CI sono Anch'IO 1

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CI SONO ANCH IO

Costruire opportunità, superare il disagio, allenare alla cittadinanza attiva

Via G.Marcora 18/20 • 00153 Roma Tel. 06.5840650 • Fax 06.5840564 progetti.usacli@acli.it www.usacli.org

QUANDO LO SPORT È SOCIALE

Quando lo sport e ‘sociale

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Quando lo sport e ‘sociale Progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi dell’art. 12, c. 3, lett.f, legge n. 383/2000 – Direttiva 2008 Le attività inerenti al progetto sono a titolo gratuito


CI SONO ANCH IO

Costruire opportunitĂ , superare il disagio, allenare alla cittadinanza attiva


Responsabile progetto Alessandro Galbusera Content editing Marinella Cucchi Raccolta/coordinamento testi Monica Baffa Pacini Progettazione grafica e impaginazione Aesse Comunicazione - Roma Foto US Acli Caserta, US Acli Caltanisetta, US Acli Catanzaro, US Acli Trento, Archivio fotografico US Acli, Fotolia.com, iStockphoto Editore Aesse Comunicazione - Via Giuseppe Marcora 18 - 00153 Roma aesse.comunicazione@acli.it Progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi dell’art. 12, c. 3, lett.f, legge n. 383/2000 – Direttiva 2008 Le attività inerenti al progetto sono a titolo gratuito


Uno sport dal sapore sociale

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Alessandro Galbusera

Lo sport sociale strumento di welfare 6 Elisabetta Mastrosimone

Uno strumento di cittadinanza attiva

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Vittoria Boni

Ci sono anch’io

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Marinella Cucchi

Disagio e adolescenza: lo sport come opportunitĂ

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Silvana Poloni

Cambiare passo per passo

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Monica Baffa Pacini

L’allenatore come educatore

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Monica Baffa Pacini

Esperienze territoriali

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Uno sport dal sapore sociale Alessandro Galbusera*

“V

enticinque anni della nostra storia”, questo il titolo di una vecchia pubblicazione dell’US Acli che qualche tempo fa, mentre cercavo di riordinare un po’di libri, mi è capitato di sfogliare. Mi ha incuriosito e appassionato e sono andato allora alla ricerca di tutte le pubblicazioni e le “agende” degli anni precedenti che sono riuscito a trovare. Tutte insieme raccontano, attraverso le tante campagne e i progetti, che in 50 anni di vita l’US Acli ha promosso una storia bellissima. Molti di voi ricorderanno: “Il cuore sociale dello sport”, “I nuovi orizzonti dello sport per tutti”, “Vitattiva”…. “Diritti alla meta”. Ogni anno un tema diverso che ha narrato, con passione e entusiasmo, le numerose attività che i molti dirigenti che hanno dato vita all’US Acli ci hanno lasciato. Tanti titoli, tanti temi che raccontano non solo la nostra storia ma la storia della nostra società, raccontano il periodo e il contesto in cui sono stati calati. Testimoniano l’impegno dell’US Acli che, attraverso le campagne di questi 50 anni, ha mantenuto fermo un obiettivo: quello della promozione dello sport per tutti e di tutti. Di uno sport insomma, che con diverse attenzioni e diverse prospettive, per 50 anni è stato non solo protagonista all’interno della società del proprio tempo ma si è messo a disposizione della società stessa: “uno sport dal sapore sociale”. In questi ultimi due anni abbiamo proseguito e rilanciato il lavoro per progetti, convinti della straordinaria efficacia di questo metodo che da una parte valorizza il lavoro dei territori dall’altra mette a “fuoco” e al centro temi e caratteristiche che fanno dello sport un strumento socialmente rilevante per la costruzione di un nuovo welfare. Abbiamo poi pensato che fosse anche utile provare a ordinare tutte le attività e le idee che vengono elaborate durante i progetti. Ecco allora “Quando lo sport è sociale” che apre con l’esperienza di “Ci sono anch’io”. Speriamo solo il primo di una serie di pubblicazioni che, attraverso un unico “filo rosso” terrà insieme e racconterà nei prossimi anni i lavori e l’impegno dell’US Acli a partire dai progetti nazionali. È questa un’altra sfida e un altro importante tassello dell’iniziativa dell’US Acli che in quest’epoca veloce, distratta e molto spesso individualista, dentro i fili di un impegno sociale troppo spesso labile e sfuggente, vuole esserci e fare, fino in fondo, la propria parte. *Responsabile nazionale progetti US Acli

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Lo sport sociale strumento di welfare FORSE

PIÙ DI OGNI ALTRA AZIONE, LA PRATICA MOTORIA E SPORTIVA AIUTA

A REALIZZARE IL WELFARE DI PROSSIMITÀ CHE, PER LA SUA VICINANZA ALLA GENTE, È SUPPORTO ALLA QUALITÀ DELLA VITA E NON SOLO RISPOSTA AI BISOGNI.

Elisabetta Mastrosimone*

I l libro verde del terzo settore, promosso dal forum nella primavera del 2010, afferma che la visione di una società più attiva e più inclusiva, comporta una coerente visione strategica in grado di definire e caratterizzare il welfare come investimento sociale; in grado inoltre di assumere non solo il territorio e le sue caratteristiche come risorsa ma anche di sostenere quelle relazioni tra soggetti e contesti che, in una dimensione pienamente partecipativa, sono un valore per la coesione sociale e tracciano un profilo integrato di sviluppo umano ed economico. Il welfare dunque, è elemento di promozione di una società più attiva quando promuove legami sociali. Quando cioè pone lo sviluppo delle relazioni tra i cittadini come obiettivo e come propria pratica costante diventando anche un indicatore privilegiato della qualità dei servizi e delle prestazioni fornite.

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3 ASSI STRATEGICI Lo stesso documento delle Acli sulla povertà, sostiene che i risultati migliori si raggiungono là dove la rete dei servizi pubblici ha un’architettura riconoscibile e definita. Così che, nella lotta alla povertà, il nuovo welfare deve agire su una pluralità di assi strategici: 1. mettere al centro la persona con progetti focalizzati sulla promozione e valorizzazione di capacità, responsabilità e opportunità; 2. prevedere un sistema di interventi che sottraggano chi è povero al peggioramento progressivo della propria condizione e contemporaneamente consentano di risalire la china a chi oggi è in via di impoverimento; 3. investire soprattutto sulla qualità della rete dei servizi sociali e socio-assistenziali e su una pubblica amministrazione competente, capace di facilitare l’accompagnamento e l’accesso agli strumenti offerti.

PER TUTTI OVVERO A MISURA DI CIASCUNO Pensando quindi ad un quadro di “robuste politiche integrate” – centrate sul superamento della logica dell’emergenza e dell’assistenza – e di fronte al crescente interesse sulla promozione della socialità, sulla tutela e difesa della salute, diventa prioritario richiamare l’attenzione sullo sport quale elemento di nuovo welfare. Quello sport che misura i suoi


risultati nel sociale, quella pratica di attività motorie e sportive funzionale a favorire il benessere personale e sociale, incompatibile con lo sport di selezione i cui interessi continuano a schiacciare il diritto di ciascun cittadino in questo campo. La promozione sportiva ha come principale obiettivo l’allargamento della base dei praticanti; tuttavia assume un autentico significato sociale quando il suo centro è il cittadino, tutti i cittadini nessuno escluso, con la loro richiesta di pratica a misura della persona. A misura quindi delle capacità, motivazioni, bisogni individuali. È questa la ragione per cui lo “sport per tutti” viene meglio definito come sport “a misura di ciascuno”. UN WELFARE DI PROSSIMITÀ Forse più di qualsiasi altra azione, la pratica motoria e sportiva aiuta a realizzare il “welfare di prossimità”; supporto alla qualità della vita e non solo risposta ai bisogni poiché riesce ad instaurare una forma di vicinanza alla gente che facilita l’accostamento ai servizi e alle risorse informali del territorio. Di fatto, le attività motorie diventano “facilitatori” poiché mettono in grado le persone di svolgere un ruolo attivo nella ricerca delle soluzioni ai propri problemi. Basta pensare ciò che la pratica motoria di gruppo offre alle persone in difficoltà: il lavoro corporeo di gruppo infatti aiuta ad azzerare le barriere di diffidenza, il linguaggio del corpo va oltre il linguaggio verbale; in palestra non ci sono differenze sociali e la comunicazione e socializzazione seguono un canale preferenziale. Anche qui si conferma che una maggior conoscenza e consapevolezza delle proprie capacità, limiti e possibilità, aiuta a sviluppare una crescente autostima e una solida attitudine sia a risolvere i problemi con risorse proprie sia a recuperarne sul territorio. STARE E CRESCERE INSIEME L’esperienza della mobilità, così frequente nei nostri territori, pone le famiglie, la scuola e le realtà associative in situazione di incontro continuo con il “nuovo”, con la diversità; il che richiede una costante attenzione a fenomeni sociali come la multiculturalità o un differente rapporto pubblico/privato. Ma richiede anche un’attenzione speciale alla ricerca del benessere relazionale di bambini, giovani, adulti e anziani, alla riscoperta del dialogo e dell’ascolto, così da poter sperimentare di nuovo il piacere di stare e di crescere insieme. La sfida più significativa è tentare l’integrazione tra queste diverse risorse. Come risponde lo sport sociale è evidente. La pratica motoria e sportiva privilegia la relazione pedagogica e la valorizzazione dell’incontro con l’altro attraverso attività ludiche tra ragazzi e ragazze e tra bambini e adulti. Qui si può vivere il gioco in tutti i suoi aspetti: strutturato, libero, individuale, di gruppo. Ed il gioco, il movimento sono strumenti

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che facilitano la conoscenza e i rapporti tra persone, aiutano l’espressione delle emozioni, sostengono lo sviluppo dell’identità e dell’autostima dei più giovani. I PRESUPPOSTI DELLO SPORT SOCIALE Lo sport e tutte le attività motorie ad esso collegate diventano reale strumento di promozione sociale quando provano a rispondere alle necessità del singolo e della comunità con interventi diversificati e mirati. Per far questo è importante l’utilizzo di personale qualificato, un investimento graduale delle risorse ed un costante miglioramento dei servizi offerti. E soprattutto è importante dotarsi di strumenti per la lettura dei bisogni, mettersi in grado di attivare reti formali ed informali e di consolidare capacità di progettazione di servizi integrati. L’analisi della realtà territoriale, il coordinamento e lo sviluppo delle attività esistenti, la creazione e pubblicizzazione di nuove attività – con particolare riferimento ad iniziative rivolte ai giovani, agli anziani, alle famiglie, ai disabili – sono presupposti fondamentali dello sport sociale così come lo è la stretta collaborazione con gli Enti Locali, le Parrocchie, le Società Sportive e le Associazioni culturali e ricreative presenti sul territorio. Poichè anche oggi siamo convinti che “insieme si può”, è grazie al concorso di tutte queste componenti vitali che lo sport può diventare davvero protagonista della realizzazione di buone politiche di welfare. Come ci ricorda la nostra esperienza infatti, nonostante i richiami del “libro bianco sullo sport” della Commissione Europea (2007), nel campo dello sport di base pari opportunità e accesso aperto alle attività sportive possono essere garantiti soltanto attraverso una forte partecipazione pubblica.

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*Responsabile nazionale Welfare US Acli


Uno strumento di cittadinanza attiva LE

ATTIVITÀ MOTORIE E SPORTIVE SONO CENTRALI NELLA COSTRUZIONE

DI BENESSERE E DI VITA BUONA DEI CITTADINI.

PER

QUESTO LO SPORT

VA INTERSECATO CON POLITICHE SOCIALI E DI WELFARE.

Vittoria Boni*

Le Acli, come sistema integrato di associazioni, servizi e imprese sociali, da oltre 60 anni sono impegnate per la difesa e la promozione dei diritti di cittadinanza delle persone, delle famiglie, delle comunità. Lo testimoniano i molti progetti e servizi attivati nei vari ambiti, dalla cura alla salute, dal patrocinio al turismo, alla formazione, allo sport: in tutti sono insiti quell’anima e quel sentire di un’associazione popolare che da sempre si è collocata e tuttora si pone sulla difficile frontiera della tutela di coloro che meno di altri riescono a reggere le fatiche della complessità. Ciò significa porre al centro di ogni azione la persona considerandola non come semplice utente, cliente o consumatore ma soggetto protagonista del suo sviluppo, da accompagnare, orientare e tutelare con relazioni rispettose della sua dignità e dei suoi diritti di cittadinanza. La visione di un welfare integrato, promozionale, con al centro la persona, secondo la visione delle Acli, non può dunque che orientarsi verso una logica di investimento sociale che fa del territorio e delle sue specificità una risorsa e delle relazioni tra contesti un valore per la democrazia e la coesione sociale. Un welfare mix capace di trasformare le condizioni che generano bisogno, povertà e disagio promuovendo lo sviluppo umano e non abbandonando al proprio destino chi è in difficoltà. Rientra in questo ambito la riorganizzazione delle politiche per la salute, riconoscendo anche alla pratica di attività motorie e sportive le funzioni di promozione di benessere personale e sociale, di prevenzione e, talvolta, di sostegno, di cura e di presa in carico della famiglia e della persona (giovani, anziani, disabili), nella sua quotidianità e nelle situazioni di fragilità. Ciò significa considerare lo sport, nei processi educativi, formativi e sociali, come linguaggio e proposta culturale di valore, come stile di vita attivo, come occasione per rendere esigibili i diritti di cittadinanza e come veicolo di legalità per ben-vivere nella tolleranza e nella non violenza. Il progetto “Ci sono anch’io” promosso dall’US Acli, testimonia in maniera significativa come lo sport possa essere uno strumento di cittadinanza attiva per tutti, in una logica attenta a coltivare e sviluppare

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quei legami di prossimità, partecipazione, condivisione e cooperazione propri dell’esperienza aclista nel suo complesso. In sintesi, proprio perché riteniamo le attività motorie e sportive centrali nella costruzione di benessere e di vita buona dei cittadini, sempre più lo sport va intersecato con politiche sociali e di welfare. Lo sport di cittadinanza costituisce un ambito di protagonismo della persona e della famiglia; di auto-imprenditività della società civile organizzata che, nel rispondere a dei bisogni specifici, produce cittadinanza attiva e valore aggiunto, anche attraverso la creazione di attività economiche. È altresì un formidabile strumento educativo e di formazione integrale, capace di diventare stile di vita e determinare consumi, corretta alimentazione e inclusione sociale. In questa sfida di un welfare promozionale e integrato, le Acli e l’Unione sportiva Acli continuano a svolgere l’importante funzione di leggere e rappresentare nuovi bisogni; molti progetti e percorsi effettuati nella cooperazione sussidiaria con le istituzioni nazionali e locali, non solo non hanno comportato oneri per lo Stato ma hanno creato valore aggiunto per l’intera collettività. *Responsabile Dipartimento Welfare Acli nazionali

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Ci sono anch’io APPROVATO DAL MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, “CI SONO ANCH’IO” È UN PROGETTO FRUTTO DELLA GRANDE ATTENZIONE RIVOLTA ALL’ADOLESCENZA DALL’US ACLI E MATURATA IN PARTICOLARE NELL’ESPERIENZA CHE ORMAI DA MOLTI ANNI L’ASSOCIAZIONE PORTA AVANTI CON E PER QUESTA DELICATA FASCIA DI ETÀ. Marinella Cucchi

La scelta del titolo non è casuale. Ci sono anch’io rimanda infatti ad una stringente richiesta di ascolto da parte di chi vive una fase di grandi trasformazioni – a partire da quelle biologiche, anatomiche e fisiologiche – che segnano soprattutto gli ambiti dell’identità, dei valori, dei modelli della relazione (con se stesso, la famiglia, la scuola, il gruppo…). L’adolescenza è momento di ricerca di un nuovo equilibrio per far fronte alla rottura degli assetti precedenti ed è punto di partenza di un faticoso cammino verso l’acquisizione di identità e di autonomia. Un cammino non facile, spesso pieno di ostacoli in cui si manifesta quel disagio evolutivo caratteristico dell’età stessa ma che, se non superato, può dar luogo a disadattamento e devianza. CI SONO ANCH’IO testimonia ancora una volta l’inguaribile vocazione dell’US Acli ad attraversare il mondo sportivo con obiettivi educativi: educare allo sport e attraverso lo sport è infatti compito che viene affidato ad ogni operatore. Con gli adolescenti questo compito è particolarmente importante: richiede un atteggiamento di grande apertura mentale non solo per poter “leggere” i difficili percorsi che accompagnano il cambiamento ma per dare spazio all’ascolto e allo scambio, per concretizzare interventi che agiscano prima ancora che sulla “cura” del disagio, su azioni di prevenzione con la persona. CI SONO ANCH’IO traccia un percorso e fornisce agli operatori alcuni strumenti funzionali a sostenere ragazzi e ragazze nel loro processo di transizione verso l’età adulta: quindi con interventi non centrati unicamente sulla trasmissione-acquisizione di capacità tecniche, non orientati all’incremento della competitività e al raggiungimento di un risultato da conseguire ad ogni costo. La necessità di questo speciale percorso molto articolato e differenziato, deriva anche dall’obiettivo specifico del progetto, quello di prendersi cura di pre-adolescenti e adolescenti in situazioni particolarmente difficili: ragazze e ragazzi immigrati; portatori di disabilità; ragazze e ragazzi a forte rischio di disagio sociale.

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IN VIAGGIO CON GLI ADOLESCENTI IMMIGRATI A differenza degli adulti che arrivano nel paese ospitante con un’identità definita, rispetto ai loro coetanei i ragazzi in immigrazione sperimentano distanze spaziali e valoriali. La precarietà emotiva dell’adolescenza si acutizza per il passaggio reale e simbolico del viaggio tra paesi, culture, valori e modi di vivere diversi. Mentre è proprio di tutti gli adolescenti intraprendere il viaggio simbolico di abbandono dell’infanzia e dei luoghi conosciuti delle sicurezze e delle rassicurazioni avviando un percorso verso l’età adulta, per gli adolescenti provenienti da altri paesi, c’è anche la realtà di un viaggio concreto nella migrazione. Parte da qui l’esperienza di accoglienza e di inclusione promossa da Ci sono anch’io per quei minori che vivono tra sradicamento e ri-orientamento. Senza pensare a interventi miracolosi, il progetto poggia sulla convinzione che per questi ragazzi, un’attività sportiva mirata possa essere strumento prezioso per facilitare la negoziazione tra le tradizioni della famiglia e gli atteggiamenti messi in atto dai coetanei, frutto della cultura dei paesi di “approdo”.

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ADOLESCENTI DISABILI, UN SOSTEGNO ALLA CRESCITA La fatica di diventare adulto è particolarmente pesante per chi è portatore di disabilità perchè nel cammino di auto-accettazione – che avviene in base alla percezione di sé e della propria persona – deve imparare a convivere con i propri limiti, ad accettare il proprio corpo. Un corpo che cambia con l’esplosione dell’adolescenza. Per chi si trova in una situazione di handicap, il disagio evolutivo si accentua ulteriormente in quanto questa realtà difficile e dolorosa incide profondamente su tutte le tappe della crescita, limitando anche molte delle comuni esperienze tipiche degli adolescenti. Per questo Ci sono anch’io ha tra i suoi principali obiettivi quello di “restituire” agli adolescenti disabili l’attività sportiva come luogo orientato a favorire il loro benessere psico-fisico, l’aggregazione e la socializzazione con il gruppo dei pari, la vicinanza anche fisica con gli altri. ADOLESCENZA A RISCHIO Pur operando una distinzione tra la tendenza alla trasgressione, fisiologicamente connaturata all’adolescenza e i comportamenti più propriamente devianti che bloccano o ostacolano un equilibrato sviluppo psico-affettivo, appare evidente come da diversi anni, il rapporto tra adolescenza e devianza stia diventando un problema di natura sociale. La famiglia e la scuola, anche quando ne colgono l’esistenza, spesso risultano incapaci di gestirlo. È così che in molti casi, il tempo libero e gli spazi informali diventano tempo e spazio in cui emergono drammaticamente disadattamento e devianza adolescenziale. Il gruppo degli amici può fare grande pres-


sione e piegare i soggetti più fragili; e proprio nel gruppo il disagio diventa più visibile. Per esempio attraverso i rituali di quella cultura dello “sballo” che rappresenta la reazione degli adolescenti al loro disadattamento. Il progetto vuole dimostrare che – anche attraverso lo sport – esiste la possibilità di costruire strumenti e di utilizzare modalità di intervento orientati a stimolare e sostenere quegli adolescenti che più hanno bisogno di aiuto per giungere alla definizione di sé; per arrivare alla formazione di una propria coscienza autonoma in grado di far fronte alle pressioni della cultura della trasgressione.

