S&H Magazine n. 294 • Settembre 2021

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HAIR & BEAUTY



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di NICOLÒ CORBINZOLU

miglior prestazione italiana di sempre). Il calcio resta co­ n un secondo accadono munque la mia più grande cose straordinarie: la Ter­ passione. ra percorre 30 km intorno A Tokyo, all’arrivo nella finale al Sole, nello Spazio si formano della staffetta Tortu si mette 4800 nuove stelle e un’ape le mani tra i capelli perché batte le ali 270 volte. non crede e forse non capisce Basta una frazione di questo di aver vinto. E tu sei il primo secondo, un solo preziosissimo che corre ad abbracciarlo, centesimo, a fare la differenza perché tu invece l’avevi ca­ tra una medaglia d’oro e un pito, no? Cosa gli hai detto argento nella finale olimpica in quel momento? della staffetta 4x100 maschile. Sì, Tortu non l’aveva capito Lo sa bene Lorenzo Patta (Gs ma io ho visto dal maxischer­ Fiamme Gialle della Guardia mo che aveva messo la testa di Finanza), primo sprinter dei davanti agli altri. Non ricordo fantastici 4 azzurri. Vent’anni, cosa gli ho detto, ma quando oristanese orgoglioso, sobrio l’ho visto arrivare sul traguardo e schietto nella vita come in continuavo a ripetermi «No, pista. Passato dal correre die­ no, non è possibile!». Con lui tro il pallone alle piste d’atle­ ho il legame più stretto perché tica, grazie al maestro a cui lo conosco da più tempo. Però ho un bellissimo rapporto an­ deve la medaglia. che con Marcel e Fausto, e Hai un passato da promessa inevitabilmente dopo questa del calcio, ma come e quando medaglia è come se fossimo ti sei avvicinato all’atletica? diventati tutti fratelli. Ho cominciato a fare atletica con i Giochi Sportivi Studen­ La notte prima di una finale teschi al liceo, dove mi ha olimpica immagino sia un po’ notato il mio attuale allena­ come la notte prima degli esa­ tore. Da calciatore ero un po’ mi, tu come l’hai passata? scettico perché non avevo in­ Ho dormito tranquillo perché tenzione di cambiare, giocavo la gara sarebbe stata la sera ne “La Palma Monteurpinu”, dopo, non ho avvertito troppa e inizialmente mi sono diviso pressione. Non ho dormito tra i due sport per poi dedi­ invece la notte prima della per la tensione della carmi solo all’atletica quando batteria, gara d’esordio, avevo un po’ sono arrivati i primi successi, d’ansia, però il giorno dopo come il titolo italiano nei 200 andando in pista è sparito metri. All’inizio l’ho presa tutto. come un gioco, l’olimpiade ...CONTINUA SUL WEB era un sogno a cui non pensavo mi­ nimamente e che INQUADRA IL CODICE è iniziato a diven­ QR CON IL TUO tare realtà dopo Savona (dove il 13 SMARTPHONE PER maggio 2021 ha CONTINUARE A corso i 100 metri LEGGERE L'ARTICOLO in 10”13, settima

Foto Colombo | FIDAL

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Il ragazzo d’oro dell’atletica sarda, si racconta: «Sono un ragazzo casa e campo»


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S&H MAGAZINE Anno XXVI - N. 294 / SET 2021 EDIZIONE CAGLIARI+SASSARI

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Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE

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Hanno collaborato a questo numero: NICOLÒ CORBINZOLU, HELEL FIORI, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, ERICA LUCIA NOLI, DANIELA PIRAS, RAFFAELLA PIRAS

10 03 Lorenzo Patta

Il ragazzo d’oro dell’atletica sarda, si racconta: «Sono un ragazzo casa e campo»

05 Animali da salvare

La foca monaca del Mediterraneo

06 Auto d’epoca, che passione

Giovanni Tamponi racconta i segreti del suo prezioso garage

07 Ecomuseo della Vernaccia Storia di un vitigno e di un vino

08 Cristina Pisanu

La diversità è bellezza

Direttore Responsabile MARCO CAU

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Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

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09 Rebeccu

La maledizione di Donoria

10 In fondo al mar

Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54

Come una sirena grazie alla disciplina sportiva del mermaiding

Stampa Tipografia Gallizzi S.r.l. - Sassari

12 Itinerari

A spasso per le miniere con il Cammino di Santa Barbara Social & Web

13 Corallo rosso del Mediterraneo

@sehmagazine

Alghero celebra il simbolo della città

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14 SMART STORIES

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$ www.shmag.it telegram.me/sehmagazine issuu.com/esseacca Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2021. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.

