Ticino Management Donna: Estate 2023

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N. 93 • Estate 2023Fr. 12 / Euro 12 © Jolie Zocchi

VISIONI

Trame di luce

all’orizzonte

PROFILI

Protagoniste di una nuova era

DESIGN

Accendersi di stile libero

PERCORSI

Navigando dentro mondi meravigliosi

N. 93 • Estate 2023 - Fr. 12 / Euro 12

Una sintesi ILLUMINANTE

Donne moderne, abituate a muoverci alla velocità della luce, la luce - quella vera - finiamo spesso per trascurarla. In una quotidianità fatta di interni e di schermi, dimentichiamo di fermarci, anche solo per guardare un attimo il cielo. Eppure la luce è indispensabile, senza non ci sarebbe stata vita sulla Terra, né sopravvivenza. Non è un caso che proprio la fotonica, la scienza della generazione, del controllo e del rilevamento della luce, si prospetti come motore di innovazione tecnologica chiave del futuro, con interessanti applicazioni, dalla supersonica velocità di trasmissione della fibra ottica alla diagnostica in medicina. Vitale, appunto.

E l’energia solare si sta confermando la più promettente fra le fonti alternative, speranza per un pianeta in sofferenza, che deve rispettare gli obiettivi di sostenibilità in agenda per il 2030 e il 2050.

In questa edizione estiva di Ticino Management Donna la luce è protagonista assoluta. Ne abbiamo messo un barlume o un fascio in tutte le pagine, a partire dalla prima copertina, per illuminarne la lettura. La luce si è raccontata nelle sue molteplici rifrazioni: dalle più simboliche, come il dialogo della diplomazia o il prisma dell’arte, ai lampi creativi dei designer che l’hanno saputa plasmare in molte forme.

La luce è visione, gli occhi lo strumento. L’invito per questa estate è dunque a spalancarli per lasciarsi incantare dagli assolati e ampliati orizzonti, cogliendo le opportunità che essi possono offrire. La luce è sensazione, l’emozione il suo riflesso. L’invito è, questa volta, a sentire il calore sulla pelle e il potere rigenerativo della luce. Approfittando della pausa estiva per navigare verso nuove mete, fuori e dentro di noi, o, almeno, per farsi trasportare da immagini e parole che ci restituiscano una quotidianità nuova. Luminosa.

A tutte, buona visione!

Montblanc Masters of Art Homage to Vincent van Gogh Limited Edition 8 Fountain Pen EDITORIALE

Vogliamo dare il 100% per arrivare a ZERO

Vogliamo raggiungere entro il 2050 la neutralità delle emissioni nette di gas serra dei patrimoni gestiti.

Un obiettivo confermato nel Piano Industriale 2022 - 2025 del Gruppo e con la pubblicazione dei target richiesti dall’adesione alla Net Zero Asset Managers Initiative

Per noi , per i nostri investitori e per il pianeta

eurizoncapital.com

Società del gruppo

IN QUESTO NUMERO

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Svizzera, diplomazia illuminata

Pascale Baeriswyl, ambasciatrice elvetica presso l’Onu a New York.

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Un caleidoscopio di visioni

Il Locarno Film Festival, raccontato da sue tre ‘registe’.

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Il prisma dell’arte

La visione curatoriale di Vittoria Matarrese, alla Bally Foundation.

Con una marcia in più

La presenza femminile in una storica casa automobilistica.

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Ode al tweed

L’alta gioielleria rende prezioso un grande classico.

L’armonia dei contrasti

Il lavoro del designer deve generare emozioni.

La promessa del tempo

La scienza alleata nella ricerca dell’eterna giovinezza.

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Seduzione polimorfa

Le opere di Paola Paronetto, un inno all’armonia e al colore.

34
66
BUCCELLATI CHANEL 6
FLOS

VITA La risplende

Simbolo di potere e sacralità, la luce è un bene imprescindibile, che l’Unesco celebra con una giornata mondiale: principio vitale, sorgente di ispirazione artistica, vettore di conoscenza e progresso

Eluce fu. L’origine della vita, non solo nella tradizione biblica, ma nella maggior parte delle cosmogonie. Dall’antico Egitto, all’Anatolia, Grecia e Bisanzio, nei riti brahmanici, nel linguaggio dei mistici musulmani è dominante il simbolismo della luce, in opposizione all’oscurità annientatrice delle tenebre.

È divenuta caratteristica della divinità, parola che deriva dall’indoeuropeo deiwo (la cui radice ‘dei-’ ha il significato di brillare, emettere una luce).

Simbolo di trascendenza e potere fin da quando la volta celeste ha catturato lo sguardo del primitivo e la fiamma del fuoco ha illuminato il suo progresso.

E in quante lingue la metafora ‘venire alla luce’ significa nascere? Attraverso la fotosintesi, è all’origine della vita stessa e il suo studio ha portato a promettenti fonti energetiche alternative, a progressi essenziali nella medicina, nelle tecnologie diagnostiche e nei trattamenti, a mezzi di comunicazione pressoché istantanei e molte altre scoperte che hanno rivoluzionato la società contemporanea.

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Tecnologie che sono state sviluppate grazie a secoli di ricerca fondamentale sulle proprietà della luce, dal fondamentale Libro dell’Ottica di Ibn AlHaytham, pubblicato nel 1015, al lavoro di Einstein di inizio XX secolo che ha cambiato il modo in cui percepiamo tempo e luce. In questa edizione estiva di Ticino Management Donna che ha quale suo leitmotiv la luce, non si poteva non citare - da non molto festeggiata, il 16 maggio - la Giornata mondiale che la celebra, istituita dall’Unesco, che ne fa un elemento chiave del proprio mandato, oltre che un innegabile patrimonio dell’umanità.

«Viviamo in un momento in cui il nostro rapporto con il mondo deve essere completamente ripensato. Eppure, che si tratti di esseri umani, animali, piante o batteri, tutti dipendiamo da un principio elementare al quale è altrettanto vitale rivolgere la nostra attenzione: la luce. Senza di essa il nostro pianeta non sarebbe altro che un luogo arido e freddo», ha sottolineato in occasione della recente edizione la Direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay.

Da Einstein in poi, la luce è anche un’esperienza metafisica del tempo e dello spazio, l’ultima frontiera dell’umanità. Non è solo un mezzo per accedere alla conoscenza; essa si trova al centro dell’esperienza umana - delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti e di tanta poesia

laser riuscita nel 1960 al fisico e ingegnere Theodore Maiman. Una delle tante conquiste scientifiche legate alla luce che hanno rappresentato un salto nella storia dell’umanità. La fotonica è onnipresente nella nostra vita quotidiana: dalle tecnologie che migliorano la visione e alimentano gli smartphone, a quelle che forniscono strumenti per l’osservazione dello spazio e fibre ottiche che ci aiutano a comunicare via Internet. La ricerca avanzata in aree come la nanofotonica, l’ottica quantistica e la scienza ultraveloce sta aprendo nuove frontiere scientifiche, dalla medicina alla produzione di energia. Oltre alle conquiste scientifiche, la Giornata internazionale della luce ne celebra gli usi sociali e artistici e ne incoraggia una migliore comprensione.

«Che si tratti di rendere la scienza più aperta e di promuovere le carriere nella ricerca, soprattutto per le donne, o di impegnarsi per l’istruzione, la diversità delle culture e del patrimonio, o la libera diffusione delle informazioni, tutti gli sforzi compiuti dalla nostra Organizzazione fanno parte della stessa visione, quella di un futuro più luminoso. A nostro avviso, riunire i beni comuni dell’istruzione, della cultura, della scienza, dell’informazione e, come nella giornata mondiale che abbiamo voluto dedicare alla luce, significa creare un futuro non solo più luminoso, ma anche più sostenibile». La data non è stata scelta a caso: il 16 maggio cade l’anniversario della prima operazione

«Da Einstein in poi, la luce è anche un’esperienza metafisica del tempo e dello spazio, l’ultima frontiera dell’umanità. Per l’Homo sapiens, non è solo un mezzo per accedere alla conoscenza; essa si trova al centro dell’esperienza umana - delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti e di tanta poesia. Per questo motivo occupa un posto così importante nelle arti visive, nello spettacolo e in letteratura. I pittori per primi hanno cercato di catturare e replicare i suoi segreti e gli artigiani hanno cercato di sfruttarla al meglio posizionandola, riflettendola e filtrandola. E quando non viene domata, è la luce a prendere il posto dell’artista per dipingere i nostri paesaggi con colori, ombre e pastelli», conclude la direttrice dell’Unesco, ricordando infine come, al di là dell’apporto alle singole discipline, la luce offra un importante ponte tra scienza e cultura, contribuendo ad abbattere i confini tra questi campi per affrontare la complessità del presente.

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9 FOCUS DI AURÉLIE CARRÉ
©
Unesco Photo Christelle Alix

SVIZZERA,

diplomazia illuminata

Un traguardo storico per la Svizzera e un nuovo capitolo nella sua già prestigiosa tradizione diplomatica. A vent’anni dall’ingresso nell’Onu, da inizio 2023 per la prima volta è diventata membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Unsc) e, lo scorso maggio, ne ha assunto la presidenza. Per un mese la Svizzera ha diretto tutte le riunioni del Consiglio, garantendo il regolare svolgimento delle attività, e ha contribuito a dettarne l’agenda, accogliendo le urgenze dell’attualità e in linea con le quattro priorità tematiche fissate dalla Confederazione per questo biennio come membro non permanente (20232024): promozione della pace, protezione della popolazione civile in situazioni di conflitto armato, sicurezza climatica e rafforzamento dell’efficienza del Consiglio di sicurezza. A occupare la poltrona centrale al tavolo dei 15 Paesi membri,

l’ambasciatrice elvetica Pascale Baeriswyl, a capo della Missione permanente della Svizzera presso l’Onu a New York. Una pietra miliare nella sua intensa carriera diplomatica. In attesa del secondo mese di presidenza nell’ottobre del 2024, è il momento chiederle un primo bilancio dell’esperienza vissuta.

SOTTO, TRE ATTESI MOMENTI DELLA PRESIDENZA SVIZZERA DELL’UNSC SONO STATI I DIBATTITI PRESIEDUTI DAI CONSIGLIERI FEDERALI IGNAZIO CASSIS (COSTRUZIONE DELLA FIDUCIA PER LA PACE ), VIOLA AMHERD (PACE E SICUREZZA IN AFRICA) E DAL PRESIDENTE DELLA CONFEDERAZIONE ALAIN BERSET (PROTEZIONE DEI CIVILI NEI CONFLITTI ARMATI)

Per la prima volta, lo scorso mese di maggio, è stata la Svizzera a presiedere il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Un bilancio, a colloquio con l’ambasciatrice elvetica Pascale Baeriswyl, da New York
© UNPhoto Manuel Elías © UNPhoto Eskinder Debebe © UNPhoto Eskinder Debebe
IN CONVERSAZIONE CON...
SUSANNA CATTANEO
© UNPhoto Eskinder Debebe
DI

Ambasciatrice Pascale Baeriswyl, prima di proporre un bilancio della presidenza svizzera del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, potrebbe descrivere come si svolge una giornata del suo team? Cosa è cambiato nei ritmi e nei compiti quotidiani nel corso del mese di maggio? Fin dall’inizio del nostro mandato, una giornata tipica inizia con una breve riunione ricapitolativa, che chiamiamo “Huddle”. Seguono le riunioni del Consiglio di Sicurezza, che in genere iniziano alle 10 e poi, al pomeriggio, alle 15. A maggio, il Consiglio ha tenuto una trentina di riunioni formali su una ventina di giorni lavorativi. Poi ci sono tutte quelle preparatorie e negoziali. Essere un membro è quindi un lavoro ampio e complesso. Ci occupiamo di una sessantina di contesti geografici, dall’Afghanistan allo Yemen, e di una trentina di questioni relative alla pace e alla sicurezza internazionale. Con la presidenza si è aggiunto il compito d’assicurare il buon funzionamento del Consiglio, un misto tra il ruolo di manager e quello di arbitro. Lo abbiamo assunto nel modo tradizionale svizzero: un approccio trasparente ed efficiente che coinvolge tutti, cercando soluzioni consensuali e decisioni eque. Ed è stato apprezzato. Su quali aspetti avete avuto modo di concentrarvi, in un momento di forti tensioni geopolitiche, e subito dopo il mese guidato dalla Russia?

Con due dibattiti di alto livello che hanno suscitato un grande interesse da parte degli altri Paesi - uno sul ruolo chiave della fiducia nella promozione della pace, presieduto dal Consigliere federale Ignazio Cassis, e l’altro sulla protezione della popolazione civile, presieduto dal Presidente della Confederazione

Alain Berset - abbiamo cercato di mettere in evidenza le priorità del Consiglio federale. A lungo termine, dovrebbero contribuire a formulare nuove risposte alle

sfide della pace e della sicurezza in questi tempi difficili. Ciò significa anche che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve migliorare radicalmente i suoi metodi di lavoro, ad esempio diventando più efficiente e più inclusivo. Questa è anche una priorità del Consiglio federale, che abbiamo cercato di potenziare durante tutta la presidenza proprio attraverso il citato “approccio svizzero”. Uno dei temi su cui state lavorando è la necessità di rafforzare la voce delle donne e della società civile. La Svizzera si sta impegnando affinché le donne svolgano un ruolo attivo nella prevenzione dei conflitti e nei processi di pace, nonché nella ricostruzione dello Stato e nella riconciliazione dopo la fine delle ostilità. Allo stesso tempo, le donne devono essere maggiormente protette, in particolare contro la violenza sessuale e di genere, un impegno assunto dall’Unsc più di vent’anni fa con l’innovativa risoluzione “Donne, pace e sicurezza”. Durante la nostra presidenza, abbiamo invitato nove donne della società civile a parlare al Consiglio assicurandoci che potessero farlo con la migliore preparazione possibile e senza timore di rappresaglie. Inoltre il mese di maggio

SOPRA, L’AMBASCIATRICE PASCALE BAERISWYL, CAPO DELLA MISSIONE PERMANENTE SVIZZERA PRESSO L’ONU A NEW YORK 11
©EDA

ha segnato anche l’inizio - e questa è una prima volta nella storia - di quattro presidenze consecutive del Consiglio guidate da donne ambasciatrici.

La neutralità della Svizzera è stata messa in discussione negli ultimi tempi, con l’invasione dell’Ucraina. Avete sentito pressioni in questo senso?

La neutralità non ha un ruolo particolare nel lavoro quotidiano del Consiglio, ma è presente da anni in tutte le posizioni della Svizzera sugli eventi internazionali. Tale principio è recepito anche all’Onu e in seno all’Unsc. Durante le discussioni in seno al Consiglio, quando le onde sono alte, possiamo talvolta presentarci come arbitro neutrale e dire che qui tutti sono ascoltati. In quanto Paese neutrale di medie

A maggio abbiamo assunto la presidenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu nel modo tradizionale svizzero: un approccio trasparente ed efficiente che coinvolge tutti, cercando soluzioni consensuali e decisioni eque. Ed è stato apprezzato

Pascale Baeriswyl ambasciatrice elvetica, capo Missione permanente della Svizzera presso l’Onu

dimensioni, siamo forse più facilmente accettati in questo ruolo rispetto ad altri.

Ma perché è importante che un Paese come il nostro sieda nel Consiglio di sicurezza dell’Onu? A volte l’opinione pubblica ha l’impressione che, dopo tante riunioni, rimanga impotente di fronte alle tragedie e sfide di oggi.. La Svizzera e le Nazioni Unite condividono valori e interessi fondamentali. La Costituzione federale definisce l’obiettivo della politica estera della Svizzera: preservare la prosperità e l’indipendenza del Paese e alleviare la miseria e la povertà nel mondo. Promuove il rispetto dei diritti umani e della democrazia. Si impegna per un ordine internazionale giusto e pacifico. La Svizzera non può prosperare in pace e sicurezza mentre nel mondo infuriano le guerre. Come Paese di medie dimensioni, dipendiamo da un ordine multilaterale basato su regole. La nostra

indipendenza e la nostra prosperità sono protette al meglio quando i Paesi convivono pacificamente e nel rispetto dello Stato di diritto. È quindi importante che un Paese come la Svizzera sia rappresentato anche nel Consiglio di Sicurezza, per dare una voce forte al diritto internazionale, al diritto umanitario e allo Stato di diritto. Con un’economia orientata all’esportazione come la nostra, è essenziale, anzi esistenziale, che queste regole continuino a essere applicate. Per sua stessa costituzione, la Svizzera è un Paese federatore, abituato alla coesistenza di etnie e culture diverse. Ma come riuscire a dialogare, lavorare e vivere fianco a fianco con altri 192 Stati membri, nel contesto interculturale più denso che esista?

È vero che qui a New York, intorno alle Nazioni Unite, abbiamo un ambiente di enorme diversità. Ma le regole, le pratiche e il linguaggio diplomatico ci aiutano a trovare un terreno comune, un modo per parlarci e superare le barriere, a prescindere dalle differenze culturali e politiche. La cosa più importante, tuttavia, rimanequi come altrove - il cambiamento di prospettiva: mettersi nei panni dell’altro, ascoltare e cercare di capire...

In una carriera diplomatica, raggiungere il suo livello è uno dei massimi obiettivi. Come gestisce questo onore?

Con le qualità che spero di aver imparato da mia nonna: modestia e resilienza. La mia formazione - un immenso privilegio che abbiamo in Svizzera - mi ha invece stimolato la volontà di continuare a imparare ed evolvere. Più concretamente: dagli studi umanistici ho imparato a guardare dietro le cose - in altre parole, il metodo dell’analisi politica - e dagli studi giuridici a cercare di mettere in ordine le cose, in altre parole, il metodo della strutturazione di un problema.

Ambasciatrice Baeriswyl, lei è appassionata di jazz, anche come musicista. Nella sua vita professionale, quanto è necessaria la capacità di improvvisare e quanto è importante una preparazione meticolosa?

In effetti la musica è il mio rifugio dopo giornate piene di conflitti e atrocità, per staccare. Ma se si vuole fare un parallelo: per suonare bene una ballata jazz, occorrono anni di allenamento intensivo in destrezza, precisione e ritmo. Si studiano il tema del brano e gli accordi, si ascoltano le interpretazioni e le improvvisazioni dei grandi maestri. Ma quando si suona un assolo sul palco, occorrono creatività, intuizione e spontaneità. Lo stesso vale per la diplomazia.

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12 IN CONVERSAZIONE CON...
© UNPhoto Eskinder Debebe

Il 14 giugno 1991 centinaia di migliaia di donne svizzere scesero in piazza per il primo sciopero femminista. Rivendicavano l’uguaglianza nella formazione e nella sicurezza sociale, la parità salariale, un’equa distribuzione dei lavori domestici fra donne e uomini; chiedevano misure efficaci contro stupri, violenza domestica e molestie sessuali sul lavoro. La data non era casuale ma scelta per quei dieci anni giusti che la separavano dall’accettazione da parte del popolo dell’articolo costituzionale sulla parità.

Da allora, malgrado il principio sia iscritto nella Costituzione, le disuguaglianze di genere sono ancora una realtà: divario di salario eclatante, lavoro non retribuito maggiormente sulle spalle delle donne, discriminazioni, violenze e molestie.

Lo sciopero del 2019 è stato il secondo capitolo di una lunga storia di rivendicazioni che chiede ancora e sempre: uguaglianza! Lo scorso 14 giugno la mobilitazione si è ripetuta, una nuova ‘onda viola’ collettiva ha invaso le strade svizzere e ticinesi per esigere “Rispetto, più salario e più tempo” perché - nonostante alcuni progressi - rimangono tuttora troppi gli ambiti che negano alle donne uguali

L’ora di

pretendere

diritti rispetto agli uomini. Le questioni restano le stesse: reale parità di salari e di carriera; lotta contro molestie, discriminazioni, stereotipi nelle professioni e la possibilità di conciliare lavoro e famiglia. Il 14 giugno è una data simbolo anche per FaftPlus. La tutela della donna e la promozione della parità di genere sono da sempre al centro del lavoro della Federazione delle associazioni femminili Ticino Plus che ha aderito anche all’ultimo sciopero rivendicando due momenti di riflessione e di condivisione: l’evento La notte buia non ci fa paura - une marche de nuit da Massagno a Lugano centro - per affermare il diritto fondamentale delle donne, ma non solo, di camminare libere e al sicuro per le strade, senza il timore di subire violenze fisiche o verbali; la conferenza Congedo parentale - Per le donne, per gli uomini, per la famiglia per attirare l’attenzione, partendo dal modello di congedo parentale elaborato dalla Commissione federale per le questioni familiari, sulla necessità di giungere finalmente a condizioni quadro che favoriscano la conciliabilità tra famiglia e lavoro, elemento chiave per una parità effettiva tra donna e uomo.

Da 66 anni FaftPlus tiene fede all’impegno (e alla promessa) di sensibilizzare politica e opinione pubblica sull’invisibilità dei diritti delle donne perché convinta che una società paritaria e inclusiva richieda un radicale processo di cambiamento culturale.

