La felicità come sfida
Artisti all’opera
oltre le convenzioni
ABITARE
Salone del Mobile
tendenze e stili
MODA
La valigia delle vacanze
FOCUS
CULTURA
N. 89 • Luglio-Agosto 2022 - Fr. 8 / Euro 7
SOCIETÀ EDITRICE
Eidos Swiss Media Sagl
Via Lavizzari 4 - 6900 Lugano Tel. 091 735 70 00 info@eidosmedia.ch
SEDE DELLA REDAZIONE
Via Lavizzari 4 - 6900 Lugano Tel. 091- 091 735 70 00 redazione@eidosmedia.ch
CAPO REDATTORE SIMONA MANZIONE smanzione@eidosmedia.ch
REDAZIONE
SUSANNA CATTANEO (società e cultura) scattaneo@eidosmedia.ch
MIRTA FRANCESCONI (arte) mfrancesconi@eidosmedia.ch
FEDERICO INTROZZI (finanza) fintrozzi@eidosmedia.ch
SIMONA MANZIONE (lifestyle e abitare) smanzione@eidosmedia.ch
ANDREA PETRUCCI (viaggi) apetrucci@eidosmedia.ch
ELEONORA VALLI (moda e bellezza) evalli@eidosmedia.ch
HANNO COLLABORATO
NATASCIA CACCIA
ELETTRA FIUMI
PAOLA FORMENTI
GIORGIA GHEZZI PANZERA
SUSANNA GREGO
PETRA PETER
EMILIA REGAZZONI
BARBARA ZEN
GRAFICA E IMPAGINAZIONE grafica@eidosmedia.ch
PUBBLICITÀ E ABBONAMENTI
Eidos Swiss Media Sagl pubblicita@eidosmedia.ch abbonamenti@eidosmedia.ch amministrazione@eidosmedia.ch
FRANCESCO GALIMBERTI (pubblicità) fgalimberti@eidosmedia.ch
CLAUS WINTERHALTER (pubblicità) winterhalter@ticino.com
ROBERTO MUSITANO (coordinamento produzione) rmusitano@eidosmedia.ch
IL VIAGGIO CONTINUA
Aspettavamo da tempo l’estate. Con la sua promessa di viaggi e nuove scoperte. Di esperienze e di emozioni. Ed è speciale, questa estate. Generosa di orizzonti sempre più ampi. Il James Webb Space Telescope ci consegna infatti le più remote immagini dallo spazio, a 13 miliardi di anni luce. Qui, sulla terra e nell’attualità confrontate con sfide complesse, il viaggio comunque continua.
È il fil rouge che attraversa le pagine di questa edizione estiva. Dal viaggio interiore alla ricerca della felicità, al viaggio turistico del Grand Tour of Switzerland. Ve ne proponiamo anche uno alla scoperta delle tendenze dell’arredo ‘made in Italy’, svelate dal Salone del Mobile.Milano 2022. Lasciatevi sorprendere da messaggeri celesti, visioni oniriche, vibrazioni sonore e trompe l’oeil gustativi, in un viaggio plurisensoriale.
Tra chi torna e chi parte, la valigia delle vacanze è un argomento di grande attualità. Le pagine dedicate alla moda e allo stile - frivolezze irrinunciabili - sono l’occasione per toccare alcune tra le più accattivanti mete turistiche, dal Mediterraneo al Pacifico. Pagine che si abbandonano volentieri all’evasione, pur rispettando il registro di impegno e serietà della linea editoriale.
A proseguire è anche il viaggio intrapreso oltre vent’anni fa da Ticino Management Donna. Che oggi come allora ha l’ambizione di affrontare tutte le tematiche, non solo quelle squisitamente femminili, con sensibilità e garbo, con puntualità e attenzione. Affiancando ai contenuti più leggeri, approfondimenti relativi a società, economia e politica, come pure scienza, salute e cultura.
Pur nella varietà degli ambiti, degli articoli, delle persone intervistate, l’intento è uno solo: offrire alle lettrici - e ai lettori - una visione ampia e diversificata della dimensione femminile. Per una piena consapevolezza del ruolo della donna all’interno della società. Per un’emancipazione che vada oltre le rivendicazioni di parità e i proclami, diventando un dato di fatto. Per Ticino Management Donna, il viaggio è quello che, con determinazione e passione, desideriamo proseguire. Continuando a raccontare esperienze di vita e sfide professionali, tra savoir-faire della tradizione e slancio creativo dei nuovi talenti.
Per favorire un confronto di idee costante e costruttivo. Imprescindibile per un media indipendente che affronta il futuro con rinnovata progettualità.
La Redazione
EDITORIALE
Materiale di marketing
Questo materiale è destinato alla distribuzione solo a investitori professionali. Non è inteso per la distribuzione a qualsiasi persona o entità che sia cittadino o residente di qualsiasi località, stato, paese o altra giurisdizione in cui tale distribuzione, pubblicazione o utilizzo sarebbe contrario a leggi o regolamenti. Qualsiasi investimento comporta rischi, incluso il rischio di perdita di capitale. Le informazioni e i dati presentati in questo documento non sono da considerarsi un’o erta o una sollecitazione ad acquistare, vendere o sottoscrivere titoli o strumenti nanziari o servizi.
Stabilità. La nostra risposta all’instabilità globale.
Lussemburgo
New
Ginevra Zurigo
Londra Amsterdam Bruxelles Parigi Francoforte Madrid Milano Montreal
York Singapore Hong Kong Shanghai Taipei Osaka Tokyo assetmanagement.pictet
FOCUS ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ
Misurare la felicità
Quantificarla non è semplice, eppure una grande varietà di studi cerca di valutare il livello della felicità all’interno degli Stati.
La giusta serenità
Avere un progetto di vita adeguato alle proprie risorse e sapersi relazionare positivamente con gli altri è la chiave per una vita serena.
20 Management del benessere
In ambito professionale, il percorso verso la felicità implica strategie mirate da parte delle aziende e consapevolezza da parte dei singoli.
Un invito alle donne a candidarsi per le prossime elezioni cantonali nel 2023. Un’esperienza arricchente.
Le ripercussioni delle esperienze vissute durante l'infanzia sulla salute fisica e psicologica da adulti.
28
A volte ritornano
Diagnosi e cura non possono prescindere dalle caratteristiche biologiche determinate dal sesso.
I nuovi prodotti dell’industria del tabacco hanno rivitalizzato pericolosamente il settore.
Messaggeri
Portare il mondo reale in classe è importante quanto essere uno studente al di fuori dell’aula.
L’accelerazione tecnologica aumenta esponenzialmente la capacità di cogliere i messaggi dei corpi celesti.
6
Finalmente in politica?
23
fa la differenza
L’anamnesi che
27
la classe
L’aula oltre
52
OPINIONI
11 16
per una vita
Dall’infanzia
24
celesti
32
SOCIETÀ
GALIMBERTI NINO
La Biennale di Venezia immagina nuove forme di coesistenza, attraverso soprattutto lo sguardo femminile.
Abitare Lo stile
Le nuove collezioni dal Salone del Mobile 2022.
76
A scuola di bellezza
La mostra dell’artista Angela Lyn nella barocca Villa Arconati-Far, alle porte di Milano, fra storia e poesia.
Una
Il progetto della violoncellista svizzeroargentina Sol Gabetta rivisita la forma del concerto sinfonico classico.
Un così eroico amore
Il 2 settembre l’opera lirica torna protagonista al LAC, inaugurandone la stagione con La traviata
Un’Accademia dedicata e la scoperta del potenziale che è in ogni donna.
Meraviglie esotiche
La preziosa collezione
Natura libera spirito d’estate
Ad Ascona, Evelyn Glennie, la maggiore percussionista al mondo.
81
Il piacere di uno stile autentico per esprimere la propria unicità.
88
L’ora della luna e delle stelle
La poesia del cielo nelle notti estive raccontata da raffinati segnatempo.
92
Majestic Escapes di Harry Winston.
La valigia delle vacanze
Moda e accessori per quattro destinazioni dal sapore mediterraneo.
Grand Tour delle Alpi
102
Oggi anche la Svizzera ha la sua versione del leggendario viaggio.
Raffinatezza e spirito funky, per la chef losannese Marie Robert.
Il design floreale di Daniel Pouzet per una nuova filosofia dell’ospitalità.
dell’inganno
Il piacere
presenza illuminante
44
Un giardino insolito
58
48
94 Imprimere un nuovo ritmo
50
Oniriche interpretazioni
36
Sul filo del tempo
40
TENDENZE 54 POLIFORM
61 CULTURA STILI E
GIOIELLI & OROLOGI
KURZ1948.CH KURZ LUGANO | VIA NASSA 5 | 6900 LUGANO
FOCUS ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ
La più grande è forse destinata a rimanere quella dell’attesa. O forse può invece soltanto vivere retrospettivamente nella memoria, che leviga, sovrappone, censura, enfatizza e reinventa. Come tutti gli ideali, la felicità si sottrae. Eppure continuiamo a inseguirla, paradossalmente finendo per tormentarci, insoddisfatti, umanamente incapaci di attenerci alla logica della ‘giusta misura’, il katà métron cui esortava già il pensiero greco antico. Se, con la Dichiarazione di Indipendenza, gli Stati Uniti hanno sancito il diritto inalienabile, per ogni essere umano, alla ricerca della felicità, che oggi ha i suoi sussulti nella Grande dismissione, è dalla più remota antichità che la questione è semina-
le: prima ancora che psicologia, sociologia ed economia si cimentassero, filosofia, letteratura, religioni e politica l’hanno vagliata: vuoi associata al piacere, vuoi alla virtù, frutto dell’impeto sentimentale o di un percorso razionale, a disposizione di tutti nella vita terrena o beatitudine per pochi post mortem, data in sorte o guadagnata… Ma in fondo rimane tanto imponderabile e soggettiva da non poter essere nemmeno univocamente definita.Oggi le si preferisce il concetto di benessere, vincente nella sua pluridimensionallità. “Uno stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale che consente di raggiungere e mantenere il proprio potenziale personale nella società”, lo ha definito l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Se tutto deve essere parametrizzabile e comparabile, traducibile in dati da analizzare, e possibilmente sfruttare, è però più che legittimo dubitare che anche la felicità sia quantificabile. Le diverse metriche che tentano di valutare il benessere a livello nazionale si stanno però finalmente scostando dai meri indicatori monetari, coscienti dell’interazione fra condizioni di vita materiali e non: reddito, professione e situazione abitativa da una parte, ma anche salute, formazione, qualità dell’ambiente, sicurezza personale e molte altre variabili. Mentre la sostenibilità scala tutte le agende, anche il mondo del lavoro, pubblico e privato, comincia a comprendere la necessità di un approccio integrato nella gestione di salute e benessere non più come esternalità antitetiche al profitto, ma come elemento cardine per raggiungere i risultati auspicati, grazie a collaboratori soddisfatti e motivati. Fuor di semantica, che si preferisca sostituirle i termini di benessere, qualità di vita o serenità, una ricetta segreta continua a non esistere: la felicità è sempre un intreccio di biografie e realtà economico-sociali, in cui la sensibilità individuale gioca inevitabilmente un ruolo determinante.
Tautologicamente: felici i felici? Senza accontentarsi di questa sola evidenza, sebbene forse sia la sola possibile, nei prossimi articoli di questo Focus dedicato alla ricerca della felicità, Ticino Management Donna ha voluto approfondire il tema in tre delle sue dimensioni fondamentali.
10
Photo by Edu Lauton on Unsplash
MISURARE LA FELICITÀ
Malgrado quantificare qualcosa di soggettivo, complesso e sfuggente come la felicità risulti illusorio, sono molti gli studi che cercano di valutarne il livello all’interno degli Stati. A distinguersi quelli che finalmente considerano un nuovo paradigma del benessere che promuova una maggiore giustizia sociale e la sostenibilità ambientale
Felicità interna lorda. L’idea di sostituire un Fil al tradizionale Pil risale ai primi anni Settanta, quando il sovrano del Bhutan propose di identificare una serie di indicatori che esulassero dalla mera crescita economica per considerare altre dimensioni costitutive del benessere, inteso in senso più ampio: salute, educazione, rispetto della diversità culturale e resilienza, mantenimento della vitalità delle comunità, promozione del buon governo, agricoltura biologica e rispetto degli ecosistemi, miglioramento della qualità della vita. Una visione di sviluppo olistica in linea con la filosofia buddhista, poi codificata come un principio politico nella Costituzione nazionale. Se da un lato è facile insinuare che, collocandosi dal punto di vista del Pil fra le nazioni più povere del pianeta, non è poi
Tra le tante leve per cambiare il funzionamento delle nostre società, gli indicatori di benessere possono svolgere un ruolo essenziale proponendo un paradigma diverso da quello che conosciamo almeno dalla Rivoluzione industriale, produttivista, tecnologizzato e poco attento alla natura
Julien Forbat Lecturer Institute of Economics and Econometrics dell’Università di Ginevra
FOCUS ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ DI SUSANNA CATTANEO 11
« »
così strano che il Bhutan abbia cercato un’alternativa, a maggior ragione risulta significativo il modello di questo piccolo Stato dell’Himalaya orientale, che grazie al suo Ministero della felicità, unico al mondo, riesce a dare accesso al 90% della popolazione a sanità e istruzione pubblica, mantenendo bassa la criminalità. Uscendo dal singolo caso virtuoso, sono molti gli studi, più o meno scientifici, che cercano di valutare il livello di felicità all’interno dei Paesi, talvolta attingendo a concetti considerati affini, come il benessere o la qualità della vita, che però, è bene sottolineare, sono formalmente distinti e non intercambiabili. Ad esempio, il concetto di benessere tende a combinare la nozione di felicità - sentirsi benecon l’idea del controllo che un individuo ha sulla propria vita - una certa forma di autonomia e sicurezza.
«In primo luogo, si rilevano due approcci principali alla valutazione della felicità: o la misurazione si basa su dati ‘oggettivi’ esistenti, di solito sotto forma di indicatori, ad esempio, l’aspettativa di vita o il reddito pro capite, oppure ci si basa su dati ‘soggettivi’ raccolti attraverso sondaggi che chiedono di autovalutare il proprio livello di felicità. In questo caso, la questione che si pone immediatamente è quella della comparabilità dei risultati ottenuti tra Paesi con culture molto diverse e la cui interpretazione della nozione di felicità può variare notevolmente», osserva Julien Forbat, Lecturer & Research Associate dell’Institute of Economics and Econometrics dell’Università di Ginevra.
«In secondo luogo», prosegue «una misura della felicità può utilizzare una sola dimensione di analisi - come la salute - o combinarne varie, aggiungendo reddito, forza dei legami sociali, fiducia nelle istituzioni ecc.».
Tra gli indici più noti c’è il World Happiness Report, a cura della Columbia University insieme a una rete di centri di ricerca che permette di analizzare 146 Paesi. Combina otto indicatori, tra cui reddito pro capite, aspettativa di vita, libertà di pensiero e livello di generosità degli individui, molti basati su un sondaggio Gallup condotto in tutto il mondo. Secondo questa metodologia, i Paesi più felici nel 2021 si trovano nel Nord Europa: Finlandia, Danimarca, Islanda e Svizzera, mentre in fondo alla classifica si concentrano nazioni tra Africa e Asia centrale, con l’Afghanistan che ha il punteggio più basso. «L’Ocse propone invece il Better Life Index, che combina undici dimensioni e ventiquattro indicatori che riguardano anche l’alloggio, l’occupazione e la sicurezza. Uno dei vantaggi di questo strumento è che consente di variare la ponderazione delle diverse dimensioni nel calcolo finale, adattandolo in buona parte alla propria concezione di benessere», illustra l’esperto. Tuttavia, da un punto di vista istituzionale, non è ancora emerso un modello alternativo forte, in grado di influenzare o guidare gli Stati che continuano a fare riferimento
12 FOCUS ALLA RICERCA DELLA
FELICITÀ
Photo by Cande Westh on Unsplash
principalmente ad alcuni indicatori macroeconomici, in primis il Pil pro capite, che quantifica il valore totale a testa della produzione annuale degli agenti economici residenti in un territorio (famiglie, imprese, amministrazioni pubbliche, ecc.), ma considera solo una parte del valore creato dall’attività umana, quella immediatamente convertibile in un prezzo, escludendo tanto le attività positive non di mercato e non amministrative, come il volontariato o l’assistenza domestica all’interno della famiglia, quanto gli effetti negativi della produzione, dall’inquinamento alla spesa sanitaria o militare, che vanno a gonfiare apparentemente il bilancio.
«Il Pil nominale e pro capite o il tasso di disoccupazione sono parametri che riflettono un’idea semplicistica di benessere, se non falsa. Tra le tante leve che possono essere utilizzate per cambiare il funzionamento delle nostre società, al fine di raggiungere una maggiore giustizia sociale e la sostenibilità ambientale, gli indicatori possono svolgere un ruolo essenziale modificando gradualmente i quadri di riferimento dei cittadini e proponendo un paradigma diverso da quello che conosciamo da almeno 150 anni e dalla Rivoluzione industriale, ossia un paradigma produttivista, tecnologizzato e poco attento alla natura», esorta Julien Forbat. Vero che a partire dagli anni ’70 si è cominciata a osservare una progressiva decorrelazione tra l’aumento del reddito pro capite e il benessere misurato, in quanto oltre una certa soglia, salario
e felicità non crescono proporzionalmente (quello che è noto come paradosso di Easterlin, dal nome dell’economista che lo ha formulato). Per contro si assiste a un indebolimento dei legami sociali che impoverisce le comunità. Tuttavia, solo a inizio anni Novanta le Nazioni Unite hanno creato un indice che riflettesse questo cambiamento di paradigma, con l’Indice di Sviluppo Umano (Isu) ispirato al lavoro del premio Nobel per l’economia Amartya Sen, che con il suo lavoro ha ridefinito i concetti di povertà e ricchezza ed elaborato una teoria sul benessere diffuso. Combinando reddito, salute e istruzione, l’Isu mostra che un Paese come l’Ecuador raggiunge un alto livello di sviluppo umano pur avendo un reddito pro capite relativamente modesto», illustra il docente.
FOCUS ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ
Lussemburgo Irlanda Svizzera Norvegia Stati
1. 2. 3. 4.
Pil Pro Capite (2021) Fmi, 193 Paesi
Uniti
5.
Colombia
Happy Planet Index (2021), Nef, 151 Paesi
Svizzera
1.
2. 3. 4. 5. Costa Rica
Ecuador
122. Vanuatu ...
Stati Uniti
NON È DETTO CHE I SOLDI FACCIANO LA FELICITÀ...
UN UNICUM, IL BHUTAN, CHE AL TRADIZIONALE PIL HA PREFERITO IL FIL, L’INDICE DELLA FELICITÀ INTERNA LORDA, CHE NE RISPECCHIA LA FILOSOFIA BUDDHISTA
Photo by Nihar Modi on Unsplash
Dalla rinnovata consapevolezza di quanto felicità e benessere dell’uomo siano inestricabilmente legati allo stato del pianeta, in un contesto di accelerazione del degrado degli ecosistemi e dei cambiamenti climatici, è nato l’Happy Planet Index, proposto dalla New Economics Foundation, un think tank indipendente britannico, che valuta il livello di benessere e l’aspettativa di vita di un Paese in base alla sua impronta ecologica. Di conseguenza, e in contrasto con gli altri indici, i Paesi che si sono classificati più in alto sono Costa Rica, Vanuatu e Colombia. «Esistono poi dei modelli, come la ‘ciambella di Oxfam’ sviluppata dall’economista inglese Kate Raworth, che propone di combinare le soglie sociali necessarie per raggiungere un certo livello di benessere nella società e i vincoli posti dal rispetto dei limiti planetari, dato che attualmente nessun Paese al mondo riesce a raggiungere sia un alto livello di benessere che un’impronta ecologica moderata», esemplifica Julien Forbat.
I notevoli progressi compiuti dalle Nazioni Unite con la creazione dell’Agenda 2030 e dei suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, che per la prima volta riuniscono i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo in un quadro concettuale comune, vanno accolti con favore, seppur non compiano ancora quel salto decisivo che vorrebbero suggerire. «Il modello proposto non sfugge infatti alle difficoltà insite in qualsiasi progetto che debba essere approvato da quasi 200 Stati con profili così diversi. I 169 indicatori sottostanti riflettono
una visione quantitativa piuttosto classica, con poco spazio per le specificità culturali locali, ad esempio nel campo dell’istruzione, frutto di un’agenda economica favorevole alla crescita che molti ritengono stia raggiungendo i suoi limiti», conclude il docente dell’Institute of Economics and Econometrics dell’Università di Ginevra.
D’altronde era già lo stesso ‘inventore’ del Pil, l’economista Simon Kuznets, ad avvertire che il benessere di una nazione non si poteva dedurre che parzialmente dalla misura degli introiti, ricordando che a contare non è la quantità della crescita ma la qualità. Si era nel pieno della Grande Depressione quando mise a punto questo indicatore come componente fondamentale del nuovo sistema di contabilità nazionale per monitorare l’andamento dell’economia. Risultato successivamente congeniale a benedire lo sforzo bellico della Seconda guerra mondiale, e poi adottato a standard dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale all’indomani degli accordi di Bretton Woods, è rimasto il sin troppo comodo e apparentemente neutrale parametro di riferimento. Kuznets raccomandava però che ogni generazione riformulasse gli indicatori con cui misurare il progresso in risposta al mutare delle condizioni. Un monito che forse solo oggi, novant’anni dopo, si è pronti a cogliere con l’approccio finalmente olistico e transdisciplinare che il concetto di benessere sottende.
14
Svizzera Indice di sviluppo umano (2021), Onu 189 Paesi Irlanda Australia 1. 2. 3. 4. 5. Norvegia 9. 8. Islanda ... Svezia Stati
World Happiness Report (2022) 146 Paesi Svizzera Islanda 1. 2. 3. 4. 5. Finlandia 16. Danimarca ... Olanda Stati
Danimarca Svizzera Better Life Index (2020), Ocse 40 Paesi Canada Australia 1. 2. 3. 4. 5. Norvegia 10. Islanda ... Stati Uniti 6.