in Copertina IN FONDO AL MAR

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LA FOCA MONACA DEL MEDITERRANEO:

La speranza del ritorno in Sardegna del docile mammifero da salvare dall’estinzione di RAFFAELLA PIRAS

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impatici e timidi mammiferi nuotatori, con un musetto ton­ do e dei lunghi baffi che, nel­ l’immaginario collettivo, vivono da sempre nelle rocce vicino ai mari più freddi, dove si tuffano per cacciare i pesci di cui si cibano. Si tratta delle foche. Oltre alla classica foca grigia che so­ litamente abita le coste del Nord Atlantico, esiste, tuttavia, una specie più rara che popola proprio le coste del Mar Mediterraneo e che oggi, secondo le stime del WWF, è pur­ troppo una delle cento specie di mammiferi maggiormente a rischio di estinzione: la foca monaca. La foca monaca mediterranea è un docile mammifero pinnipede della famiglia delle foche, così chiamata per il colore scuro della sua pelliccia. Presenta dimensioni molto grandi, può arrivare fino a tre metri di lun­ ghezza e 350 kg di peso. Un tempo la foca monaca si trovava in tutto il Mediterraneo, ma anche nel Mar Nero, nelle coste atlantiche di Spagna e Portogallo, in Marocco, Mauritania, Madera, Isole Canarie e nella costa sud della Francia. Fino agli anni Settanta era di casa anche in Sardegna, principalmente nel Golfo di Orosei, dalle Grotte del Bue Marino, alle spiagge di Cala Luna, Cala Mariolu, fino alla Grotta del Fico a Baunei. La presenza in Sardegna di uno degli animali più ricercati al mon­ do attirò l’attenzione di gruppi di spe­ leologi, visto il tempo che le foche

monache trascorrevano all’interno delle grotte e, nel 1970, dell’Univer­ sities Federation for Animal Welfare di Londra, il cui direttore scientifico, Walter Scott, fu accompagnato in giro per l’Isola da Padre Antonio Fur­ reddu, fondatore del “Gruppo Spe­ leologico Pio XI” e studioso della foca monaca mediterranea dagli anni Cin­ quanta. Dagli studi emerse che in Sardegna negli anni Settanta restavano ormai solo una decina di esemplari sparsi e altri sette nella Grotta del Fico, considerata l’ultimo rifugio della foca monaca nell’Isola. L’avvento del turismo di massa, con il passaggio di centinaia di barche lungo questo tratto di costa, la concorrenza con i pescatori per la pesca nella zona, es­ sendo queste foche in grado di rom­ pere le reti e rubare tutto il pescato, e l’inquinamento del Mediterraneo, determinato soprattutto dalla plastica, hanno portato all’estinzione dell’ani­ male in Sardegna. Attualmente ne sopravvivono in na­ tura meno di 500 esemplari. Alla fine del Novecento la foca monaca veniva considerata estinta in Italia, però negli ultimi anni ci sono state segnalazioni di suoi avvistamenti in Basilicata, in Sicilia e nel Tirreno centrale, soprattutto in alcune isole dell’arcipelago toscano. Costante è il monitoraggio da parte del WWF, impegnato da decenni nella lotta alla sua conservazione. La speranza, dun­ que, è che la foca monaca, al più presto, torni a ripopolare anche i mari sardi, soprattutto il Golfo di Orosei, luogo tanto amato da questo animale.


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Auto d’epoca, che passione! Giovanni Tamponi racconta i segreti del suo prezioso garage di RAFFAELLA PIRAS

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n patrimonio storico e culturale di grandissimo valore, attorno a cui ruotano centinaia di appas­ sionati che vi dedicano tempo ed energie affinché non venga disperso ma tra­ smesso alle giovani generazioni. È il mo­ torismo d’epoca. In Sardegna ci sono tantissime auto e ci­ clomotori di interesse storico. In parti­ colare, questa passione è molto radicata ad Olbia e in tutta la Gallura dove si contano centinaia di modelli tra auto e moto, per lo più chiusi in garage privati. INQUADRA IL CODICE QR CON IL TUO SMARTPHONE PER CONTINUARE A LEGGERE L'ARTICOLO