13 L’OPINIONE
Unite in sciopero, le donne svizzere e ticinesi esigono che la parità sia una volta per tutte tradotta nei fatti, nel nome di uguaglianza, giustizia e democrazia
Nora Jardini Croci Torti Comitato FAFTPlus

Moltissime donne in Svizzera, perfino con formazione universitaria, soffrono di “analfabetismo finanziario”, al punto da avere difficoltà a gestire il loro bilancio familiare. D’altronde non sono passati che 35 anni da quando in Svizzera, con la revisione del diritto matrimoniale e successorio del 1988, è stato riconosciuto alle donne sposate il diritto di aprire un conto bancario. Ancora oggi, culturalmente già a livello familiare le questioni economiche di casa vengono condivise con i figli maschi.

Questo è un tema centrale per me - peraltro condiviso anche in seno al Business Preofessional Women, di cui faccio parte dal 1998 - che va affrontato attraverso la realizzazione di programmi estesi di “educazione finanziaria” destinati alle ragazze. Dobbiamo spingerle a formarsi per favorire la loro autonomia, che passa anche da quella finanziaria.

Simona Genini, Amalia Mirante e Cristina Zanini Barzaghi: diversi colori politici, ma tutte siedono in Gran Consiglio, dove si impegnano anche con iniziative di rilevanza per le donne, oltre a far parte del Club ticinese della più grande associazione femminile al mondo, il Business and Professional Women
Simona Genini
L'OPINIONE
Granconsigliera PLRT Avvocato tributarista, consulente fiscale

Lavoro, lavoro, lavoro. Questa è la sintesi della campagna elettorale di Avanti con Ticino&Lavoro, di cui sono co-fondatrice. Una maniera nuova di fare politica. Niente dogmi o ideologie preconfezionate, ma soluzioni ai problemi concreti di tutti i giorni. E il problema numero uno in Ticino è il lavoro. È questo il punto centrale della nostra azione politica: riteniamo che sia necessario ristabilire un dialogo sano tra aziende, Stato e cittadini per superare le difficoltà legate al mondo del lavoro e consentire anche al Ticino di essere a tutti gli effetti un cantone svizzero. La sicurezza e l’indipendenza economica sono la base per qualunque progetto di vita. Senza questo tutto va in secondo piano, anche per le donne. Donne che ancora oggi devono fare i conti con difficoltà aggiuntive. Ma le soluzioni per una parità effettiva si trovano guardando alla realtà del 2023 e non invocando slogan di 50 anni fa.

A favore

delle donne

Da sempre mi occupo di pari opportunità, soprattutto per quanto concerne la promozione delle ragazze nell’ambito tecnico-scientifico. Oltre che essere membro del Bpw Club Ticino, sono attiva in diverse associazioni femminili: ci vuole molto impegno per eliminare le disparità salariali e di scelta ancora presenti fra donne e uomini. Parecchie mie proposte hanno trovato ascolto a Lugano, dove sono municipale: oggi abbiamo le Giornate Nuovo Futuro per ragazze, che possono così sperimentare lavori e settori professionali in cui sono sottorappresentate; ci sono più asili nido e mense scolastiche; nell’amministrazione si controlla regolarmente la parità salariale con Logib, un webtool messo a disposizione dalla Confederazione, e ci sono più donne dirigenti e in professioni atipiche. Lo stesso va fatto anche a livello cantonale. In primis bisogna rafforzare l’ufficio della parità: siamo il Cantone più sottodotato in questo ambito.

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Cristina Zanini Barzaghi Granconsigliera PS-FA-GISO Ingegnera civile Eth Amalia Mirante Granconsigliera Avanti con Ticino&Lavoro Economista e docente Supsi
L'OPINIONE

UN FORUM TANTE REALTÀ

Eclettica, propositiva, estroversa. Gaby Malacrida è da sempre appassionata di viaggi, affascinata dalle culture e dalle tradizioni di Paesi diversi, di continenti lontani. Multilingue, a questi mondi si è avvicinata con il desiderio di approfondirne le peculiarità, lasciandosi sorprendere. Non stupisce dunque che il suo percorso professionale si sia srotolato quasi integralmente nell’industria del turismo, nella quale ha ricoperto ruoli differenti, in realtà aziendali rinomate, come Danzas e Hotelplan.

Gaby Malacrida è anche, dal 2014, presidente della sezione ticinese di Forum elle, l’organizzazione femminile fondata nel 1957 da Adele e Gottlieb Duttweiler, patron di Migros.

Inizialmente conosciuta come ‘Associazione svizzera delle cooperatrici Migros’, l’organizzazione Forum elle è stata creata con l’intento di fornire un contesto nel quale le donne potessero riunirsi, partecipando anche attivamente alla vita pubblica (sebbene, allora, non avessero ancora il diritto di voto). Forum elle, sostenuta finanziariamente dalla Fcm Federazione delle Cooperative Migros e dalle singole Cooperative, annovera circa settemila membri in tutta la Svizzera, di cui duecentosettanta in Ticino. Le iscritte, donne appartenenti a generazioni diverse, sono tutte molto attive all’interno dell’associazione.

Chi è la ‘donna Forum elle’?

Gaby Malacrida ne traccia il profilo, evidenziando al contempo i tratti salienti di un’organizzazione che pone al centro della propria visione e delle proprie attività la donna, oggi come allora.

Piattaforma sviluppata da donne per le donne, apartitica e aconfessionale, Forum elle da oltre sessant’anni favorisce l’instaurarsi di una rete di relazioni, tra condivisione di valori, attualità e indipendenza
16 IN CONVERSAZIONE CON... DI ELEONORA VALLI

Che cosa l’ha spinta ad accettare questo ruolo?

Quando mi è stato proposto dalla presidente del CdA di Migros Ticino, Monica Duca-Widmer, e nonostante fossi già membro del Consiglio di Cooperativa di Migros Ticino, nutrivo alcune perplessità. In particolare perché sono da sempre contraria a ogni forma di ‘ghettizzazione’, in tutti i sensi; e fare qualcosa per qualcuno è un’esclusione di tutti gli altri. Tuttavia, mi è poi bastato documentarmi sulle ragioni che avevano portato Adele e Gottlieb Duttweiler a dare vita all’associazione per convincermi della bontà e opportunità dell’iniziativa. L’una e l’altra sempre attuali.

A quale tipologia di donna è dedicata Forum elle?

In quanto associazione apolitica e aconfessionale, Forum elle è aperta a tutte le donne. Ed è accessibile a tutte anche in virtù di una quota sociale annuale calibrata sul minimo, pari a trenta franchi.

Anche la sezione Ticino di Forum elle si adopera per calibrare gli eventi affinché le donne, seppur di generazioni diverse possano, tutte, trovarvi qualcosa di interessante

Presidente Forum elle, Ticino

Diverse le iniziative proposte da Forum elle come opportunità, per le associate, di incontrarsi, condividendo interessi o scambiando opinioni, conoscenze ed esperienze.

Che cosa la contraddistingue rispetto ad altre associazioni?

Le associate di Forum elle, in special modo le più impegnate nella vita di tutti i giorni, apprezzano che non vi sia un obbligo di presenza alle varie iniziative dell’Associazione. Ogni socia sceglie liberamente se e a quale delle attività proposte desidera partecipare. Può optare per quelle culturali (come le mostre, per esempio, per le quali Forum elle offre la visita guidata, o gli spettacoli teatrali), oppure per la partecipazione a gite e/o conferenze. Le socie Forum elle possono inoltre partecipare accompagnate da uno o più membri della propria famiglia. Siamo dunque un’associazione femminile ‘aperta’.

Qual è la relazione di Forum elle con le generazioni più giovani?

A livello svizzero le circa settemila socie, che fanno capo a sedici sezioni, sono accomunate da una grande vitalità. Alcune sezioni sono ancora confrontate con qualche difficoltà nell’attirare donne delle fasce di età più giovani, ma è comprensibile se si considera che fanno parte della categoria più sollecitata nel quotidiano, non di rado ‘equilibriste’ tra lavoro e famiglia. Nel caso della sezione Ticino, ricorriamo a una serie di accorgimenti che favoriscono la partecipazione delle socie alle varie attività, incluse le donne giovani attive professionalmente. Pensando a loro, per esempio, organizziamo eventi non solo durante il giorno, ma includendo nel calendario delle attività

associative anche conferenze, cene o incontri a partire dal tardo pomeriggio. La sfida rimane tuttavia, anche per la sezione Ticino di Forum elle, calibrare gli eventi per far sì che tutte le generazioni possano trovarvi qualcosa di interessante, che le incuriosisca, invogliandole ad aderire a Forum elle.

Qual è un momento che ricorda con piacere? Sono tanti. Penso ad esempio all’incontroad aprile 2022 - con il Consigliere di Stato Christian Vitta e il Medico Cantonale Giorgio Merlani. Allo scopo essere meglio informate sulle ripercussioni economiche e sanitarie della pandemia. Un incontro particolarmente interessante e apprezzato. Altrettanto gradita, la gita a Bellano, con il privilegio di conoscere lo scrittore Andrea Vitali, che ci ha fatto da cicerone nei suoi luoghi, sul Lago di Como. Come si posiziona Forum elle Ticino rispetto alle sezioni della Svizzera romanda e della Svizzera tedesca?

I numeri della sezione Ticino sono specchio del nostro territorio, sia per l’ampiezza, sia per il bacino di utenza a cui attingere. Vi sono sezioni ben più numerose, come Lucerna o Zurigo. Ciò nononstante, i nostri eventi registrano una partecipazione elevata, che si attesta al 20-30%. Con grande soddisfazione del comitato, di cui fanno parte Franca Rezzonico, Simona Guenzani, cui si sono aggiunte, negli anni, Manuela Fasol, Graziana Kobler e Carla Mina. Un bel gioco di squadra!

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IL PRISMA dell’arte

Chiudi gli occhi: un invito provocatorio per inaugurare il percorso di visita di una mostra. Un’esortazione a maggior ragione spiazzante perché la scritta - “Close your eyes” in inglese, opera dell’artista di origini israeliane Haim Steinbach - giganteggia su una vetrata panoramica che si affaccia su un paesaggio spettacolare. Quello che circonda Villa Heleneum a Castagnola, dallo scorso aprile sede della Bally Foundation, che segna una svolta nella sua attività culturale iniziata nel 2006, in particolare grazie alla nomina di una direttrice artistica di prima caratura, Vittoria Matarrese. Nomen omen, una scelta ‘vincente’ quella del Ceo di Bally Nicolas

Dal più importante centro d’arte contemporanea europeo, alla guida della Bally Foundation: incontro con Vittoria Matarrese, che a Lugano porta
l’audacia e la profondità della sua visione curatoriale
© Bally Foundation - Foto Andrea Rossetti
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© Bally FoundationFoto Andrea Rossetti

IN APERTURA, L’INVITO DI HAIM STEINBACH, CLOSE YOUR EYES, 2003, E L’INSTALLAZIONE SONORA DI TANIA GHEERBRANT, TWIN IN THE CLOUDS AND OTHER STORIES, 2023 APRONO SPETTACOLARMENTE

IL PERCORSO DI VISITA DI UN LAC INCONNU, PRIMA

MOSTRA NELLA NUOVA SEDE DI VILLA HELENEUM

DELLA BALLY FOUNDATION, A CASTAGNOLA

A DESTRA, LA DIRETTRICE, VITTORIA MATARRESE

SOPRA, UN FOTOGRAMMA TRATTO DA SUKEN CITIES, VIDEO DI EMILIJA ŠKARNULYTE, 2021

Girotto, che ha saputo aggiudicarsi un profilo di rilievo internazionale, distintasi per l’innovatività della sua visione nei dodici anni da curatrice della programmazione culturale e dei progetti speciali del Palais de Tokyo di Parigi, reputato il più importante centro europeo di arte contemporanea. Cosa porterà di quella vocazione a superare i confini fra le diverse discipline artistiche che la caratterizza sin dal suo percorso di studi, partito dall’architettura per aprirsi progressivamente alle diverse discipline: cinema, danza, musica, arti performative…?

La prima mostra organizzata a Villa Heleneum, Un Lac Inconnu, che fino al 24 settembre riunisce oltre venti artisti internazionali, offre un primo assaggio di quella che vuole essere la futura evoluzione. A margine di una visita in una splendida giornata di tarda primavera, perfetta per esaltare la fusione fra questo luogo unico e il nuovo spirito che lo abita, abbiamo incontrato Vittoria Matarrese.

Da uno dei più rinomati e audaci poli per l’arte contemporanea come il Palais de Tokyo, afferente alla Città di Parigi, a una giovane Fondazione culturale di uno dei pochi brand del prêt-àporter svizzero, ubicata in un territorio ancora ai margini della grande scena artistica. Cosa l’ha spinta ad accettare la sfida?

Ho trovato la proposta del Ceo Nicolas Girotto incredibilmente bella, un’immensa fortuna proprio perché trattandosi di una

fondazione giovanissima c’è ancora tanto da immaginare e realizzare. Non vedo Lugano come un punto di arrivo ma come un crocevia tra Nord e Sud, alla confluenza di lingue, geografie, frontiere e sistemi di pensiero anche molto distanti, che ne fanno per me un territorio ricco di stimoli da sviluppare con gli artisti che intendo portare a scoprire questo territorio eccezionale. Malgrado la sua architettura un po’ classica, non voglio fare di Villa Heleneum un museo fisso nella sua immagine; dovrà essere un luogo dinamico e vitale, pregno di idee, creatività e persone. Una laurea in architettura, poi un’importante esperienza come redattrice e produttrice di programmi sul cinema d’autore. Come è approdata alla direzione artistica? Innanzitutto ho avuto il privilegio di una famiglia che non solo mi ha lasciata libera nelle mie scelte professionali, ma che mi ha spronata a viaggiare e appoggiata quando ho deciso di trasferirmi all’estero, cosa non frequente nella Puglia di quegli anni. Mi sono iscritta ad Architettura al Politecnico di Bari perché

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mi sembrava la formazione più artistica nella mia regione. Pur essendomi appassionata allo studio di questa disciplina che amo ancora profondamente, ho compreso che esercitarla come professione sarebbe stato completamente diverso. Già prima di laurearmi ho cominciato a collaborare con registi di teatro e di cinema, coreografi, fotografi... Quando mi sono trasferita a Parigi per un anno di Erasmus, la scoperta di un mondo culturale così intenso mi ha aperto nuovi orizzonti. In realtà, poi, tutto il mio percorso fino a oggi è stato indirizzato non tanto da scelte predeterminate quanto da incontri che si sono presentati passo dopo passo, in modo fortuito ma anche fortunato. Come interpreta oggi il ruolo di direttrice artistica alla luce del suo particolare percorso? Sono andata sempre più verso un lavoro curatoriale che mi assomiglia molto ed è difficile da definire, all’intersezione delle diverse discipline che nutrono i miei interessi. Mi piace essere accanto agli artisti di oggi, ‘viventi’, per poter discutere con loro, sostenerli e assistere ai loro processi creativi. Attraverso il prisma della loro sensibilità hanno una visione polivalente dell’attualità, riescono a pensare al futuro facendo convivere diverse prospettive: sociologica, politica, scientifica, estetica e poetica. Un’attitudine che ne fa, a mio avviso, i più grandi pensatori della nostra epoca. Sin dalle sue origini, nel 1851, Bally si è contraddistinta per la collaborazione con i talenti creativi, spingendosi oltre il campo della moda e interessandosi alle problematiche ambientali prima che diventassero un trend. Con l’istituzione della Fondazione, 17 anni fa, ha cominciato a sostenere la scena culturale della Svizzera italiana. Quale posto occuperà ora? Il mio desiderio è che la Fondazione abbia un’apertura internazionale ma che sia

al contempo ancorata al territorio. L’idea, a partire dal 2024 quando sarà pronto l’ultimo piano della Villa per ospitare le residenze artistiche, è di invitare qui i creativi, affinché possano lasciarsi ispirare dal luogo, la sua storia e la sua mitologia, la sua geografia, la sua botanica… Già in questa prima mostra collettiva abbiamo alcune opere site specific, fra cui proprio di un artista ticinese, Karim Forlin, che ha ideato una produzione basata sulla storia e giardini della Villa. Sono però contraria al protezionismo della scena locale, che ha il difetto di chiudere gli orizzonti, mentre credo nell’arricchimento reciproco grazie al confronto fra molteplici prospettive. Da qui la volontà di irrigare il territorio con nuove riflessioni e flussi di energia; libere collaborazioni e incroci piuttosto che incapsulamento.

Collaborazioni che andranno anche in direzione di sinergie con altre realtà culturali del territorio?

Sicuramente, un tessuto culturale non può sopravvivere se si chiude all’interno delle singole istituzioni. Ad esempio, possiamo già contare sull’importante collaborazione con il Masi, che a ogni edizione Bally Artist Award acquisirà e integrerà nelle sue collezioni l’opera del vincitore, dedicandogli anche una personale di due mesi. Vorremmo poi intensificare anche i rapporti con il Locarno Film Festival; ci sono progetti per la prossima edizione del Lugano Dance Project del Lac e per i 50 anni dalla epocale mostra curata da Harald Szeemann al Monte Verità. Inoltre anche a livello di prestiti la mia volontà è di attingere in primo luogo a Fondazioni, Kusthalle e Collezioni svizzere, anche per ragioni di sostenibilità. E cosa ne pensa dell’attuale scena artistica svizzera?

È sicuramente una scena potente, molto dinamica nelle diverse discipline, presente a livello internazionale, anche grazie a un’ottima politica di sostegno culturale. Ad esempio, sono orgogliosa di aver selezionato per Un Lac Inconnu delle opere di Caroline Bachmann, una pittrice di altissimo livello, ancora poco conosciuta ma pronta al grande salto, di fatti proprio quest’autunno sarà protagonista di un solo show al

SOPRA, LIGIA DIAS CI CATTURA NELLA SUA POETICA RETE CON ANTONI, 2021. NELLA PAGINA A DESTRA, ELIDE PEROI CON LALAGE, 2022 TESSE LE SUE ARCHITETTURE IMMAGINARIE © Bal l y Foundation -
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Crédac di Parigi. Anche a livello di galleristi, si contano tante realtà di grande spessore; quest’anno poi ad Art Basel abbiamo assistito a un’edizione, la prima di Vincenzo de Bellis, molto intensa, anche di forte impegno politico con le proposte della sezione Unlimited. Non resta che renderne più partecipe il Ticino.

Costruita negli anni Trenta, dopo la sporadica presenza della sua committente, la misteriosa ballerina Hélène Bieber, Villa Heleneum ha ospitato diversi inquilini di grande rilevanza intellettuale e scientifica. In che modo la Bally Foundation si relaziona con questi spazi così suggestivi, ma dalla forte personalità e distanti dalla sua proposta artistica votata alla contemporaneità?

In effetti è stata una delle grandi sfide con cui ci siamo confrontati già allestendo questa mostra, a partire dal rischio che le opere venissero ‘mangiate’ dal paesaggio. Ho ragionato stanza per stanza, veduta per veduta, quali lavori scegliere e come posizionarli. Mesi di ricerca e interrogativi.

Un Lac Inconnu vuole proprio essere un invito a lasciarsi guidare dal potere evocativo della natura circostante…

Il tema mi si è imposto la prima volta che ho varcato la soglia della Villa e mi sono ritrovata davanti alla finestra panoramica del soggiorno. Mi sono sentita allo stesso tempo proiettata nel paesaggio esterno e sprofondata in uno stato di contemplazione potentissima. Questa osmosi tra la natura circostante e l’interiorità ha richiamato alla mia mente un passaggio del Tempo ritrovato: Proust paragona infatti il subconscio a un lago sconosciuto. Tutte le opere sono ascrivibili al macrotema del paesaggio, ma lo sviluppano anche a un livello molto più intimo, svelando qualcosa dell’interiorità di chi le ha create. Un dialogo che corre di stanza in stanza e, più si sale, nei tre piani della Villa, più ci si immerge nelle proprie profondità.

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Bally Foundation
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Un rischio dell’arte contemporanea è di scoraggiare il pubblico, disorientato dalla molteplicità di linguaggi, spesso fortemente sperimentali e provocatori, non immediati da decifrare. Come riuscire a coinvolgerlo?

Ho scelto lavori con un livello di ingresso abbastanza semplice. Anche le opere più concettuali hanno sempre una dimensione poetica ed estetica intuitivamente accessibile. Nella mia visione una mostra riuscita è quella da cui si esce diversi come si era entrati, perché si è vissuto un viaggio interiore che ha nutrito una trasformazione personale. In futuro svilupperemo inoltre tutta una serie di attività di mediazione, dagli atelier per i più piccoli a incontri e talk per rendere la Villa un luogo frequentato e aperto a tutti. Ma già oggi ci sono guide molto preparate in sala, pronte a spiegare al pubblico le opere e a rispondere alle domande.

Come proseguirà il programma nella seconda metà dell’anno?

Alla mostra collettiva ne alterneremo una incentrata su uno o due artisti, il che ci permetterà di dare sostegno ai talenti emergenti. Questo autunno accoglieremo ad esempio una giovanissima artista saudita che vive a New York, nemmeno trentenne e ancora senza galleria, che proviene dal mondo della danza e della coreografia, un background che emerge chiaramente nel suo lavoro attuale dedicato alle arti plastiche.

Come si sta trovando a capitanare un piccolo team, abituata a tutt’altra scala?