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Disagio e adolescenza: lo sport come opportunità LO

SPORT PUÒ ESSERE UN’OTTIMA RISORSA PER LAVORARE CON I GIOVANI

PERCHÉ È MOLTO PIÙ ALLETTANTE DI ALTRE INIZIATIVE ED AIUTA A SOSTENERLI NEL NON FACILE CAMMINO VERSO L’ETÀ ADULTA.

Silvana Poloni*

Oggi si parla molto di “disagio” spesso senza riuscire a riflettere bene

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su ciò che si vuole intendere con questo termine. Si può pensare di fare un ragionamento unico rispetto all’adolescenza e alla pre-adolescenza – visto che il progetto copre dai 10 ai 18 anni, due fasce di età molto spesso associate ma in realtà con caratteristiche diverse – tenendo conto che la preadolescenza annuncia e abbozza quei problemi che poi si incontrano nell’adolescenza. Su questo terreno lo sport va inteso come opportunità: crediamo, infatti, che possa essere una risorsa forte per lavorare con i giovani perché sicuramente un’attività sportiva è molto più attraente di altre iniziative, viene più facilmente scelta dai ragazzi e ci aiuta quindi a sostenerli in questo non facile cammino verso l’età adulta. Partiamo allora da una sintesi di contenuti psicologici e sociologici sul concetto di disagio giovanile collocandola nel periodo dell’adolescenza e pre-adolescenza, per poi prendere in considerazione gli strumenti da utilizzare avendo l’obiettivo di capire “come” lo sport possa contribuire alla prevenzione di queste diverse forme di disagio. CHE COSA SI INTENDE PER DISAGIO? Per disagio giovanile si intende la difficoltà che il giovane vive nell’affrontare i compiti di sviluppo richiesti dal contesto sociale per il conseguimento dell’identità personale e sociale: una identità “altra” rispetto a quella dei genitori, che nell’infanzia sono le personalità più rappresentative ma cominciano a non esserlo più nella preadolescenza. Conseguimento di un’identità personale e sociale autonoma che sia altro anche rispetto a quella dell’allenatore e del gruppo dei pari, riferimenti estremamente importanti ma non unici. Sarebbe sbagliato, infatti, che l’adolescente plasmasse la sua identità su quella del suo migliore amico o del capitano della squadra. Un secondo compito è l’acquisizione delle abilità necessarie alla gestione delle relazioni quotidiane, indispensabile per approdare ad uno sviluppo armonico, imparando a stare nel mondo senza la mediazione di quelli che sono stati fino a quel momento gli adulti di riferimento. “Sono io che imparo a relazionarmi con i miei amici, con il mondo


esterno e con gli adulti, sono io che imparo quindi a rispettare le regole, acquisisco la capacità di mettermi nei panni degli altri e a dilazionare la realizzazione dei miei desideri”. Anche lo sport può aiutare in tale percorso: qui il ragazzo comincia a capire e ad accettare che non sempre si può ottenere tutto e subito, che bisogna lavorare per raggiungere gli obiettivi fissati. Da quello di migliorare il proprio aspetto fisico o di avere un corpo non solo bello ma che funziona meglio, all’obiettivo più grande di riuscire a finire la scuola o a finire un lavoro. Il disagio, allora, può essere inteso come difficoltà ad affrontare tutti i compiti di sviluppo che il soggetto, in particolare l’adolescente ed il preadolescente, deve affrontare per arrivare ad avere un’identità personale e sociale autonoma, quindi per diventare una persona con una chiara idea di cosa vuole essere e cosa vuole fare, che sa relazionarsi con il mondo adulto e il mondo dei pari che lo circonda. IL DISAGIO OGGI Oggi si parla di disagio molto più di quanto si facesse 20/30 anni fa o comunque se ne parla in forma diversa. Il disagio giovanile c’è sempre stato, ma attualmente si presenta in maniera un po’ più articolata. Certo abbiamo più strumenti per leggerlo e per questo, a ragione, ce ne preoccupiamo maggiormente, ma è anche vero che diventare adulti ai giorni nostri è forse un po’ più complesso. Il disagio giovanile può essere inteso come il prodotto di un intreccio tra una condizione sociale – ovvero il fatto di vivere in una società complessa caratterizzata da molteplici punti di riferimento – ed una condizione individuale. Di per sé il percorso di crescita è sempre stato e sarà problematico, in quanto ci si deve staccare da alcune figure di riferimento. Ci sono anche molti altri motivi, la condizione individuale può essere difficoltosa per diversi aspetti: il contesto nel quale si cresce, ad esempio, può essere un contesto a rischio. La condizione individuale di un ragazzo straniero di 2° o 3° generazione non è ininfluente, così come non lo è una situazione particolare, ad esempio, di un ragazzino con un passato di piccoli episodi di devianza alle spalle o con lo stigma forte di essere stato in carcere o di essere figlio di genitori che sono o sono stati reclusi. Nel percorso di crescita gli inevitabili fattori fisiologici s’intrecciano, dunque, con fattori legati al contesto o ad aspetti della situazione individuale. È un discorso generale che vorrei sistematizzare. IL CAMBIAMENTO FISICO Il preadolescente e l’adolescente vivono tre livelli di difficoltà: un primo livello è la difficoltà del cambiamento. Il cambiamento più evidente è quello fisico che è fonte di difficoltà non solo perché il ra-

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gazzo non si riconosce più allo specchio (il che ha una serie di ricadute sulla stessa formazione dell’identità) ma anche semplicemente perché deve riabituarsi a un corpo diverso. Si perde la padronanza del corpo che fino a tre mesi prima si conosceva e che magari ha avuto un’impennata di crescita. Non riconoscere e non padroneggiare il proprio corpo sono causa di disagio – da non sottovalutare – per un ragazzo la cui identità e autostima erano state costruite sulla base del corpo che aveva prima.

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IL CAMBIAMENTO DEL MODO DI PENSARE Il secondo livello è quello del cambiamento del modo di pensare del ragazzo, che nella fascia di età 10-11 passa dal pensiero logico operativo al pensiero logico formale. Ciò vuol dire che comincia a pensare in astratto e ad avere la possibilità di riflettere sul proprio pensiero e su quello degli altri. Inizia così la messa in discussione di tutto quello che prima veniva considerato per dato. Se nella fase precedente gli adulti di riferimento dicevano “è così”, l’affermazione era accettata, mentre ora questa fiducia inizia a scricchiolare. Cominciando a ragionare in astratto si arriva a mettere in dubbio le opinioni degli altri e a reggere il confronto. Iniziano così i conflitti che sono funzionali al distacco dai punti di riferimento dell’infanzia – distacco fondamentale per la creazione di un’identità autonoma – ma sono sicuramente fonte di infelicità per il ragazzo. Anche perché dal punto di vista emotivo deve iniziare a tollerare, lui per primo, il fatto di mettere in dubbio la perfezione dei genitori. È un passo grosso, certo molto faticoso per i genitori ma maggiormente per i ragazzi che, perdendo i loro punti di riferimento, iniziano a chiedersi a chi si possono rivolgere, di chi si possono fidare o chi può essere persona di riferimento. IL CAMBIAMENTO DELL’ORIENTAMENTO VALORIALE Il terzo livello è quello valoriale. Fino a 40 anni fa l’orientamento valoriale era pressoché uno. I riferimenti erano quelli e si poteva scegliere se sposarli o contrapporvisi. Oggi non è più così: Internet, la televisione, una migrazione molto più alta, tutto ciò vuole dire una continua compenetrazione di culture, punti di riferimento, modelli. Il ragazzino degli anni 70/80 sostanzialmente li confermava, ora basta andare su Internet e si trovano svariati riferimenti: una risorsa positiva se utilizzata con intelligenza; in caso contrario, una fonte di difficoltà con i suoi mille riferimenti valoriali a cui attingere. In un contesto di crescita è più difficile riconoscere e capire quali sono le norme da rispettare. C’è poi il livello dei fattori di rischio più comunemente intesi: ad esempio, se si cresce in una periferia dove c’è una subcultura criminale stabile, il rischio di sposare quella formula di successo è forte perché si presenta immediata e facile. L’adolescente sta imparando a dilazionare i propri


desideri ma è naturale che cerchi la proposta capace di dare soddisfazione immediata materiale o anche il successo ed è contro questo tipo di fascino che bisogna lavorare. Essere straniero di prima o di seconda generazione, è già stato detto, rappresenta un possibile fattore di rischio. L’essere appena arrivato in un paese sconosciuto rende faticoso il relazionarsi già per il fatto che non si conosce bene la lingua; ma anche uno straniero di seconda generazione che conosce bene l’italiano, perché è cresciuto qui, può vivere il contrasto tra i riferimenti valoriali di casa propria e quelli dell’esterno: in casa la famiglia ha una cultura diversa da quella all’esterno, il suo gruppo di riferimento è costituito da ragazzi di cultura italiana e già questo è fattore di rischio. Il giovane immigrato di seconda generazione, infatti, scopre ad esempio, che le norme alle quali è stato socializzato in famiglia sono spesso diverse dalle norme che valgono a scuola, o col gruppo dei pari. I BISOGNI E LE SFIDE Tutti questi tipi di difficoltà portano a una situazione di squilibrio tra quelli che sono i bisogni e quelle che sono le sfide a cui l’adolescente deve rispondere; tra l’acquisizione della capacità di relazionarsi, la formazione dell’identità e le risorse che può mettere a disposizione. Il rischio di disagio è reale, anche se bisogna vedere che cosa poi l’adolescente e il preadolescente tireranno fuori dall’insieme di tanti elementi. Non è detto, infatti, che il ragazzino più disastrato arrivi a una situazione di disagio, e viceversa. Anzi, oggi l’emergenza nuova è proprio quella del ragazzo benestante e di buona famiglia che rivela forme di disagio conclamato, spesso forti richieste di aiuto. Nostro compito è quello di prevenire e per prevenire occorre saper leggere le situazioni di rischio che nascono dal dualismo tra sfide e risorse dove le une e le altre possono essere tanto interne quanto esterne al ragazzo. Le sfide sono interne perché il ragazzo deve costituirsi un’identità autonoma e deve imparare a star bene con se stesso e sono esterne perché, ad esempio, legate al contesto dello studio o del lavoro. Rispetto alle risorse, ci sono poi risorse interne: l’autostima, la consapevolezza di sé, l’auto accettazione, una serie di dimensioni psicologiche costruite negli anni e da rinsaldare o costruire nell’adolescenza e poi risorse esterne. Qui subentra anche lo sport, gli allenatori, il gruppo dei pari oltre ai genitori e alla scuola. Sono tutte risorse esterne che però possono diventare fattori di rischio. Pensiamo a una scuola che non sempre è in grado di farsi carico delle difficoltà degli adolescenti: una bocciatura può essere un episodio irrilevante o, per un adolescente con una bassa autostima, un colpo durissimo perché in questo momento il ragazzo può percepire una valutazione negativa, da parte della scuola, di tutto il suo essere.

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D’altra parte, tutte le risorse possono essere fattori di rischio, anche lo stesso gruppo dei pari. Possiamo indicare il rischio di disagio là dove c’è mancanza oppure carenza di tutte le risorse interne ed esterne che vengono utilizzate dal soggetto per rispondere alle sfide poste dall’ambiente. Quindi mancanza o carenza di autostima, mancanza o carenza di un gruppo dei pari che sappia aiutare l’adolescente nel percorso di crescita, mancanza o carenza di una famiglia che sappia sostenerlo nella sua fase di allontanamento ma che sia in grado di riprenderlo nel momento in cui si riveli ancora impreparato a questo distacco. Una famiglia capace di fare da cuscinetto, di lasciar rischiare e di riaccogliere. Il rischio di disagio non nasce da un evento specifico traumatico, perché se l’adolescente ha una rete che lo sostiene l’evento traumatico si supera, crea una crisi temporanea – magari anche funzionale alla crescita – che viene riassorbita. Il problema si presenta quando si concatenano una serie di bisogni non soddisfatti.

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IDENTITÀ AUTONOMA E INSERIMENTO NEL SOCIALE Le sfide che il preadolescente e l’adolescente devono affrontare sono la costituzione di un’identità autonoma e l’inserimento positivo nel mondo sociale. Sono sfide strettamente collegate: accettare di stare bene con se stessi, accettare i propri limiti, accettare quello a cui si è chiamati, riconoscere e imparare a valorizzare la propria individualità indipendentemente dai sogni dell’infanzia e della prima adolescenza. L’inserimento positivo nel mondo sociale significa individuare e sperimentare le proprie potenzialità e le richieste poste dal mondo adulto e in generale dal mondo sociale. I sociologi parlano di socializzazione secondaria. Mentre nella socializzazione primaria si acquisiscono le norme, i valori (con un punto di domanda su quali siano le norme e i valori della società di riferimento), nella socializzazione secondaria l’adolescente impara le norme e valori specifici dei ruoli che sarà chiamato a occupare nella società adulta. Ad esempio, impara che è differente il modo di relazionarsi con i professori nella scuola superiore e nella scuola media, o all’università, o con un datore di lavoro. Sono aspetti sui quali l’adolescente deve lavorare: lo sport può aiutare molto, così come il gruppo dei pari e le altre risorse che si possono mettere in gioco. In primo luogo la famiglia, con capacità di giocarsi il duplice ruolo di soggetto che accoglie e protegge e contemporaneamente di trampolino di lancio. IL GRUPPO DEI PARI E GLI ADULTI SIGNIFICATIVI Una grande risorsa può essere il gruppo dei pari. Tanti sport vengono fatti in squadra, ma anche nello sport individuale l’allenamento può creare un gruppo. Il gruppo dei pari è una risorsa sotto molti aspetti.


C’è condivisione dei problemi, si sperimentano i nuovi ruoli e se ne giocano di diversi. Spesso però si manifesta come fattore di rischio: in questo caso potrebbe essere un momento di osservazione utile a un adulto attento per aggiustare le dinamiche negative senza intervenire troppo. Sono poi risorse gli adulti significativi: l’allenatore e lo stesso dirigente. Si tende a non considerare molto questa seconda figura che, tuttavia, nel caso in cui ci sia un periodo di conflittualità con l’allenatore, può davvero funzionare da risorsa aggiuntiva: spesso infatti ha esperienza come l’allenatore ma ha un’età un po’ più matura, il che lo rende maggiormente autorevole. Dunque, il ruolo di un dirigente o di un presidente di società sportiva non è da sottovalutare. L’adolescente spesso percepisce l’attenzione di un presidente interessato non solo alle pratiche burocratiche ma anche alle questioni educative. LA SCUOLA Anche la scuola è una possibile risorsa e contemporaneamente un possibile fattore di rischio. A scuola l’adolescente e il preadolescente trascorrono gran parte della loro giornata, normalmente dalle 6 alle 8 ore. Per questo avere una scuola che si rende disponibile a una collaborazione con l’esterno, malgrado la difficoltà e le fatiche che oggi il corpo insegnante fa, è sicuramente una grossa risorsa. Di fatto sappiamo che difficilmente a un adolescente piace andare a scuola, ma se l’adolescente percepisce che la scuola è attenta ai suoi bisogni – e non solo ai bisogni di istruzione – probabilmente impara a relazionarsi con questo luogo in modo diverso. Percepire scuola e insegnanti come parte di un progetto che esce dalle ore scolastiche, per l’adolescente è fondamentale perché lì allora scatta la consapevolezza della “presa in carico”. Ad esempio, sapere che la scuola organizza dei progetti con le società sportive del territorio, significa farla vivere all’adolescente come risorsa e non solo come struttura giudicante. L’ATTIVITÀ SPORTIVA COME RISORSA LO SPORT COME GIOCO Il gioco è uno strumento necessario fin dall’infanzia per molti motivi. Nell’adolescenza soprattutto, il gioco aiuta ad acquisire equilibrio e consapevolezza del corpo che cambia e con cui è difficile relazionarsi. Fare sport in adolescenza è fondamentale per rifamiliarizzare con il proprio corpo, che – abbiamo visto – cambia molto velocemente. Il gioco, e lo sport in particolare, offrono una serie di opportunità che una volta il bambino trovava giocando sotto casa. Ad esempio quella di sviluppare le proprie potenzialità: giocando si può capire se si è veloci o quanto si è in grado di saltare, o se si ha una visione complessiva del gioco. Questo serve all’allenatore ma anche al giocatore,

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perché capisce quali sono i suoi limiti e le sue potenzialità e che, ad esempio, anche se è sovrappeso può avere un ruolo nella squadra, se è basso può essere più veloce e più agile… In altre parole, per quale ruolo particolare può essere adatto. In sintesi, il gioco e lo sport aiutano i ragazzi a vivere bene il proprio corpo, favoriscono la formazione della personalità, facilitano la ricerca di un ruolo all’interno del gruppo sulla base di caratteristiche fisiche o psicologiche. Ciò, tuttavia, è possibile in presenza di allenatori e dirigenti attenti a questa dimensione, anche se spesso il loro lavoro è reso difficile da mancanza di tempo o da condizioni oggettive come il numero eccessivo dei partecipanti ai gruppi.

