S&H Magazine n. 288 • Febbraio 2021

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di DANIELA PIRAS

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nticamente noto come Monte Lèrron, il massiccio del Monte Lerno si trova nella subregione storica del Goceano. La cima più alta che dà il nome al massiccio si erge a 1094 metri; altre vette oltre i 900 metri da annoverare sono Punta Bale­ strieri, Punta Selvapinta e Colzu Cad­ dinnu. La superficie in cui si estende è di 2853 ettari e ricade nel territorio del Comune di Pattada, cittadina a circa 65 chilometri da Sassari famosa per l’arti­ gianato, la lunga tradizione legata ai metalli e al legno ma soprattutto per il caratteristico coltello a serramanico – sa resolza – realizzato con corna di muflone, bovine, caprine e ovine, ri­ cercatissimo dai collezionisti di tutto il mondo. Purtroppo, le indicazioni per arrivare a Monte Lerno non sono chiarissime, per cui è utile fare un piccolo sunto. La foresta è raggiungibile attraverso la strada provinciale 128 bis Ozieri­Pat­ tada e la statale 389 Pattada­Buddusò. Arrivati a Pattada si deve percorrere la

IL MASSICCIO DEL MONTE LERNO Un luogo incantato del Goceano nel Comune di Pattada

strada provinciale per Oschiri per una decina di chilometri e poi svoltare a destra; superato un ponticello di legno posto sul Rio Mannu, si giunge alla sede dell’Ente Foreste. Da qui la guar­ dia invita a proseguire percorrendo una serie di tornanti che pian piano permettono di addentrarsi in un pae­ saggio montuoso estremamente affa­ scinante. L’ecosistema è caratterizzato da numerosi boschi di leccio – il cui nucleo naturale si trova in località Sos Littos –, roverelle, agrifogli e querce da sughero, oltre che da un rigoglioso sottobosco nel quale si alternano citisi e ginepri. È presente poi la fitta bosca­ glia rappresentata dalla macchia medi­ terranea spontanea di erica arborea e corbezzolo. Osservando la foresta pare proprio che sia incastonata perfetta­ mente nella natura e, allo stesso tempo, sospesa in un’atmosfera da sogno. Considerata tale bellezza, viene da chiedersi come mai questo luogo

sia così poco battuto turisticamente, anche e soprattutto dai sardi. Quando si parla di monti in Sardegna si pensa immediatamente al Gennargentu, al Supramonte, al Corrasi e al Limbara ma a pochi verrebbe in mente di citare il Monte Lerno. Eppure è un luogo ideale per gli amanti della natura, per fotografi naturalisti, escursionisti o semplici ricercatori di relax. Nella storia recente la foresta è stata danneggiata da incendi che ne hanno deturpato l’aspetto, per cui si è corso ai ripari mettendo in atto interventi mirati di riforestazione. L’intera area è attualmente sotto la tutela del Dema­ nio forestale, che ha impiantato nelle zone di rimboschimento cospicue for­ mazioni di conifere e porta avanti un’importante opera di prevenzione antincendio. L’ente forestale ha fatto sì che nell’area venissero ospitate delle oasi di ripopolamento faunistico per mufloni e cervi sardi. I dati indicano che i mufloni sono circa 25­30, mentre i cervi censiti sono all’incirca 80. Tali specie rischiavano l’estinzione per cui si tratta di un’operazione molto impor­ tante per la loro tutela. Grazie a ciò, passeggiando lungo i viali della foresta, se si è abbastanza fortunati li si può scorgere tra il verde intenso degli al­ beri, allo stesso modo di cinghiali, lepri, asinelli e cavalli allo stato brado. ...CONTINUA SUL WEB

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S&H MAGAZINE Anno XXVI - N. 288 / Febbraio 2021 EDIZIONE CAGLIARI+SASSARI

Direttore Responsabile MARCO CAU Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE

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03 03 Il massiccio del Monte Lerno Un luogo incantato del Goceano

05 I gioielli di Sara Montisci La ragazza del fico d’India

06 Elisabetta Delogu La bridal designer porta all’altare la bellezza

08 Su Para e Sa Mongia La leggenda sarda di San Valentino

09 Progetto “Nascere a Sassari” Ansia da parto? Le ostetriche rispondono

12 10 Le origini dei Mamuthones Cosa si nasconde dietro la maschera?

