossimo trentennio? Supereranno nel 2050 a Milano, come annunciato da una recente ricerca dell’Ismu, i milanesi? Che domande pongono al nostro Paese? Come sta cambiando l’Italia grazie alla loro presenza? PREMESSA: QUALE DISCORSO POLITICO SULL’IMMIGRAZIONE OGGI? Quando si affronta il dibattito sull’immigrazione si ha sempre la netta sensazione di una cronica arretratezza. La dinamica di una società come la nostra che si rinnova e si apre lentamente alla ricchezza della diversità, risente infatti di un colpevole ritardo della politica che continua a rimandare le scelte strategiche o in talune circostanze a peggiorare un quadro legislativo già di suo anacronistico. Tutto questo mentre il Paese è attraversato da grandi trasformazioni sociali e antropologiche. Un primo dato per tutti: oggi sono presenti in Italia 191 etnie e si parlano 100 lingue diverse con tutto quanto ciò significa e comporta. Ma benché il nuovo scenario richiederebbe una più approfondita comprensione del fenomeno, “gli addetti ai lavori” piuttosto che fare lo sforzo di capire per poter meglio accompagnare e governare questi processi sociali, politici e culturali, reagiscono proponendo e riproponendo politiche che solo con un eufemismo qualifichiamo come “difensive”. Noi crediamo che, al contrario, l’Italia debba al più presto dotarsi di politiche strutturali e di una legislazione capace di guardare oltre il contingente liberandosi da quella che più volte in questi anni abbiamo definito “ la sindrome dell’assedio”. Circa cinque milioni di immigrati oggi interrogano il Paese invitandolo ad accettare la sfida dell’immigrazione come un’opportunità di incontro culturale e, perché no, come possibilità di crescita economica. Per fare questo però bisogna liberare il dibattito da un pensiero semplificato che riduce il fenomeno migratorio ad un problema di sicurez-

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za, e puntare a tenere aperta, nella ordinarietà della vita politica e sociale del Paese, la discussione sul tema dell’immigrazione come tema di rilevante importanza nella discussione sul futuro delle nostre comunità e dell’Italia dei prossimi 150 anni. Occorre ribadire che vi è oggi in Europa e, soprattutto nel nostro Paese, l’urgenza di politiche lungimiranti capaci di guardare oltre il contingente e di modificare il quadro legislativo nazionale e quello delle Regioni per renderli più adeguati alla complessità del fenomeno. Per le Acli l’auspicio è che si apra una stagione di riforme rivolte prioritariamente alle grandi questioni che l’immigrazione ha aperto: - il riconoscimento giuridico- formale del diritto di cittadinanza, attraverso una modifica della legge 91 del 1992 e l’introduzione del principio dello jus soli o jus domicili. Questa riforma se accolta consentirebbe a tutti i bambini nati da genitori stranieri in Italia ( ad oggi circa 1 milione) di divenire cittadini italiani. Nel contempo dovrebbe agire sui tempi di attesa per l’ottenimento del diritto, restringendoli da 10 a 5 anni; - il riconoscimento del diritto di voto attivo e passivo alle elezioni amministrative per chi risiede in Italia ininterrottamente da 5 anni; - l’avvio di procedure trasparenti e veloci per il riconoscimento della cittadinanza italiana e per il rilascio dei permessi di soggiorno; - l’introduzione del permesso di soggiorno per ricerca di lavoro; - la facilitazione di politiche familiari a favore degli immigrati attraverso una promozione dei ricongiungimenti; - il potenziamento delle politiche di integrazione culturale e scolastica, soprattutto a favore delle seconde generazioni, anche attraverso un Piano nazionale per l’apprendimento della lingua italiana, articolato nei diversi livelli territoriali (anche per scongiurare la possibilità che l’accordo di integrazione diventi un ostacolo al riconoscimento del permesso di soggiorno); - la possibilità per i giovani immigrati di accedere all’anno di servizio civile volontario; - il ripristino del Fondo per l’inclusione degli immigrati; - la lotta alla tratta delle donne e dei bambini come priorità assoluta (sono quasi mille nel nostro Paese i minori vittime di questa deplorevole pratica e tra questi i più colpiti sono i minori stranieri non accompagnati), attraverso la promozione di servizi di accoglienza per le donne vittime della tratta e il sostegno ad iniziative promosse dalle strutture pubbliche e del privato sociale atte ad intercettare le situazioni di sfruttamento; - la lotta allo sfruttamento lavorativo attraverso l’intensificazione dei servizi ispettivi e della modifica della normativa sui permessi di soggiorno. Non meno importante per quel processo di cittadinanza sociale degli immigrati sarà nei prossimi anni il ruolo degli Enti locali e l’orientamento delle politiche di welfare. La riforma in senso federale dello Stato, av-


viata nel Paese, può agire positivamente sul processo di incontro di cittadini e cittadinanze plurali se si consoliderà una volontà politica positiva, se la scelta di tutte le politiche sarà orientata non più e non solo ai cittadini italiani, ma a tutti i cittadini che vivono e contribuiscono alla crescita del nostro Paese. Occorre soprattutto che si affronti in termini di giustizia, pari opportunità ed efficienza, il tema dell’accessibilità al sistema di welfare locale per i cittadini stranieri, l’accesso al diritto di residenza, agli asili nido dei bambini stranieri, alla scuola, alla casa, ai servizi socio sanitari, alla partecipazione alla vita pubblica e alla qualità di vita nella periferie urbane. INTERCULTURA E IDENTITÀ Il fallimento dei vari modelli di multiculturalismo sperimentati in Europa, da quelli di stampo separatista a quelli di tipo assimilazionista o comunitarista, spingono a pensare una via italiana alla convivenza tra le culture, le etnie e le religioni. L’Italia può trarre dalla sua grande storia di emigrazione insegnamenti preziosi per non commettere errori che avrebbero ricadute storiche sulla nostra società che è, già oggi, plurale e interetnica e sta sperimentando, nella ricchezza del confronto e a volte persino nel conflitto, un nuovo modello di convivenza. Sebbene l’esasperazione dell’idea di identità nazionale abbia prodotto tante negazioni della giustizia e della libertà nei rapporti storici tra i popoli, questo non vuol dire che l’identità sia votata a sparire: nessuna collettività nel mondo potrebbe rinunciare a quelle che ritiene le sue vocazioni nazionali, ma ogni identità collettiva è aperta e non ha futuro che in questa apertura e nella relazione con l’altro. Non è accogliendo gli stranieri con le loro differenze e persino con le loro difficoltà che una comunità si snatura, al contrario si accresce e si completa.

Flickr/Vito Manzari

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La sfida è un modello italiano di intercultura, un modello avanzato di integrazione che arricchisca il concetto di cittadinanza legale, giuridica e sociale con la dimensione della cittadinanza simbolica, intesa come quel “vestito culturale e antropologico di cui è permeata ogni persona” che fa sentire a casa ovunque ci si trovi a vivere. L’Italia del futuro è un Paese in cui si incontrano civiltà e culture e, al di là delle questioni più o meno semantiche, costruiscono una società “plurale e decente” la sola che può rispondere ad una vera sfida democratica a partire da una diversa concezione del riconoscimento del diritto di cittadinanza che oggi interroga alle radici la comunità mondiale. Cos’è oggi il diritto di cittadinanza nel quale è riconosciuto il livello di appartenenza più alto ad una comunità? Ha ancora senso, oggi, parlare di cittadinanza come di un monolite, inamovibile, rigido, chiuso nelle regole di Paesi profondamente cambiati, o invece il terzo millennio apre alla sfida della cittadinanza universale come cittadinanza primaria per la quale ogni donna e ogni uomo nascendo acquisisce gli stessi diritti e doveri di ogni altra donna e di ogni altro uomo nel mondo secondo quanto stabilito nei principi contenuti nella Convenzione dei diritti umani del ’48? Se immaginiamo di risolvere i problemi sociali, spesso prodotti dalla incapacità della politica e dei governi di individuare scelte corrette capaci di agevolare reali processi di integrazione, o riteniamo di assecondare le paure della gente a volte infondate, quanto non artatamente costruite, per aumentare lo share di gradimento politico, stiamo compiendo un’azione politicamente irresponsabile e umanamente deplorevole. È necessario convincersi che l’immigrazione non è un inciampo della storia ma un processo di reciproco arricchimento e che nell’orizzonte nuovo con il quale siamo chiamati a confrontarci, nel pluriverso di cui siamo parte, uno scompenso creato in termini di sottosviluppo e di povertà a Nairobi, ha le sue ricadute su New York. Che tutto il mon-

Flickr/piervincenzocanale

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do diventa sempre più casa di tutti e il suo equilibrio passa attraverso l’equilibrio di tutti e la capacità delle comunità di sapere accogliere e ospitare. Forse basterebbe la narrazione di chi è emigrato, o di chi lo è stato, a spiegare che tutte le migrazioni hanno lo stesso volto che racconta di povertà e di genio, di miseria e di dignità. Forse sarebbe più facile comprendere che nell’accoglienza dell’altro e attorno a valori condivisi possono nascere nuove città e consolidarsi nuove cittadinanze e una Patria comune fondata sulla credibilità delle istituzioni, sulla legalità, sulla giustizia e sull’accoglienza. PARTENDO DALLA REALTÀ Partire dai dati che caratterizzano il fenomeno migratorio nel nostro Paese è indispensabile per avere chiare le concrete dimensioni del fenomeno, altrimenti si rischia solo di soffiare sul fuoco di paure metropolitane che poi qualche abile politico strumentalizza. Ma è doverosa una premessa: dietro queste cifre vivono le speranze, le sofferenze e il desiderio di un’esistenza più dignitosa di molte donne e uomini per i quali, in molte circostanze, l’emigrazione non è stata un’opzione ma una scelta obbligata (soprattutto per chi scappa dalle guerre o è perseguitato dai regimi). Le cifre raccontano un Paese profondamente cambiato negli ultimi decenni: l’immigrazione di oggi non è più - come quella della prim’ora concentrata sul lavoro, prevalentemente maschile, e proiettata al ritorno in patria. Oggi, quell’immigrazione che ancora tendiamo a accettare solo in orario di lavoro, è invece presente costantemente nel tempo e nello spazio e si manifesta a scuola, negli ospedali, sui mezzi pubblici, nel tempo libero ecc. Le cifre che di seguito si riportano, aggiornate all’ultimo rapporto Istat, e quindi al netto delle presenze degli stranieri arrivati nel nostro Paese a seguito delle rivolte che hanno coinvolto i Paesi del Nord Africa nell’ultimo periodo, aiutano a comprendere se effettivamente la presenza degli immigrati in Italia sia davvero un problema o, al contrario, una risorsa. L’Istat all’inizio del 2010 ha contato 4.235 mila residenti stranieri, che però secondo il Dossier Caritas Migrantes diventano 4.919 mila, se si considerano anche tutti i regolari non ancora registrati nelle anagrafi, in pratica ci sarebbe 1 immigrato ogni 12 residenti (nel 1990 la popolazione immigrata era di 500.000 persone, possiamo dire che nel giro di 10 anni è aumentata per 10 volte). Tra le collettività di stranieri residenti, i romeni continuano ad essere la comunità più numerosa, circa 890mila residenti, il 21% degli immigrati, seguiti da albanesi (470mila, 11%), marocchini (430mila, 10,2%), cinesi (190mila, 4,4%), ucraini (170mila, 4,1%).

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Relativamente alla popolazione immigrata residente per regione, la Lombardia accoglie un quinto dei residenti stranieri (982.225, 23,2%), il Lazio (497.940,11,8%) e a seguire il Veneto (480.616, 11,3%), l’Emilia Romagna (461.321, 10,9%), il Piemonte (377.241, 8,9%) e la Toscana 338.746, (8%). L’incidenza media sulla popolazione residente è del 7%, ma in Lombardia, Emilia Romagna e Umbria si va oltre il 10% e a Brescia, Mantova, Piacenza, Reggio Emilia oltre il 12%. Le donne incidono per il 51% con la punta massima in Campania con il 58% e il 63% ad Oristano e quella più bassa in Lombardia (48,7%) e a Ragusa (41%). Ma la spia più chiara che l’immigrazione è sempre più stabile sono i minori: in tutto quasi 1000.000 di cui oltre 500.000 nati in Italia. (932.675, dei quali 572.720 sono nati in Italia). I figli degli immigrati a scuola sono 670mila, il 7,5% della popolazione scolastica. Ogni giorno 70 italiani si sposano con un cittadino straniero, 163 stranieri diventano cittadini italiani, nascono 211 figli da genitori stranieri ed 1 abitante su 14 è straniero e su 10 disoccupati 1 è straniero. La totalità degli stranieri divenuti cittadini italiani è di circa 500.000. È straniero circa il 10% dei lavoratori dipendenti, ha un titolare straniero il 3,5% delle imprese, percentuale che sale al 7,2% se si considerano solo le imprese artigiane alle quali occorre aggiungere le cooperative di beni e servizi. Gli stranieri incidono per il 3,5 sulle imprese, per il 7% sui residenti, per il 7,5% sugli iscritti a scuola, per il 13% sulle nascite (se si considerano anche i nati da padre italiano e madre straniera si arriva al 16,5% si sale ancora di più se si considerano i nati da madre italiana e padre straniero) e per il 15% sui matrimoni. E vale al pena ricordare che gli immigrati nel nostro Paese contribuiscono alla produzione del Pil per l’11,1%. I lavoratori dipendenti sono il 10% degli occupati, le imprese con titolare straniero sono 213.267 al 31 maggio 2010, 25.801 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, le imprese cooperative contano 69.439 soci. Sostanzialmente gli immigrati versano nelle casse pubbliche, tra contributi previdenziali e tasse, 11 miliardi di euro l’anno, più di quanto ricevono in prestazioni sociali e servizi. Pagano 7.5 miliardi di euro di contributi previdenziali e dichiarano al fisco circa 33miliardi di euro. Nell’ultimo decennio, a fronte di un aumento di 2 milioni degli ultrasessantacinquenni, le persone in età lavorativa sono cresciute di solo 1 milione di unità e i minori fino a 14 anni solo di mezzo milione di unità. A metà secolo, secondo le previsioni di Istat e di Eurostat, con l’ipotesi di “immigrazione zero” l’Italia perderebbe un sesto della sua popolazione. Continuando i ritmi riscontrati in questo decennio, nel 2050 gli immigrati supereranno i 12 milioni e incideranno per il 18%.


STRANIERI DI NOME, ITALIANI DI FATTO: LE II GENERAZIONI Una questione nella questione che coinvolge quei potenziali “ Nuovi Italiani” che sono venuti in Italia da piccoli o addirittura sono nati qui e non hanno legami con i paesi d’origine dei loro genitori, è quella delle seconde generazioni. Esse costituiscono una parte consistente e ormai non ignorabile degli italiani di oggi e di domani. Non a caso un convegno promosso dalle Acli di Varese circa un anno fa titolava provocatoriamente : “Se da grande sarò italiano”. Un’espressione attraverso la quale gli organizzatori dell’iniziativa vollero cogliere al tempo stesso una speranza e una preoccupazione. Questi ragazzi, nel raccontare la loro esperienza di “cittadini senza cittadinanza “ dichiarano di sentirsi sostanzialmente sospesi tra due culture e giuridicamente condannati a vivere la loro adolescenza in un limbo giuridico. Sebbene il fenomeno delle seconde generazioni d’immigrati non sia sufficientemente conosciuto, le osservazioni che possiamo trarre dalle ricerche effettuate ci consegnano messaggi incoraggianti che sempre più configgono con l’atteggiamento che l’ordinamento e la politica riserva loro. Ovviamente il primo ambiente sul quale ha avuto impatto questa presenza è la scuola. La presenza di alunni stranieri varia dal 9% al Nord, il 7 al Centro e l’1,5 al Sud. Purtroppo questi ragazzi abbandonano la scuola e vengono bocciati più frequentemente rispetto agli italiani. Le ricerche ci dicono che i giovani stranieri subiscono ovviamente (come i loro omologhi italiani) forti pressioni dal mercato e dalla cultura corrente e quindi rivelano atteggiamenti esteriori simili a quelli dei giovani italiani. Ciò significa che non rappresentano certo un freno al progresso a alla modernizzazione del Paese. Li contraddistingue dai loro coetanei autoctoni un forte desiderio di farsi strada nella vita. Nel bene e nel male, sulla pelle delle seconde generazioni di stranieri si scarica il peso principale degli effetti delle nostre politiche migratorie. Se avessimo la pazienza e l’intelligenza di osservare i loro comportamenti e di ascoltare quello che pensano e sognano, potremmo comprendere meglio quale dovrebbe essere la direzione da imprimere alle politiche sull’immigrazione. La scuola non riesce ad affrancarli dai ruoli lavorativi dei genitori e a garantire loro mobilità sociale; un’ostinata rigidità sulla conservazione della nostra “identità” finisce per misconoscere le risorse di cui sono portatori (es. ragazzi stranieri che parlano 3 lingue costretti a imparare il dialetto per assomigliare di più ai nostri ragazzi); le difficoltà di accesso ai sostegni dello stato sociale gravano sulla famiglia immigrata e rendono più difficile l’accumulo di capitale sociale necessario per aiutare i figli a decollare nella vita; uno strisciante razzismo ancora pervade ampi settori della nostra società. Tutto questo mostra come il processo interculturale in Italia registri ostacoli e lentezze e come di conseguen-

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za la costruzione di una generazione aperta, forte, creativa, indispensabile al futuro dell’Italia, non sia sostenuta. Alla politica spetta il compito dunque di favorire per loro una procedura più semplice per l’acquisizione di una cittadinanza giuridico-formale piena.

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VALORI CONDIVISI SUI QUALI COSTRUIRE CITTADINANZA: IL PATTO ETICO A monte di tutto questo, dobbiamo identificare un punto di convergenza accettabile da tutti, italiani e stranieri, che funga da base di partenza per ogni riforma. E certamente non sbagliamo se identifichiamo questo principale fondamento giuridico a cui ancorare ogni politica, ogni intervento normativo e ogni azione, nella nostra Carta Costituzionale. Spesso la Corte Costituzionale ha ribadito che gli stranieri sono titolari dei diritti fondamentali menzionati nella Carta in quanto “persone” (occorrerebbe ricordare più spesso che il personalismo regge l’intero impianto della nostra Costituzione Repubblicana) e quindi anche a loro vanno riconosciuti quei diritti che a una lettura formale del testo sembrerebbero garantiti solamente ai cittadini italiani. Ciò si deve alla filosofia che ispira il testo del ‘48 e che si radica in quella visione del mondo che vede al centro la persona umana e in essa accomuna tutti gli uomini e le donne senza distinzione. Anche l’art. 10 comma 3 della Carta invita a mantenere su questo punto una apertura. Qui si dice infatti che : “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. La Costituzione dunque, con il suo sapiente elencare e bilanciare i diritti fondamentali che lo Stato italiano intende riconoscere e garantire a chiunque, costituisce valida base di incontro tra i diritti dei cittadini e dello Stato ospitante e gli stranieri che - per vari motivi (spesso indipendenti dalla loro volontà) - intendano stabilirsi sul nostro territorio. Anche a questi ultimi si può chiedere di aderire e riconoscersi in questo testo. Da più parti si è invocata la necessità di un patto, un accordo che vincoli chi arriva da noi al rispetto di determinati valori e al rispetto di specifici doveri. A questo scopo può funzionare egregiamente la nostra Costituzione senza che occorra inventarsi altri testi o altre liste di diritti e doveri (vedi accordo di integrazione o permesso a punti). Se desideriamo che la nostra società si conservi e prosperi secondo i suoi valori più propri, non abbiamo che da chiedere il rispetto della Costituzione - prima di tutto a noi stessi - e poi a tutti coloro che desiderano far parte della nostra comunità nazionale. Oltre al rispetto per la dignità della persona umana, riprenderebbe il giusto peso il ruolo di valori come la “legalità”, la


“solidarietà”, la famiglia, il lavoro, la vita associativa, la partecipazione democratica alla gestione della cosa pubblica e altri valori del nostro patrimonio. CHI SONO GLI ITALIANI A 150 ANNI DALL’UNITÀ In questa prospettiva immaginiamo gli italiani di oggi e di domani. Il 17 marzo del 2011 l’Italia ha compiuto 150 anni. È certamente una data che rappresenta una tappa importante per l’Italia che deve portare ancora a compimento il processo unitario. Potrebbe essere utile in questo periodo di celebrazioni, aprire un dibattito serio sull’identità del Paese, non mediato da sentimenti di parte. È l’occasione per gli italiani di interrogarsi sulla loro identità e magari per accorgersi che essi stessi sono figli di un’identità meticcia (basti pensare alle tradizioni, ai dialetti e alle culture diverse presenti nei territori). Scavando nel nostro passato forse ci accorgeremo che l’Italia del 17 marzo del 1861 coltivò innanzitutto il sogno di saper unire le ricchezze e persino le povertà di un Paese che solo più avanti nella storia si sarebbe riconosciuto in un patto sociale e in una Patria. Il 17 marzo del 1861 nasceva così un processo che avrebbe portato gli italiani a identificarsi in comuni valori e in simboli nei quali, più o meno tutti, ci riconosciamo. Fu il tentativo riuscito di un popolo, non di una élite, di pensare che nel cammino difficile della storia, nell’incontro di diversità e di culture, sarebbe cresciuta l’Italia che conosciamo. Nella Repubblica e nella Costituzione scolpimmo poi le regole di un Paese democratico che riconosce il diritto universale di ogni donna, di ogni uomo, di ogni persona di poter contribuire a migliorarlo. Se il centocinquantesimo è anche l’occasione per parlare di come è cresciuta l’Italia in un secolo e mezzo ma soprattutto di come vorremo cresca l’Italia del futuro, costruita attorno a diritti e a regole condivise, non

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ci possono essere perimetri esclusivi. Così lo spazio di definizione di una nuova patria comune si allarga e nasce da un nuovo patto etico che chiama a partecipare tutte le persone (italiane o straniere) che nel Paese lavorano, vivono e sognano di vederlo crescere.