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IL RISPETTO DELLE REGOLE Sul piano sociale il gioco e sport sono altrettanto importanti perché il soggetto acquisisce la capacità di rispettare le regole e un po’ alla volta impara che ci sono ruoli, posizioni e regole non sono solo scritte ma anche non scritte (fair play). È più facile che anche il ragazzo tendenzialmente trasgressivo, in palestra, sia molto attento al rispetto delle regole perché qui c’è qualcuno che le regole gliele dà spiegandone le ragioni e la funzionalità. Un esperimento è quello di non dare regole ma affidare ai ragazzi il compito di stabilirle: alla fine si arriva sempre ad avere una serie di regole che vengono rispettate. Il gioco permette di uscire dal proprio egocentrismo: il bambino è estremamente egocentrico, gli altri ci sono ma soltanto in chiave funzionale a se stesso. Attraverso il gioco e lo sport si comincia invece a interagire con gli altri, a mettersi nei loro panni. Pensiamo all’importanza del momento dello spogliatoio, dove si può vedere l’umore del compagno o della compagna di squadra, facendosi parte del loro stato d’animo. Nello spogliatoio s’impara a uscire dall’egocentrismo perché lì ci si confronta al di fuori del momento prettamente agonistico (dove si è concentrati sull’acquisizione della vittoria) e si percepisce anche lo stato d’animo degli altri compagni. Si esce dall’unicità del proprio punto di vista e si comincia a capire che non è solo una questione di regole dello sport, ma anche di come gli altri ci vedono. È molto importante gestire questi momenti di squadra all’interno dello spogliatoio proprio perché i ragazzi si parlano, discutono e si confrontano. Molto spesso le regole, i bisogni e i desideri altrui sono concetti che i ragazzi figli unici o comunque ben protetti non hanno, perché a casa ogni richiesta viene esaudita dai genitori ai quali costa molto meno accontentarli piuttosto che dire di no o rimandare ad altri momenti. In squadra non è così, in quanto si devono rispettare anche i tempi degli altri. Spesso i contrasti nascono su questo, i ragazzi non sono abituati a rispettare le regole, ad affrontare gli altri e i loro tempi ma sono abi-


tuati a fare ciò che vogliono. Quando vengono in palestra, il contrasto in genere è solo con i ragazzi ma se ci va male il contrasto è anche con i genitori ai quali, per questo, è necessario spiegare le motivazioni educative e pedagogiche a cui si attengono allenatori e dirigenti. SCARICARE L’AGGRESSIVITÀ Lo sport è una forma di gioco che, soprattutto in questa fase della vita, dà modo di scaricare l’aggressività in un contesto competitivo e quindi accettato socialmente. In alcuni sport poi, è necessario stare attenti perché proprio la carica agonistica non diventi aggressività. Anche questo si può imparare. Si impara a non reagire ad un fallo, a non fare un fallo perché si è arrabbiati; si impara a non insultare l’arbitro, l’avversario o il proprio compagno di squadra. Rispetto ad altri contesti il fatto stesso di competere è catartico. Un nuovo corpo, la costruzione di una nuova immagine di sé, sovente un’impennata nella crescita, la tempesta ormonale che non va sottovalutata: i ragazzi sono progressivamente più attenti al proprio corpo, c’è distrazione, non riescono a concentrarsi, si sentono goffi con la paura di rimanere così. Vi è necessità di gestire una crescita continua che può essere disarmonica, può essere improvvisa o al contrario può essere lenta rispetto a quella dei compagni. È comunque difficile adattarsi a un corpo il cui cambiamento avviene a ritmi variabili e del tutto imprevedibili. Far sperimentare un rapporto positivo con questo corpo richiede un grande lavoro dell’allenatore (pensiamo, ad esempio, a quanti ragazzi sia maschi che femmine soffrono per problemi legati al cibo), per aiutare il ragazzo a raggiungere quegli obiettivi che ci si è prefissati. IL RUOLO DELL’ALLENATORE Il ragazzo viene sostenuto se alla base c’è un percorso ragionato adatto a facilitare questa esperienza anche grazie alle competenze dell’allenatore o di chi può fornirle. Attraverso lo sport, l’allenatore può favorire l’accettazione delle trasformazioni corporee facendone anche comprendere il senso. Una costante pratica sportiva, oltre a trasmettere il rispetto del proprio corpo e a permettere di sfogare tutte le energie che il ragazzo ha bisogno di esternare, offre gli strumenti per migliorarne l’aspetto e le potenzialità: per i pre-adolescenti e gli adolescenti questo è un aggancio importante. Un’attenzione speciale bisogna porre ai momenti di particolare crescita fisica, per cui è necessario che gli allenatori siano formati a gestire questi cambiamenti. L’attività inoltre fornisce momenti di canalizzazione delle pulsioni fisiche. Una proposta che si potrebbe avanzare è quella di fare una conven-

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zione con una palestra, invitando i ragazzi a frequentarla in modo funzionale al tipo di sport praticato, così da conciliare le due cose (miglioramento del proprio fisico e attività sportiva). Un’altra cosa che potrebbe risultare utile, soprattutto nella fascia 11-14, potrebbe essere mettere la palestra a disposizione di dirigenti o di un genitore che assuma la responsabilità, un quarto d’ora prima dell’inizio, in modo che i ragazzi possano avere un’attività libera catartica. Uno dei grandi cambiamenti di cui abbiamo parlato è quello relativo a un nuovo modo di pensare, al distacco dai genitori e alla formazione di una identità autonoma. Il ragazzo acquisisce una forma di pensiero astratto e avviene la demitizzazione dei genitori. Nascono nuovi schemi di riferimento: schemi di riferimento orizzontali con il gruppo di pari e verticali con altri adulti significativi, l’allenatore, l’insegnante, l’educatore. Si avvia il processo di desatellizzazione, cioè il distacco dai genitori per diventare un pianeta autonomo. Spesso il ragazzo ha un atteggiamento bivalente; quando si accorge che i genitori non sono poi così perfetti nasce la paura di diventare come loro perché in questa fase c’è l’opposizione netta, la sfida. È la ragione per cui la società sportiva non può essere attenta solo al ragazzo, ma deve gestire l’emotività del rapporto ambivalente. Quando in palestra i ragazzi si lamentano dei genitori (per incomprensione o per dispiacere) è importante ascoltarli, aiutarli a comprendere senza avere paura di prendere posizioni nette, offrire punti di riferimento precisi. Una cosa che i genitori a volta temono per paura di un allontanamento. Il ragazzo ha necessità di creare un rapporto di fiducia, di percepire il rapporto con gli adulti come positivo e resistente agli urti; si discute, ma è l’allenatore che alla fine decide senza che tuttavia si scalfisca la fiducia reciproca. Di fatto, occorre fornire agli adolescenti la possibilità di sperimentare il rapporto con un adulto differente da quello genitoriale, consentendo loro di trovare nella figura degli allenatori e dei dirigenti, qualcuno che li “accompagna”. Opportuno, a questo proposito, è il cercare di assegnare a ciascun gruppo un allenatore che lo segua per un periodo mediamente lungo, almeno cicli di 2/3 anni, perché così si ha la possibilità di seguire il cambiamento e di creare un rapporto di fiducia con i ragazzi e con le famiglie. SOSTENERE LA FAMIGLIA Per la famiglia è necessario imparare a gestire e assorbire i comportamenti, le reazioni e le sfide lanciate dai figli che spesso vengono percepiti come dei puzzle impazziti. Gli allenatori, che hanno la “carta in più” dello sport, devono farsi un po’ carico delle famiglie, aiutandole a comprendere e ad accettare il processo di autonomia dei figli, sgravandole dalla responsabilità all’interno dell’area sportiva, fornendo loro un supporto ulteriore nella rela-


zione anche attraverso riunioni a tema e un costante rapporto personale tra l’allenatore ed ogni singola famiglia. Acquisisce valore il gruppo dei pari. Abbiamo detto che c’è un nuovo corpo, un nuovo pensiero e anche gli amici diventano più importanti, perché ognuno vede nell’amico una sua proiezione, e perché i riflessi di immagine che gli altri gli rimandano sono necessari per la formazione della sua identità. Per l’adolescente è dunque necessario vivere una situazione accogliente nel gruppo dei pari, sentirsi accettato. Nel gruppo dei pari è più facile trovare un canale di sfogo ed anche sperimentare ruoli diversi perché non si viene giudicati e le regole sono stabilite dal gruppo stesso. LA FUNZIONE DELLA SQUADRA In sintesi: la squadra è un sociale circoscritto nel quale l’adolescente impara a rispettare le regole, a mettersi in gioco, a svolgere ruoli diversi. L’obiettivo deve essere quello di fornire – attraverso lo sviluppo di un sano ambiente di spogliatoio – l’opportunità di sperimentarsi con il gruppo di coetanei o anche di ragazzi un po’ più grandi o un po’ più piccoli. Nello spogliatoio il ragazzo più grande si confronta, ad esempio, con l’amico che ha appena iniziato le medie e gli dà una mano per affrontare quello che lui ha affrontato in precedenza. Per questo motivo sembra opportuno organizzare le squadre per età, privilegiando le esigenze dei ragazzi piuttosto che il rendimento. All’interno della squadra, il ragazzo che sperimenta se stesso viene valorizzato per il suo essere e per le sue caratteristiche. Poiché l’obiettivo è fornire ai ragazzi lo spazio vitale dove imparare ad accettare i propri limiti e far fruttare le proprie potenzialità, è opportuno avere gruppi squadra non troppo numerosi e lavorare costantemente con i singoli ragazzi per raggiungere obiettivi individuali. L’adolescente che impara a dilazionare il soddisfacimento dei propri bisogni e a individuare l’allenamento come abitudine allo sforzo per raggiungere il risultato, accetterà anche la sconfitta come incidente di percorso che però non scalfisce la consapevolezza dei progressi fatti. *Docente di sociologia all’Università Cattolica di Milano

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Cambiare passo per passo ATTIVITÀ MOTORIE E SPORTIVE ADATTE DALL’INFANZIA ALL’ADOLESCENZA

ALLE VARIE FASI DI CAMBIAMENTO

Monica Baffa Pacini

Durante il suo ciclo vitale l’uomo è sottoposto a trasformazioni sia di carattere biologico sia psicologico. I fattori che determinano questi cambiamenti possono essere di vario tipo: genetici, endocrini, ambientali, socio economici, alimentari e anche legati all’attività fisica e sportiva. Ai fini di un’adeguata pratica sportiva è opportuno che l’operatore abbia una formazione specifica per poter elaborare e proporre il tipo di attività motorio-sportiva più adatta all’accrescimento fisiologico e psicologico dei suoi allievi.

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6/7 ANNI: L’IMPORTANZA DEL GIOCO Il periodo di età intorno ai 6/7 anni è compreso nella fase evolutiva dell’infanzia. Qui si verifica il processo di “Proceritas I” con crescita in lunghezza degli arti inferiori, plasticità e lassità legamentose e struttura muscolare ipotonica. L’apparato cardiocircolatorio e respiratorio – in conseguenza di un ridotto spazio toracico vitale – reagiscono all’impegno fisico attraverso un aumento della frequenza dei loro atti. In questo periodo il gioco è fondamentale per lo sviluppo del bambino che passa dalla fase esplorativa a quella organizzativa concreta, dalla fase egocentrica a quella di socializzazione in cui cerca un’identità propria all’interno del gruppo del quale però rispetta le regole. È dunque nell’ottica del gioco che va elaborato l’intervento operativo motorio. Attraverso il gioco si sviluppa lo schema corporeo e le abilità motorie di base trovano uno sviluppo anche in semplici forme combinate e comunque di durata ridotta. L’ETÀ DELLA RAGIONE Nel periodo tra gli 8 e i 9/11 anni l’apparato locomotore tende a consolidarsi (turgor) mentre quello cardiocircolatorio e quello respiratorio aumentano la funzionalità grazie all’accrescimento dei loro valori volumetrici. Dal punto di vista psicologico questa è definita “età della ragione” in quanto contestualmente ad un aumento della capacità intellettiva si manifesta una maggiore consapevolezza di sé, si formano concetti astratti ed è presente una buona capacità di analisi. Buona è la socializzazione e la partecipazione all’attività del gruppo, di grande importanza è il giudizio degli adulti sul proprio operato.


L’attività motoria e sportiva in questo periodo prevede il perfezionamento delle abilità motorie di base e la possibilità di apprenderne di più complesse: il bambino è infatti in grado di risolvere diversi compiti motori grazie ad una maggiore capacità di concentrazione nei movimenti. In questa fase possono essere proposti in forma ludica, semplici elementi di tecnica di base di discipline sportive, grazie all’accettazione delle regole e la disponibilità alle varie attività motorie. LA PREADOLESCENZA Tra i 12-13 anni per i maschi e tra i 10 e i 12 anni per le femmine si colloca il periodo della preadolescenza. Dal punto di vista scheletrico si assiste ad un notevole sviluppo in lunghezza degli arti (proceritas II) al quale però non corrisponde una sufficiente crescita a livello muscolare. Si determina così una disarmonia morfo-cinetica per cui compaiono con frequenza atteggiamenti viziati e paramorfismi. Anche l’apparato cardio circolatorio non è ancora adeguato all’impegno fisico. Sono proprie di questa fase la maturazione puberale e il risveglio delle pulsioni sessuali. Fra le ripercussioni psicologiche che l’accelerato sviluppo fisico provoca nella vita del preadolescente, ricordiamo una caduta della capacità di concentrazione. Poiché l’attenzione si focalizza sul corpo che si trasforma, questo può indurre il ragazzo a confrontarsi con i coetanei e a preoccuparsi per l’aspetto che il corpo potrà assumere alla fine dello sviluppo. Il giudizio del gruppo di appartenenza può influenzare notevolmente la sua autostima e, di conseguenza, la maggiore o minore fiducia in se stesso. Frequenti sono le variazioni di umore, la scarsa disponibilità e l’insofferenza rispetto ai giudizi e alle regole familiari e sociali. A livello di sviluppo cognitivo compare il pensiero ipotetico-deduttivo che completa le acquisizioni precedenti. Si afferma sempre più il bisogno di compiere, in autonomia, delle sperimentazioni nei vari ambiti dell’esperienza. Ne consegue che il rapporto con le figure genitoriali diventa più difficile, perchè il bisogno di discutere alla pari o proprio di sperimentare autonomamente possono venire repressi dai genitori non consenzienti. A metà strada tra l’essere bambino e l’essere adulto, l’immagine corporea muta con risultati diversi sulla forza muscolare e sulle capacità coordinative che non riescono a trovare punti di riferimento. L’attività motoria e sportiva può assumere un ruolo determinante sia come canale di sfogo della naturale esuberanza sia come formazione ed educazione generale. È possibile dare spazio a tutte le capacità motorie a patto però di seguire i criteri di progressività, gradualità e simmetria del lavoro muscolare. Il miglioramento del trofismo muscolare è molto utile per prevenire gli atteggiamenti viziati ed i paramorfismi.

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L’ADOLESCENZA Nell’adolescenza – dopo i 13 anni per i maschi e dopo i 14 anni per le femmine – i ragazzi acquisiscono le caratteristiche fisiche, emotive, sociali e cognitive che li fanno sentire adulti. Dal punto di vista fisico l’apparato scheletrico va verso una progressiva definizione mentre i muscoli migliorano la propria forza ed efficienza generale e l’apparato cardiocircolatorio e respiratorio aumentano la propria funzionalità. L’ambito psicologico è marcato dall’incertezza, dall’oscillazione tra fiducia e diffidenza verso il prossimo, dal desiderio di indipendenza e dal timore di perdere la protezione della famiglia, dalla voglia di conoscere la realtà dell’adulto e dalla tendenza a chiudersi in se stesso. Il ragazzo si sforza di costruire una propria visione originale del mondo Per l’adolescente è molto importante che le sue iniziative e le sue condotte siano accolte positivamente dal modo esterno, in particolare dal gruppo dei pari o dagli adulti significativi. In questo momento della vita si effettua la scelta verso una specifica attività sportiva, attività che può diventare importante nella formazione globale della personalità. L’appartenenza ad un gruppo sportivo e la relativa accettazione delle norme comportamentali, possono essere utili per una identificazione collettiva e quindi per l’acquisizione di sicurezza delle proprie azioni. La presenza dell’elemento agonistico, unito a un buon programma di preparazione fisica, sono importanti ai fini della costruzione armonica del corpo sia da un punto di vista fisico sia per rafforzare la propria autostima. È importante tener presente come il periodo della pre-adolescenza e dell’adolescenza sia tra i più sensibili alle ripercussioni delle condizioni di vita nell’infanzia e alle influenze sociali e culturali del mondo degli adulti. È il periodo in cui si possono manifestare difficoltà nei processi di crescita evidenziate da manifestazioni sociali di particolare ampiezza (evasione scolastica e dispersione scolastica, assunzione di comportamenti devianti) ma anche espressioni di sofferenza individuale di particolare gravità (disturbi nei comportamenti alimentari, comparsa di gravi disturbi del comportamento, suicidio, etc.). Il disagio adolescenziale richiede dunque forme di intervento che sappiano rispondere ai bisogni di prevenzione degli adolescenti. Anche la pratica motoria e sportiva se progettata e portata avanti come vera e propria strategia di salvaguardia e di promozione del benessere psico fisico, emozionale, relazionale dei ragazzi, rappresenta senza dubbio uno spazio significativo ed efficace di sostegno in un momento particolare della loro vita.


L’allenatore come educatore L’ALLENATORE

È UNA FIGURA DI PRIMARIA IMPORTANZA ALL’INTERNO DELLE

DINAMICHE CHE SI VERIFICANO NELL’APPRENDIMENTO E NELLA GESTIONE DI UNA ATTIVITÀ SPORTIVA.

Monica Baffa Pacini

L’allenatore è una figura di primaria importanza all’interno delle dinamiche che si verificano nell’apprendimento e nella gestione di una attività sportiva. Per questo il suo modo di rapportarsi non si deve limitare solo agli aspetti tecnici ma includere, come elementi determinanti, le relazioni interpersonali (atleta/famiglia), le motivazioni e la partecipazione emotiva. Gli stili di insegnamento possono essere di varia natura e si distinguono in base ai tipi di decisione che prende l’allenatore, alle strategie didattiche che adotta, al grado di autonomia che viene lasciata agli allievi, al controllo sociale e al mantenimento della disciplina. Parliamo di allenatore autoritario quando l’allenatore è colui che prescrive, determina gruppi e sottogruppi, crea tensione e non concede libertà di espressione, elargisce premi o infligge punizioni senza una giustificazione chiara. Parliamo di allenatore permissivo quando è una persona arrendevole alle decisioni del gruppo che agisce liberamente, intervenendo solo quando gli viene richiesto. Parliamo di allenatore partecipativo o democratico quando l’allenatore è di guida per il gruppo ed è partecipe dei suoi stati d’animo. Nel gruppo è evidente il rispetto e la fiducia reciproca. L’UOMO “IN PIÙ” L’allenatore deve essere il leader del gruppo, non solo una guida tecnica bensì una persona che comprende e coordina le dinamiche interpersonali e psicologiche, che sa gestire con equilibrio il suo coinvolgimento emotivo e il distacco obiettivo in modo da poter mettere in atto comportamenti adeguati alle diverse situazioni, trasmettendo sicurezza, gestendo le vittorie e le sconfitte, proponendosi come l’uomo “in più” in campo. E ancora: una presenza che è in grado di proporre la figura arbitrale come indispensabile ai fini della regolare attività delle gare e di filtrare le regole, le norme ed i valori etici e morali come componenti del momento sportivo. Un buon allenatore è di costante incoraggiamento per gli atleti attraverso interventi propositivi e la valorizzazione dei traguardi raggiunti, personali e di gruppo; sa trasformare l’errore in un gradino di partenza per poter migliorare, è capace di coin-

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volgere i genitori rendendoli preziosi collaboratori e di far crescere il gruppo in maniera coesa e competente con l’obiettivo di garantire al suo interno un equilibrio relazionale. LA FUNZIONE EDUCATIVA L’allenatore, oltre ad essere competente sul piano teorico e metodologico, deve avere un buon senso di autocritica che gli permetta di migliorare il suo intervento diventando educatore di sé stesso. La sua funzione educativa deve manifestarsi sempre come parte fondamentale del suo essere. La credibilità dell’allenatore viene testimoniata dal tipo di rapporto che instaura con i suoi allievi, basato su una serie di elementi: niente promesse che possano rimanere inattese, competenza nel rispondere alle domande, uso di un linguaggio e di un tipo di comunicazione verbale e corporea comprensibile che esprima sincerità e sensibilità, rifiuto di frasi che possano risultare offensive o disarmanti. Egli rende partecipi i suoi atleti del lavoro che stanno facendo mettendone in risalto le abilità, utilizzando frequentemente rinforzi e garantendo in questo modo l’autostima.

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UNA FIGURA DI RIFERIMENTO In sintesi, il ruolo dell’allenatore nell’età evolutiva deve essere principalmente quello di educatore. Egli influenza molto il modo in cui viene percepita la capacità personale e lo stress competitivo. È una figura di riferimento affettivo, trasmette contenuti e valori ben sapendo che il suo comportamento può essere determinante sia rispetto all’accrescimento delle motivazioni sia rispetto agli abbandoni. Per ottemperare al suo ruolo di educatore, l’allenatore deve avere consapevolezza del livello educativo dei suoi allievi, deve essere autorevole e non autoritario, stabilire regole precise ma consentire all’allievo di esprimere la propria originalità. Deve essere un punto solido di riferimento, creare un ambiente accogliente e favorevole dove la naturale aggressività e la competitività insite negli allievi possano essere funzionali alla formazione di una personalità equilibrata e matura. È importante che l’allenatore abbia rispetto per la personalità in via di sviluppo dei ragazzi, che ponga obiettivi alla portata di tutti, che controlli il percorso attraverso feedback e verifiche. Le dinamiche del gruppo gli devono essere ben chiare per sapersi relazionare sia individualmente sia con l’insieme degli allievi . Infine egli deve essere eticamente un modello di comportamento avendo la consapevolezza di far parte di un gruppo di adulti educatori (genitori – insegnanti) con i quali è indispensabile comunicare e cooperare, mettendo il ragazzo sempre al centro del processo educativo.