Sicuramente sono molto più libera, anche grazie alla

fiducia da parte del Ceo Nicolas Girotto. Questo periodo di immaginazione dei futuri sviluppi e di pianificazione è molto valorizzante ed entusiasmante. Per me non solo non esistono confini fra le discipline, ma anche fra vita e lavoro: non mi fermo mai, dalla mattina non appena mi sveglio alla notte quando vado a dormire, annoto di continuo nuove idee… ed è elettrizzante vedere il mio team felice e la risposta del pubblico, che sta giungendo al ritmo di cento persone in media al giorno, con un’alta percentuale anche dall’estero. Numeri che danno grandi soddisfazioni.

Con la Puglia nel cuore, Lugano nella sua agenda, la città della vita però rimane Parigi? È lì che ho costruito in questi trent’anni di attività tutta la mia rete di contatti professionali, le relazioni che fanno di me quella che oggi sono. Parigi rimarrà centrale perché mi permette di tessere quello che potrò portare in Ticino. Ma altrettanto importante sarà però stare anche a Lugano, dove finalmente ho una mia casa, per respirare e vivere la dimensione del territorio come centro di ispirazione della mia attività di direzione artistica. Al momento sono ad esempio affascinata dal concetto di frontiera: quando sono qui a Villa Heleneum cerco di individuare dove passi il confine fra Svizzera e Italia, sembra quasi surreale quando flora e fauna sono le stesse che un limite politico divida due nazioni. Chissà che non diventi uno stimolo su cui far riflettere i primi artisti residenti…

SOPRA, LE FANTASIE E I FANTASMI DI WILLA WASSERMAN, CON MOON, 2022 IN ALTO, I GIARDINI DISEGNATI CON OMBRETTO E INCHIOSTRO DA HÉLÈNE MUNHEIM, RÉMANENCE 11 - HORIZON, 2022 © atelierFindArt Courtesy of the artist
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lighting

CALEIDOSCOPIO di visioni

Luce e buio: quale arte, meglio della settima, ne esprime la simbiosi? Immergersi nell’oscurità di una sala cinematografica ,o in quella notturna di una sessione openair, per proiettarsi in mondi altri grazie alle immagini che animano il grande schermo: narrazioni visionarie o testimonianze documentali, dall’intrattenimento spettacolare del blockbuster alla scoperta di produzioni indipendenti e talenti emergenti, perché no, offrendosi anche l’occasione di riassaporare un’intramontabile pellicola d’autore. È la magia di un’arte che prima di tutto è visione.

E dall’occhio, meglio di quanto ancora la realtà virtuale sappia fare, coinvolge tutti i sensi, portandoci altrove e, al contempo, dentro noi stessi.

Quale modo migliore di un festival cinematografico per celebrarla nella dimensione di condivisione e scoperta che ne è l’essenza?

In coincidenza con la 76esima edizione del Locarno Film Festival, dal 2 al 12 agosto, abbiamo voluto dare un’occhiata anche dietro ai suoi (tanti, tredici) schermi, grazie a tre dei molti profili femminili (il 59% dei circa 700 dipendenti) che contribuiscono alla sua grande macchina organizzativa, permettendo a spettatori, professionisti e artisti di condividere questo spazio unico per la creatività e la libertà di espressione.

internazionali la sua massima espressione. Il Locarno Film Festival, raccontato da tre sue ‘registe’
© Locarno Film Festival Photo Massimo Pedrazzini
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Daniela Persico

Membro del comitato di selezione dei lunghi, referente per la selezione Locarno Kids Screenings e curatrice de L’immagine e la parola

Daniela Persico, tra i suoi molteplici incarichi in seno al Locarno Film Festival, c’è quello di membro del comitato di selezione dei lunghi. A quali criteri si affida per affrontare questa responsabilità?

Seppur alcuni criteri di qualità siano oggettivi, i gusti personali contano molto: per questo è importante il confronto che avviene all’interno di un comitato, che riunisce personalità differenti. La particolarità di Locarno è individuare il cinema che sarà, quindi saper intuire i nuovi temi e le nuove tendenze che attraversano la nostra società.

Nel 2018 Locarno è stato tra i primi festival cinematografici in assoluto a firmare il “Programming pledge for parity and inclusion in cinema”, che tra l’altro ambisce ad assicurare l’equità fra autori e autrici selezionati. Già sembrano cogliersi i primi risultati: l’anno scorso le regie femminili di lungometraggi in anteprima al Festival sono incrementate al 36,7%, e il Pardo d’oro è andato a una donna, la regista brasiliana Julia Murat. Sì, negli ultimi anni, grazie ad azioni come questa, l’attenzione e il rispetto offerto alle opere a regia femminile sono totalmente cambiati. E Locarno - tra i grandi festival - è sicuramente uno dei più reattivi in questa trasformazione, inserendo nel comitato di selezione tante donne e lanciando delle giovani autrici nel panorama internazionale. La scelta di includere molti film a regia femminile nei concorsi dà un segnale decisivo a chi deve decidere i prossimi lungometraggi da finanziare.

Un segnale urgente: a livello globale, la percentuale di pellicole dirette da donne rimane infatti in netta minoranza. È difficile cambiare un dato di fatto dall’oggi al domani, anche quando ci si impegna a farlo. Ovviamente il problema non si può risolvere solo dal fondo e un festival resta una vetrina di opere che prima devono essere finanziate e prodotte. Potremmo dire che il cinema è stato fatto da uomini fin dall’inizio ed è difficile individuare delle figure femminili come modelli (e sappiamo quanto siano rilevanti delle figure faro nel creare nuove prospettive nelle generazioni successive).

Su questo grava una “storia del cinema” che è stata scritta

per lo più da uomini che hanno trascurato l’apporto di alcune figure femminili di rilievo. La scarsa autorevolezza loro riconosciuta è ancora evidente: anche le autrici affermate hanno budget inferiori rispetto ai loro colleghi, anche perché i loro film ricevono con maggiore leggerezza una critica negativa, che ne metta in luce i difetti. Questo succede perché le donne che arrivano alla regia sono meno soggette a dei codici di linguaggio e per questo, secondo me, stanno creando le narrazioni più originali e stimolanti.

Lei è anche responsabile del nuovo progetto Locarno Residency: qual è oggi il legame tra i giovani autori e il Locarno Film Festival?

I giovani cineasti sono estremamente importanti per il Locarno Film Festival: la programmazione è particolarmente stimolante perché a noi spetta individuare i talenti di domani. Questa instancabile ricerca accomuna diverse realtà: dalle Academy al BaseCamp fino ai programmi Industry e alla Residency. Quest’ultima, organizzata grazie al supporto di Swiss Life, è il progetto più ambizioso: accompagna i tre registi vincitori in un percorso di mentoring di un anno, tra Venezia e Locarno, durante una prima fase della scrittura delle loro opere prime. Oggi, più che mai, è essenziale che i giovani trovino interlocutori

IN APERTURA, UNA SPETTACOLARE PIAZZA GRANDE GREMITA AL MASSIMO DELLA SUA CAPIENZA DI OTTOMILA POSTI. QUEST’ANNO, LA 76ESIMA EDIZIONE DEL LOCARNO FILM FESTIVAL SI SVOLGE DAL 2 AL 12 AGOSTO
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© Locarno Film Festival

attenti a far emergere la loro particolare voce, evitando di inciampare troppo presto nella standardizzazione verso cui spinge il mercato. Per mediare tra le due istanze, che da sempre contraddistinguono il cinema, ci vuole una certa maturità.

I suoi impegni legati al cinema non finiscono con quelli già citati, ma si moltiplicano con diverse altre attività, che testimoniano una passione a 360 gradi. Sì, e in particolare, quando mi hanno offerto di occuparmi anche di Locarno Kids, ho accolto con piacere la proposta perché credo molto che il cinema renda gli spettatori dei cittadini migliori.E si inizia da piccoli. La magia del ‘vero’ cinema sta in questo atto trasformativo che cambia impercettibilmente ognuno di noi. Per questo talvolta è doloroso vedere un film, altre volte fa discutere o ci fa interrogare su cosa veramente succeda sullo schermo: se le domande restano in noi, ci rendono delle persone complesse, capaci di articolare dei sentimenti e dei ragionamenti che includano l’altro. Del resto, solo il cinema ci fa vedere il mondo da un’altra prospettiva, a volte così difficile da accettare. Quando poi le domande sono condivise con altri, sono il veicolo per formare delle nuove comunità, cosa di cui la nostra società ha da sempre bisogno. Questa è la magia di un Festival come Locarno.

Fabienne Merlet, abitando a Locarno ha sempre vissuto l’atmosfera del Festival. Come è cambiata la sua percezione passando dietro le quinte, negli ingranaggi dell’organizzazione? Da bambina, Locarno Film Festival significava il film per le famiglie; da adolescente era lo stupore di Piazza Grande e la scoperta di storie inedite da Paesi lontani con la sezione Open Doors. Da quando ci lavoro, è diventata una macchina dei sogni. Offre una piattaforma unica per cineasti, creativi e amanti del cinema e della cultura.

Ogni anno sono testimone in prima persona delle emozioni e le riflessioni profonde che le proiezioni suscitano nel pubblico e dell’entusiasmo che circonda le opere di talenti emergenti e di registi affermati. Il Locarno Film Festival svolge un ruolo cruciale nel rafforzare il tessuto culturale cantonale e nazionale ed è un faro nel mondo per l’industria cinematografica.

Qual è la più grande sfida nel lavorare oggi, nel 2023, per la comunicazione e il marketing di un festival cinematografico di rilevanza internazionale come quello di Locarno?

Fabienne Merlet Responsabile comunicazione e marketing

Oggi il pubblico ha accesso a una varietà di film, programmi ed esperienze direttamente nelle proprie case, il che rende cruciale sottolineare l’unicità di un’esperienza collettiva come quella che offre un festival cinematografico e lavorare per personalizzarla. Il coinvolgimento dei social media in questo senso è fondamentale, ma richiede una pianificazione attenta e un costante aggiornamento per gestire efficacemente le diverse piattaforme e coinvolgere un pubblico molto diversificato. Anche la sostenibilità è un aspetto che non può essere trascurato. È importante promuovere la diversità e l’inclusione nei contenuti e nella comunicazione, in modo da rispondere alle istanze della società contemporanea e arrivare a coinvolgere un pubblico più ampio. L’anno scorso si è occupata proprio della stesura del Rapporto che il Locarno Film Festival dedica alla tematica.

È una responsabilità nei confronti della regione che ci ospita e del nostro pubblico. Nel corso degli anni, abbiamo stabilito partnership strategiche per promuovere la sostenibilità, poiché crediamo che solo attraverso una rete di intenti sia possibile raggiungere questi obiettivi nel lungo termine. Tra le iniziative più significative, vorrei

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Photo Pablo Gianinazzi

menzionare il Green Film Fund, un progetto ancora in fase di sviluppo, attraverso cui miriamo a diffondere pratiche sostenibili nella produzione cinematografica e a dare visibilità alle opere che meglio riflettono tematiche di sostenibilità.

Inoltre, desideriamo coinvolgere il pubblico in questo nostro impegno. Per questo motivo, grazie alla nostra partnership con le Ffs, abbiamo introdotto la possibilità di viaggiare gratuitamente in tutto il Ticino sui mezzi di trasporto pubblico acquistando un qualsiasi titolo d’accesso al Festival. Infine, vorrei evidenziare l’importante contributo di Ubs nella co-creazione dell’Audience Academy. Questo programma intensivo consente al pubblico di vivere l’esperienza dietro le quinte della nostra organizzazione e di proporre soluzioni e idee per rendere il Festival uno spazio ancora più inclusivo e accessibile, grazie a un focus annuale su una tematica specifica legata alla sostenibilità in senso ampio.

Da tre anni, il manifesto del Locarno Film Festival viene selezionato attraverso un concorso internazionale. In quello scelto per questa 76esima edizione, fra gli oltre mille candidati, compare anche una figura femminile. Quale anima del Festival racconta quest’immagine?

La nostra community è una parte fondamentale nella costruzione del Festival. Condividere con loro la responsabilità di pensare all’immagine dell’edizione ci permette di creare insieme un evento carico di significato. Siamo sempre affascinati dalla varietà di proposte che ci arrivano da appassionati di tutte le età e da tutti i continenti.

L’identità visiva di Locarno76 è stata ideata da un talentuoso duo britannico, Sarah e Ciaren Diante. L’immagine che hanno creato è intrisa di mistero, invitando il pubblico ad aprirsi alla scoperta di un mondo in continua evoluzione, con confini e prospettive mutevoli, proprio come il Festival stesso. Questa immagine visiva è un invito a esplorare, a spingersi oltre i confini convenzionali e ad abbracciare l’esperienza unica che il Festival offre. Vogliamo che il nostro pubblico si immerga in un’avventura di scoperta e di connessione con diverse realtà e punti di vista, alimentando così la sua passione per il cinema e l’arte.

Daria Voumard, il Locarno Film Festival non è unicamente un punto di riferimento per cinefili appassionati o spettatori in cerca di un’offerta culturale e di un intrattenimento di alta qualità, ma anche un crocevia per i professionisti dell’industria cinematografica. Nel 2022 avete avuto un record di partecipazioni a Locarno Pro, con circa 1.400 persone accreditate. Cosa si offre loro durante i giorni della rassegna?

Nella preparazione di ogni edizione ci chiediamo: come possiamo aiutare i film selezionati dalla direzione artistica a Locarno a circolare in altri festival e a essere scoperti da altri pubblici, comprati e distribuiti in più territori possibili? A partire da questa domanda riflettiamo su che tipo di industria e quali player sono importanti per Locarno, consolidando relazioni e creando contatti con i professionisti più affini.

Proponiamo poi delle attività mirate: una piattaforma di co-sviluppo per progetti di lungometraggio provenienti da Austria, Francia, Germania, Italia e Svizzera, un think tank internazionale a cui partecipano executives dell’industria internazionale per discutere di tematiche attuali, e una sezione di film in fase di finalizzazione (ogni anno da un Paese differente) che cercano di fare i primi passi nel circuito internazionale. Un punto forte di Locarno Pro sono le attività dedicate ai professionisti e alle professioniste più giovani, che operano in ambito di distribuzione, vendite internazionali, fondi di finanziamento, produzione, ecc.

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Photo Sabine Cattaneo

Quali sono le qualità distintive di Locarno Pro rispetto ai pesi massimi dei circuiti per professionisti di una Cannes o una Venezia?

Rispetto a mercati, eventi di industria o festival frenetici, a Locarno Pro diamo priorità alla cura del programma; ogni incontro, iniziativa, momento di networking professionale è pensato in base all’ospite e al suo profilo professionale. Puntiamo quindi molto sui momenti di incontro di qualità, curando nel minimo dettaglio anche un invito a uno dei pranzi che organizziamo: non lasciamo mai nulla al caso, studiamo i profili degli invitati e li facciamo sedere con quelli che riteniamo possano essere potenziali partner per il futuro.

Poi, come anticipavo e analogamente al Festival, Locarno Pro racchiude nel suo Dna uno spirito di ricerca e scoperta di nuovi talenti, altro aspetto che ci distingue da altri grandi eventi meno accessibili alle nuove generazioni di professionisti. Concretamente questa vocazione si traduce in tre attività: Match Me! - una piattaforma per produttori emergenti; Industry Academy - un workshop per giovani che lavorano nell’industria con un massimo 2-3 anni d’esperienza; e U30 - un forum di discussione per professionisti sotto i 30 anni.

Una delle volontà del Festival, con la strategia Locarno 365, è quella di andare oltre la decina di giorni della rassegna per diventare una piattaforma durante tutto l’anno. Quali opportunità di affrono in questa caso ai professionisti?

Sin dal 2014 Locarno Pro è attivo tutto l’anno in particolare grazie all’Industry Academy, un workshop di 4-6 giorni dedicato ai giovani professionisti dell’industria che avviene a Locarno ad agosto e in altri momenti dell’anno, in differenti regioni del mondo. Grazie alla collaborazione con festival, mercati e laboratori internazionali, la Locarno Industry Academy è presente attualmente in Grecia, Libano, Sud Africa, Cile, Brasile, Costa Rica, Colombia, Messico, Stati Uniti e India.

Abbiamo poi anche una serie di progetti online attivi 365 giorni l’anno, che si sono concretizzati negli ultimi tre anni, complice anche la pandemia del 2020. Mi riferisco in particolare al lancio di due nuove iniziative online: Heritage Online, un database attivo tutto l’anno che si impegna a dare una nuova vita commerciale ai film classici,; mentre grazie ai nostri colleghi di Open Doors, la Toolbox, una piattaforma online sempre accessibile offre risorse e contenuti che aiutano filmmakers e produttori delle regioni ai quali Open Doors si rivolge. Le riflessioni per ulteriori progetti, poi, non si fermano mai.

TRADIZIONALMENTE A SOSTEGNO DEL CINEMA INDIPENDENTE E DELLA SCOPERTA DEI TALENTI EMERGENTI, IL LOCARNO FILM FESTIVAL È PERÒ ANCHE IL FASCINO DEL SUO RED CARPET, CON LE TANTE PERSONALITÀ DEL MONDO DEL CINEMA CHE RAGGIUNGONO IL TICINO

NEI GIORNI DELLA MANIFESTAZIONE

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© Ti-Press Photo Luca Dieguez

“Vengo al Festival da quando avevo 22 anni e sicuramente le prime edizioni sono state quelli più significative, essendo una semplice spettatrice: ho scoperto che il cinema si poteva fare quasi senza mezzi, ma che al contempo era una potente macchina del tempo e dell’anima grazie a “Fragments sur la grâce” di Vincent Dieutre. Ho sentito che non era giusto nascondere la propria sensibilità femminile ma farla diventare la propria forza grazie a “Vogliamo anche le rose” di Alina Marazzi e ho attraversato i profondi interrogativi politici della nostra generazione con “Low Life” di Nicolas Klotz ed Elisabeth Perceval, un’opera poetica e allucinata sul grande buio rispetto alle politiche sui migranti”

“Il cinema, come le altre arti, ti trascina in un viaggio che ti costringe a sfidare continuamente te stesso e le tue convinzioni, spingendoti ad aprirti a nuove prospettive e a mettere costantemente in discussione ciò che credevi fosse immutabile. Pur nella difficoltà di fare solo un nome, un film che al tempo mi aveva molto colpita è “La Fille de Nulle Part” di Jean-Claude Brisseau, Pardo d’oro nel 2012. Allora ventenne, ero rimasta colpita - quasi scossadal modo in cui il affrontava il tema del desiderio e della solitudine, ma anche la fantasia e la ricerca quasi ossessiva di una connessione emotiva in un mondo che sembra esserne privo. Un film che mi ha fortemente spinto a riflettere su come fantasia e desideri possano influenzare le nostre vite”

“Più che un film in particolare, direi l’edizione del 2012, la mia prima da abbonata. All’epoca ancora studiavo e benché già andassi al cinema con regolarità, mi capitava di vedere soprattutto film mainstream. Quelli indipendenti erano pochi e comunque erano film che avevano avuto successo commerciale o ricevuto premi in festival importanti.

In quella 65esima edizione avevo seguito praticamente tutto il Concorso internazionale e Cineasti del presente, non sapendo spesso a cosa andassi incontro. Fu una vera e propria scoperta, in tutti i sensi. Fra quelli, il film che ricordo con più piacere è “Not in Tel Aviv” di Nony Geffen, un’opera prima in bianco e nero, in cui ad un certo punto suonano “Giant Heart” dei theAngelcy, ancora oggi una delle mie canzoni preferite. Locarno 2012 è stata la prima vera immersione nel cinema d’autore e da lì non sono più tornata indietro”

Daniela Persico Fabienne Merlet Daniela Voumard
Il film, fra quelli scoperti a Locarno, che ha più inciso sulla mia sensibilità cinematografica…

Dare

Un 2021 da incorniciare. Campionessa europea nei 60 metri indoor, poi l’exploit delle Olimpiadi di Tokyo, dove conquista il quinto posto nei 100 metri con i suoi 10’’97, superata solo dalle inafferrabili giamaicane e dalla velocista ivoriana. A coronamento, non poteva sfuggirle il titolo di atleta svizzera dell’anno e quello di miglior sportiva ticinese. Grande gioia, grande attenzione mediatica, ma gli obiettivi rimangono chiari: a 25 anni, Ajla Del Ponte è tra le poche europee a esser entrata nella top ten delle sprinter mondiali, anche più rapidamente di quanto mai sognato.

TEMPO

al tempo

Non semplice fermarsi per una sprinter abituata a rincorrere i centesimi di secondo. Dall’esperienza dell’infortunio Ajla Del Ponte sta imparando ad ascoltare il proprio corpo e la lezione della pazienza.