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ACLI/US ACLI PERCORSI INTEGRATI CON I CITTADINI IMMIGRATI Le Acli hanno imparato a conoscere e concepire il mondo come uno spazio in cui le persone e i lavoratori si muovono per trovare migliori condizioni di vita. Quella scelta che 66 anni fa spinse l’Associazione a seguire gli italiani in una terra che non gli apparteneva, oggi l’aiuta a capire meglio di altri le grandi trasformazioni che il Paese sta attraversando e quando il fenomeno migratorio rappresenti una sfida ineludibile. Sebbene dall’eco delle cronache giunga più facilmente il racconto di situazioni di degrado e di conflitto tra cittadini italiani e cittadini stranieri, nella quotidianità dell’incontro tra le persone, anche grazie alle esperienze promosse dalle Acli, si attenua la distanza culturale che spesso rappresenta la prima barriera da superare nell’accoglienza dell’altro. Lentamente, nella ricchezza del confronto tra culture, etnie e religioni diverse, il Paese sta sperimentando una propria via alla convivenza sulla quale si fonderà l’Italia del futuro. In un passaggio che qualcuno ha definito epocale per la società italiana, a partire dalla loro vocazione educativa le Acli sono impegnate a svolgere i compiti che più le sono congeniali: rigenerare i legami sociali nella comunità nazionale e nelle comunità locali, promuovere riforme di civiltà e di diritto che considerino prioritariamente la centralità della persona umana e tutelare la dignità sociale e del lavoro attraverso percorsi inclusivi e di cittadinanza. Dentro questa ri-declinazione storica dell’impegno associativo, va orientata l’attenzione di tutte le componenti organizzative, da quelle più immediatamente di servizio, a quelle più specificatamente orientate ad una mission ludico-ricreativa e socio-culturale alla quale risponde il progetto dell’US Acli “Cittadini attraverso lo sport”. L’esperienza, che ha avuto un esito inaspettato soprattutto per la sua capacità di avviare processi d’integrazione sportiva da nord a sud con gruppi etnici differenti, va segnalata tra le iniziative da riproporre in futuro come buona prassi, dove l’interculturalità più che essere “predicata” è stata “praticata”. Attraverso lo sport e la promozione delle attività motorie si possono facilitare i processi di socializzazione e di incontro che educano ad accettare le differenze e ad apprezzarne la diversità. E per quanto valga la pena ricordare che gli effetti più cruenti della xenofobia e del razzismo si ripetono negli stadi di calcio, è altrettanto opportuno rivalutare il valore educativo degli spogliatoi, nei quali atleti sempre più spesso


di diverse nazionalità condividono una strategia di squadra. È così che il linguaggio dello sport rende più facile comunicazioni altrimenti improbabili, avvicina mondi e ci aiuta ad insegnare e ad imparare con più facilità ciò che normalmente troviamo difficile apprendere in altre circostanze della vita sociale. Nel suo nome si condividono e si accettano regole comuni e ci si educa reciprocamente a comportamenti che anche fuori dall’attività agonistica possono contribuire a far crescere società nelle quali l’appartenenza a valori etici condivisi, si rafforza. Per questo credo che l’esperienza dell’US Acli che ha una sua specificità educativa, possa rappresentare un elemento di novità nel panorama degli enti di promozione sportiva che affollano il composito universo associativo. Non una proposta di attività ludico-motoria qualunque ma orientata a radicare soprattutto tra i giovani una domanda di cittadinanza consapevole e di rispetto verso ogni forma di diversità. Sconfiggere la propedeutica razzista che in questi anni si è fatta strada in Italia e la tendenza a colpevolizzare lo straniero a prescindere dal suo status sociale o politico, è stato uno degli impegni più importanti che l’Associazione ha assunto. Si tratta ora, anche attraverso la nostra proposta di sport per tutti, di rilanciarla a partire dalle peculiarità di cui l’US Acli è portatrice. Se lo sport è un diritto universale di cui ogni bambino, ogni donna e ogni uomo non può essere privato, anche di qui si deve partire per riproporre il tema del diritto alla cittadinanza come centrale nelle scelte politiche che il Paese è chiamato a fare. Come abbiamo già rilevato, in Italia circa un milione di ragazzi, giuridicamente stranieri ma italiani di fatto, sono privati delle più elementari possibilità di vivere, come i loro coetanei, una vita normale. A questi non è riconosciuto neanche il diritto di svolgere regolarmente a livello agonistico attività sportive. Forse tra loro ci sono nuove stelle del calcio, della danza sportiva o del nuoto internazionale, ma per la legge italiana finché non avranno raggiunto la maggiore età, non potranno alzare un trofeo o indossare la maglia di un club e della nazionale dell’unico Paese che conoscono perché vi sono nati o nel quale sono cresciuti e hanno studiato. Per questi, per quelli che in queste ore stanno nascendo in qualche ospedale italiano e per quelli che giungeranno nelle prossime ore attraverso le strade impervie sulle quali da sempre l’umanità cammina alla ricerca di libertà e di vita, sarà importante l’impegno delle Acli e dell’US Acli. *Responsabile Area Immigrazione Presidenza Nazionale Acli

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Nuove culture: una lettura antropologica Giovanna Guerzoni*

AD UNO SGUARDO ANTROPOLOGICO, CONSIDERARE LO SPORT COME “AZIONE PERFORMATIVA” SIGNIFICA CERCARE DI FOCALIZZARE L’ATTENZIONE SUL PIANO DEI PROCESSI, CONSIDERARE IL MODO IN CUI LE CULTURE VANNO MODIFICANDOSI E RIORGANIZZANDOSI, PARTENDO IN PRIMO LUOGO DALL’AZIONE DEI SOGGETTI.

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STORIE PLURALI L’importanza dello sport come spazio (e motore) di azioni performative (Turner, 1993): il contesto sociale è evidente in grandi come in piccole situazioni, o dovremmo dire, è questo il contesto in cui si rende, forse, più evidente come siano le piccole azioni di dettaglio ad essere il cuore di importanti cambiamenti sociali. È quanto ci racconta un bel film di Clint Eastwood (Invictus, uscito qualche anno fa), attraverso il Sudafrica e il rugby; ovvero, di come una giovane nazione sudafricana abbia potuto avviare, attraverso lo sport e l’allora neo Presidente Nelson Mandela, un processo di riconoscimento della uguale dignità di gruppi ed etnie diverse in uno dei contesti multiculturali più drammaticamente lacerati del mondo, la nazione dell’apartheid e delle sanguinose rivolte dei neri contro l’oppressione di una delle comunità bianche più razziste della storia. Un paese che vive quelle fasi cruciali della storia in cui una generazione si divide tra chi ha finalmente in mano la possibilità di voltare pagina e di riscrivere il destino della propria comunità e chi rincorre il passato temendo di essere spazzata via dalla storia. È la storia della nazionale di rugby da sempre considerata, da ambo le parti, come lo sport della classe dominante bianca rivolta alla sua comunità - ricca bianca e colonizzatrice - che diventa lo scenario dove si gioca la possibilità di cambiamento di un’intera nazione; perché nello sport riconoscere la superiorità di chi esce vincitore non ha a che fare né con il potere politico né tanto meno con la razza ma con la giustizia, con la tenacia; ma anche con il senso di giustizia, con il senso di solidarietà e di appartenenza a una nuova comunità e a una nuove epoca; ma anche con la capacità di saper guardare alla storia e agli errori - drammatici - per inventarne il loro superamento. Così, rifondare una nazione coincide con un processo di rinegoziazione identitaria che si gioca nell’azione sportiva dove ricostruire la squadra di rugby coincide con il ricostruire una nuova identità questa volta necessariamente plurale. Ma anche con il ricostruire un nuovo tessuto identitario della nazione.


Ad uno sguardo antropologico, considerare lo sport come “azione performativa” significa cercare di focalizzare l’attenzione sul piano dei processi, guardando più le dimensioni di processualità e di dinamicità sul piano sociale che quelle di “prodotto” o di autoaffermazione; considerare il modo in cui le culture vanno modificandosi e riorganizzandosi a partire dall’azione dei soggetti, dalle discrepanze interne, dall’emergere dei conflitti che vedono nello sport un contesto delimitato da regole precise e un suo radicamento sociale ma anche, soprattutto oggi, quello specchiarsi identitario che utilizza le narrazioni televisive e mediatiche attraverso cui lo sport vive una sua continua rappresentazione spettacolare. Turner afferma che la performance, quanto il rito, non è specchio riproducente la società in cui è inserito; ovvero che la sua azione non è riflettente il sociale quanto piuttosto “riflessiva”: non riflette la società ma riflette sulla società. In questo senso non è forse un caso che Turner sembri utilizzare indistintamente ed in modo apparentemente “con-fuso” il termine performance sia come prodotto (per Tuner uno spettacolo teatrale, una produzione artistica, nel nostro caso, un momento sportivo come “fatto sociale totale” direbbe M.Mauss) sia come processo, come quel particolare percorso caratterizzato da fasi che porterà poi ad un qualche scopo di “finale” sul piano della performance individuale o di squadra, una sorta di sintesi entro cui diventa utile considerare il processo riflessivo come “campo” necessariamente più ampio, sociale e culturale. MONDI GLOBALI, COMUNITÀ LOCALI Descrivere il mondo plurale e globalizzato in cui abitiamo, la complessità dei processi sociali e culturali di cui siamo partecipi è compito assai difficile. E non è secondario considerare come, anche per l´Antropologia Culturale, l’analisi dei “mondi contemporanei” sia stata a lungo considerata una sfida difficile, tanto da aprire, ai suoi inizi, un dibattito che taluni non hanno esitato a definire come “lacerante”. Ridefinire lo sguardo antropologico dai territori della lontananza a quelli della prossimità - dallo studio delle culture “altre” al “qui” delle migrazioni verso l’Occidente, alle tematiche della marginalità sociale, alle pratiche e alle rappresentazioni di quella pluralità di storie, identità, culture differenti che popolano e trasformano i contesti urbani - ha obbligato a un profondo ripensamento del quadro teorico-metodologico dell’Antropologia, alla necessità di individuare nuovi strumenti di indagine, nuovi apparati concettuali (Callari Galli 2000; Kilani, 1996; Marcus e Clifford 1997; Matera, 2004; 2007). Questa difficoltà sembra nascondere, in un certo senso, un paradosso: come mai una scienza che ha inteso elaborare e fondare il proprio sguardo sull´analisi delle differenze culturali, sullo studio dell´altro, si è trovata in difficoltà - a parere di alcuni attraversando una vera e propria profonda crisi episte-

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mologica - proprio nel momento in cui andava affermandosi il “mondo delle differenze” a livello planetario? Il dibattito antropologico relativo a questa fase di ripensamento avviata dalle trasformazioni socioculturali proprie alla contemporaneità sembra corrispondere alle criticità proprie al pensiero occidentale relative alla stessa pensabilità dell’ “altro”, descritto e definito più dal suo radicarsi in territori lontani, dal suo essere territorialmente - oltre che culturalmente - “esotico”, che colto nelle relazioni tra differenze che compongono la contemporaneità. Oggi, la constatazione della trasformazione in senso multiculturale dei contesti occidentali si inserisce in uno scenario globale e complesso che coinvolge, seppur attraverso modalità differenti e al tempo stesso specifiche, l’ “altrove” e il “qui”, e che induce a riflettere su una serie di implicazioni rilevanti in merito a diversi contesti, da quello educativo ai diversi contesti sociali come quello sportivo. I “mondi plurali” sono parte della nostra esperienza quotidiana, orientano gli stili di vita che ci accomunano - noi e gli altri - sia che si realizzino negli spazi delle grandi città o nei quartieri delle piccole province. Ed è ormai consapevolezza diffusa - di molti, se non di tutti - di quanto pluralità e multiculturalismo non costituiscano più lo scenario delle grandi città, o di quelle più cosmopolite, ma del nostro stesso “microcosmo” e delle relazioni complesse e difficili del mondo contemporaneo in cui sono intrinsecamente connessi processi globali dell´economia, degli stili di vita, della mobilità, dei mass media e il loro riverberarsi sul locale, sul “qui”, facendo del “noi”, uno spazio necessariamente meticcio. Abitiamo un’imperante globalizzazione dei mercati e del lavoro ma abitiamo anche in un flusso di immagini che continuamente scrivono e riscrivono eventi planetari che si succedono sempre più rapidamente, in cui l’evento locale si dilata al pianeta e, al tempo stesso, implode nella velocità delle sovrapposizioni, dei racconti, delle rappresentazioni (Callari Galli, 2000; Augé, 2006). Ma questo risulta più evidente nello sport, uno sport che è esperienza individuale e collettiva, che abita gli spazi della città (“dentro e fuori” le mura degli impianti) ma che fa i conti con la sua rappresentazione: gli eventi ritualizzati (la domenica sportiva), del calendario (es. il giro d’Italia), i grandi eventi (basti pensare alle Olimpiadi, ecc.) e anche con la storia di sportivi che oggi sembrano, nelle narrazioni televisive e nell’immaginario collettivo, vivere più simili a divi del cinema che per lo sport che fanno (presenti dagli spot pubblicitari, al gossip, al cinema ecc.). Così, la testata di Zidane - ci spiega Sergio Manghi - non costituisce una semplice “reazione aggressiva” alle tensioni di una finale ma si ridefinisce come evento simbolico della relazione tra cittadinanza e la stessa idea di nazione: è la storia di una “seconda generazione” che vive con ambivalenza la propria “cittadinanza”, quasi fosse centrata solo attraverso una biografia di successo.


Anche nello sport - agito e narrato - l´altro non è più colui che vive oltre i confini del nostro territorio; che abita i territori “fuori dalle mura”, oltre i confini del nostro mondo e della nostra cultura; l´altro è qui, abita con noi le città e i mondi contemporanei, è parte integrante di quel ridefinirsi continuo di pratiche, rappresentazioni, valori e immaginari che qualificano il mondo in cui abitiamo come forma di vita globale e singolare al tempo stesso. Le trasformazioni in senso multiculturale della società italiana e globale incidono su piani e tematiche differenti: ad esempio, sui diritti di cittadinanza, sui processi di precarizzazione del lavoro che incidono sulle opportunità di vita delle generazioni future e sui tempi di vita quotidiana, attuando spesso una segmentarizzazione sempre più violenta della vita sociale urbana, che finisce per portare all’isolamento sociale e culturale di molte famiglie migranti (e non). Tali orientamenti nei processi socioculturali si declinano in modo specifico se si considerano i diversi ambiti in cui si svolgono i processi di crescita e di educazione nella contemporaneità; tra cui uno centrale per le sue potenzialità sia sul piano dell’ esperienza di incontro tra culture differenti che su quella di trasformazione (performativa) nel più ampio contesto sociale e culturale, quale quello sportivo. E d’altra parte non possiamo evitare di fare anche considerazioni necessariamente relative alle dinamiche conflitttuali, anch’esse globalizzate, che caratterizzano la nostra epoca, in particolare negli ultimi anni, da quando cioè la storia planetaria è stata travolta dalla tragedia delle due torri (Callari Galli, Guerzoni, Riccio, 2006); la violenza dei conflitti planetari in atto ha aggiunto alle tragedie umanitarie che quotidianamente avvengono, una “violenza strutturale” (Farmer, 2003) determinata dalla progressiva percezione di instabilità e insicurezza globale: che si declina a dimensione locale e toccando gli spazi della quotidianità, in particolare sul piano delle relazioni interculturali, ai modi e alle forme di pensare e incontrare l’altro ma presente anche nelle narrazioni dei media, nella retorica politica.

Antonio Di Pardo

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Analizzare e descrivere questi scenari significa ammettere che tali processi socioculturali incidono sulla stessa idea di cultura e sulle politiche e strategie di intervento di incontro con l’altro anche per quanto riguarda i contesti del tempo libero e dello sport che possono (forse debbono) essere considerati per le loro potenzialità di trasformazione sociale in senso inclusivo. Come ci ricorda Matilde Callari Galli (Callari Galli in Matera, 2004) va in crisi l’idea di cultura e di “alterità” che si basava sull’esatta corrispondenza tra territorio, comunità, cultura (Callari Galli 2000): “gli antropologi hanno tentato di combattere ogni tendenza che essenzializzi la cultura, che consideri cioè le differenze come entità monolitiche e immutabili. (…) chiedendo di non evidenziare solo le differenze ma di seguire anche gli andamenti delle uniformità così come hanno sostenuto la necessità di individuare i caratteri che nei diversi gruppi assume la distribuzione dei modelli, degli stili, degli ethos culturali. (…) opporsi alla tendenza comune - dominante nei mass-media e nel dibattito politico - a deificare la realtà sociale mettendo in ombra i suoi caratteri processuali, i suoi aspetti polifonici e le sue aperture alle commistioni, ai cambiamenti” (Callari Galli, 2007). In un mondo in cui merci, individui, intere comunità - ma anche immagini, stili di vita, linguaggi - migrano continuamente da un punto all´altro del pianeta, in cui strategie migratorie diversificate ridisegnano forme plurali di appartenenza, di costruzione identitaria, modi diversi di restare in contatto tra paese di approdo e paese di origine, l’alterità - le sue norme, i suoi valori, il suo gusto estetico - non è più riducibile dentro le maglie di un’appartenenza univoca alla cultura locale originaria; identità e relazioni con l’altro sono piuttosto il frutto di “culture in movimento”, dislocanti in modo reale - talvolta virtuale - attraverso territori differenti, messe in campo in quel tessuto di relazioni complesse in cui ciascuno di noi con la sua identità, storia, lingua si inscrive. È nella processualità dei modi di agire e pensare l’altro - in quell’incrocio continuo tra noi e gli altri - che si rielaborano continuamente forme differenti di costruzione identitaria sia di chi migra sia di chi nasce e cresce in un territorio ma che con il migrante condivide la velocità di cambiamenti globali e locali in cui siamo immersi. Questi processi assumono caratteristiche specifiche nello scenario della città: è la città il destino di vita ormai della maggior parte degli esseri umani, a differenza del passato (Callari Galli, 2007). Eppure niente appare oggi oggetto di trasformazioni profonde e rapide quanto la città: le città si trasformano sotto diversi profili e in particolare si ridefiniscono come spazi multiculturali e di riterritorializzazione identitaria entro cui emergono nuovi soggetti sociali (talvolta nuovi soggetti politici) costituendosi allo stesso tempo come “zone di confine “ e di attraversamenti; è la stessa nozione di città, di polis come spazio comunitario ma anche come luogo delle politiche e dell’agire sociale quoti-


diano proprio alla cultura occidentale, ad entrare in crisi e, con essa, a immettere nuove forme di partecipazione della città; né appare sufficiente dilatare lo spazio della città con suoi “derivati” moderni metropoli, megalopoli: alle porosità dei confini esterni corrisponde, al suo interno, il ridefinirsi della dicotomia di centro/periferie. Processi di ridefinizione urbana e del territorio evidenti sia dentro che fuori della città (in grado di riscrivere in un qualche modo gli stessi “confini” che segnano il dentro/fuori della città); è, ad esempio, la presenza delle più numerose comunità pakistane e bangladesi della regione Emilia-Romagna nelle campagne tra Correggio e Cremona o, su un altro fronte, nello spopolamento dei centri storici - “luoghi” culturali in cui si esprime una comunità e la sua memoria culturale collettiva - verso nuovi spazi abitati questa volta in modo fluido e discontinuo; quelli, ad esempio, dei “non luoghi” artificiali e continuamente “ri-editati” delle outlet delle periferie. Ed è negli spazi urbani che occorrerebbe ricollocare una buona parte dell’esperienza sportiva alla luce di un processo necessariamente di tono multiculturale, da qualificare come occasione di incontro tra culture e storie differenti in grado di riappropriarsi dello spazio urbano. Solo in questo senso lo sport può ambire a diventare un’occasione di empowerment, di conoscenza e di riappropriazione, specie da parte delle giovani generazioni, dei diritti di cittadinanza vissuti nella tensione tra valori universali e visione culturalmente differenti da “mettere in campo” in una situazione concreta come quella dello sport. Interessante a questo proposito la recente redazione di una Carta Europea delle donne nello sport.

Cesare Fancelli

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“SECONDE GENERAZIONI” E PRATICHE SPORTIVE Le palestre sono oggi uno dei “territori della contemporaneità” nei quali si rendono visibili i cambiamenti del tessuto socioculturale della società italiana ma al tempo stesso in cui è possibile conoscersi e riconoscere percorsi di vita dei giovani migranti attraverso cui si dà senso alla vita in Italia e a nuove forme di coesione - e di conflitto - sociale. F. Antonelli e G. Scandurra (F. Antonelli, G. Scandurra, 2010), in una recente ricerca etnografica, svolta in una palestra di pugilato di Bologna, mostrano come dalle interviste condotte con gli attuali giovani frequentatori della Tranvieri, emerga la differenza tra la prima generazione di boxer, i quali hanno rappresentato la palestra durante il periodo d’“oro” del pugilato bolognese e nazionale, tra gli anni ’50 e gli anni ’80, e il gruppo di atleti che oggi si allena in palestra1. Oggi, alla Tranvieri combattono altri pugili, per la maggior parte stranieri, che non hanno vissuto questo periodo. Le storie degli attuali pugili della palestra fanno emergere i problemi e le difficoltà reali che comporta una carriera da boxer e decostruiscono il mito del pugilato bolognese durato fino alla fine degli anni Settanta. Confrontando le parole dei primi, con quelle dei boxer protagonisti della nostra ricerca, non sono affatto dissimili le ragioni che hanno spinto questi ultimi a entrare in palestra. I giovani pugili della Tranvieri sono adolescenti, dai 12 ai 25 anni, che in parte frequentano la scuola, gli istituti tecnici della Bolognina, in parte sono alle prese con le prime esperienze nel mondo del lavoro. Molti abitano nel quartiere e qui passano buona parte del loro tempo libero. La squadra di pugili della Tranvieri, fra novizi e ragazzi che hanno già qualche anno di esperienza di incontri agonistici alle spalle, è costituita da circa 30 ragazzi, dei quali meno di un terzo sono di origine italiana - nella maggior parte dei casi spesso meridionali - mentre la maggioranza è costituita da giovani di seconda generazione di origine magrebina. Ma ci sono anche romeni, albanesi, eritrei, camerunesi, greci, etc.. Nei loro racconti la volontà di praticare la boxe è risultata sempre rispondere a un bisogno di sfogo, di autodisciplinamento corporeo o di socialità.