Uniti
Uniti
SOPRA, TRE INDICI ALTERNATIVI COMBINANO DIMENSIONI CHE ESULANO DALLA MERA CRESCITA ECONOMICA PER VALUTARE IL BENESSERE INTERNO DEGLI STATI
Photo by Jacqueline Munguia on Unsplash
Showroom Via Diaz, 39 | Como | Italy lighting | furniture | accessories www.ataliashopcomo.com | info@ataliashopcomo.com | T +39.031.6125011
na vita calma e modesta porta più felicità della ricerca del successo abbinata a una costante irrequietezza. Scontata saggezza popolare? Fatto sta che la massima, forse per il non trascurabile fatto di esser stata annotata nel 1921 da Albert Einstein fresco di Nobel, asserragliato in una camera di albergo durante il suo tour di conferenze in Giappone nel tentativo di sottrarsi ai riflettori mediatici, nel 2017 è stata battuta all’asta alla bellezza di 1,3 milioni di euro: la formula della felicità secondo il padre della più famosa equazione della storia, quella tra massa ed energia. Ci si potrebbe sbilanciare a sostenere che il consiglio persino di più ne valga, nella sua apparente semplicità.
«‘Felicità’ è una parola molto impegnativa, che rischia di fuorviare le aspettative o di banalizzare il concetto che sottende. Un assoluto che, come la perfezione, non è nella natura umana, ma solo la condizione effimera di alcuni momenti speciali, uno stato di grazia», esordisce Maria Adele Pozzi, psichiatra e psicoterapeuta, pratictioner Emdr. «Nel momento in cui prendo in carico un nuovo paziente, spiego che l’obiettivo del percorso di cura non è ‘essere felici’, quanto il raggiungimento della sicurezza necessaria per poter affrontare le criticità della vita. Anche quando sto male, sono triste, ansioso o arrabbiato, devo
giungere alla consapevolezza di poter superare quella situazione: non ignorando i problemi, ma riuscendo a gestire le emozioni, per raggiungere una condizione che è più appropriato definire di ‘benessere’. In quest’ottica bisogna saper vivere nel qui e ora, con i piedi per terra, lasciarsi il passato alle spalle, se non come lezione per non incappare negli stessi errori, riconoscendo cosa ha portato a una condizione di ansia e fragilità», evidenzia Maria Adele Pozzi, attiva anche nel team di Rete Operativa, organizzazione di professionisti nel ramo psicosociale e medico-psicologico con sede a Lugano e Bellinzona. Una visione molto distante dall’infantile idea di una felicità intesa come appagamento di ogni desiderio. «Se la felicità è un batter di ciglia, la tangenza di una vetta, come afferma il filosofo Salvatore Natoli, il benessere è più duraturo, continuo e uniforme. Piuttosto che di felicità, ‘invisa agli dei’ come dicevano i greci, anch’io parlerei di vita buona o di serenità, che è sempre un intreccio di biografie e realtà economico-sociali», concorda Fabio Gabrielli, filosofo e antropologo, membro scientifico del Quantum Paradigm Psychopathology Group, gruppo internazionale di ricerca sui disturbi dell’umore. Sono coinvolti equilibri delicati e complessi, processi di interpretazione ed elaborazione della realtà
SERENITÀ LA GIUSTA
Avere
U16 FOCUS ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ DI SUSANNA CATTANEO
un progetto di vita adeguato alle proprie risorse e sapersi relazionare positivamente con gli altri è la chiave per una vita serena, senza rincorrere il mito di un’inafferrabile felicità
Photo by Joel Muniz on Unsplash
Avere un progetto di vita adeguato alle proprie risorse è fondamentale. Oggi però c’è la tendenza all’euforia perpetua, a sottomettersi alla ‘dittatura della felicità’, secondo codici prestabiliti, misurabili e quantificabili
Fabio Gabrielli filosofo e antropologo
molto personali. Se possesso di beni materiali, legami affettivi, passioni e salute entrano nel computo con un diverso peso per ciascuno, secondo il proprio vissuto, le caratteristiche individuali e il contesto di appartenenza, vero è che due elementi sembrano uscire dalla dimensione soggettiva, fondamentali per ogni ‘vita buona’: la realizzazione di sé e le relazioni, facce di una stessa medaglia che si rispecchia e completa. L’autorealizzazione parte dalle capacità di conoscere, sviluppare ed esprimere le proprie qualità e potenzialità. È il katà métron cui esortava il pensiero greco antico: la giusta misura, nella consapevolezza dei propri limiti e capacità, senza lasciarsi sopraffare dal desiderio irragionevole di ciò che è fuori portata e destinerebbe all’insoddisfazione.
«Avere un progetto di vita adeguato alle proprie risorse è fondamentale. Oggi però c’è la tendenza all’euforia perpetua, a sottomettersi alla ‘dittatura della felicità’, secondo codici prestabiliti, misurabili e quantificabili. Un like, inteso come un riconoscimento, vale quasi quanto una gratificazione professionale», osserva Fabio Gabrielli,
Anche quando sto male, sono triste, ansioso o arrabbiato, devo giungere alla consapevolezza di poter superare quella situazione, riuscendo a gestire le emozioni, per raggiungere una condizione che è più appropriato definire benessere o serenità, invece di felicità
Maria Adele Pozzi psichiatra e psicoterapeuta
che è docente di Filosofia della relazione presso la School of Management dell’Università Lum Jean Monnet, già Preside della Facoltà di Scienze Umane e Professore Ordinario di Antropologia filosofica della Ludes University di Lugano. Viene dunque da dubitare delle conclusioni di non pochi studi internazionali che evidenziano come i cosiddetti ‘driver della felicità’ stiano mutando, trainati dal digitale e dalla cultura della condivisione tipica delle nuove generazioni, le stesse che oggi fanno propri gli obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Il possesso materiale starebbe cedendo terreno al desiderio di vivere esperienze, assegnando una nuova centralità all’individuo, laddove fattori intangibili quali la gestione del tempo, la passione per il lavoro e le relazioni diventano determinanti. «Va però detto che gli stili di vita che ereditiamo dal secolo scorso sono difficili da scardinare in Europa, dove è ancora radicato l’anelito al posto fisso a tempo indeterminato, vuoi per la sicurezza che può dare, vuoi per le incognite di un cambiamento che vanno a minare la nostra routine. Cambiare
17
« »
« »
La qualità delle relazioni interpersonali
Il lungo periodo di distanziamenti e clausure ha rimesso al centro l’importanza dei rapporti interpersonali: ottimo tutto quanto la tecnologia ha gentilmente offerto, ma non si tratta che di un surrogato. «Siamo animali sociali, se viene a mancare l’interconnessione con l’altro non stiamo bene, le stesse funzioni celebrali ne risentono dal punto di vista neurobiologico. Abbiamo bisogno di relazioni concrete, di persona. Interagendo attingiamo nuove energie, impariamo a collocarci rispetto agli altri, mettiamo in prospettiva. A dimostrazione, secondo le linee guida internazionali Nice per la cura della depressione, tra gli stili di vita sani, tra cui alimentazione, non bere, non fumare, rientrano anche le relazioni umane con persone positive», sottolinea la psicoterapeuta Maria Adele Pozzi. Che le relazioni siano alla base di una vita felice lo conferma inequivocabilmente quello che a oggi vanta il primato di più lungo studio accademico mai realizzato, tuttora in corso, inaugurato nel 1938 alla Harvard Medical School di Boston, monitorando regolarmente oltre 700 partecipanti con questionari di valutazione, interviste personali ed esami medici. Scopo: scoprire quali elementi assicurino una vita felice. L’evidenza emersa: “La chiave per l’invecchiamento salutare è: relazioni, relazioni, relazioni”. I legami affettivi che uniscono coppie, famiglie e amici sono l’elemento essenziale che porta alla felicità, con effetti evidenti sulla longevità stessa.
significa infatti fare esperienza, la cui radice è la stessa di pericolo, rischio: si preferisce, spesso, accettare una vita minima, una zona di confort», commenta l’antropologo. Seppur le nuove generazioni stiano uscendo dalla logica del mero accontentarsi, spesso soccombono ancora ai condizionamenti imposti dalle famiglie: «Un caso tipico fra i miei pazienti è quello di giovani laureati che trovano un posto di lavoro non rispondente al loro progetto di vita, ma sono indotti ad assecondare le aspettative dei genitori ridimensionando le proprie, dando la precedenza alla sicurezza economica e sociale. Un compromesso che però può causare disturbi di ansia, disagio e infelicità», sottolinea Maria Adele Pozzi. Vero è che un fenomeno come la Great Resignation, che sembrava tipico della self-culture statunitense e di quello specifico contesto, sta tracimando anche in Europa, in particolare in alcuni settori a bassi salari e forte usura. Lo scossone della pandemia sembra aver ribaltato la percezione negativa che connotava l’abbandono del posto di lavoro nel diritto alla ricerca di un’occupazione dignitosa, in linea con i propri valori e obiettivi. Certo, per scalzare il falso mito della felicità assoluta, fondamentale è l’impegno di tutte le istanze educative, scuola in primis. «Gli insegnanti dovrebbero essere adeguatamente formati, senza mettersi a fare gli psicologi, ma semplicemente essendo consapevoli che, oltre a trasmettere il loro sapere disciplinare, dovrebbero offrire un modello come persone, che siano o meno genitori. Più che le parole vale l’esempio», conclude Maria Adele Pozzi. Dubbiosa invece sui tanti corsi universitari che, dopo il travolgente successo di quello dedicato da Yale alla ‘scienza della felicità’ spopolano un po’ dappertutto. È dubbio se rallegrarsi del fatto che gli atenei prendano in considerazione anche la dimensione psicologica ed emotiva dei loro iscritti o temere che si tratti solo di una questione di immagine. Fatto sta che nella storia di Yale questo corso della giovane professoressa Laurie Santos, mossa a idearlo a fronte di studenti sempre più stressati e demotivati, è quello che ha riscosso più iscritti, dapprima in presenza e poi online (‘The Science of Well Being’, sulla piattaforma Coursera), dove veleggia verso i 4 milioni di iscritti. A dimostrazione di come il perseguimento della felicità sia immanente alle nostre vite: non una chimera ma un percorso di maturazione quando si traduce nella più realistica, misurata e costruttiva ricerca di una condizione di benessere e serenità.
Photo by Joel Muniz on Unsplash
«Come fa la casa dei nostri sogni a diventare realtà?»
Sia che desideriate un’o erta di ripresa ipotecaria, ristrutturare la vostra casa o nanziare l’acquisto di un appartamento: la nostra specialista, la signora Amalia Pons della succursale di Locarno, vi consiglierà personalmente su tutte le domande relative all’abitazione di proprietà.
Bancamigros.ch/ipoteche
IL MANAGEMENT DEL BENESSERE
Benessere delle persone, produttività e risultati oltre le aspettative. La cultura positiva del lavoro non è solo un modello organizzativo convenzionale, ma un vero e proprio modello culturale, con risultati tangibili.
«Nel comune sentire, il lavoro è lo strumento per ottenere prosperità, sicurezza, riconoscimento sociale. Nel luogo di lavoro, le persone ambiscono istintivamente a essere apprezzate e valorizzate», esordisce Flavia Milani, Chief happiness officer nelle organizzazioni, che prosegue: «Le Organizzazioni Positive sanno che prendersi cura dei propri collaboratori equivale a ottenere maggiore positività e, di conseguenza, maggiore produttività. Per raggiungere tali obiettivi, è necessario tradurre il luogo di lavoro (virtuale o fisico) in un contesto che consideri il benessere importante esattamente come il risultato aziendale. Nel luogo di lavoro, del resto, trascorriamo una media di 1760 ore all’anno, pari a circa il 30% della nostra vita». Fino a un passato recente, si è considerato che un buon salario, incentivi e bonus fossero sufficienti per far sentire le persone soddisfatte e felici. I paradigmi di lavoro e di vita sono nel frattempo mutati, richiedendo l’individuazione e l’applicazione di linguaggi innovativi e la dismissione di modelli di lavoro convenzionali e obsoleti.
Le restrizioni imposte dalla pandemia sono state, poi, l’occasione per affermare che le persone sono ‘cablate’ per la socialità e che a renderle più felici, anche sul posto di lavoro, sono le
Esistono due dimensioni della felicità: l’edonica e l’eudaimonica. Come individui e sistemi, dobbiamo imparare a coltivarle entrambe e possiamo assolutamente farlo
Flavia Milani Life & Business Coach, consulente aziendale
come
Chief Happiness Officer
relazioni umane. Relazioni che sottintendono la qualità della leadership, un lavoro dal contenuto appagante e comunque adeguato alle caratteristiche del singolo, obiettivi stimolanti, libertà decisionale e non da ultimo un clima positivo fatto di relazioni di fiducia. Con un ricco corollario rappresentato da gratitudine, gentilezza, rispetto, equità, ecc.
«L’Organizzazione Positiva è un ambiente di lavoro (dall’azienda all’ospedale, alla scuola),
20 FOCUS ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ DI SIMONA MANZIONE
« »
Professionalmente il percorso verso la felicità implica strategie mirate da parte delle aziende e una ritrovata consapevolezza da parte dei singoli. Emozioni, sì, ma non solo…
in cui ogni persona si esprime ed evolve in relazione con le altre, ottenenendo risultati personali e collettivi che superano le aspettative. È un luogo in cui si promuove una cultura del lavoro guidata da un proposito forte, ancorato a finalità collettive, capace di perseguire il bene comune e generare un impatto sociale. Un’Organizzazione Positiva è consapevole che il profitto non può essere raggiunto a discapito del benessere degli individui, si impegna per ridurre la difficoltà e anticipare futuri sostenibili», sintetizza Flavia Milani.
Nell’intento di configurarsi come organizzazione positiva, un numero crescente di aziende prevede oggi l’inserimento del ‘chief happiness officer’, una sorta di ‘manager della felicità’. Un esperto il cui ruolo completa le competenze di figure professionali già presenti in azienda: responsabili delle risorse umane, manager, imprenditori, consulenti, contribuendo a orientare le organizzazioni verso nuovi linguaggi, culture e processi evolutivi.
All’interno delle organizzazioni, il chief happiness officer valuta le strategie, le misure e le azioni adatte a migliorare l’ambiente di lavoro e a rendere le persone più motivate e produttive. Tutto ciò che riguarda il rapporto tra collaboratore e azienda viene riletto e affrontato secondo un approccio orientato al benessere, che permette di rendere i dipendenti parte integrante di quel sistema culturale più grande che è l’azienda. Il ‘manager della felicità’, infatti, disegna contesti positivi capaci di ge-
nerare benefici e vantaggi, agendo sulle quattro dimensioni del sistema organizzativo: la trasformazione culturale (cultural transformation), un percorso lungo e impegnativo, volto a orientare l’organizzazione verso un proposito di tipo collettivo; la felicità aziendale (corporate happiness), necessaria per fare della felicità una strategia organizzativa coerente; la leadership positiva (positive leadership), perché ogni organizzazione deve disporre di leader positivi; l’organizzione positiva, essenziale per gestire i processi in modo coerente con la strategia sulla felicità identificata.
Quando si parla di trasformazione culturale si intende favorire il passaggio da modelli basati sull’ego, sulla separazione e sulla competitività ad altri basati sui principi di interconnessione e cooperazione, sull’orientamento alla crescita e al contagio positivo, così come al coinvolgimento delle persone, alla responsabilità individuale e al confronto costruttivo, riconoscendo che le organizzazioni non sono macchine, ma network relazionali, aggregati di essere umani, flussi di energie emotive, che mettono a disposizione competenze e talenti con l’obiettivo di creare valore, e che il benessere dell’azienda dipende dai principi e dai sistemi adottati, dai comportamenti messi in atto.
La trasformazione dell’azienda in organizzazione positiva è solo un volto della medaglia, l’altro riguarda il singolo individuo. «La felicità nel luogo di lavoro necessita di un impegno binario: in parallelo con l’attitudine dell’azienda a realizzare condizioni di benessere aziendale, occorre l’attitudine del singolo ad allenare la felicità come competenza e non (più) solo come un’emozione». Insomma, attraverso le giuste pratiche e le giuste azioni, la felicità può essere coltivata e può fare davvero la differenza nelle organizzazioni.
Esistono due dimensioni della felicità: l’edonica e l’eudaimonica. Come individui e sistemi, «dobbiamo imparare a coltivarle
FOCUS ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ
entrambe e possiamo assolutamente farlo», sintetizza Flavia Milani, che precisa: «La dimensione ‘edonica’ è legata alla soddisfazione e al piacere che proviamo. La misuriamo attraverso l’emozione della felicità, anche se sarebbe più corretto dire che la misuriamo attraverso una gamma di emozioni, quelle che Barbara Fredrickson ha definito positive (o piacevoli). A differenza della dimensione edonica, quella eudaimonica è legata non a uno stato emotivo ma allo stile di vita: le scelte e i comportamenti intenzionali che mettiamo in atto per realizzare uno scopo superiore», nota Flavia Milani. Alla felicità come emozione, quindi alla ‘dimensione edonica’, sono connesse la soddisfazione, il piacere, l’ormone della dopamina. Mentre alla felicità come proposito, quindi alla ‘dimensione eudaimonica’, sono connesse le azioni intenzionali, il senso di scopo e i comportamenti che si sceglie di attuare, come individuo e come comunità.
«Per cogliere entrambe le dimensioni dobbiamo osservare cose diverse, e farci domande diverse. Chiedere ‘Sei felice? Che cosa ti rende soddisfatto?’ è diverso dal chiedere ‘Che cosa fai per creare ogni giorno le condizioni per una vita felice e di benessere per te e per le persone intorno a te?’», prosegue la chief happiness officer.
Perché dunque gli individui si limitano spesso a considerare la felicità solo come un’emozione? «Perché è prevalsa storicamente quasi sempre la prima, la dimensione edonica; il presidio della seconda richiede del resto una ‘tecnologia interiore’ che va allenata in maniera mirata; occorre insomma coltivare l’essere, anche se è più impegnativo che coltivare il fare e l’avere», evidenzia Flavia Milani.
Oggi, grazie alle neuroscienze e ai contributi della psicologia positiva, possiamo affermare che la felicità è un fatto oggettivo e che ciascuno di noi ne è responsabile. Fondamentale, in tal senso, è lo Studio realizzato da Sonja Lyubomirsky, professore presso la California University e Ph.D. della Stanford University: una meta-analisi in cui sono stati confrontati ben 225 studi sulla felicità. Ne è risultato che la felicità dipende
solo in parte dai geni. Il fattore genetico incide precisamente nella misura del 50%.
E l’altro 50%? Di questo, circa il 10% dipende dalle circostanze di vita: il luogo o la famiglia in cui si nasce, la scuola che si frequenta, l’ambiente sociale a cui si ha accesso, le caratteristiche fisiche (compreso lo stato di salute) e così via. Questo 10% si riferisce a un campione di persone che vivono in condizioni di vita ‘medie’, in quanto condizioni inferiori alla media determinano un innalzamento di questa percentuale, che quasi raddoppia. Circa il 40% della nostra felicità dipende, invece, dalle nostre scelte intenzionali. Ovvero dai comportamenti consapevoli con cui scegliamo di agire e vivere la nostra vita. Dipende da quanto ci dedichiamo a costruire la nostra ‘tecnologia interiore’ praticando quelle azioni e quei comportamenti che si è visto essere più efficaci nel cammino verso la felicità. «La felicità è dunque una competenza che possiamo allenare», sintetizza Flavia Milani, concludendo: «Il cambiamento è una porta che si apre da dentro. ‘Dentro’ ogni leader, genitore, insegnante, medico, collaboratore, bambino, essere umano. E da lì continua ad aprirsi, da ‘ dentro’ le aule di una scuola, le corsie degli ospedali, gli open space delle aziende, le strade di una città. Aprire questa porta è una nostra responsabilità e da questo dipenderà il futuro che sceglieremo di realizzare e, di fatto, la nostra felicità».
22
FOCUS
ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ
Fare politica è una passione che vibra forte, è voglia di mettersi al servizio della cittadinanza, di ascoltare e lavorare nell’interesse comune. Capaci di una visione concreta e aperta, sensibile e libera da preconcetti, le donne in politica possono avere una marcia in più.
A oltre 50 anni dalla conquista del diritto al voto, avvenuta in Ticino il 19 ottobre 1969, e in Svizzera il 7 febbraio 1971, il nuovo studio dell’Osservatorio della vita politica regionale dell’Università di Losanna, redatto da Oscar Mazzoleni e da Andrea Pilotti, presentato a metà giugno, fornisce un profilo delle candidature alle elezioni cantonali dell’aprile 2019, mettendo anche in luce i tratti salienti di chi ha conquistato la carica parlamentare. Nella forte avanzata della presenza femminile nel Gran Consiglio ticinese, da 22 a 31 seggi, viene riconosciuto il ruolo determinante della campagna IO VOTO DONNA di FaftPlus, che ha contribuito, quale imponente forma di mobilitazione, a fornire una notevole visibilità alle donne e a costruire una rete di sostegno per le candidate durante la campagna.
finalmente
in politica
Dalla statistica emerge però che l’insieme delle candidature si contraddistingue ancora per una sovrarappresentazione delle persone di età superiore ai 46 anni, con una formazione elevata e un’attività indipendente o una funzione dirigenziale e, alle spalle, già un’esperienza elettiva. Ma come ovviare? Spetta a ognuno sensibilizzare maggiormente e incoraggiare le donne a lanciarsi in politica. Certamente chi ricopre già ora una carica deve farsene promotore cercando di ‘arruolare’ altre colleghe, invitandole a condividere progetti, idee e instaurando sinergie proficue, perché la differenza si può farla seminando in un modo profondo e lanciando messaggi non solo destinati al ricambio generazionale, ma alle donne di tutte le età. Chi ha esperienza le accompagni durante la campagna poiché l’unione fa la forza e l’obiettivo ultimo deve essere avere più donne nei consessi politici. Candidarsi porta alla consapevolezza di contribuire alla società in maniera attiva, di conoscere in tutte le sfumature le leggi e il territorio, una realtà che soltanto da addetti ai lavori si percepisce in maniera nitida. È un’esperienza che arricchisce non soltanto il bagaglio personale, ma anche quello professionale, e permette di instaurare relazioni in ambiti poco conosciuti. Ascoltarsi, aiutarsi, condividere porta inevitabilmente a valori aggiunti che cambiano la percezione di visione in chiunque si renda conto che con poco si può fare tanto. La vita nasce in una donna e siamo certi possa fiorire sui banchi cantonali.