12 La resolza pattadese Dalle mani di abili artigiani nasce il famoso coltello tipico della Sardegna

13 Tommy ASMR Lo youtuber dodicenne di Sassari che fa rilassare e dormire oltre 27mila persone

14 SMART STORIES

Hanno collaborato a questo numero: SIMONA COLOMBU, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, ANNALISA MURRU, DANIELA PIRAS, RAFFAELLA PIRAS, AURORA REDVILLE Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

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Stampa Tipografia Gallizzi S.r.l. - Sassari Social & Web

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in Copertina

ABITO DA SPOSA DI ELISABETTA DELOGU


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di FRANCA FALCHI

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onosciamo tutti il fico d’India per i suoi frutti da consumare freschi o trasformati in ac­ quavite ma non tutti sanno che questa pianta, un tempo usata per delimitare i confini, sia in realtà una delle specie aliene invasive, arrivata in Sardegna in seguito alla scoperta dell’America. Considerato come un prodotto di nicchia, in questi ultimi anni si è reso protagonista di numerose sperimen­ tazioni sia per la sua commercializ­ zazione che per l’utilizzo. Tra le varie ipotesi, una si distingue per originalità e innovazione: la crea­ zione di gioielli partendo dalla fibra essiccata delle sue pale. È la scom­ messa di Sara Montisci, classe 88, che dopo diversi anni di sperimen­ tazione nella lavorazione di questo materiale, ha creato nel 2013 il suo marchio esclusivo “La ragazza del fico d’India” per la commercializza­ zione dei suoi gioielli. Originaria di Sardara, ha intrapreso il suo percorso da artigiana all’età di 20 anni, non come frutto di studi tra banchi o laboratori ma grazie ai viaggi che sono, tutt’ora, il filo conduttore della sua esperienza. Al seguito di artigiani di strada tra Berlino, Canarie e Ibiza si è confrontata con tecniche e materiali differenti finendo per in­ namorarsi di questa fibra particola­ rissima a cui ha deciso di dedicarsi anche al suo rientro in Sardegna. La sua è una ricerca fatta a partire

dalla materia prima. Nelle vaste cam­ pagne del Medio Campidano, dove il fico d’India è particolarmente diffu­ so, seleziona e raccoglie i suoi “fogli”, gli scheletri delle pale essiccate al sole, scegliendo solo quelli che più la ispirano per le sue creazioni. La selezione è uno dei momenti che preferisce di questo lavoro, nel quale si lascia guidare e affascinare dalla bellezza della materia. La Natura è infatti la sua continua ispirazione ed è al tempo stesso il messaggio che vuole trasmettere attraverso i suoi gioielli. In queste piccole opere d’arte le ner­ vature creano disegni spettacolari, esaltati dai colori che lei sceglie come sfondo. La naturalezza è preservata al massimo, l’unica nota di colore è data solo dallo sfondo, quasi che dalle fibre possano scaturire profumi, atmosfere e energie della sua terra. Sono minuziose trame, intrecci che sembrano i tessuti ricamati dei nostri costumi tradizionali che Sara incapsula tra metallo e resina trasparente dando vita a ciondoli, collane e orecchini unici nel loro genere. Il suo processo creativo è una costante curiosità e voglia di esplorare sia nei materiali che nelle tecniche che nei luoghi. É un viaggio fatto da un al­ lontanarsi e ritornare seguendo il ri­ chiamo del sole e del mare. L’amore per la sua terra, la ricerca di sempre nuovi stimoli, la rendono anche un esempio per chi è in cerca di occu­ pazione. Il suo non arrendersi è si­ curamente di ispirazione.