Per tornare in pista a battere i suoi record, veloce come la luce

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© Lukk2008 World Athletics Diamond League Lausanne 22

Il 2022 inizia però in salita: prima uno strappo al gluteo, poi un’infiammazione al tendine del bicipite femorale rallentano la preparazione. Da fine aprile comincia ad avvertire una pressione nella tibia della gamba sinistra. Quando anche dopo una pausa di 7 settimane non constata alcun miglioramento, capisce che si tratta di qualcosa di serio. «Diagnosi: tripla frattura da stress alla tibia. Era il 18 ottobre. Il periodo più difficile è stato il primo mese in cui ero incerta se farmi operare: si tratta infatti di un intervento abbastanza complesso, di solito è una problematica tipica dei pallavolisti. Ma siccome, anche dopo aver modificato il carico degli allenamenti, gli esami non hanno evidenziato alcun miglioramento, è stato chiaro quale fosse la soluzione. Da quel momento la mia mente si è fissata sull’obiettivo di arrivare il più possibile in forma all’operazione», racconta Ajla Del Ponte. Infatti, operata il 7 dicembre in Olanda, dove è basato il suo allenatore, poche ore dopo cominciava già con i primi piccoli esercizi per mantenere muscoli attivi. «Il 27 gennaio sono potuta tornare per la prima volta in pista e il 20 marzo ho potuto rindossare le chiodate: due momenti fondamentali», sottolinea la velocista ticinese. Poi tornare a correre una volta la settimana, due… impossibile programmare a lungo termine come di solito fa un atleta, «Bisogna imparare ad ascoltare il proprio corpo, accettare di sospendere un esercizio se dà fastidio senza fasciarsi la testa, prendere ogni progresso come un regalo. A mantenere alto il morale, mi ha aiutata moltissimo poter condividere questi momenti con le altre due ragazze del gruppo di riabilitazione», sottolinea Ajla.

La pausa forzata non le ha permesso di concedersi piaceri ai quali di solito deve rinunciare, anzi… «Mi sono allenata persino più ore, curando aspetti di solito trascurati, come la forza e la condizione generale. Ho potuto lavorare su alcuni punti deboli, ma ho anche dormito di più e mangiato meglio per favorire il recupero. Ho potuto ricominciare a leggere molto, altra mia grande passione, insieme alla storia,

che mi accompagna persino da prima della corsa. Al contempo ho cercato di rendere le persone partecipi sui social e con la mia newsletter, anche per dare un messaggio ai giovani sportivi che vivono un momento simile senza avere nessuno con cui parlarne. Volevo mostrare che queste difficoltà possono capitare nel percorso di un atleta», commenta. Ad aprile sono ripresi i veri e propri allenamenti: anche in questo caso bisogna dare tempo al tempo, affrontare la frustrazione di faticare nel ritrovare le stesse performance svolgendo gli abituali esercizi. Poi il riavvicinamento alle competizioni: «Alla prima ero nervosissima, ho commesso tutti i possibili errori. Alla seconda gara mi sono infortunata a un quadricipite, come accade spesso dopo un’operazione. Stavo accelerando troppo. Da questa esperienza ho scoperto anche di avere una soglia del dolore molto alta, dunque si tratta di imparare a gestire questa incapacità del mio corpo a darmi le giuste informazioni, oltre che a tenere a freno il mio carattere impaziente», ammette. Più che naturale, per chi è abituato a rincorrere i centesimi di secondo. Gli ultimi esami hanno confermato la perfetta guarigione della tibia. A fine giugno quando l’abbiamo intervistata era a Losanna come ambasciatrice di Athletissima. Le priorità sono chiare: con le Olimpiadi 2024 nel mirino occorre arrivare in perfetta condizione alla preparazione in autunno, perciò l’eventualità di non gareggiare più in questa stagione per poi arrivare a giocarsi al top Parigi la accetterebbe con serenità. Dopo qualche giorno a casa, nel suo Ticino in cui torna sempre molto volentieri, così come ama ritrovare le montagne svizzere, è di nuovo in Olanda. Certo, il desiderio di riassaporare il piacere della corsa si fa sentire, nelle gambe e nella mente: «Lo sprint, la velocità della corsa, è pura libertà. In allenamento ci si prepara, si pensa e analizza, si imparano a controllare tutti i movimenti, perché poi in gara, nel lampo di quei 100 metri, bisogna lasciar ‘correre i cavalli’ senza pensare. È un regalo che la vita mi ha concesso per gli anni di carriera sportiva. Dopo i risultati del 2021 so di avere persino il potenziale di migliorare. E l’infortunio mi dà ancor più voglia di gustare nuovamente di quella libertà», conclude Ajla. Appuntamento in pista.

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IN QUESTE PAGINE, DUE ‘VERSIONI’ DI AJLA DEL PONTE, IN PISTA E IN ABITO DA SERA, SEMPRE RAGGIANTE
NUOVI PARADIGMI DI SUSANNA CATTANEO

RIVOLUZIONARIA ETICHETTA

Imbattersi in un prodotto tradizionalmente legato all’immaginario maschile come la grappa potrebbe sembrare quantomeno sorprendente sulle pagine di un femminile. Ma quella della Nonino, di storia, ne sfata molti di cliché. Con 126 anni di storia, l’azienda friulana è stata la prima distilleria italiana e l’unico brand di grappa incoronato Migliore Distilleria del Mondo dal Wine Enthusiast Wine Star Awards, il più importante premio internazionale di Wine&Spirits. Il contributo femminile nella sua storia è fondamentale, a partire da Silvia Nonino, che rimasta vedova a inizio anni ’40 è stata la prima donna a capo di una distilleria. Decisivo poi l’apporto della mitica nonna Giannola, oggi brillante 85enne, che intuendo come fosse fondamentale nobilitare il prodotto, insieme al marito Benito ha rivoluzionato, nel rispetto della tradizione, il sistema di produrre e presentare la grappa nel mondo, creando la prima Monovitigno nel 1973. Altrettanto vincente fu la sua idea di racchiudere il nettare così ottenuto in raffinatissime ampolle di vetro soffiato e offrirle in omaggio ad alcune personalità dell’epoca. Conquistato dalla qualità del prodotto, Gianni Agnelli ne divenne il primo ambasciatore. Un talento per la comunicazione ereditato anche dalla nipote, Francesca Bardelli Nonino. Che di sfida ne ha vinta una non da poco: reinterpretare la grappa in chiave social. Dopo aver preso in mano la comunicazione web del Gruppo sei anni fa, fresca di studi in economia, bartender con master in Social Media Communication, si è fatta le ossa sul campo, riuscendo a costruire la presenza online dell’azienda di famiglia. Oggi conta 21mila follower su Instagram e ben 78.500 su Linkedin dove i suoi post collezionano fino a 1,5 milioni di impressions.

L’occasione per incontrala a Lugano l’ha offerta a inizio giugno il premio “Digital Night” che atedAssociazione Ticinese Evoluzione Digitale attribuisce ai talenti più rivoluzionari del mondo digitale.

Sommelier, Wset III livello, TedxSpeaker e aspirante Mastra Distillatrice, l’etichetta di cui Francesca Nonino va più orgogliosa è quella di “influencer della

grappa”. «È stata la soddisfazione più grande
32 NUOVI PARADIGMI DI SIMONA MIELE
‘Influencer della grappa’: un titolo di cui Francesca Bardelli Nonino va particolarmente orgogliosa. Sesta generazione della migliore distilleria al mondo, ha saputo aggiornare la comunicazione di un prodotto tradizionale ai codici del digitale

della mia vita! È arrivata del tutto inaspettata e mi ha dato la conferma che era vero quello che sentivo nel cuore: la grappa può essere divertente, moderna e coinvolgente anche per le nuove generazioni, se raccontata nel modo giusto! Nella clip che mi è valsa il ‘titolo’, mostravo dall’orto della nonna i bellissimi pomodori fertilizzati con la vinaccia distillata, spiegando che secondo me diventano così belli proprio perché nutriti da tutto l’amore che mettiamo nel nostro lavoro. Quando l’ho condiviso su LinkedIn un giornalista mi ha dedicato un articolo intitolato: “La Grappa ha la sua influencer”. Una vera benedizione e una gioia. Un concetto modernissimo come quello di influencer, applicato a un prodotto tradizionale: trovo sia rivoluzionario ed efficace nello stesso tempo», osserva Francesca.

Un concetto modernissimo come quello dell’influencer, applicato a un prodotto tradizionale come la grappa: trovo sia rivoluzionario ed efficace nello stesso tempo

Francesca Bardelli Nonino influencer della grappa, sesta generazione Nonino

Nonna Giannola ha subito intuito che la nipote era sulla strada giusta per traghettare l’azienda alle nuove generazioni. Proprio in suo omaggio è nata la prima campagna di comunicazione di grande successo ideata da Francesca, #Giannola80. «Siccome ci aveva proibito di organizzarle una festa per il suo ottantesimo compleanno, ho pensato di usare il digitale, realizzando un video che raccogliesse gli auguri di tutte le personalità (giornalisti, scienziati, filosofi, presentatori tv, star mixologist, la squadra di calcio dell’Udinese e tanti altri) che è riuscita a coinvolgere negli anni con il suo entusiasmo e la sua passione per il lavoro. L’idea ha raccolto talmente tante adesioni da ottenere articoli sulle più importanti testate nazionali ed essere citata anche in televisione, #Giannola80 è diventata una campagna marketing incredibile», racconta Francesca.

E alla fine, davanti al video, nonna Giannola si è commossa tantissimo: al posto delle critiche, la sua “influenza” come soprannomina simpaticamente la sua “virale” nipote, si è meritata un grande abbraccio.

Tutto è cominciato durante la pandemia, che ha privato l’azienda dei suoi principali strumenti di marketing, ossia le visite guidate in distilleria e le presentazioni in giro per il mondo. «Ho allora iniziato a organizzare delle masterclass online gratuite e a parlare della nostra distillazione artigianale per fare capire quanto meravigliosa sia la storia della Grappa Nonino a più persone possibili», spiega Francesca Nonino.

«La più grande responsabilità che sento lavorando per un’azienda di famiglia di oltre 120 anni è quella di riuscire a rendere orgogliose contemporaneamente le generazioni passate, presenti e future. Come giovane donna professionista in questo settore mi preme invece parlare di alcolici responsabilmente e combattere e denunciare apertamente il sessismo che ancora oggi c’è online e nel mondo del lavoro», conclude Francesca, entusiasta dell’accoglienza che le ha riservato Lugano in occasione della Digital Night di ated e pronta a contraccambiare coloro che si concederanno un tour nel cuore delle vigne friulane, a Ronchi di Percoto, per scoprire l’arte secolare della distillazione Nonino 100% artigianale.

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© Nonino Photo Giulia Iacolutti

CON UNA MARCIA IN PIÙ

L’unico tetto di cristallo, qui, è quello della spyder

MC20 Cielo. Per il resto, nella Casa del Tridente l’affermazione e la leadership femminili, in un ambito ritenuto tradizionalmente maschile, sono realtà.

Pronte, partenza, via!

Ènoto. Diversità, equità e inclusione fanno bene alle aziende. Le organizzazioni in grado di valorizzare l’unicità dei collaboratori e delle collaboratrici hanno infatti maggiore potenziale innovativo. Una prospettiva irrinunciabile per realtà aziendali che affondano le proprie radici in un passato lontano, ma che sono per vocazione proiettate verso il futuro. È il caso della storica casa automobilistica Maserati. Per rispondere adeguatamente alle sfide tecnologiche e a quelle del mercato, che sollecitano capacità e potenzialità, l’apporto delle collaboratrici fa la differenza. Tanto è chiaro che, in Maserati, di cui il Tridente è l’iconico simbolo, già il trentacinque percento dei collaboratori è rappresentato da donne. Senza allinearsi per forza ai modelli maschili e neppure emulando dinamiche consolidate, le

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signore apportano valore al contesto professionale per la diversità di pensiero, di competenze e di approccio al lavoro. Peraltro - e abbondano gli studi che lo confermano - la tradizionale o convenzionale leadership maschile, caratterizzata da individualismo e assertività, sta diventando progressivamente inadeguata per gli attuali modelli di management, che privilegiano invece tratti più ‘femminili’ come la socialità, l’empatia, la cooperazione. Del resto, la chiave del successo in qualsiasi carriera, e per ogni tipo di azienda, non è certo confinata nei limiti dell’adattarsi a un modello, quanto piuttosto nel trovare un percorso

A SINISTRA, DALL’ALTO, VALERIA BIRAU, STRATEGIC PLANNING MANAGER, E FEDERICA FORTUNATO, ENGINEERING - PROPULSION SYSTEMS; SOTTO, DALL’ALTO, ELISA WELTERT, GENERAL MANAGER SOUTH EUROPE, E SONIA LAURIA, VEHICLE SYNTHESIS MANAGER; NELLA PAGINA ACCANTO, MC20, LA SUPER SPORTIVA DALLE LINEE SEDUCENTI

SOTTO, ESEMPIO VIRTUOSO, QUELLO DI MASERATI, DOVE IL 35% DEI COLLABORATORI SONO DONNE

NELLA PAGINA ACCANTO, LIVIA CHIANI, COLOR AND MATERIAL SPECIALIST AL MASERATI CENTRO STILE. SPAZIO LIBERO ALLA FANTASIA, NON SOLO DELLE CLIENTI, CON IL PROGRAMMA ‘FUORISERIE’ CHE PERMETTE DI PERSONALIZZARE L’AUTO

che permetta di prosperare come individui e di avere un impatto significativo sui risultati dell’azienda. Maserati, con i suoi 1.500 dipendenti nel mondo (un terzo a Modena), va incontro al futuro aggiungendo più ‘rosa’ nel proprio organico. Un futuro che ha tra i suoi capisaldi l’elettrificazione e l’inclusività. «L’intera gamma Maserati avrà entro il 2025 una versione elettrica per ogni modello e sarà full-electric entro il

una modalità operativa: a sottolinearlo sono Simona Prampolini, Learning & Diversity Manager, e Julie Taieb Doutriaux, Brand Marketing Manager Emea (Europa, Medio Oriente e Africa), la quale pone anche l’accento sull’importanza di raggiungere nuovi clienti su scala mondiale, sottolineando la prerogativa di una personalizzazione totale.

A questo proposito - e ancora una volta è una donna -, Livia Chiani, Color and Material Specialist Maserati Centro Stile, si sofferma su ‘Fuoriserie’, il programma di personalizzazione di Maserati. Industrial Designer con un’attenzione particolare per la sostenibilità, Livia nota come «Le due collezioni espressive ‘Corse’ e ‘Futura’ sono la base per una miriade di possibili combinazioni». Tutto è possibile. Brand globale, Maserati guarda alle donne anche come clienti:

2030», esordisce Elisa Weltert, general manager South Europe (la prima donna a rivestire questo ruolo per la Casa di Modena). «A testimoniare questo processo di cambiamento, sono oggi Maserati GranTurismo Folgore, che è la prima vettura 100% elettrica nella storia del brand, e Grecale Folgore, il primo Suv totalmente elettrico», nota Elisa. L’inclusività, dal canto suo, è un concetto che pervade diverse sfere. È un obiettivo, sì, ma è anche

«Le signore hanno la propria auto, che scelgono generalmente da sole, in particolare quando si tratta di alta gamma. Prediligono la praticità ma cercano modelli accattivanti e ‘stilosi’. Un modello come, per esempio, Grecale, mix di performance e lusso racchiuso in un’estetica seducente, piace molto alla clientela femminile», sintetizza Elisa Weltert. Mentre Ana Paola Reginatto, che si occupa di E-Mobility e Connettività, sottolinea la necessaria attenzione

36 NUOVI PARADIGMI

per le specificità delle clienti: tutt’altro che banale, l’esigenza per esempio di salire in auto e guidare calzando un tacco alto! Conoscere e voler assecondare le caratteristiche squisitamente muliebri, che si tratti di clienti o di collaboratrici, ha reso Maserati disinvolta nella scelta di donne anche in funzioni culturalmente e tradizionalmente maschili: «Ora, diversamente da quanto capitava negli anni passati, non stupisce più una donna a capo di tanti uomini», nota Michela Lomio, production manager nello stabilimento di Modena, responsabile di tre reparti. A Modena si realizza la MC20 Cielo: MC è l’acronimo di Maserati Corse; 20 fa riferimento al 2020, anno in cui è iniziata la nuova era del marchio; Cielo sottolinea che si tratta di un modello votato al piacere di guida ‘open air’, pur mantenendo tutte le prerogative della coupé. La Cielo offre un perfetto mix di sportività e lusso grazie a un dettaglio unico nel segmento: l’innovativo tetto in vetro retrattile.

Dallo stabilimento modenese, «ne escono 6/7 al giorno, per un totale di 1.300 l’anno», aggiunge Lomio che, come un direttore d’orchestra, coordina passaggi produttivi e team differenti.

Irradiandosi, la presenza femminile sta coinvolgendo praticamente tutti i settori.Siamo andate a Modena, per incontrarle nelle loro diverse postazioni e funzioni: Valeria Birau, strategic planning manager, puntualizza l’importanza per Maserati, come unico marchio ‘lusso’ del gruppo Stellantis di cui fa parte, di particolari strategie. C’è poi Federica Fortunato, ingegnere, che si occupa di propulsori: il motore per lei non ha segreti; mentre Sonia Lauria è ingegnere e test driver: velocità, come pure transizione ecologica e sicurezza sono per lei pane quotidiano, ma non prima di aver accompagnato i suoi bimbi a scuola.

Al termine di una visita di due giorni, andiamo via soddisfatte. Ne abbiamo viste delle belle! E schiacciando sull’acceleratore, il vento tra i capelli, è tempo di modificare il vecchio andante: Donne e motori, gioie. Punto.

Il resto è un futuro tutto da inventare, ma che si preannuncia elettrizzante e sostenibile, in tutti i sensi.

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Da una parte chi è spaventato dalla minaccia di una disumanizzazione dei rapporti a opera delle nuove tecnologie, dall’altro chi pensa che l’avvento del digitale possa essere considerato come uno strumento efficace ai fini di dedicare più risorse per la comunicazione e la collaborazione. Chi ha ragione? Se è vero che la tecnologia ha sostituito alcune mansioni routinarie o ripetitive - e aggiungo io talvolta anche di basso

ficial intelligence potrà sostituirsi in quella parte creativa di analisi dei bisogni e nello sviluppo di una strategia condivisa di crescita in un’ottica winwin, nella consapevolezza che il capitale umano a oggi è il bene più importante di un’impresa, nonché uno dei fattori chiave di successo.

Ciò detto, diverse sono le fasi dei processi HR che negli ultimi anni le aziende tendono a delegare all’intervento tecnologico; basti pensare al reclutamento, con sistemi di avanguardia nello screening delle candidature o alla gestione delle paghe, con software customizzati ad hoc, o ancora l’analisi dei big data, ovvero raccolta, analisi e reportistica dei dati analitici sui dipendenti.

Gli attuali processi di trasformazione digitale necessitano di continua esplorazione di nuove soluzioni, sperimentazione e programmi di apprendimento periodici. Tuttavia ciascun cambiamento richiede che ogni risorsa sia pronta ad accogliere una rivoluzione sia culturale che comportamentale tutt’altro che facile.

conciliare

tecnologia e rapporti umani

valore aggiunto - al contempo ha liberato tempo per dedicarsi ad aspetti centrali nella gestione del personale, quali lo sviluppo e la crescita. Pensiamo alle tante aziende che spendono molto tempo ad attrarre e inserire nuovi collaboratori per poi vederli abbandonare il posto di lavoro perché si sentono trascurati, quasi come fossero rimasti alle griglie di partenza. È lì che un bravo gestore di risorse umane, sia esso a capo dell’azienda o di un team, può fare la differenza. Mettere la persona al centro è un elemento fondamentale di motivazione e nessun prodotto di arti-

In un momento di mercato incerto e volatile, nuovi competitor appaiono continuamente e le tecnologie che regolano il lavoro si evolvono regolarmente:

l’azienda deve potersi adattare costantemente, avere personale formato e aggiornato sulle ultime strategie per poter reagire istantaneamente a ogni nuova sfida e a ogni nuova opportunità. Non abbiate paura di introdurre tecnologia nei processi legati alle risorse umane, perché non è la tecnologia a fare la differenza, bensì la modalità e il tipo di processo verso il quale la si introduce, mantenendo il timone ‘umano’ su quelli ‘core’.

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L’OPINIONE
Elisabetta De Antoni, Specialista in Risorse umane, Responsabile Randstad Ticino
Introdurre con misura tecnologie nei processi legati alle risorse umane può migliorare quantità e qualità del tempo dedicato ai collaboratori

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© Max Veronesi Ingrid van den Broek, Lugano Team Drali Gravel

PER IL BENE Forza

Un’importante iniziativa per promuove la collaborazione tra agenti del cambiamento e sostiene le donne imprenditrici considerate a impatto in tutto il mondo

Promuovere le collaborazioni tra più soggetti che portano al cambiamento è uno degli intenti di Cartier Women’s Initiative. Un approccio in linea con il numero 17 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, ‘Partenariati per raggiungere gli Obiettivi’, che incoraggia a riconoscere il potere della collaborazione.

La Cartier Women’s Initiative aiuta le imprenditrici, con un supporto finanziario, sociale e umano, a raggiungere il loro pieno potenziale e a sviluppare le loro capacità di leadership. Il programma è rivolto alle imprese gestite o di proprietà di donne, di qualsiasi Paese e settore, che mirano ad avere un impatto positivo, forte e sostenibile sulla società.

© Floris Heuer 40

In sedici anni, la Cartier Women’s Initiative ha sostenuto 297 imprenditrici d’impatto provenienti da 63 Paesi, assegnando un totale di 7.440.000 dollari di sovvenzioni alle loro attività.

«Le donne hanno sempre avuto un ruolo centrale in Cartier, che, con questa Iniziativa, inoltre sostiene attivamente le imprenditrici», esordisce Cyrille Vigneron, presidente e amministratore delegato di Cartier International.