Ho 19 anni appena compiuti, ho iniziato circa un anno e mezzo fa. Ho iniziato perché avevo dei problemi in casa e l’unico posto dove mi trovavo a mio agio era questo. Fuori…Dove potevo sfogarmi, dove avevo più respiro era la palestra. Ho fatto questa scelta perché al posto di andare in giro a fare il bullo ho deciso di venire in palestra inizialmente senza nessuna intenzione di combattere. (Anuar) Per quello ho iniziato ad andare in palestra, il motivo principale sono state sempre le solite discussioni fra mia madre e mio padre…mi davano sui nervi e andavo fuori, e mi dovevo sfogare con qualcosa… fu-


mare mi faceva schifo, bere lo odiavo, stare a ballare fuori sabato e domenica e basta…altre cose non le avevo e allora…incontro Yassine che mi dice: “Vieni a dare due pugni al sacco in palestra che ti fa bene!”. Yassine l’ho conosciuto in discoteca, io ero andato a fare un giro, lui stava litigando con dei tipi e io gli diedi una mano… me lo ricordo che alla fine mi ha detto “Merda, ma che mani c’hai?”. (Kalhed) I racconti di giovani boxer come Anuar e Kalhed sono pieni di riferimenti a tensioni che questi ragazzi vivono dentro la famiglia, in un ambiente scolastico scoraggiante e vissuto in modo conflittuale, per via di esperienze lavorative fallimentari dove la maggior parte di loro ha capito il significato della parola insuccesso. Le pratiche di vita quotidiane di Kalhed e Anuar, due giovani atleti di origine magrebina, sono le stesse di altri loro compagni di palestra nati in Italia ma senza cittadinanza, che vivono quotidianamente la Tranvieri una volta finito il tempo della scuola, del lavoro, delle responsabilità famigliari. Il rispetto costituisce per questi giovani pugili un valore fondamentale. La Tranvieri, allora, anche se non sempre in modo consapevole, si configura come una scelta motivata perché permette a questi ragazzi di sentirsi rispettati, di provare il proprio valore, di dimostrarsi forti senza il carico di autodistruzione che lo sfogo e l’affermazione di sé in forme aggressive produrrebbero in altri contesti, come emerge dall’intervista a un altro pugile di origine marocchina. Il progetto “Cittadini attraverso lo sport”, di cui questo testo racconta, ha messo in campo in tutto il territorio nazionale importanti esperienze sportive locali (Agrigento, Padova, Imperia e molte altre) come occasioni per incontrare persone con storie, culture, identità, differenti sperimentando azioni di inclusione sociale ma, soprattutto, la possibilità di realizzare inclusione attraverso il riconoscimento dei diritti di cittadinanza; è innegabile che la “questione dei diritti di cittadinanza” per gli stranieri sia una questione ancora su troppi aspetti drammaticamente aperta, specie per le cosìdette “seconde generazioni”; e nonostante questo, costruire situazioni in cui le persone si riconoscono per una passione comune prima che per le loro origini è un passo importante. Lo sport come la scuola si trova a fare i conti e ad agire in un ambiente sempre più plurale, in cui il corpo diventa lo spazio per il riconoscimento della differenza. Praticare una disciplina sportiva costituisce un co-costruire relazioni significative che fanno della differenza una risorsa, lo spazio per sperimentare la possibilità reale di ospitalità e di innovazione, a condizione di riconoscere e sperimentare i forti legami tra esperienze sportive e contesto sociale. Il piacere dell’incontro e della comunicazione nella differenza e attraverso la differenza, costituisce oggi per le donne un’esperienza centrale che vede come protagonista nuove visioni della corporeità. Il dibattito politico attraversa proprio sul piano del “genere”

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una fase importante che punta e mettere in discussione pratiche e rappresentazioni del corpo femminile sempre più viste come strumentali a una posizione, inaccettabile, di interiorizzazione e spesso, di discriminazione della donna nella società italiana. La multivocalità di danze e di tecniche del corpo che si diffondono dalle culture non occidentali nei paesi europei, dimostra l’attenzione per una nuova visione nel rapporto tra corporeità e benessere che definisce di per sé uno “spazio di incontro”. Condividere un destino multiculturale ha radici nel passato più di quanto pensiamo, ma necessita della capacità e della passione per la riscoperta di sé stessi nella relazione con l’alterità: lo spazio del gioco e dello sport sono, da sempre, uno spazio di incontro a cui dare - proprio per la sua importanza - voce e occasione di riflessività. * Antropologa Culturale, Università di Bologna

NOTE 1

Fino alla fine degli anni Settanta, quando il pugilato, anche a livello nazionale, era tra gli

sport più seguiti a Bologna, la società pugilistica della Bolognina riusciva ad organizzare riunioni di boxe quasi ogni settimana contando, prima, su pugili che uscivano dall’esperienza della Seconda Guerra, poi su una seconda generazione di iscritti buona parte dei quali riuscì a fare il salto da professionista. Oggi la palestra riesce ad organizzare tre manifestazioni annuali di boxe in città.

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L’attenzione alla salute nei processi di integrazione PER

LE CONDIZIONI DI VITA E DI LAVORO IN CUI SPESSO SI TROVANO,

LA SALUTE DEGLI IMMIGRATI CORRE PIÙ RISCHI. LA SALUTE VA PROMOSSA.

ANCHE

MA

COME OGNI DIRITTO,

ATTRAVERSO LO SPORT.

Massimo De Girolamo *

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DALLA TUTELA ALLA PROMOZIONE “Cittadini attraverso lo sport” ha previsto nel suo percorso un passaggio importante: quello della tutela sanitaria e della prevenzione dei partecipanti al progetto. La ragione è evidente. Tutelare la salute, evitando che un rischio si trasformi in un evento potenzialmente lesivo, è un diritto e un dovere per tutti coloro che praticano o si avviano a praticare attività sportive. Tutela e prevenzione sono aspetti essenziali del contesto sportivo perché hanno a che fare con la sicurezza delle persone e con la loro salute. E su un piano più complessivo la questione “salute” è particolarmente rilevante; una questione centrale che sta alla base e motiva le offerte più qualificate e più socialmente sensibili dello sport per tutti, a misura di ognuno. Ben sappiamo che in generale, lo sport non è automaticamente sinonimo di salute, di benessere psichico e fisico della persona che lo pratica perché tutto dipende dal “come” e dal “perché” si intraprende un’attività sportiva, da quali obiettivi vengono posti e promossi. Per questo, così come riconosciamo le tante potenzialità dello sport, tra cui quella di essere strumento positivo all’interno di processi di integrazione sociale, nello stesso modo crediamo che sottoporre i destinatari del progetto ad una visita medico sportiva completa per verificarne l’idoneità alla pratica, possa e debba essere anche il primo passo verso il sostanziale irrinunciabile obiettivo di promozione della salute. Passare dalla tutela (necessaria) alla promozione, significa da un lato rafforzare o acquisire consapevolezza che la salute è un diritto; dall’altro conseguire la capacità di affrontare la propria salute in maniera autonoma e responsabile (stili di vita, prevenzione e diagnosi precoci …). Un obiettivo per tutti ma particolarmente importante per i cittadini immigrati, soprattutto quelli il cui ingresso in Italia è più recente. Lo sradicamento dall’ambiente di origine e la necessità di una nuova organizzazione della vita, possono infatti generare diversi pericoli per la salute. IL CONCETTO DI SALUTE Per molto tempo si è spiegato il concetto di “salute” con l’espressione “assenza di malattie”, “stare bene” o più semplicemente non essere malati. Negli ultimi anni tuttavia si è compreso come questa definizione


non possa bastare. Non è un caso che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) abbia definito la salute come “la realizzazione per tutte le donne e gli uomini di tutte le proprie potenzialità fisiche, psichiche e culturali”. Ciò significa che possiamo parlare di persone “realmente” sane soltanto quando queste persone riescono a realizzarsi nella loro interezza. Difficile ma potenzialmente non impossibile. È evidente che “essere in salute” indica un processo di adattamento, vale a dire la capacità di adattarsi alle modifiche dell’ambiente in cui si vive. Altrettanto chiaro che la salute non dipende solo da noi perché non viviamo isolati ma ci collochiamo in un sistema di relazioni: primo di tutto con noi stessi e poi con gli altri. MIGRANTI E SALUTE L’impatto tra culture diverse porta da un lato nuove conoscenze ed esperienze, dall’altro produce incertezze, disorientamento, conflitti. La persona che è nella condizione di migrante si trova ad affrontare profondi cambiamenti che finiscono con l’incidere sulla sua identità culturale. Sono quindi molti gli elementi che causano insicurezze, inquietudine, sfiducia e che contribuiscono non solo all’insorgere di malattie ma anche a originare forme di resistenza alla cura con metodi non riconosciuti perché diversi da quelli della propria cultura di riferimento. Di queste dinamiche è necessario tener conto quando si parla e ci si muove sul fronte della “promozione” della salute di cittadini emigrati nel nostro paese, soprattutto quelli provenienti da realtà culturalmente molto diverse dalla nostra. In effetti le statistiche - non solo italiane - mostrano che all’ingresso, la grande maggioranza degli immigrati è sostanzialmente sana e non presenta disturbi o affezioni di rilievo. Questo è evidente considerando il fatto che oltre il 70 % degli immigrati ha meno di 30 anni ed è in grado di affrontare i rischi di viaggi non facili quando non decisamente drammatici. Considerando gli immigrati provenienti dal Sud del mondo, anche l’incidenza delle principali malattie tropicali d’importazione, risulta statisticamente irrilevante. È solo a distanza di qualche tempo che chi cerca una vita diversa in Italia o comunque in Europa, incomincia ad ammalarsi per le condizioni in cui purtroppo spesso si trova a vivere: condizioni abitative, igieniche, alimentari e psicologiche disagiate. Lontano dalle proprie relazioni significative e dalle proprie speranze. LA SALUTE È UN DIRITTO Che la salute sia un diritto di tutti è affermato dalla Costituzione italiana: ”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti” (Art. 32) mentre poco più avanti, l’art. 53 sottolinea che “tutti so-

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no tenuti a collaborare al mantenimento della salute” in rapporto alle loro diverse capacità contributive ma anche osservando i comportamenti richiesti nell’interesse collettivo. Il diritto alla tutela della salute e la sua inalienabilità trova riconoscimenti precisi nelle stesse norme giuridiche internazionali la cui prima fonte autorevole è senza dubbio la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 che, dopo aver sottolineato nell’art. 1: ”Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti […], precisa: “Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari […]” (Art. 25). L’esperienza ci dice che spesso questo diritto, affermato in maniera così forte sulla carta, nella vita di ogni giorno non è realmente garantito a tutti. Per esempio alle fasce più deboli della popolazione, ai “nuovi poveri” (gruppi di pensionati, famiglie a monoreddito, disoccupati, precari, solo per citarne alcuni); ed oggi, con più evidenza che nel passato, ai cittadini immigrati provenienti da paesi non europei o neo-europei.

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CHE COSA PUÒ FARE LO SPORT Fare movimento, ri-crearsi, stare bene con gli altri, “stare bene” con se stessi. Lo sport può fare molto sul piano della lotta all’emarginazione e all’esclusione anche contribuendo a produrre sentimenti soggettivi appaganti sia del nuovo (l’immigrato) sia del vecchio (l’autoctono) cittadino. Movimento e sentimenti positivi lavorano a promuovere lo sblocco fisico e psicologico di quanti sono condizionati fortemente dalla proprie situazioni di vita anche se tutto questo non basta se mancano politiche oggettive di inclusione. Occorre che tutti si coinvolgano, istituzioni, forze sociali, singoli cittadini. Le stesse associazioni sportive sono richiamate dall’Unione Europea a muoversi nel loro specifico per diventare strumenti di integrazione. E l’integrazione passa anche attraverso la difesa del diritto alla salute. Per questo “Cittadini attraverso lo sport” riflette e incorpora in particolare, uno dei tre obiettivi del Programma biennale Sport&Salute dell’Unione sportiva Acli. L’obiettivo della sicurezza (accanto a quelli dell’educazione alla salute e dell’anticipazione diagnostica) che si realizza riscoprendo “la visita di idoneità sportiva non come un obbligo di legge ma come uno strumento utile per conoscere lo stato psico-fisico del soggetto”. Per sostenerlo e per migliorarlo. Dunque ben venga questa esperienza se fa compiere un passo avanti sul piano della conoscenza dei nuovi bisogni emergenti e su quello della difesa del diritto alla salute. Per tutti o come ci piace dire, nessuno escluso. * Medico, responsabile progetto “Sport & Salute” Presidenza nazionale US Acli


Il razzismo nello sport CI

SONO MOLTI MODI DI RACCONTARE LO SPORT. IN GENERE, VIENE RIBADITO

IL RUOLO CHE SVOLGE PER GARANTIRE L’INTEGRAZIONE E LE UGUALI OPPORTUNITÀ.

IN IN

PARTE È VERO, SOPRATTUTTO NELLO SPORT DILETTANTISTICO. PARTE PERÒ NON LO È.

Mauro Valeri *

Ci sono molti modi di raccontare lo sport. In genere, viene ribadito il ruolo che svolge per garantire l’integrazione e le uguali opportunità. In parte è vero, soprattutto nello sport dilettantistico. In parte però non lo è. O meglio, rischia sempre di assumere il ruolo opposto, e cioè quello di ribadire le discriminazioni già presenti nella società. Basta rileggere la storia dello sport moderno per capire che il ruolo positivo svolto dallo sport, in realtà, sia stato e sia ancora oggi soltanto il frutto di una conquista. Di fatto, lo sport moderno nasce razzista. A conferma di tale ipotesi c’è un dato anagrafico: lo sport moderno nasce alla fine dell’Ottocento, quando nel mondo sono ancora diffusi lo schiavismo, il colonialismo, il razzismo. La partecipazione alle Olimpiadi, che dovrebbero essere il momento più esaltante del ruolo positivo dello sport, ha spesso riprodotto in maniera piuttosto rigida le medesime diseguaglianze presenti nei rispettivi paesi. Basta qui ricordare i tragici “anthropological day” organizzati in occasione dei Giochi del 1904 a Saint Louis, che prevedevano gare riservate a minoranze etniche in sport etnici. Una sorta di zoo umano, per allietare il pubblico sportivo. O l’esclusione delle minoranze dalle formazioni che avrebbero partecipato ai Giochi. L’idea che lo sport debba essere finalizzato al miglioramento della “razza” (quale?) è stata alla base del comitato olimpico fino a una ventina di anni fa! LO SPORT FONTE DI PARTICOLARE RAZZISMO Sarebbe però riduttivo pensare che il razzismo nello sport sia stato e sia soltanto una trasposizione di ciò che accade nella società; in realtà, lo sport diviene esso stesso fonte di un particolare razzismo che si diffonde nella società, con il potere di presentarsi non come razzismo ma come un fatto evidente e concreto. Una dimostrazione semplice quanto imbarazzante è porre a qualsiasi persona che si interessa minimamente di sport una domanda che, immancabilmente, è riproposta in occasione di record mondiali o delle Olimpiadi: “Perché, negli ultimi decenni, a vincere le gare di velocità sono atleti neri?”. Anziché sostenere che, in questo come in altri casi, il colore della pelle non dovrebbe contare più del colore degli occhi, chiunque si avventuri nella ricer-

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ca di una risposta finisce per avvalorare pregiudizi e stereotipi a base razzista. La risposta più diffusa, sia tra gli addetti ai lavori che nel senso comune, è che se un nero vince la finale dei cento metri è perché è facilitato geneticamente. In molti, ancora oggi sono convinti, in ottemperanza ad una mai dimostrata selezione naturale darwiniana, che gli afroamericani vincono le gare di velocità di atletica perché sono i discendenti degli africani sopravvissuti alla tratta negriera e poi alla dura esistenza nelle piantagioni. Questa bizzarra teoria ha subito una recente incrinatura quando a vincere è stato il giamaicano Bolt. Ecco allora spuntare una nuova teoria razzista: i giamaicani vincono non soltanto perché discendenti degli africani sopravvissuti alla tratta negriera e alle piantagioni ma anche perché la Giamaica era la prima sosta della tratta negriera e qui venivano “scaricati” gli africani ribelli. Insomma, i giamaicani vincono perché più “resistenti” ma anche perché più “arrabbiati” (chissà perché lo stesso non vale per i rasta come Bob Marley!). A farsi portatori di simili teorie razziste non sono soltanto i politici apertamente razzisti ma anche diverse testate giornalistiche che, senza troppa attenzione, negli ultimi anni hanno ripreso ad utilizzare il concetto di “razza” per interpretare fenomeni che hanno all’origine motivazioni essenzialmente sociali ed economiche. La falsità di queste teorie razziste nello sport è, per fortuna, spesso sconfessata da altri episodi sportivi. È capitato quando il bianco e italiano Mennea ha battuto il record del mondo dei 200 metri, mantenendolo dal 1979 al 1996! Qualcosa di analogo si sta registrando nel pugilato. Per decenni in molti hanno sostenuto che i neri vincevano nel pugilato perché erano “geneticamente” meno sensibili al dolore e più forti fisicamente. Poi, da quando i campioni del mondo dei pesi massimi sono bianchi ed europei, queste teorie sono finite nel cassetto. E poi non è ben chiaro se tutti gli africani rientrano nella categoria della presunta “razza nera”, perché gli etiopi che hanno il colore della pelle scuro non vincono le gare di velocità o sul ring ma le maratone. PREGIUDIZI GENERICI E IMBARAZZANTI Ovviamente, così come esistono pregiudizi positivi, allo stesso tempo nello sport esistono pregiudizi negativi altrettanto generici e imbarazzanti. È facile sentire qualche “esperto di sport” sostenere che i neri non ottengono buoni risultati nel nuoto perché geneticamente “troppo pesanti”! Uno dei temi ricorrenti utilizzato negli Stati Uniti fino alla metà degli anni quaranta per impedire di far scendere in campo giocatori neri nella Major League di baseball, era che questi avevano una naturale quanto eccessiva paura delle palle tirate all’altezza della testa e soprattutto di non riuscire a comprendere le regole del baseball. I neri sarebbero buoni per gli sport semplici, di forza, e non per quelli di squadra. Poi arrivarono i Globetrotters e anche questi pregiudizi finirono in


un cassetto (ma sempre pronti ad essere riproposti appena giungerà l’occasione). Il problema è che questi pregiudizi hanno un effetto concreto. Un ragazzo, nero o bianco, ascoltando queste teorie, finisce per scegliere quegli sport dove si immagina “razzialmente” più portato, trascurando gli altri. Nel rispetto di una sorta di profezia che si auto adempie, la selezione “etnica” trova origine proprio nella diffusione di questi pregiudizi. IL RAZZISMO ISTITUZIONALE È però indubbio che esiste anche un razzismo istituzionale, messo in atto proprio da chi gestisce lo sport. Almeno fino agli anni Venti, ad esempio, nessun nero o meticcio poteva giocare nella Nazionale brasiliana. Non che non ci fossero neri o meticci forti. Uno dei più quotati era Artur Friedenreich, figlio di un emigrato tedesco e di una lavandaia nera. Il problema era che i principali club brasiliani erano fortemente intenzionati a mantenere quella interdizione che aveva caratterizzato il calcio sin dal suo esordio, cioè fare del football un’attività solo per bianchi. Addirittura, quando venne organizzata la prima Copa America era stato lo stesso presidente brasiliano a chiedere che non venissero schierati in Nazionale neri o meticci. Una Nazionale solo di bianchi. La sconfitta del Brasile obbligò tutti a dover dar retta alla voce popolare che impose, per l’edizione successiva del 1919, proprio il centravanti meticcio Fridenreich. La storia vuole che sia stato proprio lui a segnare il gol che diede la vittoria al Brasile della prima Copa America, tanto che il suo scarpino infangato, si racconta, finì in mostra in una gioielleria di Rio de Janeiro.

Vittorino Testa

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DUE INDICAZIONI CHIARIFICATRICI Da questa storia possiamo trarre due indicazioni. La prima è che i soggetti appartenenti a minoranze socialmente discriminate, riescono ad emergere nello sport soltanto se dimostrano di avere doti “eccezionali”. Nella consapevolezza che la loro accettazione sarà mantenuta finché vince, perché se perde torna ad essere “il diverso”. Un’atleta black Italian mi raccontava amareggiata che quando vinceva i giornali titolavano “l’italiana ha vinto un importante oro”, mentre quando perdeva tutti la definivano “la cubana ha nuovamente mostrato i suoi limiti”. La seconda indicazione è che l’accettazione nello sport di soggetti appartenenti a minoranze socialmente discriminate o emarginate, avviene in genere in concomitanza con le rivendicazioni delle stesse minoranze sul piano sociale e politico. Non è un caso, che una delle prime iniziative intraprese dai paesi appena usciti dall’esperienza coloniale sia stata l’adesione alle federazioni internazionali sportive. Così come non è un caso che l’apartheid sudafricano sia stato bandito prima di tutti dalla Confederazione di calcio africana già nel 1960. ESISTE IN ITALIA IL RAZZISMO NELLO SPORT? A questo punto è interessante porsi la domanda: ma in Italia esiste un razzismo nello sport? Se prendiamo come esemplificativo l’esordio di un calciatore nero in Nazionale, il caso italiano è davvero esemplare. Il primo meticcio italiano ad indossare la maglia della Nazionale mag-

Mirella Verile

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giore è stato Fabio Liverani il 25 aprile 2001, in fortissimo ritardo rispetto a tutti gli altri paesi europei, non soltanto Francia e Inghilterra ma anche paesi non coloniali e non meta di immigrazione come Germania o Polonia. Eppure l’Italia è stato un paese con colonie africane, o con una forte emigrazione in paesi dove la popolazione con il colore della pelle scuro era considerevole. Perché questo ritardo? Semplicemente per distrazione, oppure perché i meticci sono stati emarginati? C’entra qualcosa il fatto che l’Italia nell’esperienza coloniale abbia organizzato tornei calcistici rigidamente divisi tra quelli riservati ai bianchi e quelli riservati ai neri e meticci? In realtà, qualcosa di diverso era stato registrato in altri sport. Il 24 giugno 1928, diviene campione italiano e europeo dei pesi medi Leone Jacovacci, nato in Congo nel 1902 da padre romano e madre congolese. Con quella vittoria, Jacovacci è diventato il quarto italiano in assoluto a vincere un titolo europeo e il secondo meticcio a vincerlo in Europa. Eppure, il giorno dopo la sua importante vittoria, La Gazzetta dello Sport scrisse in prima pagina che non poteva essere un nero a rappresentare l’Italia in Europa. Razzismo “estetico” che di fatto mise fine alla carriera di Jacovacci, che sul ring dimostrava la non fondatezza delle teorie che volevano i meticci dei degenerati. PIONIERI DELLO SPORT MULTIETNICO Dopo quarant’anni una nuova novità. Alle Olimpiadi 1968 nella Nazionale italiana è presente Giacomo Puosi che gareggia nella staffetta 4 x 400. Puosi è il primo meticcio italiano a partecipare alle Olimpiadi, dato che è figlio di un soldato afro-americano e di donna italiana. Era uno di quei “mulattini di guerra” che qualcuno pensava fosse meglio tenere separati dai coetanei bianchi perché “si sarebbero spaventati”. Non è forse un caso che Jacovacci e Puosi abbiano mostrato le loro qualità in sport individuali, dove è più “facile” mettersi alla prova, mentre nel calcio, essendo lo “sport nazionale”, sia più difficile. Prima di Liverani, era stato Joseph Dayo Oshadogan, pisano di padre nigeriano, ad indossare la maglia della Nazionale under 19 nel 1996, lo stesso anno in cui ai Giochi di Atlanta gareggiano altri due black Italians in sport individuali: Fiona May nel salto in lungo e Ashraf Saber nella 4 x 400. Eppure tutti questi pionieri dello sport multietnico hanno dovuto sopportare insulti ed esami, non richiesti, di italianità. Oshadogan, in un’estate di prova con la Roma, è stato preso di mira dai tifosi razzisti giallorossi con cartelli del tipo “No al calcio multirazziale”, “Oshadogan Raus”. Saber, che tra l’altro è stato in assoluto il primo atleta italiano a vincere il Mondiale juniores, venne attaccato da un suo compagno di staffetta e dal suo allenatore perché non volevano “neri” in squadra, rivendicando una Nazionale di atletica riservata ai soli banchi. Contro la May si scatenarono tutti coloro che l’accusarono di es-

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sere un’italiana solo sulla carta, perché lo era diventata sposando un italiano e dopo aver già gareggiato alle Olimpiadi per l’Inghilterra. Ovviamente la May aveva rispettato le regole della Federazione internazionale di atletica che prevede che trascorra un determinato tempo prima che un atleta, una volta ottenuta una nuova cittadinanza, possa disputare gare internazionali con la nuova maglia nazionale. Ma i puristi sono sempre dietro l’angolo. Forse contava anche il fatto che la May ha un colore della pelle scuro?