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di HELEL FIORI

ELISABETTA DELOGU PORTA ALL’ALTARE

LA BELLEZZA

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on esiste una verità fuor di dub­ bio. L’unica verità a cui possiamo affidarci è quella delle nostre emozioni. Ben venga allora chi alimenta i nostri sogni e la nostra gioia, chi sta bene quando noi stiamo bene. E se è vero che ormai il matrimonio non è in cima alla lista dei desideri di noi giovani, è pur vero che mantiene ancora un certo appeal, soprattutto per la generazione femminile degli anni ’80 – ’90 flagellata dai film Disney. Donne emancipate e autosufficienti che sognano l’abito bianco con sottogonna ad effetto principessa/bomboniera/maritozzo con la panna che probabilmente andranno a cercarlo disperate e accompagnate da uno stuolo di parenti e damigelle. Se una delle suddette donne è nata sotto una buona stella avrà la fortuna di visitare lo showroom di Elisabetta Delogu PRIMA di venir inghiottita dal­ l’incubo del vatuttostorto.

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Verrà accolta in uno spazio quieto, pro­ fuso di grazia, camminerà sentendosi a casa, eppure scruterà curiosa ogni ele­ mento come un misterioso miracolo. Tessuti, pizzi, fiori, candele, specchi. Sie­ derà su una chaise‐longue e senza fretta capirà che tutto quello che aveva im­ maginato fino a quel momento non era il SUO sogno, non era la SUA realtà. La carta vincente della bridal designer è infatti quella di mettere a proprio agio la futura sposa riuscendo a compren­ derne la personalità e consigliandole il vestito perfetto. Il suo stile è inconfondibile, ogni elemento è un pezzo unico realizzato come un’ope­ ra d’arte: delicate trine fatte a mano, drappi di tulle anticati con tinte naturali, broccati, sete selvagge, vengono assem­ blati come collage su bustini dall’identità unica, autentica, non patinata. Gli abiti che nascono dalle sue mani – e dal cuore – sono espressione del suo gusto romantico, della sua crescita creativa (coltivata al liceo artistico di Cagliari e all’Accademia di Belle Arti di Sassari) ar­ ricchita dal susseguirsi di esperienze estremamente diverse: scultura, intaglio, restauro, pittura, arrivando finalmente allo sfogo della passione per tessuti e cucito e l’amore per la sperimentazione. Bellissime borse di canapa di Calcutta impreziosite da vetri levigati dal mare e dagli estrosi ricami floreali segnarono il cambio di marcia nell’attività di una Eli­ sabetta poco più che ventenne. “Il passato non dev’essere dimenticato, ma dev’essere fonte di ispirazione”. Molti artisti trovano spunto guardandosi in­ dietro, ma l’ulteriore merito di Elisabetta è il voltarsi soltanto per un attimo, re­ spirare la moda degli ultimi tre secoli rielaborando antiche tecniche e inca­ stonare il tutto in una sua personale vi­ sione ampia e contemporanea. Dando uno sguardo alle foto pubblicate sui social o sul sito elisabettadelogu.it (scatti tutti realizzati da lei: poteva essere altrimenti?) noteremo merletti dal ca­ rattere piratesco, verremo catapultati nella Belle Epoque dallo scintillare eburneo di una spalla scoperta, ci ritroveremo a fissare ammirati figure angeliche androgine come fossero gli emblemi di una salvifica rinascita post apocalittica, scenario di cui tutti da tempo sentiamo l’impalpabile spettro futuro. Con le sue creazioni, Eli­ sabetta Delogu ci mostra che il paradiso non è perduto: le nostre ali sono ancora in grado di farci volare, abbiamo solo qualche piuma bruciata qua e là.