«Siamo entusiasti, quest’anno, di ampliare ulteriormente il nostro riconoscimento alle donne innovatrici in tutto il mondo con i nostri due nuovi premi regionali e il nuovo Diversity, Equity and Inclusion Award», ha dichiarato Vigneron, in occasione della cerimonia annuale di premiazione di Cartier

Women’s Initative, tenutasi a maggio a Parigi, presso la Salle Pleyel. «Cartier è orgogliosa di continuare a impegnarsi per l’emancipazione femminile, facendo così leva sul business come forza per il bene», ha proseguito il Ceo di Cartier. La cerimonia di premiazione dell’edizione 2023 della Cartier Women’s Initiative Cartier ha celebrato trentadue straordinarie imprenditrici d’impatto provenienti da tutto il mondo e lanciato l’invito a presentare candidature per l’edizione 2024. L’evento ha riunito una comunità eterogenea di pensatori e attivisti globali, tra cui leader di spicco, imprenditori, personalità pubbliche e promotori del cambiamento, che hanno affrontato il tema dell’emancipazione femminile da prospettive differenti e che hanno unito i loro sforzi per realizzare il cambiamento, per il bene.

Durante il suo discorso di apertura, Amal Clooney, cofondatrice della Clooney Foundation for Justice e avvocato di spicco in tema di diritto internazionale, ha fatto luce sulla battaglia legale che sta portando avanti per la parità di genere in un mondo prospero.

Nel corso dell’evento si è discusso di come ogni individuo possa raccogliere la propria forza per amplificare un movimento di solidarietà globale e ispirare tutti a diventare agenti del cambiamento.

La celebrazione si è conclusa con l’annuncio dei premiati di ciascuno degli undici premi, di cui nove premi regionali lanciati quest’anno e i due premi tematici - il premio per i pionieri della scienza e della tecnologia, lanciato nel 2021, e il premio per la diversità, l’equità e l’inclusione, creato quest’anno. I primi classificati hanno ricevuto un finanziamento di 100mila dollari, mentre i secondi e i terzi classificati hanno ricevuto rispettivamente 60mila e 30mila dollari. Oltre alle sovvenzioni, tutte le 32 borsiste beneficeranno anche di mentoring e coaching su misura, visibilità mediatica, opportunità di networking da parte di Cartier Women’s Initiative e corsi di formazione da parte della scuola di business leader Insead. Per l’edizione 2024, saranno selezionate trentatré borsiste a rappresentare le prime tre aziende per ciascuno degli undici premi. Avranno sostegno finanziario, sociale e di capitale umano per far crescere la loro attività e sviluppare le loro capacità di leadership.

SOTTO, CON CYRILLE VIGNERON, PRESIDENTE E CEO DI CARTIER

INTERNATIONAL, AMAL CLOONEY, COFONDATRICE DELLA CLOONEY

FOUNDATION FOR JUSTICE, HA TENUTO IL DISCORSO DI APERTURA

DELLA CERIMONIA DI PREMIAZIONE

DELLA CARTIER WOMEN’S INITIATIVE 2023, TENUTASI A PARIGI

NELLA PAGINA ACCANTO, FOTO

DI GRUPPO DELLE

IMPRENDITRICI PREMIATE

© Cartier
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Photo Pierre Mouton
NUOVI PARADIGMI DI ELEONORA VALLI

Intricato,

ricamato, frangiato, traforato, giocato sulle raffinatezze della monocromia o della policromia: la trama del tessuto riprodotta con generosità di dettagli... l’Alta Gioielleria rende prezioso un grande classico

Per Gabrielle Chanel, le dolci colline e le valli della Scozia, spazzate dal vento e dal sole, riempite dal mormorio delle sorgenti naturali e ammantate di notte di un nero vellutato e tempestato di stelle, erano un mondo completamente nuovo. Scoprì questi paesaggi negli anni Venti, durante la sua storia d’amore con il Duca di Westminster. Dal Duca, Mademoiselle prese in prestito le giacche di tweed e le reinterpretò nelle sue collezioni, regalandone il comfort alle sue clienti eleganti e sportive.

Nasce così uno degli elementi più essenziali del vocabolario stilistico di Chanel. Nel 2020, il tweed entra nel mondo

della gioielleria della Maison francese con una prima collezione di 45 pezzi eccezionali, ad opera di Patrice Leguéreau, direttore di Chanel Fine Jewelry Creation Studio. Nel 2023, alla magia del tweed Chanel torna per la seconda volta: è ancora a Patrice Leguéreau che si deve l’audace creazione di 63 nuovi pezzi di Alta Gioielleria: «Ho voluto arricchire questo tema fondante della Maison con

TENDENZE DI SIMONA MANZIONE
SOPRA, DISEGNO DI ISPIRAZIONE DI PATRICE LEGUÉREAU E, IN ALTO A SINISTRA, GIOIELLI DELLA COLLEZIONE TWEED SOLEIL, “BYZANCE”
Ode al TWEED

Nastro celebra la leggerezza, la morbidezza, il movimento e le curve, utilizzando materiali bianchi come perle, diamanti e oro bianco. La Camelia dispiega un universo rosa e gioioso, con zaffiri. Il capitolo Étoile copre tutte le sfumature del blu, dall’onice allo zaffiro al lapislazzuli, con piccole stelle cucite, come se fossero ricamate, nel tweed. Il Sole, invece, risplende con pezzi più decisi e opulenti, tempestati d’oro e di numerose pietre gialle», racconta Patrice Leguéreau. «Infine, la famiglia Leone mostra la sua onnipotenza in un mondo in cui domina la forza del rosso, creando un tweed più sgargiante e più ricco. Ogni famiglia esprime quindi uno spirito, una densità e un volume diversi». Ad accomunare le due collezioni, del 2020 e del 2023, «è una grande abilità tecnica, degli artigiani dei nostri laboratori, nel riprodurre la morbidezza e la fluidità del tessuto con metallo e pietre preziose, per giungere alla bellezza e all’unicità del risultato: gioielli leggeri e confortevoli, come un pezzo di stoffa», conclude Patrice Leguéreau. Ariosa e strutturata, la trama del tweed è sfrangiata e alleggerita; grafica e simmetrica, è arricchita per creare un vero e proprio tessuto di gioielli.

SOPRA, PATRICE LEGUÉREAU, DIRETTORE DI CHANEL FINE JEWELRY CREATION STUDIO IN ALTO A SINISTRA, COLLIER E ANELLO DELLA COLLEZIONE TWEED SOLEIL, “CAMBON” SOTTO, DUE OGGETTI “BYZANCE” DELLA COLLEZIONE TWEED SOLEIL

Regnanti e star indossano i suoi capi, stilisticamente raffinati e tecnicamente innovativi. Artisti, architetti e designer li ispirano. A cento anni dalla fondazione, Akris è la Maison di moda svizzera per eccellenza.

Una mostra a Zurigo ne illustra l’estro creativo

Creazioni tessili innovative, motivi sorprendenti, linee pulite per un design moderno e senza tempo, in equilibrio fra tradizione e sperimentazione. Da San Gallo, Akris in un secolo di storia ha saputo conquistare il mondo, unico brand svizzero presente alla Settimana della Moda di Parigi. Qualità, purezza, contemporaneità, understatement e indipendenza sono i valori su cui ha costruito il suo successo. Dalla principessa Charlene di Monaco a Michelle Obama o Christine Lagarde, e star campionesse d’eleganza come Nicole Kidman, Cate Blanchett e l’esigentissima Carrie Bradshaw... regnanti, donne di potere e star del cinema, hanno indossato e indossano i suoi capi.

Akris è l’acronimo di Alice Kriemler Schoch - nonna degli attuali fratelli proprietari, Peter e Albert - che avviò subito dopo la nascita del primo figlio il suo laboratorio di cucito, dove giovani sarte ricamavano grembiuli.

In occasione del centenario, il Museum für Gestaltung

Zürich celebra Akris con una mostra che, fino al 24 settembre, porta i visitatori nel mondo artistico delle Collezioni disegnate nell’ultimo decennio da Albert Kriemler. Il direttore creativo trae ispirazione da una costante esplorazione di arte, architettura, design e fotografia, che è il marchio di fabbrica di Akris. Suggestioni che non vengono semplicemente integrate nei tessuti, ma

LAMPI creativi

sollecitano un ripensamento attivo di sensazioni, tagli, stampe e aspetto di capi e accessori. Grazie al suo grande senso per materiali, colori e composizioni, anche le creazioni più audaci sembrano selbstverständlich (senza sforzo), come si intitola la mostra, che si concentra su dodici temi e fonti di ispirazione, dal 2009 al 2022; accostando abiti e accessori alle loro ‘fonti’, con in particolare opere originali del pittore tedesco Reinhard Voigt, sculture in pietra dell’artista e poeta scozzese Ian Hamilton Finlay e collage dell’artista rumeno Geta Brătescu, completate da video e proiezioni, il tutto in un allestimento all’altezza dello stile che racconta. Una panoramica completa su questa straordinaria visione estetica quanto sulla sofisticata lavorazione artigianale e i processi tecnici alla base delle Collezioni.

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Photo Akris
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Artist Courtesy Reinhard Voigt

LE COLLEZIONI DI ALBERT KRIEMLER PER AKRIS E LE LORO FONTI DI ISPIRAZIONE:

A SINISTRA, IL PITTORE TEDESCO REINHARD VOIGT, PRECURSORE NEGLI ANNI ’60 DEI PIXEL CON LA SUA GRIGLIA SENSUALE E INASPETTATA

DI COLORI BRILLANTI HA OFFERTO LO SPUNTO

PER LA COLLEZIONE AKRIS FW 2022

SOTTO, LE TELE STRIATE E FOSFORESCENTI DI IMI KNOEBEL SONO STATE TRASPOSTE IN TOP DI SETA, TUBINI, TRENCH IN PELLE ROSA E BORSE PER LA COLLEZIONE SS 2021

IN BASSO A DESTRA, L’ESTROSO FUNZIONALISMO ESTETICO DI ALEX GIRARD, SCOPERTO DA ALBERT KRIEMLER IN UNA MOSTRA AL VITRA MUSEUM, HA SUGGERITO LA COLLEZIONE SS 2018

A DESTRA, LA COLLEZIONE FW 2021 OMAGGIA LE RADICI REGIONALI DELLA MAISON E LA STORIA DI SAN GALLO, CON TRE DIVERSE STAMPE DI MAPPE DELLA CITTÀ, DAL 1878 AL 2016, PRESENTATA CON UNA SFILATA NELLA BIBLIOTECA DELL’ABBAZIA, PATRIMONIO UNESCO

© Photo Timothy Schaumburg © Photo Bon Wongwannawat © Photo Akris
TENDENZE DI MIRTA FRANCESCONI

Atmosfere spensierate

LA DOLCE VITA

Ogni donna, soprattutto in estate, è diva. Abiti, accessori, colori e stili si compongono in proposte per tutte le ore del giorno. Pagina dopo pagina, le mises sussurrano di una stagione che oscilla tra la nostalgia di romantico floreale e la contemporanità di linee osate e accessori androgini.

Riferimenti al passato e rivisitazioni dei grandi classici, alternano tinte pastello, look monocromatici, candido tulle e luccichii capaci di dare un boost al guardaroba delle settimane più calde dell’anno

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TENDENZE
SERVIZIO PETRA PETER FOTO GIORGIA GHEZZI PANZERA Occhiali Valentino by Ottica Götte Tunica Kutnia by Aimo Room
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Costume Raffaella D’Angelo by Vivi l’Attimo

Abito Meme Road

Collane Radà

tutto by Groovy Concept Occhiali Valentino by Ottica Götte Anello e Orecchini
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La Signora degli Anelli

Costume, Sandali, Portaborraccia, Foulard tutto Borbonese

Orecchini e Anello La Signora degli Anelli

Occhiali Victoria Beckham by Ottica Götte
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Abito Ottotredici Sandali Boutique King Occhiali Victoria Beckham by Ottica Götte Orecchini
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La Signora degli Anelli Abito Antonino Valenti by Aimo Room, Sandali platform Casadei by Boutique King, Bracciale Radà by Groovy Concept Costume Raffaella D’Angelo by Vivi l’Attimo Occhiali Victoria Beckham by Ottica Götte
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Anello La Signora degli Anelli

PRODUZIONE PETRAPETER.COM

FOTOGRAFO

GIORGIA GHEZZI PANZERA GIORGIAPANZERA.CH

MODELLA

GIUSI LISCIANDRA-PASQUALINI

AGENZIA PETRA PETER’S EVENTS

STYLING

MARGHERITA SULMONI

MAKE UP NICHA MAKE UP NICHAMAKEUPARTIST.COM

HAIRSTYLE

ALBERTO SABA SALONE RAINBOW

LOCATION

HOTEL INTERNATIONAL AU LAC, LUGANO

A destra

Top Kristina T Gonna Gianfranco Ferré tutto by Atelier Vicuna Luxury

Anello

La Signora degli Anelli

A sinistra Completo Raffaella D’Angelo by Vivi l’Attimo

Borsa e Boots Louis Vuitton

Occhiali Victoria Beckham by Ottica Götte

BOUTIQUES

LUGANO: AIMO ROOM CONTRADA DI SASSELLO AIMOROOM.COM

BORBONESE BOUTIQUE LUGANO VIA NASSA 5 • BORBONESE.COM

BOUTIQUE KING VIA NASSA 64 • BOUTIQUEKING.CH

GROOVY CONCEPT VIA VEGEZZI 5 WWW.GROOVYCONCEPT.COM

LA SIGNORA DEGLI ANELLI VIA CATTEDRALE 6 WWW.LASIGNORADEGLIANELLI.COM

LOUIS VUITTON VIA NASSA 21 • LOUISVUITTON.COM

OTTICA GÖTTE VIA PESSINA 8 • OTTICAGOETTE.CH

MENDRISIO: VIVI L’ATTIMO VIA F. BORROMINI 10 • VIVILATTIMO.CH

ATELIER VICUNA LUXURY VICUNALUXURY.COM

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FILIPPO BOLDINI

nelle collezioni pubbliche luganesi con bozzetti inediti da una collezione privata

1900 -1989

2 aprile – 3 settembre 2023

2 aprile – 3 settembre 2023

Filippo Boldini, Fiori, 1957, Comune di Paradiso, in deposi presso Museo Villa dei Ced i, Bellinzon
In collaborazione con:

SERVIZIO E FOTO DI JOLIE ZOCCHI

MODELLA MIRTHE DIJKSTRA (WONDERWALL MANAGEMENT) MAKE UP ARTIST SVETLANA PROZORT

BEAUTY

Nel segno della FRESCHEZZA

La parola chiave è leggerezza. Ma il lessico ‘beauty’ dell’estate include anche luminosità, lunga durata e protezione. Per un viso naturalmente perfezionato, prodotti idratanti e correttore sono da applicare con disciplina. Il correttore può essere mescolato all’illuminante per un finish glow. Non è un make up estivo se non contempla il bronzer: irrinunciabili i suoi pigmenti luminosi per brillare alle prime luci del tramonto o con il bagliore delle serate estive. Rigorosamente water resistant, a tutte le ore

1. Diorshow

5 couleurs, 343, khaki

2. Forever Glow veil, primer radioso 24 ore di idratazione

3. Balsamo rivitalizzante per mani labbra e corpo

DIOR BEAUTY
1. Rose Hermès, Silky Blush 35 Rose Doré 2. Rose Hermès, Rosy Lip Shine Enhancer, Rose Confetti 27 Brillant
HERMÈS
1. Les Beiges Crème belle mine ensoleillée 392 2. Les Beiges Olio illuminante Viso, corpo e capelli
BEAUTY
3. Set Le Vernis 147 Incendiaire
CHANEL

COCKTAIL

Con una pietra grande e sfaccettata e la montatura vistosa ed elegante il cocktail ring esprime il fascino esuberante degli anni Venti

RINGS

IN QUESTA PAGINA, A SINISTRA COCKTAIL RING GÜBELIN SOTTO E NELLA PAGINA ACCANTO TRE CREAZIONI BUCCELLATI COLLEZIONE ‘MOSAICO’

BEAUTY DI ELEONORA VALLI
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PARTY

Agrumi o spezie, le fragranze estive inneggiano al pieno benessere. Le vacanze sono anche un meraviglioso scrigno di memorie olfattive

PARFUMS

SOTTO, UN JARDIN À CYTHÈRE, L’ULTIMA CREAZIONE DELLA COLLEZIONE HERMÈS JARDIN

NELLA PAGINA ACCANTO, DIORIVIERA E IRRESISTIBILE

DI GIVENCHY, UN INVITO A LASCIARSI ANDARE

BEAUTY

d’OCCHIO Tenere

Popolazione mondiale in crescita e invecchiamento demografico sono alla base del significativo aumento di persone affette da patologie oculari. Fondamentale la prevenzione, ma anche la formazione specialistica. Che a Lugano ha il suo centro di riferimento europeo, Esaso

Se nei Paesi a basso e medio reddito sono la difficoltà di accedere alle cure e le condizioni di salute a moltiplicare i casi di patologie oculari e disturbi della vista, in quelli benestanti uno stile di vita sempre più immerso nel corto orizzonte dei device tecnologici determina l’emergere di nuove problematiche, già in giovane età. «Davanti allo schermo si tende infatti a battere meno le palpebre, favorendo la secchezza oculare - sindrome nota come dry eye. Inoltre si sforzano i muscoli oculari a contrarsi per mettere a fuoco l’immagine molto vicina, causando affaticamento e un aumento dell’incidenza della miopia, che può determinare un indebolimento strutturale dell’occhio esponendolo nel tempo a eventi patologici», spiega Simona Corsi, general manager della European School for Advanced Studies in Ophtalmology (Esaso), con sede principale a Lugano.

Se la miopia tocca ormai un quarto della popolazione, una patologia come la cataratta sale al 38%, ma preoccupa anche il 5% della retinopatia diabetica, in crescita come chi soffre di diabete e rischia di incorrere in questa complicazione.

Terapie all’avanguardia, innovazioni chirurgiche e nuovi approcci assistenziali stanno permettendo progressi ‘a vista d’occhio’ in campo oftalmologico. Fra i propulsori di questa evoluzione è proprio Esaso, Fondazione istituita 15 anni fa a Lugano. «La nostra scuola nasce dalla volontà di offrire una post-formazione specialistica nel campo dell’oftalmologia, che in Europa era pressoché inesistente e, ancora a oggi, non ci sono realtà permanenti di questa dimensione a solo scopo educativo. Il nostro Centro di formazione, presso il campus dell’Ospedale Italiano di Lugano, accoglie 20 postazioni chirurgiche che permettono a 40 medici di esercitarsi in contemporanea. Proprio la possibilità di disporre di tecnologia all’avanguardia e di un corpo docente altamente qualificato sono i punti di forza che ci permettono di offrire corsi di grande valore tecnico e scientifico. Disponiamo di una faculty internazionale che conta più di 450 docenti, molti dei quali opinion leader nel loro specifico settore oftalmologico. Nei nostri training center, specializzandi e specialisti possono usufruire di una formazione completa, che combina approfondimento teorico e

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pratica diretta, con la possibilità di esercitarsi nelle stesse condizioni di una sala operatoria», spiega la general manager. Complementarmente la piattaforma educativa eLos consente una didattica a distanza interattiva con una comunità scientifica di oltre 14mila oftalmologi. «La possibilità di collaborare con le grandi aziende del settore e la presenza di una faculty internazionale ci permettono di essere sempre al passo con i tempi, sia per la possibilità di utilizzare i nostri Wet-Lab, ma anche per l’offerta dei contenuti formativi. Per esempio, da due anni organizziamo un corso sulla terapia genica, argomento di grande attualità ma per il quale esistono ancora pochi momenti educativi monotematici», specifica Simona Corsi.

Nel 2021 è stata inaugurata anche una nuova piattaforma dedicata alla ricerca, Esaso Plus, che offre supporto ad aziende e medici nello sviluppo di studi clinici, per tutte le fasi. «Nonostante Esaso voglia mantenere un forte radicamento locale, come confermano le collaborazioni con l’Usi, cui dal 2017 siamo associati,con l’Eoc, il Canton Ticino e la Città di Lugano, la nostra missione ci ha spinto a creare anche un campus a Singapore, dedicato ai medici asiatici, e un terzo in Polonia, per l’Est Europa. Di recente abbiamo infine aperto a Parma un campus monotematico dedicato al glaucoma, patologia di significativa incidenza per cui non esisteva ancora una formazione puntuale», illustra la general manager di Esaso. La Fondazione intende continuare a moltiplicare le collaborazioni internazionali, diversificare ulteriormente le attività formative, incrementare la ricerca e sviluppare nuove aree di attività. Sta infatti lavorando a un progetto con fini umanitari, per aiutare i medici dei Paesi più bisognosi nella loro formazione,

A DESTRA, SIMONA CORSI, GENERAL MANAGER DI ESASO, CON SEDE PRINCIPALE A LUGANO, CENTRO DI ECCELLENZA EUROPEA DELLA FORMAZIONE POST-SPECIALISTICA IN OFTALMOLOGIA, CON I SUOI TRAINING CENTER (SOTTO) PER SPERIMENTARE

LE ULTIME INNOVAZIONI

TECNICHE E CHIRUGICHE

generando un circolo virtuoso nelle loro realtà.

