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Storia della politica degli insulti
Cultura
Andrea Scuratti, 5cc
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“Sappiamo tutti che il qui presente Trump è un bugiardo e un clown!”, esclamò Biden durante lo scontro sul palco con Trump, il quale prontamente rispose: “Non hai un briciolo di intelligenza, ti sei diplomato come ultimo della classe!”: con questa dissacrante ironia i due candidati alle presidenziali si rivolgevano l’uno all’altro circa un mese fa. A noi sembrano gli screzi tra due ragazzini del tipo “Sei cattivo!” e l’altro di tutta risposta “E allora non ti invito al mio compleanno!”, il tutto accompagnato da una linguaccia, ma in realtà è sempre stato così: Seneca il giovane, famosissimo filosofo stoico e precettore dell’imperatore Nerone, scrisse nell’Apokolokyntosis (opera dal titolo illeggibile, ma molto divertente, che narra della “divinizzazione di uno zuccone”) della morte dell’imperatore Claudio, testardo e sciocco di prima categoria, e dei suoi ultimi istanti durante un bacchetto; queste le parole dell’imperatore: “Povero me, me la sono fatta sotto.” E poi Seneca continua con: “Se lo abbia fatto, non lo so: sicuramente ha scagazzato dappertutto”.
Seneca non solo rende assai comica la morte dell’ex imperatore, ma col verbo concacavit sottolinea la quantità di stronz... di stupidate (altrimenti non mi pubblicano l’articolo, capitemi) che ha fatto durante la sua carriera. Ma voi, attentissimi lettori di EtCetera potreste dirmi: “Ma Andrea, questa è satira, non era un suo diretto rivale, e in più Claudio era già morto.” e io ve ne potrei dare ragione; ecco che allora vi ripropongo un caro e vecchio amico, Cicerone, che nella Filippica XIII si riferisce in questi termini a Marco Antonio: “Che ti venga un colpo secco e tutte le malattie possibili e immaginabili, brutto bastardo!”; sicuramente non è uno con i peli sulla lingua il nostro avvocato.
Nella Pro Caelio, una delle sue orazioni più famose, invece, accusa Clodia, sorella del tribuno della plebe Clodio, di essere una “donna dai facili costumi”... dubito che pubblicheranno questo articolo... Celio era un aristocratico romano, accusato di tentato omicidio nei confronti di Clodia: la signorina, conosciuta in tutta Roma per la sua schiera di amanti, non avrebbe mai potuto immaginare la difesa di Cicerone per il suo assistito: “Supponiamo che una donna senza marito abbia spalancato la sua casa alle voglie di tutti, che si sia messa a condurre una vita da prostituta (lui non usa proprio questo termine, ma ci siamo capiti) [...] Proprio perché gli accusatori sostengono che da te (n.d.a. Clodia) viene l’accusa, [...] ammettiamo che una donna di questo genere esista - sicuramente che non ha per nulla a che fare con te (Cicerone e l’ironia, che canaglia) - una donna che vive e si comporta come una prostituta. Ora, se quella donna non sei tu, come io preferisco pensare, che hanno da rinfacciare a Celio? Se invece pretendono che quella donna sei tu, che abbiamo noi da temere da una simile accusa, quando tu per prima la spregi?” E se credete ancora, cari lettori, che Cicerone sia quello che tutti voi continuate a tradurre ogni giorno, vi porterò un’ultima prova della capacità che quest’uomo aveva di insultare: “E sarebbe possibile trovare, in tutta quanta l’Italia, un avvelenatore, un parricida, un falsificatore di testamenti, un bandito, un crapulone, un libertino, un adultero, una donnaccia, un corruttore di giovani, un depravato, un disperato che non ammetta di aver vissuto in stretta intimità con Catilina?”. Ed elencando tutta la gente che era a contatto con il nemico della repubblica romana, lui non fa altro che descriverlo, sotto ogni suo aspetto. C’era anche, però, chi non poteva insultare a destra e a manca, quando desiderava: Orazio, che vive durante il secondo triumvirato e il principato augusteo non poteva di certo insultare il regime vigente, a meno che non volesse morire, questo è chiaro. Ecco che egli allora all’interno delle sue Satire se la prendeva con personaggi politici fittizi o di poco conto, per evitare, in poche parole, di finire come un maiale al macello. Gli insulti nell’antica Roma viaggiavano più veloci del vento, tra politici, avvocati, poeti, letterati e senatori forse ancor più che tra il “popolino”: vi consiglio la lettura degli Epigrammi di Marziale o del Liber di Catullo, le sue non sono solo poesie d’amore, io sono rimasto sconvolto da certa cattiveria.
Ma quindi, in definitiva, cosa possiamo imparare da questo? Che l’insulto è connaturato in noi, ma dobbiamo stare attenti: insultare gratuitamente non serve a nulla. Ci siamo evoluti (più o meno... chi più chi meno) e dobbiamo imparare a rispettare l’altro, anche e soprattutto se ha un’opinione diversa dalla nostra. Gli Italiani in questo sanno sempre farsi distinguere, ecco, forse questo è uno dei segnali della nostra discendenza dai Romani (anche se poi dovremmo parlare di tutte le migrazioni, delle conquiste dei Longobardi, dell’arrivo dei barbari, di Carlo Magno... ma noi non ne parleremo).
Come ultima cosa: se qualcuno dice che la parola “gratis” è inglese, che gli venga un colpo e tutte le malattie possibili ed immaginabili!