Il senso ciclico di nascita­morte­rinascita è da ricercare in ogni esperienza della vita, dove la fine di una fase combacia con l’inizio di un’altra che via via si somma alle precedenti, facendoci gua­ dagnare spessore e completezza. Questa l’esperienza della stilista, che ha iniziato a cucire da autodidatta e che oggi gestisce ordini per il mercato mon­ diale dal suo Atelier al centro di Milano, collabora con le più importanti riviste del settore, vince il premio come Miglior Abito da Sposa all’Italian Wedding Awards 2020 (suo uno dei sei premi conquistati da sardi, per lo sposo pre­ miata la Sartoria Modolo di Orani). Ma come detto, il passato non si dimentica, le radici, non si dimenticano, ed è per questo che la stilista cagliaritana ha scelto di vivere nella sua terra, mante­ nendo aperto il laboratorio nella città che l’ha accolta dai tempi dell’Accademia, regalando ai sassaresi la visione giorna­ liera delle sue creazioni. Questo continuo trasformarsi, questo fronteggiare le difficoltà, questo sognare concretato dal pragmatismo, si ritrova nella sua nuova linea da cerimonia Cri­ salide, rivolta alle minimaliste cultrici del less is more, per cui la stilista ha deciso di mettersi creativamente in gioco: “Sperimentazione, confronto, pensare sempre di non fare abbastanza e impe­ gnarti sempre di più; non pensare di es­ sere la più brava: nel momento che pensi questo devi cambiare, devi guar­ dare a chi è più bravo di te.” L’eleganza non si esprime soltanto in modi delicati e portamento: l’eleganza è nell’animo, nelle azioni, nel come ci si muove nel mondo. Eleganza è far nascere un sorriso negli altri quando ricordano di averci incontrato. È riuscire a sor­ prendere, ispirare, far provare gratitudine. Questo si prova nell’incontro con Elisa­ betta Delogu. Gratitudine per quello che decide di donare di sé in ogni abito che confeziona e perché nel farlo ci con­ segna una parte del suo sogno, che va ad alimentare il nostro. Così nell’incontro dei reciproci sogni scopriremo un’artista ben radicata nel reale, una donna la cui passione permette di vincere paure e insicurezze, una mente aperta e ansiosa di imparare ancora. Un’anima rara, ca­ pace di confezionare opere d’arte che fanno da cornice alla più complessa opera d’arte conosciuta: l’essere umano.


Foto Nicola Castangia

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La leggenda sarda di San Valentino

di FRANCA FALCHI

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dizionale “valentino”. Anche la Sardegna può van­ tare un suo drammatico e struggente racconto d’amo­ re, da ricordare nel giorno degli innamorati, la cui tra­ ma si intreccia tra il sacro e il profano. Legata alla pre­ senza di due particolari menhir nell’istmo che colle­ ga l’isola di Sant’Antioco alla terra madre, la nostra storia narra di due innamo­ rati particolari, un frate e una suora, coinvolti da un sentimento così profondo da far loro rinunciare alla vocazione. La tradizione orale ha fatto arrivare sino a noi due ver­ sioni: nella prima i due inna­ morati, ricono­ scendo l’impossi­ bilità di corona­ INQUADRA IL CODICE mento del loro QR CON IL TUO sogno d’amore e SMARTPHONE PER temendo il giudi­ CONTINUARE A zio delle autorità LEGGERE L'ARTICOLO ecclesiastiche,

an Valentino, festa degli innamorati, sino­ nimo di fiori, cioccola­ tini, cene romantiche a lume di candela ma anche di sto­ rie d’amore fatte di sguardi, di teneri abbracci e passeg­ giate mano nella mano. Non sempre però le storie d’amore hanno un lieto fine, l’esempio maggiore è sicura­ mente quello di Giulietta e Romeo, simbolo di immen­ so amore finito tragicamen­ te. San Valentino stesso, martire a cui è dedicato il 14 febbraio, morì decapitato compiendo come ultimo atto l’invio di un biglietto alla sua amata, da cui il tra­

decisero di abbandonare le vesti talari e fuggirono dai loro conventi a Sant’Antioco nella speranza di avere una vita coniugale felice in altro luogo. La leggenda narra però che, giunti poco distan­ te dalla piccola isola, furono investiti dall’ira divina che li tramutò in pietra scopren­ doli nella loro fuga. La seconda versione invece narra di un giovane che, in cerca di asparagi nei campi dell’istmo, colse in flagrante i due innamorati travolti dal­ la passione dell’atto carnale e riconoscendo in essi i due ecclesiasti grazie ai loro abiti poco lontani, invocò l’inter­ vento divino. Poco dopo, il giovane vide i due corpi tra­ sformarsi in pietra proprio in quel punto. In entrambe le versioni della storia, il frate e la suora pietrificati, rima­ sero eretti nel terreno quale monito e avvertimento del possibile castigo per chiun­