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I PURISTI DIETRO L’ANGOLO Gli stessi attacchi sono stati rivolti a Carlton Myers quando è stato proposto come alfiere per l’Olimpiade 2000. In molti, riecheggiando le frasi che avevano di fatto stroncato la carriera a Jacovacci nel 1928, dichiararono: non può un nero rappresentare l’Italia. Il razzismo emerge con maggiore evidenza quando si disputano gare molto importanti o quando c’è di mezzo lo sport nazionale, per l’Italia il calcio (nessuno si è accorto, ad esempio, che la Nazionale italiana che ha partecipato agli ultimi mondiali di cross era composta da sei italo-marocchini/e su undici atleti!). E proprio il calcio ci dà, a noi italiani, la prova di quanto il razzismo sia ancora presente nelle manifestazioni sportive. In quella che è fino ad oggi l’unica ricerca a base scientifica sul razzismo nel calcio italiano (e lo sottolineo non per vanagloria ma con preoccupazione), ho preso in esame gli ultimi dieci anni, tra campionato di serie A, serie B, Prima e Seconda Divisione, Coppa Italia. Gli episodi di razzismo, quasi tutti riconosciuti dal giudice sportivo, sono stati ben 530 episodi, che hanno coinvolto 99 tifoserie. A rendere questi dati ancor più preoccupanti è il fatto che in quegli stessi anni sono state adottate diverse “leggi speciali” contro la violenza negli stadi che, di fatto, non sembrano aver saputo colpire realmente i razzisti. VARI TIPI DI RAZZISMO Entrando nel merito, si tratta essenzialmente di quattro tipi di razzismo. Il primo è quello che possiamo definire preventivo e che si basa su una sorta di volontà dei tifosi a mantenere la propria squadra in una condizione di “purezza” razziale, etnica e religiosa. Mettendo in atto comportamenti oppositivi, i tifosi impongono alla società di non tesserare calciatori “diversi” per colore della pelle, religione, origine, ecc. Anche i festeggiamenti per la vittoria della Nazionale di calcio sono state spesso occasioni per un’esaltazione in chiave “razziale”, dove tifosi italiani hanno impedito ai tifosi stranieri (a volte identificati solo per il diverso colore della pelle) di unirsi ai festeggiamenti perché considerati “non degni” di tifare per l’Italia. Il razzismo preventivo ha molto a che fare con un altro tipo di razzismo molto presente negli stadi di calcio (ma non solo): il razzismo di propaganda. Si va allo stadio di calcio non tanto per


tifare la squadra ma per fare proseliti o per manifestare la propria appartenenza ad una ideologia razzista. Nonostante la diffusione di un simile comportamento, in Italia - che pure ha approvato una legge nel 1993 proprio per evitare che le manifestazioni sportive si trasformassero in manifestazioni razziste - c’è ancora una sorta di zona grigia su cosa debba intendersi per “simboli” o “comportamenti” di propaganda razzista. Se sulla svastica sembrano non esservi problemi (ma in Italia alcuni - tra cui anche qualche avvocato di squadre di serie A di calcio - sono convinti che sia da punire l’apologia del fascismo e non del nazismo!), maggiore incertezza sembra esservi, anche da parte del giudice sportivo, sui simboli del Ventennio fascista o del neofascismo (come ad esempio la croce celtica). In un dibattito tutto italiano, spesso si finisce per evitare di affrontare seriamente questo tema, ricorrendo ad una sorta di logica degli “opposti estremismi”: anziché contrastare con determinazione il razzismo, si dichiara che bisogna cacciare “la politica” dagli stadi; tema sicuramente interessante ma non sovrapponibile al primo. Questa indeterminazione su cosa sia o no razzista, è ancora più evidente quando si tratta di affrontare il tema degli epiteti razzisti. In particolare i tristemente diffusi buuu. L’esperienza ci insegna che il razzismo nello sport (ma lo stesso vale anche nella vita quotidiana), al di là dell’intervento del giudice, è divenuto una sorta di “concetto mobile”: non è considerato tale fino a quando qualcuno non protesta perché considera quel gesto razzista. Per anni, negli stadi, è stata soprattutto la comunità ebraica a tenere alta l’attenzione sul razzismo delle curve (e non solo), specie quando quel razzismo era di propaganda. IL RAZZISMO DIRETTO CONTRO I CALCIATORI Più debole appare oggi, complessivamente, la risposta di fronte a quella che è divenuto il razzismo più diffuso, ovvero il razzismo diretto contro i calciatori ed in particolare contro quelli dal colore scuro della pelle. Se contro gli insulti ai calciatori romeni, si è assistito alla presa di posizione di consolati, ambasciate e rappresentanti politici e sportivi della Romania, meno forte è l’indignazione nel caso in cui l’insulto riguarda un calciatore nero. Ad oggi non risulta che ci sia stata una ferma presa di posizione da parte del paese d’origine della vittima, fatto che ha finito per abbassare di molto il livello di guardia, per cui in molti considerano i buuu non un tentativo di animalizzare, de-umanizzare la vittima ma un modo come un altro per intimorirla. Come al solito, anziché riflettere sull’aspetto specifico, fiumi di inchiostro e di parole vengono utilizzate se non per giustificare quegli ululati, almeno per paragonarli ad altre forme di spregio ma che del razzismo antineri non hanno né la pesantezza né la dimensione storica. Per arrivare al tradizionale assolvimento italiota del “tutti siamo razzisti e tutti siamo vittime di razzismo, quindi nessuno è razzista!” Eppure il fatto che la frase ur-

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lata contro Balotelli (“non esistono negri italiani”) è la stessa pronunciata ottanta anni prima a Jacovacci, dovrebbe far riflettere! Con la sempre maggiore presenza in campo di calciatori black Italians sarà questo uno dei temi più ardui da affrontare, soprattutto se oltre che tra i calciatori, i neri o gli appartenenti a qualche altra minoranza etnica o religiosa, scenderanno in campo come arbitri, guardialinee, allenatori, ecc..

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UNA STRATEGIA DI TIPO PREVENTIVO Eppure si potrebbe fare molto già da oggi. L’impressione è che, negli ultimi dieci anni, ci si è illusi di combattere il razzismo da stadio semplicemente con norme repressive non specifiche, con il risultato che, nonostante numerose “leggi speciali”, gli episodi di razzismo sono stati pressoché costanti e permangono. Un fenomeno sociale non può essere affrontato soltanto nell’ottica dell’ordine pubblico. Ciò che manca quasi del tutto è infatti una strategia di tipo preventivo e di sostegno alle tifoserie antirazziste o ad iniziative pedagogiche. Perché, ad esempio, non fare dell’antirazzismo una materia di insegnamento nelle scuole calcio (dato che è un valore espresso nei vari codici di comportamento dei calciatori e che il razzismo è punito anche dal codice di giustizia sportiva)? Per i fondi si potrebbe accedere facilmente a quelli che le varie Leghe e la FIGC intascano a seguito delle ammende irrogate dal giudice alle società responsabili “oggettivamente” dei comportamenti razzisti messi in atto dai propri tifosi. In un calcolo approssimativo, in dieci anni queste ammende hanno portato nelle casse delle istituzioni calcistiche 3 milioni di euro. Invece, non è dato sapere se e quanto è stato investito su iniziative antirazziste. E l’impressione è che siano cifre assolutamente irrisorie. UN RAZZISMO DIFFICILE DA INDIVIDUARE C’è poi l’ultimo tipo di razzismo nello sport. Quello più difficile da individuare e contrastare: il razzismo istituzionale. È una discriminazione che riguarda soprattutto il tesseramento nel calcio, le cui regole astoriche, oltre che astruse, stanno compromettendo la possibilità di giocare a calcio e di sperare in una carriera professionistica a decine di migliaia di ragazzi e ragazze figli e figli di migranti. Questo dipende in gran parte dal fatto che l’Italia continua ad essere uno dei pochissimi paesi occidentali a basare la concessione della cittadinanza alla nascita al cosiddetto “diritto di sangue”. È italiano chi ha almeno un genitore italiano. Se si nasce e si cresce in Italia da genitori stranieri, si è straniero almeno fino al diciottesimo anno d’età. Questo ha gravi conseguenze anche nello sport, soprattutto da quando, e sono ormai diversi anni, esistono delle quote che limitano il tesseramento di atleti extracomunitari. Chi ha scritto quelle norme non ha saputo e forse voluto distingue-


re l’atleta professionista iper-pagato, l’atleta trafficato e semplicemente il figlio del migrante. Quindi se una società ha a disposizione soltanto un posto per un calciatore extracomunitario, è molto probabile che scelga “il fenomeno”. Solo se un figlio di migranti diventa un fenomeno può sperare di farcela. Ma comunque sempre con molte difficoltà e frustrazioni. Un caso per tutti: Mario Balotelli. Nato a Palermo nell’agosto 1990 da genitori ghanesi. Quindi a tutti gli effetti straniero extracomunitario. Per questo motivo, non soltanto ha avuto difficoltà a giocare per via delle quote, ma ha dovuto rinunciare a giocare con la Nazionale Olimpica che è scesa in campo a Pechino nei Giochi del 2010 perché disputati a luglio, mentre lui compiva diciotto anni ad agosto. Per poche settimane ha perso una opportunità irripetibile. E come lui, sono centinaia i ragazzi e le ragazze di seconda generazione, che soltanto per motivi burocratici, debbono rinunciare a quelle che sono spesso importanti occasioni di crescita individuale e di poter dare il loro contribuito al paese al quale sentono di appartenere. È evidente che finché esisteranno queste forme di discriminazione e di razzismo non potrà essere chiamato sport. * Sociologo delle relazioni etniche

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Il linguaggio universale dello sport AGRIGENTO Comitato provinciale Responsabile locale Incaricata di progetto Comunità migranti Realtà locale

US Acli AGRIGENTO Stefano Urso Esmeralda D’Oro Senegalese - Marocchina ASD Olimpia

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ABBATTERE LE BARRIERE L’idea progettuale messa in atto dall’Unione sportiva Acli Agrigento nasce rifacendosi alla proposta complessiva dell’associazione che individua l’aggregazione sportiva come opportunità strategica per innestare processi educativi e di integrazione sociale e interetnica. Ben sapendo che “lo sport con il suo linguaggio universale, è uno straordinario strumento per avvicinare tra loro persone di estrazione, etnia, religione ed idee differenti”, l’US Acli di Agrigento da decenni contribuisce ad abbattere quelle barriere che in altri campi della società civile e politica appaiono insormontabili. Da molti anni la provincia di Agrigento è meta di sbarchi di immigrati provenienti da diverse località della costa africana e di fatto rappresenta il primo approdo dove cercare alloggio e lavoro. Chi arriva dal mare è soprattutto di origine senegalese, tunisina e marocchina. Dopo un breve periodo di soggiorno nella nostra provincia, molti sono costretti a partire verso il nord Italia o verso altri stati europei; solo una piccola parte rimane in Sicilia e nella provincia di Agrigento. Alcuni, i più fortunati, riescono a trovare un lavoro e vengono messi in regola, moltissimi invece vivono con permessi di soggiorno temporanei e praticano l’attività di venditore ambulante per le vie della città.

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GIOCO E AMICIZIA Tradizionalmente, il lunedì mattina una buona parte dei giovani senegalesi presenti in città, approfittando della chiusura dei negozi agrigentini, si riunisce al Villaggio dello Sport Bellavia, nei pressi della zona turistica balneare di San Leone, per dedicarsi allo sport. Sono giovani che vivono in situazione disagiata ma di indole aperta e desiderosi di stringere amicizia. Amano anche molto lo sport che tentano di praticare in ogni forma: sport e musica sono per loro una vera passione che fa vivere momenti di gioia, dimenticare temporaneamente i tanti problemi quotidiani e stringere nuovi rapporti. Approfittando della loro pazienza e dell’atteggiamento amichevole, l’Unione sportiva Acli ha contattato il gruppo per spiegare i propri obiettivi nell’ambito dello sport per tutti e successivamente lo spirito del progetto “Cittadini attraverso lo sport”. PASSIONE DI SQUADRA Questi giovani, una trentina di età prevalente 17/25 anni più alcuni adolescenti quasi tutti maschi, dopo avere accettato volentieri la collaborazione sportiva offerta dalla nostra associazione, hanno formato una squadra e sono stati inseriti in un torneo di calcio a 5, appositamente organizzato con la collaborazione dell’ Associazione sportiva dilettantistica Olimpia: una società affiliata all’ US Acli da diversi anni, che ha collaborato all’organizzazione logistica del torneo e si è fatta parte in causa del gemellaggio sottoscritto con i gruppi degli immigrati.


Anche alcuni ragazzi tunisini e marocchini si sono inseriti nella squadra senegalese grazie all’azione dello sportello immigrati delle Acli di Agrigento attraverso il quale abbiamo avuto l’opportunità di contattare alcune famiglie che abitualmente usufruiscono dei sevizi messi a disposizione dalle Acli proprio per i cittadini stranieri. NON SOLO GIOCO Oltre ad organizzare il torneo di calcio a 5 nei suoi vari aspetti, curandone la fase organizzativa e logistica, abbiamo fatto in modo di far incontrare le diverse persone coinvolte, favorendo così l’avvio di nuovi percorsi di convivenza. In molti incontri si è discusso dei vari problemi che i gruppi stranieri sono costretti ad affrontare durante la loro permanenza in territorio italiano, fornendo informazioni sui diritti di cui possono godere in quanto cittadini di diversa nazionalità. Il progetto è stato propagandato con manifesti e con brochure diffuse in tutta la città di Agrigento. Presso l’Istituto IPIA “ E. Fermi” di Agrigento, che aveva a suo tempo firmato un rapporto di collaborazione con l’US Acli, si è svolto un workshop dedicato al tema dell’ inclusione dei cittadini stranieri anche attraverso lo sport. Iniziativa che ha coinvolto diversi alunni della scuola, compresi i ragazzi immigrati che frequentano l’Istituto. TUTTI IN FESTA Questo coinvolgimento è proseguito nel mese di maggio, subito dopo le feste pasquali, quando approfittando della festa che le Acli agrigentine abitualmente dedicano agli stranieri, i partecipanti al progetto hanno preso parte alla degustazione dei prodotti tipici delle diverse comunità straniere.

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A giugno la chiusura del progetto è stata siglata da una manifestazione sportiva unica per tutti: una maratona all’insegna della pace e dell’accoglienza degli stranieri presenti sulla costa agrigentina e una gara di podismo che tradizionalmente si svolge già da alcuni anni. I risultati del progetto saranno diffusi in tutte le scuole, nelle associazioni di volontariato e in tutte le associazioni sportive affiliate all’US Acli di Agrigento. GLI ORIZZONTI DELL’ACCOGLIENZA Ripensando alla nostra esperienza, ricordiamo soprattutto l’energia gioiosa - sul campo e fuori - di quanti sono stati coinvolti nel progetto, la loro voglia di confrontarsi con gli altri immigrati e con il territorio che li ha accolti e ospitati. Per questo, sarebbe necessario poter avere maggiori risorse per organizzare una struttura organizzativa sportiva futura in grado di far fronte alle esigenze delle diverse comunità straniere. Sarebbe inoltre funzionale ad un discorso più complessivo, coinvolgere le amministrazioni locali e altre associazioni di volontariato. Noi ci auguriamo che tutto il lavoro svolto possa portare la gente comune e la classe politica a valutare bene il problema dell’accoglienza e dell’integrazione degli immigrati nel nostro Paese. La storia insegna che l’attenzione per questi cittadini stranieri non deve risvegliarsi solo in tempi di emergenza come quella che stiamo attraversando con la crisi libica. L’accoglienza, la tutela, l’integrazione di chi cerca rifugio o opportunità di una vita migliore devono poter avere orizzonti più ampi e percorrere strade diverse. Anche lo sport può giocare un ruolo importante rispetto a questo problema che investe tutti i cittadini.

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Movimenti di danza: conoscersi per accettarsi BARI Comitato provinciale Responsabile locale Incaricata del progetto ComunitĂ migrante RealtĂ locale

US Acli BARI Nicola Mangialardi Giuseppina Scarola Indiana ASD Centro studi danza Modugno

Foto di repertorio

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DA TERRA D’EMIGRAZIONE A TERRA D’ACCOGLIENZA Nella storia del nostro paese, la Puglia si è a lungo caratterizzata come terra di emigrazione. Negli ultimi decenni invece, la regione è progressivamente diventata non solo luogo di immigrazione “di transito” verso altri paesi europei ma anche terra di un fenomeno migratorio di tipo stanziale. Questo cambiamento è spiegabile in parte con la sempre maggior richiesta del mercato pugliese locale di manodopera immigrata che, in particolare per quel che riguarda il settore agricolo e quello domestico, si contraddistingue per i costi inferiori del lavoro. Ma nella regione si registrano anche diversi centri di accoglienza, numerosi immigrati in condizioni disagiate e centri con sovraffollamento e spesso in conflitto con la popolazione locale. Oltre 30.000 sono gli stranieri residenti nella provincia di Bari, il 43 % del totale delle presenze nella regione. Quasi la metà hanno un età compresa tra i 18 e i 39 anni mentre il 20 % sono minori. (Dossier Caritas-Migrantes).

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MODUGNO CITTÀ MULTIETNICA Modugno che conta più di 38.000 abitanti, è situata nell’entroterra barese e sebbene molto vicino all’abitato di Bari, ha sempre tenuto a mantenere la sua autonomia anziché diventare quartiere del capoluogo come è avvenuto per altri centri abitati, anche più distanti. Dai dati Istat e dai registri degli uffici anagrafe dei Comuni, a Modugno (e in parte a Bitonto sia pure con numeri inferiori), risiede la maggior parte degli stranieri immigrati della provincia. In questo centro - dove l’US Acli ha scelto di sperimentare il progetto - si calcolano 43 etnie diverse e oltre mille immigrati regolari: quantitativamente, ai primi posti si collocano albanesi, cinesi e indiani. E proprio con la comunità indiana si è stretto un rapporto di collaborazione, di confronto e di scambio. MUSICA E DANZA: CULTURE A CONFRONTO Le attività si sono svolte nella sede dell’ ASD Centro studi danza Modugno con un gruppo di età compresa tra i 25 e i 50 anni. Musica e danza sono state gli elementi catalizzatori degli incontri. Un programma molto articolato sulla cultura pugliese nel quadro di quella italiana e il collegamento con la cultura indiana, ha permesso di raggiungere al più presto un significativo punto di contatto con le persone. Il gruppo di immigrati si è fatto spesso interprete attivo di momenti di ricerca laddove si manifestava qualche difficoltà nel ricordare i particolari di una loro tradizione o di un’usanza del passato. Un lavoro di memoria e di scavo che ha aiutato a far emergere i valori della loro cultura e le molte vicinanze con le nostre tradizioni. Quelle indiane sono molto numerose e si rendono visibili nelle cerimonie celebrate in occasioni speciali. La cerimonia del nome, la cerimonia di inaugurazione di una nuova casa e quella relativa al matrimonio, sono tradizioni che dalla nascita


ognuno è predestinato a perpetuare. Digiuno e preghiere sono parte integrante di cerimonie strettamente religiose. DALLA MUSICA CLASSICA AI FESTIVAL POPOLARI La musica classica indiana affonda le sue radici in tradizioni antichissime e malgrado si sia amalgamata con altri sistemi musicali non si è mai esaurita. Il suo punto centrale è ancora lo studio dell’intonazione: intonare frasi e parole sacre come “OM” richiede una estrema precisione poiché questi canti erano costitutivi di ciò che serviva a mantenere l’ordine dell’universo. E accanto a questo i festival che coinvolgono la popolazione in riti gioiosi oltre che religiosi, ad esempio per onorare la vittoria del bene sul male con fuochi d’artificio (la festa di Dussehra) o la festa della promessa di protezione (Raksha Bandhan) in cui le sorelle recitano preghiere per augurare al fratello una lunga vita felice. Musica e danza, movimento e ricerca hanno accompagnato questo percorso dentro due culture e hanno permesso di considerare attraverso momenti più specificamente formativi, come lingua, arte e artigianato, credenze e tradizioni, festival e cibo e, appunto, musica e danza segnino la differenza tra l’India e il nostro paese ma anche mettano in evidenza le tante cose in comune: le feste locali in onore dei santi patroni, la devozione religiosa verso i defunti, i fuochi d’artificio a conclusione delle feste patronali, solo per citarne alcune. L’esperienza sviluppata con il progetto ha soprattutto confermato il significato più profondo dell’integrazione, la disponibilità a conoscere veramente l’altro. Noi l’abbiamo fatto attraverso la condivisione di un’attività come il movimento e la danza, sottolineando quello che ci fa uguali e accantonando i giudizi. D’altra parte l’opinione degli altri su di noi e di noi sugli altri dipende sempre dalla storia delle relazioni intercorse, dal rispetto della dignità di ciascuno, dalla voglia di integrarsi pur mantenendosi fedeli alla propria identità culturale originaria.

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Lo sport per una società aperta BENEVENTO Comitato provinciale Responsabile locale Incaricato del progetto Comunità migrante Realtà locale

US Acli BENEVENTO Angelo Donisi Filiberto Parente Etnie diverse US Acli Benevento

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MIGRAZIONE A BENEVENTO Dati relativi alla popolazione sannita, tenendo conto dei flussi migratori, indicano che la provincia di Benevento, conta alla fine del 2009, un numero di abitanti pari al 5 % di quelli campani. La distribuzione della popolazione straniera sul territorio regionale, ha fatto registrare nell’ultimo anno un incremento del 30,7% con 4.008 immigrati a fronte dei 114.792 presenti in Campania. Gli uomini sono 1.559 (38,9%), le donne 2.449 (61,1%). Il fenomeno migratorio è in crescita anche nelle zone più interne, in particolare in Irpinia ed nel Sannio. La provincia di Benevento, benché ultima tra le campane (4.818 migranti regolarmente residenti, pari ad una percentuale del 3,7% del totale regionale) segnala però il migliore incremento rispetto al 2007 (+20,2%): il più alto tra le province campane anche se è la provincia della Campania che accoglie il minor numero di immigrati. Tenendo conto che negli ultimi cinque anni la popolazione totale residente sia nel comune capoluogo che negli altri, è diminuita per il progressivo invecchiamento e per il bassissimo tasso di natalità, l’arrivo degli stranieri può senza dubbio dare nuovo impulso all’economia provinciale. Di fronte a questa migrazione è necessario far crescere una consapevolezza individuale e collettiva di ciò che sta cambiando nei bisogni delle persone, delle famiglie, delle comunità. L’integrazione e la coesione sociale diventano fattori primari per la costruzione di una società “aperta” che sappia coniugare accoglienza e regolamentazione verso un fenomeno che diventa sempre più importante per dimensione e problematiche. Gli uomini e le donne che vengono da paesi fuori dalla UE, dal vicino Est o dal lontano Sud del mondo, sono entrati a far parte delle nostre comunità. È l’altra faccia di quella che oggi chiamiamo globalizzazione. Uno dei nostri obiettivi principali è stato quello di attivare un servizio gratuito per garantire sia assistenza linguistica sia inserimento socio-culturale e lavorativo, a persone straniere che frequentano le scuole primarie e secondarie. PERSONA & GIOCO: UN BINOMIO IMPORTANTE L’US Acli ben sa che attraverso lo sport, si può contrastare l’emarginazione; che lo sport è una risorsa fondamentale nella lotta contro l’esclusione sociale grazie alle sue molteplici funzioni; che è una risorsa speciale per favorire la comunicazione con un universo nuovo. Lo sport può essere un luogo sociale nel quale e attraverso il quale si ricostruisce l’identità dei migranti. E ancora: lo sport ha un valore particolarmente significativo se promosso privilegiandone la sua profonda valenza educativa. L’affermazione dell’US Acli “Educare allo sport educare attraverso lo sport” riassume uno specifico punto di vista: lo sport, soprattutto quello delle fasce deboli, deve essere sostenuto da un progetto educativo che metta al centro il binomio persona-gioco come diritto ad una vita buona.