Tra questi suscita una grande curiosità quello di Giovanni Tamponi, olbiese di 86 anni, nella vita ex professore ed ex consigliere regionale che, nel tempo libero, si è sempre dedicato alla sua pas­ sione più grande, quella per le auto d’epoca e il loro restauro. “La mia passione per le auto d’epoca è cominciata negli anni ‘60, forse anche prima ­ racconta Tamponi ­. Fin da quan­ do ero ragazzino, 12 o 13 anni, cercavo di imparare a guidare con le auto d’epoca che avevamo in famiglia, è così che mi sono appassionato alla cura di queste macchine e ho poi continuato cercando pezzi di una certa rarità, e sto conti­ nuando ancora adesso. Ho imparato da solo a restaurare, almeno fin dove sono riuscito ad arrivare, se non trovavo i pezzi nel mercato dell’antiquariato li ricostruivo con tanta pazienza, non solo parti meccaniche ma anche molte parti della carrozzeria, naturalmente sempre

cercando di fare ricostruzioni fedeli al­ l’originale”. Raccogliendo pezzi e lavorando con im­ pegno, Giovanni Tamponi è riuscito a restaurare completamente tre macchine d’epoca, mentre altre due sono ancora in fase di sistemazione: “La prima auto che ho restaurato è una Fiat 509 del 1927, che ha una carrozzeria simile a quella della Lancia Lambda, molto graziosa, con cilindrata 1000 e targata SS 2. Il valore di questa macchina è proprio la targa, in base al numero di registrazione questa è stata la seconda macchina in­ serita nel libro provinciale di Sassari. Poi ho restaurato una Fiat 510 del 1922, di cui ho dovuto ricostruire parecchie parti, e infine una Fiat 501 del 1925. Ho anche altri rottami a casa e, se avrò il tempo, cercherò di restaurare anche quelli”. Prima della pandemia il lavoro di Tam­ poni e di altri appassionati veniva mo­ strato al grande pubblico in occasione dei tanti raduni e manifestazioni che venivano organizzati di frequente: “Si tratta di manifestazioni che consentono, a tutti coloro che sono interessati, di conoscere come era una macchina nei tempi andati. È stato fatto così un lavoro prezioso per la storia dell’auto e per la storia della nostra civiltà. Io utilizzavo le mie macchine anche in marcia, in delle manifestazioni a cui partecipavano anche macchine magari non così antiche ma comunque interessanti. Sono andato anche a Cagliari e addirittura a Torino con la Fiat 509 del 1927”. ...CONTINUA SUL WEB


Adobe Stock | Antonio Truzzi

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Ecomuseo della Vernaccia Storia di un vitigno e di un vino di ALBA MARINI

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un viaggio iniziato più di 3000 anni fa quello della viticoltura e della vinificazione in Sardegna. A testimoniare tali antiche e nobili origini (che affondano le loro radici nell’epoca nuragica), sono stati i ritrovamenti di resti di vinaccioli in alcuni siti archeologici, come Sa Osa a Cabras e Duos Nuraghes a Borore. Grazie alle analisi condotte sui semi dell’uva, oggi gli studiosi considerano ­ praticamente all’unanimità ­ la vernaccia come un vitigno autoctono. Ed è proprio di vernaccia che vogliamo parlare. Si tratta di un vitigno a bacca bianca, il cui vino ­ dal colore giallo ambra ­ racchiude i sapori e i profumi dei fiori di mandorlo. A produrre la Vernaccia sono sette aziende (tutte nel territorio di Oristano), per un totale di 300 ettari coltivati. Non solo è uno dei vitigni più antichi dell’isola, ma la nostra vernaccia è anche la prima DOC sarda (datata 1971) che, proprio quest’anno, ha compiuto 50 anni. Il percorso di riconoscimento e affermazione di questo vitigno e del vino derivato, però, non è stato affatto privo di difficoltà. Sul finire del 1800, tutte le viti d’Europa furono colpite da una dura crisi, originata da un parassita: la fillossera. Tale crisi si risolse sul finire del secolo. Anche la vernaccia di Oristano non fu immune a questo problema e si riprese pian piano, ma, dopo un aumento della produzione nel secondo dopoguerra e la conquista della DOC, negli anni ‘90 iniziarono periodi bui. Il vitigno e il relativo vino caddero nel dimenticatoio, un po’ a