que avesse commesso un si­ mile atto impuro. I due megaliti monolitici di Su Para e Sa Mongia (il frate e la suora), situati a poca di­ stanza dalla Strada Statale 126, sono dunque la testi­ monianza di questo tragico evento. L’areale, caratteriz­ zato dall’ingente presenza di stagni e saline di Santa Giu­ sta, di rilevanza comunitaria sia per la fauna che per la flora presente e importante punto di sosta per numerosi uccelli durante la migrazio­ ne, ha l’aspetto di una vasta pianura nella quale spiccano i due alti blocchi riconduci­ bili all’età preistorica. Nell’area, probabilmente sede di un villaggio databile alla cultura di Ozieri (tra il 3200 e il 2800 a.c.), i due blocchi in trachite sono ben visibili, anche in lontananza, grazie all’imponenza della loro mole. Su Para, con le facce rivolte verso sud­ovest e nord­ovest, è alto tre me­ tri, un diametro conico, con incavi e protuberanze che ri­ chiamano le fattezze ma­ schili. Sa Mongia è alto due metri e presenta una protu­ beranza e svariate coppelle tipiche della figura femmini­ le ma risulta rivolto verso sud­est e nord­est quasi che i due innamorati potessero guardarsi negli occhi ma non essere abbastanza vicini da toccarsi. Le sembianze e la posizione dei due blocchi hanno così fatto in modo che le due figure fossero elette a simbolo di un amo­ re eterno e indissolubile no­ nostante le avversità. ...CONTINUA SUL WEB


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Progetto “Nascere a Sassari”: Ansia da parto? Le ostetriche rispondono di HELEL FIORI

“Nel momento in cui nasce un bambino, nasce anche la madre. Lei non è mai esistita prima. Una madre è qualcosa di assolutamente nuovo.” (Osho)

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a vita non si ferma. Sconvolge, prende in contropiede. I bambini nascono, i genitori impazzano tra gioia e notti insonni. La vita non si ferma, e anche la paura di non farcela. E la paura è tosta, scava piano, all’interno dei pensieri. La vita non si ferma, e bisogna trovarsi dei compagni di viaggio, degli angeli cu­ stodi a guardarci le spalle. E così se c’è bisogno di aiuto nel delicato momento della nascita, conviene rivolgersi a chi ne ha viste tante, a chi non ha paura, perché combatta accanto a noi. Le ostetriche dell’AOU di Sassari ci re­ stano accanto e non accettano la distanza imposta dalla pandemia: con intrapren­ denza pubblicano una serie di video in­ formativi per prepararci alla maternità serenamente. Pillole di ostetricia rivolte alle donne e a chi le ama, per curare ogni aspetto di questo importante mo­ mento, come che tipo di alimentazione assumere e che ginnastica fare, ma anche argomenti tabù come il sesso in

gravidanza e il movimento durante il travaglio: tutti immaginiamo le parto­ rienti in posizione “sdraiata” (malgrado sia quella meno favorevole per donna e bambino) probabilmente ignorando che fu imposta dal Re Sole per testimoniare alla nascita del proprio erede. Fortuna­ tamente il Settecento è ormai lontano e molti ospedali stanno finalmente la­ sciando le donne libere di muoversi e ascoltare il proprio corpo. Un altro argomento tabù è la depressione post partum (baby blues), ancora oggi avvolto da una nube di pregiudizi ed in­ vece qui trattato con normalità e apertura. I brevi video mostrano professioniste competenti e innamorate del proprio lavoro, che si sono spartite gli argomenti in base alle proprie inclinazioni: cosa mettere in valigia, come gestire il dolore, come salvaguardare la salute del corpo, come allattare. Queste informazioni non solo preparano le donne alla maternità, ma permettono loro di familiarizzare con le ostetriche e ritrovarle con piacere in sala parto. Abbiamo raggiunto la “capitana” del pro­ getto Paola Lubinu, che dopo aver rice­ vuto proposta di collaborazione da “Fioc­ chi in ospedale” in partenariato con Save the Children e Uisp di Sassari, gli ha dato forma e si è occupata anche delle riprese: “La motivazione principale è stata la volontà di ascoltare la paura e il senso di smarrimento che molte donne in questo periodo storico hanno mostrato. Questa proposta mi ha spinto a coinvolgere la mia Azienda e le mie colleghe per dare una forma più completa, esaustiva e istituzio­ nale. L’Azienda Ospe­ daliera Universitaria è stata felice di accoglie­ re il progetto, che ab­ biamo sviluppato in to­ tale autonomia nei lo­ cali della Clinica Oste­ trico Ginecologica di Sassari.” I quattordici video sono disponibili sul canale ufficiale YouTube Aou Sassari Addetto Stam­ pa con il titolo Progetto Nascere a Sassari. Buo­ na visione!