BIBLIOGRAFIA

Cambiare passo per passo Lucidi Simona – L’allenatore in età evolutiva Vailati P. 2004 – Il valore educativo dello sport Piaget J. e Inherlder B. 1966 – La psicologia del bambino Beraldo Stelvio – Da bambino a pre-adolescente Caraccio Elena 2006 – Le fasi della vita: pre-adolescenza e adolescenza Berger K.S. 2000 – Lo sviluppo della persona Maura Santandrea, Isabella Biondi – Adolescenza e i suoi problemi Alessandra Banche – Adolescenza

L’allenatore come educatore Lucidi Simona – L’allenatore in età evolutiva Moisè Paolo – Metodologia dell’insegnamento Bellani Claudio – L’intervento didattico dell’allenatore nella correzione dei gesti tecnici Cetteo Di Mascio – Il compito dell’allenatore-educatore Francesca Zannoni – L’educazione sportiva in adolescenza: il pedagogista sportivo Pieron M. – Analisi dell’insegnamento nelle attività fisiche Milanesi G. Pieroni V. – Educare con lo sport Isidori R. – La pedagogia dello sport Baffa Pacini Monica – Applicazione all’insegnamento dei giochi sportivi delle moderne

tecnologie educative (microteaching)

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Imparare a mettersi in gioco AGRIGENTO Comitato provinciale Responsabile locale Operatore Gruppo partecipanti Attività Impianto

Tipo di disagio

US Acli AGRIGENTO Stefano Urso Daniele D’Oro N. 10 ragazzi/e calcetto, tennis tavolo, calciobalilla Campo calcio e tennis, Oratorio “Oreb” di Porto Empedocle emarginazione sociale, immigrazione

Foto di repertorio archivio US Acli

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UN TERRITORIO PROBLEMATICO Porto Empedocle, località in cui abbiamo scelto di sperimentare il progetto, conta poco più di 16.000 abitanti ed è situata sulla costa meridionale siciliana a breve distanza da Agrigento alla quale è strettamente vincolata da legami economici e sociali. Non a caso il comune vive la stessa dura situazione economica di tutta la provincia di Agrigento in cui la crisi generale che coinvolge il Paese, ha colpito pesantemente soprattutto le famiglie già in forte disagio per i numerosi licenziamenti, la disoccupazione dilagante e l’assenza di nuove opportunità di sviluppo. Povertà e disoccupazione, con le inevitabili conseguenze sul piano sociale ma anche evidenti carenze di strutture e problemi a livello familiare che rendono ancor più difficoltoso l’attraversamento dell’adolescenza, è stata la realtà in cui ci siamo impegnati ad operare. I ragazzi che hanno partecipato a “Ci sono anch’io” provenivano infatti quasi tutti da famiglie in situazione di povertà per la mancanza o la grande incertezza e precarietà del lavoro.

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GIOCHI DI GRUPPO I ragazzi che hanno preso parte al progetto sono stati individuati attraverso la parrocchia il cui oratorio “Oreb” è stato poi luogo di svolgimento delle nostre attività. Il gruppo formato da dieci ragazzi di cui due immigrati, andava dai dieci ai diciassette anni ma con una presenza maggioritaria della fascia di età 12/15. Rispetto al sesso invece, la prevalenza era maschile (otto maschi e due femmine). Le condizioni di partenza sono state quelle legate ai problemi derivanti dallo stato di emarginazione sociale e di immigrazione dei ragazzi; ai quali abbiamo proposto da subito attività ricreative collettive di gioco e di sport, per aiutarli a supe-


rare il disagio iniziale ed avviarli a viversi come gruppo. Infatti, l’isolamento sociale e la mancanza di esperienza dei ragazzi con altre situazioni organizzate faceva emergere soprattutto difficoltà di tipo relazionale. MUOVERSI VERSO LA META Considerando gli obiettivi generali del progetto in rapporto ai problemi che avevamo di fronte, abbiamo puntato in primo luogo a fare in modo che i partecipanti entrassero in rapporto tra di loro, imparando a muoversi come una vera squadra, in cui l’uno è funzionale all’altro, per raggiungere un obiettivo comune. Nonostante avessimo scelto i ragazzi anche il base alle loro capacità, ben sapendo che se i livelli di partenza fossero stati troppo disuguali avremmo corso il rischio di creare ostacoli difficili da superare, l’integrazione di ognuno nel gruppo non è stato un percorso semplice. Molto ha aiutato l’aver scelto tre tipi di attività (calcetto, calciobalilla, tennis tavolo) che richiedendo abilità varie, ha dato a ciascuno la possibilità di svolgere ruoli diversi e di sentirsi valorizzato per le sue caratteristiche. I giochi di squadra d’altra parte, vanno proprio in questa direzione. Lavorare in gruppo, confrontarsi sul campo con le regole del gioco, riconoscere la figura dell’operatore come adulto di riferimento, mentre ha consentito di contenere e finalizzare razionalmente quella aggressività tipica dell’adolescenza e spesso dirompente nel gioco sportivo, ha anche sostenuto lo sviluppo e il miglioramento delle competenze personali, fisiche e psichiche di ogni ragazzo, facilitando la crescita e l’aumento dell’autostima. UN PERCORSO IN PROGRESS La preparazione e la competenza dell’operatore, i criteri che hanno determinato la scelta delle attività da svolgere, il coinvolgimento di altre strutture (l’oratorio e la parrocchia), sono stati punti forti del percorso che progressivamente i partecipanti a “Ci sono anch’io” hanno compiuto. Piccoli segnali positivi indicanti l’avanzamento verso gli obiettivi cui il progetto mirava, si sono resi visibili nel torneo di calcetto organizzato con altre realtà circostanti. Primo segnale: il rispetto che è parte fondamentale della capacità di mettersi in relazione con gli altri e con il mondo esterno. Partecipando al torneo, i ragazzi hanno dimostrato di saper rispettare il proprio turno di entrata in gioco, di saper quindi controllare il desiderio di ottenere “tutto e subito”; manifestando allo stesso tempo rispetto delle regole e dell’avversario. Secondo segnale: la cooperazione, risultato dell’aver compiuto un processo di integrazione come gruppo, che si è evidenziata nella capacità di sapersi rendere disponibili per i compagni con i quali, nel gioco, mantenere il compito assegnato.

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Terzo segnale: il rapporto con il risultato della propria azione che nello sport è il rapporto con la vittoria o la sconfitta. I ragazzi pur avendo disputato la fase finale del torneo, non sono riusciti a vincere e tuttavia hanno saputo accettare la loro sconfitta nelle giusta dimensione. UNA SPERIMENTAZIONE RIUSCITA Concluso “Ci sono anch’io”, possiamo dire che nonostante le diverse problematiche che si sono dovute affrontare nella formazione del gruppo, nell’integrazione dei ragazzi più disadattati, nel far acquisire particolari competenze, nel confronto con i genitori, i risultati siano da considerarsi buoni. I ragazzi hanno sicuramente vissuto un’esperienza positiva e gradevole; a loro e alle famiglie siamo riusciti a trasmettere l’idea di come le attività ludico, ricreative, sportive siano uno spazio importante di sostegno alla crescita e possano continuare al di là della sperimentazione del progetto attraverso la frequenza alle diverse iniziative portate avanti nell’oratorio “Oreb”. Per quanto ci riguarda, siamo consapevoli di dover continuare su questa strada intrapresa dall’US Acli perché ben sappiamo che lavorare sull’educazione e l’integrazione delle nuove generazioni anche attraverso lo sport, significa lavorare per il futuro di tutti.

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Musica e movimento per comunicare BARI Comitato provinciale Responsabile locale Operatore Gruppo partecipanti AttivitĂ Impianto Tipo di disagio

US Acli BARI Nicola Mangialardi Giuseppina Scarola N. 10 ragazzi / e danza Palestra via Lucca, 12 Modugno emarginazione sociale

Foto di repertorio archivio US Acli

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UNA SITUAZIONE DI POVERTÀ Abbiamo scelto di realizzare “Ci sono anch’io” in un’area che presenta i tanti problemi tipici delle situazioni di povertà perché ci è sembrato importante intervenire per contribuire ad aiutare quegli adolescenti che qui affrontano con particolari difficoltà il passaggio verso l’età adulta. Problemi economici conseguenti a un reddito molto basso o anche perdita del lavoro di uno o entrambi i genitori: questa la situazione della quasi totalità delle famiglie che un’attenta analisi del territorio ha messo in evidenza. Una povertà diffusa che crea isolamento, che rende difficile una possibile integrazione sociale, che influisce pesantemente anche sulla partecipazione dei ragazzi ad attività di tempo libero organizzate: per esempio a tutte quelle attività sportive che richiedono il pagamento, anche minimo, di una quota associativa. Una realtà così radicata che, abbiamo scoperto, aveva contribuito a creare paradossalmente, una grande diffidenza verso qualunque offerta “gratuita”.

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LA FORMAZIONE DEL GRUPPO La prima difficoltà che ci si è presentata è stata proprio quella di formare il gruppo. In primo piano il problema dei ragazzi di accettare di “essere insieme” per raggiungere un obiettivo: nessuno voleva riconoscersi in un gruppo “invitato a partecipare senza dover pagare”. Una pre-adolescenza dunque, profondamente segnata anche psicologicamente da una povertà che tiene ai margini. A sciogliere la situazione è stata l’attività proposta, il numero dei giovani volontari che si sono aggiunti per collaborare con l’insegnante e la grande tenacia che si è impiegato per riuscire ad aprire un efficace canale di comunicazione con i dieci ragazzi e ragazze coinvolti nel progetto. PER CRESCERE IN ARMONIA L’attività messa in campo per realizzare il progetto è stata la danza. Una scelta quanto mai opportuna perché la musica si è rivelata una passione fondamentale di ogni ragazzo e per questo un approccio comunicativo estremamente valido. In tal modo abbiamo puntato a rendere tutti promotori/attori del progetto. Musica e movimento hanno consentito di raggiungere l’obiettivo che, per questo gruppo, costituiva il presupposto del lavoro: quello di facilitare i ragazzi a rapportarsi ed integrarsi tra di loro. Riconoscersi nel gruppo dei pari è stato ugualmente importante per attivare le capacità di confrontarsi con le regole e con la figura adulta di riferimento ma anche di contenere e finalizzare razionalmente l’aggressività tipica di questo periodo della vita. Progressivamente ognuno non si è sentito più isolato ed emarginato, cogliendo l’aspetto positivo di un lavoro fatto insieme, scoprendo che il gruppo permette non solo di divertirsi ma soprattutto di fare nuove amicizie, di sentirsi valorizzati come persone e non come “oggetti poveri”.


EMOZIONI E SENTIMENTI Dopo le difficoltà iniziali, l’attività è proseguita in un clima abbastanza tranquillo. Avere problemi economici non pregiudica una buona educazione: il rispetto per tutti e tra tutti è stata la base di un lavoro completo che non ha richiesto nemmeno troppa fatica. Non “essere ricco” non è cosa di cui vergognarsi e non preclude la possibilità di una vita sociale modesta e felice. Comprendere questo, ha consentito ai ragazzi di non creare troppi divari tra di loro e di compiere il percorso, più pratico che teorico, progettato per realizzare “Ci sono anch’io”. Percorso che ha portato i suoi frutti. Abbiamo lavorato con ragazzi d’età compresa fra i dieci e i tredici anni, facendo in modo che attraverso la musica ognuno esprimesse emozioni e sentimenti che quasi mai si riescono a manifestare attraverso le parole. La preparazione di uno spettacolo ha permesso poi ai partecipanti di mettersi in gioco fino in fondo, dimostrando grande tenacia di fronte alla constatazione che non sempre tutto può risultare facile al primo tentativo. UN PASSO POSITIVO Purtroppo i problemi economici, sociali, culturali sono ampiamente presenti nella nostra società: aver dato la possibilità a qualcuno dei più giovani di potersi divertire ed impegnare, è stato gratificante per tutti ma non certo la soluzione di situazioni delle quali dovrebbe farsi carico una società più giusta, che non persegua solo interessi materiali. Riteniamo tuttavia che nella realtà in cui abbiamo operato, sia stato fatto un piccolo positivo passo avanti. Lo abbiamo letto nell’entusiasmo dei genitori di fronte alla esibizione dei ragazzi nella festa di chiusura del progetto. Ma soprattutto lo abbiamo scoperto vedendo le tante amicizie, i tanti rapporti che si sono creati all’interno di un gruppo inizialmente diffidente ed ostile.

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Se lo sport va in rete BENEVENTO Comitato provinciale Responsabile locale Operatore Gruppo partecipante Attività

Impianto Tipo di disagio

US Acli BENEVENTO Angelo Donisi Giovanni Pucino N. 10 ragazzi/e minibasket, musicoterapia, psicomotricità, laboratori teatrali, lavorazione ceramica e cera Plesso scolastico San Modesto di via Firenze disabilità e ragazzi a rischio

Foto di repertorio archivio US Acli

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NELLA “CITTÀ DELLE STREGHE” Benevento, capoluogo dell’omonima provincia in Campania, conta poco più di 62.000 abitanti che arrivano a circa 100.000 se si considera l’area metropolitana con i comuni contigui. A Benevento, nell’accettare di prendere attivamente parte a “Ci sono anch’io”, il comitato provinciale dell’US Acli ha individuato come luogo in cui sviluppare il progetto, il rione Libertà: nato nel ventennio fascista e notevolmente ampliatosi nel secondo novecento, il quartiere – che è oggi il più popoloso della città – si caratterizza come area a rischio sociale. Sul territorio si intreccia una fitta rete di soggetti che collaborano per evitare, in particolare, la dispersione giovanile: chiesa locale, associazioni, comitati di quartiere, cooperative sociali. Una rete per noi davvero necessaria visto che le problematiche dei ragazzi partecipanti al progetto erano varie: da quelle emergenti da un precoce uso di droga a quelle legate a disabilità fisiche e psichiche.

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L’AVVIO DEL GRUPPO Il canale mediatico ha funzionato come importante diffusore dell’avvio del progetto. Quotidiani e TV locali hanno affiancato il lavoro più capillare e più mirato dei soggetti della “rete” che hanno interagito con noi: associazioni, parrocchie, comitati di quartiere in primo piano accanto alle ramificazioni del sistema Acli. Il gruppo misto (sei maschi e quattro femmine), eterogeneo per età (dai 10 ai 17 anni con prevalenza della fascia 11/14) e per la diversità dei tipi di disagio, si è suddiviso in piccoli gruppi di lavoro per facilitare lo svolgersi delle attività. Attività il cui stesso momento di start up era stato finalizzato a incoraggiare la partecipazione di tutti. IL PROBLEMA DELLE REGOLE Tra i tanti problemi che abbiamo dovuto affrontare, è stato preponderante quello del rispetto delle regole poiché avevamo di fronte ragazzi abituati alla “libertà”; ragazzi ai quali il concetto di regola portava con sé l’idea di vincolo, divieto, ostacolo ingiustificato al loro modo di vivere liberi da ciò che veniva percepito come imposizione. Li abbiamo coinvolti nella pratica del minibasket, un gioco sport che ci ha aiutato a raggiungere alcuni obiettivi del progetto: giocando, oltre a sentirsi persona e soggetti attivi in campo, i ragazzi hanno socializzato con i compagni, compreso l’importanza di interagire tra loro e la necessità di rispettare le regole del gioco; allo stesso tempo hanno avviato un progressivo miglioramento delle loro abilità/capacità fisiche. Le lezioni erano articolate in momenti diversi; un’articolazione utile a dare significato all’attività e a far acquisire la capacità di rapportarsi anche con l’operatore, riconoscendone il ruolo di adulto di riferimento. In sintesi: momento di accoglienza (la fase di attesa di “tutto” il gruppo


perché “tutti” sono importanti); momento di partecipazione (nessuno escluso dal gioco); momento di condivisione (anche gli spazi e le attività sono per tutti); momento di elaborazione delle attività; momento di congedo (spazio anche per esprimere emozioni e sensazioni vissute). NON SOLO GIOCO Prima di iniziare le attività veniva spiegato ai ragazzi il contenuto e il valore di ogni singolo movimento. Per conoscerli meglio abbiamo utilizzato un momento di “scrittura” in modo che ognuno potesse liberamente esprimere non solo la propria volontà di “fare” ma anche desideri, aspettative, opinioni rispetto a quanto l’operatore aveva presentato. Proprio la complessità delle problematiche di questi ragazzi ci ha spinto a mettere in campo altre attività oltre a quella sportiva (musicoterapia, psicomotricità, laboratorio teatrale e di lavorazione di ceramica e cera), ricorrendo anche alle competenze di altri soggetti della “rete”. In particolare, sin dal primo momento è stata richiesta la collaborazione gratuita di alcuni esperti dell’associazione “Il Bambino incompreso” (da tempo presente su questo territorio), che hanno coinvolto tutti in laboratori educativi-creativi, in attività della bibliomediateca, in specifici percorsi di autostima, in interventi mediatici con le famiglie. Famiglie che, pur essendo conosciute, non sempre purtroppo si sono dimostrate favorevoli al coinvolgimento nelle attività. DIFFICILE MA POSITIVO Qualunque percorso si compia, è sempre indispensabile valutare i passi che si sono compiuti e rivederli alla luce del punto in cui si è arrivati. Il momento della verifica coincide con il momento in cui si raccolgono i frutti del lavoro che, per quanto ci riguarda, non è sempre stato facile portare avanti. Dopo le prime battute di partenza, l’impegno a proseguire l’intervento con i ragazzi di un quartiere a rischio ha comportato infatti che prendessimo alcuni accorgimenti personali: fatto questo che ha reso necessario modificare le modalità di prosecuzione sul piano lavorativo. Siamo però convinti che, avendo a disposizione un periodo di tempo più lungo, si possano riprendere attività che hanno mostrato tutta la loro efficacia e, allo stesso tempo, si possa predisporre il terreno favorevole per avviarne altre finalizzate a un più mirato coinvolgimento sociale.

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Dialogo e movimento CALTANISSETTA Comitato provinciale Responsabile locale Operatori

Gruppo partecipante AttivitĂ

Impianto Tipo di disagio

US Acli CALTANISSETTA Nicola Sposito Angelo D’Auria Fabio Caracausi Giuseppe Strano N.15 ragazzi calcetto, basket, tennis tavolo, volley, badminton campo calcetto San Luca/palestra Scuola elementare L.Radice emarginazione sociale

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UNA REALTÀ “SOFFERENTE” Caltanisetta rappresenta oggi una delle cittadine siciliane con il maggior numero di realtà associative operanti nel territorio della provincia sia in ambito socio-assistenziale sia in ambito sportivo dilettantistico. La condizione socio-economica del territorio è caratterizzata da una elevata percentuale di disoccupazione giovanile e da un’economia fondamentalmente basata sul reddito da lavoro terziario; l’attuale periodo di crisi economico-finanziaria sta investendo le piccole e medie imprese operanti nel territorio, con conseguente chiusura di numerose attività commerciali, a fronte del continuo aumento del numero di ipermercati e centri commerciali. Anche le attuali amministrazioni comunali e provinciali risentono dei consistenti tagli ministeriali che si ripercuotono sul sistema del welfare causando la chiusura di servizi socio-assistenziali operanti sul territorio da parecchi anni. La presenza del CPA e del CPT di Pian del Lago, porta sul territorio cittadino un gran numero di extra-comunitari destinati al rimpatrio e quindi poco interessati a una vera integrazione con la popolazione locale, fatta eccezione per quei pochi che – essendo in regola con i permessi di soggiorno – decidono di intraprendere attività lavorative che consentano loro di integrarsi gradualmente. Molto diffusi purtroppo sono fenomeni come il bullismo e il consumo di alcolici e sostanze stupefacenti. Questa piaga coinvolge in modo preoccupante soprattutto i più giovani anche a causa della lenta ma inesorabile disgregazione dell’istituzione famiglia il cui valore viene messo sempre più in discussione.