causa del disinteresse dei consumatori (attratti dalla maggiore disponibilità di prodotti diversi sul mercato) e un po’ a causa degli elevati costi di produzione. Ora, la vernaccia di Oristano è tornata sul piede di guerra, anche grazie alle iniziative di rilancio dell’Ecomuseo. L’Ecomuseo della Vernaccia è un’associazione culturale nata tre anni fa dall’impegno di Davide Orro, a capo della cantina Orro di Tramatza. L’obiettivo del progetto è quello di ri­ valorizzare un prodotto che affonda le sue radici nella storia sarda, ma che fatica a imporsi sul mercato. Tour di scolari e turisti, visite alle cantine e alle vigne, esposizioni di oggetti e reperti che raccontano la storia dell’isola attraverso un’uva (e un vino): tutto questo parte da un luogo d’eccezione, Casa Enna, sede dell’Ecomuseo a Tramatza. La vernaccia è apprezzata dagli enologi per le sue proprietà organolettiche, il suo sapore sottile e caldo e l’inconfondibile retrogusto di mandorle amare. Grazie ai progetti portati avanti dall’Ecomuseo, questo vino e il suo vitigno ­ che sanno così tanto di Sardegna ­ stanno ottenendo l’attenzione che si meritano. Il metodo di maturazione, che viene attuata in botti scolme per favorire la formazione del lievito flor in superficie, è solo una delle particolarità di questo prodotto straordinario. Per scoprire le altre non resta che lasciarsi portare a spasso dalle iniziative dell’Ecomuseo. Ecomuseo c/o Casa Enna, via Jenne ­ Tramatza (OR). Tel. 347.7526617.


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di HELEL FIORI

“È il momento giusto per costruirvi il vostro regno così come lo vuole la vostra anima, compiere il vostro destino, realizzare tutte le potenzialità che vi sono state date, metterle a frutto per voi e per gli altri. La vita è un meraviglioso e stravagante viaggio, che presuppone partenze entusiastiche, circostanze impreviste, ostacoli insormontabili con un epilogo di rinunce e ritorni. Cristina è ritornata, e questo è il racconto del suo viaggio, del nostro viaggio.”

Cristina Pisanu bellezza La diversità è

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uesto breve estratto della psico­ biografia di Cristina Pisanu “La mia unica vita, la mia vita unica” (ed. Scatole Parlanti) porta con sé il si­ gnificato dell’intero libro, in cui il lettore è portato a ri­ flettere sulle prove che ci accomunano come esseri umani, e sull’unico modo per uscirne vincenti: ricor­ dare di che pasta siamo fatti anche quando costretti a una nuova forma di noi stessi e della nostra vita. Il libro infatti racconta due differenti momenti della stessa donna: Cristina Pi­ sanu, aperta, forte, profes­ sionista in carriera, circondata dall’amore della famiglia, prima del 2018 era

una ordinaria hair stylist di Thiesi, concentrata appunto sui suoi affetti e il suo la­ voro. A causa di una grave setticemia che la lascia in fin di vita, Cristina è però co­ stretta a tirare fuori la sua natura straordinaria che in­ vece ha sempre serbato dentro di sé e che l’ha resa così popolare e amata. L’in­ fezione le toglie entrambe le mani e le gambe la­ INQUADRA IL CODICE sciandola in un QR CON IL TUO limbo, ma non SMARTPHONE PER riesce a intaccare CONTINUARE A la sua indole di LEGGERE L'ARTICOLO guerriera. Leg­

giamo ancora nel libro: “Il percorso è veramente fati­ coso, inizia molto lento. I ri­ sultati, dicono, si vedranno dopo un anno circa. Ma ho un carattere tosto, non ho più paura di nulla, perciò mi dico che affronterò con te­ nacia e determinazione quanto mi attende. La par­ tenza non è stata semplice. L’organizzazione ha dovuto coinvolgere più amici e pa­ renti, un grande spirito di gruppo che ha permesso il dispiegarsi delle vele e il sal­ pare della nave carica di speranza. La maggior parte di loro lamenta dolori ricor­

renti, manifestando tristezza costante e un atteggiamento depresso. Io invece non vedo l’ora di mettermi in gioco, di riprendere la mia autonomia. Qui dentro mi sento un leone, trasmetto il mio coraggio e la mia carica a chiunque.” Ordinabile cartaceo on line il libro raggiunge sempre più persone, che grazie alla in­ termediazione della psico­ loga cagliaritana Valeria Sassu riescono a sentire vi­ vide le emozioni di Cristina Pisanu. L’incontro tra le due donne è stato quindi il giu­ sto click per la stesura del libro (a cura della dotto­ ressa) e ha permesso a en­ trambe di scoprire ed esprimere un’altra versione di sé stesse. Ciao Cristina, come comin­ cia la tua storia? La mia storia inizia in quel maledetto giorno di novem­ bre, quando iniziai ad accu­ sare fortissimi dolori al fianco destro. Imperterrita continuai a lavorare e a prendere antidolorifici, fino a quando fui costretta a ri­ correre al pronto soccorso. Da lì iniziò il mio calvario: ar­ resto cardiaco, rianimazione e coma. Entrai in setticemia, la mia vita era appesa a un filo… dopo quindici giorni di coma sono partita per l’Ospedale Marino a Cagliari dove ho subito l’amputa­ zione di mani e gambe. ...CONTINUA SUL WEB