«Al di là di quanto si sviluppa nella ricerca, invito tutti a prendersi cura dei propri occhi e a non sottovalutare alcuni segnali, quali abbassamento improvviso della vista o sdoppiamento, dolore agli occhi, l’apparire di bagliori o lampi, arrossamento e lacrimazione abbondante oppure eccessiva secchezza. Siccome per patologie come il glaucoma i sintomi della malattia si avvertono solo in fase avanzata, è importante sottoporsi a controlli oculistici regolari. Sin da bambini», sottolinea Simona Corsi.

Anche perché non è solo questione di vista: si può infatti davvero dire che gli occhi siano lo specchio del nostro intero organismo. «Attraverso lo sguardo si può comprendere molto del mondo interiore di una persona. L’occhio sembrerebbe anche dare informazioni sulla storia clinica di un paziente fornendo indicazioni utili su una possibile patologia in corso.

È l’unico organo esplorabile otticamente per la trasparenza dei mezzi diottrici; per questo riusciamo a vedere la retina da cui si possono rilevare malattie come il diabete, l’ipertensione ecc. Esistono evidenze di patologie con prevalenza maggiore determinata dal sesso, come la neovascolarizzazione miopica nella donna o la sierosa centrale nell’uomo. Gli studi degli effetti genetici e ormonali dell’occhio sono abbastanza recenti e non ancora definitivi, ma se meglio compresi e confermati, potranno permettere di fare diagnosi più specifiche e prevedere cure più appropriate», conclude la general manager di Esaso, che sicuramente saprà cogliere anche questo interessante filone di ricerca.

BENESSERE
ELEONORA VALLI
DI

LA PROMESSA DEL TEMPO

Tra performance e sensorialità, la scienza alleata della più istintiva e per questo atavica aspirazione: la ricerca dell’eterna giovinezza

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Fermamente convinto che la scienza fosse la chiave per svelare i segreti dell’eterna giovinezza, Paul Niehans, brillante laureato dell’Università di Zurigo, dopo anni di ricerche, nel 1931 mise a punto a un’innovazione rivoluzionaria: il trattamento cellulare, che elaborò presso la Clinique La Prairie con risultati straordinari. Il suo approccio era tanto audace quanto di successo. Il passaparola si propagò in fretta: artisti, reali, leader mondiali, tanto che la clinica sul lago di Ginevra divenne una sorta di santuario del ringiovanimento. La stessa audacia che animava il dottor Niehans fa parte del Dna di La Prairie, fondata nel 1978, che nella ricerca di una bellezza senza tempo si avvale dei più elevati

SOPRA, JACQUELINE HILL, DIRETTORE GLOBALE

DELL’INNOVAZIONE STRATEGICA E DELLA SCIENZA

LA PRAIRIE

NELLA PAGINA ACCANTO E QUI IN BASSO, LA MAISON LA PRAIRIE A ZURIGO, IN BAHNHOFSTRASSE. APPENA INAUGURATA, È UNA

PRIMA MONDIALE. IN BASSO, L’ICONICA SKIN CAVIAR

LUXE CREAM

63 BENESSERE DI SIMONA MANZIONE

standard di tecnologia avanzata combinata con formulazioni uniche e confezioni eleganti. Ispirandosi alla storica clinica, La Prairie ha creato il suo ‘complesso cellulare esclusivo’. Frutto della scienza della terapia cellulare, si tratta di un prezioso segreto custodito gelosamente, che rappresenta l’essenza di La Prairie. «Nella sua costante ricerca di formulazioni rivoluzionarie, l’azienda ha trasformato la scienza in arte scegliendo gli ingredienti più pregevoli: il ricco caviale, il rarissimo platino e il prezioso oro», esordisce Jacqueline Hill, direttore globale dell’innovazione strategica e della scienza La Prairie, «Abbiamo scoperto che potevamo integrare il nostro estratto di caviale con biomolecole e i loro elementi costitutivi per potenziarne l’efficacia. Siamo andati oltre, arrivando a trasformare l’estratto di caviale. Gli effetti di questi prodotti sono incredibili», prosegue la scienziata. E in virtù delle ricerche e dei continui progressi di laboratorio il tempo sembra aver conquistato un nuovo ritmo. Se da una parte, infatti, si può accelerare il rinnovamento cellulare, dall’altra si riesce a rallentare il processo

ossidativo. «Desideri che oggi possono essere soddisfatti appieno», prosegue Hill. «Si può prevenire l’invecchiamento della pelle, correggere quei difetti del derma adulto come i segni del tempo, le macchie, il rilassamento e l’opacità cutanea, nemici storici di ogni donna. I risultati di laboratorio vengono regolarmente sottoposti a test da parte di laboratori indipendenti, che ne autenticano l’efficacia», spiega la responsabile dell’innovazione e della scienza, che conclude: «Come donna, sono sempre molto entusiasta di creare prodotti che vorrei usare io stessa; prodotti che offrono prestazioni notevolissime».

Mettendo in valore l’heritage della Maison, all’insegna di una costante innovazione e dell’avanguardia delle creazioni destinate alla cura della pelle, è stata appena inaugurata a Zurigo, nella Bahnhofstrasse, la prima ‘boutique’ della celebre Maison de soins de luxe La Prairie, ispirata ai codici dell’architettura contemporanea svizzera. Un luogo dove concedersi il lusso di una pausa di benessere. In qualche modo ispirandosi al suggerimento del pioniere Paul Niehans, per il quale il ringiovanimento non si limitava a prolungare la vita aggiungendovi anni, ma doveva piuttosto migliorare la qualità della vita, aggiungendo vita agli anni.

La ricerca di La Prairie è diventata una promessa: la promessa del tempo.

BENESSERE
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IN BASSO, LA MAISON LA PRAIRIE A ZURIGO IN ALTO A SINISTRA, SKIN CAVIAR LIQUID LIFT

Capire quale sia la motivazione o l’impulso che spinge gli individui ad agire in un determinato modo e a compiere precise scelte, e ‘usarla’ per comunicare. A prescindere dal settore, è questa la premessa che accomuna tutte le campagne mediante cui si veicola un messaggio dal cliente, istituzionale o privato, al suo pubblico di riferimento. Il mondo dell’arte, della finanza e del lusso, nella Svizzera romanda come in Ticino – ossia le aree tematiche e geografiche che mi sono familiari – rivelano un trend esistente, su più ampia scala, in altri settori e altri luoghi: il modo in cui si lavora è cambiato negli ultimi anni, ma la sostanza resta invariata.

Invisibile

eppure imprescindibile

Sensazioni, bisogni relazionali, realizzazione personale … Un messaggio raggiunge il suo destinatario solo se si crea un ‘ponte emozionale’ tra chi elargisce e chi riceve la comunicazione. Anche in tempi dominati

dall’artificiale e dal virtuale

Nonostante i nuovi paradigmi di vita e di lavoro, continua infatti a essere fondamentale, per chi opera nel mondo della comunicazione, fornire ai brand le giuste conoscenze, e soprattutto cogliere, con sensibilità, ogni sfumatura, per trasformarla in un punto di forza, che sprigioni il suo appeal verso i clienti. Occorre insomma riuscire a valorizzare la distintività del brand e a trasmetterne i valori.

Il presente non mi lascia dubbi, anche sulla scorta di personali esperienze pregresse, in ambito di marketing e relazioni pubbliche, dalle agenzie media e presso quotidiani, in Ticino con il Corriere del Ticino o a Ginevra con Le Temps, e non diversamente nell’universo del lusso, da Harry Winston a de Grisogono, o della finanza, con Hsbc Private Bank, Ig Bank, Banca Morval. Tra cambiamenti in corso, accelerati peraltro dalla pandemia, e le nuove sfide con cui il mondo della comunica-

zione deve confrontarsi, ha preso forma una nuova normalità, post-pandemica. E, in questa, la tecnologia si è rinvigorita, acquistando potere ma, d’altra parte, permettendo di rispodere alle esigenze di un mondo veloce, sfaccettato, esigente.

La comunicazione attraverso i Social è un fenomeno sempre più diffuso, che non riguarda solo i grandi brand e le aziende di maggior successo, ma anche i professionisti indipendenti e le Pmi. La visibilità online è diventata una parte importante anche di azioni riconducibili all’ambito delle pubbliche relazioni o all’organizzazione degli eventi. La Svizzera non fa eccezione: le iniziative social sono molteplici, spaziando dalle campagne per la promozione turistica fino a quelle politiche e di social marketing per le grandi aziende. Il futuro? Diversamente da quanto in molti affermano o temono, credo che le agenzie di comunicazione lavoreranno, anche di più, grazie all’uso (sapiente) della tecnologia. Sono convinta che, facilitando l’incontro e lo scambio di talenti e competenze, i nuovi canali rappresentano la naturale evoluzione di un mestiere e di un settore che resteranno, sempre e comunque, ancorati alla più umana delle dimensioni: l’emozione.

65 L’OPINIONE
Maria Antonietta Bonacci Potsios Fondatrice di MAP Communication, Ginevra

L’ARMONIA DEI CONTRASTI

Visione poetica e design rigoroso.

Due donne - creative director e architettidiversi progetti, stessa ispirazione: mettere in luce l’identità e generare emozioni

Studiopepe © Silvia Rivoltella

Armonia significa per noi non uno stile femminile, ma un approccio femminile. Partiamo sempre da una visione progettuale per creare pezzi dalla spiccata personalità, da collocare in ambienti pensati per essere accoglienti, facendo stare bene

Chiara Di Pinto

Arianna Lelli Mami

fondatrici Studiopepe

Diversamente dalla perfezione, nobile ma statica, l’armonia è dinamica. Rigorosa la prima, permissiva e delicata la seconda. L’armonia è movimento: incontro e compenetrazione di elementi diversi, nelle giuste proporzioni e dosi. «Nel nostro lavoro, design, progettazione d’interni, arte e grafica si incrociano, si sfiorano, si fondono», esordisce Arianna Lelli Mami, cofondatrice – con Chiara Di Pinto – di Studiopepe, agenzia di design, architettura, direzione creativa, fondata a Milano nel 2006. La loro filosofia? Si basa su un approccio concettuale ispirato all’inaspettato e su un ampio background iconografico e visionario. «L’attenzione

SOPRA, DA

, ARIANNA

E CHIARA DI PINTO, FONDATRICI DI STUDIOPEPE SOTTO, A SINISTRA, BOUTIQUE AVART DI LUGANO (IN FOTO, LA SCALA), DISEGNATA DA STUDIOPEPE IN BASSO, TAVOLINO DELLA COLLEZIONE ‘SELCE’, DI STUDIOPEPE PER GALLOTTI&RADICE, NOVITÀ PRESENTATA AL SALONE DEL MOBILE.MILANO 2023

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SINISTRA LELLI MAMI
SIMONA
Studiopepe © Silvia Rivoltella
PROSPETTIVE_DESIGN DI
MANZIONE
Studiopepe © Silvia Rivoltella

ai dettagli e all’emozione che possono generare nelle persone è fondamentale nei nostri progetti», aggiunge Chiara Di Pinto.

«Ci occupiamo principalmente di interior e product design», sintetizzano le due creative, «e molto spesso pensiamo i nostri prodotti inseriti in contesti specifici». Ne derivano risultati unici nel loro genere. A Lugano, per esempio, le due creative director hanno disegnato la boutique Avart, uno spazio caratterizzato da toni naturali e geometrie morbide in cui contrasti materici e texture preziose contribuiscono a definire un’atmosfera accogliente; vi si ritrovano i codici di una femminilità ricercata e contemporanea.

Se ci fosse una sola parola a disposizione, per definire il tratto che accomuna le realizzazioni firmate da Studiopepe, questa sarebbe senza dubbio ‘armo-

nia’. «Armonia significa per noi non uno stile femminile, ma un approccio femminile», concordano. Quando lavoriamo ad un prodotto, «partiamo sempre da una visione progettuale di più ampio respiro».

Nascono così pezzi dalla spiccata personalità, «destinati a rendere accoglienti gli ambienti in cui saranno collocati, generando benessere in chi vive e usa quegli spazi», prosegue Arianna Lelli Mami.

Bellezza e funzionalità, insomma. «E anche materia e colore, ragionando non di rado in termini di contrasto», spiegano le designer. Studiopepe sigla oggetti, collezioni, allestimenti per diversi marchi, da B&B Italia, Baxter e Gallotti&Radice a Tacchini, per citarne alcuni: «Tutto inizia con lo studio del Brand, con la messa a fuoco delle parole e dei concetti chiave, fino a trovarne l’essenza, l’identità. È questa la matrice, la fonte da cui trarre l’ispirazione per esprimere, tramite la nostra creatività, i codici stilistici della singola azienda o della specifica collezione», afferma Arianna Lelli Mami.

Nella varietà di collaborazioni e realizzazioni in ambiti diversi, l’attenzione di Studiopepe

Studiopepe © Silvia Rivoltella
PROSPETTIVE_DESIGN

NELLA PAGINA ACCANTO, SO FAR CHAIR

DI STUDIOPEPE PER BAXTER, NABUCK AQUAMARINE

E, OLTRE, ANCORA UNO SCATTO ALL’INTERNO DELLA BOUTIQUE AVART A LUGANO

SOPRA, IL DAYBED FIVE-TO-NINE, DI STUDIOPEPE PER TACCHINI, È IL PROTAGONISTA DI UN IMMAGINARIO ATELIER D’ARTISTA CONTEMPORANEO, UNO SPAZIO SOFISTICATO, CULLA DEL GENIO CREATIVO

resta sul design e sulla ricerca, abbracciando architettura, interior design (retail, hotel, progetti di styling per privati), con un approccio multidisciplinare e uno stile eclettico, che non di rado raccoglie una certa ideale eredità dal design italiano degli anni Cinquanta e Sessanta, la quale - ripensata - viene tradotta con un linguaggio contemporaneo per dar vita a progetti rigorosi dal carattere grafico e scultoreo.

Studiopepe
69 PROSPETTIVE_DESIGN
© Silvia Rivoltella

AD ARTE Illuminare

Grandi classici e nuove forme. Da Joaquín Sorolla y Bastida a Euroluce, un itinerario splendente

verso una nuova cultura della luce

Intorno al corpo illuminante, c’è un arcipelago di idee come la qualità della luce, il benessere dell’uomo nell’ambiente e, naturalmente, anche sostenibilità ed efficienza luminosa ed energetica. Trend ben espressi quest’anno dalla biennale Euroluce, l’evento del Salone del Mobile.Milano che ha svelato le novità dei nomi storici dell’illuminotecnica come pure di produzioni di nicchia. Nuove proposte per l’illuminazione da esterni, da interni, industriali, per spettacoli ed eventi; per usi speciali e per la domotica.

PROSPETTIVE_DESIGN DI SIMONA MANZIONE AXOLIGHT, LIKE PLUS DESIGN
SERGE
ROBERT CORNELISSEN
BY
E

riflessi

Pezzi decorativi e autoriali dal cuore tecnologico. L’oggetto di design luminoso è ispirato dalla consapevolezza di un necessario equilibrio tra le forme e il contenuto tecnico. Elettronica, multimedialità e componentistica si sono evolute in maniera tale da spingere le aziende a cambiare approccio; anche l’elemento decorativo è ormai molto interattivo e lo diventerà sempre di più, contaminando oggetti che prima avevano come unica possibilità quella di essere accesi o spenti. Ben oltre, sono diventati strumenti per vivere gli ambienti nel massimo comfort possibile. E il design del corpo illuminante, in sintonia con l’architettura degli spazi, riflette i cambiamenti nel modo di vivere degli individui. Tutt’altro che una novità, l’illuminazione evolve con le modalità di vita dell’essere umano da almeno ventimila anni, considerando, infatti, che il fuoco è stato la prima sorgente luminosa nella storia dell’umanità, e il primo apparecchio d’illuminazione era una pietra con una cavità semicircolare riempita di grasso animale, dove

I COLORI E LA BREZZA MARINA

DI VALENCIA IMMORTALATI

DAL MAESTRO DELLA LUCE, JOAQUÍN SOROLLA Y BASTIDA, NEL SUO DIPINTO PIÙ CELEBRE, PASSEGGIATA IN RIVA AL MARE, 1909, OLIO SU TELA, 205 X 200 CM, MADRID, SOROLLA MUSEUM.

IL PALACIO REAL DI MADRID

NE CELEBRA IL CENTESIMO

ANNIVERSARIO DALLA

SCOMPARSA CON UNA MOSTRA, FINO AL 24 SETTEMBRE

SOPRA, FLOS, SKYNEST DESIGN BY MARCEL WANDERS © Photo Alessandro Oliva

riflessi

JOAQUÍN SOROLLA, IL PRIMO GIARDINO DI CASA SOROLLA, 1918-1919, OLIO SU TELA, 64 X 95 CM, MADRID, MUSEO SOROLLA

ARTEMIDE

EGGBOARD CIRCLE

FOSCARINI, FLEUR, DESIGN BY RODOLFO DORDONI

ARTEMIDE, GOPLE OUTDOOR LED

la fiamma si manteneva grazie a una fibra vegetale. Con il progredire della civiltà, pur mantenendo lo stesso principio di funzionamento - una fiamma alimentata da uno stoppino immerso nel grassole lampade hanno acquisito anche una dimensione estetica oltre a quella funzionale. Merito delle antiche civiltà che, realizzando lampade in pietra, ceramica o metallo, spesso con elementi decorativi anche molto raffinati, hanno dato il via al concetto e alla storia del ‘Design’ nell’illuminazione. Esplorando poi la possibilità di appendere le lampade ai soffitti, quella luce più uniforme e intensa convinse gli artigiani a realizzare le prime lampade a sospensione, spesso di squisita fattura e con metalli preziosi. A far luce in una logica ‘moderna’ ci ha pensato per prima la candela: si ritrova menzionata dagli Egizi, cinquemila anni fa; anche se sono stati gli antichi Romani a guadagnarsi fama mondiale nella produzione di questa sorgente luminosa, dalle caratteristiche pressoché invariate fino al 1825, quando è nata la candela stearica, resa celebre da Meucci e nota come la candela di Garibaldi. Con l’invenzione dei lampioni a gas sono stati realizzati i primi sistemi d’illuminazione stradale moderna nelle città, sempre usando il fuoco come sorgente luminosa.

LUCEPLAN GRANDE
riflessi
COSTANZA OPEN AIR DESIGN BY PAOLO
RIZZATTO JOAQUÍN SOROLLA, IDILIO, JÁVEA, 1900, OLIO SU TELA, 64,7 X 78 CM COLLEZIONE PRIVATA SLAMP QUANTICA DESIGN BY ADRIANO RACHELE

riflessi

Fino a quando, con l’avvento dell’elettricità, l’invenzione della lampadina a incandescenza ha rivoluzionato il pregresso, sostituendo all’interno degli apparecchi d’illuminazione la fiamma come sorgente luminosa. A partire dal 1879, la fonte di luce alimentata a elettricità ha subito numerose evoluzioni, passando alla lampadina a mercurio e wolframio, al tubo al neon e fluorescente, alla lampada alogena, per arrivare infine ai Led.

Intanto mentre la luce ‘elettrica’ si affermava, evolvendo, tra il 1860 e il 1870 la luce diventava protagonista, in un’accezione diversa, anche nell’arte. La nascita dell’Impressionismo in Francia, con la pittura en plein air, permetteva agli artisti di riprodurre su tela le percezioni visive e le sensazioni che il paesaggio comunicava loro, nelle varie ore del giorno e in particolari condizioni di luce. Mentre

TOM DIXON, BELL VERSIONE PORTATILE SLAMP, TULIP BATTERY DESIGN BY MARC SADLER JOAQUÍN SOROLLA, FONTANA E CORTILE DELL’ALCÁZAR DI SIVIGLIA, 1910, OLIO SU TELA, 64 X 96 CM, COLLEZIONE PRIVATA © Photo
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Pagani

gli impressionisti francesi disponevano i loro cavalletti lungo la Senna, al di là della frontiera le tele di Joaquín Sorolla y Bastida (Valencia 1863-Cercedilla 1923) fissavano l’intensa luminosità dei cieli di Spagna in capolavori che ne hanno fatto uno dei massimi rappresentanti della moderna pittura iberica a cavallo tra Ottocento e Novecento. Proprio a Parigi, con l’ambìto Grand Prix ottenuto all’Esposizione Universale nel 1900, la sua pittura di luce e colore si è affermata definitivamente sulla scena internazionale. Tanto che a Londra nel 1908 viene acclamato come ‘il più grande pittore vivente al mondo’. Con la sua famiglia come soggetto prediletto, in molte tele Sorolla racconta l’amore per la moglie Clotilde, musa e vera compagna di vita, e per i tre figli, María, Joaquín ed Elena. Un legame che nutre la sua ispirazione e guida la ricerca verso la ‘verità’ dell’immagine da riportare sulla tela.