Dal monitoraggio dei bisogni curato dall’ associazione Simposio, hanno preso il via le diverse azioni progettuali: attività finalizzate ai minori specie se soli, lo sviluppo dell’associazionismo, le relazioni interculturali e lo studio della lingua italiana; iniziative di educazione alla cittadinanza attiva per immigrati nelle scuole, nei settori para-scolastici ed extrascolastici, la formazione permanente degli operatori in generale e in particolare dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado, la sperimentazione didattica anche con la realizzazione di percorsi didattici specifici. I minori stranieri regolarmente iscritti alle scuole primarie e secondarie della città, possono usufruire di un servizio di mediazione linguistica, costantemente seguiti da mediatori specializzati, in grado di sostenerli e aiutarli nella comprensione della lingua italiana. Questo avviene nel corso delle lezioni scolastiche quotidiane e facilita o migliora anche il contatto e le relazioni con i propri coetanei e con gli insegnanti. LA CHECK-LIST DELL’INTERVENTO Punti fondamentali che hanno caratterizzato la sperimentazione del progetto sono stati: - aggregazione e recupero di immigrati attraverso assistenza anche primaria, in special modo dei minori immigrati attraverso lo sport. Socialità con balli e attività ludiche; ballo di gruppo social dance step e ginnastica aerobica. Danza classica e canto; - visite guidate ai monumenti della città di Benevento; - corso di alfabetizzazione avanzato, per innalzare il livello di autonomia delle persone immigrate funzionale anche alla presentazione di istanze di cittadinanza; - organizzazione di una festa multi-etnica le cui due unità di supporto sono state: - uno sportello di coordinamento e gestione del progetto; una unità mobile di monitoraggio, analisi e valutazione del progetto. È stato partner dell’ Unione Sportiva Acli di Benevento, il Simposio Immigrati Acli che è una delle prime esperienze di realtà associative con presenza qualificante di stranieri. Questa associazione, iscritta all’albo regionale delle associazioni di Immigrati, nasce dall’ intuizione di fare sintesi tra la Caritas diocesana e le Acli Colf per determinare un’ azione sinergica tra due grandi organizzazioni del territorio. “Simposio immigrati” che per finalità statutarie non persegue scopi di lucro, lavora per sviluppare attività connesse alla tutela dei diritti civili. La necessità di una organizzazione come Simposio, deriva dal ricordo dell’ esperienza dei nostri connazionali quando vivevano sulla loro pelle la condizione di migranti, subendo la ghettizzazione, l’isolamento e la discriminazione tipica di chi si reca in altri paesi. Gli associati di Simposio sono i nuovi lavoratori di un Welfare inclusivo, i quali rivendicano da lavoratori e persone non solo bisogni materiali ma anche identità, cultura, esperienza, lingua, religione.

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C’È POSTA PER TE Più che le nostre parole, per descrivere il tipo di rapporto con il gruppo dei partecipanti al progetto, servono quelle di una donna, Nina Lysenko, che in modo molto semplice ha voluto scrivere impressioni ed emozioni nella sua “Gita per la città di Benevento”, una delle attività previste dal progetto. “Il 3 maggio, è stato un giorno particolare. Abbiamo deciso di trascorrere tre ore diversamente e fare una gita per la città di Benevento, la città dove viviamo, lavoriamo, in cui vogliamo integrarci e di cui non sappiamo quasi niente della cultura e storia. Con noi erano presenti il vice sindaco, l’Assessore Raffaele Del Vecchio, il presidente dell’Associazione Simposio Acli, Filiberto Parente e la mediatrice culturale Maria. Il vice sindaco ha fatto un piccolo riassunto storico. Abbiamo visitato l’antica chiesa di Santa Sofia. Siamo passati nel vicolo vicino alla chiesa dove si trova l’ Hortus Conclusus con tante cose antiche e belle. Abbiamo fatto un giro per il giardino verde in cui si respira bene e ci si può rilassare. Poi siamo passati davanti alla chiesa di S.Bartolomeo e alla Biblioteca Provinciale. Abbiamo conosciuto lo Sportello Informagiovani che è dedicato anche agli immigrati e in cui lavorano tante persone sempre pronte a venire incontro e ad aiutare chi ha bisogno. Nonostante abbiamo visitato pochi posti storici della città, dopo la gita mi sento più avvicinata alla cultura e storia della città. Sono rimasta molto contenta per la esperienza che abbiamo fatto. Volevo da tanto frequentare il corso d’italiano, finalmente il mio desiderio si è avverato. Sono molto grata per l’aiuto e per l’affetto da parte dell’Associazione Acli e personalmente a Filiberto Parente e alla mediatrice culturale Maria”.

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COOPERAZIONE NELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE In considerazione della prevalente presenza femminile tra gli immigrati, il progetto ha sviluppato una significativa attenzione alle donne. L’obiettivo di “Cittadini attraverso lo sport” era quello di diminuire lo spaesamento dei minori stranieri nella scuola e di promuovere un’ospitalità capace di rispondere ai loro bisogni; ma anche di sviluppare un processo di educazione interculturale attraverso la metodologia della cooperazione. Un processo che rappresenta un importante fattore per contrastare fenomeni di razzismo e di xenofobia se è vero che “non basta convivere assieme, ma occorre creare assieme, ogni giorno, il contesto, la società, la classe in cui vivere assieme”. “Integrazione” richiama “istruzione” in quanto se molti sono gli ostacoli che l’immigrato si trova ad affrontare, il primo tra tutti è quello della lingua. L’impatto con la lingua e la conoscenza del Paese di permanenza viene ulteriormente reso difficile dalla presenza di dialetti locali, di uso comune fra colleghi, amici e parenti, che non consentono allo straniero rapporti o che comunque gli procurano un rallentamento in virtù anche di una scar-


sa cultura di accoglienza. Da qui un programma di accoglienza dell’immigrato che mira a fornirgli un bagaglio linguistico sufficiente almeno per un suo facile inserimento nel tessuto sociale e lavorativo. “CITTADINI COME NOI” A Benevento abbiamo lanciato feste tematiche multietniche durante festività come Pasqua e Natale. Ma il vero collante dello “stare insieme” sono state le serate a tema con il ballo di gruppo, la social dance. Emozionante vedere nei volti delle persone le note delle canzoni che animavano i loro balli, la musica e il suo messaggio universale. Certo non bastano poche ore per “evadere” dallo stress di essere la badante di turno o la schiavetta che asseconda bisogni ed esigenze degli altri. È necessaria una pedagogia del cambiamento, per un nuovo stile di vita da proporre, un investimento culturale per rendere efficace ed effettivo il diritto universale alla persona, al di là del colore della pelle. La partita si gioca sul fronte di una identità diversa dalla nostra e su quello dell’ appartenenza alla comunità. Per questo deve essere declinata e coniugata con lo slogan proposto dalle Acli “cittadini come Noi” senza esclusioni e preclusioni, al di là della legge Bossi- Fini, per far vincere la fraternità universale come “politica della prossimità”. Nel team molto dinamico del progetto, le figure del presidente del Simposio Immigrati Acli, Filiberto Parente, di Antonio Meola vicepresidente nazionale US Acli, dei mediatori Gergeta Al Masri, Ezziene Mohamed, Irina Ramanenka, Maria Iudima, dell’ insegnante di educazione fisica, la professoressa Marilena Mastrocinque, della responsabile dei percorsi formativi/ integrazione Immigrati Simposio, Francesca Maria Intorcia, si sono rivelate insostituibili.

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Incontro e dialogo complice lo sport BOLOGNA Comitato provinciale Responsabile locale Incaricato del progetto Comunità migrante Realtà locale

US Acli BOLOGNA Manuel Ottaviano Luigi Petti Marocchina US Acli Bologna

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UNA REALTÀ GIOVANE ALL’OMBRA DELLE TORRI Il territorio bolognese è ormai da anni centro di un notevole afflusso di immigrati provenienti da diversi paesi. Attualmente la quarta nazionalità più rappresentata è quella marocchina con un peso pari al 7,5% del totale degli stranieri residenti in città. Come indicano le statistiche ufficiali, la migrazione dal Marocco è una delle più consolidate ed ha acquistato rilevanza progressivamente nel corso degli anni. A Bologna la comunità marocchina è piuttosto giovane. Ancora i dati forniti dal comune mettono in evidenza che coloro di età compresa tra 0 e 44 anni rappresentano ben il 78% del totale. In particolare il 57% si colloca nella classe 15 - 44 anni e i bambini in età scolare sono oltre un quinto dei marocchini residenti. Sono dati significativi che segnalano come l’età media di questi immigrati sia decisamente inferiore a quella di tutta la popolazione bolognese. La comunità marocchina ha raggiunto a Bologna un buon grado di integrazione: circa un marocchino su cinque è nato e vive nel nostro paese; una seconda generazione che non ha sperimentato di persona l’esperienza migratoria anche se ha mantenuto la cittadinanza straniera come i genitori. Un altro dato interessante è che invece una notevole quota di cittadini originari del Marocco, ha richiesto e ottenuto la cittadinanza italiana dopo aver trasferito la propria residenza nel capoluogo. Nonostante tutto ciò, spesso circolano ancora su di loro - come d’altra parte sugli immigrati in generale - quegli stereotipi culturali che li associano a fenomeni negativi come criminalità e disagio sociale. Non a caso una ricerca sulle notizie diffuse dalle emittenti televisive regionali, condotta nei mesi di agosto e settembre del 2010, rivela come gli stranieri appaiano soprattutto nei servizi di cronaca nera e, in misura ridotta, nello sport.

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UNA RETE DI RAPPORTI SIGNIFICATIVI Accettando di partecipare al progetto “Cittadini attraverso lo sport”, l’US Acli di Bologna ha scelto proprio la comunità marocchina per avviare un rapporto di confronto e di collaborazione, promuovendo un gemellaggio e muovendosi su quel terreno coinvolgente che è lo sport. La forte presenza di questa comunità su tutto il territorio provinciale ci ha spinto a contattarla, facilitati dal fatto che non partivamo proprio da zero visto che in altre piccole occasioni sportive avevamo avuto modo di lavorare insieme. Sul piano istituzionale ci è sembrato un ottimo interlocutore il comune di San Lazzaro di Savena - che dista soli 6 chilometri dal centro di Bologna - e più nello specifico l’assessorato alla qualità dell’integrazione. Due gli ordini di motivi: il primo, quello di rimanere ad un passo da Bologna evitando però le difficoltà, tipiche di un grande centro urbano, di reperire spazi per l’attività sportiva; il secondo, quello determinato dall’attenzione di San Lazzaro all’immigrazione (le comunità di cittadini stranieri sono qui molto numerose) che ha spinto il comune, tra i primi in Italia, ad istituire un assessorato ad hoc.


A partire da questi contatti, l’US Acli è arrivata anche a stabilire un rapporto di collaborazione e di amicizia con il Consiglio dei cittadini stranieri e apolidi della provincia di Bologna. TRA GIOCO E FORMAZIONE Disponibilità a raccontarsi e a confrontarsi, voglia di movimento e di gioco in una amichevole sfida sportiva: questi gli atteggiamenti più visibili nel gruppo dei giovani marocchini, di età compresa tra i 20 e i 30 anni, che hanno partecipato al progetto. La nostra sede provinciale di Bologna è stata luogo e “testimone” privilegiato delle tante voci che si sono intrecciate in incontri periodici; momenti in cui sono state fatte emergere le molte opportunità offerte dallo sport per contribuire ad avvicinare culture diverse ma anche le discriminazioni che ancora sussistono quando a prevalere sono i pregiudizi e l’antica paura del “diverso”. Nessuna assenza e molta partecipazione a questi appuntamenti che a buona ragione abbiamo definito formativi perché hanno aiutato sia a rielaborare esperienze e a stimolare approfondimenti su molti problemi sia a sviluppare un forte rapporto sinergico e d’amicizia tra i partecipanti marocchini e italiani. TUTTI IN GIOCO Il comune di San Lazzaro e l’assessorato alla qualità dell’integrazione - e in particolare il suo assessore Raymon Dassy - sono da subito entrati in gioco con l’US Acli, interessandosi concretamente alla realizzazione di “Cittadini attraverso lo sport”. La loro fattiva collaborazione ha permesso tra l’altro, di giocare per un giorno in un campo di calcio nella piazza centrale del comune. Qui si sono incontrate, in un partecipatissimo triangolare di calcio a 5 che ha richiamato grande attenzione di pubblico locale, la squadra dei giovani marocchini, una formata da altri cittadini stranieri ed una squadra dell’US Acli bolognese. Facendo il punto sul progetto nel suo complesso, ci piace sottolineare che non abbiamo avuto grosse difficoltà né dal punto di vista della comunicazione e dei rapporti né sul piano organizzativo. Sicuramente il risultato più importante è stato soprattutto l’aver sostenuto e facilitato la creazione di una rete amicale con i giovani marocchini che ci consentirà di proseguire, “complice” lo sport, nell’incontro e nel dialogo.

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Flickr/barryskeates

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Nel parco cricket per l’integrazione COMO Comitato provinciale Responsabile locale Incaricata del progetto Comunità migrante Realtà locale

US Acli COMO Antonio Lessi Silvia Camporini Gruppo di diverse etnie Gruppo pakistano US Acli Como

Foto di repertorio

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ACCOGLIERE TRA LAGO E MONTI Oltre 85.000 abitanti in questa città lombarda capoluogo di provincia i cui cittadini stranieri residenti sono circa il 10% della popolazione locale. Anche qui come altrove, la mappa dell’immigrazione è in costante cambiamento. Considerando tutta la provincia, si può dire in linea molto generale che il fenomeno migratorio sia scandito da cicli: fino ad alcuni anni fa il gruppo di stranieri più numeroso era quello albanese; oggi sembrano prevalere soprattutto pachistani ed emigranti provenienti dall’Europa dell’est. È cambiata anche la tipologia dell’immigrazione: in questi ultimi anni sono intere famiglie a muoversi a scopo di ricongiungimento mentre un tempo prevaleva il singolo migrante, uomo nella maggior parte dei casi. UN LAVORO IN RETE All’avvio del progetto “Cittadini attraverso lo sport”, il direttivo del Comitato US Acli ha coinvolto i dirigenti delle sue società sportive cittadine. Nel mese di settembre 2010 ci si è quindi trovati tutti insieme per ragionare su quale potesse essere l’ambito più idoneo al coinvolgimento di giovani stranieri. Il primo obiettivo infatti era quello di arrivare a costituire una società sportiva composta prevalentemente da cittadini immigrati. In quell’occasione i dirigenti delle varie società sottolinearono come nelle loro realtà venissero a contatto sporadicamente con ragazzi stranieri che poi singolarmente si inserivano, senza particolari problemi, all’interno dei diversi gruppi sportivi per praticare uno sport. Tutti si dicevano comunque disponibili a sostenere il progetto attraverso l’offerta di spazi, la collaborazione attiva e la disponibilità ad organizzare iniziative formative ed eventi. Per raggiungere gli obiettivi di “Cittadini attraverso lo sport”, è stato importante l’incontro tra i dirigenti dell’US Acli ed i responsabili dello Sviluppo Associativo delle Acli provinciali, il

Flickr/Joe Shlabotnik

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giovane impegnato nel “Progetto Goals” e i dirigenti di due circoli Acli della città di Como (Circoscrizione 3 e Como Centro), a grande presenza di stranieri, che stavano realizzando progetti di integrazione sociale sui propri territori. Infatti nel circolo Circoscrizione 3, costituitosi in Punto Famiglia, si erano avviati nel corso del 2010, un doposcuola e uno spazio di accoglienza e confronto. Nel circolo Como centro invece, già da due anni viene gestito un doposcuola per ragazzi delle medie e delle superiori. Esperienze, le une e le altre, che vedono il coinvolgimento di molti ragazzi e famiglie straniere e che mostrano un’attenzione particolare ad attivare processi di integrazione proprio a partire dai giovani. BASKET E CRICKET IN CAMPO Sono state così individuate due realtà interessanti per il progetto: sul territorio di Como Centro esiste un gruppo di giovani in prevalenza stranieri che si ritrova a giocare a basket in un parcheggio, la sera e la domenica; nel parco comunale dell’altro circolo poi, tutte le domeniche si riunisce per giocare a cricket, un gruppo di giovani pakistani. I dirigenti del Comitato impegnati nel progetto, in collaborazione con i rappresentanti delle Acli, hanno cercato la strada migliore per entrare in contatto con questi ragazzi ed offrire loro la possibilità di entrare in “Cittadini attraverso lo sport”. La cosa non è stata né facile né breve. Nei mesi di gennaio e febbraio tramite un avvocato, volontario del Patronato Acli, si è potuto avvicinare un adulto pakistano, il signor Masood, da trent’anni in Italia e a suo tempo membro della nazionale di cricket italiana. La nostra proposta di sostenere i ragazzi nella loro passione sportiva, di accompagnarli a costituire una ASD - una delle poche in Lombardia con il cricket come attività - lo ha visto molto entusiasta. Per suo tramite siamo venuti in contatto con una ventina di ragazzi, tutti lavoratori, che la domenica si dedicano a questo loro sport preferito. Da parte nostra abbiamo scoperto i rudimenti di questo gioco, molto complesso e impegnativo: una partita può durare anche 5 o 6 ore! Ad oggi la ASD Como Cricket Club si è costituita formalmente seguendo tutti i passaggi necessari per la registrazione all’Ufficio del registro, l’affiliazione all’US Acli e il tesseramento dei ragazzi. Le difficoltà che abbiamo incontrato, sono state soprattutto legate alla diversa modalità di concepire gli impegni e specialmente le scadenze da parte di questi ragazzi. Un esempio su tutti: qualche settimana fa abbiamo fissato le visite mediche per un determinato giorno e il giorno stesso il signor Masood si è presentato dal medico dicendo che i ragazzi non potevano essere lì perché stavano lavorando! Abbiamo sottolineato al signor Masood come la data fosse stata fissata anche con il loro consenso ma non abbiamo riscontrato nessun segno di sorpresa o di imbarazzo.

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PREMESSE DI FUTURO Molte sono state le cose da fare e prima fra tutte quella di trovare uno spazio adatto nel quartiere, per permettere alla squadra di allenarsi. Ai ragazzi serviva un campo da calcio a 11 ma nella nostra realtà è molto difficile riuscire ad affittarne uno da una società di calcio, da un’amministrazione comunale o, ancora peggio, averne uno gratuitamente per le ore necessarie. Una ASD affiliata all’US Acli che gestisce alcuni campi, si è dichiarata disponibilissima a collaborare. Unica difficoltà la lontananza dalla residenza dei ragazzi che non dispongono di automobili. Tuttavia si è stretto il gemellaggio proprio con questa società, nonostante pratichi prevalentemente il calcio. Due poi gli obiettivi che hanno richiesto più lavoro e scadenze meno ravvicinate. Primo obiettivo: realizzare momenti di visibilità per il cricket, innanzitutto organizzando un momento di festa in cui i ragazzi delle società sportive US Acli si sono trovati e hanno intrapreso uno scambio e un confronto sulle diverse discipline praticate, seguito poi da esibizioni e prove. Secondo obiettivo: proporre nelle scuole - fra le attività sportive opzionali o all’interno delle ore di educazione motoria - alcune lezioni di introduzione al cricket come si fa già per tanti altri sport. Questo per dar modo ai giovani immigrati di valorizzare le loro abilità sportive e di far conoscere la loro cultura proprio ed anche attraverso lo sport. In conclusione possiamo dire che se la strada di attivazione del progetto è stata lunga, le premesse per poter proseguire appaiono sicuramente stimolanti.

Flickr/barryskeates

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Integrarsi attraverso lo sport COSENZA Comitato provinciale Responsabile locale Incaricato del progetto Comunità migrante Realtà locale

US Acli COSENZA Pier Francesco De Napoli Roberto Gabrieli Filippina ASD Settecolli Cosenza

Foto di repertorio

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TERRA D’IMMIGRAZIONE “Gli ultimi dati relativi alla presenza di stranieri sul territorio regionale”, presente nel “Dossier Statistico Immigrazione” Caritas-Migrantes, registrano che in Calabria vivono 57.822 stranieri con un aumento consistente del 35,7% rispetto agli ultimi anni, anche per effetto delle quote di ingresso. Di questi, 20.750 risiedono nella provincia di Reggio Calabria; 13.950 in quella di Cosenza; 9.910 a Catanzaro, 8.512 a Crotone e 4.701 a Vibo Valentia. La maggioranza di loro lavorano nel settore agricolo, nella ristorazione e nell’edilizia. Una presenza rilevante anche nella collaborazione familiare: le badanti rappresentano il 15,37%. Da anni le nostre città si attrezzano per ospitare chi fugge da guerre, fame, povertà. Tanti i problemi che si pongono, compreso quello di provvedere a far frequentare la scuola a chi riesce a rimanere senza nascondersi. Non solo aule scolastiche per i ragazzi stranieri, ma anche laboratori teatrali, musicali e linguistici. In diverse città della provincia, a partire da Cosenza, sono in moto progetti per l’integrazione degli alunni immigrati nel nostro territorio. Sì, perché la presenza di ragazzi stranieri è aumentata. Nell’anno scolastico 2007/2008 gli alunni con cittadinanza non italiana hanno toccato quota 2.430. L’anno successivo (ultima rilevazione statistica del Miur) sono saliti a 2.735. Dividendo per fasce d’età, la maggior parte fino a metà anno scolastico 2009/2010 frequentava la scuola Elementare (980), 693 le Superiori, 642 le Medie, 420 la scuola dell’Infanzia. 486 ragazzi arrivano dall’Africa (444 nel 2007/2008); diminuiscono quelli che arrivano dall’America (da 133 a 126); i 180 dell’Asia registrati nel 2008 sono saliti ai 202 nel 2009. Lo stato estero più rappresentato nella scuola cosentina è la Romania, che “fornisce” il 18,8% degli alunni con cittadinanza non italiana. In tutto sono 73 le cittadinanze presenti tra gli alunni stranieri della provincia. Negli ultimi dieci anni la Calabria ha fatto registrare un aumento di alunni stranieri, passando dallo 0,2% dell’anno scolastico 1998/99 al 2,3% del 2007/08. DESTINATARI & ATTORI DEL PROGETTO Si è pensato di lavorare, nella nostra città, con cittadini filippini le cui presenze pur non eccesive sono comunque significative. Di fatto si era creata una forte relazione tra il comitato provinciale dell’US Acli, lo sportello immigrati della provincia, l’animatore di comunità del Progetto Policoro (progetto della Chiesa Cattolica Italiana sull’orientamento al lavoro dei giovani e non solo), gli uffici diocesani della Caritas e la parrocchia dei SS Pietro e Paolo che gravita su un quartiere dove risiede il maggior numero di filippini. Questa attiva “rete” di territorio ci ha consentito di individuare i destinatari di “Cittadini attraverso lo sport” e di stringere con loro solidi rapporti di conoscenza, amicizia e confronto: senza dubbio lo sport è stato il terreno favorevole su cui avviare proposte di attività e di


impegno. Dopo un’attenta valutazione dei vantaggi legati alla costituzione in forma stabile e autonoma di un proprio gruppo sportivo, si è arrivati alla formalizzazione di una associazione sportiva dilettantistica, l’ASD Filippine Brother’s. L’associazione è composta da circa ottanta persone, maschi e femmine, di età compresa tra i 6 e i 50 anni. DAL QUARTIERE ALLA CITTÀ I locali del comitato provinciale dell’US Acli e quelli messi a disposizione dalla parrocchia dei SS Pietro e Paolo sono stati spazi ospitali per i momenti di incontro e di scambio - importanti parole chiave di “Cittadini attraverso lo sport” - tra noi e i giovani della comunità filippina. La promozione del progetto, l’invito ad esserne non solo destinatari ma protagonisti, l’indicazione che attraverso lo sport si sarebbe potuto avviare un processo di integrazione nel tessuto sociale del quartiere e successivamente della città, hanno acceso in tutti una grande attenzione; questo nonostante l’inevitabile difficoltà di comunicazione dovuta alle forti differenze linguistiche. Il richiamo poi alla possibilità di portare avanti per tutta la durata del progetto, piccoli tornei di basket e di pallavolo tra le famiglie (e non solo), ha permesso di dare il via ad uno sforzo comune per mettere in campo tutte le azioni organizzative necessarie. Basket e pallavolo: parole familiari per sport molto amati nelle Filippine e giocati con bravura. PER “NON” FINIRE Considerando gli obiettivi generali del progetto, possiamo dire di aver lavorato con successo: gli incontri, le attività, il protagonismo dei partecipanti, l’accoglienza del quartiere dove risiede la comunità filippina, le relazioni che si sono instaurate, tutto ci conferma che lo sport può creare un ambiente aperto e costruttivo. Oggi la presenza filippina nel quartiere è molto apprezzata: vi sono continui gesti di solidarietà e vicinanza ed anche interesse a confrontarsi su diversi aspetti della cultura di cui questa comunità è portatrice. Vorremmo che la scadenza naturale del progetto non concludesse questa esperienza; da parte nostra lavoriamo per continuarla ben sapendo che un anno è un periodo abbastanza breve per raggiungere pienamente i risultati ambiziosi di “Cittadini attraverso lo sport” e che sarebbe necessario un coinvolgimento a più ampio spettro delle tante comunità straniere presenti sul nostro territorio.