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Foto Daniela Piras

REBECCU

IL PAESE FANTASMA A POCHI CHILOMETRI DA BONORVA di DANIELA PIRAS

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o scrittore Vittorio Angius lo de­ finì, nella prima metà dell’Otto­ cento, “poco più che un pugno di case”: Rebeccu, piccola frazione del comune di Bonorva, oggi ha il fascino dei luoghi desolati, nel quale si respira un’atmosfera malinconica. In epoca giudicale, la cittadina dominava tutto il Meilogu. Con i suoi 400 abitanti era la più popolata di “Costa de Addes”, il distretto del giudicato di Torres. Alla decadenza di Rebeccu – avvenuta a causa di fattori umani e naturali quali pestilenze, carestie, malaria, frane, a partire dal 1400 – è legata un’inquie­ tante leggenda. Si narra infatti che la terza figlia del feudatario, Re Beccu, chiamata Donoria, fosse una fanciulla bella ma malvagia. A costarle questo epiteto fu il fatto che non volesse adat­ tarsi alle convenzioni del tempo, le quali prevedevano che le giovani donne si occupassero di cucire e rica­ mare nell’attesa mansueta di venire accasate. Donoria era diversa: amava andare in giro per i boschi, dormire sotto gli alberi – a pochi passi dalla fonte nuragica di “Su Lumarzu” – e in­ trattenere rapporti con le Janas (così si pensava). I popolani avevano timore di lei, e cominciarono ad accusarla di es­ sere una strega. Le voci sulla pericolo­ sità dei suoi ipotetici malefici le valsero la condanna all’esilio da parte del padre. La principessa, prima di partire, sentendosi tradita e beffata, diede voce a tutto il suo risentimento pro­ nunciando una maledizione: “Rebeccu,

Rebecchei da is trinta domos non movei”, (“Rebeccu, Rebecchesi, dalle trenta case non vi muovete”). Forse fu a causa del dolore di dover abbandonare quei luoghi a lei tanto cari, unito alla bruciante ingiustizia per una colpa inesistente. O forse Donoria era davvero una strega, chissà. Ciò che accadde, da quel momento in poi, fu un susseguirsi di piaghe: l’arrivo della malaria, l’impossibilità delle donne di avere figli, le frequenti epidemie. Le case, pian piano, crollarono. La male­ dizione si scagliò sul piccolo borgo. Al­ cuni, per scampare a morte certa, decisero di abbandonare il villaggio maledetto per cercare rifugio in un luogo più sicuro. I fuggitivi si raduna­ rono intorno alla chiesa di Santa Vitto­ ria, ponendo le basi dell’attuale Bonorva. Fu grazie all’audacia di alcuni che il villaggio risorse, ma nessuno ebbe il coraggio di costruire la trentu­ nesima casa. Il sortilegio della princi­ pessa pesava come un macigno, e i temerari abitanti non osarono spin­ gersi oltre. La sorte di Rebeccu sem­ brava segnata. Gli abitanti dimezzarono, da 400 che erano, e di­ minuirono ancora progressivamente, fino a contare, negli anni Cinquanta del secolo scorso, sei anime. Nel 2011 si registrava un solo abitante. Oggi, nessuno vi vive stabilmente. Rebeccu, negli ultimi anni, è stata pro­ tagonista del “Rebeccu Film Festival” e si è riscoperta meta ideale per comu­ nità spirituali dedite allo Yoga e alla meditazione.