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GIOVANISSIMI IN GRUPPO Il gruppo di ragazzi che sono stati coinvolti nel progetto, si è formato grazie all’intervento del Parroco della Chiesa di San Luca e del direttivo dell’omonimo Comitato di quartiere che, successivamente ad una riu-


nione operativa con i dirigenti dell’US Acli di Caltanisetta, hanno diffuso l’iniziativa. Questa “rete” ha consentito di individuare i ragazzi interessati a partecipare, provenienti in larga parte da famiglie economicamente disagiate. L’obiettivo che ci siamo posti è stato quello di formare un gruppo non misto e di età omogenea; il che ha determinato la scelta di quindici giovanissimi di età compresa tra i 9 e i 13 anni. LA SCOMMESSA EDUCATIVA Nell’avviare le attività, avevamo ben chiaro che avremmo lavorato con ragazzi inseriti in un’area a rischio di emarginazione sociale, per aiutarli ad affrontare un periodo molto delicato della loro vita. Gli obiettivi del progetto erano una chiara indicazione del percorso da seguire e comportavano che ci facessimo carico di una vera e propria scommessa educativa: attraverso le quattro discipline messe in campo (calcio, basket, volley e badminton) abbiamo puntato infatti a sostenere la crescita armonica dei ragazzi curando lo sviluppo delle competenze fisiche e psichiche di ognuno, ben sapendo che ciò avrebbe contribuito ad aumentare il loro senso di autostima. Soprattutto con l’aiuto dei giochi di squadra abbiamo mirato a finalizzare in modo sano la competitività così come a contenere e finalizzare razionalmente l’aggressività. Gli stessi giochi di squadra hanno consentito di attivare le capacità dei ragazzi di confrontarsi con le regole, con figure di adulti significativi (gli operatori) e con il gruppo dei pari. LO STRUMENTO DEL DIALOGO Per raggiungere questi obiettivi abbiamo usato prevalentemente lo strumento del dialogo educativo, preliminare all’inizio delle attività e contestuale alla realizzazione delle stesse. Verbalizzare è stato importante. Durante lo svolgimento della pratica l’operatore istruiva, ammoniva, rinforzava, incoraggiava a seconda dei comportamenti specifici

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messi in campo dai ragazzi. Che hanno progressivamente maturato la consapevolezza della necessità e del rispetto delle regole e sono stati co-responsabili nella scelta delle discipline di volta in volta presentate. Per l’esecuzione delle attività ci si è avvalsi della collaborazione di operatori del servizio civile, di alcuni volontari della Fidas (donatori di sangue) e dell’Associazione Vita Nova che si occupa di disagio psichico. Prima dell’avvio del progetto è stato realizzato un incontro con i genitori, presso la Parrocchia del quartiere di San Luca, per far loro comprendere e condividere la natura e le finalità di “Ci sono anch’io”. Tradotta in numeri, l’attività didattica prevedeva 10’ di ambientamento e di attività libera; 40’ di attività polisportiva; 10’ di defaticamento e di verbalizzazione.

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CRESCERE CON LO SPORT È stato grande motivo di soddisfazione quando abbiamo potuto constatare che a distanza di tre mesi dal termine delle attività, la quasi totalità del gruppo di ragazzi sui quali e con i quali si era lavorato, si incontrava autonomamente per trascorrere alcune ore pomeridiane all’insegna del divertimento e della spensieratezza ma soprattutto della polisportività. Ciò rappresenta un traguardo raggiunto di cui andare fieri: lo stimolo derivato dall’attività del progetto ha infatti dato origine ad una promozione collettiva di iniziative di prevenzione primaria del disagio che hanno portato alla realizzazione di ulteriori iniziative nel corso dell’estate presso lo stesso campetto. Nel complesso le uniche difficoltà rilevate sono state di tipo organizzativo perchè hanno riguardato la contemporaneità degli impegni scolastici e sportivo- ricreativi di buona parte dei ragazzi, soprattutto in prossimità della fine dell’anno scolastico. Difficoltà che hanno richiesto una grande elasticità da parte degli operatori ed un loro impegno aggiuntivo.


Quando motivare è importante CASERTA Comitato provinciale Responsabile locale Operatori

Gruppo partecipante Impianto Attività Tipo di disagio

US Acli CASERTA Aldo De Lellis Maria Giuseppina Cusano Vincenzo Verdicchio Orsola Cesarano 15 ragazzi (13 maschi, 2 femmine) Istituto professionale Industria e Artigianato “A.Righi” nuoto, pallavolo, pallacanestro, potenziamento muscolare immigrazione, emarginazione sociale

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UNA REALTÀ COMPLESSA L’analisi del territorio, compiuta dall’équipe degli operatori di “Ci sono anch’io”, ha portato l’US Acli provinciale di Caserta alla scelta di coinvolgere nel progetto l’Istituto IPSIA “A.Righi” di S.Maria Capua Vetere. Questa decisione è scaturita da una buona ragione. L’Istituto vive infatti una realtà complessa dovuta all’eterogeneità degli adolescenti che lo popolano. La struttura è frequentata da ragazzi provenienti da famiglie in condizione di povertà, talvolta così pesante da rendere impossibile o molto difficile, anche l’acquisto dei libri scolastici. Una condizione le cui cause sono molteplici: ad esempio, la disoccupazione di uno o di entrambi i genitori o la carcerazione del capo famiglia. Vi sono inoltre, ragazzi di diverse etnie – e dunque di differenti religioni e culture – che faticano ad integrarsi con i ragazzi del territorio e anche ragazzi diversamente abili la cui condizione di handicap rende estremamente difficile la socializzazione e l’instaurarsi di relazioni interpersonali con i pari. Questi adolescenti sono spesso vittime di bullismo da parte dei compagni di classe o dei ragazzi più grandi; uno o entrambi i genitori hanno alle spalle o fanno attuale uso di alcolici o di sostanze stupefacenti e spesso – se si parla con loro – ci si rende conto che sono stati o sono testimoni di violenza o loro stessi vittime di abusi. Ragazzi dunque, non sostenuti sufficientemente dalla famiglia, quasi sempre carente da un punto di vista economico e/o affettivo, la cui condizione problematica di partenza si carica di nuovi problemi dovuti alla delicata fase di vita che attraversano. A ciò si aggiunga che sul territorio sono assenti agenzie educative come le organizzazioni giovanili di volontariato e d’aggregazione culturale, ricreativa e sportiva. Di fronte a tale situazione, “Ci sono anch’io” è sembrato rispondere alle esigenze di questi adolescenti che se lasciati soli a se stessi rischiano di prendere la strada della devianza, della droga, dell’alcool. Strada che purtroppo molti hanno già intrapreso.


FARE GRUPPO Una docente che all’interno dell’Istituto svolge la funzione di referente ai progetti, ha formato il gruppo dei ragazzi destinatari dell’intervento. Sono stati individuati una quindicina di studenti, tredici maschi e due femmine di età compresa tra i 14 e i 19 anni, appartenenti alle classi prime e terze . Occorre tener presente che in una prima classe si possono trovare ragazzi di 18 anni e che la maggior parte degli studenti sono ripetenti da almeno due anni, con problematiche che vanno da diverse forme di disagio alla diversa etnia. Alcuni ragazzi inoltre manifestano la compresenza di più problematiche (ad es. immigrazione e basso reddito familiare). La situazione di partenza vista l’eterogeneità dell’età dei ragazzi e del motivo del disagio è stata laboriosa. Il lavoro preventivo di contatto con la scuola e con gli allievi ci ha permesso di notare un ulteriore difficoltà implicita e quindi insidiosa, che rischiava se non tempestivamente colta e affrontata, di far saltare l’intero progetto: la motivazione degli studenti. Non avevamo messo in conto una possibile “apparente adesione”, dove lo studente poteva iscriversi con iniziale entusiasmo e poi non frequentare il corso. Di fatto, molti studenti che da subito avevano dato la loro adesione sembravano volersi tirare indietro. Per questo, prima di iniziare le attività previste dal progetto si sono organizzati alcuni incontri con gli studenti, condotti da una psicologa e in qualche caso dalla psicologa in collaborazione con gli altri operatori del progetto: lo scopo era quello di valutare e sviluppare la motivazione iniziale dei ragazzi. I colloqui sono serviti a capire il perché di qualche “ritiro” permettendo di superare il problema e di avviare il progetto. “Ci sono anch’io” si è servito di una rete di collaborazioni tra l’Istituto “Righi”, la Sede Provinciale dell’US Acli, l’US Acli Nuoto di Caserta e la Palestra US Acli “Dinamic Big Center” che hanno permesso la piena realizzazione del progetto, ognuno con le sue specifiche potenzialità. CRESCERE CON LO SPORT L’obiettivo principale è stato quello di sostenere la crescita armonica del ragazzo attraverso lo sviluppo ed il miglioramento delle competenze personali psichiche e fisiche. Tutto ciò lo si poteva realizzare e lo si è realizzato attraverso un Piano Educativo Individualizzato (PEI). In altri termini, si è osservato il singolo adolescente per tener conto dei suoi tratti di personalità e dei suoi bisogni espressi o inespressi, scegliendo di conseguenza il percorso più adatto ad ognuno. A seconda dei casi, si è puntato molto ad aumentare l’autostima e quindi l’autoefficacia; in generale si è mirato alla agevolazione della comunicazione tra i pari e quindi a facilitare il rapporto e l’integrazione con il gruppo di appartenenza; al contenimento e alla finalizzazione razionale dell’aggressività, nel caso il ragazzo manifestasse comporta-

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menti ascrivibili ad un possibile modo di agire tipico del “bullo”. Molta attenzione si è data all’attivazione delle capacità di rapportarsi con le regole e con la figura adulta di riferimento. L’ottica in cui si è lavorato è stata quella della prevenzione e/o del cambiamento dei comportamenti a rischio, con un intervento di tipo psicoeducativo che ha mirato ad implementare le competenze emotive e cognitive e le abilità orientate al fronteggiamento delle difficoltà e dei fattori di rischio. Nell’articolazione delle varie attività il progetto ha inoltre prestato particolare attenzione a far crescere la capacità di prendere decisioni e di risolvere i problemi, il pensiero creativo e il pensiero critico, l’autoconsapevolezza, l’empatia, la gestione delle emozioni e la gestione dello stress.

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LE ATTIVITÀ Gli operatori coinvolti nel progetto sono stati scelti proprio in virtù degli obiettivi da raggiungere. L’equipe era formata da una psicologa, da un docente di educazione fisica e da una istruttrice di fitness. La psicologa ha avuto il compito di “creare il gruppo”, non da un punto di vista numerico ma dal punto di vista di far crescere una “coscienza di gruppo” dove ognuno si potesse sentire appartenente ad una “piccola comunità unita, in cui le persone si rendono conto di essere accolte, accettate e hanno la possibilità di confrontarsi”. Gli incontri con la psicologa che sono avvenuti all’interno dell’Istituto, attraverso varie attività come il counseling di gruppo, le tecniche espressive e così via, sono serviti anche a monitorare il livello dei risultati raggiunti durante tutto il percorso.


LE PAROLE PER DIRLO Per quanto riguarda le attività sportive, si è preferito svolgerle anche all’esterno della scuola con l’aiuto della rete, in modo tale che i ragazzi si organizzassero tra di loro e/o con l’istruttore per raggiungere la piscina o la palestra, strutture che fanno parte dell’US Acli. Le discipline sono state scelte in virtù del fatto che l’aerobica, lo step, la fit-box e la piscina sono attività che oltre ad essere ben accette dagli adolescenti, facilitano la comunicazione e la creazione del gruppo. Di conseguenza agevolano processi di integrazione. Un esempio è quello di un ragazzo extracomunitario di una prima classe, che grazie al progetto ha potuto manifestare la sua condizione di vittima di “bullismo” da parte di un compagno di classe. Cosa che avveniva dall’inizio dell’anno scolastico. Le dinamiche tra i ragazzi si sono potute osservare sia in macchina, durante il viaggio di andata e ritorno verso e dalle strutture, sia in palestra nello svolgimento delle attività. Ad un certo punto il ragazzo sentendosi accettato e sicuro, ha manifestato apertamente il suo disagio. Successivamente si è lavorato su di lui come “vittima” del bullismo e con il “bullo” per comprendere il perché di tale comportamento. In questo percorso sono state coinvolte le famiglie e l’Istituzione scolastica. UNA VALUTAZIONE POSITIVA Da una valutazione finale del progetto è possibile affermare che i risultati sono stati più che positivi. I ragazzi si sono mostrati entusiasti sia delle attività svolte che dei docenti. Le richieste di partecipazione al progetto sono state sempre più consistenti al punto che non abbiamo potuto rispondere a tutti. È stato chiesto a gran voce sia dagli adolescenti inseriti nel progetto sia da quelli che non hanno potuto partecipare, la ripetizione di questa esperienza. La stessa richiesta di “replica” è giunta dal dirigente scolastico, dalla Referente ai Progetti e da molti docenti che hanno riconosciuto la validità del nostro intervento. I problemi che abbiamo dovuto affrontare, sono stati sostanzialmente quelli verificati all’inizio delle attività, dovuti soprattutto alle caratteristiche dell’Istituto che è stato il nostro “spazio” di riferimento: la convivenza di adolescenti che vengono da realtà sociali e familiari multiproblematiche. Ragazzi i cui “particolari” bagagli personali si vanno intrecciando con quelli di compagni altrettanto problematici. L’unica strada da percorrere è quella di “tenere duro” e di “non mollare”. Questi ragazzi se lasciati soli a se stessi corrono il rischio di intraprendere il cammino della devianza. Molto si è realizzato e tanto si potrebbe ancora ottenere se progetti come “Ci sono anch’io” non fossero solo una stella in un cielo senza altre stelle ma potessero essere una dei tanti miliardi di stelle che brillano tutte insieme.

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Diamo un calcio al disagio CATANIA Comitato provinciale Responsabile locale Operatori

Gruppo partecipante Attività Impianti

Tipo di disagio

US Acli CATANIA Antonio Nicolosi Filippo Cannizzaro Giovanni Garofalo Francesco Principato N. 10 ragazzi calcio Palestra dell’ICAA Malerba plesso ex Leopardi e campo comunale “Velletri” evasione dell’obbligo scolastico, dispersione scolastica

Foto di repertorio e archivio US Acli

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LA SITUAZIONE TERRITORIALE Il territorio su cui si è operato è un territorio “misto” perché comprende sia una fascia media di popolazione sia una fascia di povertà o a rischio povertà. Il lavoro è di tipo occasionale o precario ed ampia la disoccupazione. Le istituzioni pur presenti (Consiglio di Quartiere) non svolgono le attività ed i servizi che la situazione sociale richiederebbe. Invece gli unici presidi quotidiani di legalità sono le scuole del quartiere anch’esse però in difficoltà per varie cause quali la mancanza di strutture e di finanziamenti adeguati. Nel tessuto territoriale coesistono etnie, religioni e culture diverse importate dal flusso di immigrati ormai in fase di integrazione poiché di seconda generazione. Vi è carenza di strutture di volontariato e le poche realtà operanti sono le Parrocchie e le società sportive. Sono facilmente riscontrabili fenomeni di bullismo all’interno della scuola e del territorio, nonché luoghi di spaccio di stupefacenti. La struttura familiare è ormai cambiata e carente poiché molti nuclei familiari sono disgregati e non riescono a sostenere l’educazione e le necessità dei figli. L’alcolismo è poco rilevante.

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PICCOLI CALCIATORI IN GIOCO Il gruppo si è formato grazie alla collaborazione degli insegnanti della scuola ed era composto da ragazzi tra i 10 e i 12 anni, di sesso maschile. Nonostante fosse molto eterogeneo, questo piccolo nucleo di giocatori, non si è tirato indietro; proprio con il lavoro, la costanza e l’impegno dei ragazzi siamo infatti riusciti a intraprendere un’esperienza positiva. Abbiamo ottenuto un miglioramento tecnico generale, soprattutto tra quei ragazzini che pur avendo maggiori difficoltà fisicomotorie sono riusciti ad integrarsi al gruppo tanto sul piano fisico quanto, soprattutto, su quello psicologico.


IL PROBLEMA DI PARTENZA Luogo di attuazione del progetto la scuola “I.C. Malerba/Leopardi” dove si è operato in sinergia con l’Asd Pro Catania, un’associazione sportiva affiliata all’US Acli che dal 1978 svolge la propria attività di volontariato sportivo proprio nel quartiere. La situazione che abbiamo scelto di affrontare, è stata quella determinata dalla tendenza all’evasione dell’obbligo scolastico e alla dispersione scolastica; problema delicato in questa fascia d’età (10 / 12 anni) particolarmente in un contesto territoriale difficile. Non a caso abbiamo realizzato vari progetti extra-scolastici che hanno messo a fuoco ed approfondito diverse tematiche individuate nell’area “Sport e disagio”. IL “CUORE” DEL PROGETTO Il progetto ha avuto una durata di quattro mesi, da febbraio a maggio 2010. Gli obiettivi che si è cercato di raggiungere sono stati soprattutto quelli di modificare l’idea della scuola come luogo di esclusiva costrizione allo studio, facendola invece percepire anche come luogo di condivisione e di aggregazione sociale. Un luogo ad esempio, capace di dare la possibilità a ragazzi non appartenenti a una scuola calcio, di sentirsi parte di un gruppo sportivo. Si è cercato di far trascorrere ai giovani partecipanti momenti piacevoli e allo stesso tempo costruttivi, evitando quelle forme di esasperazione del “risultato” che è tipica degli ambienti calcistici. Privilegiato invece, l’insegnamento del rispetto delle regole, dei compagni, dell’istruttore e della collaborazione reciproca.

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“DIVERTENTE” È PARTECIPARE Nel mese di maggio il gruppo ha partecipato al “Trofeo Mario Nicotra”, torneo di calcio riservato alle scuole pubbliche elementari e medie di Catania ed area metropolitana; in questa giornata i ragazzi hanno potuto confrontarsi con ragazzi di altre scuole medie. Nonostante il risultato sportivo non ci abbia visto fra i vincitori, fatto dovuto alla differenza di età e di conoscenze calcistiche, essi hanno trascorso alcune giornate all’insegna dello sport e del divertimento. Unico punto negativo, l’assenza delle famiglie che non hanno mai partecipato. Ciò ha offerto una preoccupante immagine di “sradicamento” di questi ragazzi dal contesto famigliare.

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CONTINUARE L’ESPERIENZA Una esperienza con buoni risultati anche sul piano relazionale. Il gruppo che si è formato infatti, ha rapidamente risposto proprio alla sua funzione di gruppo: i ragazzi hanno stabilito tra loro rapporti solidali e d’aiuto. In pratica si sono “sorretti” a vicenda preoccupandosi sempre di portare avanti, ad uno stesso livello, il compagno o i compagni più in difficoltà. Il progetto è stato svolto con passione e con un atteggiamento sempre comprensivo e positivo pure di fronte ai problemi che inevitabilmente emergono quando ci si relaziona con queste giovani generazioni, così come segnalato nel seminario di Pesaro anche dalle altre US Acli impegnate in “Ci sono anch’io”. Pensiamo sia importante continuare con questo tipo di esperienze; magari anche nel periodo estivo per permettere a quei ragazzi che non ne hanno la possibilità, di praticare sport di gruppo, seguiti e guidati da operatori specializzati e competenti anche su un piano multidisciplinare.