23 L’OPINIONE
Natascia Caccia Membra del Comitato FAFTPlus 2022-2023, Capodicastero Sanità e socialità, Cultura e tempo libero, Approvvigionamento idrico, Municipio di Cadenazzo
Un invito alle donne a candidarsi per le prossime elezioni cantonali nel 2023. Un’esperienza arricchente a livello umano, personale, oltre che professionale
?
PER UNA VITA DALL’INFANZIA
Le esperienze negative vissute durante l’infanzia non rendono più forti, né si riassorbono magicamente, ma rischiano di ripercuotersi sulla salute fisica e psicologica in età adulta. L’uso di strumenti di screening del trauma può aiutare a prevenire gli effetti collaterali o ridurne al minimo l’impatto, ma spesso sono misconosciuti
Ace. È un paradosso per il lettore italofono se l’acronimo con cui vengono indicati gli studi dedicati alle Esperienze negative durante l’infanzia (Adversed childhood experiences) ricorda quello della candeggina per antonomasia, quando il delicatissimo campo di cui si occupano di macchia ne lascia una spesso irremovibile. A questi studi va il merito di aver accertato scientificamente che anche le esperienze traumatiche meno evidenti vissute nei primi anni di vita si ripercuotono negativamente sulla salute fisica e psicologica in età adulta, di conseguenza aumentando i costi dell’assistenza sanitaria e, per contro, diminuendo l’aspettativa di vita. «Quando un bambino viene esposto cronicamente a esperienze avverse e traumatiche, il suo sistema cerebrale di attivazione di risposta da stress e pericolo resta
SOCIETÀ DI BARBARA ZEN
costantemente in funzione, con conseguenze a carico dell’autoregolazione, dell’apprendimento, dell’interazione sociale, del riconoscimento delle emozioni; ma anche aggressività, incubi e impossibilità di sviluppare attaccamenti sicuri nelle fasi evolutive successive e da adulto», spiega Maria Adele Galante Vadilonga, psicologa e psicoterapeuta Fsp, esperta in Psicodiagnosi clinica e forense e Psicologia giuridica.
Purtroppo però gli studi Ace restano poco conosciuti o sottostimati e scarsamente impiegati da assistenti sociali, mediatori, psicologi, avvocati che pur si confrontano ogni giorno con queste problematiche. C’è da chiedersene la ragione, visto che esistono da più di 25 anni e la loro fondatezza è stata comprovata. «Questi studi hanno dimostrato che l’attuazione dei metodi di screening universali Ace aiuterebbe il 60% della popolazione a raggiungere un maggior grado di benessere, oltre a evitare verosimilmente conseguenze irreversibili come morte o malattie croniche, e l’aspettativa di vita aumenterebbe in media di 20 anni», dichiara l’esperta.
Qualche esempio per capire la vastità del problema: nel questionario Ace che serve per quantificare le esposizioni traumatiche dell’infanzia, un punteggio 4 corrisponde a un rischio quattro volte maggiore di sviluppare una patologia cardiaca o un cancro. Con un punteggio 5, si ha un rischio da 8 a 12 volte maggiore di diventare dipendenti da alcol o droghe, soffrire di depressione e tentare il suicidio; con un punteggio 6 si delinea un’aspettativa di vita inferiore di ben vent’anni rispetto a chi non ha vissuto quelle esperienze, e chi arriva a più di 7 ha il triplo del rischio di sviluppare un cancro ai polmoni o una cardiopatia ischemica».
La lista completa è lunga pagine e comprende tutta una seria di conseguenze negative a livello comportamentale, sociale e cognitivo.
Sotto l’etichetta di ‘esperienze sfavorevoli infantili’ non rientrano dunque solo avvenimenti gravissimi e conclamati, ma anche traumi meno visibili: «L’approccio Ace prende in considerazione l’intera vita del soggetto, la correlazione con i sintomi che presenta. Si indaga la relazione con la famiglia e, nello specifico, con le figure di attaccamento, con gli altri adulti di riferimento e la presenza nella storia pregressa di abusi fisici e psicologici diretti e indiretti», osserva la psicoterapeuta, con Master in Tutela dei Minori e Master in Trauma Infantile.
Oltre a situazioni conclamate come l’abuso sessuale o fisico, molte altre spesso minimizzate vanno classificate fra le esperienze sfavorevoli infantili, quali
Quando un bambino è esposto cronicamente a esperienze avverse e traumatiche, il suo sistema cerebrale di attivazione di risposta da stress e pericolo resta costantemente in funzione, con ripercussioni negative sulla salute fisica e psicologica delle successive fasi evolutive e nell’età adulta
Maria Adele Galante Vadilonga psicologa e psicoterapeuta Fsp
la violenza assistita, essere spettatori di un evento traumatico a carico di terzi, ricoveri ospedalieri, malattie organiche, handicap motori fisici del bambino, per non parlare di quelle addirittura misconosciute, ad esempio l’abuso psicologico e la trascuratezza: «Una relazione emotiva caratterizzata da ripetute e continue pressioni psicologiche, ricatti affettivi, indifferenza, rifiuto, denigrazione; l’indisponibilità affettiva da parte delle figure di attaccamento, come ad esempio un genitore poco in ascolto, scarsamente affettuoso, freddo, distaccato, o che svaluta e umilia il bambino oppure pretende che si comporti in modo non in linea con la sua età sono degli Ace. Anche non riconoscere il bambino come un individuo con caratteristiche proprie, interessi, personalità, esigenze, capacità costituisce una forma di abuso», precisa Galante Vadilonga, sotto-
25
« » SOCIETÀ
lineando che questi elementi vanno detti e ripetuti chiaramente affinché si possa prendere coscienza di cosa siano i traumi e delle dinamiche che innescano ripercuotendosi sulle generazioni future. «Gli effetti delle esperienze traumatiche possono perfino alterare l’espressione genica del bambino ed essere dunque trasmessi alla generazione successiva, come ampiamente dimostrato dagli studi sull’epigenetica», evidenzia. Attenzione quindi a chi questo vissuto traumatico si limita a classificarlo come esperienza che fortifica e aiuta a maturare, oppure nemmeno le prende in considerazione: spesso, nella pratica clinica, chi presenta tali argomentazioni
Il programma Ace
All’origine del programma di ricerca Adverse Childhood Experiences (Esperienze Infantili Avverse) sono le osservazioni condotte negli anni Ottanta dal Dr. Vincent Felitti del Kaiser Permanente, tra le maggiori organizzazioni sanitarie statunitensi, su persone adulte con problemi di obesità. Felitti aveva notato che le sue pazienti donne riuscivano a perdere peso con successo, ma subito dopo lo riprendevano. Con stupore constatò che la maggior parte erano state vittime di abuso sessuale infantile ed erano, in modo più o meno consapevole, spaventate dall’idea di poter diventare sessualmente attraenti. Se erano obese, dunque, erano più protette da questo rischio. Da quel momento in poi Felitti , insieme al collega Robert Anda del Center for Disease Control and Prevention di Atlanta ha dato vita a uno studio su larga scala per analizzare anche altre problematiche di salute fisica e mentale, scoprendo connessioni fra traumi infantili di vario tipo e problemi in età adulta e definendo la ‘scala Ace’ per quantificare le esposizioni traumatiche dei primi 18 anni di vita.
a propria volta ha una storia traumatica alle spalle che gli impedisce di relazionarsi in maniera adeguata ai minori. A questo proposito la psicoterapeuta avverte: «A mio parere, uno strumento come il questionario Ace e altri analoghi, che possono riattivare eventi traumatici pregressi durante la compilazione, andrebbero utilizzati soltanto da professionisti esperti dell’area clinica e traumatica che calibrino adeguatamente le modalità, monitorando e contenendo le eventuali riattivazioni traumatiche. Inoltre un questionario di tale tipologia non deve essere usato da solo ma inserito all’interno di un’anamnesi più approfondita e trauma informed», conclude.
Di fatto, si assiste tutti i giorni, come media e dati dimostrano, a sfaceli causati da persone senza esperienza in abusi sui minori o Ace che non riconoscono le vere segnalazioni di abuso o non riescono a valutare le conseguenze che alterano la vita.
Al crocevia fra medicina e psicologia, a un programma di ricerca internazionale come gli studi Ace va il merito di aver posto sotto la lente le correlazioni tra specifiche esperienze traumatiche vissute nei primi anni di vita e determinati esiti patologici, dimostrando a livello scientifico come alla base dello sviluppo fisico e mentale di ognuno - dunque della futura qualità di vita - vi siano complesse interazioni tra ambiente e biologia che si giocano nell’infanzia e nell’adolescenza.
26
SOCIETÀ
l’anamnesi che fa la differenza
La diagnosi di una malattia e la cura del paziente non possono prescindere dal considerare le caratteristiche biologiche determinate dal proprio sesso
Il sesso del paziente appartiene al suo essere ma anche alla sua storia patologica, a quella raccontata di fronte al professore e ai colleghi, con sicurezza e senza sbavature. Il sesso non il genere, quello nell’anamnesi del paziente non è mai esistito. Il sesso non è solamente un dato che tutti possono constatare, ma possiede un significato intrinseco importante. Esistono infatti malattie esclusive di uno dei due sessi, come il tumore ovarico e della prostata (dette sesso-specifiche), e le malattie sesso-correlate, ovvero più frequenti in uno dei due sessi (come il tumore della mammella). Esistono poi patologie che hanno una diversa prevalenza nei due sessi, o quelle che si esprimono con un andamento diverso. Tra le malattie che non si esprimono, o si esprimono in modo e con frequenza diversa tra i due sessi, esistono le condizioni di origine genetica. Le mutazioni del cromosoma X, ad esempio, possono non manifestarsi con una malattia oppure darla solo parzialmente e in modo sfumato nelle femmine se l’altro cromosoma X è sano. Nel maschio invece, che possiede un solo cromosoma X affiancato da un cromosoma Y, emergono sempre. Ne è un esempio l’emofilia, nota per essere stata in passato la malattia dei reali d’Europa. La mutazione che dà origine all’emofilia (malattia caratterizzata da una ridotta coagulazione del sangue dovuta a una mutazione in un gene del cromosoma X) comparve per prima verosimilmente nella regina Vittoria, inconsapevolmente portatrice sana, e fu diffusa nelle corti di mezza Europa attraverso i matrimoni dei numerosi figli. Fu trasmessa a due dei figli maschi, che morirono in giovane età, e tramandata con le figlie Alice e Beatrice, portatrici sane, ai loro discendenti, ad esempio il figlio dello zar, marito di Alice, e gli eredi di Beatrice tra i quali i due figli maschi di Alfonso XIII re di Spagna, suo consorte, Vittoria Eugenia, portatrice a sua volta della mutazione. Anche alcune delle patologie genetiche che originano da
mutazioni nei restanti cromosomi definiti non sessuali, possono avere una prevalenza diversa nei due sessi. La causa è spesso poco conosciuta, può dipendere dal complesso meccanismo che controlla l’espressione di una mutazione (epigenetica) o dagli ormoni sessuali, l’influenza dei quali è ancora oggetto di discussione.
Le differenze di sesso rappresentano quindi un aspetto importante per orientare la diagnosi verso una determinata malattia. Per quanto riguarda le condizioni neurologiche ad esempio, il sesso maschile è un fattore di rischio per la malattia di Parkinson e la sindrome di Tourette, quello femminile è più suscettibile alla malattia di Alzheimer e alla sclerosi multipla. Il sesso del paziente orienta la diagnosi anche nelle malattie cardiovascolari, alcune delle quali, come la dissezione coronarica, si manifestano tipicamente in quello femminile. Affrontare l’evento acuto tenendo presente chi si ha di fronte, significa cercare la causa in modo specifico. Significa soprattutto proseguire verso un approccio personalizzato perché le differenze di sesso influenzano non solo la modalità di presentazione clinica delle malattie, ma anche la risposta ai farmaci. Affrontare il problema conoscendo le differenze, consente di navigare a vista con attenzione. Ed entrare quindi nel porto più sicuro.
27 L’OPINIONE
Susanna Grego Capoclinica Unità malattie cardiovascolari rare, Istituto Cardiocentro Ticino, Lugano Medico accreditato presso la Clinica Sant’Anna, Sorengo
Con l’inizio del nuovo millennio sembrava che la situazione cominciasse a migliorare. Grazie alle imponenti campagne di promozione della salute pubblica messe in atto in buona parte del mondo occidentale, la consapevolezza dei danni provocati dall’uso dei prodotti del tabacco si era diffusa in maniera massiccia, mentre il consumo del fumo cominciava a essere sempre meno accettato socialmente e relegato tra gruppi di persone problematiche. Un calo legato anche al fatto, da non sottovalutare, che i forti consumatori stavano a poco a poco decedendo.
Un problema non indifferente per le grandi case produttrici che in prospettiva vedevano a poco a poco il loro target assottigliarsi. Come risultato delle
RITORNANO A VOLTE
misure di prevenzione del fumo sempre più efficaci adottate in molti Paesi e della conseguente riduzione del consumo, l’industria del tabacco, temendo un calo delle vendite, ha iniziato a interessarsi a prodotti alternativi alle classiche sigarette.
La svolta è arrivata a partire dal 2008/2009, quando nascono i cosiddetti nuovi prodotti del fumo, ufficialmente meno nocivi e dedicati al supporto di chi vuole smettere di fumare, in realtà destinati a raggiungere e fidelizzare nuovi target di consumatori, i giovani, anzi i giovanissimi. Un fenomeno che le grandi case produttrici non hanno mancato di cavalcare, acquisendo in breve tempo le piccole aziende che avevano sviluppato i nuovi prodotti a tabacco riscaldato, che hanno cambiato il modo in cui le persone fumano e usano la nicotina. Da allora il loro consumo è schizzato alle stelle,
28
Se alla fine del Novecento il fumo sembrava un’abitudine in declino, i nuovi prodotti dell’industria del tabacco hanno rivitalizzato pericolosamente il settore
SOCIETÀ DI EMILIA REGAZZONI
soprattutto fra adolescenti e preadolescenti, tanto che le statistiche del solo mercato statunitense mostrano un consumo di sigarette elettroniche cresciuto in dieci anni del 1800%! Uno studio che si è avvalso dei dati provenienti dal progetto Alec (Aging Lungs in European Cohorts), finanziato dall’Ue, ha esaminato le tendenze a lungo termine della diffusione del tabagismo in tutta Europa e la co-autrice dello studio, professoressa Cecilie Svanes dell’Università di Bergen, ha dichiarato: “Dal 1970 le campagne contro il fumo sembrano essere state ampiamente efficaci, ma il messaggio non è stato in grado di raggiungere gli adolescenti. Infatti i tassi di iniziazione al fumo durante la prima adolescenza (tra gli 11 e i 15 anni) hanno registrato un marcato aumento dopo il 2010 in tutte le regioni europee”. E la Svizzera non fa eccezione, anzi. «Questi nuovi prodotti hanno conquistato il mercato, anche perché la Svizzera è in ritardo nell’attuazione delle misure di regolamentazione del fumo. Secondo lo studio Luis, realizzato in Svizzera e pubblicato nel 2020 su Pediatric Pulmonology, l’uso delle sigarette elettroniche è letteralmente esploso tra i giovani: il 74% degli adolescenti fumatori (tra i 13 e i 17 anni) usa anche e soprattutto le sigarette elettroniche», segnala Valentina Bianchi Galdi, esperta Ftgs (Forum Tabakprävention in Gesundheitsinstitutionen Schweiz) in consulenza e trattamento del tabagismo, attiva a Porza e presso il Centro dello Sport Ars Medica.
Benché la vendita dei prodotti del tabacco sia regolamentata nella maggior parte dei cantoni, l’e-cig è venduta liberamente in Svizzera, senza limiti di età ai minori, perché non contiene tabacco. «Nel corso dell’adolescenza, i giovani mostrano tipicamente una curiosità verso le novità e l’assunzione di rischi, che può condurre a provare alcune sostanze psicoattive quali alcol e tabacco. Sebbene questa sperimentazione possa essere considerata una normale manifestazione del processo di sviluppo, può avere conseguenze negative a breve termine sullo stato di salute e può portare alla dipendenza», segnala la specialista.
Tra l’altro i nuovi prodotti del fumo hanno un’immagine e caratteristiche tali da risultare poco invasive e fastidiose. Non puzzano, anzi spesso hanno un odore e un gusto gradevole, impregnano poco gli ambienti, hanno piccole dimensioni, sono belle e colorate. Difficile sottrarsi almeno a provarle,
anche da parte di chi non ha mai fumato le sigarette. L’inchiesta internazionale Hbsc (Health Behaviour in School-aged Children 2018) mostra come circa la metà (50,9%) dei ragazzi di 15 anni e circa un terzo (34,8%) delle ragazze della stessa età abbia fatto uso almeno una volta della sigaretta elettronica. Sono ormai numerose le tipologie di questi prodotti disponibili in migliaia di gusti diversi. Sono esenti da tasse, poiché non contengono tabacco, e sono promossi sostenendo che riducano il rischio di tabagismo. «Il pericolo che inducano invece dipendenza da nicotina nei giovani è stato chiaramente dimostrato», chiarisce Valentina Bianchi Galdi. Tra gli adulti, la forma più comune di utilizzo è quella dei mods, dispositivi piuttosto voluminosi che permettono anche di comporre la propria miscela di liquidi. Poi ci sono le pods, le più amate dai giovani, che hanno generalmente una batteria e piccole cartucce monouso con diversi sapori. «Sono particolarmente insidiose, perché sono di dimensioni ridotte, attraenti e colorate, i gusti richiamano quelli dell’infanzia (chewing gum, fragola, vaniglia…) e rendono anche l’idea del fumo meno trasgressiva», osserva la specialista. Ma la versione più insidiosa, non ancora molto conosciuta, è un nuovo tipo di dispositivo, che consiste in una custodia di alluminio con una batteria e un liquido aromatizzato, che permette di inalare una quantità di nicotina equivalente a un pacchetto di sigarette (800 puffs). Una volta vuota, viene gettata
29
SOCIETÀ
SOPRA, L’INCIDENZA DEL FUMO SUI PIÙ GIOVANI IN SVIZZERA, IN % DELLA COORTE DEMOGRAFICA
Il tabagismo non è un vizio, ma una malattia cronica, che può essere trattata con l’aiuto di uno specialista tabaccologo che accompagni nel percorso di disassueffazione e con metodi ‘evidence-based’
Valentina Bianchi Galdi Medico di famiglia, membro Fmh Esperta Ftgs in prevenzione e trattamento del tabagismo
via. «Stanno diventando sempre più comuni. Assomigliano a un evidenziatore dai colori vivaci, con un involucro più piccolo di altri prodotti. La particolarità è che permettono di fumare senza essere notati. E in breve portano alla dipendenza perché il loro contenuto di nicotina non è indifferente». La legislazione svizzera è piuttosto carente. Fortunatamente lo scorso febbraio c’è stato un referendum che ha proposto il divieto di pubblicizzare il tabacco in luoghi e spazi visibili dalle persone più giovani: il 56,6% dei votanti si è detto favorevole. Il ministro della Salute svizzero Alain Berset ha detto che la formulazione e l’approvazione della legge richiederanno tempo, ed è quindi improbabile che il divieto riguardante luoghi come cinema, trasporti pubblici, festival e pubblicazioni cartacee e digitali diventi effettivo entro l’anno.
“In Svizzera, l’industria del tabacco sta promuovendo soprattutto i nuovi prodotti con campagne e pubblicità, sottolineando il progresso tecnologico che rappresentano sulla strada di un mondo senza fumo. In realtà è stato dimostrato che il fumo di Htp contiene elementi di combustione simili a quelli del fumo di sigaretta. L’obiettivo dell’industria del tabacco è quello di riempire il mercato con un prodotto che descrive come meno dannoso, rivolto a un pubblico più ricco, al fine di aumentare i suoi profitti rispetto alle sigarette tradizionali”, ha scritto Luciano Ruggia, Direttore di Swiss Association for Smoking Prevention in un articolo pubblicato sul Bullétin des médicins suisses
In generale, Ruggia fa notare che “In Svizzera dal lancio dei sistemi elettronici di somministrazione di nicotina, non sono state prese importanti misure di controllo del tabacco, a parte la legge sul fumo passivo entrata in vigore nel 2010. Le sigarette elettroniche sono disponibili ovunque e non sono soggette ad alcuna tassa o restrizione sulla pubblicità o sulla vendita ai minori, tranne che in sette cantoni. D’altra parte, non c’è stato alcun calo nella diffusione del fumo, che rimane stabile da oltre 10 anni al 27% tra gli adulti, nonostante l’introduzione delle sigarette elettroniche e altri prodotti correlati. Mentre la loro utilità può essere discussa nel contesto di una consultazione mirata alla cessazione del fumo, è chiaro che un mercato non regolamentato e non controllato delle sigarette elettroniche in Svizzera sta portando effetti disastrosi. Basti pensare alle campagne di marketing legali mirate alla conquista dei segmenti di mercato più giovani”. Una situazione preoccupante, soprattutto alla luce della consapevolezza scientifica dei danni alla salute provocati dal fumo. L’aspettativa di vita media di un fumatore è di 14 anni inferiore a quella dei non fumatori, il 50% dei fumatori muore prematuramente e il 25% prima dei 70 anni. In Svizzera ogni anno decedono quasi 10mila persone per cause legate al fumo, circa 26 al giorno, mentre nel mondo le vittime dei danni da fumo sono 8 milioni all’anno.