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COME UNA SIRENA GRAZIE ALLA DISCIPLINA SPORTIVA DEL MERMAIDING di RAFFAELLA PIRAS

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igure bellissime, con delle sem­ bianze per metà da essere umano e per metà da pesce, al confine tra sogno e realtà. Sono le Sirene, creature acquatiche che nei se­ coli sono state protagoniste di leg­ gende, racconti della mitologia greca, dell’Odissea di Omero e, nei tempi mo­ derni, di film e cartoni animati, come “La Sirenetta” Disney che sta ancora catturando l’attenzione di grandi e pic­ cini. Quanti, leggendo o guardando queste avventure, si saranno chiesti cosa si provi ad essere, anche solo per un istante, una sirena per poter andare “in fondo al mar”? Oggi tutto questo è possibile grazie al mermaiding. Il mermaiding, ossia il muoversi come una sirena, è una disciplina sportiva, un settore del nuoto, a cui si unisce una parte coreografica che viene eseguita proprio indossando una colorata coda da sirena. Una pratica molto diffusa, sia a livello sportivo che come perfor­ mance, da eseguire nel corso di feste ed

eventi e che, a cominciare dall’Oriente, soprattutto Cina e Giappone, ha preso poi piede negli Stati Uniti, in Francia, in Germania e, da una decina d’anni, anche in Italia. La prima scuola per si­ rene è nata proprio in Sardegna, a Golfo Aranci, in provincia di Olbia, gra­ zie all’istruttrice Francesca Magnone, titolare dell’Alpha Diving Center. Oltre ad Olbia, il mermaiding è ormai una realtà in tutta l’Isola, come raccon­ tano Alessandra Ardu, già istruttrice di subacquea, e Rossana Pinarello (@le_nereidi_mermaid su Instagram), che ha sempre praticato il nuoto, ora istruttrici di mermaiding a Cagliari: “Ci siamo avvicinate al mer­ maiding un po’ per caso e ce ne siamo innamorate – raccontano ­. Tutti noi siamo abituati a vivere il rapporto con l’acqua in modo un po’ conflittuale per­ ché dobbiamo battere la resistenza del­ l’acqua e andare più veloci, col mermaiding invece si diventa un tut­ t’uno con l’acqua, non si utilizza nessun tipo di attrezzatura, si eseguono movi­

menti lenti e dolci. Per noi rappresenta il modo più naturale di entrare in acqua. Per far capire in cosa consiste il mermaiding è necessario fare un para­ gone col nuoto sincronizzato, il mer­ maiding è come se fosse il sincronizzato dell’apnea. Si lavora pre­ valentemente sott’acqua e a questo si unisce una parte coreografica, data dai costumi e dell’esecuzione di figure, come le capriole, che si possono fare singolarmente o in coppia”. Per ottenere il brevetto come istrut­ tore di mermaiding è necessario rivol­ gersi a delle agenzie subacquee professionali, in Italia la prima è stata la Nadd: “Per diventare istruttori di mermaiding è necessario seguire un corso della durata di tre o quattro giorni, – spiegano le due istruttrici – durante i quali si effettuano dei test, anche in mare. Col conseguimento del brevetto è poi possibile continuare l’at­ tività organizzando corsi per bambini o adulti. Noi lo abbiamo conseguito pro­ prio a Cagliari dove c’è un trainer che


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si occupa di preparare gli istruttori”. Con il dilagare dell’epidemia di Covid­ 19 e la chiusura delle piscine, Alessan­ dra e Rossana, così come altri insegnanti, hanno iniziato a organiz­ zare lezioni estive di mermaiding al mare ma, con l’arrivo dell’autunno, si­ tuazione sanitaria permettendo, orga­ nizzeranno dei corsi anche in delle piscine del cagliaritano: “I corsi di mer­ maiding sono misti e si può iniziare dai 7 anni di età, è importante che i bambini sappiano già nuotare – precisano ­. Ci sono due tipologie di corsi, si può fare un corso annuale dove si parte dalle basi, oppure, per chi ha già precedenti come nuotatore o con la pinna, si può direttamente seguire il corso per il brevetto, dipende sempre dalle capa­ cità natatorie e da cosa vuole ottenere l’allievo in questione. C’è un primo brevetto “open”, quello di base, dove si lavora su tutti gli stili in superfi­ cie e su varie figure, come le capriole, che si fanno in apnea. Poi c’è il bre­ vetto “advanced” dove si lavora su tutti gli stili del mermaiding e sulle co­ reografie di coppia, dopodiché, vo­ lendo, si può accedere al corso istruttori. Al termine dei corsi è previ­ sto anche un piccolo saggio, con la coda, la musica e le coreografie. Per partecipare ai corsi è molto impor­ tante avere la propria attrezzatura, il costume è in lycra ed è personale. Su alcuni siti internet, come Amazon, è possibile acquistare l’attrezzatura per il mermaiding e le code per bambine si possono acquistare anche nei negozi di giocattoli. Ormai le code vengono re­ galate frequentemente per il comple­ anno o il Natale, addirittura si usa regalare il “discover mermaid”, ossia