Dopotutto, l’illuminazione è sia letterale che metaforica e l’arte è l’arma migliore del nostro arsenale per combattere le ombre della mediocrità.

riflessi

FOSCARINI, PLI, DESIGN BY FELICIA ARVID VIBIA, OUT, DESIGN BY VÍCTOR CARRASCO JOAQUÍN SOROLLA, MARÍA MENTRE DIPINGE A EL PARDO, 1907, OLIO SU TELA, 80 X 106 CM, COLLEZIONE PRIVATA

SEDUZIONE POLIMORFA

Dalle forme inconsuete, sono leggere, poetiche. Le opere dell’artista e designer Paola Paronetto sono un inno alla luce e al colore, alla genuinità e all’armonia, alle gioie semplici dell’esistenza

Prima che l’opera giunga a compimento, sono necessari diversi passaggi e, tra l’uno e l’altro, ci sono momenti di attesa. Come in natura, ogni cosa ha un tempo e bisogna aspettare che si compia. L’attesa non è mai infruttuosa

Paola Paronetto, artista e designer

Fragili all’apparenza, le opere di Paola Paronetto racchiudono nelle inconfondibili silhouette un istinto classico connotato da un’allure contemporanea. Ceramista esperta, affermata a livello internazionale, Paola ha sperimentato continuamente, ricercando una tecnica capace di tradurre in materia la sua sensibilità artistica. Fino all’elaborazione del paper clay, un materiale che unisce argilla e carta. Una ‘ricetta’ elaborata dall’artista: «La carta rende il materiale più elastico e permette di creare forme audaci che nascono a volte dall’assemblaggio di pezzi secchi», spiega Paola, «questa tecnica è perfetta per le opere che desideravo realizzare, mi permette di creare forme inconsuete, leggere, come mosse dal vento. Mi piace l’unicità e quel senso di imperfezione che attribuisce loro autenticità e, in definitiva, un’anima».

Per realizzare la materia prima delle opere, si comincia facendo seccare l’argilla, per poi romperla in piccoli frammenti che sono fatti sciogliere nell’acqua; si aggiunge infine fibra di cellulosa. «I pezzi realizzati con questo impasto vengono successivamente texturizzati con diversi tipi di cartone, per lo più riciclati; la sostenibilità è molto importante nel mio lavoro», spiega l’artista e designer. La natura è, in effetti, il fil rouge delle scelte di Paola; nel suo laboratorio immerso nelle campagne friulane, non lontano da Pordenone, realizza i suoi manufatti, che dalla natura mutuano spesso anche il nome: Anemone, Pistilli, Bosco, Vulcano Etna e Vesuvio, Cactus, …. Pezzi unici, le sue opere sono oggi esposte in gallerie d’arte e musei in diversi Paesi, tra cui la Ille Arts di New York e il Contemporary Ceramic Centre di Londra, che le ha dedicato una personale.

SOTTO,

MILLESIMATA DI

CLICQUOT, L’ARTISTA E DESIGNER PAOLA PARONETTO HA CREATO APPOSITAMENTE UNA COLLEZIONE DI SEI COFFRET, NELLA PALETTE DI COLORI CHE LE È PROPRIA, RAFFINATA E GIOIOSA. NELLA PAGINA ACCANTO, GIGANTI, L’INTERPRETAZIONE ARTISTICA DE LA GRANDE DAME 2015 VEUVE CLICQUOT

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PER LA GRAND DAME 2015, LA CUVÉE VEUVE
PROSPETTIVE_ARTE DI SIMONA MANZIONE

Le diverse fasi di produzione avvengono lentamente. «Prima che l’opera giunga a compimento, sono necessari diversi passaggi e, tra l’uno e l’altro, ci sono momenti di attesa. Come in natura, ogni cosa ha un tempo e bisogna aspettare che si compia il suo ciclo. Ma l’attesa non è mai infruttuosa. Al contrario, è un’opportunità per rallentare il ritmo dell’esistenza». Ispirata alla natura, è anche la particolarissima palette di tinte opache - circa novanta differenti cromie - con cui vengono completate le opere. Queste ultime, alternando superfici lisce e texturizzate, sono caratterizzate da suggestivi effetti grafici. Sono bottiglie dai colli affusolati, vasi e coppe dai volumi plastici. Tra le realizzazioni più recenti, l’artista ha ‘vestito’, per Veuve Clicquot, una bottiglia di champagne, dando vita a una collezione di sei cofanetti in edizione limitata

per il Millesimato Cuvée La Grand Dame 2015. La Maison francese non è nuova a questo genere di collaborazioni: prima di Paola, si erano cimentati tra gli altri artisti e designer di fama internazionale, Yayoi Kusama, Karim Rashid, Tom Dixon. Nell’ambito della sua collaborazione con Veuve Clicquot, Paola ha realizzato anche i Giganti, tre bottiglie fuori scala, alte più di un metro: «I pezzi molto grandi rappresentavano per me una sfida, soprattutto per riuscire a tenerli in piedi. Tenacia e sperimentazione sono state ottime alleate!». Non è un caso che la Maison francese abbia scelto Paola Paronetto: proprio come Madame Clicquot, guarda oltre gli schemi, esprimendo un talento a colori.

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IN ALTO A SINISTRA, CREAZIONI DI PAOLA PARONETTO PER VEUVE CLICQUOT E, A DESTRA, UNO SCORCIO DEL LABORATORIO DELL’ARTISTA, IMMERSO NEL VERDE DELLE CAMPAGNE FRIULANE

La sostenibilità è un tema che i musei hanno integrato nelle loro prerogative già da tempo. In quanto luoghi di memoria, svolgono per principale missione la preservazione di beni e saperi per le generazioni future. Si tratta oggi di estendere questo concetto a tutti gli aspetti e alle pratiche degli istituti museali, così da renderli protagonisti del cambiamento, come espresso nella nuova definizione dell’Icom - International Council of Museums, adottata nel 2022, che dichiara: “aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità”.

La domanda fondamentale è come possano i musei contribuire alla concretizzazione di un futuro socialmente ed ecologicamente equo. Da un lato, compiendo delle riforme interne e apportando dei cambiamenti sistematici: in effetti, come qualsiasi

Musei

sostenibilità

a 360 gradi

impresa, sono confrontati alla gestione responsabile delle risorse energetiche e all’impatto sull’ambiente dei materiali e prodotti utilizzati per le loro attività (amministrative, espositive o di conservazione delle opere, ecc.). Dal punto di vista delle risorse umane, sono inoltre responsabili dell’equità di trattamento, delle pari opportunità e tenuti a garantire a dipendenti e prestatori di servizio le condizioni quadro di lavoro socialmente eque e dignitose. Tutti questi punti non riguardano solo il museo e le sue proposte, ma anche il modo in cui il visitatore gode dell’offerta museale e delle sue aspettative. In questo contesto è anche importante il ruolo degli enti finanziatori, pubblici o

privati, dei consigli di fondazione e delle istanze politiche con cui si rapportano le direzioni dei musei, che hanno la responsabilità di creare condizioni favorevoli alla realizzazione di questi compiti. Dall’altro lato, il contributo delle istituzioni museali alla trasformazione della società verso un mondo sostenibile include la sensibilizzazione dei loro partner, ovvero il pubblico e la società nel suo insieme, affrontando il tema della sostenibilità con mostre e programmi di mediazione ed eventi. In definitiva, si tratta per il mondo politico, economico e scientifico di considerare i musei come partner privilegiati di dialogo, di riflessione, di divulgazione e di azione.

79 L’OPINIONE
Carole Haensler, Presidente dell’Associazione dei musei svizzeri e Direttrice del Museo civico Villa dei Cedri di Bellinzona
Gli istituti museali come possono contribuire alla concretizzazione di un futuro socialmente ed ecologicamente equo?

L’assenza è al centro delle sue opere. Persone in fuga o sfollate, rapite, abusate, torturate, assassinate, scomparse… annientate nella loro umanità. Prende spesso le mosse proprio dalle tragedie della sua Colombia - 500mila vittime in una guerra civile che la dilania da ormai 60 anni, 8 milioni di profughi e 5 di migranti dal Venezuela - l’epicentro di una ‘catastrofe infinita’, come la definisce la stessa Doris Salcedo. Sua terra di origine, alla quale è tornata dopo gli studi che l’avevano portata negli Stati Uniti, accettando la sfida di vivere in uno dei luoghi più pericolosi e drammatici al mondo, per poterne raccogliere l’altrimenti inascoltato grido di dolore: potenti che opprimono i più miseri, ma anche semplicemente disperati che uccidono altri disperati. Tragedie che trascende, nella risonanza dei sentimenti che toccano. Dietro a ogni suo progetto, anni di indagini sublimate in una sintesi che senza elidere il dato contingente riesce nel miracolo di elevarlo

a testimonianza universale, atemporale, transculturale. Un lavoro documentale mai banalmente didascalico. Installazioni di una forza espressiva travolgente, come l’intento che le anima, pur partendo da materiali umili, comuni: dalla pietra e dal cemento a oggetti di uso quotidiano come mobili in legno, vestiti e aghi, oltre a materiali transitori come erba, acqua, fiori e capelli umani. Attraverso insolite associazioni di oggetti ed elementi apparentemente contraddittori, lavorati meticolosamente a mano - una stratificazione cui partecipa anche la natura evocativa dei titoli scelti, spesso attinti alla letteratura, senza però cadere in un gioco di rimandi pretenziosi, ma sempre puntando all’essenza - riesce a rappresentare la violenza e la sofferenza senza mostrare esplicitamente il tema. Una sommessa liricità che riscatta e riafferma la dignità degli ultimi, dei dimenticati, schiacciati dalla violenza della storia, dall’indifferenza della giustizia, dalla labilità della memoria.

SOTTO, OPERA PRINCIPALE DELLA MOSTRA DEDICATA A DORIS SALCEDO (A SINISTRA) DALLA FONDAZIONE BEYELER, A FLOR DE PIEL, 2011-2014 (DETTAGLIO), SI ISPIRA ALLA TRAGICA VICENDA DI UN’INFERMIERA COLOMBIANA, TORTURATA A MORTE. UN SUDARIO DI CENTINAIA DI PETALI DI ROSA CUCITI INSIEME CON FILO CHIRURGICO PER RICOMPORRE CIÒ CHE LA VIOLENZA HA BARBARAMENTE SFIGURATO E DENUNCIARE LA FRAGILITÀ DELLA VITA

NON

DIMENTICARE

Con l’intensa poeticità delle sue opere animate da un autentico imperativo morale, Doris Salcedo riscatta la dignità degli ultimi dai soprusi della storia e dalla labilità della memoria

In mostra alla Fondazione Beyeler di Riehen

PER
© Doris Salcedo
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Gift to
Photo: Patrizia Tocci D. Daskalopoulos
Tate
© Photo David Heald
PROSPETTIVE_ARTE DI MIRTA FRANCESCONI

Doris Salcedo sottrae queste vittime invisibili al silenzio: una consolazione per il dolore di chi resta e un omaggio alla solitudine di chi non può più gridare il proprio nome, estromesso dalla storia. Un’arte che restituisce e permette finalmente di onorare un lutto che non ha avuto spazio per essere celebrato né tempo per essere elaborato.

La Fondazione Beyeler di Riehen le consacra un’imperdibile esposizione. Non è un’iperbole quando ci si trova davanti a una sensibilità e a un’altezza di visione come la sua, che fa capire quale possa essere il senso dell’arte contemporanea, quando sa raggiungere tali vertici di impegno etico e ispirazione poetica. Costruita attorno a otto delle serie più rappresentative della sua carriera, è la prima grande mostra personale dell’artista colombiana in Svizzera, in corso fino al 17 settembre. Ogni sala apre su una narrazione, toccando corde profondamente umane. Opere che trattano di morte, lutto, perdita ed emarginazione, per portare luce in tanta oscurità e abiezione. Nella consapevolezza che se l’arte non può sfamare milioni di persone, né restituire un caro ai suoi familiari, può sottrarre all’oblio e farsi così portatrice di un’idea laica di vita eterna. Un’arte che sa essere femminile nel senso primigenio del termine: capacità di ascolto ed empatia, sapienza artigianale, la pazienza di coltivare un’idea, la cura nel realizzarla, una totale dedizione, l’incondizionato amore per il prossimo e per la vita.

SOPRA, UN OMAGGIO AL DESTINO DI MORTE DEI MIGRANTI ANNEGATI NELL’ULTIMO VENTENNIO NELLA TRAVERSATA DEL MEDITERRANEO. PER CINQUE ANNI L’ARTISTA È ANDATA ALLA RICERCA DELLA LORO MEMORIA, CREANDO POI IL SUO PALIMPSEST, 2013-2017. I NOMI DEI SOMMERSI AFFIORANO MIRACOLOSAMENTE DALLA TERRA COME LACRIME, PER POI RIAFFONDARE NELL’OBLIO. QUESTA VERSIONE DELL’INSTALLAZIONE, CHE OCCUPA UNA SALA DI 400 MQ, HA ANTICIPATO LO SCORSO OTTOBRE A RIEHEN L’INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA

SOTTO, UNO DEI PRIMI LAVORI DI DORIS SALCEDO DENUNCIA CON POTENZA E DELICATEZZA DUE MASSACRI COMMESSI NEL 1988 IN PIANTAGIONI DI BANANE COLOMBIANE. LE CAMICIE DI COTONE BIANCO COLATE IN GESSO, TRAFITTE DA BARRE D’ACCIAIO, EVOCANO GLI ABITI INDOSSATI DAI BRACCIANTI, COSÌ COME QUELLI MORTUARI, (UNTITLED, 1989-93)

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Collection of the artist © Doris Salcedo, Studio, Bogotá, 2013, Photo Oscar Monsalve Pino
Courtesy of Doris Salcedo and White Cube
Doris Salcedo Photo Mark Niedermann

RIFLESSI costruttivi

Anche la Mostra Internazionale di Architettura 2023 della Biennale di Venezia ha voluto accogliere il tema del cambiamento con, in prima linea, la questione della sostenibilità. Un imperativo che mette in discussione persino l’opportunità stessa di eventi di questa portata internazionale, consideratone l’impatto ecologico e finanziario. Di qui il tentativo di giustificarne l’organizzazione puntando a raggiungere un nuovo livello di senso. Dunque focus su decarbonizzazione - sancito dall’impegno di azzerare l’impatto carbonico e sensibilizzare attivamente il pubblico - e decolonizzazione. In quest’ottica, l’investitura a curatrice di una personalità come la ghanese-scozzese

Lesley Lokko è stata eloquente: architetto e docente (ha fondato e dirige l’African Futures Institute, scuola di specializzazione, centro di ricerca e piattaforma di eventi pubblici ad Accra) - ma anche autrice di ormai una dozzina di romanzi di successo. Estranea quindi al circuito dei grandi incarichi curatoriali, così come esterna al mondo occidentale, vicina invece alle sensibilità emergenti con il suo polivalente lavoro trentennale che si focalizza sulla relazione tra ‘razza’, cultura e spazio.

Così di questa diciottesima edizione della Mostra Internazionale di Architettura ha voluto fare “Il Laboratorio del Futuro”, come recita il titolo scelto. «Che cosa significa essere “un agente di cambiamento”?

È questa la domanda che ha accompagnato il periodo di gestazione di The Laboratory of the Future e che ha fatto da contrappunto e da forza vitale alla sua creazione. Infatti, una mostra di architettura è allo stesso tempo un momento e un processo. Prende in prestito struttura e formato dalle mostre d’arte, ma se ne distingue per aspetti critici che spesso passano

Come ripensare l’architettura

in un mondo di risorse limitate e farne un propulsore di cambiamento? La Biennale di Venezia si propone come “Laboratorio del futuro”
SOPRA, IL GHANESE SERGE CLOTTEY HA CREATO UN’INSTALLAZIONE SITE-SPECIFIC NEGLI SPAZI DELLE GAGGIANDRE. LE TESSERE GIALLE TRATTE DA TANICHE DI PLASTICA RICHIAMANO LE TEMATICHE DI COMMERCIO E MIGRAZIONI
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La Biennale di Venezia Photo Marco Zorzanello

inosservati. Oltre al desiderio di raccontare una storia, anche le questioni legate alla produzione, alle risorse e alla rappresentazione sono centrali nel modo in cui una mostra di architettura viene al mondo, eppure di rado sono riconosciute e discusse», ha spiegato la curatrice. Che per la prima volta ha messo al centro dell’attenzione l’Africa. Dopo che, l’anno scorso, Cecilia Alemanni aveva invitato alla sua Biennale d’arte voci meno ascoltate, Lesley Lokko ha replicato portando a Venezia gli stimoli di un continente che finalmente viene presentato non più come un problema - con i suoi migranti, la fame, la miseria e i conflitti che adombra - ma nella ricchezza dei suoi stimoli e nella freschezza del suo giovane sguardo. Non solo perché anagraficamente lo è la sua popolazione, ma appunto, anche nel suo approccio all’architettura. Prova ne è l’attribuzione del Leone d’oro alla carriera, proprio il giorno dell’inaugurazione, lo scorso 20 maggio, a un veterano come Baba’ Demas Nwoko, classe 1935, artista, designer e architetto nigeriano (peraltro è la prima volta che questo paese prende parte all’evento), precursore delle forme di espressione sostenibili, attente alle risorse e culturalmente autentiche.

Mostre come questa costituiscono un’occasione unica in cui arricchire, cambiare o rinarrare una storia, il cui uditorio e il cui impatto sono percepiti ben oltre le pareti e gli spazi fisici che la contengono

Oltre la metà degli 89 partecipanti - per un totale di 64 presenze nazionali - proviene dall’Africa o dalla sua diaspora, vista la fluidità di una cultura proiettata gioco forza oltre i suoi confini.

«Spesso si definisce la cultura come il complesso delle storie che raccontiamo a noi stessi, su noi stessi. Sebbene sia vero, ciò che sfugge a questa affermazione è la consapevolezza di chi rappresenti il ‘noi’ in questione. Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità - dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale - come se si ascoltasse e si parlasse in un’unica lingua. La ‘storia’ dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. Mostre come questa costituiscono un’occasione unica in cui arricchire, cambiare o rinarrare una storia, il cui uditorio e il cui impatto sono percepiti ben oltre le pareti e gli spazi fisici che la contengono», ha sottolineato Lesley Lokko. La mostra è divisa in sei parti. Il percorso parte dal Padiglione Centrale ai Giardini, dove force majeure riunisce 16 studi che rappresentano un distillato

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IN FOTO, IL PADIGLIONE BELGA, IN VIVO, ESPLORA LE POSSIBILITÀ DEI MATERIALI COSTRUTTIVI NATURALI E DI ORIGINE ORGANICA, COME I FUNGHI PER AFFRONTARE LA SCARSITÀ DI RISORSE © La Biennale di VeneziaPhoto Jacopo Salvi © La Biennale di Venezia Photo Matteo de Mayda

SOPRA, APPESA AL SOFFITTO DEL PADIGLIONE CENTRALE, UN’ORIGINALE MAPPA DELLA MOSTRA ACCOGLIE I VISITATORI CON FRAMMENTI DI TUTTE LE PARTECIPAZIONI

SOTTO, IL PADIGLIONE BRITANNICO, MENZIONE SPECIALE PER LE PROPOSTE CHE CELEBRANO LA POTENZA DEI RITUALI QUOTIDIANI COME FORME DI RESISTENZA NELLE COMUNITÀ DELLA DIASPORA

della produzione architettonica africana e diasporica. Si sposta poi nel complesso dell’Arsenale, con la sezione Dangerous Liaisons , affiancata ai Progetti Speciali della Curatrice, che per la prima volta è una categoria vasta quanto le altre. Qui l’età media dei partecipanti, già generalmente molto bassa, di 43 anni, scende addirittura a 37 (il più giovane ha 24 anni), segno di un cambiamento nella cultura della produzione architettonica, così come in quella delle mostre internazionali.

«Al cuore di ogni progetto c’è lo strumento principe e decisivo: l’immaginazione. È impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina. Tutti i partecipanti di questa Biennale Architettura si esprimono dalla posizione estremamente creativa del ‘sia/che’, propria di chi abita più di un’identità, parla più di una lingua o viene da luoghi a lungo considerati fuori dal centro», conclude la curatrice. A corredo la solita, e ulteriormente ampliata, serie di iniziative ed eventi accompagnerà la mostra fino alla sua conclusione il 26 novembre. Come ha sottolineato il presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto, la crisi pandemica ha avuto il merito collaterale di ricordare quanto l’architettura sia centrale nel cercare di dare risposte a bisogni molto concreti del vivere, rivoluzionando molte visioni consolidate e allargando il raggio d’azione a territori non direttamente collegati all’arte del costruire. Stimoli importanti, che è giusto cercare di cogliere per reinventarsi, anche se il rischio, come a tratti accade in questa Biennale, è quello di sacrificare l’architettura in quanto arte per ritrovarsi invece a riflettere su architetture molto più immateriali e fluide, lasciando che la dimensione ipotetica prevalga su quella settoriale, la politica sulla tecnica. Poche maquette o planimetrie, molti voli artistico-speculativi. Il superamento delle segmentazioni disciplinari si perde per strada l’Architettura, in uno slancio nobile ma ancora immaturo.

Spia potrebbe essere che al posto del canonico termine ‘partecipanti’, la curatrice abbia preferito la qualifica di ‘practitioner’: più onnicomprensiva, ha spiegato, del classico architetto, urbanista o designer, quando ci si confronta con condizioni dense e complesse come quelle dell’Africa e, più in generale, di un mondo in rapida ibridazione. In sintonia con questo approccio, quasi la metà dei pratictioner proviene da studi a conduzione individuale o composti da un massimo di cinque persone, e oltre il 70% delle opere esposte è stato progettato da team molto ristretti. Anche questa una prima per la Biennale d’Architettura veneziana. Da visitare comunque: per apprezzare o criticare.