Anche noi cittadini dello sport CATANZARO Comitato provinciale Responsabile locale Operatore Operatore volontario Gruppo partecipanti AttivitĂ

Impianto Tipo di disagio

US Acli CATANZARO Francesco Saverio Rizzuto Enrico Nania Antonio Sacco N. 18 ragazzi calcio, calciobalilla, attivitĂ aerobica e ginnastica fitness, kickboxing Istituto penale minorile emarginazione sociale

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ISOLAMENTO E SOLITUDINE Nell’ambito del progetto “Ci sono anch’io”, l’US Acli di Catanzaro ha scelto di lavorare con adolescenti e giovani del locale Istituto penitenziario minorile (IPM). Un luogo, come sostengono gli operatori, in cui i problemi dell’adolescenza sono fortemente aggravati dall’isolamento, dalla sofferenza, dalla solitudine di chi è stato privato della libertà. Infatti, nonostante il direttore, gli educatori, gli assistenti, le guardie che gestiscono l’Istituto si relazionino con i ragazzi in maniera molto umana, vivere in questo contesto così diverso dall’ambiente famigliare e sociale – per quanto problematico possa essere – si rivela comunque per tutti i giovani detenuti una prova molto difficile. UN GRUPPO ETEROGENEO Dopo la presentazione del progetto si è formato un gruppo di diciotto ragazzi la cui eterogeneità, per età e per cultura, ha creato inizialmente dinamiche di relazione un po’ difficili. Tuttavia l’interesse alla pratica delle discipline sportive scelte dal gruppo, ha finito con il portare ad un buon livello di interazione. Soprattutto in questo contesto, l’avvio delle attività è un momento particolarmente delicato in cui ci si deve preoccupare di conoscere i ragazzi e di farsi conoscere, di conquistare la loro fiducia; di far comprendere che l’operatore lavorerà con loro e per loro avendo l’obiettivo di favorire una pratica sportiva utile a far raggiungere una buona forma di benessere psico-fisico. Con chiacchierate amichevoli ed informali abbiamo affrontato il problema del rispetto delle regole di gioco la cui trasgressione rischia di trasformare la pratica sportiva in pratica selvaggia.

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REGOLA-RE IL GIOCO La questione delle regole ha suscitato grande attenzione e tutti i ragazzi si sono dichiarati convinti di quanto sia necessario rispettarle proprio per ottenere un buon gioco. Abituare al rispetto evitando le “scorciatoie” a vantaggio del risultato, è stato punto di partenza e obiettivo per favorire una sana competitività, attivare la capacità di rapportarsi con le regole ed assicurare una migliore autostima. Non a caso, quando spesso durante gli incontri di calcio sono sorti dei conflitti tra i ragazzi partecipanti, sono stati sempre comunque risolti in modo pacifico e sereno. NON SOLO SPORT Pur sapendo che non sarebbe stata cosa facile raggiungere gli obiettivi fissati dal progetto, ho ritenuto opportuno, già in fase iniziale, incoraggiare i ragazzi a incarnare il più possibile i valori dello sport. Parlare con loro con parole chiare e comprensibili, stare accanto a loro senza alcuna forma di autoritarismo, incuriosirli attraverso immagini e lavori preparati appositamente sul mio PC durante il tempo libero, è stato molto positivo. In campo, esercitazioni pratiche con esecuzione degli stessi movimenti e mantenimento di posizioni precedentemente elaborate, passaggio concreto dalla teoria alla pratica attraverso dimostrazioni ad hoc ed atti motori, psicomotricità. ATTENZIONE AL CORPO Con mia sorpresa i ragazzi hanno chiesto di trattare anche alcuni argomenti relativi al corpo umano e al fenomeno del fumo e dell’alcool. D’altra parte, potenziare e migliorare il proprio corpo, l’aspetto fisico è tipico di una età di cambiamento. Ho quindi organizzato lezioni specifiche, privilegiando le immagini con indicazioni e descrizioni molto semplici, tenendo conto di due cose: la necessità di mantenere viva l’attenzione, evitando la noia causata da ragionamenti troppo lunghi e complessi; l’esigenza di fornire elementi chiari e comprensibili, visto che alcuni ragazzi dimostravano scarsa competenza nella lettura e nella scrittura. LE ATTIVITÀ Nell’esperienza e nell’immaginario dei ragazzi la parola“sport” si traduceva soprattutto in “calcio” e per alcuni in “arti marziali” anche se in un secondo momento lo scenario si è allargato ad altre discipline scelte direttamente dai partecipanti. Quindi calcio, calcio balilla, kickboxing, ginnastica fitness. Proprio i giochi di squadra, il calcio e il calcio balilla (a due e a quattro) in particolare, hanno consentito a ognuno di misurarsi con il rispetto delle regole e di comprendere il valore della cooperazione maturando una propria capacità di interazione con gli altri

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giocatori. Per rinforzare questo aspetto ho proposto che fossero gli stessi ragazzi ad arbitrare a turno gli incontri. Il lavoro è stato organizzato con tre ore di attività teorico pratica al mercoledì e alla domenica; tre ore inoltre al venerdì precedute da un incontro con i ragazzi per discutere delle attività da svolgere di domenica, con il direttore dell’Istituto per informarlo di tutto, con il Presidente provinciale dell’US Acli per una costante verifica dello sviluppo del progetto.

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UN’ESPERIENZA DA RIPROPORRE I ragazzi hanno partecipato con molto impegno all’attività fisico sportiva accompagnata dalle spiegazioni teoriche dei carichi, della pesistica, delle capacità condizionali e coordinative; da accenni di anatomia e fisiologia – la contrazione muscolare, l’acido lattico e la sua eliminazione, il debito di ossigeno, i crampi muscolari, la regolazione del consumo di energia nell’attività e così via. I risultati raggiunti lasciano sperare che si possa proseguire questo lavoro iniziato con il progetto. Personalmente ho continuato a far visita ai ragazzi che mi hanno dimostrato in concreto il loro apprezzamento per quanto abbiamo svolto insieme. Se l’attività sportiva per i giovani detenuti è stata la classica valvola di sfogo, è stata anche un reale strumento aggregante e di socializzazione e soprattutto uno strumento di crescita. Come si può cogliere alla conclusione del progetto, il gruppo coinvolto, grazie alle attività sportive praticate e all’impegno di tutti, ha iniziato a “scoprire” che anche in situazioni difficili si può essere protagonisti della propria vita e interagire positivamente con gli altri. Un’esperienza positiva e non solo per i ragazzi: anche per me ha rappresentato un momento di crescita. Professionale ma soprattutto umana. Dunque un’iniziativa da riproporre prevedendo l’inserimento di attività svolte anche all’esterno dell’Istituto.


Comunicazione e autostima a canestro LATINA Comitato provinciale Responsabile locale Operatore Gruppo partecipanti Attività

Impianto Tipo di disagio

US Acli LATINA Francesco Tufano Francesco Pecchia N. 10 ragazzi / e attività motoria a corpo libero, attività propriocettiva coordinativa, basket Palestra Fisio di Lenola emarginazione sociale

Foto di repertorio e archivio US Acli

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POVERTÀ E ISOLAMENTO Avendo utilizzato la scuola come canale privilegiato di comunicazione del progetto, abbiamo preso in considerazione le situazioni vissute concretamente dai ragazzi coinvolti più che le condizioni generali di vita a Lenola, comune all’estremità occidentale della provincia di Latina di circa 4.200 abitanti (di cui l’1,4% immigrati), dove abbiamo condotto la sperimentazione. Situazioni di povertà dovute a un basso o del tutto inadeguato reddito delle famiglie quando non a disoccupazione. Povertà come condizione di vita precaria, segnata da un conseguente isolamento sociale e culturale che incide sulle singole persone, sui gruppi familiari e in particolare sui soggetti più deboli, bambini e adolescenti.

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DIVERSITÀ IN GRUPPO La scuola è stato terreno favorevole per la promozione del progetto e per l’individuazione dei ragazzi interessati a prendervi parte. Il gruppo di dieci ragazzi che si è formato, contava una presenza femminile maggioritaria. Una quasi omogeneità non riscontrabile invece rispetto all’età: diversificazione che ha portato inevitabilmente con sé un differente grado dello sviluppo psico fisico e del livello motorio di ogni partecipante. La difficoltà che si è affrontata già all’inizio delle attività e che si è riproposta periodicamente nel corso di tutti e quattro i mesi di sperimentazione, è stata quella legata alla poca capacità dei ragazzi di rapportarsi con se stessi e con gli altri: mancanza di autostima e scarsa fiducia nei compagni e negli adulti, hanno ovviamente appesantito i problemi di tipo motorio che pure erano presenti. Da non sottovalutare poi alcuni evidenti segni di squilibri di tipo alimentare: l’essere in sovrappeso di alcuni, l’essere sottopeso di altri. FIDUCIA IN SE STESSI E NEGLI ALTRI Gli obiettivi generali fissati dal progetto venivano perfettamente incontro ai problemi che riscontravamo nel nostro gruppo costituendo


una specie di memorandum quotidiano di ciò che, nel limite delle competenze a disposizione e del tempo del progetto, si poteva perseguire. Il tentativo iniziale di coinvolgere pienamente i ragazzi, è stato quello di farli partecipare in prima persona alla scelta delle attività, anche per mettere in campo una “prova” di confronto tra pari e con la figura dell’operatore in quanto adulto di riferimento. Dal punto di vista “tecnico”, il problema più difficile da affrontare derivava dalla grande differenza esistente a livello motorio: differenza che le attività mettevano in evidenza, con il rischio di abbassare anziché migliorare l’autostima. Si è deciso perciò di compiere un percorso principalmente motorio, proprio per sviluppare e migliorare le competenze di ogni ragazzo, fisiche e psichiche; ma anche, attraverso specifiche attività, per favorire il contatto, la socializzazione, la fiducia in se stessi e negli altri. BASKET PER SENTIRSI SQUADRA Non si è puntato su una sola disciplina bensì sull’alternanza periodica di più attività. Grande spazio è stato dato al basket sia perché è stata l’unica disciplina praticabile considerando il grado di sviluppo motorio e i problemi legati alle età diverse dei partecipanti sia perché ha favorito nei ragazzi il sentirsi e viversi come squadra. Il fascino del canestro ha giocato un ruolo importante nel suscitare spirito di cooperazione, finalizzando in modo sano la competitività, e nell’avviare concreti processi di socializzazione. Questa disciplina in sé non ha quindi prodotto difficoltà particolari se non quelle, già messe in conto, di un certo deficit motorio e coordinativo cui si è cercato di far fronte con attività specifiche proprio per migliorare la coordinazione e per il rafforzamento muscolare. UNA CONSIDERAZIONE FINALE Pensando alla situazione di partenza, alla fascia d’età dei soggetti presi in carico con il progetto, agli obiettivi individuati che avrebbero richiesto un lavoro in tempi molto più lunghi di quelli previsti da “Ci sono anch’io”, si può dire che i risultati siano stati soddisfacenti. Spirito di cooperazione, voglia e capacità di stare con gli altri per raggiungere un obiettivo o anche per stabilire rapporti amicali, crescita di autostima e di fiducia: un passo importante che “giocando” insieme si è potuto fare benché dal punto di vista motorio gli effetti del progetto non si siano rivelati altrettanto buoni.

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Importante la persona “che fa” MESSINA Comitato provinciale Responsabile locale Operatore Gruppo partecipanti Attività Impianto Tipo di disagio

US Acli MESSINA Giuseppe Silvestri Aldo Capritti N. 10 ragazzi/e ginnastica e motricità in acqua Istituto Sordomuti Cristo Re disabilità

Foto di repertorio

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UNO SPAZIO PARTICOLARE L’Istituto Cristo Re di Messina, dove si è scelto di realizzare il progetto, lavora per il recupero e l’integrazione scolastica e sociale di bambini e ragazzi audiolesi o affetti da plurihandicaps. L’analisi della situazione di partenza, ha reso possibile mettere in evidenza le caratteristiche, i comportamenti, le capacità di ogni ragazzo che avrebbe partecipato alla sperimentazione di “Ci sono anch’io”. Primo aspetto da sottolineare, l’isolamento sociale dovuto al fatto che i ragazzi dell’Istituto sono convittori o semiconvittori; che tutti provengono da famiglie con risorse economiche scarse e inadeguate; che nel territorio circostante non ci sono organizzazioni giovanili di volontariato e di aggregazione culturale cui poter accedere. Non si sono riscontrati invece nella realtà dei partecipanti carenze della struttura familiare o fenomeni come droga e alcolismo.

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LAVORARE IN GRUPPO Il gruppo di dieci ragazzi di età omogenea (12 anni) si è formato attraverso rapporti di volontariato con l’Istituto Sordomuti. La valutazione iniziale delle condizioni di ciascuno, ha permesso di stabilire un piano di proposte motorie finalizzate e rispondenti ai bisogni ed alle esigenze individuali e del gruppo. Analizzando i prerequisiti e con la somministrazione di un test d’ingresso, è stato possibile stabilire una programmazione per il recupero di attività semplici e un affinamento di capacità acquisite. Qui più che mai, il gruppo mostra la sua validità perché favorisce uno sviluppo armonico della personalità e del linguaggio mentre allo stesso tempo incentiva socializzazione, aggregazione e dinamiche amicali.


LA FATICA DELLA CRESCITA Il passaggio che porta dall’infanzia all’adolescenza è un periodo di grandi trasformazioni e di grandi fatiche. Per tutti ma in particolare per chi parte con qualche svantaggio. Per questo “sostenere la crescita armonica del ragazzo aiutandolo a sviluppare ed a migliorare le sue competenze fisiche e psichiche” è stato uno degli obiettivi del progetto su cui abbiamo maggiormente puntato. Lo stesso potenziamento fisiologico che è stato parte portante delle nostre attività, andava in quella direzione. Sviluppare le capacità condizionali con specifico riferimento alla forza in relazione alle masse muscolari, addominali, dorsali, arti superiori e inferiori, ha aiutato ogni ragazzo a rapportarsi in modo migliore con la propria corporeità e a trovare fiducia in se stesso. In questo modo è piano piano cresciuta l’autostima e si è progressivamente acquisito il piacere e la capacità di relazionarsi con il gruppo dei pari oltre che di riconoscere l’operatore come valida figura adulta di riferimento. UN PERCORSO ARTICOLATO Importante è stata la preparazione e la competenza dell’operatore nell’ambito del disagio che i partecipanti al progetto esprimevano. Anche il rapporto tra la disciplina scelta (ginnastica e motricità in acqua) e le difficoltà del gruppo, si è dimostrato positivo. Il percorso si è articolato in lezioni frontali e lezioni dialogate; dibattiti in classe e relazioni su ricerche individuali o collettive; esercitazioni in palestra seguiti da approfondimenti individuali, visto che ogni soggetto ha una sensibilità propria che fa vivere disabilità e disagio in maniera diversa dagli altri. Ma anche esercitazioni e approfondimenti in gruppi per sostenere le attività e l’apprendimento all’interno delle dinamiche che si creano nel gruppo. In questo percorso ci si è avvalsi di test psicomotori, esercitazioni singole e per gruppi di lavoro, circuiti, esercitazioni didattiche; è stata inoltre attivata un’osservazione costante del modo di vivere il movimento e il progressivo progredire fino a riuscire a padroneggiarsi nell’ambito di una attività sportiva. VALUTARE L’IMPEGNO E I PROGRESSI Alla fine del progetto e sulla base della valutazione finale, si può dire che i risultati sono stati buoni. In coerenza con il principio che importante è “la persona che fa” e non “quello che fa”, la valutazione non si è basata esclusivamente sul livello della prestazione motoria e sportiva ma ha tenuto conto del comportamento, dell’impegno, dei progressi registrati e delle conoscenze acquisite. Di conseguenza, oltre alle prove oggettive di capacità e prestazioni, sono state utilizzate forme soggettive di valutazione da parte dell’insegnante e dei compagni ed anche forme di autovalutazione.

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Quando il gioco è di squadra MILANO Comitato provinciale Responsabile locale Operatore Gruppo partecipante Attività Impianto Tipo di disagio

US Acli MILANO Alessandro Galbusera Claudio Ivan Simonsini N.13 ragazzi/e pallavolo, calcio, pallacanestro Palestra della Parrocchia della Beata Vergine Addolorata emarginazione sociale

Foto di repertorio e archivio US Acli

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IL TERRITORIO COME ARCIPELAGO Il progetto è stato operativo nella ex zona 13 di Milano che comprende realtà di disagio minorile in un contesto di quartieri popolari e in vicinanza di un campo nomadi. In un recente studio sulla povertà nel capoluogo lombardo (Caritas italiana, La città abbandonata: dove sono e come cambiano le periferie italiane, Il Mulino, Bologna 2007), la ex-zona 13 è risultata al secondo posto per gravità della situazione sociale, sebbene non presenti a prima vista gravi disagi. Perché tale collocazione? Costituita da 4 zone diverse (Bonfadini-Taliedo, Forlanini-Monlué, Ponte Lambro e Zama-Salomone) con specifiche identità e storie, la ex-zona 13 è un impasto complesso di tanti elementi giustapposti: forte presenza industriale e operaia, peso dell’immigrazione dal Sud, intensi processi di insediamento abitativo pubblico, arrivo di immigrati extracomunitari.

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LA CREAZIONE DEL GRUPPO La Parrocchia della Beata Vergine Addolorata di viale Ungheria, è stata centrale nella ricerca degli adolescenti da coinvolgere nel progetto. I ragazzi infatti provenivano dal plesso scolastico Guerrieri Gonzaga e dall’oratorio della stessa Parrocchia, la cui palestra è stata poi spazio di svolgimento delle attività. Il gruppo che ha partecipato in modo continuativo per tutta la durata di “Ci sono anch’io”, si è stabilizzato in 13 ragazzi e ragazze dopo un’iniziale adesione di 20. La pratica dei giochi di squadra e l’età omogenea dei partecipanti (dai 14 ai 16 anni), ha contribuito molto al riconoscimento di “essere gruppo” – stimolando dinamiche di appartenenza attraverso attività comuni – e non semplicemente un’aggregazione casuale di persone. IN SQUADRA SI PUÒ L’obiettivo che ci siamo posti è stato principalmente quello di creare momenti di incontro tra la comunità esistente e i ragazzi che vivono ai suoi margini. Nell’adattare il progetto nazionale alla realtà locale, abbiamo particolarmente tenuto in considerazione l’esigenza di aumentare sia le


occasioni organizzate e durature di socializzazione sia concreti spazi/luoghi di incontro in grado di facilitare i ragazzi del territorio nella costruzione di legami significativi con persone e strutture. In “squadra” è possibile. Nello sport la squadra è il gruppo dei pari, indispensabile nell’adolescenza. Più che mai necessario all’adolescente che vive in una situazione di emarginazione, per aumentare la propria autostima, attivare le sue capacità di rapportarsi con le regole e con una figura adulta di riferimento e non ultimo per contenere e finalizzare razionalmente l’aggressività. Aspetti che sono tra gli obiettivi specifici del progetto. Per questo abbiamo scelto di proporre sport di squadra (come il calcio, la pallavolo, la pallacanestro) che sono un “mezzo” eccellente per creare in ogni ragazzo sensibilità e disponibilità alle attività di gruppo ed alla collaborazione, in vista di un obiettivo da raggiungere. VOGLIA DI SPORT Le attività ludico sportive condotte due volte alla settimana da operatori laureati in scienze motorie e da volontari formati per le attività specifiche, hanno sostenuto una partecipazione attiva e propositiva dei ragazzi facendo crescere la voglia di sport. Non a caso molti hanno chiesto di inserirsi nell’attività sportiva della Parrocchia dentro quelle squadre che, dal precedente autunno, già prendevano parte a tornei. Un segnale molto positivo il fatto che la realizzazione del progetto abbia contribuito ad avviare un processo di inserimento dei ragazzi presi in carico da “Ci sono anch’io” nella realtà sociale del loro quartiere, come si è visto nel momento finale delle attività. Di fatto, questo momento è stato fissato per il giorno della festa di fine attività della società sportiva dell’oratorio. Una scelta non casuale: stare insieme agli altri per condividere la stessa passione di sport. Un’occasione per i ragazzi del nostro gruppo, anche di collaborare alla realizzazione di uno stand-gioco. I VOLONTARI COME RISORSA Di grande aiuto è stato il poter utilizzare un ambiente che si trovava sul territorio di residenza dei ragazzi e che già forniva un’opportunità simile ad alcuni loro coetanei. Certamente anche questo ha consentito ai più di vedere la prospettiva offerta da “Ci sono anch’io”. Importante è stato poi il poter contare su diversi volontari della Parrocchia che partecipavano saltuariamente ad alcuni momenti e che facevano percepire la loro presenza ai ragazzi in altri giorni-momenti non organizzati dal progetto. Un fatto che ha calato il nostro intervento all’interno della comunità e del normale ritmo di vita dei ragazzi. La “voglia di sport” con tutto il suo corollario di aiuto alla crescita, non si è attutita con la fine di “Ci sono anch’io”: di propria iniziativa, all’inizio di questa stagione sportiva, la maggioranza dei ragazzi che hanno preso parte al progetto si è iscritta alle attività organizzate dalla società sportiva dell’oratorio.