un pacchetto di due giorni di lezioni per avere un primo approccio con la coda da sirena”. Essendo una pratica che racchiude tante sfaccettature, il mermaiding offre molte possibilità di lavoro ed è proprio questo il sogno che vorrebbero realizzare Alessandra e Rossana: “Il no­ stro obiettivo per il futuro è che questa disciplina diventi un vero lavoro, non soltanto una passione – svelano ­. Con­ sente tanti sbocchi lavorativi, da quello degli spettacoli e dell’intrattenimento, per chi si dedica di più alle perfor­ mance, a quello del nuoto, anche per­ ché la presenza di una sirena aiuta moltissimo i bambini ad essere a pro­ prio agio in acqua. È davvero un mondo con tante possibilità”. Ma il “sirenare” avrà un futuro come disciplina sportiva? Alessandra e Ros­ sana, con la loro esperienza, sono molto ottimiste: “Certamente si tratta di un’attività di cui non si parla ancora tanto ma non perché non sia presente, anzi, ma perché proprio nel momento in cui stava avendo la sua esplosione, tra il 2019 e il 2020, è stata bloccata a causa della chiusura delle piscine per via del coronavirus. Sicuramente nei prossimi cinque anni il mermaiding si diffonderà in tutte le piscine, c’è già tanta richiesta, in più come disciplina sportiva è bellissima. Dal punto di vista del fitness è completa e tonificante, inoltre è meno noiosa per chi non ama particolarmente il nuoto, perché c’è la parte coreografica. Diciamo che c’è un lato più sportivo e uno più legato al sogno, e sognare un po’ non fa mai male, non solo ai bambini ma anche agli adulti.”


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a spasso per le miniere con il

cammino di santa barbara di ALBA MARINI

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È un mondo a parte quello delle miniere e il cammino di Santa Barbara lo racconta splendidamente. Le radici del­ la cultura mineraria, d’altron­ de, sono vecchie come la pie­ tra. La storia mineraria sarda ha avuto inizio con tutta pro­ babilità nel sesto millennio a.C. con l’estrazione dell’os­ sidiana (il nostro prezioso oro nero) alle pendici del Monte Arci. È proseguita con i Fenici e con i Cartaginesi che hanno a lungo sfruttato le ricchezze minerarie dell’isola (in parti­ colare dell’Iglesiente), lascian­ do anche qualche traccia come le scorie di fusione. E poi ancora con le varie domi­ nazioni e influenze che si sono susseguite nell’iso­ la (dai Romani alla breve occupazione INQUADRA IL CODICE vandalica; dai Pi­ QR CON IL TUO sani agli Aragonesi SMARTPHONE PER e gli Spagnoli). CONTINUARE A Il rapporto storico LEGGERE L'ARTICOLO e viscerale tra sardi

iniere e tradizione religiosa; sentieri verdi, vorticosi, affa­ scinanti; il mare padrone, con i suoi colori brillanti, rischiarati dalla luce del sole. Tutto que­ sto e molto di più è il Cam­ mino di Santa Barbara, un percorso ad anello che, par­ tendo da Iglesias e riportando ad Iglesias, si snoda tra grotte, foreste, minerali e tanta ac­ qua salata. Il fil rouge è il culto di Santa Barbara ­ pa­ trona dei minatori ­ le cui chiese capeggiano i vari punti snodo di questo itinerario sto­ rico, religioso, economico e culturale radicato nella Sar­ degna sud occidentale.

e minerali ha lasciato tracce su tutto il territorio e, in par­ ticolare, nella zona d’elezione del Sulcis­Iglesiente. La traccia più importante è sicuramente la rete viaria che, tra carra­ recce, mulattiere, piste e trac­ ciati, testimonia l’importanza dei minerali e del loro tra­ sporto nei vari secoli. Grazie alla tradizione orale e alla mappatura fatta dai volontari dell’Associazione Pozzo Sella, gli antichi sentieri minerari vengono oggi, ancora una vol­ ta, calpestati. È tra queste strade, spesso nascoste, sfug­ genti e appena abbozzate, che il cammino di Santa Barbara prende vita. Se la storia mineraria della Sardegna ha origini lontane nel tempo (basti pensare ai bronzetti), è anche vero che il più grande impulso a questa vocazione naturale venne dato dall’avvento dell’età industria­ le, che generò una grande domanda di metalli. L’intenso