© La Biennale di Venezia Photo Marco Zorzanello
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© La Biennale di Venezia Photo Matteo de Mayda

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Biennale, Festival del Cinema, vetri pregiati e incantevoli merletti…Di meravigliosa versatilità, Venezia è anche arte tessile, con una lunga storia. I tessuti, che in origine non avevano una specifica vocazione, dalla fine del ’500 si sono connotati diversamente, a seconda che fossero per l’abbigliamento o l’arredamento. E le stoffe d’arredo, impiegate per decorare pareti, realizzare tendaggi, rivestire sedute, testiere e baldacchini, avevano decori che prendevano spunto da affreschi, bassorilievi, vetrate delle chiese, sculture; per arricchirsi di fregi, fasce orizzontali, bordi armoniosi e di richiami alle decorazioni grottesche. Una tradizione e un savoir-faire che, secoli dopo, continuano ad affascinare. «Il mistero che si cela dietro le creazioni e le tecniche di Fortuny ha fatto sì che Mariano Fortuny fosse conosciuto come ‘Il Mago di Venezia’», racconta Mickey Riad attuale proprietario (con il fratello Maury Riad) e direttore creativo di Fortuny, Maison fondata oltre un secolo fa da Mariano, divenuto celebre per il suo poliedrico talento.

È stata l’Antica Grecia a trasportare Mariano Fortuny nel mondo dei tessuti e della moda, la sua personale Odissea. Ispirato dai concetti e dalle forme scoperte in Grecia, Mariano insieme a Henriette, sua moglie e musa, rivoluzionò la moda liberando le forme femminili, trasformando il corpo in un’espressione architettonica e vivente dell’arte. A ben vedere, del resto, è a questa civiltà del passato che si deve l’invenzione del concetto di teatro, un modo per raccontare le verità più profonde dello spirito umano attraverso il costume, la poesia, l’immaginazione.

ARTE DA VIVERE

Una secolare tradizione manifatturiera. Tra le muse ispiratrici di stili, colori, decori, la luce indirizza il savoir-faire veneziano nella creazione di nuovi classici
NELLA PAGINA ACCANTO, MICKEY RIAD, DIRETTORE CREATIVO DI FORTUNY IN QUESTA FOTO, IL TEATRO LA FENICE DI VENEZIA E IL TESSUTO DELPHI
PROSPETTIVE_DESIGN DI SIMONA MANZIONE

SOPRA, IL TESSUTO ONFALO (IN TRE VARIANTI

CROMATICHE, DA SINISTRA: INDACO E BIANCO ANTICO, CORNIOLA E ORO ARGENTATO, CADMIO E BIANCO ANTICO). IL NOME DERIVA DAL GRECO ‘OMPHALOS’, UNA PIETRA RELIGIOSA SCOLPITA DIVENTATA

L’ ’OMBELICO DEL MONDO’: GLI ANTICHI GRECI

CREDEVANO CHE DELFI FOSSE IL CENTRO DEL MONDO

E UN ONFALO FU POSIZIONATO ALL’INTERNO DEL TEMPIO DI APOLLO CHE LÌ SORGEVA

dal riflesso della luce sui nostri tessuti e materiali. È ciò che ha affascinato Mariano Fortuny fin dall’inizio della sua avventura ed è evidente nel suo lavoro e in molte delle sue creazioni: dalla fotografia ai tessuti stampati, ai pigmenti metallici, alla seta plissettata,

Il teatro era lo scrigno dove Mariano creò la sua prima rivoluzione nella luce e nei tessuti. «Ancora oggi, si infonde anima agli oggetti usando metodi e macchinari progettati e creati dal nostro fondatore. Attraverso un processo unico sono prodotte opere d’arte su larga scala, con tessuti che catturano in modo singolare il senso di mistero, meraviglia e bellezza acquatica di Venezia».

Piacere al tatto, gradevolezza alla vista, combinazioni di motivi decor, colori e consistenze emozionanti: «Fortuny è più di un semplice tessuto… È arte da vivere. Il nostro processo di applicazione del colore strati su strati, come nella pittura, conferisce al tessuto una profondità tridimensionale: lo sguardo non si ferma sulla superficie, ma si addentra», prosegue il direttore creativo, ponendo l’accento - tra le fonti di ispirazione - su luce, natura, arte, cultura, Venezia e l’eredità e gli archivi di Mariano Fortuny.

Luce e colore sono fondamentali: «Tutto ciò che facciamo in Fortuny nasce dallo studio, dall’interpretazione e

ai sistemi di illuminazione indiretta che ha creato per rivoluzionare il teatro. Il colore è ciò che usiamo per portare l’ambiente naturale nelle nostre case e nei nostri sogni. Se usati in modo appropriato, i colori aiutano il nostro benessere e confortano il nostro umore». Nascono così tessuti che sono Venezia ma anche un tempo e uno spazio indefiniti. «Venezia è un tesoro che appartiene al mondo. Chiunque abbia vissuto questa città in modo autentico vi ha lasciato una parte del proprio cuore. È qui che l’Oriente e l’Occidente si sono incontrati e mescolati, dando vita a una nuova società, più tollerante, basata sull’arte e sul commercio. I nostri tessuti sono l’espressione di quella città e dell’amore che gli artisti e l’umanità provano nei suoi confronti. Sono veneziani e ancora oggi prodotti nell’isola della Giudecca, nell’ultima fabbrica di Venezia», sintetizza Riad.

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La collezione principale, stampata su cotone cento per cento a fibra lunga, è affiancata da velluti, lane e trasparenze. «Stiamo preparando il lancio, a gennaio 2024, di una collezione di carta da parati e di una collezione di velluti stampati, con alcuni nuovi colori. Le nostre nuove collezioni sono presentate

IN FOTO, TESSUTO APOLLO. DAL NOME DEL DIO CONSIDERATO NELL’ANTICHITÀ IL DIO DELLA LUCE E DEL SOLE, COME PURE DELLA POESIA, MUSICA, DANZA E BELLEZZA. QUESTO PATTERN È L’INTERPRETAZIONE DELLA LUCE E DELLE ONDE SONORE

generalmente in gennaio, ogni anno. ‘Teatro’, la collezione più recente, è stata lanciata a Parigi all’inizio del 2023». E proprio il teatro, come la moda e il cinema, da sempre amano i tessuti Fortuny e fanno parte del suo universo: «Negli ultimi anni abbiamo lavorato con brand della moda tra cui Valentino, Rick Owens, Dior; inoltre per produzioni come Downton Abbey, solo per citarne alcuni», nota Mickey Riad, che così descrive i vari stili della Maison veneziana: «Tre stili caratterizzano altrettante collezioni iconiche: Tradizionale è lo stile di Lucrezia, de’ Medici, Richelieu, Orsini; Geometrico quello di Tapa, Favo; mentre Contemporaneo è lo stile a cui si ricollegano

le collezioni Camo Isole, Nembo, Delfi, Canale. Tra i colori regnano sovrani i blu; i ruggine e i grigi sono iconici, anche se la nostra tavolozza è unica, ricca, una tavolozza che esplora colori intermedi, difficili da definire», conclude Mickey Riad, con il quale abbiamo esplorato i luoghi veneziani, altrettanto iconici, che sono «la rappresentazione della nostra Casa»: la Fabbrica, il Giardino e la Palazzina Fortuny alla Giudecca, il Museo Mariano Fortuny e la città di Venezia. Un universo in cui l’affascinante tradizione è riscritta secondo codici contemporanei. Un mondo di bellezza capace di offrire al futuro dei nuovi classici…

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SULLA CRESTA DELL’ONDA

Il comfort di una casa vera e propria, unito al fascino della libertà.

A far da cornice, il Mediterraneo, con i suoi colori e i suoi orizzonti

Chic, gli spazi ampi e luminosi dallo stile contemporaneo trasmettono un’accogliente suggestione di casa, con volumi che diventano fluidi e il confine tra interno ed esterno che si fa sfumato. La palette generale spazia dal grigio al beige con accattivanti dettagli verde petrolio a riflettere l’aspetto sfaccettato del mondo marino: toni sabbia per i rivestimenti, turchese con sfumature cangianti per i tappeti, in un richiamo immediato allo stile mediterraneo. Essenze dominanti degli interni, il noce e il rovere scuro si combinano perfettamente con le superfici laccate dei soffitti.

SOPRA E A LATO, L’ELEGANTE YACHT NAVETTA 42 (CUSTOM LINE), CON LA SPAZIOSA BEACH AREA A LIVELLO DEL MARE E GLI INTERNI PERSONALIZZATI (PROGETTO LUCA BOMBASSEI STUDIO)

I quattro ponti e il layout interno interamente personalizzato, sono garanti del massimo comfort nelle diverse aree e a tutte le ore; muovendosi tra questi spazi, diversi elementi si rivelano di grande effetto, dal balcone estraibile nella suite armatoriale all’ascensore interno che sale da sottocoperta al sundeck.

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PERCORSI_DESIGN
DI SIMONA MANZIONE
ARREDI: MINOTTI FOTO: COURTESY OF CUSTOM LINE

Le molteplici soluzioni freestanding e gli arredi Minotti, oltre a colori, finiture e materiali, sono stati inseriti nel progetto da Luca Bombassei Studio. Sul ponte superiore, l’area pranzo outdoor è un richiamo alla convivialità e alla condivisione: accanto alle sedute dining Rivera, un’area relax,

SOPRA, L’AREA PRANZO OUTDOOR (CON LE SEDUTE DINING RIVERA) E UN’AREA RELAX ARREDATA CON IL SISTEMA DI SEDUTE FLORIDA E IL TAVOLINO BELLAGIO ‘OUTDOOR’ (MINOTTI)

SOTTO, LA TERRAZZA PANORAMICA, LUNGO IL PONTE PRINCIPALE. IL RELAX È ASSICURATO DA UN’AMPIA COMPOSIZIONE DEL SISTEMA DI SEDUTE ALISON IROKO OUTDOOR, ABBINATA ALL’OMONIMO TAVOLINO

E AD ALCUNI TAVOLINI CESAR

NELLA PAGINA ACCANTO, IN BASSO, IL SALONE PANORAMICO SUL PONTE SUPERIORE

dove leggere un buon libro, sorseggiando qualcosa di fresco, è arredata con il sistema di sedute Florida, in una peculiare composizione a ‘C’, affiancate da un tavolino Bellagio ‘Outdoor’. Ad arredare l’ampia terrazza panoramica che si estende lungo il ponte principale, invece, è una composizione del sistema di sedute Alison Iroko Outdoor, abbinata all’omonimo tavolino e ad alcuni tavolini Cesar.

Raffinatezza, equilibrio e armonia caratterizzano le diverse aree indoor. Protagonista del salone panoramico sul ponte superiore è il sistema di sedute Lawrence e Lawrence Clan, rivestito in tessuto sabbia, il tavolino Jacob e due poltrone Russell. La grande living room sul ponte principale suggerisce un’elegante combinazione a ‘L’ del sistema di sedute Freeman, abbinato a una serie di tavolini e complementi.

Un’imbarcazione lussuosa e affascinante, che mantiene le sue promesse, generosa complice di momenti spettacolari. Ore e giorni che scorrono lenti, nella quiete dei blu e degli azzurri del mare e del cielo. Senza rinunciare a tecnologia, bellezza, comfort e convivialità. Avvolti dal calore del sole estivo, rilassàti nell’ammirare il tramonto, per poi addormentarsi sotto una coperta di stelle.

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La quintessenza della fotografia: l’intensità della luce, la profondità delle emozioni. Attraverso l’Europa, obiettivo: bianco e nero

Sguardi da salvare

Un’immersione nella foresta amazzonica brasiliana: per sette anni Sebastião Salgado ne ha fotografato gli spettacolari paesaggi, plasmati dalle forze primarie della natura, e la vita delle popolazioni indigene, per testimoniarne la maestosa bellezza e invitare a riflettere sulla necessità di preservare questo tesoro del pianeta. Curatela e scenografia del progetto, che raccoglie oltre 200 scatti, sono stati realizzati dalla sua compagna di lavoro e di vita, Lélia Wanick, e il percorso di visita è accompagnato da una traccia composta appositamente dal musicista francese Jean-Michel Jarre.

Amazônia

MAAG Halle, fino al 24 settembre

Fragile bellezza

La mostra di Salgado, con otto tappe nel mondo, ha già collezionato oltre 1,4 milioni di visitatori. A Milano presenta in esclusiva anche l’iniziativa Amazônia Touch: ventuno tavole tattili per non vedenti e ipovedenti.

Fabbrica del Vapore, fino al 19 novembre

Zurigo
Milano SALGADO, ANAVILHANAS, ISOLE BOSCOSE
SEBASTIÃO SALGADO, YARA ASHANINKA, TERRITORIO INDIGENO DI KAMPA DO RIO AMÔNEA, STATO DI ACRE, BRASILE, 2016
© Sebastião Salgado IN UN ISTANTE
DEL RÍO NEGRO. BRASILE, 2009 Amazônia © P© Sebastião Salgado/Contrasto
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Dramma e passione U

na selezione di 92 scatti di grande formato riassume 50 anni del lavoro (1971-2020) della fotografa siciliana Letizia Battaglia, paladina dei diritti civili: dolcezza e dramma, passione e impegno testimoniano la storia italiana.

Letizia Battaglia. Senza fine. Terme di Caracalla, fino al 5 novembre

Visioni nel tempo L

a Pinault Collection presenta i tesori fotografici recentemente acquisiti dagli archivi di Condé Nast: sulle pagine delle riviste edite dal Gruppo (Vogue, Vanity Fair, House & Garden, Glamour, GQ…), oltre 150 talenti internazionali hanno colto la traccia del tempo che passa e dell’evoluzione estetica: Edward Steichen, Berenice Abbott, Cecil Beaton, Lee Miller, André Kertész, Horst P. Horst, Diane Arbus, Irving Penn, Helmut Newton, tra i fotografi; Eduardo Garcia Benito, Helen Dryden e George Wolfe Plank, tra gli illustratori.

Chronorama. Tesori fotografici del 20° secolo

Palazzo Grassi, fino al 7 gennaio 2024

Roma

PERCORSI_IN VIAGGIO DI MIRTA FRANCESCONI
BERT STERN, TWIGGY INDOSSA UN MINIABITO MOD DI LOUIS FÉRAUD E SCARPE IN PELLE DI FRANÇOIS VILLON, 1967, VOGUE LETIZIA BATTAGLIA, ARKHANGELSK. URSS, 1989
Venezia © Condé Nast 95
©
Letizia Battaglia

Raffinata poesia

Una prospettiva inedita su un protagonista della fotografia francese ed europea, Frank Horvat, che da ragazzo visse anche a Lugano durante le persecuzioni naziste. Attraverso 170 stampe e 70 documenti d’archivio, la mostra parigina si concentra sui primi quindici anni di lavoro, dal 1950 al 1965, quando emerse la sua straordinaria personalità di reporter e fotografo di moda.

Frank Horvat. Paris, le monde, la mode Jeu de Paume, fino al 17 settembre

Umanità e ironia

Umorismo ed emozione, curiosità e una profonda sensibilità verso l’umanità. Fotografo americano di origine europea, Elliott Erwitt (1928) è pittore dell’intimo, fotoreporter, fotografo pubblicitario, regista e ritrattista di personalità come Marilyn Monroe, Jackie Kennedy, de Gaulle, il ‘Che’ o Hitchcock. Attraverso 215 scatti in bianco e nero e a colori, la mostra conferma l’impronta unitaria del suo lavoro malgrado la diversità dei soggetti affrontati.

Elliott Erwitt. Una retrospettiva Musée Maillol, fino al 24 settembre

FRANK HORVAT, CHAPEAU GIVENCHY, PARIS, POUR JARDIN DES MODES, 1958
Parigi
Parigi
ELLIOTT ERWITT, BERKELEY, CALIFORNIE, ÉTATS-UNIS, 1956 © Studio Frank Horvat, Boulogne-Billancourt
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© Eliott Erwitt / Magnum Photos

Aura e carisma

Tutto iniziò da un’influenza: quando Helmut Newton si ammalò nel 1970, spiegò a sua moglie June, allora attrice, come usare la macchina fotografica e l’esposimetro, e si fece sostituire nello scatto dell’immagine pubblicitaria che doveva realizzare per Gitanes a Parigi. Un successo che lanciò la carriera di colei che sarebbe diventata nota con il nome di Alice Spring. Capace non solo di catturare lo stile, ma anche l’aura di chi ritraeva, utilizzando principalmente solo la luce naturale. In occasione del centenario dalla nascita, oltre 200 fotografie, fra cui molte mai esposte, le rendono omaggio.

Alice Springs: Retrospettiva Museum für Fotografie, fino al 19 novembre

ALICE SPRINGS, LA PRINCIPESSA CAROLINA DI MONACO CON SUO FIGLIO ANDREA E KARL LAGERFELD, LA VIGIE, MONACO 1986

Avanguardie stilistiche

Uno sguardo unico e audace su quasi cento anni di fotografia di alta moda e street fashion: dalle top model e le spalline ai look di urban style sui social: è quello del collezionista e mecenate svizzero Nicola Erni, che ha costruito una delle più importanti collezioni private di fotografia di moda, con oltre 250 scatti. Dopo la prima tappa in Florida, ha raggiunto i Paesi Bassi. Un’ode ispiratrice e spettacolare alla moda, che ne cattura lo Zeitgeist.

A Personal View on High Fashion & Streetstyle Het Noordbrabants Museum, fino al 3 settembre

ALBERT WATSON, SEBASTIAN IN ISSEY MIYAKE, NEW YORK, 1989
Berlino Hertogenbosch
© Helmut Newton Foundation
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© Nicola Erni Collection © Photo by Albert Watson

CHI • COSA • DOVE

MODA E ACCESSORI

Akris, Borbonese, Cartier, Gianfranco Ferré, Kristina T, Kutnia, Louis Vuitton, Meme Road, Ottotredici, Radà, Raffaella D’Angelo, Valentino, Victoria Beckham

OROLOGI & GIOIELLI

Buccellati, Chanel, Gübelin

BEAUTY

Chanel, Dior, Givenchy, Hermès, La Prairie

DESIGN & LIFESTYLE

Artemide, Axolight, Flos, Fortuny, Foscarini, Luceplan, Maserati, Minotti, Slamp, Studiopepe, Tom Dixon, Veuve Clicquot, Vibia

BOUTIQUE & PUNTI DI VENDITA

Aimo Room, Contrada di Sassello, Lugano • Atalia Shop Como, Via Diaz 39, Como • Atelier Vicuna Luxury, vicunaluxury.com

Borbonese Boutique Lugano, Via Nassa 5, Lugano • Groovy Concept, Via Vegezzi 5, 6900 Lugano • Gübelin, Via Nassa 27, Lugano

Hermès, Piazzetta Maraini, Lugano • King Boutique, Via Nassa 54, 6900 Lugano • La Signora degli Anelli, Via Cattedrale 6, Lugano

Ottica Götte, Via Pessina 8, Lugano • Salvioni Lugano, Via Pelli 2 e Via Trevano 15, Lugano

LUOGHI

Bally Foundation, Villa Heleneum, Castagnola • Biennale di Architettura, Venezia • Fabbrica del Vapore, Milano

Fondation Beyeler, Riehen • Fondazione Esaso, Lugano • Het Noordbrabants Museum, Hertogenbosch • Jeu de Paume, Parigi

Locarno Film Festival, Locarno • MAAG Halle, Zurigo • Musée Maillol, Parigi • Museum für Photographie, Berlino

Palazzo Grassi, Venezia • Terme di Caracalla, Roma

In sovracopertina

Mirthe Dijkstra wonderwall management

Photography Jolie Zocchi

Editorial Fashion Portrait photography joliezocchi.com

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In copertina

Photography

Giorgia Ghezzi Panzera giorgiapanzera.ch

Produzione e styling PetraPeter.com

Outfit Abito Canessa

Borsa THEMOIRè

tutto by Aimo Room

Orecchini Signora degli Anelli Make up Nicha Make Up Nichamakeupartist.com

Hairstyle Alberto Saba Salone Rainbow

Assistente Styling Margherita Sulmoni

Location

Hotel International au Lac, Lugano

N. 93 ESTATE 2023 TICINO MANAGEMENT DONNA N. 93 Estate 2023 Fr. 12 Euro 12
VISIONI Trame di luce all’orizzonte N. 93 Estate 2023 Fr. 12 Euro 12
DESIGN Accendersi di stile libero PERCORSI Navigando dentro mondi meravigliosi PROFILI Protagoniste di una nuova era
Iniziate un nuovo capitolo per il vostro patrimonio Wealth Management La presente pubblicazione rientra nella classificazione di materiale di marketing ai sensi dell’art. 68 LSerFi svizzera e svolge una funzione esclusivamente informativa. Accedete alla nostra competenza finanziaria. Vi aspettiamo nelle nostre sedi di Lugano e di Locarno. vontobel.com/wealthmanagement

DEEPLY INSPIRED

Immergetevi nell’affascinante mondo interiore dello smeraldo brasiliano e scoprite le spettacolari strutture che hanno ispirato Gübelin Jewellery nella creazione dell’anello cocktail «Flowing River». Il suo design unico è un omaggio alla folta giungla e agli scintillanti corsi d’acqua dell’Amazzonia.

Gübelin – un’azienda di famiglia svizzera dal 1854

gubelin.com

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