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LE ORIGINI MISTERIOSE DEI MAMUTHONES. Cosa si nasconde dietro la maschera? di ALBA MARINI

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gni saltello è seguito dal suono metallico dei pesanti campa­ nacci, scossi con un colpo di spalla. Ogni atterraggio al suolo è ritmato, pesante, quasi animalesco. Così si muo­ vono i Mamuthones, le maschere più famose del Carnevale sardo. Il loro co­ stume è costituito da una maschera chiamata “visera” e da una veste di pelli chiamata “mastruca”. La visera è di legno nero e lucido e ha caratteri del viso molto marcati. La mastruca è fatta di

pelle di pecora nera e la schiena del Mamuthone è ricoperta da “sa carriga” (una serie di campanacci di varie di­ mensioni). Ma cosa si nasconde dietro queste Maschere? Ciò di cui vogliamo parlare non riguarda il “sotto le vesti”, quindi gli attori che si celano tra pelli e campanacci, ma ciò che i Mamuthones rappresentano ve­ ramente e il significato del rito che li vede protagonisti. I Mamuthones, infatti, si prestano a numerose interpretazioni, proprio per il loro aspetto particolare e il loro modo di muoversi in una sorta di

danza che non ha niente a che vedere con su ballu tundu, il ballo sardo più conosciuto. Partiamo dal loro luogo d’origine. I Ma­ muthones sono ­ insieme ai più colorati Issohadores ­ le maschere tipiche di Mamoiada, paese situato nella parte più interna della Barbagia di Ollolai. Il paesino di Mamoiada è diventato famoso proprio per il suo rito carnevalesco an­ cestrale e le sue maschere che ­ insieme ai Boes e Merdules di Ottana ­ sono si­ curamente le più famose dell’intero ter­ ritorio isolano. I Mamuthones, con il loro aspetto e le loro movenze, sembrano riportarci in­ dietro nel tempo, in un mondo in cui il carnevale era un rituale e l’uomo era ancora molto ancorato alla terra e agli animali. In verità, secondo gli storici, mancano le fonti che testimonino la presenza dei Mamuthones in tempi lon­ tani. Non ci sono infatti testimonianze scritte del rito, nemmeno del Wagner, etnologo tedesco considerato uno dei maggiori studiosi della lingua e cultura sarda. Secondo alcuni studi, le testimo­ nianze orali attesterebbero le sfilate dei Mamuthones almeno al XIX secolo. Per via di queste “attestazioni scritte man­ cate”, tuttavia, la maschera più famosa della Sardegna sembrerebbe non riuscire ad avere un’origine e un’età precisa. Persino il Touring Club ­ associazione ultracentenaria impegnata nella promo­ zione turistica ­ nel 1928 non fece alcun riferimento ai Mamuthones ma citò esclusivamente il “S’Antoni de su ‘ohu”. Non solo l’origine esatta dei Mamuthones è sconosciuta, ma anche il loro nome ha un significato misterioso. Secondo alcuni, la parola Mamuthone deriverebbe da Melaneimones, nome dato dai sardi agli antichi fenici e che avrebbe il significato di “facce nere”. Secondo altre interpre­ tazioni, la parola avrebbe origine dal termine Mommotti, l’“uomo nero” della tradizione sarda, utilizzato per spaventare