sfruttamento delle miniere metallifere sarde diede, infatti, il via all’apertura di grandi mi­ niere come quelle di Monte­ vecchio, Masua e Monteponi (tutte nella provincia del Sud Sardegna). Alla fine dell’Ottocento la Sar­ degna forniva all’Italia la mag­ gior parte del fabbisogno di metalli, quasi la totalità dei minerali di piombo (98,7%) e di zinco (85%). A partire dagli anni ‘60, però, iniziò la fase di declino del­ l’attività mineraria tradizionale che portò alla sua fine, dopo anni travagliati costellati da feroci lotte sindacali. Durante questo processo, il grande pa­ trimonio di archeologia in­ dustriale delle miniere che progressivamente venivano dismesse è stato trascurato, comportando la perdita delle testimonianze storiche e tec­ niche di un’attività così antica e ben radicata nel territorio. ...CONTINUA SUL WEB

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ALGHERO CELEBRA IL SIMBOLO DELLA CITTÀ

DAL MUSEO ALL’ACQUARIO IL CORALLO ROSSO DEL MEDITERRANEO di RAFFAELLA PIRAS

N

ella Sardegna nord occidentale, in provincia di Sassari, dinanzi a un mare color smeraldo e cir­ condata da imponenti bastioni risalenti all’epoca medievale, con i segni tipici della dominazione catalana intatti, sorge la città di Alghero, stupendo borgo tu­ ristico noto anche per essere la capitale della Riviera del Corallo. Alghero è infatti la città del corallo rosso, appartenente alla specie Coral­ lium Rubrum, conosciuto fin dall’anti­ chità come uno dei migliori di tutto il Mediterraneo ed apprezzato soprattutto per il suo colore rosso rubino. Origine e classificazione del corallo. Le origini del corallo rappresentano un mi­ stero. Secondo una leggenda, avrebbe avuto origine dal sangue della Gorgone, a cui Perseo aveva reciso la testa. Incerta è anche l’etimologia del nome, secondo alcuni deriverebbe dal greco koraillon, “scheletro duro”, secondo altri dall’arabo “garal” o dall’ebraico “goral”, indicando le pietre utilizzate per gli oracoli in diverse zone del Mediterraneo e del Medio Oriente, tra le quali c’erano ap­ punto i coralli. Anche la classificazione del corallo ha provocato dibattiti nei se­

coli tra coloro lo consideravano un mi­ nerale e coloro che ritenevano fosse un vegetale. Fu il medico marsigliese Andrea Peyssonel, nel Settecento, a stabilire che il corallo appartenesse al regno animale. Simbologia e culto del corallo. In epoca preistorica, durante il Neolitico, il corallo veniva utilizzato non a scopo ornamen­ tale ma come amuleto. Tutte le civiltà antiche gli attribuivano infatti poteri magici e terapeutici, dalla protezione del defunto nell’Antico Egitto, alla cura delle malattie presso i Greci e i Romani. Questi ultimi lo utilizzavano anche per la protezione dei neonati. Nella simbo­ logia cristiana il corallo rappresentava invece il sangue di Cristo, ecco perché era presente in reliquie, quadri e nella pittura sacra. La storia del corallo rosso in Sardegna e ad Alghero. La tradizione dell’uso del corallo risale a tempi molto antichi in Sardegna. Furono i Fenici ad introdurne l’uso, da essi infatti i sardi appresero le tecniche della pesca in generale e del corallo in particolare. Ma è soprattutto ad Alghero che questa tradizione è sen­ tita, nello stemma della città è infatti raffigurato un ramo di corallo che fuo­ riesce dal mare, su una base di roccia.

Ad Alghero viene denominato anche oro rosso proprio per la ricchezza che produce. Passeggiando per il quartiere storico è infatti possibile visitare tantis­ sime botteghe artigiane che si dedicano alla lavorazione e alla vendita del corallo, spesso trasformato in bellissimi gioielli. Il corallo rosso è da sempre anche il protagonista dei gioielli usati dalle don­ ne sarde quando indossano l’abito tra­ dizionale, gli orecchini, le collane e in particolare le spille che chiudono le ca­ micie e fissano lo scialle sono proprio di corallo rosso. Le raffinate tecniche di lavorazione del corallo sono dovute alla presenza ad Alghero di scuole di forma­ zione degli artigiani del corallo. Negli anni 50 del ‘900 fu infatti fondata in città la Scuola del corallo, mentre oggi nell’Istituto statale d’arte è prevista proprio una Sezione del corallo. ...CONTINUA SUL WEB INQUADRA IL CODICE QR CON IL TUO SMARTPHONE PER CONTINUARE A LEGGERE L'ARTICOLO

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