Anche i nuovi prodotti dell’industria del tabacco non sono certo innocui: «Sono comunque ricchi di nicotina, che dà assuefazione, e di metalli pesanti, cancerogeni», segnala l’esperta. «L’effetto-dipendenza è molto rapido e deleterio». In effetti oggi le statistiche parlano di un 4% di fumatori che riescono ad abbandonare la pratica da soli, mentre la percentuale sale a 15-20% tra coloro che si rivolgono a un professionista, che può quindi essere di grande aiuto. «È importante che passi il messaggio che il tabagismo non è un vizio o una cattiva abitudine, bensì una malattia cronica che può essere trattata grazie al sostegno di un professionista che non è giudicante, ma accompagna il paziente in un percorso di disassuefazione da nicotina lavorando sia a livello motivazionale che con il supporto di farmaci. Si tratta di un gesto di consapevolezza e responsabilità, di amore verso se stessi e di rispetto verso gli altri».
30 SOCIETÀ
« »
Formazione su misura
La formazione continua universitaria che accompagna aziende e istituzioni:
◆ Corsi personalizzati, realizzati in funzione di esigenze specifiche
◆ Accompagnamento nella gestione del cambiamento e delle transizioni verde e digitale
◆ Consulenza sull’applicazione di metodi e strumenti innovativi
Programma formativo e obiettivi sono co-progettati con il committente, per un’esperienza “su misura”.
Per maggiori informazioni:
SUPSI, Formazione continua
Le Gerre, Via Pobiette 11
CH-6928 Manno
T +41(0)58 666 60 20
fcsumisura@supsi.ch
Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
MESSAGGERI CELESTI
Le prime straordinarie immagini catturate dal James Webb Space Telescope richiamano l’attenzione sull’accelerazione esponenziale delle conoscenze sull’universo.
L’astrofisica Patrizia Caraveo ne illustra gli ultimi sviluppi, senza dimenticare lo storico ruolo chiave delle donne e l’importanza di rispettare un bene di tutti, come il cielo
Una macchina del tempo in grado di riportare quasi alle origini dell’universo. Lanciato lo scorso Natale, con la promessa che avrebbe permesso di studiare la formazione e l’evoluzione delle prime galassie, stelle e pianeti, il James Webb Space Telescope l’11 luglio ha dato saggio delle sue potenzialità con la prima immagine, di una serie di cinque, presentata al pubblico. È la più profonda mai ottenuta dell’universo, cattura sorgenti che hanno emesso la loro luce 13 miliardi di anni fa.
Frutto della collaborazione fra Nasa, Agenzia spaziale europea e canadese, ideato nel 1995 e costato oltre 10 miliardi di dollari, James Webb operando nell’infrarosso raggiunge un livello di risoluzione e dettaglio incomparabili rispetto ai predecessori, Hubble incluso.
Al di là della spettacolarizzazione, la valenza astronomica è immensa; i dati che verranno raccolti potrebbero rivoluzionare le attuali conoscenze.
«Quella tra uomo e cielo è un’unione profondissima. il Sole, la Luna e le stelle hanno giocato un ruolo determinante nella storia del genere umano. Oltre a
essere stati l’orologio e il calendario di tutte le civiltà che hanno popolato la Terra, sono stati considerati divinità e hanno sempre avuto grande rilevanza nelle diverse culture», osserva l’astrofisica Patrizia Caraveo, dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Astrofisica italiano (Inaf) e Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
A maggio è stata ospite dell’incontro che ha concluso la quarta edizione delle ‘Colazioni letterarie’ organizzate dalla Società Dante Alighieri con il Lac di Lugano. Un’opportunità unica perché questa grande scienziata, tra i primi a capire il ruolo fondamentale delle stelle di neutroni inaugurando un nuovo capitolo nell’astrofisica delle alte energie, è un’altrettanto eccellente divulgatrice, capace di portare al grande pubblico e alle nuove generazioni concetti non semplici. La presentazione del suo ultimo libro, Sidereus Nuncius 2.0. I messaggeri celesti della nuova astronomia (Mondadori Università, 2021) ha offerto lo spunto, in dialogo con la giornalista Ira Rubini, per una coinvolgente introduzione agli ultimi sviluppi dell’astrofisica.
«È stata la luce il primo ‘messaggero’ che ha consentito alle antiche civiltà dei sumeri e degli egizi, attraverso osservazioni a occhio nudo, di cominciare a capire
32 SOCIETÀ DI SUSANNA CATTANEO
© Eric Hanson / Getty Images
come si muovessero gli oggetti celesti. Grazie al genio di Galileo abbiamo poi sviluppato gli strumenti ottici che ci hanno permesso di scoprire che la terra non è al centro del sistema solare, così come la nostra galassia non è che una dei cento miliardi che popolano l’universo», prosegue l’astrofisica. Proprio nella tradizione galileiana si innesta il suo libro, il cui titolo fa diretto riferimento a quello del breve ma rivoluzionario trattato del 1610 con cui lo scienziato pisano rendeva conto del messaggio proveniente dagli astri che il suo cannocchiale puntato al cielo notturno gli aveva permesso di cogliere, rimettendo in discussione le acquisizioni della cosmologia aristotelica e tolemaica.
Grazie all’accelerazione tecnologica degli ultimi 50 anni, la nostra capacità di cogliere i messaggi che i corpi celesti emettono è aumentata esponenzialmente, consentendoci di captare anche il non visibile. Meteoriti, polveri, raggi cosmici, neutrini e onde gravitazionali sono i messaggeri celesti che siamo ora in grado di ‘ascoltare’ per cogliere le diverse e complementari informazioni che veicolano
Patrizia Caraveo astrofisica, dirigente di ricerca dell’Inaf
fusioni di stelle di neutroni, buchi neri supermassivi, la radiazione di fondo cosmico, … «I messaggeri celesti non parlano solo di astronomia ma di fisica, chimica, matematica, biologia. È dunque necessario un approccio multidisciplinare per arrivare ai risultati. Chiaramente il tutto è condito con l’informatica: una delle bandiere dell’astrofisica è la capacità di gestire immense banche di big data», nota. In quella che, con un pizzico di ironia, definisce “la seconda professione più vecchia del mondo e certamente la più affascinante”, Patrizia Caraveo si è buttata a capofitto. «Era quello che volevo veramente fare, sono riuscita a ottenere una borsa di studio e non mi sono mai posta il benché minimo problema se ci fossero altre donne. Quello che mi
«Ma è soprattutto grazie all’accelerazione tecnologica degli ultimi 50 anni che la nostra capacità di cogliere i messaggi che i corpi celesti emettono è aumentata esponenzialmente, consentendoci di captare anche il non visibile: praticamente tutte le radiazioni dello spettro elettromagnetico - onde radio, infrarosso, ultravioletto, X e gamma. Raggi cosmici, neutrini, meteoriti, polveri e onde gravitazionali sono i messaggeri celesti che siamo ora in grado di ‘ascoltare’ per cogliere le diverse e complementari informazioni che veicolano», illustra Patrizia Caraveo. Tutti questi messaggeri celesti hanno permesso di sviluppare una nuova astronomia, ‘annunciando’ complessi eventi astronomici, migliaia di sistemi planetari,
interessava era studiare un certo tipo di oggetti celesti, imparare il più possibile. Spesso nella mia carriera mi sono ritrovata a essere l’unica donna in una stanza di colleghi, ma non mi ha mai fatto particolarmente effetto, né mi sono mai posta la domanda se non avessi vinto un concorso poiché donna», ammette. Tuttavia, con gli avanzamenti di carriera, si è resa conto della scarsa presenza femminile ai livelli più alti. Ancora troppi gli stereotipi sulle professioni, avverte l’astrofisica che tra i tanti riconoscimenti ricevuti in carriera è stata nominata persino ‘man of the year’ da un istituto americano che ha dato per scontato che dietro la firma P. Caraveo non potesse che esserci un uomo. «La scienza è un percorso di certo non facile, ma non ha nulla di maschile o femminile. Bisogna
33 SOCIETÀ
«
»
© Photo Gerald Bruneau
Donne: uno sguardo
rivoluzionario
Se le stelle parlano allo stesso modo a uomini e donne, è invece il loro rispettivo contributo a non essere stato riconosciuto allo stesso modo, perlomeno sino ai tempi più recenti. Emblematica è la vicenda del laboratorio dell’Harvard College, il cui direttore Edward Charles Pickering con l’obiettivo di realizzare uno dei primi cataloghi stellari - fra fine Ottocento e inizio Novecento - decise di reclutare uno staff di ‘calcolatrici’ tutto al femminile. Aveva trovato la formula magica: pur avendo un’eccellente preparazione universitaria conseguita nei college femminili (a Harvard non erano ammesse), le donne venivano pagate poco e niente rispetto ai loro colleghi. «Alcune hanno però rivoluzionato letteralmente l’astronomia. Eppure le loro scoperte sono rimaste senza nome: se Pickering stesso ammetteva che non ci fosse nessuno più bravo di Annie Cannon a classificare gli spettri stellari e a lei va il merito di aver definito il sistema basato sulle righe di assorbimento che usiamo ancora oggi, Harvard la cattedra di astronomia gliela ha conferita sì, ma a 75 anni. E la sua si chiama “Classificazione stellare” e non “Classificazione di Cannon”. Stessa cosa per il fondamentale “Grafico di periodo-luminosità” messo a punto da Henrietta Leavitt (1868-1921) che non porta il suo nome. È servito a Edwin Hubble per scoprire la legge di espansione dell’universo, che guarda caso è però nota al grande pubblico come legge di Hubble», esemplifica Patrizia Caraveo.
Se tante altre astrofisiche sono state misconosciute, qualcosa sta però cambiando. Nancy Roman, prima chief scientist della Nasa, è diventata persino una figurina dei Lego: il suo lavoro è stato fondamentale per arrivare alla progettazione e all’approvazione del telescopio spaziale Hubble, ragion per cui l’agenzia ha deciso di dedicarle il suo nuovo telescopio infrarosso a grande campo, il Roman Space Telescope (Rst). Nel 2020 è poi arrivata anche la prima astronoma a vincere un Nobel, Andrea Ghez, per la scoperta del buco nero supermassivo al centro della Via Lattea, condividendolo con Roger Penrose e Reinhard Genzel.
34 SOCIETÀ
ann1810a©ESA/Hubble
SOCIETÀ
SOPRA, VERA RUBIN,
© Carnegie Institution
WEBB SPACE TELESCOPE (AL CENTRO), L’AMMASSO DI GALASSIE
SMACS 0723, CHE GUARDA INDIETRO A 13 MILIARDI DI ANNI FA
A DESTRA
sfruttare tutti i neuroni del mondo e metà sono nel cervello delle donne. La fondamentale differenza risiede nell’educazione: ai ragazzi viene insegnato a essere sicuri, decisi, ambiziosi, alle ragazze no, perché la determinazione non è vista come una qualità loro adatta. Un uomo che si fa valere è autorevole, una donna risulta autoritaria. Una dicotomia da ricordare», evidenzia l’astrofisica che appartiene anche al gruppo “110 donne contro gli stereotipi” e ha scritto molto in merito.
Estremamente promettenti le prospettive per nuove fondamentali scoperte nei prossimi decenni, non solo grazie alle ultime performance di James Webb. «Oltre al suo sguardo sulle origini dell’universo, i dati che raccoglierà, insieme alle osservazioni che verranno effettuate dal nuovo strumento che l’Europa sta costruendo in Cile, il più grande telescopio ottico/infrarosso al mondo, consentiranno di studiare le atmosfere degli esopianeti per cercare molecole che appartengano alla classe delle firme biologiche, quali metano e ossigeno. Inoltre a fine 2023 entrerà in funzione anche il Vera Rubin Telescope, progettato per studiare la materia oscura (alla sua scopritrice, Vera Rubin, rende finalmente un doveroso omaggio il nome) e l’ancora più misteriosa energia oscura che dominano il nostro universo. Nel mio campo di studio, le stelle di neutroni, stiamo aspettando che si rimettano in funzione l’interferometro statunitense Ligo e l’italiano Virgo per rilevare le onde gravitazionali che ci permettano di identificare una nuova fusione di due stelle di neutroni. E tanto altro ancora», prevede.
L’invito è però a ricordarsi che ‘Il Cielo è di tutti’, altro suo titolo pubblicato nella collana Le Grandi Voci di Dedalo. Un bene comune insidiato dall’inquinamento luminoso ed elettromagnetico. Sempre più incombenti, poi, le migliaia di satelliti artificiali che gravitano intorno alla terra, destinate ad aumentare sconsideratamente con gli Starlink della SpaceX di Elon Musk, che promette di lanciar-
ne 12mila entro il 2027 e a seguire altri 30mila, cui si sommeranno quelli dei competitor. Un disastro per le osservazioni astronomiche, essendo molto riflettenti. Ma anche per lo spazio in generale: nelle orbite sovraffollate aumentano i rischi di collisioni, che generano nubi di detriti, moltiplicando le probabilità di altri impatti. «Con ripercussioni disastrose perché non dobbiamo dimenticare che tutta la nostra economia, dalle transazioni finanziarie, alle telecomunicazioni, trasporti, previsioni del tempo e osservazioni terrestri varie, è gestita dai satelliti. Dovrebbero essere le Nazioni Unite a stabilire regole valide per tutti, limitando gli effetti collaterali della space economy dei privati», conclude l’astrofisica. La stessa Unesco, nel 1992, ha dichiarato che il cielo notturno è un patrimonio dell’umanità e in quanto tale andrebbe preservato. Se contemplare le stelle è un diritto, restare a guardare non basta. Conoscere e difendere è un dovere.
35
SOPRA, LA PRIMA IMMAGINE IN ASSOLUTO REGALATA DAL JAMES
, UN ALTRO DEI CINQUE PRIMI SCATTI, LA NEBULOSA ANELLO DEL SUD MENTRE EMETTE POLVERE E GAS
© Nasa, Esa, Csa, and STScI
SOPRA, A SINISTRA, LA MONUMENTALE STATUA SATELLITE DAVANTI AL PADIGLIONE STATUNITENSE CHE VEDE PROTAGONISTA SIMONE LEIGH, LEONE D’ORO ALLA BIENNALE DI VENEZIA 2022, PRIMA DONNA DI COLORE A RAPPRESENTARE IL SUO PAESE, E A DESTRA, L’ARTISTA CILENA CECILIA VICUÑA OMAGGIA VENEZIA CON L’INSTALLAZIONE NAUFRAGA, CHE EVOCA LO SFRUTTAMENTO DEL PIANETA CHE STA FACENDO AFFONDARE LA CITTÀ NELLA PAGINA A FIANCO, CECILIA ALEMANI, DIRETTRICE DELLA 59ESIMA EDIZIONE, IN CORSO FINO AL 27 NOVEMBRE
ONIRICHE INTERPRETAZIONI
CULTURA DI PAOLA FORMENTI
© Photo Marco Cappelletti
/ Courtesy: La Biennale di Venezia
Mrinalini Mukherjee
©
Photo Ela Bialkowska OKNO studio / Courtesy: La Biennale di Venezia
L’edizione del 2022 della Biennale d’arte di Venezia si rivela sotto molteplici aspetti un’esposizione nel segno della donna. A partire dalla curatela assegnata a Cecilia Alemani, già nota al grande pubblico per aver curato il Padiglione Italia nel 2017, con un notevole meritato successo. Magia, fantasia, una certa cupezza, predilezione per le grandi dimensioni, erano fra i Leitmotiv di allora e si ripresentano puntualmente. Il titolo stesso indica la vocazione onirica: ‘Il Latte dei Sogni’, che prende ispirazione dal libricino di fiabe illustrate per bambini immaginato negli anni Cinquanta da Leonora Carrin gton (1917-2011), scrittrice e pittrice surrealista bri tannica.
L’impostazione nasce dalle numerose conversazioni intercorse con molte artiste e artisti nel corso degli ultimi anni. Come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono
le differenze che lo separano dal non umano, dall’animale, dal vegetale?
Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili e di tutte le altre forme di vita sulla Terra?
Le domande sono universali, pressanti e rivolte a tutti. Pur nella confusione di una mega-mostra come la Biennale, dove tante installazioni e opere si trovano una accanto all’altra in maniera un po’ disorientante, le risposte alle impegnative domande manifestano una sensibilità molto femminile. C’è un’abbondanza di oggetti casalinghi esposti, che rimanda a un habitat ovviamente più femminile, che forse oggi con l’home working non è neanche più così caratterizzato. Notiamo in certe opere una stretta sorellanza con lavori di tradizione artigianale, come tessuti a telaio, ricamati, fili intrecciati, ma anche ceramiche, porcellane, che fanno pensare a una mancanza di mezzi per realizzare i lavori, a una consuetudine con questi materiali e anche al bisogno di mantenere uno stretto contatto manuale con gli stessi, dall’inizio dell’ideazione al termine dell’opera. Inoltre, si assiste a uno stretto legame con animali e piante, che si può collegare col fatto che nei Paesi poveri sono principalmente le donne a occuparsene.
Questi aspetti già sono indicativi di una prospettiva piuttosto femminile nell’interpretare il tema assegnato. Ma ce ne sono ulteriori che evidenziano una sensibilità più legata al mondo della donna. L’accentuazione posta sugli aspetti
37
CULTURA
Il corpo e le sue possibili trasformazioni, la relazione con le tecnologie e il legame fra uomo e Terra sono la triade tematica della 59esima edizione della Biennale di Venezia, che attraverso l’arte cerca di immaginare nuove forme di coesistenza e si connota per una schiacciante presenza femminile
© Photo by Candré Mandawe on Unsplash
Avezzù/Courtesy:LaBiennalediVeneziia
© Photo Andrea
onirici, le visioni filtrate dall’inconscio, il sovvertimento della realtà verso l’immaginario, le metamorfosi, un’atmosfera piuttosto lunare, ... Ma perché ricorrere a un mondo parallelo? Per rifugiarvisi, per trovare una dimensione abitabile, lenitiva? Una forma di esorcismo? Una ricerca di armonia altrove? Forse per evadere una realtà vissuta in soggezione, nella paura o nell’indeterminatezza?
Percorrendo le ex fab briche dell’Arsenale ci si stupisce come queste autrici (191 contro 22 uomini) - provenienti dalle parti più disparate del mondo, possano avere affinità elettive così marcate. Si va dalle più celebri, quali la stessa Carrigton e le pittrici surrealiste sue coeve, sino alle più re centi, Niki De Saint Phalle, Rebecca Horn, Violeta Parra, più conosciuta per le sue melodie che per le tele ricamate. Ma molte sono le autrici sconosciute al grande pubblico che esordiscono in Biennale con opere importanti, quali il grande Pisser Triptych di Louise Bonnet; lo stupendo video della californiana Lynn Hershman
Leeson Logic Paralyses the Heart, che ha ricevuto una menzione speciale per le sue riflessioni sulla
A SINISTRA, CON IL SUO SORPRENDENTE GIARDINO, LA GIOVANE NIGERIANAAMERICANA PRECIOUS OKOYOMON ESORTA A UNA POLITICA DI RIVOLUZIONE ECOLOGICA
SOTTO, IL BRONZO
BRICK HOUSE DI SIMONE
LEIGH FONDE CORPO E ARCHITETTURA, IN QUESTO
MEZZO BUSTO DI SOLITO
ESPOSTO SULLA HIGH LINE
DI NEW YORK
comunicazione cibernetica; o il sorprendente grande giardino animato da piante vive e in decomposizione ‘assistita’ della giovane nigeriana-americana Precious Okoyomon, intitolata To See the Earth before the End of the World. Molto belle le sculture biomorfiche di grandi dimensioni della giovane, ma molto promettente franco-inglese Marguerite Humeau.
L’artista insignita del Leone d’Oro è l’americana di origini giamaicane Simone Leigh, prima donna nera a rappresentare l’America in Biennale a Venezia, che intitola la sua mostra Sovranità , da intendersi come indipendenza sia individuale che collettiva. Con il suo intervento stravolge magnificamente il neoclassico Padiglione Americano e lo trasforma in un edificio africano con il tetto in paglia, in stile coloniale, e allestisce internamente ed esternamente gli ambienti con sculture di grandissimo impatto visivo, quale la stupenda Satellite. Il suo concetto è la ‘creolizzazione delle forme’, ossia un eclettismo che unisce la tradizione etnica africana con la storica arte plastica del Novecento europeo, vedi Henry Moore, Juan Mirò, Costantin Brancusi. Con ulteriore fantasia, suggerisce di vedere nella testa a
38
© Photo Andrea Avezzù / Courtesy: La Biennale di Venezia
forma di cerchio concavo della donna rappresentata, un’antenna satellitare che comunica con il mondo presente, con gli antenati, con l’invisibile. Capovolge la visione della nativa Giamaica come destinazione turistica, nobilitando il lavoro delle donne che lavano i panni. Attiva per anni nel sociale a Chicago, è nota per coinvolgere la comunità soprattutto nera, nella pratica artistica, per dar forma a espressioni innovative. L’Inghilterra a sua volta propone una donna di colore, Sonia Boyce, attiva soprattutto nell’ambito musicale e nel riscatto dei neri. Il suo progetto corale consiste nel far cantare cinque donne su cinque schermi con melodie diverse, che a poco a poco si fondono in un’unica voce, un unico suono, un unico corpo, potente e nero.
La Francia è rappresentata da una donna che ha promosso costantemente l’affermazione dell’identità algerina, una volta emigrata in terra francese.
Zineb Sedira, molto simpatica, riallestisce alcuni luoghi della terra natia senza nostalgia, ma esaltando i forti legami culturali degli anni ’60 e ’70 tra i suoi due Paesi.
Siamo ormai alla soglia della sessantesima edizione della Biennale di Venezia, le cui origini risalgono addirittura al 1895 con la prima Esposizione Internazionale d’Arte. Restando alle più recenti, poche sono quelle che si possono definire indimenticabili per il valore innovativo. Sicuramente le due edizioni curate da Harald Szeemann, nel 1999, intitolata dAPERTuttO e nel 2001 la Platea dell’Umanità, hanno aperto le porte all’arte di tutto il mondo, in un multiculturalismo fondato sulla qualità e la potenza espressiva delle opere. Un’altra è stata quella di Okwui Enwezor, intitolata All the World’s Futures, che ha segnato l’inizio del post-colonialismo, marcato dalla denuncia delle violenze subite e dall’assertiva conclamazione del diritto a un riscatto artistico e storico.