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potente che accompagnava i “manife­ stanti” in stato di ebbrezza). Maschere simili ai Mamuthones si trovano in diverse parti d’Europa. Un esempio di costume che assomiglia molto a quello della maschera mamoiadina è quello in­ dossato da alcuni Silvesterkläuse, ma­ schere tipiche del Canton Appenzello Esterno (Svizzera nord­orientale). Altro costume animalesco che ricorda (per via delle pelli indossate) il Mamuthones è quello del Kuker, figura della tradizione bulgara correlata agli antichi riti dionisiaci, ai quali spesso si fa risalire anche l’origine delle maschere di Mamoiada. I Mamuthones sono tra le maschere più particolari del panorama folklorico ita­ liano ed europeo. La maschera antro­ pomorfa, nera come la pece, con i tratti marcati, che copre il viso degli interpreti del rito, affascina e intimorisce allo stesso tempo. La tradizione non è una scienza esatta ma è un complesso di memorie trasmesse di generazione in generazione. Come spesso accade nelle cose che si tramandano, la “prima voce” può perdersi e allora non si riesce più a rintracciare le origini. Anche i Mamu­ thones non fanno eccezione e, come simboli della tradizione, non hanno bi­ sogno di essere costretti in nessuna in­ terpretazione particolare per mantenere il loro fascino, che finisce per accentuarsi, al contrario, proprio grazie al mistero che portano sulle loro pelli e maschere di legno.

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i bambini ancora oggi. Ma esistono sva­ riate interpretazioni a riguardo, una delle quali scorge nel nome della maschera dei riferimenti a Maimone, divinità che secondo alcuni studiosi corrisponderebbe al dio fenicio delle piogge. Il significato del rito dei Mamuthones ­ la cui prima “uscita pubblica” avviene il 17 gennaio di ogni anno in occasione del giorno dedicato a Sant’Antonio ­ è (così come il nome dato alla maschera) molto misterioso. Secondo un’opinione diffusa, tali maschere trarrebbero la loro origine dall’età nuragica e in particolare dai riti propiziatori. Considerando l’importanza della figura del toro in Sardegna, è inoltre molto popolare anche l’interpretazione che vede nei Mamuthones una sorta di omaggio al bue, simbolo della potenza del maschio e animale utile e prezioso per le civiltà di tutti i tempi. Più comunemente, il carnevale mamo­ iadino viene anche associato alla vittoria dei Sardi sui Saraceni, imprigionati e condotti in corteo. In questo caso, gli Is­ sohadores rappresenterebbero i sardi vincitori (più colorati, allegri e agili) men­ tre i Mamuthones rappresenterebbero i perdenti imprigionati. Altro legame ri­ scontrato dagli esperti di storia della Sardegna è quello con i culti dionisiaci, originari dell’antica Grecia e dal carattere tumultuoso. Le cerimonie dedicate a Dioniso, infatti, vedevano i seguaci dan­ zare coperti da pelli di animali, al ritmo del ditirambo (un canto corale cupo e


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ltre 135 anni di sto­ ria e una tradizione di famiglia che si tramanda da generazioni hanno portato alla diffu­ sione e al successo di uno dei coltelli artigianali tipici della Sardegna, la resolza di Pattada, un coltello a serra­ manico con la lama a forma di foglia. È Tore Fogarizzu, maestro artigiano appartenente alla quarta e ultima generazione di coltellinai della famiglia insieme al fratello Gianma­ rio, a portare avanti questa antica arte nella bottega di suo padre Boiteddu, coltelli­ naio pluripremiato a livello internazionale. La storia di questa tradi­ zione di famiglia comincia nel 1885, quando il bi­ snonno di Tore Fogarizzu, insieme ai suoi quattro fra­ telli cominciò a dedicarsi alle prime produzioni di col­ telli. Il padre, che era figlio unico, continuò l’attività in­ sieme al nonno e a uno dei fratelli. “Nel 1985 sono subentrato io, ­ racconta Tore Fogarizzu ­ dopo l’apprendistato ho la­ vorato da subito nella bot­ tega di famiglia, con mio padre e mio fratello, dedi­ candomi ai coltelli tradizio­ nali sardi e accompagnando

La resolza pattadese Dalle mani di abili artigiani nasce il famoso coltello tipico della Sardegna

