4 minute read

Non sappiamo

8

NON SAPPIAMO

Advertisement

SAMUELE NAVA, 4C

Per scrivere questo testo mi sono ispirato al Valzer dei fiori dello Schiaccianoci di Tchaikovsky Io sono cantagallo, un menestrello! E sono qui per raccontarvi la storia com’è, o era… o che so io!

giovedì 20 ottobre non fu una giornata come un’altra; piovigginava, il cielo era grigino e per terra c’era qualche pozzanghera però il buon odore di erba bagnata impregnava l’aria. Detto così sembra una giornata qualunque ma quel giovedì recandomi in tensostruttura vidi il loro capo. Cioè- allora non sapevo che lo fosse però rimasi strabiliato alla sua vista e quindi corsi ad acchiapparlo ma, come ho detto, era tutto bagnato e scivolai per poi cadere in mezzo all’erba sporcandomi. riaprendo gli occhi vidi il piccolo folletto sul mio naso che mi fissava: <Embè?> disse <ordivi di rubarmi la mia libertà? Ben ti sta brutto maleducato!> <Un folletto!> <E cosa ti aspettavi, un nano?> rispuosemi indispettito. Poi Slezio, così si chiamava, schioccò le dita e mi aiutò a rialzarmi perché si sa che i folletti sono birichini ma gentili in fin dei conti. Si, un folletto di forse cinque cm mi aiutò ad alzarmi e quando mi tirai su mi ritrovai alla sua stessa altezza in mezzo all’erba… mi aveva fatto un dispetto!! Ma per dire del ben che ne nacque dirò dell’altro. Mi schioccò le dita in volto una seconda volta e come riaprì gli occhi era scomparso <folletto! dove sei?> silenzio verde. Mi si avvicinò una coccinella, era grande quanto un gattino appena nato: la accarezzai ma lei aprì le elitre e spaventato mi ritrassi e scattai via in mezzo all’erba altissima. Rapid-

amente fui sotto la siepe e così com’era scomparso riapparve il folletto: <Buon contrario della notte! Io sono Slezio III il cavalca tartarughe.> disse scuotendomi fortemente la mano <Riportami alla mia statura e fammi andar via, non dirò nulla a nessuno e nessuno mi crederà!> <Non non-dopo! sei il primo umano con cui ciarlo ed io son il primo folletto con cui tu ciarli. Non vuoi permanere qui un poco e rimirar il bello ch’io ti offro?> Non so come ma mi convinse e decisi di restare. Mi prese per mano e mi trascinò con lui nella luce soffusa del sotto siepe. Mi condusse ad un grande recinto e quando fui vicino vidi cosa conteneva: ragnetti, tanti, tantissimi piccoli ragnetti, erano centinaia ed io, aracnofobico, quasi vomitai; <li offendi così sai?> mi disse con tono serio al che mi sentì in colpa <Mi scuso però non faccio apposta. Mi fanno paura quando sono della mia statura figuriamoci ora.> <Ma sono così carini> disse mentre ne accarezzava uno <Dovresti guardarli con occhi diversi, vederli per la loro singolarità non come semplici ragni. Ma se proprio non ti delizian gli occhietti loro ci smuoveremo di qui per andar di là.> mi prese per il braccio e si mise a correre, uscimmo dalla siepe e ci spostammo verso al secondo albero dalle bandiere, vicino al cancello. Mentre ci muovevamo pensai a cosa stessi vivendo, dove mi trovavo, a chi avessi di fronte… ero incantato da quanto mi circondava, sarebbe potuto finire il mondo, non mi sarebbe importato granché. Arrivati al grande albero cacciò un urlo e si mise a battere forte le mani <Oiiee rendetemi l’entrata!!> <dove mi hai portato?> gli chiesi <dove io permanentemente soggiorno.> Mentre mi rispondeva scese dall’albero una piattaforma in legno che immaginai essere una sorta di ascensore (tipo quella alla barriera di ghiaccio in GoT). Saliti su questa cominciammo ad essere tirati su e ben presto ci ritrovammo ad una grande altezza. era uscito il sole e rischiarava tutto, la vista era splendida. Il giardino, il Majo, la tensostruttura; riuscivo ad abbracciare tutto con un solo sguardo. Ed era magnifico; ma mai quanto mi attendeva più su. Per arrivare in cima ci mettemmo circa venti minuti -eravamo tirati su con la forza delle braccia- ma quando ci fermammo mi trovai di fronte ad una meraviglia inimmaginabile: una città sull’albero, casette, ponticelli, girandole a soprattutto folletti, una miriade di folletti. Sonavan le piazze/stanze e le

vie d’intorno di musica soave. Nessuno di loro si mostrò schivo ad accalcarsi; fui inondato di domande sui miei vestiti, il colore dei miei capelli (loro li avevano come le foglie: verdi, gialli e rossicci/marroncini) etc… persi tempo a rispondere ad alcuni ma ad un tratto Slezio prese un gran respiro e gridò: <VIA TUTTI!!! Sono io il suo ospite!!> al che tutti indietreggiarono e mi guardarono con ammirazione ancora maggiore. Compresi che la mia guida doveva essere un pezzo grosso. In quel momento guardai l’orologio: erano le 13:50; me ne sarei dovuto andare in pochissimo. Lo dissi a Slezio nell’orecchio <ACCIDERBACCOLINA! Come potrò illustrarti le magnificenze del loco se andato sei? Ma via corriamo alla mia dimora; certo non possiamo prendere il “su e giù”. Seguimi> e lui si mosse ed io gli tenni dietro. Attraversammo tutto il paesello che non riesco a descrivervi perchè andavamo troppo veloci; la casa di Slezio era quella più grande e bella, decorata con intagli e resina. Giunti su un balconcino mi diede una foglia e mi disse di fidarmi: detto ciò mi butto giù. Mi misi a gridare ma subito lo vidi al mio fianco e allora compresi; imitandolo aprii la foglia e planammo dolcemente sull’erba. <bando agli ossequi; pronunceremo la parola addio più in là purchè tu mantenga la ricordanza di tali eventi.> e schioccando le dita mi ritrovai alla mia altezza naturale. Mi guardai in giro e dissi grazie sperando mi sentisse. Poi mi voltai e andai a cambiarmi.