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Catalizzare l’integrazione CUNEO Comitato provinciale Responsabile locale Incaricato del progetto Comunità migrante Realtà locale

US Acli CUNEO Carlo Balatti Danilo Picco Ivoriana ASD Podistica Buschese ASD Sportinsieme

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SPORTIVA E OSPITALE CUNEO Il contesto territoriale in cui si esplica l’attività sportiva in provincia di Cuneo è quanto mai frammentato e variegato. Accanto alle classiche attività legate alle diverse federazioni esiste una moltitudine di gruppi sportivi diffusi in provincia caratterizzati da un forte legame territoriale con il comune di appartenenza. Al di là delle 7 maggiori città, la provincia è composta da cittadine di piccola media dimensione (con meno di 10 mila abitanti) dove l’appartenenza ad una società sportiva è praticamente comune a tutti i ragazzini in età scolastica. Anche presso gli adulti la pratica sportiva è ampiamente diffusa. La fanno da padroni in questi settori gli Enti di Promozione Sportiva. In particolare l’Unione Sportiva conta circa 17.000 soci e circa 150 circoli. Opera principalmente nel settore bocce ma, alcuni circoli, sono impegnati nella diffusione di altri sport quali il podismo, il tennis, il tai chi, il rafting, e la canoa fluviale, l’equitazione, il tiro con l’arco, il pallone elastico, l’escursionismo. Per quanto riguarda il contesto in cui sui è sviluppato questo progetto nello specifico, si fa riferimento all’ultimo rapporto sull’immigrazione della Provincia di Cuneo: “L’immigrazione straniera in provincia di Cuneo: i risultati dell’indagine campionaria 2008” a cura della Regione Piemonte, Direzione Formazione Professionale e Lavoro, Provincia di Cuneo, Ires Piemonte. Non si tratta di dati attualissimi, ma a parte il numero di immigrati che è passato a circa 52.000 alla fine del 2009, si può dire con ragionevole certezza che le dinamiche e le caratteristiche dei diversi gruppi sono rimaste inalterate. LA SITUAZIONE MIGRATORIA Nel quadro nazionale, la provincia di Cuneo si colloca sopra la media nazionale per incidenza percentuale della popolazione straniera, con la maggioranza delle province centro-settentrionali. In Piemonte nel 2006 sono arrivati (o sono nati) 45.173 nuovi residenti stranieri, ma 24.482 sono stati cancellati dall’anagrafe per diverse ragioni. La provincia di Cuneo ha fatto registrare una quota più alta della media regionale di cancellazioni per trasferimento della residenza, ma anche di nuovi iscritti. Tra le ragioni delle cancellazioni, oltre ai trasferimenti di residenza e ai decessi, si segnalano in provincia di Cuneo anche 510 casi di acquisizione della cittadinanza italiana (cancellazione come stranieri e registrazione come italiani). Continuano ad aumentare in numero e in percentuale i giovani stranieri, sia provenienti dall’estero sia nati in Italia da genitori stranieri. A Cuneo un minorenne su 10 è straniero ma ad Asti e Alessandria questa quota è ancora maggiore.


Una prova della stabilizzazione della popolazione straniera in Italia è il fatto che a inizio 2007 il 13,5% degli stranieri (esclusi quindi i naturalizzati e i figli di coppie miste) residenti è nato in Italia. A Cuneo sono il 15,2%. Osservando l’incidenza degli stranieri sulla popolazione residente per comune, rispetto alla media regionale, si nota che molti piccoli comuni collinari e di pianura ma anche molti centri popolosi della provincia, hanno alte percentuali di residenti stranieri. Gli immigrati attualmente presenti in provincia di Cuneo sono arrivati in Italia in un lungo arco temporale, con una particolare concentrazione nel periodo 1996-1998, nel 2000 e nel 2007. Il 73% degli immigrati sono arrivati direttamente nel Cuneese dall’estero e il 90% vi è giunto entro tre anni. In Provincia di Cuneo vi è una percentuale di disoccupati piuttosto alta, soprattutto tra le donne. La disoccupazione è maggiore rispetto alla Lombardia ma nel Cuneese è meno diffusa l’occupazione irregolare che interessa in complesso l’8,5% degli immigrati. Come in Lombardia, le donne hanno una quota di lavoro regolare e di lavoro autonomo molto minore dei maschi e fanno più spesso lavoro in nero. I marocchini sono il gruppo nazionale più colpito dalla disoccupazione, mentre il lavoro nero riguarda soprattutto i romeni. Il miglioramento della condizione lavorativa degli immigrati è molto legato all’anzianità migratoria. I neoarrivati sono frequentemente disoccupati o hanno un lavoro regolare ma a tempo determinato, mentre tra coloro che sono in Italia da più anni sale nettamente la percentuale di lavoratori regolari dipendenti a tempo indeterminato o autonomi. È inevitabile che gli irregolari rispetto al titolo di soggiorno svolgano lavori in nero, ma comunque nel Cuneese oltre metà di costoro lavora, a testimonianza delle possibilità di trovare occupazione nell’economia sommersa presente anche in questa provincia. In provincia di Cuneo i lavoratori immigrati sono anzitutto operai industriali. Meno frequenti sono invece le occupazioni in edilizia, nel terziario e come domestici, con l’eccezione delle assistenti domiciliari. Gli immigrati che svolgono lavori di tipo impiegatizio o qualificato sono pochi a Cuneo. Mentre solo i laureati o diplomati svolgono alcune attività qualificate non è vero il contrario: una percentuale non trascurabile di lavoratori che hanno conseguito un diploma o una laurea sono, per esempio, operai generici. UNA SPECIALIZZAZIONE PER NAZIONALITÀ Si conferma l’esistenza di una specializzazione per nazionalità con relative concentrazioni di marocchini nel lavoro operaio industriale e di albanesi in edilizia, ma anche delle pulizie e nel lavoro impiegatizio. I cinesi invece sono più presenti nelle attività commerciali e i macedoni in

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agricoltura. Le rumene predominano nell’assistenza in casa e nel lavoro domestico. Meno scontato è il fatto che una donna marocchina su cinque sia operaia dell’industria. Un caso particolare è quello dei cinesi che lavorano nelle cave di Barge e di Bagnolo, dove si osserva una delle concentrazioni etniche più grandi della provincia. È bene ricordare che queste specializzazioni talora definite “etniche” non derivano da propensioni collettive o da abilità e specializzazioni acquisite in patria ma soprattutto dalla articolazione più o meno casuale delle catene migratorie di fronte alle diverse opportunità di lavoro. Operai edili, domestici a ore, addetti alle pulizie e addetti ai ristoranti sono i profili più presenti tra gli immigrati che lavorano irregolarmente. Gli sportelli pubblici per immigrati e gli amici e conoscenti sono le prime due fonti usate dagli immigrati per affrontare i problemi burocratici e sociali. Gli immigrati in provincia di Cuneo appaiono in complesso stabilizzati sul territorio e inseriti nella società. Ma quali sono le intenzioni per il futuro immediato? si prevede un trasferimento altrove, il rientro in patria oppure si pensa di restare? All’esplicita domanda una netta maggioranza risponde che intende restare nel cuneese. È in questo ambiente che le Acli cuneesi hanno maturato ormai da qualche anno uno sportello di consulenza per gli immigrati con un operatore impegnato a tempo pieno.

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DI SINERGIA IN SINERGIA Le Acli cuneesi da sempre sensibili ai problemi legati all’integrazione dei cittadini stranieri hanno voluto dare una mano all’AIRPC (Associazione Ivoriani Residenti in Provincia di Cuneo) offrendo loro consulenza per la formazione dell’associazione e un ufficio presso la nostra sede provinciale. L’Unione sportiva Acli di Cuneo, da anni impegnata in un progetto di integrazione di malati psichici attraverso la pratica sportiva, tra le diverse attività organizza un torneo di calcio a 5 a cui partecipano diverse squadre del Centro Diurno dell’ASL, di diverse Comunità e dell’US Acli Cuneo. La proposta fatta all’AIRPC è stata quella di partecipare al progetto sviluppato con l’ASL inserendo a fianco della squadra dell’US Acli anche una squadra di ivoriani. Parte importante di questa proposta, è stata quella di inserire la comunità ivoriana non solo nella pratica sportiva ma anche nelle attività collaterali (momenti formativi, serate culturali, feste) al fine di favorire una più facile integrazione sul territorio cuneese della comunità ivoriana. L’assessorato allo sport che ha creduto in questa collaborazione, ha dato il suo sostegno all’iniziativa e si è impegnato anche in campo sportivo, organizzando una squadra di vigili urbani. INTEGRAZIONE E INCLUSIONE SOCIALE “Cittadini attraverso lo sport” ci ha fatto pensare che l’obiettivo più importante da raggiungere fosse quello di catalizzare i processi di integrazione e di sensibilizzare i cuneesi sulla questione più generale delle tante marginalità esistenti e sulla necessità di promuovere concreti percorsi di inclusione sociale. Per questo abbiamo deciso di allargare gli attori del progetto. Di fatto la prima delle attività sportive che abbiamo messo in campo, il calcio a 5, ha coinvolto la sede provinciale dell’US Acli - attraverso una sua associazione sportiva dilettantistica, l’ASD Sportinsieme - l’associazione degli immigrati ivoriani della provincia di Cuneo, una serie di Comunità di disabili e il Dipartimento di Psichiatria dell’ASL Cuneo 1. Per la seconda attività, il podismo, abbiamo puntato a favorire tra i ragazzi ivoriani, la pratica di questa disciplina attraverso un gemellaggio tra A.I.R.P.C.I. e l’ASD Circolo US Acli Podistica Buschese. LA GRANDE FORZA DEL CALCIO Il calcio è lo sport più accessibile a chiunque nella nostra cultura; così può diventare una sorta di linguaggio universale, un insieme di codici, di segnali, capace di superare qualsiasi ostacolo, differenza e diffidenza. Il calcio è in grado di permettere la formazione di un gruppo facilmente accessibile a tutte le persone in difficoltà che trovano al suo interno una possibilità di funzionamento uguale a quello di ciascun compo-

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nente. Con questa “arma” è persino possibile coinvolgere quei giovani tanto diffidenti e difficilmente avvicinabili in programmi terapeutico-riabilitativi. Il Gruppo-Calcio, inoltre, invece di presentarsi come un deterrente risulta un attivatore dell’interesse verso la realtà che c’è all’esterno del circuito psichiatrico e offre l’opportunità di prendere parte alle partite anche a coloro che non giocherebbero mai da nessuna parte; o come altri, che essendo bravi ma non sentendosi abbastanza protetti e rassicurati nel cercare fuori dal centro diurno una squadra, non hanno neanche l’opportunità di sperimentare le proprie capacità, precludendosi la possibilità di ottenere una ricaduta positiva sulla propria autostima e quindi sul proprio benessere.

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SUPERARE DIFFERENZE E PREGIUDIZI Per il paziente tale sport potenzialmente potrebbe rappresentare un’esperienza di passaggio capace di favorire l’aumento della fiducia in se stesso e, indirettamente, lo svincolo dal Centro diurno, mediante l’incremento del proprio impegno nei contesti reali, esterni. Il Servizio di salute mentale può farsi riconoscere, attraverso il calcio, nella realtà sociale in cui si attiva riducendo in tal modo pregiudizi e timori nei confronti sia degli utenti sia del servizio stesso. Il far nascere un campionato con una propria struttura organizzativa, in grado di affermarsi e ripetersi nel tempo in modo da soddisfare anche l’aspetto agonistico, è stato l’obiettivo di tanti operatori sanitari che credono nello sport e vedono in esso un moltiplicatore di energie positive e una leva potente per il superamento di qualsiasi differenza e pregiudizio. L’esistenza di una struttura autonoma (l’US Acli di Cuneo), esterna al circuito psichiatrico, garantiva la neutralità del messaggio: permettere agli utenti più gravi di fare sport così come qualsiasi altro cittadino nell’ottica di un intervento orientato a promuovere la qualità della vita. VERSO L’AUTONOMIA DEI GRUPPI Il progetto tradotto nella realtà locale, ha previsto in concreto l’organizzazione e la gestione di incontri con gruppi sportivi composti di migranti per favorire l’integrazione e l’autonomia dei gruppi stessi. Questi momenti di incontro sono stati finalizzati allo scambio delle diverse conoscenze ed alle diverse pratiche in ambito sportivo: ciò ha consentito di focalizzare l’attenzione su alcuni temi legati allo sport quali il concetto di squadra e di sport di squadra, il rispetto delle regole, il fair play, il rispetto dell’avversario. Ma non di solo sport si è trattato: i gruppi infatti sono stati coinvolti in un percorso non meno importante mirato a facilitare lo stabilirsi e il consolidarsi di relazioni forti, attraverso l’invito a partecipare attivamente alla vita associativa dell’US Acli di Cuneo, ai suoi consigli provinciali, alle serate tematiche, al lavoro di definizione e messa in campo di progetti.


SPORT, SALUTE, CONVIVIALITÀ Un passaggio essenziale ha riguardato l’aspetto della tutela sanitaria e della prevenzione che nello sport impatta tutti i cittadini; quelli che in diversa maniera praticano o si avviano a praticare attività sportiva. I partecipanti al progetto sono stati infatti sottoposti ad una visita medico sportiva completa eseguita da medici abilitati che hanno garantito l’idoneità di ognuno alla pratica. Tra calcio a 5, podismo, incontri, formalizzazione di una nuova ASD, numerose serate culturali, “Cittadini attraverso lo sport” ha toccato il traguardo finale. E come tradizione, l’ultima sfida del torneo - al parco del Centro diurno del quartiere Donatello - si è conclusa con la premiazione delle squadre ed un momento conviviale tra degenti, familiari e partecipanti.

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Flickr/Shawnzrossi

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

La grande sfida dello sport IMPERIA Comitato provinciale Responsabile locale Incaricato del progetto Comunità migrante Realtà locale

US Acli IMPERIA Ornella Moraglia Luciano Brunengo Etnie diverse Cooperativa tra le Alpi e il mare

Foto di repertorio

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LA SFIDA DELL’INTEGRAZIONE Lo sport è rispetto delle regole, rispetto dell’altro, è vivere insieme all’altro, è vivere la collettività, è un elemento di solidarietà. Tutti valori il cui apprendimento è alimentato da una esperienza di vita condotta in un gruppo o in una società sportiva, facendo pratica in un campetto di periferia o in un impianto super attrezzato. Lo sport è anche un formidabile strumento per vincere una tra le sfide più impegnative dei nostri tempi, quella dell’integrazione e dell’inclusione sociale: una sfida per contrastare mancanza di relazioni, isolamento, distacco dal contesto sociale di quanti si trovano in situazioni di disagio e di marginalità. E non solo in Italia; basta dire che sulla pratica sportiva puntano anche gli organismi europei per realizzare una migliore inclusione sociale a livello continentale. Una sfida che oggi è diventata incalzante di fronte al crescente fenomeno migratorio. “Cittadini attraverso lo sport” che il comitato provinciale US Acli di Imperia - il cui impegno è da sempre orientato al sociale - ha accettato di sperimentare, parte proprio da qui: dalla consapevolezza di poter indirizzare la passione sportiva sulla costruzione di canali di comunicazione aperti verso chi attraversa, spesso con molta difficoltà, la condizione di migrante.

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INSIEME “TRA LE ALPI E IL MARE” Situata sulla Riviera dei fiori e capoluogo dell’omonima provincia ligure, Imperia incorpora in sé la costa sino agli Aregai, il Golfo Dianese e la media valle Impero. Gli stranieri residenti sono pari all’8,89 % della popolazione totale del Comune; le prime 10 comunità straniere con maggior numero di residenti a Imperia, sono di nazionalità albanese, turca, tunisina, romena, peruviana, marocchina, tedesca, ucraina, francese e filippina. Questo territorio può essere dunque considerato un vero e proprio incrocio di civiltà e di culture. Già dall’avvio di “Cittadini attraverso lo sport”, si è scelto di coinvolgere la Cooperativa sociale “Tra le Alpi e il mare” di Pieve di Teco. Operando in una piccola realtà dell’entroterra imperiese, la Cooperativa ben conosce i disagi e le problematiche di quanti vivono in una comunità circoscritta, le cui caratteristiche ed esigenze non sono molto diverse da quelle di chi vive in città. Compresa la convivenza con persone di etnia, religione e culture diverse. COOPERARE È IMPORTANTE L’accoglienza del “diverso” si incomincia a coltivare da piccoli. Per questo abbiamo pensato di portare avanti il progetto puntando su ragazzi giovanissimi dell’Istituto comprensivo statale “G. Gabrielli” di Pieve di Teco e come sport sull’onnipresente calcio a 5. Una rete di relazioni istituzionali ci ha consentito di facilitare l’organizzazione di un torneo: il comune di Ranzo ha messo a disposizione gli impianti sportivi; la Prolo-


co dello stesso comune ha curato l’aspetto conviviale mentre la Comunità montana Alta Valle Arroscia ha fornito il servizio di trasporto con gli scuolabus permettendo la partecipazione dei ragazzi della Valle. Grazie anche alla professionalità del presidente della cooperativa, Flavio Bellando, si sono potuti valorizzare i tempi del progetto sia rispetto alla parte strettamente organizzativa del torneo sia rispetto alla parte più formativa dei partecipanti. LAVORARE IN SQUADRA Punto nodale della sperimentazione del progetto, non solo l’attività sportiva vera e propria durante la quale i giovani liguri si sono confrontati sul campo e negli spogliatoi con i ragazzi stranieri coinvolti - che avevano formato una loro squadra dal nome simbolico di “Internazionale”ma anche tutta l’attività organizzativa e gli incontri formativi. Come nel gioco sportivo la squadra permette di valorizzare ruoli e capacità diverse, così lavorare in squadra consente di rendere la diversità opportunità e risorsa, di mettere a frutto conoscenze e passione di tutti. Nel nostro caso, la produzione di volantini promozionali, la raccolta delle adesioni, la formazione delle squadre e gli abbinamenti degli incontri, hanno attivato quelle dialettiche nei rapporti che hanno fornito lo spunto per sviluppare momenti educativi. Per esempio nel corso degli incontri tematici che hanno approfondito alcuni temi importanti: il valore sociale dello sport, il concetto di squadra e di appartenenza ad essa, il rispetto delle regole e dell’avversario, l’elaborazione della sconfitta.

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Flickr/KG Sand Soccer

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Sport e dialogo un aiuto all’integrazione MILANO Comitato provinciale Responsabile locale Incaricato del progetto Comunità migrante Realtà locale

US Acli MILANO Domenico Lupatini Mauro Montalbetti Senegalese ASD Pontelambro Hammers

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UNA CITTÀ MULTIETNICA E MULTIRELIGIOSA Milano vede ormai consolidata da oltre un decennio, una vasta presenza di cittadini provenienti da paesi extraeuropei che costituiscono, secondo gli ultimi dati statistici, il 16 % dei residenti nella città. La città multietnica e multireligiosa è una realtà di fatto; da tempo le Acli di Milano, attraverso le strutture di Ipsia e di US Acli, si stanno confrontando e proponendo progetti e percorsi di educazione, di integrazione, di sensibilizzazione. Percorsi che vedono protagonisti i soggetti singoli o associazioni di migranti di diverse confessioni religiose, presenti e operanti in città. Da qualche anno abbiamo scelto di centrare il dialogo su due filoni: - Il primo caratterizzato da un lavoro di incontro, confronto e proposta con gruppi giovanili musulmani ed ebrei; questo anche nell’ottica di favorire il dialogo tra comunità collegate dall’appartenenza o dal legame storico, culturale e religioso, all’area mediorientale e alle radici abramitiche ma divise da un conflitto che dura da almeno 60 anni in Israele e Palestina. - Il secondo, frutto di relazioni consolidate negli anni (nello specifico attraverso i progetti di cooperazione decentrata e di co-sviluppo) con le associazioni di migranti senegalesi, una delle realtà immigrate più consolidate e attive da tempo nell’area metropolitana milanese. DUE GEMELLAGGI SIGNIFICATIVI

Comunità ebraica e gruppo giovanile musulmano - Il primo ge-

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mellaggio è stato siglato con una associazione giovanile della comunità ebraica di Milano - Associazione Kidmà - e con il gruppo giovanile legato al GMI (giovani musulmani di Milano) con i quali negli ultimi anni si sono organizzati dei momenti comuni di incontro e di confronto sia sulla lettura dei rispettivi stereotipi sia rispetto al ruolo di minoranza nazionale e/o religiosa nel contesto metropolitano; sia anche sulla riflessione di come la cultura e la religione di appartenenza influiscano e cambino per un giovane, il modo di vivere la propria quotidianità a Milano: la scuola, le relazioni interpersonali, l’approccio all’ autorità e alle regole, lo specifico femminile. Ed è proprio a partire da queste suggestioni che un gruppo composto da volontari italiani e delle altre due comunità, ha partecipato ad una serie di incontri organizzati presso la sede Acli di Milano durante i quali si è voluto far emergere anche le immagini cristallizzate, gli stereotipi culturali e politici che riguardano se stessi, la propria identità e gli altri. In questo contesto lo sport, gli strumenti ricreativi e l’informalità dei gruppi, sono apparsi come facilitatori di processi di integrazione sociale e culturale. Fare insieme - Partendo da questi spazi di dialogo si sono poi avviate altre esperienze e manifestazioni, in particolare con l’associazione gio-


vanile Kidma. In occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio, l’US Acli, i ragazzi del progetto di volontariato internazionale di Ipsia,Terre e Libertà, alcune ASD composte da ragazzi italiani, stranieri e di origine Rom, la squadra ALBIKS di ragazzi albanesi immigrati, hanno partecipato al Torneo Memorial in ricordo dell’allenatore dell’Inter e del Bologna, l’ungherese Arpad Weisz, morto con tutta la sua famiglia nel campo di concentramento di Auschwitz. La manifestazione è stata realizzata allo Sporting club di Novegro/Opera, il 30 Gennaio 2011, con il patrocinio dell’Assessorato allo Sport del Comune di Milano e della Fondazione CDEC (Centro documentazione ebraica contemporanea). Un’iniziativa con la quale si è voluto da un lato favorire presso le giovani generazioni la cultura della memoria della Shoah, anche attraverso la diffusione di una sensibilità sportiva e civile di rispetto per le altre culture e religioni; dall’altro, fornire una risposta costruttiva agli episodi di razzismo e antisemitismo che si verificano con sempre maggior frequenza all’interno degli stadi italiani.