Questa edizione di Cecilia Alemani, in un certo qual senso, dialoga con ambedue. E sarà ricordata. Rispetto a Enwezor e al tema del post-colonialismo, fa un passo avanti importante: le donne che espongono le loro opere non si limitano a denunciare, a decapitare l’oppressore, ma propongono un domani insieme, corale, manifestano una ricerca di condivisione, propongono progetti basati sulla collaborazione di fronte a comuni immensi
SOPRA, IL GRUPPO DI CINQUE
SCULTURE-FORNO IN GRANDE
FORMATO REALIZZATO
DALL’ARGENTINO GABRIEL CHAILE, CHE SIMBOLEGGIA ALCUNI
COMPONENTI DELLA SUA FAMIGLIA
A DESTRA, LE LUCCICANTI TESTE
DI TRIVELLA ORBITAL DELLA
SENEGALESE MONIRA AL QADIRI, RIVESTITE DI VERNICI CROMATE
PER CARROZZERIA, EMBLEMI DELLA
DEVASTAZIONE AMBIENTALE IN ATTO
problemi (la sostenibilità, il cyborg, l’identità individuale e nazionale) e un’accoglienza di fondo più positiva e meno distruttiva. La denuncia c’è, ma in quanto parte di una volontà di ricostruzione, di innovazione, di evoluzione. Rispetto a quelle di Szeeman, questa Biennale ha anch’essa aperto gli occhi su un mondo nuovo, quello composto da una molteplicità di artiste donne, provenienti da Paesi disparati, molte attive nelle città ‘canoniche’ dove l’arte raggiunge i circuiti di massima visibilità, ma alcune rimaste in quelli più marginali. Attraverso i media contemporanei riescono più facilmente a dar visibilità alle loro espressioni creative e quindi a raggiungere importanti istituzioni che le inseriscono in ambiti internazionali stimolanti e a contatto con esperienze diverse.
Photo Roberto Marossi / Courtesy: La Biennale di Venezia
PhotoRoberto Marossi/Courtesy: La Biennale di Venezia
DEL TEMPO SUL FILO
La mostra personale dell’artista Angela Lyn
nella barocca Villa Arconati-Far, alle porte di Milano, sfida le relazioni lineari spazio-temporali
Edge of Time, organizzato per la Fondazione Augusto Rancilio, che qui dal 2011 ha sede, e sviluppato dal noto curatore cinese Li Zhenhua - l’artista svizzera di origine anglo-cinese Angela Lyn crea una risonanza tra la sua vita e le tracce della storia ancora presenti nella prestigiosa dimora. Nata da padre cinese e madre inglese, cresciuta tra Regno Unito e Stati Uniti, a 17 anni si è recata a Taiwan per ricercare le sue radici cinesi. Dopo gli studi di belle arti a Londra, si è trasferita in Svizzera e dal 1994 vive a Lugano. Dal 2012 crea progetti d’artista in cui l’esposizione diventa un luogo d’incontro per dialoghi, performance, conferenze e incontri legati ai temi affrontati.
Abbiamo imparato a conoscerla a Lugano sulle grandi pareti dell’Ospedale Civico o del foyer del Lac con i suoi cedri di grande formato sospesi a metà tra il mondo occidentale, dove vive, e quello orientale da dove proviene. E continua a stupirci con la sua nuova grande mostra personale, che anima, fino al 16 ottobre, Villa Arconati-Far, un magnifico palazzo barocco situato a Bollate alle porte di Milano. In un progetto di ampio respiro - On the
Attraverso la sua ricostruzione poetica di narrazioni storiche e personali, questa sua mostra, un viaggio attraverso 25 stanze della Villa che comprende oltre 150 opere originali, realizzate ad hoc, fra dipinti, disegni, sculture, installazioni, testi e video, crea una sinergia con lo spazio consumato dal tempo, allineandolo con le domande esistenziali che riguardano questioni di identità, genere, cultura e il nostro futuro. Realizza così una ricostruzione poetica di narrazioni storiche e personali, in armoniosa sinergia con la consumata opulenza dell’architettura barocca. In un percorso intimo, Angela Lyn riunisce i suoi viaggi artistici, gli episodi della sua vita e le emanazioni storiche della Villa invitando gli spettatori a interagire con il suo lavoro e a connettersi con i propri ricordi ed esperienze. «La strana libertà che ho avuto nell’esplorare il tempo in un luogo così genuinamente magico, e ancora in qualche modo vero, è stata profonda. Soprattutto nell’era del branding in
40 CULTURA DI EMILIA REGAZZONI
IN FOTO, DUE DELLE 25 STANZE
ATTRAVERSO CUI SI SNODA
IL PERCORSO DELL’ORIGINALE E POETICA
MOSTRA DI ANGELA LYN
A VILLA ARCONATI
A SINISTRA, LA STANZA 8, INTITOLATA PASSENGER
IN QUESTA PAGINA LA STANZA 18, STEP BY STEP, A THOUSAND STEPS, © ANDREA ROSSETTI
La Regia Villa Arconati, luogo di delizie
Considerata una versione italiana della Versailles di Luigi XIV, la Regia Villa Arconati - dal nome della famiglia che ne fu proprietaria per oltre due secoli nella sua epoca d’oro - è considerata nel suo genere tra le più belle e maestose della regione milanese, espressione della cura e dell’eleganza del barocchetto lombardo sull’impianto del precedente casamento cinquecentesco. Pensata come luogo di Delizie, ma anche come avamposto per controllare i possedimenti terrieri, oggi come allora conserva il suo Borgo, i terreni agricoli e il bosco nel quale un tempo i nobili praticavano la caccia, ed è affiancata dalla chiesa di San Guglielmo. Un patrimonio di grande valore storico, culturale e architettonico, che dal 2011 insieme al suo Giardino è sede della Fondazione Augusto Rancilio (Far), promotrice dell’importante progetto di restauro e valorizzazione che sta riportando l’intero complesso al suo splendore, in combinazione alla riconversione culturale della struttura, puntando a farne una “Nuova Corte delle arti creative e contemporanee”.
Da marzo a dicembre, le giornate di apertura consentono di visitare l’intero giardino monumentale e le sale del palazzo, in parte autonomamente e in parte con visita guidata, insieme alla programmazione di una serie di attività volte al sostegno delle arti plastiche, dello spettacolo e della musica dal vivo.
CULTURA cui viviamo oggi, dove tutto è modellato per vendere, abbiamo bisogno di questo genere di emozioni. Non solo di garanzie confezionate», afferma, approfondendo così la sua fonte di ispirazione. «Ho pensato alle persone che un tempo vivevano qui: chi erano, cosa facevano e perché. Ciò che rimane sono segni, colori e linee: frammenti che mi hanno spinta alla ricerca della loro e nostra esistenza. Un labirinto di avanzi sospeso nel momento, staccato, rimosso dal contesto, eppure portatore di qualcosa di profondamente umano: forse l’improvvisa consapevolezza della lunga scia del nostro sforzo di sopravvivenza. È stato in quel momento, in piedi tra il fluttuare del giardino selvaggio e una fila di grattacieli che punteggiavano l’orizzonte blu, che ho scoperto un inquietante senso di libertà. La sensazione di essere on the edge of time, sul filo del tempo. È con questo particolare senso di libertà che ho iniziato a esplorare la Villa». L’opera di Angela Lyn media la risonanza poetica tra gli oggetti e lo spazio che abitano. Al contempo, intreccia lo spirito della pittura cinese con le tecniche artistiche occidentali, cercando di arrivare a un linguaggio universale che vada oltre i vincoli dei dogmi culturali o politici. Una narrazione che coinvolge il visitatore indipendentemente dal tempo, dal luogo o dall’origine. Per ampliare il progetto, ha invitato un gruppo eterogeneo di collaboratori ad aiutarla a rispondere alle questioni che solleva, fra cui Michael Schindhelm, noto regista tedesco per un film, e sua figlia Su Ling Gyr, che ha realizzato un’installazione nell’ala della Villa dove in passato donne e bambini trascorrevano il tempo insieme, per affrontare il tema dell’identità femminile in relazione all’arte. Un progetto ambizioso e originale nel panorama odierno, nel quale di rado capita che a un artista venga affidata una tale libertà di espressione. «Il mio approccio è quello di utilizzare una narrazione simile al racconto, in cui la presenza dell’opera tocca lo spettatore non solo a livello concettuale ed emotivo, ma anche attraverso l’energia della sua presenza fisica. La mia speranza è di coinvolgere lo spettatore creando qualcosa di comunicativo su cui costruire l’esperienza e la memoria», conclude l’artista.
UNA PRESENZA ILLUMINANTE
Raffinata quanto intensa interprete, la violoncellista svizzero-argentina
Sol Gabetta mette la sua sensibilità a servizio di un progetto inedito, che la vede collaborare come direttrice artistica e solista con l’Orchestra della Svizzera italiana, ponendo in una nuova luce il concerto sinfonico classico
Non poteva esserci titolo più appropriato: Presenza . Dopo due anni di distanziamenti pandemici, che ne hanno posticipato il debutto, il progetto che vede quale sua direttrice artistica la grande violoncellista svizzero-argentina Sol Gabetta ha potuto finalmente esordire a inizio giugno. Tutto era cominciato quattro anni fa, quando l’allora direttrice artistica-amministrativa dell’Orchestra della Svizzera italiana (Osi), Denise Fedeli, che ha poi passato il testimone al suo successore Christian Weidmann, ha proposto a Sol una carte blanche invitandola a sviluppare un suo progetto in coproduzione con il Lac di Lugano. Già curatrice, dal 2006, di Solsberg, il suo festival di musica da camera a Olsberg,
CULTURA DI SUSANNA CATTANEO
© Matthias Müller
nel Canton Argovia, aveva bisogno di trovare una chiave originale e innovativa del ruolo di direttrice artistica. L’idea vincente è stata di cogliere l’occasione per fare ciò che normalmente anche ai più grandi interpreti come lei è precluso: «Ho la fortuna di suonare con le migliori orchestre, sui più importanti palcoscenici. Eppure, dopo vent’anni di tournée, con oltre un centinaio di esibizioni per stagione, avverto il peso di dovermi limitare a perfezionare la mia esecuzione senza avere invece alcun controllo su tutti gli altri aspetti che giocano un ruolo determinante nella riuscita complessiva di un concerto», confessa la violoncellista. Ai suoi livelli si ha il privilegio di poter proporre il concerto che si vuole eseguire, ma quasi sempre senza sapere a quale ouverture e a quale sinfonia verrà abbinato, scelta riservata al direttore d’orchestra o al sovraintendente alla programmazione. «Tantomeno, arrivando in sala per le prove un paio di ore prima dell’inizio, è possibile intervenire su elementi come l’illuminazione, la disposizione scenica o tanti altri particolari che fanno però la differenza», puntualizza.
Di qui la volontà di allestire una sorta di laboratorio musicale, da intendersi come spazio, tanto fisico quanto temporale, di sperimentazione. Obiettivo: rimettere in discussione il quadro formale del concerto sinfonico classico, una ritualità dal valore sacrale, quanto sociale e distintivo, che però, reiterata passivamente, diventa una ‘partitura’ sin troppo rigida con il rischio di appiattire le potenzialità espressive e conformare le aspettative. «Non si tratta di introdurre cambiamenti radicali per scioccare, ma di sensibilizzare, che è l’esatto contrario. Minime sfumature, sottili adattamenti e non stravolgimenti spettacolari. Quello che desideriamo è che il pubblico viva un’esperienza che susciti un’emozione inedita, che lo accompagnerà quando avrà lasciato la sala», spiega la direttrice.
Per quest’edizione inaugurale si è scelto di concentrarsi soprattutto su una diversa ‘orchestrazione’ dell’illuminazione, sperimentando come sottili variazioni di intensità possano influire sulla fruizione. «La dimensione visiva gioca un ruolo fondamentale in un concerto dal vivo, che offre un’esperienza molto diversa dall’ascolto di una registrazione in cuffia: quest’ultima può esser impeccabile, ma priva delle emozioni condivise fra pubblico e musicisti, che fanno di ogni evento un unicum. Un altro aspetto è la collocazione di orchestra e solista: spesso mi rendo conto della delusione del pubblico non specialista che si aspetta di vedere l’interprete per cui ha pagato il biglietto tutta la serata e non solo durante il suo concerto», osserva Sol Gabetta, che infatti ha scelto di essere in scena anche quando non è lei a suonare. Proprio in considerazione del suo duplice ruolo di musicista e direttrice artistica, ha sentito la necessità di farsi affiancare da un curatore: una figura assente nel mondo dei concerti sinfonici, che possa valutare e calibrare, proprio come accade nell’opera o per l’allestimento di una mostra, l’effetto di ogni variabile. L’intesa speciale, e comprovata, è quella con Balthazar Soulier, suo compagno di vita.
Tutta la settimana che ha preceduto il weekend di concerti è stata sfruttata per un’immersione totale nel progetto insieme ai musicisti dell’Osi con il direttore Markus Poschner, per
45
© OSI / Luca Sangiorgi
SCENOGRAFIA DI GRANDE IMPATTO E INCONSUETA PER IL PROGETTO “PRESENZA”, INAUGURATO CON IL CONCERTO DELLO SCORSO 3 GIUGNO AL LAC
Con il progetto Presenza non vogliamo introdurre cambiamenti radicali o spettacolari nel rituale del concerto sinfonico classico, ma minime sfumature, sottili adattamenti, per esaltare alcune peculiarità delle partiture che ci paiono essenziali. Vorremmo che il pubblico viva un’esperienza che susciti un’emozione inedita
Sol Gabetta li aveva presentati, proprio perché fuori dall’ordinario. La scelta dei brani, che ha attinto a pagine meno frequentate del repertorio per violoncello, rispecchia la filosofia del progetto: non affidarsi alle gerarchie dei grandi nomi, consacrate dalla tradizione, da predilezioni nazionali o dalla facile memorabilità dei pezzi, ma scovare tesori nascosti, considerati ‘minori’ solo in quanto meno frequentati.
Un’apertura mentale che la violoncellista sollecita anche nelle nuove generazioni. Nell’attività di insegnante che la vede impegnata alla Musik Akademie Basel invita i suoi alunni a fare il salto da professionisti ad artisti. «Già dalla composizione del programma di diploma posso intuire la loro attitudine: alcuni scelgono di cimentarsi con un repertorio meno conosciuto, che devono ancora preparare da zero, solo perché una volta l’hanno sentito e li ha emozionati particolarmente: ecco, per me questa è già creatività».
Per Sol Gabetta la parola ‘presenza’ ha acquisito quest’anno anche un’altra connotazione, molto personale: «A febbraio mi sono ferita alla mano sinistra con un coltello da cucina, lo scenario peggiore per un violoncellista, visto che è quella che si muove sulle corde. È stato scioccante: non sapevo quanto la lesione fosse grave e ho dovuto attendere tutta la notte l’arrivo dello specialista per essere operata». Fortunatamente dopo due mesi di convalescenza è potuta rientrare sulle scene e ora sta affrontando un periodo ancora più intenso del solito, con i concerti che è stato possibile rinviare da recuperare. «Spero per la mia carriera futura di poter trarre a mia volta ispirazione dall’approccio di Presenza, prendendomi il tempo per preparare concerto per concerto, senza stress, vivendolo come qualcosa di unico e dando a ogni singola nota il suo valore», conclude la violoncellista.
otto, dieci ore al giorno di prove e riflessioni. «Non è affatto scontato trovare una tale disponibilità a investire tempo ed energie per sperimentare nuovi orientamenti. Sono particolarmente contenta di poterlo fare con un ensemble dall’enorme potenziale come l’Osi, e in Svizzera, che da poco è anche il mio Paese, in una sala bella come quella come del Lac che, come centro multiculturale, si presta perfettamente a questo approccio aperto», osserva la violoncellista. Un grande lavoro preparatorio che ha potuto apprezzare chi ha avuto la fortuna di assistere a uno dei due concerti, il 3 e il 5 giugno, rivelatisi ‘straordinari’, come
Da qui al 2024 sono state confermate tre edizioni, sempre nei weekend di Pentecoste, con l’auspicio di rendere fisso l’appuntamento di Presenza nel calendario del Lac: un unicum nella scena musicale svizzera che attirerà di sicuro attenzione a livello internazionale. Perché no, con la disponibilità da parte di Sol Gabetta, dopo aver fato da apripista, a suggerire in alternanza altri direttori artistici, che possano arricchire l’esperimento con nuovi punti di vista. Quel che è certo, è che da un’edizione all’altra ci sarà una costante evoluzione, calibrata anche sulle reazioni del pubblico che del progetto sarà altrettanto protagonista in un’ottica che fa del concerto un evento multidimensionale. Una partitura che nelle note ha solo l’inizio di un complesso e magico gioco di interazioni.
46 CULTURA
» «
Sol Gabetta direttrice artistica e solista di Presenza, con il direttore dell’Osi Markus Poschner
© OSI / Luca Sangiorgi
PORSCHE TOWER MIAMI LUGANO
GRAZIE REZZONICO FACILITY SA
Stazione 3, CH-6934 Bioggio Tel. 091 605 10 10 / rezzonicobioggio.ch
Via
UN COSÌ EROICO L
a prima rappresentazione, al Teatro La Fenice di Venezia il 6 marzo 1853, fu un totale insuccesso: un “fiascone”, lo definì Verdi stesso, senza però scoraggiarsi. Già forse aveva previsto che un’opera rivoluzionaria come La traviata, capace di portare finalmente il realismo nel melodramma italiano, avrebbe incontrato le resistenze di pubblico e critica, scontando la scabrosità del soggetto. Ispirato a La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio, denudava l’ipocrisia della moralità borghese raccontando il drammatico destino di una cortigiana: richiestissima e osannata sinché non si innamora di un giovane nobile e tenta di emanciparsi dal suo demi-monde. Non aiutarono nemmeno gli interpreti che non resero giustizia alla qualità musicale data dal perfetto equilibrio tra prosa e lirica. “Non son turbato. Ho torto io o hanno torto loro? Ma io credo che l’ultima parola su La traviata non sia quella di jeri sera, la rivedranno e vedremo!”, scriveva l’autore a un suo corrispondente il giorno dopo. Il tempo gli ha dato ragione e, da quando l’anno successivo venne rimessa in scena, l’opera non ha smesso di raccogliere consensi, diventando uno dei titoli più emblematici della sua epoca, che presto sarà possibile applaudire anche a Lugano. Il 2 settembre inaugurerà infatti la nuova stagione del LAC che, in coproduzione con l’Orchestra della Svizzera italiana e in collaborazione con LuganoMusica, porta per la seconda volta l’opera lirica sul suo palcoscenico, dopo il successo del Barbiere di Siviglia del 2018. Lo fa prediligendo un’interpretazione sentimentale della vicenda, che mette al centro il grande sogno di amore di Violetta e non la dimensione scandalistica su cui hanno puntato non di rado molte rappresentazioni.
«Abbiamo scelto di ambientare la nostra versione in un Ottocento crepuscolare, evanescente, malinconico come la musica composta da Verdi, per una Violetta che, malgrado sia una prostituta, esprime un concetto altissimo e puro dell’amore, incurante di quel che tutti credono di vedere e sapere. La sua è un’utopia, il sogno
48
CULTURA DI MIRTA FRANCESCONI
AMORE
Il 2 settembre l’opera lirica torna protagonista al LAC, inaugurandone la stagione con La traviata. Un’interpretazione sentimentale del capolavoro di Verdi che mette al centro il sogno di amore di Violetta
A DESTRA, UN CELEBRE MANIFESTO DI MUCHA PER LA VERSIONE TEATRALE DELLA DAME AUX CAMÉLIAS, ROMANZO CHE HA ISPIRATO LA TRAVIATA DI VERDI. A SINISTRA, DUE BOZZETTI (VIOLETTA E DOTT. GRENVIL) DEI COSTUMI DISEGNATI DA MARGHERITA BALDONI, CHE CON SCENOGRAFIE E ILLUMINAZIONE CONCORRERANNO A CREARE L’ATMOSFERA CREPUSCOLARE E DIAFANA SCELTA PER LA COPRODUZIONE DI LAC E OSI
di emanciparsi dal mondo in cui vive. Se si rivelerà quasi infantile nella sua ingenuità, nondimeno con estrema coerenza si sacrificherà in tutto e per tutto per quel grande amore», commenta il direttore artistico del LAC Carmelo Rifici.
Scenografia, costumi, gioco di luci, ombre e velati sono stati pensati proprio per evidenziare questo desiderio illusorio. Carmelo Rifici sceglie di farsi accompagnare dalla squadra di lavoro che lo ha affiancato ne Il barbiere: lo scenografo Guido Buganza, la costumista Margherita Baldoni, il light designer Alessandro Verazzi, il coreografo Alessio Maria Romano, e collabora per la prima volta con la compagnia Teatro Gioco Vita, che da oltre 50 anni porta nel mondo l’arte del teatro di figura e del teatro d’ombre. «Ho richiesto al mio team di creare un’atmosfera malinconica e diafana che, grazie alla scelta dei materiali e allo studio dell’illuminazione, esprima lo slancio e la fragilità di Violetta, vittima di una società maschile incapace di proteggerla. La camera da letto dell’atto finale diventerà il simbolo di un ritorno all’infanzia», anticipa il direttore artistico. Anche a livello musicale la scelta di quella che è l’opera più intima di Giuseppe Verdi, ricchissima di colori e molto vicina al mondo cameristico, si rivela perfetta per un’orchestra come l’OSI e il suo direttore Markus Poschner, così come la Sala teatro del LAC per dimensioni e caratteristiche acustiche è particolarmente adatta.
Atteso un cast di grandi interpreti: su tutti, il tenore Airam Hernández, tra i più apprezzati della sua generazione e che ben conosce ormai il ruolo di Alfredo quanto l’intensa soprano Myrtò Papatanasiu quello di Violetta, e un baritono che eccelle nel repertorio verdiano come Giovanni Meoni, nei panni di Giorgio Germont. Alla prima seguiranno tre repliche, il 4, il 6 e l’8 settembre, quando torneranno a risuonare le note delle grandi arie, dall’apertura gioiosa di Libiamo ne' lieti calici allo straziante Addio, del passato bei sogni ridenti, che hanno reso memorabile quest’opera nel suo descrivere la forza del sentimento che, fra anelito di redenzione e destino di dannazione, solo in apparenza soccombe alla malattia e all’ottusità del conformismo per sopravvivere in tutta la sua vitalità nell’arte.
