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Caro Complottista, ti scrivo...
L’editoriale
Giacomo Longoni, 5bb
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Caro complottista, da quando questo virus maledetto è entrato prepotentemente nelle nostre vite, cambiandole, anzi, stravolgendole, molto spesso ho sentito parlare di te. Beninteso: non che prima non ti conoscessi! Tuttavia, ad essere sinceri, nel mondo “normale” di te parlavano raramente. Una, due, tre volte l’anno, forse. Sì, sapevamo della tua esistenza ma in fin dei conti nessuno ti dava un volto, nessuno associava a te una voce, degli occhi, un naso… per non parlare di un cervello! Potrei dire, credendo di interpretare un sentire comune, che fino al febbraio scorso eri il nostro Grinch. Lo conosci? È quella creatura pelosa, verde, tanto disgustosa quanto simpatica che odia il Natale. No, non vive a Desio o nella “velenosa Brianza”, vive sul Monte Briciolaio, in un mondo a noi parallelo ma forse meno lontano di quanto possa sembrare. Ebbene, come Grinch anche tu, così almeno credevo, vivevi in disparte; disprezzavi con tutto te stesso la città dei Chi, la comunità, l’entusiasmo, finto o autentico che fosse, di un evento caratterizzante per tutti. Usavi i mezzi più disparati per collegarti col mondo, servendoti non del fedele cane Max o di una slitta volante come nel caso del Grinch, ma della tecnologia, dei social, soprattutto Facebook, o, nel caso dei tuoi colleghi più tradizionalisti, del Codice Morse. Di te tutti parlavano con voce sommessa come quando si parla del povero zio scorbutico a cui la vita ha destinato molte sofferenze, insomma di qualcuno verso cui provare compassione, non astio se non odio. Poi è arrivato il Coronavirus e, come fosse la Vigilia di Natale della città dei Chi, anche tu come Grinch sei uscito dalla tana e hai intasato di commenti e di post le home di Facebook e Twitter di molti utenti; hai dato spazio alla fantasia e alla creatività che ti contraddistinguono per dare risposte a domande, dilemmi su cui la comunità scientifica ancora ci stava/ci sta sbattendo la testa. Ti chiederai con quale titolo io ti stia scrivendo o, molto più verosimilmente, perché mai lo stia facendo su un giornalino scolastico e non per esempio utilizzando una di quelle piattaforme digitali che tanto ami. Non lo so a dir la verità. Sono un po’ da compatire anch’io… Forse è questo che ci lega, che ci uni- sce: entrambi siamo da compatire. Io perché perdo tempo a scriverti e tu perché perdi tempo a scrivere stupidaggini. Tuttavia vorrei che tu leggessi cosa io ho da dirti, dopo questa lunga e noiosa premessa: ti conosco. So chi sei. So che faccia hai. E non fai paura. Come Cindy, la temeraria bambina che salì da Grinch per convincerlo a festeggiare la “Giubilanza”, anche io non riesco più a guardarti con disprezzo. Ecco tutto. Tanti ti additano come un pazzo furioso – molto normale non lo sei, in effetti – alcuni ti danno dell’analfabeta – come biasimarli? Eppure non sei un mostro, non hai fatto del male a nessuno e non vivi, né lavori nel fantomatico “Governo delle Tenebre” di contiana memoria. Non abiti in disparte, ma cammini nelle nostre strade, sei parte integrante – ahimè – della nostra comunità. Anzi, ne sei una parte importantissima. Voglio dirti anche, correndo il rischio di risultare pazzo io stesso, che ti capisco. E non è colpa tua. Il mondo non va a rotoli per una tua mancanza e neppure la nostra democrazia è minata, come qualcuno sostiene, da te e dai tuoi compari che, pur non avendo agli occhi dei più alcuna capacità cognitiva, esprimono un voto che pesa quanto quello di un docente universitario. No, non è neppure da imputare a te o ai tuoi “colleghi” la diffidenza verso ciò che viene dalla scienza, dall’informazione. Non per colpa tua assistiamo ad un declino della nostra civiltà, come molti fanno notare. Tu, caro mio complottista, sei il prodotto della confusione in cui ci è dato vivere. Un esempio? “Picco di contagi”, “Allarme lockdown”, “Dimezzati i nuovi positivi”. Ecco, questi sono alcuni dei titoli dei tg da quattro mesi a questa parte. Inutili. Basterebbe un numero, una percentuale: il rapporto tra casi positivi e tamponi effettuati. Punto. Allora perché non si fa? Perché si sparano numeri senza collocarli nel contesto in cui essi si trovano? Perché non specificare, ad esempio, con lo stesso rigore con cui il giornalista, la Pizia dei giorni nostri, dà il responso: “Balzo dei contagi” anche che si sono eseguiti il triplo dei tamponi del numero precedente? Perché non spiegare in modo chiaro, senza schierarsi, ma informando che cosa vuol dire “proroga dello stato di emergenza”? Perché un virologo può permettersi di catapultare nel terrore con una sola battuta milioni di lavoratori o, al contrario, di dare false speranze, per non dire altro, di essere vicini alla fine della “Covid Age”? Ma, soprattutto, perché tutto questo viene permesso in uno Stato come il nostro? Sino a che punto è tollerabile l’ignoranza? Fino a che punto è tollerabile la falsa, incompleta, scorretta informazione? Qual è il confine tra fare informazione e show televisivo? Non lo so. Vedi, tu non puoi essere attaccato, amico. Perché per attaccarti occorrerebbe non darti alcun alibi. E di “alibi” ce ne hai. Tuttavia bisogna avere anche il coraggio di dire che chi non mette la mascherina o la mette male non è un complottista o un negazionista, quasi giustificando il suo comportamento, ma un essere indefinibile che ha scelto di essere un mostro. Forse, ecco, ciascuno di noi è complottista a modo suo. E va compreso. Aiutato. Mai, mai odiato… Molti parlano allora dell’importanza dell’istruzione, come se tu non avessi avuto l’opportunità di studiare a tempo debito; permettimi allora di salutarti parafrasando uno dei docenti più famosi d’Italia, il prof. Martinelli di “Notte prima degli esami”: “Speranze di redenzione per questo Paese all’orizzonte!”. Forse, un auspicio e una speranza. Un caro saluto, Giacomo Longoni