Comunità senegalese - Il secondo gemellaggio è legato alle comunità migranti, in particolar modo a quella senegalese. I senegalesi in Italia costituiscono il nucleo più significativo di migranti provenienti dall’Africa Subsahariana. Infatti secondo i dati Istat, i senegalesi residenti sono cresciuti dai 37.204 di fine 2002 ai 67.510 di fine 2008. Più di un terzo si concentrano in Lombardia, con una significativa presenza nell’area metropolitana milanese e nella provincia. Particolarmente sviluppato è l’associazionismo. all’interno del quale si possono individuare realtà con differenti funzioni. Vi sono associazioni di carattere provinciale con funzioni di solidarietà, mediazione e rappresentanza nei confronti delle istituzioni locali, per fa-

Giovanni Fucili

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vorire i percorsi di regolarizzazione, accesso al lavoro, alla cura e all’alloggio, per diffondere la conoscenza della cultura africana. Con una di esse - l’Associazione culturale Sunugal di Milano - l’US Acli ha instaurato dialogo e collaborazione.

Un mondo in gara - In una serie di incontri e nel confronto con l’ASD Hammers del quartiere milanese di Ponte Lambro, l’US Acli ha promosso la nascita di un gruppo sportivo senegalese, facendosi contemporaneamente partner dell’iniziativa Un mondo in gara, promossa dall’ Associazione Sunugal e dalla Associazione culturale Maschere Nere. Un torneo calcistico presso l’Arena Civica di Milano, patrocinato dal Comune e dal Centro Servizi Volontariato, con l’obiettivo di promuovere un modello di calcio come pratica socio-culturale e come veicolo di cambiamento. Un torneo che ha offerto uno spazio espressivo ai cittadini del mondo la cui presenza attiva, la cui arte, musica e tradizione, arricchiscono la società civile milanese. Attori dell’iniziativa, squadre di cittadini immigrati provenienti da Capo Verde, Ecuador, Perù, Senegal, Egitto, Italia, Brasile: squadre da tutto il mondo che si sfidano in un’appassionante competizione sportiva e umana.

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SI PUÒ FARE Questi momenti di incontro e dialogo tra giovani attraverso la leva sportiva, potrebbero e essere un’occasione - se strutturata nel tempo - per aiutare i processi di integrazione nel contesto urbano, delle comunità straniere e delle minoranza religiose o culturali presenti. Il processo portato avanti con “Cittadini attraverso lo sport” ha presentato fatiche diverse: un cammino più semplice con i giovani, più lungo e difficoltoso sia in termini di relazione che di disponibilità di tempo, con gli immigrati adulti, la cui esperienza lavorativa spesso usurante, rende il più delle volte faticosa l’organizzazione e la partecipazione anche ai momenti ricreativi e sportivi. In ogni caso, tutte le realtà coinvolte hanno vissuto occasioni di confronto che hanno consentito di cogliere e assumere la complessità quale paradigma in grado di individuare i vari livelli di identità; questo soprattutto nell’incontro con i giovani immigrati di seconda generazione appartenenti a gruppi culturali e religiosi comunque portatori di una loro specifica lettura della società. Esperienze che sarebbe opportuno replicare, consolidando queste progettualità in modo che si possano socializzare e diffondere a tutte le realtà associative dell’area metropolitana milanese, individuando magari nelle stesse associazioni migranti o nelle rappresentanze delle comunità culturali e religiose presenti a Milano, i soggetti partner o attuatori del progetto.


CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Sport per comunicare PADOVA Comitato provinciale Responsabile locale Incaricata del progetto Comunità migranti

Realtà locale

US Acli PADOVA Marco Di Silvestre Silvia Scarsato Studenti stranieri Università di Padova Assistenti familiari straniere (Acli Colf) Gruppo brasiliano ASD Free line - ASD New athletic and marthial school

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PADOVA, IMMIGRAZIONE IN CRESCITA Le azioni sperimentali del progetto si sono svolte prevalentemente nella città di Padova dove, come del resto in tutto il Veneto, la presenza di cittadini stranieri residenti è una realtà sempre più consolidata e in continua espansione, più visibile nei quartieri delle città, nelle zone più industrializzate, nelle scuole e nei posti di lavoro. I principali Paesi di provenienza degli stranieri sono Cina, Moldavia, Romania, Marocco ed Albania, con un significativo aumento dei cittadini Romeni. Il livello di istruzione è in continuo miglioramento; in crescita le persone che possiedono una laurea o almeno un diploma superiore, così come è in aumento il tasso di scolarità, vale a dire la percentuale di ragazzi in età 14-18 anni iscritti ad una scuola superiore di secondo grado. Anche il mondo della scuola in questi anni si sta adattando per poter far fronte alla crescente presenza di stranieri, una realtà che comporta la necessità di creare nuove e sempre più efficienti modalità d’intervento. In particolare negli ultimi anni si è andato consolidando un progetto migratorio più a lungo termine che per effetto dei ricongiungimenti familiari, prevede l’arrivo di parenti, la nascita di nuovi bambini e la formazione di nuclei familiari.

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IL RUOLO DELLE DONNE Inoltre protagoniste di flussi migratori via via più consistenti sono le donne, non solo in termini numerici: la loro presenza sul territorio si configura come una delle chiavi dell’integrazione sociale tra culture e valori sia per il peso nel mercato del lavoro sia per il loro ruolo nella vita familiare. Donne impegnate come lavoratrici, come mogli e come madri dei tanti minori di origine straniera che saranno in buona parte dei nuovi veneti e che costituiranno il tessuto di una società futura sempre più multietnica. I quartieri padovani con una maggiore concentrazione di cittadini immigrati e stranieri - come si evidenzia dai dati statistici del Comune di Padova - sono il Centro (1.456 immigrati su 26.624 residenti) e il quartiere Nord (2.133 immigrati su 38.582 residenti). Ed è in questi quartieri che si svolgono le azioni progettuali dell’US Acli di Padova legate al progetto “Cittadini attraverso lo sport”. TUTTI IN MOVIMENTO Il comitato provinciale di Padova, attraverso la realizzazione delle azioni relative al progetto, ha lavorato su tre ambiti di intervento: attività di tango con gli studenti stranieri iscritti all’Università di Padova; attività di ginnastica e fitness con un gruppo colf delle Acli di Padova; attivazione di una nuova ASD con un gruppo di brasiliani, per la diffusione della disciplina della Capoeira.


Nella attività descritte sono intervenute come parte attiva, l’ASD Free line e l’ASD New athletic and marthial school, l’una e l’altra società sportive affiliate all’US Acli. TANGO: QUANDO LA COMUNICAZIONE È CORPOREA Nei mesi di ottobre-novembre e dicembre 2010 l’associazione sportiva dilettantistica Free line, grazie alla collaborazione del prof. Alberto Muraro, vice presidente provinciale dell’US Acli, ha promosso un corso di tango argentino per studenti universitari, in collaborazione con il centro Linguistico di Ateneo. Il corso, aperto a tutti gli studenti, ha posto una particolare attenzione a quelli provenienti da altri paesi, con l’intenzione di favorire il processo di accoglienza ed integrazione di quanti giungono a Padova per studiare nella nostra Università. Il gruppo, formato da una cinquantina di ragazzi, provenienti da ben 11 paesi europei ed extraeuropei, si è sviluppato in 10 incontri svolti il venerdì pomeriggio in un clima sereno e ricco di collaborazione. L’insegnamento della danza argentina ha permesso di superare con facilità la difficoltà di comunicazione linguistica, dando spazio e valore alla comunicazione corporea. L’ insegnamento del tango argentino si è ampliato anche in un percorso di ricerca e studio della danza, del contesto in cui viene praticato, del valore simbolico che trasmette per la cultura di quei popoli. Tale percorso ha consentito agli studenti universitari di aprirsi alla conoscenza e allo scambio di altre danze popolari, in un clima di grande integrazione. Al termine delle 10 lezioni, il folto gruppo di giovani provenienti da diverse culture ha presentato una piccola kermesse di danza e teatro ripercorrendo la storia e le origini del tango, con brani recitati dagli studenti stranieri in diverse lingue: italiano, inglese, tedesco, farsi e spagnolo. PRENDERSI CURA DEGLI ALTRI Le Acli-Colf di Padova hanno rappresentato in questi anni una realtà associativa sempre più radicata nel territorio cittadino, diventando un punto di riferimento importante tanto per le famiglie datrici di lavoro domestico quanto per le lavoratrici e i lavoratori, stranieri e autoctoni, impiegati in questo settore. L’attività dell’associazione può essere sinteticamente suddivisa in due diverse aree di intervento. La prima ruota attorno al patronato e si rivolge a famiglie e lavoratrici, fornendo un servizio di informazione e orientamento per la corretta gestione dei rapporti di lavoro domestico. Agli sportelli del patronato nel corso dell’ultimo anno si sono rivolte più di tremilacinquecento persone, mentre sono ormai più di mille le famiglie padovane che hanno affidato alle nostre operatrici la gestione dei rapporti di lavoro domestico e badantato; un servizio che non si limita alla gestione delle problematiche amministrative e contrattuali ma che spesso porta avanti un’indispensabile opera di me-

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diazione dei conflitti e delle incomprensioni che possono insorgere all’interno di questo delicato comparto lavorativo. La seconda area di intervento riguarda più propriamente la condizione delle donne, ma anche, sempre più spesso, degli uomini impiegati in questo settore.

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BENESSERE E SOCIALIZZAZIONE Grazie al progetto “Cittadini attraverso lo sport” la proposta a favore dei cittadini e delle cittadine straniere che lasciano le loro famiglie di origine per migrare in Italia e prendersi cura di altre famiglie, si è arricchita di una nuova esperienza: per tre mesi la società sportiva dilettantisitica New Atletich and Martial school, affiliata all’US Acli, ha aperto le porte della propria palestra a queste nuove cittadine, offrendo loro un percorso di 15 allenamenti di attività motoria e sportiva, fitness e wellness. Il gruppo guidato da personale esperto e qualificato attraverso un apposito corso di formazione promosso dall’ US Acli di Padova, per favorire il benessere psicofisico personale e la socializzazione, si è incontrato per oltre tre mesi con frequenza settimanale nel primo pomeriggio, orario agevolato per coloro che sono quotidianamente impegnati nella cura e assistenza domiciliare delle persone anziane; sperimentando diverse modalità di attività, motoria e sportiva, tutte hanno riscoperto il gusto e la bellezza di dedicare del tempo anche alla cura di se stesse e della propria corporeità. Muoversi al ritmo di musica, riconoscersi in un corpo sano e agile, dà carica ed entusiasmo per tornare più motivate e serene al lavoro e dedicarsi a persone che ormai non sono più autosufficienti. Il percorso di socializzazione inoltre è stato arricchito, in un’ottica di sistema, proponendo un ciclo di quattro incontri, curato dagli psicologi del Punto Famiglia Acli e dedicato alla mediazione culturale e alla risoluzione dei conflitti che possono insorgere quando il lavoro di badante viene svolto in regime di co-residenza. I ripetuti incontri hanno stimolato in queste donne la voglia e l’interesse di ritagliare del tempo per se stesse, per meglio integrarsi e vivere l’esperienza di cittadine migranti; alcune, al termine del percorso, hanno fatto la scelta di continuare a frequentare la palestra inserendosi e integrandosi in un gruppo già attivo. UNA NUOVA ASD CON IL GRUPPO MUZENZA DI CAPOEIRA Presso I’ASD New Athletic and Martial School, affiliata all’US Acli di Padova, opera da alcuni anni l’insegnate Claudia Pires Santana, brasiliana, a cui dopo aver vinto il 3º Campionato Mondiale di Capoeira Muzenza 2004 - Curitiba - PR, in Brasile, è stata offerta la possibilità di iniziare a sviluppare un lavoro con la pratica della Capoeira in Europa, in particolare in Italia. Claudia, giunta nel nostro Paese nel 2005, ha iniziato ad operare presso strutture già attive attraverso la proposta suggestiva di attività motoria e sportiva e la pratica della Capoeira.


CHE COS’È LA CAPOEIRA La Capoeira è una lotta brasiliana di origine africana, caratterizzata da elementi espressivi come la musica e l’armonia dei movimenti, oggi praticata in molti paesi come disciplina sportiva. Nata circa 500 anni fa in Brasile nelle comunità di schiavi neri costretti a lavorare nelle piantagioni, è particolarmente incentrata sulla forze e sull’agilità delle gambe; è una attività che comprende un misto di sport, cultura, arte, danza, lotta, folclore, musica e acrobazie. Il gruppo Muzenza è uno dei più grandi gruppi di Capoeira nel mondo; ad oggi conta più di 30.00 allievi ed è presente in 26 stati brasiliani e in 32 paesi del mondo. Obiettivo principale del gruppo è la diffusione della Capoeira, attraverso la ricerca e lo sviluppo del livello tecnico, teorico, didattico e pedagogico, intendendo la disciplina non solo come forma di lotta ma anche come arte, cultura e filosofia di vita. Claudia quindi comincia a proporre a bambini e adulti i primi elementi di Capoeira e grazie alla proposta ludica e al lavoro di gruppo offre la possibilità agli allievi di svolgere un esercizio divertente e diverso. UN ABBINAMENTO FRUTTUOSO A luglio 2006, l’insegnate Jean Carlo Science è stato invitato a partecipare a spettacoli in Europa con il Gruppo di Danza Tedesca (Grupo 25 de Julho) della città di Blumenau - SC (Brasile) e, passando attraverso diverse tournèe in Germania e Austria, presentando la cultura afro - brasiliana, grazie ad un progetto sviluppato con l’appoggio del Ministero della Cultura del Brasile, è infine arrivato a Padova per un intercambio culturale. I due insegnati cominciano ad operare insieme e a promuovere la disciplina, oltre che con l’insegnamento nelle scuole, nelle palestre e nei centri estivi, anche organizzando annualmente stage internazionali e partecipando a diversi spettacoli con esibizioni all’aperto. Partecipano alla festa dei Popoli promossa dell’omologo comitato in collaborazione con il Comune di Padova, dove rappresentano la cultura brasiliana. Il gruppo cresce, cresce l’esigenza di nuovi spazi per gli allenamenti e, a mano a mano che il gruppo si relaziona con interlocutori istituzionali, Enti locali, scuole, Coni, ecc. si fa avanti l’esigenza di dare forma giuridica al gruppo per i necessari riconoscimenti. LA NASCITA DELL’ASD L’US Acli di Padova, grazie al progetto “Cittadini attraverso lo sport” mette a disposizione del gruppo tutte le informazioni necessarie per costituire un’associazione sportiva dilettantistica, invita i responsabili del gruppo agli incontri di formazione e informazione sulle tematiche civilistiche e fiscali relative alle associazioni sportive dilettantistiche, insieme scrivono l’atto costitutivo e lo statuto e provvedono alla regolare re-

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gistrazione e all’apertura del codice fiscale presso l’ufficio delle Entrate. Per più di sei mesi vengono affiancati nella conoscenza della normativa specifica e nella cura della gestione democratica attraverso la regolare convocazione degli organi, la stesura dei verbali e la tenuta della contabilità. Claudia Pires Santana è la prima presidente dell’ASD “Casa du Brasil”, ora iscritta all’US Acli e al registro nazionale del CONI e conta già oltre 30 iscritti. UNO SGUARDO AI RISULTATI Il progetto ha offerto l’opportunità di creare relazioni significative sul territorio tra società sportive strutturate e gruppi informali di cittadini immigrati che, per la difficoltà di raggiungere le adeguate informazioni, faticano a completare il reale processo di integrazione. In particolare il gruppo di brasiliani, da diverso tempo stava cercando di costituirsi in associazione ma c’era quasi paura di entrare in un processo di riconoscimento troppo importante e “pericoloso”. Le risorse messe a disposizione dal progetto ci hanno permesso di approfondire il percorso di accompagnamento alla costituzione dell’ASD. Allo stesso modo il gruppo delle colf, che sentiva il bisogno di praticare attività fisica, ha trovato un “canale di accesso agevolato” per rapportarsi con le realtà sportive del territorio.

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Sport d’acqua per integrarsi ROMA Comitato provinciale Responsabile locale Incaricato del progetto Comunità migrante Realtà locale

US Acli ROMA Luca Serangeli Marco Mencaglia Romena ASD Arvalia nuoto

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UNA COMUNITÀ NUMEROSA Gli immigrati romeni costituiscono il primo gruppo delle comunità straniere residenti a Roma. Si tratta di persone - principalmente della fascia di età 19 /40 anni - arrivate in Italia da sole o seguendo la rete parenti e/o amici, alla ricerca di un lavoro e di condizioni di vita migliori di quelle che si possono ottenere attualmente in Romania. La maggioranza degli uomini lavora nell’edilizia, le donne come collaboratrici domestiche ma non solo: lavorano anche nei negozi, negli alberghi, nei ristoranti, nella sanità e nell’assistenza sociale. Di origine romena sono le persone che l’US Acli ha coinvolto nel progetto, presenti in quantità considerevole nel quartiere dove si sono svolte le attività. Proprio la nostra esperienza in questo territorio, ci fa dire che progetti come “Cittadini attraverso lo sport”, sono utili sempre ma soprattutto là dove la percentuale di popolazione immigrata è elevata.

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LA REALTÀ DEL “SERPENTONE” Il progetto si è sviluppato nel XV Municipio del Comune di Roma, zona Corviale. Da sempre questo Municipio viene identificato attraverso un palazzo lungo circa 1.200 metri chiamato “serpentone”, costruito negli anni ’70 per rispondere alle esigenze dell’edilizia popolare romana. Dopo 40 anni il quartiere presenta una densità di abitanti altissima: le persone che vivono all’interno del “serpentone” sono più di 6.500. Molte sono le problematiche che nel corso degli anni si sono succedute nel territorio italiano e che hanno portato a quella mescolanza di religioni, culture ed etnie diverse che oggi lo caratterizzano. Corviale non fa eccezione: mentre è un quadrante della città inserito nel progetto di candidatura di Roma alle Olimpiadi 2020, è allo stesso tempo un territorio difficile per le nuove generazioni; un tessuto sociale dove sono presenti numerose contraddizioni. Tuttavia l’intervento di amministratori locali competenti ha fatto sì che la zona stia recuperando gli anni persi, al punto che famiglie giovani sempre più scelgono Corviale come quartiere per il domani. Qui “Cittadini attraverso lo sport” ha cercato di coniugare il passato ed il presente del territorio attraverso l’attività sportiva e in particolare con le attività acquatiche. LA SCELTA DELLA DIMENSIONE “FAMIGLIA” Di fatto, la proposta di attività sportiva è stata un valido approccio per mettersi in relazione con la comunità romena di Corviale e in particolare una serie di eventi socio/sportivi in cui venivano coinvolti genitori e figli, ha permesso di far nascere interessanti sinergie. La dimensione familiare è stata molto importante: proprio perché si è puntato a far muovere insieme genitori e figli, il gruppo che ha partecipato al progetto (20% maschi e 80% femmine) aveva un’età compresa tra i 9 e i 43 anni. Questo mix di età è stato una carta vincente.


Infatti negli incontri periodici per allenamenti e tornei, il fattore età non veniva assolutamente preso in considerazione: grandi e piccoli, adulti e ragazzi, hanno potuto realizzare e dimostrare di stare bene insieme in un gruppo intergenerazionale. Una “novità” che - nel corso dei mesi previsti dal progetto - ha portato ad una crescita dei singoli partecipanti e del gruppo stesso. Soprattutto i più giovani hanno acquisito progressivamente quel senso di responsabilità che ad oggi, li accompagna nella loro vita quotidiana. Un risultato conseguito proprio grazie alla particolare composizione del gruppo ed agli adulti che hanno voluto e saputo mettersi in gioco avendo come primo obiettivo il bene loro e dei propri figli. SPERIMENTARSI IN ACQUA A partire dalla seconda fase di “Cittadini attraverso lo sport”, la comunità romena è stata invitata nella piscina comunale “Arvalia nuoto” per prendere parte ai primi allenamenti. Inizialmente i partecipanti al progetto dimostravano poca dimestichezza con l’acqua ma gioco ed esercizi mirati ad adulti e bambini, hanno fatto sì che presto si creasse un clima allegro e sereno. Romeni e italiani: tutti in acqua con lo stesso livello “tecnico” che era il solo fattore di divisione tra grandi e piccoli. Qui si è irrobustita, attraverso la conquista della sicurezza in acqua e la conseguente familiarità con questo elemento, la grande coesione del gruppo. A consolidare il rapporto istauratosi tra US Acli e comunità romena, la partecipazione alla manifestazione sportiva di nuoto “XI edizione Memorial Fabio Gori” che ha confermato come anche il sostegno ad un sano agonismo sportivo degli atleti in gara, possa rappresentare una

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buona opportunità di condivisione e vicinanza tra comunità diverse. Questo coinvolgimento ad un evento così amato e seguito nell’US Acli romana, ha permesso inoltre di diffondere una visione positiva degli immigrati. Visione positiva sostenuta e confermata quando si sono messe in campo alla fine delle gare, alcune attività tipiche dei paesi dell’ est Europa, con una particolare attenzione alle attività sportive praticate in Romania. RILANCIARE L’ESPERIENZA Attraverso il progetto e tramite lo sport, è stato possibile favorire un buon livello di interazione tra immigrati e associazioni sportive del territorio. Di fatto, proprio l’associazionismo è stato il primo contesto in cui si sono attivate azioni a favore dei cittadini immigrati, in particolare attraverso corsi informativi e formativi oltre a percorsi mirati a sostenere concreti processi di integrazione. “Cittadini attraverso lo sport” è stato un momento importante. Sin dall’inizio non si sono riscontrate particolari problematiche: ottimo il livello di accoglienza esercitato dagli italiani verso la comunità romena, accompagnato e sostenuto da una sincera curiosità nei confronti di usi, costumi, tradizioni di un paese entrato ufficialmente da pochi anni nella Unione Europea. Il progetto dunque, presenta tutte le potenzialità necessarie per essere rimesso in cantiere nel prossimo anno con l’obiettivo di coinvolgere più etnie e culture diverse. Lo sport infatti può essere uno strumento molto efficace per avviare processi di integrazione soprattutto in quei territori e in quelle situazioni dove l’immigrazione rischia di divenire un difficile problema sociale.