N
essuno prima di lei era riuscito a realizzare a una carriera a tempo pieno come percussionista solista. Cresciuta in una fattoria nel nord-est della Scozia, influenzata dalla musica della sua terra, quando sedicenne Evelyn Glennie è stata ammessa alla Royal Academy of Music di Londra aveva già le idee in chiaro
Elton John e tanti altri, giusto per farsi un’idea del suo eclettismo di ricercatrice instancabile del suono. Non si accontenta infatti degli oltre cento premi internazionali vinti, tra cui due Grammy, il Polar Music Prize e il Companion of Honour, né dei 40 album incisi. A oggi ha commissionato più di duecento opere per percussioni, creando un nuovo repertorio per lo strumento, al quale si aggiungono le sue composizioni per cinema, teatro, radio e performance varie, quando non tenta addirittura combinazioni sorprendenti come quelle fra rullanti e vasi da fiori, tubi e campane, xilofoni e chiavi inglesi…Ama infatti trovare nuove strade e sfidare i generi.
IMPRIMERE UN
NUOVO RITMO
Rullo di tamburi… a lanciare la 77esima stagione delle Settimane
Musicali di Ascona, il 27 agosto, un entusiasmante concerto open air della maggiore percussionista al mondo Evelyn Glennie, che della sordità ha fatto una risorsa per una musica ancor più ‘sentita’
sul nuovo ruolo che il suo strumento d’elezione avrebbe potuto acquisire, sia nella musica classica, avanzando dal fondo dell’orchestra alla prima fila, sia sperimentando nella contemporanea. Un’intuizione che ha saputo concretizzare in una carriera ormai trentennale di grandi conquiste: nel 1992 ha eseguito il primo concerto di percussioni nella storia dei Proms alla Royal Albert Hall; vent’anni dopo capitanava mille batteristi alla Cerimonia di Apertura dei Giochi Olimpici di Londra, dove ha anche battezzato una sua ideazione, l’aluphone, lei che di strumenti a percussioni è appassionata, con una collezione che veleggia oltre i 3500 pezzi. Negli anni ha collaborato con direttori e solisti quali Georg Solti, Murray Perahia, Vladimir Ashkenazy e in ambito pop con Sting, Björk,
Un approccio altamente innovativo, cui paradossalmente l’ha portata la sua sordità. Un apparente handicap di cui ha fatto una risorsa per una musica che si rivela ancor più ‘sentita’ e che, letteralmente, la attraversa, facendo del suo intero corpo un gigantesco orecchio per captare le energie sonore. Da quando aveva 12 anni soffre di sordità profonda: «In assenza di altri suoni che interferiscano, di solito riesco a sentire qualcuno che parla, ma non riesco a capirlo senza l’ausilio della lettura labiale», spiega Evelyn Glennie, confessando: «Purtroppo la mia sordità fa notizia. Ho imparato fin da bambina che se rifiutavo di parlarne con i media, loro ci ricamavano sopra, raramente descrivendo con accuratezza il mio deficit. Va detto che la sordità è poco conosciuta in generale. Ad esempio, è diffusa l’idea errata che le persone sorde vivano in un mondo di silenzio. Per comprendere la natura della sordità, bisogna innanzitutto capire la natura dell’udito, che potrei definire una forma specializzata di tatto, sollecitata dalle vibrazioni»,
50
CULTURA DI MIRTA FRANCESCONI
osserva. In gioventù ha passato molto tempo con l’aiuto del suo insegnante di percussioni Ron Forbes ad affinare la sua capacità di rilevarle. «Mi mettevo in piedi con le mani contro il muro dell’aula mentre lui suonava le note sui timpani e alla fine sono riuscita distinguere l’altezza approssimativa delle note associando il punto del corpo in cui percepivo il suono al senso di intonazione perfetta che avevo prima di perdere l’udito. I suoni bassi li sento soprattutto nelle gambe e nei piedi, mentre quelli alti possono essere localizzati in particolare sul viso, sul collo e sul petto», racconta Evelyn Glennie, che esegue di preferenza i suoi concerti scalza. Anche la vista rientra nell’equazione. «Se vedo vibrare la testa di un tamburo o un piatto, o addirittura vedo le foglie di un albero che si muovono al vento, il mio cervello crea inconsciamente un suono corrispondente». Oggi è per lei del tutto naturale ascoltare in questo modo, non diversamente da come ciascuno sente senza dover pensare ai complessi processi implicati. Concetto che ha testimoniato anche nel film Touch the Sound e nel suo libro Listen World! Ottima comunicatrice e insegnante anche quando non suona, come dimostrano le sue affollatissime masterclass o il successo del suo Ted Talk.
Sarà lei a lanciare, il prossimo 27 agosto, la 77esima stagione delle Settimane Musicali di Ascona con un concerto open air sul lungolago offerto grazie al patrocinio del Municipio del Comune. Il Festival proseguirà poi fino all’8 ottobre: accanto a vecchie conoscenze quali la Chamber Orchestra of Europe, Ivan Fischer, Maria-João Pires e il Quartetto Modigliani, le Settimane Musicali accoglieranno per la prima volta la pianista Beatrice Rana, il giovane direttore Robin Ticciati, il
Concerts des Nations e altri nuovi ospiti. Una dozzina di grandi appuntamenti nelle chiese di San Francesco di Locarno e del Collegio Papio di Ascona per un programma all’altezza della consueta grande qualità, con scelte intriganti e interpreti di assoluto rilievo ‘convocati’ dal direttore artistico Francesco Piemontesi, che a sua volta si esibirà in diverse occasioni. Inaugurare questa stagione nel segno di colei che dichiara che sua missione è insegnare al mondo ad ascoltare ha un preciso significato, oltre a regalare una serata che sarà un grande evento, visto il coinvolgimento che riesce a creare con le sue performance di grande intensità.
CULTURA
© Ph i l i pp Rathmer/Bri gitteLambeg
L'aula non è legata al tempo, né al luogo: lo spazio in cui insegno videogiornalismo è vivo, metabolizza e genera idee e conoscenze. Offre contemporaneamente una stazione di notizie, una dimensione collaborativa e un laboratorio fertile. Oltre che docente, sono in prima battuta regista e produttore, ma mi rendo conto che la parte educativa riguarda tutti i diversi ruoli che ho sia professionalmente che personalmente.
Nella mia disciplina non c'è un regolamento preciso per la creazione di contenuti. La chiave risiede nell’approccio: imparare una metodologia fondamentale, che possa essere applicata in modo flessibile, combinata con lo sviluppo di una bussola morale, è ciò che gli studenti potranno applicare a vita. Infatti l’importante nel videogiornalismo è proprio che il cervello rimanga plastico, capace di assorbire informazioni e avvicinarsi alla comprensione della verità di un problema o di una storia.
Nell’autunno del 2021 ho tenuto un corso di giornalismo alla Franklin University di Sorengo: una scuola che rappresenta più di 50 nazionalità, interessi, sistemi di valori e prospettive diversi, creando un microcosmo. Seguendo la strategia del ‘beat reporting’, ho lasciato i miei studenti liberi di scegliere un argomento che li appassionasse e seguirlo per tutto il semestre, assumendo le diverse responsabilità associate a una redazione. Questa
Portare il mondo reale in classe
L’esempio del videogiornalismo
l’aula oltre
la classe
consapevolezza li ha incoraggiati a prendere il controllo del processo creativo. Inoltre le revisioni avvenute tra pari hanno permesso lo sviluppo di un occhio critico e importanti capacità di dialogo sui loro progetti, un metodo applicabile anche nel mondo lavorativo.
Lo scorso semestre invece ho tenuto il corso “Produzione di cortometraggi non fiction”: dalla concezione della storia alle riprese fino al montaggio gli studenti si confrontano con la produzione di contenuti online. Hanno applicato le loro competenze per creare contenuti audiovisivi per Dancing Free, un documentario che la mia compagnia di produzione, Fiumi Studios, ha realizzato in collaborazione con la Franklin per raccontare il making of della prima edizione del Festival di danza contemporanea del Lac, tenutosi a maggio. Un’occasione di conoscere la comunità creativa locale e globale. Lo scambio, fondamentale per la crescita, inizia in famiglia, poi si espande in classe, ma deve continuare oltre: identificate il vostro interesse, fate delle ricerche, inseritevi in comunità che già esistono o createne una vostra, questo è il miglior consiglio che possa darvi e che ha cambiato la mia vita. Queste comunità, ognuna diversa a modo suo ma tutte unificanti, dimostrano che portare il mondo reale in classe è importante quanto essere uno studente al di fuori dell’aula.
52 L’OPINIONE
Elettra Fiumi regista, produttrice, montatrice
è importante quanto essere uno studente al di fuori dell’aula.
Torna la magia di Piazza Grande
Scopri il programma di #Locarno75 e acquista i biglietti su locarnofestival.ch
IL PIACERE DELL’INGANNO
Divertimento. Nel senso letterale del termine: de-vertere, volgere altrove, deviare. In cucina: sovvertire le convenzioni, sorprendere. Così per le sue creazioni: trompe l’oeil che giocano con gli ingredienti - quelli del territorio e i grandi classici dell’haute cuisine, capesante e foie gras, senza escludere qualche tocco esotico, spezie, aglio nero, frutto della passione, i fiori - per portare lo sguardo in una direzione e fare esplodere il gusto nell’altra. Illusioni che permettono di riscoprire i sapori nella loro autenticità.
Poco più che trentenne, nel 2019 Marie Robert è stata nominata Cuisinière de l’année dalla guida gastronomica GaultMillau, titolo che soltanto undici cuochi svizzeri avevano ottenuto: il suo Café Suisse a Bex, in territorio vodese, ha raggiunto 16 punti su 20, guadagnandone due in un sol colpo. “Vera cucina d’autore” ha decretato la giuria. Un’enorme soddisfazione per una ragazza così giovane, che ha sempre seguito il proprio istinto. «Non so io stessa come sia nata questa passione. Sin da quando ho iniziato a parlare, sapevo di voler fare la cuoca. Ho cominciato preparando dei dessert, ancora oggi tra le mie portate preferite con le entrées, perché mi permettono di essere creativa. I banchi di scuola non facevano per me, sono sempre stata più portata per la pratica, così a 15 anni mi sono trovata un apprendistato per inseguire il mio sogno, grazie anche all’appoggio della famiglia che pur non essendo nel ramo - papà contabile e mamma organizzatrice di eventi - mi ha sostenuta».
A FIANCO, DUE DEI TANTI VOLTI DELLA CHEF
MARIE ROBERT, CHE IN CUCINA AMA GIOCARE
CON LE APPARENZE E RIBALTARE LE PERCEZIONI, TRAVESTIRE GLI INGREDIENTI PER FARLI IN REALTÀ SCOPRIRE IN PUREZZA
Difficile d’altronde non assecondarla: che Marie sia una leader nata si capisce non appena la si incontra. Forte personalità, risoluta, con quell’energia che ne fa una trascinatrice irresistibile. Non sorprende che nel 2006 avesse già staccato il premio come miglior apprendista del Canton Vaud. Troppo indipendente però per restare nei ranghi. Così quando ha avuto la straordinaria occasione di lavorare nella brigata di uno chef bistellato, Thierry Marx - all’epoca a Pauillac, vicino a Bordeaux, oggi in rue Saint-Honoré a Parigi - ha osato mandare tutto all’aria per mettersi in proprio. «Nella vita ci sono quelli che guidano e quelli che preferiscono farsi guidare. In realtà ero ancora troppo immatura e poco paziente. Non ero pronta a sottomettermi con la giusta disciplina. Avevo solo vent’anni, ma ho capito di volere già un locale tutto mio, per fare di testa mia», ammette.
Losannese doc, ha dovuto rinunciare ad aprire in città per contenere i costi iniziali. L’alternativa vincente è arrivata da un vero e proprio colpo di fulmine per un piccolo ristorante nel villaggio di Bex, a una quarantina di chilometri, una località nota per le sue miniere di salgemma, estratto a partire dal Seicento e tuttora commercializzato con l’etichetta ‘Sal des Alpes’ (è stato tra le specialità del padiglione svizzero di Expo 2015), che si possono visitare esplorando l’itinerario di 50 chilometri in sotterranea e annesso museo.
Del Café Suisse - questo il nome originario del ristorante che una volta serviva i turisti aristocratici che raggiungevano la località termale - Marie ha fatto la propria ‘casa’ insieme al socio Arnault Gorse, responsabile della carta dei vini e della sala. «Nei primi tempi ci passavamo l’intera giornata, dalle 7 del mattino alle 2 di notte, con una branda in cucina per staccare un attimo e pile di piatti da lavare perché ancora non potevamo premetterci personale. Ma non appena abbiamo visto questo locale, abbiamo intuito che poteva funzionare», racconta. Si capisce perché, con il suo charme bohème, il pavimento in parquet e la teatrale scala in legno che sdoppiandosi ne percorre tutta
STILI E TENDENZE DI ELEONORA VALLI
55
La sua è una cucina plurisensioriale, di armonie e contrasti, che riesce nell’azzardo di sposare raffinatezza e spirito funky, nel segno dell’indipendenza assoluta da ogni canone e modello. Anticonformista come lo è lei: la losannese Marie Robert, chef del Café Suisse di Bex
IN QUESTE PAGINE: DUE ALLESTIMENTI DEL CAFÉ SUISSE DI BEX, IL CUI LOOK CAMBIA
INSIEME ALLA CARTA DEL MENU, CINQUE VOLTE
L’ANNO. UN’IDEA DELLA CHEF MARIE ROBERT CHE ALL’ACCOGLIENZA DEGLI OSPITI ATTRIBUISCE
UN’IMPORTANZA CENTRALE, DIMOSTRANDOSI CREATIVA QUANTO NEI SUOI RAFFINATI E SPETTACOLARI PIATTI TROMPE L’OEIL
l’altezza fino ai soffitti stuccati a sei metri, li abbia affascinati, ancor prima di essere accuratamente ristrutturato. Geniale l’idea di rinnovarne integralmente il look in corrispondenza di ogni cambio di menu: cinque volte all’anno, in abbinamento alla nuova carta, ecco una diversa scenografia: apparecchiatura, illuminazione e, soprattutto, i graffiti che decorano le pareti.
Un altro modo per sorprendere e travestire. Nel segno della plurisensorialità. Con un concetto di ospitalità molto femminile, che non ambisce solo a portare il meglio nel piatto ma vuole avvolgere il cliente in un’atmosfera che è il primo passo della degustazione di un’esperienza unica e memorabile, sfumando i confini fra tavola e sala. Anche l’habitué non rischia il déjà vu, ma può immergersi ogni volta in universo differente.
«Il nostro criterio guida è soddisfare chi mangia da noi. Serviamo al massimo una quarantina di persone a turno per poter curare ogni dettaglio, a partire dall’accoglienza che per me è fondamentale, quanto il gusto. Vogliamo prima di tutto che trascorrano una bella serata, anche perché è il passaparola la migliore pubblicità, ancor più del marketing digitale», sottolinea Marie Robert.
Negli anni la sua cucina, inizialmente tradizionale, si è affinata con criterio e intelligenza verso una maggiore essenzialità ed eleganza che assicura l’equilibrio perfetto fra originalità e giocosità da una parte, e dall’altra un altissimo livello nel trattamento e negli accostamenti degli ingredienti. Impiattamenti scenici ma sempre calibratissimi, che ben esprimono in connubio fra rigore e fantasia da cui nascono. Se l’occhio è il primo a essere colpito, il gusto deve essere l’assoluto protagonista.
«Quando riguardo i miei piatti di dieci anni fa, dei quali ero molto orgogliosa all’epoca, mi viene da sorridere. Sono evoluta ma restando me stessa, senza guardare ad altri, senza emulare dei modelli
o dei trend. L’importante è conservare la propria intregità, non volersi adeguare per forza quello che va di moda, perché - questa è la mia ricetta segreta - quando si fa quello che si ama e si sente, si ha successo. Ci vuole molto rigore, non aver paura della fatica, ma è necessario sapersi divertire, perché lo si trasmette alle proprie creazioni e a chi le gusta. Nella consapevolezza che niente è acquistito. Bisogna continuare a creare perché lo slancio non si fermi». Così ha capito che era necessario rimanere con i piedi ben piantati a terra anche quando, a breve dal titolo di miglior chef dell’anno 2019, il Café Suisse si è visto attribuire la prima stella Michelin e, l’anno scorso, ha ottenuto una visibilità internazionale venendo selezionato fra le otto “Tables à explorer” suggerite da La Liste, la classifica dei migliori mille ristoranti al mondo basata su oltre seicento guide. «Questi premi mi hanno molto emozionata, ma il merito, ne sono consapevole, va a tutta l’équipe, a partire da Arnault, che mi ha sempre incoraggiata a non arrendermi. Se io sono l’esploratrice, lui è il pilastro», afferma. Ora si appresta ad affrontare un’altra sfida: appena diventata mamma, dovrà conciliare professione e famiglia, alta gastronomia e omogeneizzati, rigorosamente preparati in casa si intende. Oggi ha la stabilità e l’organizzazione per sapere di poterlo fare: «Era il momento propizio. Il timing è perfetto, caldo a parte! Ho partorito proprio prima del periodo dell’anno in cui solitamente ci prendiamo una pausa di tre settimane. Tutto è pronto per la riapertura il 17 agosto. Sapendo che sarei stata meno disponibile, ho assunto personale per rinforzare e rodare per tempo la brigata: non bisogna dimenticare che in un ristorante come questo, lo chef non è nulla senza la sua squadra. In cucina ora siamo in nove, ognuno già sa esattamente quale sarà il suo ruolo con il nuovo menu. E poi ho intenzione di esserci, trovando i giusti compromessi», conclude. Intanto ha sfruttato il periodo per immaginare già nuove carte e decorazioni il futuro. Classe 1985, con una delle carriere più promettenti fra le chef della nuova generazione, Marie Robert è pronta a nuove sfide, anche perché, si vede, è il genere di persona che ama lavorare sotto pressione, con il brio, la freschezza e l’originalità che la contraddistinguono. Senza smettere mai di divertirsi, di giocare con le apparenze e ribaltare le percezioni, indirizzare e sviare, travestire gli ingredienti per farli in realtà scoprire in purezza.
UN GIARDINO PIACEVOLMENTE INSOLITO
Il design floreale di Daniel Pouzet come elemento identitario. Nel dialogo tra stile e natura, una nuova filosofia dell’ospitalità
Oggi il vero lusso «è poter scegliere. Soprattutto, poter scegliere quello che ci fa stare davvero bene, privilegiando la ricerca del bello e l’armonia con quanto ci circonda. Il design, in questo senso, è un elemento fondamentale del benessere quotidiano». Esordisce così Daniela Frutiger, amministratore delegato del ‘Design Hotel’ Giardino Ascona, ricevendo i suoi ospiti per il lunch, in un mezzogiorno d’estate.
L’occasione è un incontro con l’artista Daniel Pouzet che qui è di casa. Un’occasione per parlare di design,
e del contributo, funzionale sì, ma soprattutto emozionale, che il design è capace di assicurare. Durante la conversazione, nel raffinato outdoor, si parla di ospitalità. «Un concetto che, declinato in tema di hotellerie, abbraccia diversi aspetti. Mentre il servizio si riferisce, infatti, alla gestione delle attività pratiche e ha regole precise, l’ospitalità è invece genuina, è l’elemento umano della gestione di un hotel», prosegue Daniela Frutiger. Con una metafora, il servizio è la consegna di un prodotto. L’ospitalità è l’emozione che la consegna genera nei destinatari. «Il servizio e l’ospitalità, con il design, determinano l’identità di un luogo», sintetizza Daniela Frutiger. Dall’impronta ‘design’, il Giardino Ascona è stato re-
58 STILI E TENDENZE DI SIMONA MANZIONE
SOPRA, DANIEL POUZET, ARCHITETTO, INTERIOR DESIGNER E ARTISTA, MENTRE REALIZZA UN’OPERA MURALE, AD ASCONA, INSERITA NEL PARCO DELL’HOTEL GIARDINO. L’OPERA È STATA APPENA TERMINATA. ACCANTO, UNO SCORCIO DEGLI SPAZI ESTERNI.
IN APERTURA, DANIELA FRUTIGER, AMMINISTRATORE DELEGATO DI GIARDINO ASCONA, DESIGN HOTEL DALL’ANIMA MEDITERRANEA
centemente protagonista di un restyling. Un progetto realizzato con l’apporto di Daniel Pouzet. Architetto, interior designer e artista, dopo gli studi a Parigi, è entrato rapidamente nel parterre mondiale dei designer capaci di lasciare un segno tangibile. Per la tecnica, l’estro, l’originalità e la grande sensibilità. Schivo, Daniel Pouzet ha realizzato opere in tutto il mondo. Dai resort alberghieri nelle Filippine alle ville in Grecia e a Ibiza, fino alle nuvole vegetali del Museo di Scienze Naturali di Chicago e a iconiche collezioni di arredi. Progetti diversissimi, accomunati da una ricerca sensibile di risposte contestuali, da una creatività che supera i limiti convenzionali a favore della sorpresa, della leggerezza e della qualità degli spazi progettati. «Dopo l’importante contributo nella riprogettazione del giardino d’inverno, del bar e della lobby, il giardino e la piscina con terrazza e il padiglione per lo yoga, all’inizio di quest’anno ha ridisegnato l’area Spa», spiega Daniela Frutiger. «Con
elementi di design floreale, tappeti dipinti a mano e colori intensi che danno personalità alle varie zone». Alla conversazione, si aggiunge intanto Daniel Pouzet, che racconta il suo legame con il Ticino: «Ascona è un luogo magico, denso di suggestioni. Con la sua natura generosa e i tanti scorci spettacolari». Quanto alle opere realizzate per il design hotel sulle rive del Lago Maggiore: «È proprio dal nome ‘Giardino’ che nasce l’ispirazione per questo progetto. Un progetto caratterizzato dalla leggerezza, che predilige tonalità di bianco e beige chiaro, scelte per lasciare spazio alla natura: per far risaltare la vegetazione e i colori mediterranei che in questo angolo di Svizzera sono incantevoli», spiega il designer e artista. «Mi piace affiancare, alle caratteristiche tipiche del luogo, elementi che mi sono rimasti impressi viaggiando attraverso i continenti: la natura e il paesaggio nelle loro infinite espressioni e anche le differenti culture dei popoli; mi affascinano e mi lasciano sempre qualcosa nell’animo». Una contaminazione di atmosfere e culture che si traduce, per il designer, anche in una mescolanza tra le varie espressioni artistiche: «Le mie scelte ed esperienze personali, forse più incisivamente di quelle professionali, mi hanno portato dall’architettura verso l’interior design, il design industriale, le installazioni artistiche, la grafica e l’illustrazione. Anche collaborando con mia moglie Marilena. Auspico che le mie memorie di viaggio e di vita, tradotte in un design accogliente e in sintonia con la natura, contribuiscano a generare negli ospiti dell’Hotel meravigliose e indimenticabili memorie di viaggio».