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mio padre in varie mostre in giro per l’Europa. Mio padre parteci­ pava in partico­ lare alla rinomata mostra di Parigi col coltello tradi­ zionale sardo e

alla mostra di Milano dedi­ cata al coltello italiano, che lui ripropose in chiave mo­ derna”. Nonostante la tradizione, non mancano elementi di innovazione e genialità, pro­ prio per questo Tore Foga­

rizzu, oltre ai coltelli tradi­ zionali, comincia a dedicarsi ai coltelli più moderni: “Ho fatto la mia prima mostra a livello europeo a Monaco di Baviera, era il 1990 e avevo 19 anni. In quell’occasione ho potuto conoscere altri generi di coltelli più mo­ derni, soprattutto quelli americani. Nessuno in Italia li faceva, il mercato italiano allora era già molto ricco, non c’era ragione di guar­ dare oltreoceano, così ho iniziato a sperimentarli io e nel 2004 li ho proposti nella mia prima mostra a New York. Questi coltelli moderni sono molto ricchi, in genere con diamanti, destinati pre­ valentemente ad un mer­ cato di nicchia, di veri collezionisti. Non ho comun­ que smesso di dedicarmi al coltello tradizionale, rap­ presenta la nostra storia e forse resta sempre il più bello”. La lavorazione della resolza pattadese richiede molto tempo e precisione assoluta per raggiungere elevati stan­ dard di qualità: “Per realiz­ zare il coltello tradizionale sardo sono necessarie al­ meno 15 ore di lavoro, ­ af­ ferma il signor Tore ­ mentre per i coltelli da collezione il tempo è incalcolabile, pos­ sono volerci tre settimane o un mese, dipende dalla lavo­ razione, si lavora al microsco­ pio per la cura dei dettagli e sono produzioni molto per­ sonali. Di coltelli da colle­ zione riusciamo a realizzarne non più di dieci all’anno, mentre di quelli tradizionali anche un centinaio”. ...CONTINUA SUL WEB

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TOMMY ASMR

LO YOUTUBER DODICENNE DI SASSARI CHE FA RILASSARE E DORMIRE OLTRE 27MILA PERSONE di ANNALISA MURRU Vi è mai capitato di imbattervi in uno di quei video in cui il protagonista pro­ duce suoni e stimoli visivi al fine di ri­ lassare lo spettatore? Se la risposta è sì, i casi sono due: o l’avete chiuso immediatamente in se­ guito a un forte fastidio, o ve ne siete innamorati. Già, perché l’ASMR spacca la critica, o lo ami o lo odi. A essersene innamorato è Tommaso Casu, in arte “Tommy Asmr”, dodi­ cenne di Sassari che ha scoperto que­ sta tecnica due anni fa grazie al passaparola di una compagna di scuola, e che da un anno la porta attra­ verso i suoi video a una community su YouTube che conta circa 27 mila iscritti. Quando lo “incontro” in videochia­ mata lo trovo sorridente ed emozio­ nato, e mi colpisce subito il trasporto

con cui parla di questa sua passione, divertente ma anche piuttosto impe­ gnativa, considerando che la scuola ha la priorità e i ritmi di un creatore di contenuti di questo tipo sono legati alla disponibilità di silenzio. Infatti, mi spiega che il primo pomeriggio e la notte sono i momenti migliori per regi­ strare i video, perché nessun rumore esterno ed estraneo ai suoni da lui ri­ prodotti può essere captato dal mi­ crofono. I suoni di cui stiamo parlando rien­ trano nella definizione gergale di “trig­ ger”, che in questo ambito indica uno stimolo sensoriale di tipo uditivo e/o visivo, capace di generare una sensa­ zione di rilassamento, a volte accom­ pagnata da brividi lungo il corpo detti “tingles”. Questa risposta fisica e mentale, che può essere scatenata da trigger diffe­ renti a seconda della persona, è stata battezzata da Jennifer Allen come

“Autonomous Sensory Meridian Re­ sponse”, da qui la sigla ASMR. Il sussurro (whispering), il picchiettio delle unghie sugli oggetti (tapping), il movimento lento delle mani (hand movements) e i giochi di ruolo in cui lo spettatore viene coinvolto in una scena (roleplay), sono solo una piccola porzione di questa realtà che è entrata a far parte della vita quotidiana di mi­ gliaia di persone, soprattutto per far fronte ai periodi di stress e alle notti insonni. ...CONTINUA SUL WEB INQUADRA IL CODICE QR CON IL TUO SMARTPHONE PER CONTINUARE A LEGGERE L'ARTICOLO

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