Eugenio Doretti

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Se il progetto va in rete TERNI Comitato provinciale Responsabile locale Incaricata del progetto Comunità migranti Realtà locale

US Acli TERNI Gianfranco Almadori Mariacristina Iotti Ucraina - Russa - Albanese Croata ASD Ternananuoto US Acli

Foto di repertorio

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UNA TERRA ACCOGLIENTE Il territorio del Comune di Terni, come il resto d’Italia e d’Europa, è ormai da diversi anni meta di arrivo per molti migranti provenienti soprattutto da alcuni paesi dell’est europeo, dall’Africa e dall’Asia e anche da altri paesi comunitari. Le situazioni, le esperienze e le esigenze di questi cittadini stranieri sono tra le più varie. Si passa da chi è in fuga da situazioni di guerra e di estrema povertà o investe nella migrazione come strumento per raggiungere un futuro più accettabile, grazie a migliori opportunità di lavoro, a chi infine molto semplicemente spera di ricongiungersi ai propri cari. Per alcuni l’Umbria rappresenta un punto di transito, attraverso il quale migrare verso altre città d’Italia o addirittura altri Paesi; per altri invece, il luogo di approdo in cui fermarsi ed iniziare così una nuova vita. NON SOLO EMERGENZA In entrambi i casi, non si tratta più - o almeno non solamente - di situazioni di contingenza e di emergenza ma di persone che intendono avviare un progetto di vita e di lavoro nel nostro territorio. Di conseguenza la strutturazione di un’autentica politica per i migranti è diventata necessaria per rendere possibile una reale integrazione dei nuovi cittadini all’interno delle singole realtà locali in cui vivono, soprattutto per due ordini di motivi: da un lato per prevenire situazioni e comportamenti a rischio di devianza, abbandono, degrado sociale. Situazioni che potrebbero incidere sul livello di coesione sociale, generando incertezze e perdita di senso di sicurezza nei cittadini e soprattutto in quelli appartenenti alle fasce più deboli maggiormente esposti alle tensioni sociali. Da un altro lato per garantire ai cittadini migranti un adeguato livello di servizi alla persona; per permettere un’autentica integrazione nel tessuto sociale, in un mondo di relazioni e di rapporti, di diritti e di doveri; per non farli sentire cittadini di serie b.

Francesco Piagnoli

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I migranti presenti sul territorio sono di varia estrazione e svolgono diverse occupazioni. Le donne svolgono principalmente il lavoro di colf o badanti, gli uomini lavorano specialmente nell’edilizia, nell’industria o nel commercio. Spesso è uno dei due membri della coppia a partire per primo, per essere poi raggiunto dal resto della famiglia, bambini compresi. Sono anche molti i bambini nati sul territorio italiano - e di fatto italiani a tutti gli effetti. Sul territorio di Terni non sono presenti grosse tensioni sociali ma questo è anche dovuto a una politica di integrazione che è durata negli anni, il cui peso ricade sempre di più sul privato sociale, sulle cooperative e sulle associazioni. L’IMPORTANZA DEL GEMELLAGGIO… Il Progetto “Cittadini attraverso lo sport” ha coinvolto i ragazzi e le rispettive famiglie di varie nazionalità dell’Europa orientale, soprattutto Ucraina, Russia, Albania e Croazia. La sinergia è stata avviata grazie ai contatti avvenuti tra la comunità ucraina residente a Terni e le Acli. La comunità ucraina aveva espresso la volontà di creare una propria associazione che avesse un riconoscimento a livello provinciale. Tale associazione ha visto la luce nell’ambito delle Acli di Terni. In questo modo si è venuto a creare uno stretto rapporto tra le famiglie ucraine e le varie associazioni interne alle Acli, tra cui anche l’US Acli. Capofila di questa associazione è Eva Mandzyuk che ha curato i rapporti tra i membri della comunità ucraina e i vari soggetti delle Acli. È così che l’US Acli ha potuto coinvolgere immediatamente le famiglie ucraine nel progetto “Cittadini attraverso lo sport”. A loro volta, le famiglie ucraine hanno attivato un passaparola attraverso i propri contatti e i propri amici, anche di altre comunità, raggiungendo in questo modo famiglie di nazionalità russa, albanese e croata. Il gruppo interessato al progetto, era costituito da circa trenta persone, più i membri delle rispettive famiglie. Si trattava di uomini e donne, dai trenta ai cinquant’anni circa. Il gruppo ha collaborato con l’US Acli, in particolare con Mariacristina Iotti, per arrivare ad un’intesa che coniugasse gli interessi, le esigenze e le aspettative di tutte le parti. L’accordo è stato raggiunto sulla realizzazione di un corso di nuoto per bambini e ragazzi, aperto sia ai membri delle comunità migranti sia ad italiani. …E DEL PASSAPAROLA Le famiglie coinvolte sono state da subito favorevoli, anche per propria cultura, all’attività sportiva rispetto alla quale hanno mostrato un vivo interesse. In particolare hanno apprezzato la proposta del nuoto come sport indicato per i loro figli: attività che è stata riconosciuta da tutti come sana e adatta ai giovani nella fase della crescita. La comunità ucraina che è stata direttamente coinvolta nel progetto, ha attivato il pas-

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saparola per promuoverlo e diffonderlo ancora di più. Sono stati raggiunti colleghi di lavoro, di scuola, membri di altre associazioni di migranti, amici. Anche le Acli hanno attivato i loro canali, in particolare Patronato, Caf, Acli Colf e Acli Punto famiglia, raggiungendo così numerose famiglie di migranti residenti sul territorio ternano. IL DOPPIO VALORE DELLO SPORT L’US Acli di Terni organizza da anni numerose attività sportive sul suo territorio e il nuoto è sempre stato uno degli sport più seguiti e praticati da generazioni di giovani. La nostra associazione si è costantemente concentrata sull’aspetto sociale della sua intera iniziativa, cercando di avvicinare alla pratica sportiva soggetti svantaggiati da diversi punti di vista e proponendo lo sport come momento di aggregazione e di socialità, non solo come pura attività fisica o agonistica. “Cittadini attraverso lo sport” non si è allontanato da questa linea quando ha organizzato un corso di nuoto rivolto a bambini e ragazzi sia stranieri che italiani, puntando a facilitare comunicazione, confronto, rispetto reciproco, sentimenti di appartenenza al gruppo. Tutti i ragazzi partecipanti hanno accolto il corso con grande favore ed entusiasmo, instaurando da subito rapporti di scambio e di amicizia. Questo è stato il vero successo dell’iniziativa: la conferma che lo sport è un potente motore di aggregazione, di integrazione e di relazione tra le persone, a prescindere dai paesi di provenienza. Non a caso, la condivisione della stessa passione sportiva ha permesso di instaurare relazioni anche al di fuori dell’ambito sportivo.

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UN PASSO VERSO IL FUTURO “Cittadini attraverso lo sport” è stato caratterizzato anche dalla giornata del 27 maggio, quando si è svolto il “Trofeo dell’amicizia”. Un’occasione di incontro e di festa per tutti i partecipanti ai corsi di nuoto e per le loro famiglie. I ragazzi si sono esibiti in un saggio di nuoto nelle varie specialità e poi premiati. Al termine - come nelle migliori tradizioni - uno spazio conviviale che ha visto insieme ragazzi e famiglie, istruttori e volontari dell’US Acli. Il “Trofeo dell’amicizia” è un momento importante al termine dei corsi perché pensato per rinsaldare rapporti di amicizia e di conoscenza anche tra e con le famiglie, che possono poi proseguire al di fuori del contesto sportivo. Di fatto crediamo che anche questo incontro possa aver segnato un piccolo passo in un più generale processo di integrazione sociale. Certamente il coinvolgimento di famiglie italiane e straniere in un momento ricreativo e distensivo, non solo ha ben concluso l’iniziativa ma ha posto le basi per una sua futura riproposizione. Non a caso, le famiglie e i ragazzi hanno espresso la volontà di proseguire questa esperienza di vita e di sport, rivelatasi per tutti estremamente positiva.


CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Lealtà e fair play il vincitore è lo sport TORINO Comitato provinciale Responsabile locale Incaricato del progetto Comunità migrante Realtà locale

US Acli TORINO Piero Demetri Domenico Rago Etnie diverse associazioni sportive dilettantistiche partecipanti al campionato provinciale calcio US Acli

Foto di repertorio

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UN MOSAICO DI ETNIE Rispetto alle altre città del Piemonte, Torino registra il record delle presenze di cittadini stranieri: non a caso nel capoluogo si possono contare circa cento comunità di diversa etnia. Nel contesto italiano, Torino si è segnalata per il suo impegno a favore della partecipazione a forme e organizzazioni della società civile, ad esempio istituendo nel 1995 la prima consulta degli stranieri in Italia. Questa “vocazione” a sperimentare interventi a favore dell’integrazione degli stranieri ha consentito di affrontare spesso problemi specifici dettati da ragioni di emergenza. Una storia speciale quella di Torino dove la relativamente recente immigrazione dal sud del mondo è stata preceduta da una imponente migrazione dal sud italiano. In questi ultimi anni, mentre tra gli extracomunitari si sono stabilizzati soprattutto marocchini e nigeriani, gli immigrati che più di altri segnano il profilo di accoglienza della città sono quelli romeni, fortemente concentrati nella provincia e molto meno numerosi nel resto della Regione benché risultino comunque fra le prime cinque nazionalità residenti. Il fenomeno migratorio è particolarmente visibile se si osservano le nuove generazioni all’interno del contesto scolastico piemontese dove il numero degli allievi stranieri continua a crescere anno per anno, così come d’altra parte avviene in ogni città italiana.

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VEICOLATI DALLO SPORT L’obiettivo verso il quale ci si è mossi per tradurre localmente “Cittadini attraverso lo sport” è la valorizzazione della ricchezza che deriva dall’incontro di culture diverse - numerose sono quelle rintracciabili all’ interno del nostro campionato di calcio a undici - per sottolineare e rafforzare bellezza e potenzialità della diversità culturale, usando come veicolo lo sport. Il fatto che dentro molte delle nostre squadre ci siano parecchi giocatori immigrati - i quali passano quasi inosservati a causa dei grandi numeri caratterizzanti il campionato - ha fatto nascere l’idea di far formare ad alcuni di loro, simbolicamente e per una giornata, una “selezione” scelta per rappresentare l’unione di tutti i paesi ospitati dal campionato. Nel gran finale è stato dunque giocato il “torneo del cuore” a cui hanno partecipato oltre alla selezione del “resto del mondo”, una selezione italiana, una squadra composta interamente da giocatori di una comunità peruviana e un squadra che gioca in una categoria superiore. Quattro squadre che al termine del campionato 2011 hanno visto premiare la bravura ma anche la lealtà e il fair play: una giornata in cui il vero vincitore è stato lo sport e chi lo ha saputo vivere nella maniera più autentica.


GIOCARE INSIEME GIOCARE TUTTI A ottobre del 2010, una giornata formativa/informativa ha messo insieme le varie Ads presenti nel campionato. Qui ha preso corpo ed è stata lanciata l’idea della formazione rappresentativa di tanti Paesi; un torneo è una proposta un po’ estranea alle logiche, ai tempi e ai ritmi di un campionato di calcio sia pure dilettantistico. Ma è piaciuta. In seguito siamo riusciti a coinvolgere un altra Asd di giocatori peruviani - esterna al campionato - a cui abbiamo proposto la partecipazione al “torneo”. L’età del gruppo, tutto maschile, con cui formare la squadra “resto del mondo” era estremamente diversificata; dopo la scelta dei titolari delle squadre che si sarebbero dovute affrontare nel torneo, avevamo il problema di non deludere gli altri, escludendoli. Abbiamo così lavorato sulle “panchine”, scegliendo di aumentare il più possibile il numero delle riserve, compatibilmente con la possibilità di cambi, per dare a tutti i partecipanti l’occasione di intervenire offrendo il proprio contributo. La condotta, l’impegno e la costanza durante il campionato sono stati comunque i parametri principali su cui operare la scelta. DA IDEA A IDEA Lungo il percorso di “Cittadini attraverso lo sport”, abbiamo molto puntato anche su incontri organizzativi e informativi, necessari per costruire il momento conclusivo e centrale del progetto, la manifestazione degli inizi di giugno. Ben sapendo che un’idea cammina su solide gambe e su una conoscenza precisa della meta da raggiungere, particolare è stata la cura verso le comunità che si sono mostrate estremamente di-

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sponibili, entusiaste e propositive. Aggiungendo idea ad idea, nella costruzione dell’evento finale hanno infatti ipotizzato e giocato ruoli diversi attivandosi per renderlo qualcosa di più di un incontro sportivo: un esempio fra tutti, la formazione del gruppo musicale che ha accompagnato il momento serale di festa. Oltre alla organizzazione dei vari incontri per proseguire il percorso stabilito, si è avviato un programma di allenamenti, al termine del campionato e antecedente al torneo, per dare la possibilità ai giocatori provenienti da squadre diverse di sperimentare uno scambio “tecnico” e umano in vista del torneo. LO SPORT CONTRO I PREGIUDIZI Questa esperienza ci ha dato soprattutto modo di riflettere su quanto lo sport possa essere davvero un mezzo efficace per abbattere i pregiudizi. Proprio l’aver lavorato tutti insieme alla realizzazione di un evento pubblico, ha consentito di condividere con pubblico e partecipanti questa consapevolezza. Se pure qualche difficoltà si è presentata è stata quella di organizzare e concretizzare le tantissime proposte portate in fase organizzativa; di ricercare quindi un comune accordo per selezionare le più significative e fattibili, avendo sempre presente l’obiettivo di una giornata in cui manifestare visibilmente un processo di integrazione sportiva.

Antonio Di Pardo

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT

Culture diverse stessa passione sportiva

TREVISO Comitato provinciale Responsabile locale Incaricata del progetto Comunità migrante Realtà locale

US Acli TREVISO Tarcisio Rigato Rita Drusian Gruppo multietnico Oderzo US Acli Treviso

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L’IMMIGRAZIONE A TREVISO In base ai dati forniti dagli uffici anagrafe, a fine 2009 il numero totale dei residenti (italiani e stranieri) in provincia di Treviso, era di 884.881 persone. Le donne risultano leggermente superiori agli uomini (51% del totale). I minori sono circa 158.000 e rappresentano il 18% dei cittadini residenti. Rispetto al 2008 si nota che la popolazione è complessivamente aumentata (di circa 5.500 unità), anche se la crescita è stata decisamente più contenuta di quanto era avvenuto l’anno precedente, quando l’incremento era stato di circa 10.000 persone. I dati mettono in luce molto chiaramente il fatto che gli immigrati stanno aumentando in modo sempre più contenuto rispetto al passato: difficoltà di trovare lavoro e crisi economica sono tra i motivi principali di questa diminuzione. Gli ingressi per lavoro sono sempre più modesti ma anche gli ingressi per famiglia (l’altro importante canale di entrata di nuovi cittadini stranieri) diventano più problematici perché la difficile congiuntura economica rende complicata la dimostrazione dei requisiti previsti dalla normativa oltre a scoraggiare l’arrivo di familiari a cui va garantito comunque vitto e alloggio. In provincia di Treviso, al 31 dicembre del 2009, erano presenti cittadini stranieri appartenenti a 145 diverse nazionalità. In alcuni casi si tratta di paesi con un numero modestissimo di immigrati (82 stati sono rappresentati da meno di 50 persone). In altri, al contrario, si tratta di paesi molto importanti, con valori assoluti superiori alle 10.000 unità. Le prime tre nazionalità insieme superano il 40% del totale degli immigrati della provincia e le prime 10 raggiungono il 70%, a dimostrazione di come la distribuzione sia di fatto abbastanza concentrata. La prima nazionalità in assoluto risulta essere anche quest’anno la Romania, con 18.057 presenze e un peso percentuale del 18.2%. Al secondo posto, piuttosto staccato, il Marocco, con 12.250 cittadini (pari al 12,4% del totale). Al terzo troviamo l’Albania (10.464, pari al 10,6%). Queste sono le tre principali nazionalità della provincia di Treviso, le uniche con un peso percentuale superiore al 10%. Seguono, con valori via via più modesti, Macedonia, Cina, Serbia, Senegal, Ucraina, Moldavia e Bangladesh. E poi tutte le altre. COGLIERE LE OPPORTUNITÀ Le Acli provinciali di Treviso sono presenti da diversi anni presso il comune di Oderzo, con uno sportello “Servizi integrati per l’immigrazione”, il che ha permesso di consolidare un rapporto di collaborazione con la Consulta locale per gli immigrati. Grazie a queste premesse, l’Unione Sportiva Acli ha avuto l’opportunità di prendere contatti con il Gruppo multietnico di Oderzo, composto da giovani stranieri che, senza essere formalmente costituiti, organizzano tornei di calcio e attività spor-


tive. Quelli con cui abbiamo realizzato l’attività sportiva legata a “Cittadini attraverso lo sport”, sono circa 40 maschi di etnia marocchina e romena, di età compresa tra i 21 e i 41 anni. All’inizio del 2011, un incontro a sei ha consentito di dare il via al nostro progetto. UN INCONTRO E UNA FESTA A gennaio 2011 presso la sede provinciale di Treviso, il presidente provinciale dell’US Tarcisio Rigato, Rita Drusian della presidenza provinciale e Laura Vacilotto, referente provinciale dell’area immigrazione Acli, incontrano Sylla Babacar, vice presidente della Consulta per gli immigrati di Oderzo, Driss El Ail, referente della squadra di calcio marocchina e Gabriella Catos, referente della squadra di calcio romena. È un incontro per conoscersi e per valutare la possibilità di un gemellaggio. I rappresentanti delle comunità straniere da qualche anno organizzano infatti alcuni eventi sportivi informali, coinvolgendo squadre di calcio di ragazzi stranieri. In quell’occasione l’US si racconta brevemente, spiega quali sono i propri fini e quali attività svolge, sottolinea come lo sport sia uno strumento efficace per aggregare ed avvicinare persone di etnie e culture differenti; fornisce inoltre le prime indicazioni normative per costituire una società sportiva dilettantistica. Il Gruppo multietnico manifesta interesse per il gemellaggio e insieme viene individuata la data (16 aprile 2011) per la “1a Festa provinciale dello sport US Acli” da svolgersi a Roncade (TV), come primo passo importante di aggregazione e di integrazione. Tutti i presenti si rendono disponibili ad organizzare un triangolare di calcio con la partecipazione di tre squadre rappresentative di tre culture diverse: Africa (squadra marocchina), Europa dell’est (squadra romena) ed Europa mediterranea (squadra italiana). Alla fine della riunione, i referenti delle comunità straniere propongono ai rappresentanti dell’US Acli di partecipare al successivo incontro della Consulta per gli immigrati a Oderzo.

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PASSO DOPO PASSO All’inizio di aprile Tarcisio Rigato e Laura Vacilotto partecipano alla prima parte della riunione della Consulta per gli immigrati che si svolge alla presenza dell’assessore ai servizi sociali del comune di Oderzo. Durante questo incontro il presidente dell’US Acli richiama la storia e le attività dell’US Acli, rinnovando l’invito alla festa dello sport e ponendo sul tappeto l’importante questione della tutela sanitaria e della prevenzione. Da qui parte l’invito a tutti i partecipanti al torneo di calcio del 16 aprile, ad esibire - prima dell’inizio della partita - il certificato medico per attività non agonistica. Certificato che sarà interamente rimborsato dall’US Acli. Dopo qualche passaggio sull’organizzazione del torneo, si affrontano alcune difficoltà delle squadre rispetto al raggiungimento del campo di calcio. Ancora una volta è l’US a risolvere il problema decidendo di mettere a disposizione un pullman gratuito per i partecipanti e per eventuali familiari. Invito chiama invito: la Consulta chiede all’US Acli di partecipare al torneo di calcio da loro organizzato a Oderzo alla fine di aprile. LO SPORT IN FESTA 16 aprile: scende il campo il triangolare di calcio non competitivo all’interno della “1a Festa provinciale dello sport US Acli”. Le squadre sono riconoscibili dal colore delle magliette: l’Africa con la squadra dei marocchini del Gruppo Multietnico di Oderzo sfoggia una luminosa maglia bianca; in maglia arancione la squadra dei romeni dello stesso Gruppo multietnico, schierati per l’Europa dell’est; a giocare per l’Europa Mediterranea è la squadra locale dell’A.C. San Cipriano ASD, in fiammante maglia rossa. I risultati sono facilmente sintetizzabili: 1 a 0 Europa


Mediterranea/Africa; 3 a 1 Africa/Europa dell’Est; 0 a 2 Europa dell’Est/Europa Mediterranea. Nel pieno rispetto delle regole e dello spirito di squadra, il gioco ha favorito fair play in campo e fuori, dando il via ad un vero pomeriggio di festa e di aggregazione. A conferma del fatto che la stessa passione sportiva può accomunare persone di origini e culture diverse. CONTINUARE A METTERSI IN GIOCO Rivedendo tutto il percorso compiuto per le realizzazione del progetto, crediamo sia importante continuare a coltivare le relazioni che hanno reso possibile questa esperienza. Intanto “accompagnando” la squadra romena nella valutazione della opportunità di costituirsi formalmente come ASD; ma anche continuando a mettersi in gioco, mantenendo contatti regolari con il Gruppo multietnico - coinvolgendolo in attività future - e con la Consulta per l’immigrazione del Comune. Certo rimane da affrontare qualche difficoltà che abbiamo riscontrato nel periodo in cui si è sviluppato “Cittadini attraverso lo sport”: in primo luogo quella di far capire soprattutto al gruppo marocchino, l’importanza del certificato medico come strumento di tutela della salute dei giocatori e quindi come prevenzione di eventuali rischi; ma anche difficoltà di tipo organizzativo come reperire le persone telefonicamente - in quasi tutti i casi il lavoro le occupa nell’arco dell’intera giornata - o difficoltà di piena comprensione delle regole e della lingua italiana: problema da cui molto probabilmente deriva anche la fatica di capire l’importanza per un gruppo sportivo, di costituirsi come ASD.

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2 • CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT Via G.Marcora 18/20 • 00153 Roma Tel. 06.5840650 • Fax 06.5840564 progetti.usacli@acli.it www.usacli.org

QUANDO LO SPORT È SOCIALE

Quando lo sport e ‘sociale

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CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT Quando lo sport e ‘sociale Progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi dell’art. 12, c. 3, lett.f, legge n. 383/2000 – Direttiva 2009 Le attività inerenti al progetto sono a titolo gratuito


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