59
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
61
a cura di Simona Manzione
RUGIANO, MELODY
IL DESIGN SULLA PELLE
Lussuoso e senza tempo. Il cuoio.
Una storia artigiana antica e una lavorazione magistrale dal fascino irresistibile
SOTTO, GIORGETTI, TAVOLINO GIMLET (DESIGN ROBERTO LAZZERONI) A DESTRA, DEVON&DEVON, MARCEL WANDERS
B&ITALIA, CORDOBA (DESIGN FOSTER + PARTNERS, INDUSTRIAL DESIGN STUDIO)
62 NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
Originale ed elegante. Dal forte impatto estetico, il cuoio tra i materiali utilizzati nelle collezioni d’arredo è decisamente uno dei più esclusivi. Raffinato come pochi, è connotato da durevolezza, resistenza e versitilità. Mutuato dall’abbigliamento e dagli accessori, può assumere sfumature diverse e particolari, tanto da essere impossibile riprodurle con altri materiali. Questo fa sì che il cuoio renda l’arredamento davvero unico e lussuoso. Resistenza ed alla bellezza lo contraddistinguono, ma non trascurabile è anche la sua capacità di essere un ottimo isolante, sia termico che acustico. Un solo materiale, molte virtù.
63
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
HERMÈS MAISON
IN ALTO, SEDIA ORIA
SOPRA, TABOURET KARUMI A DESTRA, CENTROTAVOLA PLI’H
IL PIACERE DELL’OPEN AIR
Sono un invito al relax, alla contemplazione e alla convivialità. Arredi e accessori per l’outdoor come elemento di raccordo tra il tempo trascorso all’interno dell’abitazione e i momenti all’aria aperta. Tra funzionalità e bellezza, il lato estivo del design
64
ETHIMO, NODI (DESIGN PAOLA NAVONE)
TALENTI, KUKA
Angoli di libertà, rifugi all’aria aperta capaci di esaudire il desiderio di relax, di evasione, così come quello di vivere momenti di convivialità. L’outdoor posto in dialogo con gli spazi esterni, ne rappresenta il naturale completamento. Colori e materiali sono in sintonia. Nel salotto all’aria aperta, a caratterizzare le sedute è l’accoglienza delle forme, ammorbidita dagli ampi cuscini. I tappeti diventano un racconto inedito per vestire gli spazi ‘en plein air’, in un perfetto equilibrio tra originalità stilistica e materiali performanti, possono ‘disegnare’ un’area, creare uno spazio. Zone relax, lounge e dining di giardini, terrazze, balconi e dehors si trasformano, così, in habitat sempre più completi, armoniosi e accoglienti.
MINOTTI, CESAR (DESIGN DI RODOLFO DORDONI)
OGGETTO-SCULTURA NATO NEL 2004 PER L’INDOOR E DECLINATO IN VERSIONE OUTDOOR ALCUNI ANNI DOPO. TAVOLINO, POUF O ELEMENTO DECORATIVO: UN’ICONA
65
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
GINORI 1735, PROFUMI LUCHINO, HOME FRAGRANCE COLLECTION CREATA IN COLLABORAZIONE CON LUKE EDWARD HALL
RUGIANO, DAFNE. COLLEZIONE OUTDOOR CHE EVIDENZIA IL SAVOIR-FAIRE ARTIGIANALE DEL MARCHIO
QUI LA CASA È DI MODA
Lo stile unico di grandi Nomi della moda incontra la tradizione più esclusiva del design Made in Italy
La contaminazione tra mondo del design e mondo della moda non è una novità di quest’anno. Trend in atto da tempo, quest’anno trova la sua consacrazione. Due eccellenze, design e moda, incrociano ispirazioni, saperi, atmosfere, gusti dando vita a collezioni emozionanti. Lo stile regna sovrano.
ELIE SAAB MAISON DÀ VITA AL CONCETTO
DI PASSIONE CHE ALCUNI OGGETTI HANNO
LA FORZA DI GENERARE, QUASI UN SENTIMENTO VIVO, NATO NEL MOMENTO IN CUI LI SI OSSERVA PER LA PRIMA VOLTA.
LA SEDUZIONE DELLE LINEE, DELLE SUPERFICI, DEI RIFLESSI CREATI DALLA LUCE, DALLE SENSAZIONI TRASMESSE NELL’ATTO DI ACCAREZZARE UN VELLUTO PREZIOSO
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
IN ALTRO A DESTRA, VERSACE HOME, MEDUSA TRONO
A DESTRA, ELIE SAAB MAISON, KATE BED
NELLA PAGINA ACCANTO, ROBERTO CAVALLI HOME INTERIORS, LAMPADA DA TAVOLO CON BASE IN OTTONE
Dall’incontro delle due arti nascono pezzi o intere collezioni soprendenti. Il FuoriSalone 2022 è stata una generosa e gustosa vetrina di proposte da parte di grandi nomi della moda che nei luoghi iconici della città, dalla Triennale alla Biblioteca Braidense, da via Manzoni a via Montenapoleone, hanno presentato con orgoglio il frutto di queste nobili partnership. In un confronto e in una condivisioni di valori. Ed ecco dunque Stella McCartney che reinterpreta Le Bambole di B&B Italia, la poltrona disegnata nel 1972 da Mario Bellini. Il primo complemento firmato dalla stilista, che di questo oggetto iconico ha dato la sua personale interpretazione.
67
SOPRA, TAPPETO SAHRAI PER ARMANI CASA
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
Per Louis Vuitton, invece, tornano gli Objets Nomades, espressione di eclettismo e di un savoir-faire capace di sposare magistralmente il lavoro di atelier e quello di laboratorio, i Nomades sono sogni a occhi aperti. Un altro grande nome francese, Hermès, ha presentanto la nuova collezione Casa, tutta dedicata alla leggerezza. Oggetti faro della collezione, cinque creazioni in cui è protagonista il cashmere, uno dei materiali preferiti della Maison.
Le nuove collezioni Fendi Casa racchiudono visione, forma e materia, ispirano e caratterizzano l’atmosfera di una serie di ambienti suggestivi, dal living all’outdoor, mentre la sobrietà e la materia caratteristiche di Loro Piana si ritrovano anche nelle proposte Casa. Lo stile inimitabile di alcune delle firme più prestigiose al mondo si unisce alla tradizione artigianale più raffinata, a un’arte tramandata di generazione in generazione, da oltre un secolo.
68
ARMANI/CASA, POLTRONCINA MARGOT E JINGO COFFEE TABLE
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
LORO PIANA
HERMÈS MAISON
69
FENDI CASA
FENDI CASA
ELIE SAAB
PER DARSI UN TONO
Accostamenti delicati e carismatici ricordano le mille sfumature dell’acqua e del sole. Inaspettata opzione ai colori più tipici
A SINISTRA, GALLOTTI & RADICE, CONSOLLE HANAMI (DESIGN PIETRO RUSSO). SOPRA, FLOU, MOOD 'MAREA' E, ACCANTO, LETTO LAYLA (DESIGN CARLO COLOMBO)
Nel segno di un’attenzione alla sostenibilità da una parte, e al benessere individuale dall’altra, il colore diventa protagonista, in diverse collezioni. Forte della sua capacità di sorprendere, esplora nuovi spazi materici e nuove linee architettoniche. Ne derivano creazioni di grande respiro, pensate per essere co-protagoniste degli
70
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
spazi insieme a chi li abita.Una ricerca sempre più sofisticata esplora lavorazioni e materiali, partendo da tecniche e savoir-faire dalla lunga storia. Con telai artigianali di tradizione millenaria si realizzano tappeti in lana e seta di bambù, decisamente contemporanei, che giocano sulla forza dei grafismi e che traggono ispirazione dall’immaginario dell’arte cinetica e optical. Oppure prediligono disegni più organici.Altrettanto millenaria, la lavorazione del vetro rinnova la sua magia in oggetti pensati per la casa ma che possono essere inseriti nelle esposizioni di gallerie d’arte e musei.
SOTTO, A DESTRA VENINI, MOVEMENT, ENERGY, FLOW (DESIGN DI PHILIPPA CRADDOCK) A SINISTRA, GIORGETTI, TAPPETO HALOS IN BASSO, GLAS, SPECTRUM (DESIGN PIERO LISSONI)
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
VA IN SCENA IL COFFEE TABLE
Tradizioni parallele: il design e il rito del caffé. Confluiscono in oggetti d’arredo che si mostrano in sembianze diverse. Niente meglio del Made in Italy può tracciare gli innumerevoli profili di un complemento di cui è impossibile fare a meno. Per condividere una tazza dell’amata bevanda, per occasioni di convivialità o di relax
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
B&B ITALIA, TOBI-ISHI
Pratici e poliedrici, leggeri e raffinati. Tavolini, con tagli e altezze diversi, accomunati da un raffinato gioco di incastri e sovrapposizioni. Tavolini oggetti-gioiello lavorati con dettagli e materiali importanti - legno, pelle e marmo - progettati con una semplicità visiva e costruttiva assoluta, nel modo più naturale che ha un artigiano di mettere insieme assi di legno o plasmare forme tonde.
Il gioco degli incastri crea angoli acuti e ottusi che danno l’effetto di un’installazione inusuale e apparentemente casuale.
Alleati preziosi non solo ogni volta che si rinnova il rito del caffè, ma per tutte le occasioni in cui la convivialità o il relax necessitano della più complice e servizievole delle basi di appoggio.
RUGIANO, INCANTO
GIORGETTI, GRIFFE (DESIGN GIANCARLO BOSIO & GIORGETTI R&D), OGGETTI-GIOIELLO CHE PRENDONO FORMA NEL DIALOGO FRA MATERIALI RICERCATI
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
LEMA, FRANCIS (DESIGN NORM ARCHITECTS)
ICONE DI LUCE
Corpi illuminanti che diventano protagonisti assoluti. Entrano nella storia del design. Per fare luce senza sosta su nuove epoche e nuovi stili di vita
Luci e ombre, bugia o verità, mistero o chiarezza, di qua o di là. Ai corpi illuminanti il compito di fare la differenza. Creando atmosfere in cui si svolge il racconto della vita di tutti i giorni, di tutti gli individui, dell’intera gamma di emozioni.
Un fascio luminoso racchiuso in un involucro architettonico e definito da materiali sempre diversi per stabilire i confini della realtà e creare le premesse di una dimensione altra: fatata, onirica, spensierata, gioiosa, luminosa e illuminante.
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE
FLOS, ARCO K 2022 LIMITED EDITION (DESIGN ACHILLE E PIER GIACOMO CASTIGLIONI)
2022
MELT
LUCE A SOSPENSIONE, CREA UN IPNOTIZZANTE EFFETTO
DI FUSIONE DEL VETRO SOFFIATO A CALDO, QUANDO È ACCESA, E UN EFFETTO A SPECCHIO QUANDO È SPENTA. ALTA TECNOLOGIA
E UN DESIGN AVVENIRISTICO (DA ATALIASHOPCOMO)
NOVITÀ SALONE DEL MOBILE 2022
TOM DIXON
DI
BELLEZZA A SCUOLA
Un’Accademia dedicata e la scoperta del potenziale che è in ogni donna. Il trucco che interpreta e valorizza l’autenticità, rispettando la personalità e l’età per fare di ogni volto un capolavoro unico
STILI E TENDENZE
SCENOGRAFIA DI GRANDE IMPATTO E INCONSUETA
DI SIMONA MANZIONE - FOTO DI JOLIE ZOCCHI
PER IL PROGETTO “PRESENZA”, INAUGURATO CON
IL CONCERTO DELLO SCORSO 3 GIUGNO
Londra, Parigi, Milano e Zurigo… Dagli anni Ottanta, le sue variopinte palette, i pennelli e i rossetti hanno diffuso bellezza. Josephine Cottet è stata la prima make-up artist in Svizzera, richiesta da vip e organizzatori di eventi internazionali.
Tra uno shooting di moda e uno di beauty, realizzati per i magazine più di tendenza, i volti valorizzati dalle sue capacità tecniche, dalla sua sensibilità estetica e artistica, hanno sfilato sulle passerelle e sui red carpet, si facevano ammirare nelle serate di gala, protagonisti di servizi realizzati da fotografi celebri.
Sponsorizzata per dieci anni dalla Maison Dior, i ‘suoi’ visi erano in tv, negli spot pubblicitari di grandi marchi, da Chopard a Piaget, da Bioesthétique Paris e Goldwell. Si è divertita a truccare attrici e presentatrici, top model del calibro di Claudia Schiffer.
Innamorata del Ticino, a Lugano nel 2019 Josephine Cottet ha creato la JC Make-up Academy, un unicum nel panorama svizzero, forte del ricco patrimonio di conoscenze ed esperienze della sua fondatrice.
L’Accademia propone corsi in gruppi, spaziando dal livello base all’advanced, fino ai corsi per estetiste e parrucchieri. «I video di Instagram e Youtube, proposti da esperti o semplici appassionati di make-up, hanno contribuito notevolmente a divulgare il make-up», esordisce Josephine Cottet, «A ben guardare, il make-up e tutte le professioni che diffondono sogni, benessere e bellezza sono diventate così di moda che la società le ha trasformate in un business redditizio». Il proprio aspetto è importante e va certamente curato e valorizzato, ma per molte persone questa cura può assumere una portata eccessiva. Tante donne, giovani e giovanissime incluse, sono pronte a sottoporsi a interventi di chirurgia estetica e cure di vario genere, inseguendo un modello di bellezza immaginato. «I trattamenti che determinano risultati irreversibili,
77
IN ALTO, JOSEPHINE COTTET, FONDATRICE DELLA JC MAKE-UP ACADEMY DI LUGANO, DURANTE UNO DEI CORSI DI TRUCCO IMPARTITI IN ACCADEMIA IN APERTURA, UN MAQUILLAGE SOLARE
© Egle Berruti
IN QUESTE PAGINE, IMMAGINI TRATTE DA SERVIZI DI MODA E DI BELLEZZA, CURATI DA JOSEPHINE COTTET IN VESTE DI MAKE-UP ARTIST E HAIR STYLIST
tuttavia, non sempre soddisfano le aspettative di chi vi si sottopone, e rischiano peraltro di generare frustrazione», sintetizza la make-up artist, che della sua Accademia di Lugano racconta: «L’Accademia nasce proprio da queste considerazioni. E dal desiderio di sensibilizzare le donne, di tutte le età, affinché scoprano e valorizzino la propria bellezza, senza stravolgere la propria essenza, la propria identità, la propria unicità». Non sono i segni permanenti o le alterazioni delle sembianze a rendere più affascinanti. «Sono l’amore per sé e la fiducia in sé a irradiare bellezza. Per migliorare il proprio aspetto è giusto partire da ciò che si è veramente».
A cinque anni dalla sua nascita, oggi l’Accademia propone corsi diversificati, brevi e di facile accesso. L’obiettivo? «Consentire a chiunque di avvicinarsi e familiarizzare con il mondo del make-up. Per alcuni sarà sufficiente un corso, mentre altri sceglieranno di approfondire le proprie conoscenze e opteranno per corsi ulteriori», spiega Josephine Cottet. L’Accademia predispone un percorso di formazione con differenti opzioni, calibrate sulle esigenze degli allievi. «Alcuni make-up artist sono orientati verso un trucco tecnico, altri lo sono di più verso un trucco artistico. Alcuni desiderano lavorare nel mondo della moda, altri vogliono imparare a valorizzare le proprie clienti, tutti i giorni o in occasioni particolari, siano le nozze, una serata o un evento speciale», nota l’esperta. Insegna con passione, Josephine Cottet. Trasmette ai suoi studenti i segreti per svelare la bellezza autentica, affinare le tecniche, scegliere i prodotti migliori e le più efficaci combinazioni tra questi prodotti.
«I truccatori sono confrontati con donne che qualche volta sono modelle, ma nella maggior parte dei casi sono donne ‘comuni’, che si aspettano di essere valorizzate, senza essere snaturate. Insegno il trucco base e correttivo, utilizzati poi per creare maquillage su misura. Saper truccare vuol dire saper adattare il trucco alla singola donna. È essenziale rispettare la morfologia del viso ma anche lo stile e l’età, soprattutto nel caso delle meno giovani», prosegue Josephine Cottet, «Di conseguenza ho integrato nella mia Accademia dei corsi per estetiste e parrucchieri. L’ideale sarebbe la presenza, in ogni istituto di bellezza, di un collaboratore formato per truccare donne ‘over 40’. Sia
78
In ‘Academy’ un aperitivo col trucco
Una buona compagnia, sorseggiando un bianco. Make-up artist e modelle pronti per una sessione dimostrativa. Tecniche, prodotti, scelte cromatiche e di stile a seconda della pelle, dell’età e della personalità della donna da truccare. Ombretti, rossetti, mascara e matite in tutte le declinazioni.
Che cosa si impara in Accademia? Si entra nel meraviglioso mondo della bellezza e, soprattutto, si impara a valorizzare la bellezza autentica di ogni viso. Tanti i corsi in Accademia. Il 23 agosto, un Open Day per saperne di più.
perché rappresentano di norma la maggior parte della clientela, sia perché non si può applicare a una pelle matura un maquillage standard. Molte donne rifiutano di farsi truccare, perché convinte di non essere adatte. La verità è esattamente il contrario: un trucco non adatto genera un risultato finale non entusiasmante. Il mio corso ‘Sos Make-up’ insegna a truccarsi in 5 minuti con massimo 5 prodotti, una strategia ideale per ogni donna e per iniziare bene la giornata», aggiunge Josephine Cottet. «Il trucco Anti-Age e l’Sos Make-up, accompagnati da una skincare quotidiana, sono la soluzione ideale per mantenere un aspetto giovanile, fresco e naturale. Autentico. Il trucco non si deve vedere, ma deve semplicemente valorizzare la donna. Il trucco ideale si impara. Ma la bellezza parte da dentro. Nessun trucco o intervento chirurgico può competere con un bel sorriso e quella fiducia in se stessa che irradia. La bellezza è uno stato d’animo», conclude Josephine Cottet.
79
OPEN DAY A LUGANO
STILI E TENDENZE
Donare un gioiello significa compiere un gesto che racchiude un significato speciale.
È un po’ come dire “ti amo”.
È un segno che consolida il legame tra chi porge il dono e chi lo riceve.
E il gioiello non è più quindi soltanto un oggetto bello e prezioso, ma diviene il simbolo di qualcosa di intimo e profondo
Lugano Via Nassa 29
info@scavialugano.com
091 9210323
079 7826155
Milano
Via Rossari 5
(tra Via Monte Napoleone e Via della Spiga)
+39 02 76021610
+39 349 2715806
scaviamilano@scavia.it
www.scavia.it
Natura
libera
Spensieratezza dei giorni d’estate. Immerse nella natura generosa. Una sferzata di energia e di benessere, mentre i raggi del sole accarezzano la pelle. Il piacere di uno stile autentico, per assecondare il proprio spirito libero. Per esprimere la propria unicità
MODA
SERVIZIO PETRA PETER - FOTO GIORGIA GHEZZI PANZERA
Abito in seta Marjolaine - VIVI L’ATTIMO Occhiale Vintage YSL - OTTICO MICHEL DI CLAUDIA
82
Abito seta e cotone Kristina T. ATELIER VICUNA LUXURY
83
Abito Blanik
ATELIER VICUNA LUXURY
Collane Borbonese
Costume Intero con crochet oro e pareo con frange
Raffaela D’angelo
84
VIVI L’ATTIMO
Bikini con ricamo in frange con il suo caftano in lino
Raffaela D’angelo
VIVI L’ATTIMO
Stivali da equitazione
Alberto Fasciani
Occhiali Vintage
Christian Dior
OTTICO MICHEL DI CLAUDIA
85
IDEA, PRODUZIONE E STYLING
PETRA PETER - PETRAPETER.COM
FOTOGRAFO
GIORGIA GHEZZI PANZERA
GIORGIAPANZERA.CH
MODELLA
NATHALIE RODRIGUEZ
AGENZIA PETRA PETER’S EVENTS
HAIR & MAKE UP SILVIA FERRARA, MUAH STUDIO
ASSISTENTE STYLING
EKATERINA CHERNIAK
CREDITI
VIVI L’ATTIMO
VIA F. BORROMINI 10, 6850 MENDRISIO WWW.VIVILATTIMO.CH
Beachwear Luxury
triangolo e brasiliana
Raffaela D’angelo
VIVI L’ATTIMO
Stola in seta e cotone
ATELIER VICUNA LUXURY
VICUNA LUXURY
VIA LUCCHINI 7, 6900 LUGANO
WWW.HERIBRAND.COM
OTTICO MICHEL DI CLAUDIA
VIA PRETORIO 14, 6900 LUGANO
WWW.OTTICOMICHELLUGANO.CH
ACCESSORI
STYLING BY PETRA PETER’S EVENTS
WWW.PETRAPETER.COM
86
> SI RINGRAZIA MONICA. E SI RINGRAZIANO DIVINIDAD II E APASCHE - EL CABALLO
È L’ORA DELLA LUNA E DELLE STELLE
La poesia del cielo nelle notti estive raccontata da raffinati segnatempo. Tecnica esclusiva racchiusa in affascinanti soluzioni estetiche. Piccoli capolavori che replicano al polso femminile tutta la magia di un sogno di mezza estate. È tempo di esprimere un desiderio...