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Uno sport che diverte e insegna NOVARA Comitato provinciale Responsabile locale Operatore Gruppo partecipante Attività Impianto Tipo di disagio

US Acli NOVARA Michele Julitta Graziano Buratto N. 12 ragazzi / e arti marziali orientali, fitness ASD Sporting club di Oleggio familiare, discontinuità scolastica, disabilità

Foto di repertorio archivio US Acli

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UN TERRITORIO IN DIFFICOLTÀ La provincia di Novara attraversa, come altre aree d’Italia, un periodo di stagnazione economica, di calo della occupazione, del reddito, del potere d’acquisto. Aumenta la cassa integrazione, la mobilità, la disoccupazione. Ai giovani vengono a mancare le prospettive di lavoro dopo la scuola e i giovani senza prospettive sono i più vulnerabili, i più disposti a seguire strade alternative che a volte portano a vita instabile quando non a delinquenza. Già da adolescenti si respira questo clima di grande insicurezza e di futuro incerto e i problemi tipici dell’età si appesantiscono quando mancano gli strumenti idonei a sostenere e ad orientare i ragazzi nel loro approccio alla realtà. Uno strumento adatto è certo l‘attività sportiva ma anche l’aggregazione culturale e il volontariato che possono motivare, stimolare, far crescere il ragazzo verso obiettivi più sani, più reali, più costruttivi. Oleggio, dove si è realizzato il progetto, è il sesto comune – principalmente agricolo – della provincia per numero di abitanti e si trova a pochi chilometri a nord di Novara.

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IO, TU, NOI Enti locali, stampa, scuola media, Enaip, servizi sociali hanno veicolato le prime informazioni sull’avvio del nostro progetto rivolto agli adolescenti. Questa comunicazione ha portato i ragazzi interessati e i loro genitori nella struttura dell’ASD Sporting club di Oleggio dove sono state approfondite tutte le informazioni ricevute anche a seguito delle molte domande poste sia dagli adulti che dai potenziali partecipanti. Formalizzate le adesioni, si è formato un gruppo eterogeneo per età, sesso, abilità Un gruppo misto di otto maschi e quattro femmine, di età compresa tra i dieci e i diciassette anni: con problemi quindi diversi in quanto legati alle diverse fasi evolutive, dalla pre-adolescenza all’adolescenza. Una eterogeneità che avrebbe potuto creare notevoli ostacoli allo svolgimento del progetto: difficoltà che è stata superata con la creazione di più gruppi di “lavoro”. IL LATO GIOCOSO DELLO SPORT L’articolazione di un gruppo così eterogeneo in “sottogruppi” ha risolto anche il problema dei vincoli posti da orari di frequenza diversi a causa della partecipazione dei ragazzi a laboratori scolastici o di motivi personali. Le caratteristiche più omogenee di questi piccoli gruppi hanno consentito inoltre di agevolare apprendimento e aggregazione.


La palestra gestita dall’ASD Sporting club Oleggio – fornita di attrezzature fitness di livello professionale – è la struttura che ha permesso lo svolgimento delle attività sportive. Con la nostra proposta si è pensato soprattutto di non appesantire, stancare o addirittura opprimere i ragazzi, già legati agli obblighi e doveri della quotidianità scolastica e familiare. Abbiamo invece presentato sempre il lato giocoso e divertente dello sport, la sua caratteristica di svago che non esclude l’impegno, il suo valore nella promozione della salute anche e proprio in un momento in cui il corpo cambia. Si è mirato ad attivare la capacità dei ragazzi di rapportarsi con le regole, di assimilarle e di tradurle in comportamenti corretti; di relazionarsi con la figura adulta di riferimento (l’operatore); di confrontarsi e integrarsi con il gruppo dei pari; di scoprire ed alimentare aggregazione e amicizia. Tutto questo ha contribuito a far compiere passi importanti verso l’aumento dell’autostima ed una crescita armonica dei partecipanti. UN PERCORSO PER LA CRESCITA All’inizio del progetto si è pensato di mostrare ai ragazzi le attività svolte dal club che li ospitava, consigliandoli di seguire un percorso teorico e soprattutto pratico ad ampio raggio anche per consentire, in un prossimo futuro, di compiere buone scelte sia sul piano sportivo sia su quello sociale. Fitness e arti marziali orientali sono state il cuore della nostra proposta essendo entrambe orientate al benessere fisico e mentale e alla ricerca di equilibrio tra corpo e mente. Di fatto è stato proposto di seguire una scheda introduttiva per le attività di fitness con esercizi a corpo libero e con l’utilizzo di una attrezzatura adeguata e allo stesso tempo di acquisire nozioni teoriche e pratiche nel campo delle arti marziali orientali. IN CONCLUSIONE I ragazzi che hanno aderito al progetto e completato il programma a loro dedicato, hanno raggiunto conoscenze e abilità nell’ambito delle discipline proposte. Proprio nella capacità di lettura e di applicazione degli esercizi di una scheda fitness e nell’apprendimento di principi e tecniche di base di alcune arti marziali e discipline orientali, si sono riscontrati buoni frutti del progetto. Accanto a questi risultati “tecnici”si collocano gli esiti pedagogici-educativi di “Ci sono anch’io”; si sono infatti compiuti passi importanti lungo un percorso pensato “ad hoc” per gli adolescenti. Certo, non tutto è stato perfetto: i ragazzi sono stati un po’ discontinui sia dal punto di vista della frequenza sia da quello dell’individuazione e del rispetto delle regole di vita sociale e sportiva. Va comunque segnalato che tutti hanno mostrato uno spiccato senso dell’umorismo e un generale ottimismo. Una gioiosità diffusa che nel mondo sportivo e nella società attuale, non è davvero poco.

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Foto Stefano Rollo

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Lo sport come strumento di integrazione ROMA Comitato provinciale Responsabile locale Operatore Gruppo partecipante AttivitĂ Impianto Tipo di disagio

US Acli ROMA Luca Serangeli Sara Alessio N. 10 ragazzi / e atletica leggera ASD US Acli III Millennio immigrazione, disabilitĂ , emarginazione sociale

Foto di repertorio e archivio US Acli

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UNA REALTÀ DI BORGATA La realtà sociale in cui sono inseriti i ragazzi aderenti al progetto è quella di un quartiere di borgata, multietnico e multireligioso, con alto tasso di immigrazione e criminalità di entità medio-alta, un elevato tasso di abbandono scolastico e di uso/abuso di sostanze stupefacenti ed alcool anche tra i giovanissimi. Le Istituzioni poco si interessano alla cultura del tempo libero e dello sport lasciando che le nuove generazioni trovino accoglienza in realtà distruttive come le “gang”. Quasi tutti i ragazzi frequentano o hanno frequentato in passato la Scuola Media Statale L. Pavoni, oggi Istituto Comprensivo. Hanno conosciuto lo sport attraverso l’insegnamento dell’educazione fisica da parte del Professore Gianni Alessio, a servizio da oltre 35 anni nel medesimo istituto e per questo consapevole del retroterra dal quale affluiscono i suoi allievi. Ciò mi ha dato l’opportunità di scegliere all’interno di numerosissime situazioni più o meno difficili o border line a livello sociale: orfani, figli di detenuti o prostituzione, spettatori di scene criminose di giorno quanto di notte, figli della “legge del Quartiere” dove se non stai allineato sei “fuori”, sei esposto a ripercussioni. È proprio in questo quadro che l’US Acli III Millennio offre una possibilità di progetto di vita per tutti: indipendentemente dal paese d’origine, dall’etnia, dalla religione o dalla cultura, età, condizioni economiche, salute o patologia. Ne è testimonianza il fatto che il gruppo con cui abbiamo lavorato, è un gruppo misto trasversalmente, anche dal punto di vista della presenza o meno di ragazzi diversamente abili.

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UN GRUPPO MOLTO PARTICOLARE Il gruppo è semplicemente un “sottogruppo” di 10 su un totale di oltre 200 allievi che frequentano il Campo sportivo municipale da anni in concessione alla nostra associazione. Sono ragazzi che non potrebbero facilmente essere accolti altrove o per problematiche di indisponibilità economica o per l’incapacità degli istruttori che, di fronte a casi di grave disabilità fisica o intellettivo-relazionale, dirottano le famiglie verso i cosiddetti “centri specializzati” – a volte veri e propri ghetti – o che “per rispetto verso gli altri iscritti e per questioni di sicurezza”, negano l’accesso alle strutture. La ASL Roma B e l’Opera Sante De Sanctis ci indicano spesso come struttura a cui fare riferimento per i casi di grave disabilità che altrove non hanno trovato accoglienza. Aver inserito nel gruppo solo due ragazze (rapporto di 2 a 10 tra maschi e femmine) è derivato dalla volontà di approfondire tutte le aree di intervento del progetto: povertà, immigrazione, disabilità... Le età vanno dai 13 ai 22 anni anagrafici. Sottolineo “anagrafici” in quanto il ventiduenne in questione è affetto da sindrome d’autismo di grado profondo, associata ad un grave ritardo nelle aree del linguaggio, dell’apprendimento, motorie e delle relazioni sociali. Ragionando in percentuali, per


l’80% si tratta di ragazzi con disabilità fisiche come emiplegie spastiche (cerebrolesioni uni o bilaterali) o intellettivo relazionali come l’autismo. Tra di loro comunque ci sono ragazzi che vivono in condizioni di precarietà economica, familiare e socialmente border-line. Uno dei problemi nella formazione del gruppo è stato quello di “sceglierli”. Tutti, chi più chi meno, vertono in situazioni di idoneità al progetto. Ed è anche per questo che ci auspichiamo una prosecuzione del progetto nel prossimo anno. Alla partenza delle attività, i ragazzi già si conoscevano, quindi almeno il muro della timidezza-paura era già stato abbattuto. Rimanevano però altre montagne da sormontare: la scarsità di comprensione e le resistenze di alcuni genitori, la non cultura all’accoglienza del “diverso”, la “paura” del diverso sia che si tratti di diversamente abile che di normodotato, l’assiduità alle lezioni. SPORT: STRUMENTO E NON FINE In un arco di tempo maggiore ci auspichiamo di poter essere un elemento valido di aiuto per tutti i giovani, siano essi normodotati o diversamente abili, cittadini italiani o stranieri, di buona famiglia o senza famiglia, attraverso lo sport come strumento e non come fine, per il raggiungimento di quello che amo chiamare il “progetto di vita” di ciascun individuo. Mettere a disposizione uno spazio neutro, volontariamente scelto, sano, con adulti che siano punti di riferimento alla pari di un buon insegnante o di un buon sacerdote ad esempio, certamente può giovare alla crescita di giovani in disagio.

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L‘atletica leggera offre un’opportunità che pochi altri sport hanno: imparare a gestire l’aggressività, la rabbia, la violenza ed indirizzarla verso un giusto canale di sfogo senza arrivare allo scontro diretto con l’altro, dove l’avversario non è “un altro te” bensì il tempo, lo spazio, le paure... L’atletica leggera viene definita dai più grandi storici dello sport come “regina degli sport” per il suo elemento costitutivo che è la sana competitività, il fair play. Unito agli altri elementi della metodologia didattica adottata dalla nostra associazione, ciò aiuta certamente i ragazzi nella creazione di un nuovo concetto di sfida: sfida non contro l’altro, dove l’altro è compagno nella lotta, contro gli stessi nemici, le stesse paure, gli stessi limiti. Quello a cui abbiamo assistito è uno spettacolo naturale fuori dagli schemi preconcetti della società contemporanea: vedere un ragazzo autistico correggere in modo “idoneo” e “puntuale” l’errore proprio o del compagno, è qualcosa al quale non in molti sono abituati; vederli apprendere nuove regole, anche le più rigide, senza automatismi ma capendone il senso, chiedendo il perché di alcuni limiti, il perché di alcuni divieti; poter trovare le parole giuste per dare una risposta a domande alle quali forse nemmeno gli scienziati sanno rispondere, è qualcosa di impensabile (quando ti senti chiedere: “ma il cielo cade?”) e tutto si risolve nella semplicità dell’intervento di un compagno che a modo suo ha già elaborato una tesi tutta speciale, come lui. Vogliamo continuare ad essere strumenti per il raggiungimento di una reale integrazione anche e soprattutto attraverso lo sport. UNA PISTA PER CRESCERE INSIEME Il percorso prevedeva tre incontri settimanali in cui i ragazzi si sarebbero allenati nelle varie specialità dell’atletica leggera, tutti insieme, in regime di inclusione e di integrazione radicale. In itinere poi sono stati aggiunti “incontri extra” al sabato, con le famiglie quando possibile, per


creare momenti di confronto (a volte anche di scontri, sebbene costruttivi!) e di festa. Perché l’interculturalità prevede la conoscenza delle altre culture, imprescindibile se si vuole raggiungere il rispetto reciproco. Alcuni dei ragazzi del gruppo appartengono allo studio sperimentale oggetto della tesi in Dottore delle Scienze Motorie: “Una pista per l’integrazione. Tecniche e metodologie sperimentali per l’allenamento di ragazzi affetti da sindrome d’autismo nell’atletica leggera adattata ed integrata (anno accademico 2007/2008, Facoltà di Medicina e Chirurgia di Tor Vergata, voto 110 e lode). Il mio retroterra è quello di una ex atleta che si allenava in quel campo con i “fratelli grandi” o con gli attuali “boss” del quartiere, ex bulli. Non è stato difficile tanto il mio approccio verso di loro, quanto verso le loro storie, spesso pesantissime. La mia forma mentis è differente da quella di un medico ospedaliero dove è la malattia che determina il paziente; da noi, tu sei tu, tu non sei né la tua malattia né la tua “sfortuna” né il tuo clan. Tu sei tu, diverso da tutti e per questo speciale.. PERCHÉ L’ATLETICA La scelta di insegnare l’atletica leggera è stata determinata sia dai miei studi pregressi sia dai caratteri propri di questa disciplina: seppur appartenente per tipologia di gara agli sport individuali, l’atletica mantiene forte il carattere di sport di squadra per tutto quello che precede e segue la pura e semplice gara. L‘obiettivo non è tanto “vincere” ma “migliorare”, “crescere”, “sfidare” (se stessi prima degli altri), “rispettare” le regole della disciplina, del luogo in cui ci si allena e dell’educatore. Rispetto anche delle difficoltà dell’altro, delle sofferenze, dei cali di stima, delle paure ed “amare il diverso” con tutto ciò che di buono ne può conseguire. L’atletica leggera integrata offre la possibilità di sconvolgere in un gruppo i normali ruoli sociali: può succedere che chi è abituato ad eccellere nella vita quotidiana, risulti il meno prestante sulla pista, oppure il piu’ “spastico” possa capire prima di un normodotato la tecnica di un gesto atletico, dimostrando problematiche solo nell’esecuzione non adattata del gesto. Questo scoglio presto si supera applicando una metodologia d’insegnamento differenziata nella tecnica ma non nell’approccio. LE VARIE FASI I ragazzi si incontravano in pista prima delle 18:00. Tutti autonomamente si recavano negli spogliatoi, si cambiavano, spesso si fermavano più del dovuto per chiacchierare un po’, cosa che col sorriso veniva loro rimproverata, perché si sa, veder nascere situazioni del genere può far chiudere un occhio sul rispetto degli orari. L’allenamento prevedeva una fase di riscaldamento nella quale si poteva parlare di tutto quello che aveva preceduto quel momento: la giornata scolastica, la famiglia, i problemi, i sogni....senza dimenticare quello che si sarebbe fatto nella fase

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centrale dell’allenamento, gli obiettivi a breve termine, quelli propri della seduta di allenamento, le piccole sfide raggiungibili:dal migliorare un tempo o una misura al riuscire semplicemente a correre in corsia o quantomeno nella direzione giusta!! La fase centrale prevedeva un sano individualismo. Ciascuno aveva i propri esercizi da svolgere, le proprie ripetizioni, i propri problemi da affrontare. Ma tutti dimostravano proprio in questa fase di essere meglio disposti all’apertura all’altro, alla correzione, al mutuo aiuto. La fase terminale di ciascuna seduta prevedeva un momento di defaticamento congiunto alle riflessioni sull’allenamento, sugli obiettivi che ci eravamo posti, sulle nuove “sfide”, sulle “vittorie” delle paure. Nonostante alcuni allenamenti veramente massacranti dal punto di vista della fatica muscolare, tutti andavano via con un sorriso, anche quelli che avevamo accolti con lo sguardo più triste.

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LA VALIDITÀ DEL PROGETTO Rileggendo l’esperienza, si può affermare l’assoluta fattibilità di progetti che trasversalmente coinvolgano più aree di disagio con la possibilità di scoprire nuove ed esponenziali mete da raggiungere. I problemi di più difficile gestione sono stati quelli riferibili alle famiglie e nello specifico, ai genitori dei ragazzi, spesso indifferenti verso le reali esigenze dei figli o incapaci di comprenderle. Ci auguriamo che il progetto prosegua per monitorare ulteriormente – e per un periodo maggiore di tempo – il gruppo, con la possibilità magari di coinvolgere nuovi ragazzi in questa esperienza. Ma anche Istituzioni come le scuole primarie, la Parrocchia di riferimento del quartiere, gli enti socio-sanitari del Municipio di Roma 6 per poter avere a riferimento alcune figure professionali importanti: psicologi, assistenti sociali, fisiatri, neuropsichiatri, assistenti per il lavoro e così via.


Importante è giocare insieme TERAMO Responsabile locale Operatori

Gruppo partecipanti Attività Impianti

Tipo di disagio

Alfonso Petrella Sergio Maria Petrella Sofia Lattanzi (volontaria) Antonietta Di Pietro (volontaria) N. 20 ragazzi hockey prato, calcetto, pallamano, basket, giocoleria Impianto polisportivo comunale “Gli Oleandri” di Pineto Impianti sportivi Scuola media “Giovanni XXIII” di Pineto emarginazione sociale

Foto di repertorio e archivio US Acli

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UNA REALTÀ ATTIVA E ARTICOLATA Il progetto è stato realizzato in provincia di Teramo a Pineto, località balneare dell’Adriatico di 14.000 abitanti. I numerosi alberghi, i molti stabilimenti balneari, i campeggi, la buona viabilità, gli oltre 8 km di litorale, la ricca gastronomia fanno dell’industria turistica la sua principale risorsa economica sia direttamente sia attraverso un ampio indotto. L’artigianato e diverse fabbriche a livello artigianale offrono ancora lavoro ad un discreto numero di famiglie così come alcune attività agricole, soprattutto viticoltura e olivicoltura ampiamente diffuse sul territorio. Il tenore di vita degli abitanti è medio alto, poche sono le situazioni di povertà e poca la disoccupazione. Anche se alcune strutture – in particolare per lo sport e il tempo libero – sono insufficienti, diverse sono le iniziative delle Istituzioni per favorire la crescita complessiva della città. C’è coesistenza di etnie, religioni e culture diverse poiché sono presenti molti cittadini extracomunitari. Più di sessanta tra associazioni culturali e sportive operano nel territorio di Pineto e trovano nell’arte, nel cinema, nel teatro, nella letteratura e nello sport il terreno fertile per le realizzazione di rassegne, mostre, festival e manifestazioni sportive. Eppure, nonostante questi aspetti positivi, esistono problemi di droga e di bullismo mentre si registrano carenze della struttura familiare. A livello giovanile si percepisce un disagio diffuso che si manifesta attraverso modalità di comportamento antisociali come la formazione di bande di ragazzi impegnati in atti vandalici o come l’uso di sostanze stupefacenti.

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FOTO DI GRUPPO CON LO SPORT Insegnante di educazione fisica nella scuola media Giovanni XXIII, Sofia Lattanzi mi aveva proposto, molto prima che accettassi di essere coinvolto nel progetto “Ci sono anch’io”, di organizzare e realizzare nella sua scuola un’attività ludica e sportiva in orario extracurriculare per alcuni suoi alunni “un po’ particolari”. Così, quando è sceso in campo il progetto dell’US Acli, è stata l’occasione giusta per chiamare in causa alcuni di questi ragazzi: all’inizio si è formato un gruppo di 15 che poi si è allargato a 20 di differente età (dai 10 ai 16 anni). Comportamenti tranquilli di qualcuno, litigiosità, aggressività e tendenza giocare in modo violento di molti altri. Il mio compito di operatore del progetto è stato coadiuvato dalla stessa professoressa Lattanzi e da un’operatrice sportiva, Antonietta Di Pietro, in qualità di volontarie. L’attività si è svolta presso l’impianto polisportivo comunale “Gli Oleandri” di Pineto ubicato proprio accanto alla “Giovanni XIII” che ha un campetto polivalente per il calcetto e l’hockey su prato oltre a campi di basket, di bocce, palestra e pista di pattinaggio.


NÉ ISOLATI NÉ DIVERSI La situazione di partenza non è stata facile per il comportamento di alcuni di questi ragazzi soprattutto di quelli che si portavano addosso relazioni difficili con i genitori, assenza di amici, cattiva riuscita scolastica, sbalzi di umore continui, tendenza a mostrarsi grandi e forti per nascondere tutta la fragilità tipica dell’adolescenza. Per favorire lo sviluppo armonico dei ragazzi, abbiamo cercato di fornire le basi che permettono ad ognuno di affrontare in modo positivo i problemi del vivere quotidiano e del responsabile inserimento nella vita familiare, sociale e civile in questa particolare fase dell’età evolutiva. Abbiamo cercato di valorizzare le differenze personali e di favorire l’accettazione di se stessi e degli altri; nel lavoro di gruppo abbiamo affrontato problemi quale il bullismo e l’emarginazione di alcuni ragazzi. Sono state svolte attività finalizzate allo sviluppo di abilità, conoscenze, capacità motorie e relazionali; abbiamo proposto una variata gamma di esercizi e di attività sportive per aiutare i ragazzi a diventare progressivamente “costruttori” del proprio corpo e a conquistare autonomia nello spazio, con gli oggetti, con se stessi. Molta attenzione alle procedure (cosa fare, come fare, quando fare) per far prendere coscienza di sé, del proprio impegno e del proprio valore; per crescere come persona, conoscere se stessi e gli altri, imparare ad accettarsi e ad accettarli, a darsi fiducia reciproca, a sostenersi a vicenda, a risolvere i conflitti in maniera costruttiva, ad accettare complimenti e critiche nel modo giusto, ad essere propositivi e a collaborare con gli altri, a contenere e finalizzare razionalmente

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l’aggressività, a rispettare le regole. Così l’adolescente migliora l’autostima, a partire dal senso di padronanza e di efficacia legato alla riuscita delle attività in cui si impegna. EDUCARE ALLO SPORT E NELLO SPORT Abbiamo operato in uno spazio che doveva essere abitato sia da ragazzi problematici sia da ragazzi meno in difficoltà, con la convinzione che nessuno dovesse sentirsi diverso o isolato dagli altri. In orario extrascolastico, il programma di lavoro prevedeva l’apprendimento e la pratica di attività sportive e ludiche: pallavolo, basket, calcetto, hockey prato, giocoleria. Discipline scelte perché basate principalmente sui giochi di squadra, capaci di veicolare i valori della collaborazione e dell’impegno. Siamo riusciti a sensibilizzare i ragazzi al rispetto delle regole e a formare la loro capacità di ascolto, creando un clima in cui ognuno potesse esprimersi con una modalità più responsabile; abbiamo partecipato ad un torneo di hockey prato con squadre provenienti dall’Abruzzo, dalle Marche e dall’Umbria. Abbiamo scelto di far praticare l’hockey su prato perché a differenza di altri sport molto popolari come il calcio, l’hockey è poco conosciuto e scarsamente praticato pur essendo uno sport molto attraente che i nostri ragazzi hanno apprezzato.

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UN’ATTIVITÀ INEDITA: LA GIOCOLERIA La giocoleria, ovvero come imparare ad andare in monociclo. Un’attività ludica che ha riscosso grande successo e che in tutte le sue fasi si presenta con le caratteristiche di una vera e propria preparazione sportiva. Ecco la sintesi dello svolgimento di una unità didattica: dopo aver fatto fare ai ragazzi il consueto riscaldamento: marcia, corsa leggera, esercizi


a corpo libero, stretching, si inizia ad effettuare esercitazioni per apprendere i fondamentali di base. Imparare a salire e scendere dal monociclo, apprendere le diverse posizioni di controllo, a posizionare il piede sul pedale, a dondolare sul posto. E poi ancora: rotazioni, andature continue e senza sostegno, fermarsi e scendere, imparare a curvare. Alla fine i ragazzi svolgono esercizi di defatigamento e insieme facciamo una riflessione sul lavoro svolto: ascolto i singoli ragazzi raccontare dei loro dubbi e delle difficoltà incontrate nell’effettuare gli esercizi, fornendo loro suggerimenti e consigli per la lezione successiva. CON FATICA E CORAGGIO Nel ripensare ai mesi in cui si sono concretizzate le attività del progetto, si deve sottolineare prima di tutto quanto sia stato positivo il lavoro di squadra degli operatori e anche il sostegno e la collaborazione di alcuni genitori. Rispetto al lavoro realizzato, l’aver dato importanza alle attività ludiche e sportive, ha consentito ai ragazzi di assumere ruoli attivi, creativi e di responsabilità; discreto risultato ha poi ottenuto il nostro tentativo di costruire ed allargare la rete di amicizie anche al di fuori della struttura in cui si è svolto il progetto. Non sono mancate le difficoltà: l’impegno con questi ragazzi non è stato certo facile; talvolta è sembrato inconcludente e frustrante e si è fatta avanti la tentazione di cedere e ritirarsi. Però alla fine ripensando alle motivazioni di fondo che ci hanno fatto accettare il coinvolgimento nel progetto, abbiamo continuato rimettendo in campo fantasia, creatività e coraggio per puntare al recupero umano dei ragazzi. Pensiamo che “Ci sono anch’io” dovrà avere una sua continuità soprattutto nei piccoli centri, anche con la costruzione di strutture educative e formative funzionanti in orari extrascolastici; centri di accoglienza dove poter far svolgere agli adolescenti attività stimolanti, ludiche, ricreative, culturali e sportive.

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Allenare il corpo e la mente TORINO Comitato provinciale Responsabile locale Operatore Gruppo partecipante AttivitĂ Impianto Tipo di disagio

US Acli TORINO Piero Demetri Luca Cerfeda N. 14 ragazzi / e aikido SantĂŠ Onlus di Corso Vittorio Emanuele II emarginazione sociale

Foto di repertorio

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UNA REALTÀ DIFFICILE La conoscenza della realtà in cui collocare ogni iniziativa è molto importante perché i soggetti a cui ci si rivolge, qualsiasi età abbiano, sono persone con tutta la complessità della loro storia e dell’ambiente in cui vivono. Il tipo di disciplina, le modalità di approccio, i ritmi e gli obiettivi non sono qualcosa di indifferenziato che va bene per tutti. Capire le persone che si ha davanti, i loro problemi anche non dichiarati, è un passo fondamentale per raggiungere buoni risultati. Il “luogo” dove Torino ha calato “Ci sono anch’io” è caratterizzato da famiglie con reddito medio basso, da frequenti casi di cassa integrazione e di mobilità; numerose sono le etnie, le religioni e le culture diverse che vivono fianco a fianco senza un reale processo di integrazione avviato. Rispetto a giovani e giovanissimi, il quartiere non registra la presenza di organizzazioni giovanili di volontariato e di aggregazione: questo soprattutto, è stato il motivo che ci ha spinto ad avviare qui il progetto.

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LA NASCITA DEL GRUPPO Una serie di dimostrazioni gratuite della disciplina sportiva proposta (aikido) per realizzare il progetto, ha portato alla nascita di un primo piccolo gruppo di ragazzi ai quali se ne sono aggregati altri in breve tempo, raggiunti da un efficace passaparola e dalla diffusione di volantini. Formato da quattordici ragazzi e ragazze di età compresa tra i dieci e i quindici anni, il gruppo partiva da situazioni difficili: casi di bullismo, scarso rispetto dell’istituzione, carenze nell’ambito familiare, disagi legati al cambiamento della realtà in seguito ad una adozione. Per facilitare una frequenza costante, da subito si è scelto di svolgere l’attività in un luogo facilmente raggiungibile da tutti i partecipanti. SOSTENERE LA CRESCITA Pre-adolescenza e adolescenza sono un passaggio molto delicato verso l’età adulta, un passaggio reso più faticoso in presenza di situazioni o in contesti particolarmente difficili. È a partire da tale premessa che “Ci sono anch’io” ha proposto di mettere in gioco lo sport con tutti i suoi valori e il suo patrimonio educativo. Tenendo in conto gli obiettivi generali del progetto, abbiamo fatto in modo di sostenere il difficile percorso di questi ragazzi con l’insegnamento dell’Aikido, così come è stato trasmesso dal maestro Toshiro Suga: lavoro duro in ambiente sereno.


La scelta di questa disciplina orientale nasce dalla constatazione che l’Aikido è particolarmente indicato a sostenere la crescita della persona; quindi lavorando con i ragazzi si è puntato allo sviluppo e al miglioramento delle loro competenze personali psichiche e fisiche, all’aumento dell’autostima, all’attivazione delle capacità di rapportarsi con le regole e con la figura adulta di riferimento. E poiché nell’Aikido l’assenza della competizione stimola ad un approccio più costruttivo con l’altro, abbiamo mirato a far loro contenere e finalizzare razionalmente l’aggressività ed a rapportarsi e integrarsi con il gruppo dei pari. In sintesi, per dare ragione del rapporto tra disciplina scelta e caratteristiche del disagio espresso dal gruppo, si potrebbe citare una affermazione del fondatore dell’Aikido, Morihei Ueshiba; “L’Aikido è una disciplina per allenare il corpo e la mente, per formare persone oneste e sincere”. UN INSEGNAMENTO “COMPETENTE” Insegnare richiede esperienza e competenza. L’operatore che a Torino ha portato avanti il progetto, pratica l’Aikido dall’anno accademico 1996/97 e ha conseguito il grado di Shodan Aikikai e US Acli nel 2007/2008 mentre nell’anno successivo (2008/2009) ha ottenuto il titolo di allenatore di Aikido US Acli. Nel suo curriculum professionale appare la partecipazione a numerosi stage nazionali e internazionali, soprattutto quelli condotti dai maestri Nobuyoshi Tamura (VIII Dan Aikikai) e Toshiro Suga (VI Dan Aikikai). La sua esperienza con i giovanissimi gli deriva soprattutto dal fatto che tiene regolarmente corsi per bambini e ragazzi dai sei ai quindici anni. Una tipica lezione di Aikido nel corso del progetto, può essere così schematicamente riassunta: allenamento su cadute, forme di movimento in piedi e a terra, pratica a mani nude e con armi d’allenamento in legno, momenti di condivisione e di riflessione sulla pratica. Fatto importante: alle famiglie era permesso di assistere alle lezioni e al loro termine, di porre domande, tenendo aperto e alimentando un grande dialogo. UNA CONSIDERAZIONE FINALE Concluso il progetto, si può dire che i ragazzi partecipanti hanno raggiunto un buon livello tecnico, pari a quello di corsi della stessa durata. In particolare è stato possibile registrare che tutti hanno sviluppato maggiore autocontrollo e migliore rispetto delle persone adulte di riferimento. Il che, considerata la situazione di partenza, è senza dubbio un risultato di grande soddisfazione. Durante lo svolgimento di “Ci sono anch’io” non sono sorti problemi particolari se non quelli che insorgono sempre all’inizio di un nuovo corso ma non legati a difficoltà “ambientali”. Un suggerimento? Dare un seguito a ciò che si è tanto ben cominciato.

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In gioco con cuore, mente e corpo TRENTO Comitato provinciale Responsabile locale Operatori

Gruppo partecipante AttivitĂ Impianti

Tipo di disagio

US Acli TRENTO Walter Mosna Roberto Amort Debora Lazzeri Maria Torboli N.11 ragazzi (9 maschi, 2 femmine) judo, nuoto, sci, roller Palestra scuola elementare di Varone; Piscina scuola elementare Aldo Schnid; Centro sportivo Trilacum DisabilitĂ

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AFFRONTARE LE CRITICITÀ La scelta di attivare “Ci sono anch’io” è stata fatta per aiutare due società affiliate al Comitato di Trento a risolvere alcuni punti di criticità del loro lavoro svolto con ragazzi portatori di disabilità psico fisica e Down. Punti di criticità che un’attenta analisi delle due realtà, quella di Trento e quella di Riva del Garda, ha mostrato essere comuni. In primo luogo, la monotonia della pratica della stessa disciplina sportiva che comportava un calo di interesse rispetto all’entusiasmo iniziale. Di qui la necessità di ravvivare la voglia di sport facendo conoscere e praticare ai ragazzi nuove discipline utili per creare stimoli e sviluppare un generale miglioramento psico-motorio. Non meno importante il fatto che i ragazzi seguiti, avessero evidenziato un appiattimento relazionale (sempre le stesse facce, gli stessi discorsi, gli stessi luoghi e così via). Per questo era chiara l’esigenza di metterli in relazione con coetanei provenienti da un gruppo diverso per contribuire a creare nuove amicizie e interscambi esperienziali e relazionali. Un terzo elemento di criticità era costituito dalla scarsa partecipazione dei genitori e quindi dalla necessità di stimolare un loro maggiore coinvolgimento attraverso la creazione di condizioni funzionali sia ad avvicinarli all’attività sportiva praticata dai loro figli sia a mettersi in relazione con altri genitori con cui condividere e scambiare le proprie esperienze. Elemento non secondario poi, il bisogno di accrescere e rinforzare la motivazione degli operatori volontari, con particolare riferimento ai giovani che dimostravano sensibilità alle problematiche della disabilità psichica. DAI GRUPPI AL GRUPPO L’attivazione del progetto è stata sostenuta dal Comitato provinciale US Acli di Trento che ha voluto proporre a due società affiliate un ulteriore salto di qualità rispetto al già validissimo lavoro che stanno svolgendo da vari anni a favore di ragazzi diversamente abili. Da due gruppi se ne è formato uno solo: il gruppo seguito a Trento dalla società Arca di Noè con un percorso di nuoto integrato con attività svolte insieme a normodotati durante l’estate, in occasione di colonie estive; il gruppo seguito a Riva del Garda dalla società Judo Star Riva con attività di Judo Educazione, attraverso percorsi sportivi di integrazione con ragazzi normodotati. Dunque gruppo non autoreferenziale, formato da quattro ragazzi dagli 11 ai 12 anni e sette dai 13 ai 18. Sport agonistico escluso, la pratica (judo, nuoto, sci, roller) ha rilanciato una significativa parola d’ordine: “lo sport vissuto con cuore, mente e corpo”.


CREARE NUOVE OPPORTUNITÀ All’interno degli obiettivi generali del progetto e in considerazione del particolare tipo di disagio degli adolescenti coinvolti, si è voluto soprattutto contribuire a risolvere quelle criticità che, in questo contesto, l’analisi dell’esperienza aveva messo in luce. Nuove pratiche, incontro, coinvolgimento, formazione sono stati i punti salienti di un percorso finalizzato a potenziare la “restituzione” dell’attività sportiva agli adolescenti disabili, come strumento di crescita, di aggregazione, di socializzazione con il gruppo dei pari, di uscita dall’isolamento prodotto da una non facile condizione di vita. In sintesi, attraverso il progetto, si è mirato a creare occasioni per far conoscere e praticare ai ragazzi nuove specialità sportive; per creare opportunità di incontro tra i ragazzi dei due gruppi favorendo nuove amicizie e migliorando le loro capacità di approccio relazionale; creare nuove occasioni di coinvolgimento attivo e di confronto di esperienze per i genitori degli adolescenti partecipanti al progetto; avvicinare e formare nuovi giovani operatori aperti e disponibili ad affrontare il problema della disabilità psichica e motoria anche per dare continuità e futuro a questo importante percorso. UNO SVOLGIMENTO ARTICOLATO E ITINERANTE Il progetto è stato avviato con due giorni trascorsi in montagna (Lavarone TN) a cui hanno partecipato tutti gli “attori” di “Ci sono anch’io”: ragazzi, genitori, operatori, rappresentanti delle due società sportive e del Comitato provinciale. Una due giorni ricca di iniziative: un seminario per la presentazione del progetto, per la formazione degli operatori, per la conoscenza e lo scambio di esperienze tra genitori e tra operatori; momenti ludici con giochi sulla neve, serata musicale e fiaccolata con le racchette da neve; tempi di sport per l’approccio alle discipline dello sci di fondo, dello slittino e dello judo; spazi conviviali comunitari. Le attività sportive portate avanti per il periodo di tempo previsto dal progetto si sono poi svolte nelle sedi di Trento e di Riva del Garda seguendo un percorso e metodologie condivise. Questo itinerario si è articolato con la visita dei gruppi nelle varie sedi di attività e con lo scambio delle diverse pratiche, seguito da un momento conviviale quale occasione, specialmente per i genitori, di confronto e verifica del progetto e del lavoro svolto. Avviato in montagna, il progetto si è concluso con un festa finale presso un Centro sportivo dotato di pista di atletica leggera dove tutti i ragazzi si sono cimentati per la prima volta nella corsa, nei lanci, nei salti e tanto altro ancora. L’evento ha dato l’opportunità a genitori e operatori di tirare le somme e di fare un bilancio del progetto che da tutti è stato giudicato più che lusinghiero.

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CONTINUARE CON REGOLARITÀ Questo giudizio è stato accompagnato da una richiesta precisa: continuare con regolarità, tradurre la sperimentazione di “Ci sono anch’io” in una proposta sistematica visto che il progetto ha affrontato le criticità analizzate mostrando buone capacità di superarle. Alternarsi di discipline sportive, nuovi e diversi approcci relazionali dei ragazzi, entrata in gioco delle famiglie come attori non secondari, motivazione, sostegno, crescita di giovani operatori, sono stati risultati evidenti e riconosciuti. Nonostante alcune difficoltà registrate (fatica nel lavorare in sinergia con due gruppi di lavoro, numerose assenze alle attività, necessità di intensificare la ricerca di una vera e costante collaborazione con le famiglie), le proposte per il futuro sono numerose. In caso di rifinanziamento di “questo” progetto, avere a disposizione più risorse finanziarie anche per l’acquisto di materiale; semplificare la rendicontazione, avere una più efficace relazione con il coordinamento nazionale del progetto. Più in generale, come “stile” di intervento, far precedere il progetto con un periodo di formazione per giovani coadiuvatori, sostenere la costruzione di una rete tra gruppi operanti su progetti simili, attivare maggiormente le proposte di scambi relazionali e di competenze tra i diversi gruppi calendarizzando di comune accordo una serie di incontri.

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1 • CI SONO ANCH’IO • Costruire opportunità, superare il disagio, allenare alla cittadinanza attiva

CI SONO ANCH IO

Costruire opportunità, superare il disagio, allenare alla cittadinanza attiva

Via G.Marcora 18/20 • 00153 Roma Tel. 06.5840650 • Fax 06.5840564 progetti.usacli@acli.it www.usacli.org

QUANDO LO SPORT È SOCIALE

Quando lo sport e ‘sociale

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Quando lo sport e ‘sociale Progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi dell’art. 12, c. 3, lett.f, legge n. 383/2000 – Direttiva 2008 Le attività inerenti al progetto sono a titolo gratuito


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