STILI E TENDENZE DI SIMONA MANZIONE
BREGUET REINE DE NAPLES
BVLGARI LUCEA
Anche l’orologeria ha ceduto all’incanto del cielo. E nei suoi meccanismi ha portato la luna e le stelle. Ci sono anche le stelle cadenti, a cui associare i desideri del cuore. Meravigliose complicazioni orologiere grazie alle quali indossare al polso uno spicchio di blu. Una porzione simbolica della volta celeste che, per l’Unesco, è ‘Patrimonio dell’Umanità’ ; e il diritto alla contemplazione della luce delle stelle è inalienabile, sancito nella nella Dichiarazione in difesa del cielo notturno.
È lì da vivere appieno, nelle notti d’estate, la magia della volta celeste, che affascina l’umanità fin dalle sue origini. Per molti popoli antichi le stelle erano divinità, o in qualche modo le une e le altre venivano collegate. Oggi proviamo ancora la stessa meraviglia nel guardare le stelle. L’astronomia del resto è probabilmente la scienza che più ha ispirato e continua a ispirare i poeti. Forse perché il cielo è sotto gli occhi di tutti, e un cielo stellato in una notte buia dà veramente la sensazione dell’infinito. A proposito di infinito e di poeti, proprio Giacomo Leopardi, appena quindicenne, scriveva nella sua Storia dell’ Astronomia: “La più sublime, la più nobile fra le Fisiche scienze ella è senza dubbio l’Astronomia. L’uomo si innalza per mezzo di essa come al disopra di se medesimo…”. E ancora, nel Canto notturno di un pastore errante dell’ Asia: “Che fai tu, Luna, in ciel? Dimmi, che fai, / silenziosa Luna?”.
Regina dei cieli notturni, la luna. La visualizzazione delle fasi lunari risale all’antichità. Il primo ritrovamento è il meccanismo di Antikythera, sviluppato nel 205 d.C., un meccanismo in grado di mostrare la posizione della luna, i pianeti (conosciuti all’epoca), la data attuale e quella dei successivi Giochi Olimpici.
Durante il Rinascimento, furono realizzati orologi anche molto grandi ed elaborati che, appesi nelle cattedrali e nelle chiese, contribuivano a diffondere la visione religiosa del mondo, che a quel tempo, geocentrica, poneva la terra al centro dell’universo.
PRIMALUNA
VACHERON
STILI E TENDENZE
CONSTANTIN TRADITIONNELLE CALENDARIO PERPETUO ULTRA-PIATTO
PATEK PHILIPPE, REFERENZA: 7121/200G-001
SULL’ELEGANTE QUADRANTE BLU
IMPREZIOSITO DA UN MOTIVO SOLEIL
SPICCA TRA LE ALTRE INDICAZIONI
QUELLA DELLE FASI LUNARI.
SULLA LUNETTA, UNA DOPPIA FILA DI 132 DIAMANTI TAGLIO BRILLANTE
È INSERITA CON L’ESCLUSIVA TECNICA DI INCASTONATURA A DENTELLE
AUDEMARS PIGUET
Un’estetica vibrante di colori e di musica
Una buona compagnia, sorseggiando qualcosa di fresco. Sotto un cielo di stelle, il tempo scorre al ritmo della musica. Le note sono anche quelle del Royal Oak Offshore Automatico Music Edition. Le cinque nuove referenze, da 37 e 43 mm, presentano tutte un quadrante con motivo Tapisserie che riproduce i motivi di un equalizzatore (o vu meter), perni zigrinati che ricordano le prese jack e protezioni della corona ispirate al fader dei mixer. Un cinturino inter cambiabile in caucciù blu testurizzato - un’as soluta novità per i polsi più sottili - completa il design generale.
STILI E TENDENZE
Quando la chiesa dovette cedere di fronte all’affermarsi dell’eliocentrismo, e riconoscere nel corso dell’Illuminismo la centralità del sole, questi orologi cessarono rapidamente di essere di moda. Con la diffusione dei grandi orologi a pendolo, le fasi lunari tornarono nelle case private della borghesia nel XVI secolo. La strada per il polso era, quindi, solo una questione di tempo: nel 1925, Patek Philippe presentò il primo orologio da donna con calendario perpetuo e fasi lunari. Con la luna, a rendere affascinante il cielo notturno sono le stelle. Quelle cadenti, a cui affidare i desideri più autentici e profondi, sono la quintessenza della poesia. Jaeger-LeCoultre le ha interpretate quest’anno nel suo nuovo Rendez Vous Dazzling Star. “Guardare le stelle mi fa sempre sognare”, scriveva Vincent van Gogh in una lettera nel 1888. L’anno seguente realizzò uno dei suoi più celebri capolavori, la Notte stellata, contribuendo a fermare nell’immaginario collettivo uno degli spettacoli più belli ed emozionanti al mondo.
JAEGER-LECOULTRE RENDEZ-VOUS DAZZLING STAR
CHOPARD
HAPPY SPORT SUN, MOON AND STARS
STILI E TENDENZE
MERAVIGLIE ESOTICHE
È un tour alla scoperta delle destinazioni più affascinanti. La collezione
Majestic Escapes di Harry Winston incoraggia a vivere avventure ingioiellate
Aveva già consolidato la sua fama nel commercio di gemme preziose quando, nel 1932 a New York, il signor Harry Winston iniziò a produrre, a grande richiesta, gioielli con il proprio nome. La moglie Edna fu determinante nell’ispirare quell’allure glamourous che da nove decenni connota il marchio, decretandone il fascino atemporale. Tra gli appassionati, anche l’icona di stile e grande collezionista di gioielli, la duchessa di Windsor Wallis Simpson negli anni Quaranta, ne acquistò, per la sua collezione, diversi pezzi, incluso il celebre Diamante McLean. Nel 1952 la rivista ‘Life’ attribuiva a Harry Winston la seconda più grande collezione di gioielli storici al mondo (la prima era posseduta dalla famiglia reale inglese).
STILI E TENDENZE DI SIMONA MANZIONE
DELLE FIJI
COLLIER DELLA COLLEZIONE MAJESTIC ESCAPES (HARRY WINSTON). ACCANTO, UN’ISOLA DELL’ARCIPELAGO
ANELLO E COLLIER RAINFOREST (HARRY WINSTON). TSAVORITI VERDI
DI VARIE TONALITÀ RICHIAMANO
LA RICCHEZZA DELLA FORESTA
A CUI LA COLLEZIONE SI ISPIRA
Nel 1953 la colonna sonora del film cult Gli uomini preferiscono le bionde lanciò la celebre canzone “I diamanti sono i migliori amici di una donna”: è proprio al gioielliere newyorkese che si riferisce la strofa: “Parlami, Harry Winston! Dimmi tutto”. In Svizzera il marchio approda due anni dopo, nel 1955, aprendo a Ginevra la sua prima boutique.
Molte star attraverso i decenni hanno rivelato la loro passione per il marchio: da Richard Burton che regalò un collier a Liz Taylor, a Gwyneth Paltrow che ricevette l’Oscar come migliore attrice in Shakespeare in Love indossando un collier di diamanti Princess.
A 90 anni dalla nascita della Maison, la collezione di alta gioielleria Majestic Escapes esalta la virtù di pietre meravigliosa e si rende complice di viaggi preziosi.
STILI E TENDENZE
Lanostravaligia dalgusto mediterraneo
94 DOLCE & GABBANA
TORY BURCH
DOLCE & GABBANA
È la perla delle Cicladi. Nota nell’antichità come Thera, è sotto il dominio veneziano che prese il nome di Santorini, storpiatura di Sant’Irene. Tra le mete più frequentate del turismo greco, è anche produttrice del Vin Santo, un vino dolce e corposo, da non confondersi con l’omonimo toscano. Isola di natura vulcanica, nota per la sua caldera, vanta suggestive spiagge di sabbia nera. La sua più celebre spiaggia è tuttavia è la Red Beach, dal colore rosso! I must have per l’estate greca?
Capi dalle mille varianti del bianco e del blu, osando anche sulle fantasie, con una predilezione per i tessuti naturali e leggeri. Immancabili, i cappelli intrecciati dall’ampia tesa si abbinano ad accessori in cuoio.
STILI E TENDENZE DI ELEONORA VALLI 95
96 STILI E TENDENZE
ZIMMERMANN
Della Costiera amalfitana, Positano è regina. Alle bellezze del territorio si somma la varietà dell’enogastronomia, senza tralasciare un habitat naturale che incanta ogni turista di ogni età e nazionalità. Se il sole e il mare non sono tra le priorità del soggiorno, lo shopping potrà certo regalare grandi soddisfazioni. Tra i must have, fantasie floreali e capi leggeri, tendenti a colori caldi e pastello, con una predilezione per il delicato verde acqua.
97
CHLOÉ
VESPA ALAÏA JACQUEMUS
GIANVITO ROSSI STILI E TENDENZE
98 STILI E TENDENZE
Tra le tante meraviglie dalla Costa Azzurra, incastonato nelle atmosfere glamour amate dalla ‘Parigi da bene’, un gioiello unico nel suo genere è Cagnes sur Mer. Piccolo borgo medievale, ancorato a un passato tutto provenzale. E dopo aver passeggiato, curiosando qua e là, tra le sue stradine intrise di storia, la spiaggia è la migliore delle alternative possibili. Tra i must have, tutto l’occorrente per il mare, con colori caldi, osando il giusto, e lasciandosi ispirare dai grandi nomi della moda francese. Se anche qualcosa dovesse restare a casa non mancheranno le occasioni per ‘arricchire’ il guardaroba direttamente ‘sur place’ tra Cannes, Antibes, e Saint-Tropez.
99
JADE SWIM
LOEWE
ROGER VIVIER
DIOR
EUGENIA KIM
Con i ritmi della sua movida, è una tappa piacevolmente obbligata per chi ama vacanze trendy. Insieme a Formentera fa parte delle Isole Pitiuse e dell’Arcipelago delle Baleari.
Oltre alla vivacità della sua vita notturna, promette un mare cristallino e una crescente attenzione a un turismo diverso, più pacato e dal tono familiare. Tra i must have, accessori in rafia, per un irresistibile natural chic con le proposte dalle grandi Maison. E capi dai colori vibranti dell’estate spagnola, anche nelle stampe, dal twist accattivante.
LOEWE PAULA’S COLLECTION
STILI E TENDENZE
SAINT LAURENT
BOTTEGA VENETA
STILI E TENDENZE FARM RIO
THE ATTICO HERMÈS MAISON
Adistanza di secoli non è ancora uscito dall’immaginario collettivo. Non ha mai perso il suo fascino. Basta il solo nome a rievocare una certa meraviglia, il sapore del passato, quell’attrattiva che, nel corso dei secoli fino a oggi ha esercitato sulla cultura europea, ma non solo.
È il Grand Tour, una versione squisitamente laica ma anche moderna, seppur non troppo, degli avventurosi viaggi che, a cavallo dell’anno Mille, avevano assunto il nome di ‘pellegrinaggi’ e che, dopo gli oscuri timori dell’Alto Medioevo, avevano visto la popolazione europea, anche di più umile origine, tornare a viaggiare.
Del resto, pur essendo un fenomeno le cui radici affondano ancora nel Rinascimento, tanto da spingere Elisabetta I a finanziare il ‘viaggio’ di almeno una parte del rampolli dell’alta nobiltà inglese verso l’Europa continentale, è nel corso del tardo Settecento che il Grand Tour conosce l’apice della sua popolarità, tanto da divenire presto non solo una moda, ma anche un’imprescindibile tappa per chiunque volesse inserirsi in società, dall’alta nobilità alla bassa borghesia.
Trattandosi di un fenomeno almeno inizialmente, tra Cinquecento e Seicento, tipicamente inglese, viene rintracciato proprio in Londra l’inizio del viaggio con, a stretto giro, le prime difficoltà, l’attraversamento della Manica, seguite da una seconda importante tappa a Parigi (dove rifarsi il guardaroba), e giù a scendere verso il Mediterraneo: Digione, Ginevra, il Lago di Como, Venezia, Firenze, Roma e poi Napoli, con la Sicilia quale perfetta sostituta della più ‘scivolosa’ Grecia, sotto occupazione turca. A non mancare sono stati certamente i viaggiatori, turisti ante litteram, che percorsero numerosi le strade d’Europa: l’inglese Mary Shelley, il francese Paul Valéry, il tedesco Friedrich Hessemer, il francese Michel de Montaigne, il tedesco Johann von Goethe, e molti altri, il barone di Montesquieu, Winckelmann, il marchese de Sade, Lord Byron, Claire Clairmont, Oscar Wilde, Mark Twain, George Eliot… nel corso
IN FOTO, AI PIEDI DEL MAESTOSO SÄNTIS, LA STRADA CHE PORTA AL VILLAGGIO AGRICOLO DI URNÄSCH, NELL’HINTERLAND APPENZELLESE
GRAND TOUR DELLE ALPI
Un tempo soltanto tratta obbligata sulla strada per l’Italia, che del Grand Tour era destinazione prediletta, oggi anche la Svizzera ha la sua versione, 1600 km alla scoperta del territorio
LUOGHI DA SCOPRIRE DI ANDREA PETRUCCI 103 ©Switzerland Tourism / Photo Mattias Nitt
dei secoli era divenuto una tappa ineludibile nella vita di qualunque gentiluomo, con non poche eccezioni femminili, seppur spesso limitate a giovani ereditiere o benestanti vedove.
Ma cos’era davvero il Grand Tour?
Di per sé è già sufficientemente emblematico il termine stesso, impostosi nell’uso comune: Tour. Nato quale semplice viaggio, dunque un misto tra voyage, travel e journey, nel tempo era evoluto in un vero e proprio tour, ma soprattutto, era nato senza un obiettivo preciso. Un giro per ammirare le bellezze europee, della durata iniziale di tre anni, o comunque non meno di due, durante il quale familiarizzare con il mondo, entrando in contatto con nuove culture, e popoli spesso molto diversi, stringendo legami e amicizie, ‘arrangiandosi’ e facendo a meno della propria famiglia. In poco tempo divenne la perfetta fusione tra illuminismo ed empirismo, un’esperienza di formazione universale a conclusione della fanciullezza. Per certi versi, un moderno lungo viaggio di maturità.
È in epoca romantica che assume sempre più una connotazione culturale, sulle ali anche del lento allungarsi della ‘rotta campana’, con l’emergere nel 1738 di Ercolano, e nel 1748 di Pompei, un aspetto, quello
artistico e archeologico, che almeno inizialmente non era stato così preminente.
Il Grand Tour era infatti concepito con un carattere neutro, dunque sì alla scoperta di bellezze artistiche, ma anche quale strumento per entrare a contatto con modelli agricoli e industriali diversi, forme di Governo e amministrazione alternative, arte bellica e ingegneristica innovativa. Dunque un viaggio sì culturale, ma da un punto di vista olistico, con il celebre filosofo e politico inglese, Francis Bacon a fare da padre nobile della prima ‘Guida turistica’ del Tour, il suo Of travel con consigli e istruzioni delle più dettagliate su come organizzare il viaggio.
Ancora nel XVII secolo, un grosso ostacolo, e una delle principali ragioni della sua durata sorprendentemente lunga, e dunque delle frequenti e protratte soste (nel Cinquecento erano 18 le settimane di sosta in Francia, e 10 in Toscana, rapporto destinato a ribaltarsi nel Settecento), erano i trasporti. Reti viarie spesso non delle più curate, lunghe carovane di domestici e bagagli, carrozze non proprio rapidissime, e sensibili rischi di sicurezza, restarono per molto tempo tra i principali nodi da sciogliere, risolti con il diffondersi delle ferrovie anche nel continente, con Thomas Cook a fare da pio-
40 41 42 43 44 45 46 39 39 Aeroporto ZURIGO SAN GALLO LUCERNA BERNA
LOSANNA
LUOGHI DA SCOPRIRE
Grand To ur of Switzerland Grand Train To ur of Switzerland Pa ssi alpini lungo il Grand To ur Pa trimoni mondiali e biosfere UNESCO
Winterthur
Vale una breve deviazione dal canonico percorso del Grand Tour. A soli 20 chilometri da Zurigo, Winterthur è una destinazione da non sottovalutare: sesto centro per dimensioni in Svizzera, malgrado la tradizione industriale (da scoprire nell’area della vecchia Sulzer) vanta una vivace scena culturale e si rivela una città-giardino con i suoi numerosi parchi. Come quello, idilliaco, che ospita i tesori della Collezione Oskar Reinhart «Am Römerholz», dagli impressionisti risalendo agli antichi maestri. Insieme al Museo di Belle Arti e a Villa Flora, offre un patrimonio di assoluto rilievo. Ma Winterthur è soprattutto un centro di competenza europeo per l’arte fotografica grazie alla collaborazione tra il Fotomuseum Winterthur e la Fotostiftung Schweiz, qui insediata. Un unicum è anche lo Swiss Science Center Technorama, che con la sua varietà unica di stazioni sperimentali permette di imparare divertendosi.
SOPRA, UNA SALA DEL FOTOMUSEUM WINTERTHUR
A DESTRA, LA STADTKIRCHE CON LE SUE CARATTERISTICHE TORRI SOTTO, LOUIS-LÉOPOLD ROBERT, RAGAZZA DI PROCIDA, 1822, OLIO SU TELA, FRA LE 60 OPERE DELLA MOSTRA ITALIA, AL KUNSTMUSEUM FINO ALL’11 SETTEMBRE, CHE ILLUSTRANO IL FASCINO ESERCITATO DALLA PENISOLA SUI PITTORI STRANIERI
©
of
/
©Switzerland Tourism / Photo Ivo Scholz
House
Winterthur
Photo Christof Seiler
Il viaggio deve allinearsi con le più severe forme di ricerca. Certo, ci sono altri modi per fare la conoscenza del mondo. Ma il viaggiatore è uno schiavo dei propri sensi; la sua presa su un fatto può essere completa solamente quando è rafforzata dalla prova sensoriale; egli può conoscere davvero il mondo soltanto quando lo vede, lo sente e lo annusa
Lord
George G. N. Byron poeta e politico inglese (1788 - 1824)
niere dei moderni tour operator, inaugurando la stagione dei ‘vagoni personalizzati’, dotati di ogni confort, o almeno tale per l’epoca.
È sulla base di tali premesse che è fiorita l’iniziativa di Svizzera Turismo del Grand Tour of Switzerland, le cui protagoniste sono le Alpi, un tempo temuto passaggio di obbligo, oggi apprezzata destinazione. Il percorso proposto, fa-
cilmente modulabile, vanta numeri più che significativi: 4 regioni linguistiche, 5 passi alpini, 13 siti patrimonio Unesco, 2 biosfere e 22 laghi. Rispetto al progetto iniziale negli anni si è ramificato, con mete aggiuntive che hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 160, sparse tra Zurigo, San Gallo, St. Moritz, Lugano, Zermatt, Losanna, Ginevra, Neuchâtel, Basilea, Berna, e Lucerna. Un esempio? La tratta San Gallo - St. Moritz. Copre 223 km e prevede soste in Appenzello, Chässerrugg (con la funivia delle archistar Herzog e de Meuron), Bad Ragaz, Maienfeld, Davos (con l’oasi termale di Tamina), il Parco nazionale della Val Trupchun e la Capanna Segantini. Raggiunta St. Moritz, in direzione Lugano, si percorre la Viamala (letteramente ‘brutta strada’), un tempo gola selvaggia incastonata tra pareti rocciose alte 300 metri. Oggi qualcosa è cambiato, e tutte le mete sono raggiungibili facilmente, e illustrate dettagliatamente su una mappa dedicata.
SOPRA, IL VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA (1818, OLIO SU TELA), DEL PITTORE ROMANTICO CASPAR DAVID FRIEDRICH, UNO DEGLI EMBLEMI DEL GRAND TOUR CHE I RAMPOLLI DELLE FAMIGLIE NOBILI E GLI INTELLETTUALI DEL NORD EUROPA INTRAPRENDEVANO ALLA MAGGIOR ETÀ, ALLA SCOPERTA DELLE MERAVIGLIE DEL SUD SOTTO, EVERT-JAN BOKS, VERSO IL MONDO, 1914 CA, OLIO SU TELA, ESPOSTO AL PHOTO ELYSÉE DI LOSANNA
« »
LUOGHI DA SCOPRIRE
© Berko Fine Paintings, Knokke-Le Zoute, Belgique
Lucerna
Il Kapellbrücke, tra i ponti in legno coperti più antichi d’Europa, le due torri della Hofkirchee e quelle della Chiesa dei Gesuiti, la cinta muraria del Museggmauer, il leone morente scolpito nella roccia in memoria degli svizzeri caduti nel 1792 alle Tuileries, o il Bourbaki Panorama, prima testimonianza della tradizione umanitaria elvetica.
Lucerna vanta alcuni dei monumenti più noti della Svizzera, anche contemporanea, come l’avveniristico Kkl, il Centro d’arte e congressi dell’archistar francese Jean Nouvel, fulcro della Lucerna concertistica e sede anche del Kunstmuseum, che quest’estate dedica, fino al 30 ottobre, un’ampia retrospettiva al britannico David Hockney, classe 1937. Piaccia o meno, tra gli artisti più influenti del presente, se si pensa che alcuni anni fa la sua Piscina con due figure è stata battuta all’asta per 90 milioni di dollari, cifra record per un contemporaneo.
Ma Lucerna è anche il punto di partenza ideale per un’escursione sulle montagne suoi numi tutelari, il Rigi e il Pilatus, oppure per imbarcarsi in una gita sul battello a vapore sul Lago dei Quattro Cantoni.
SOPRA, INCONFONDIBILE SULLA RIVA SINISTRA DELLA REUSS, LA CHIESA GESUITA BAROCCA DI LUCERNA, CON LE DUE CUPOLETTE A BULBO A DESTRA, ALTRETTANTO CARATTERISTICA L’OTTAGONALE WASSERTURM
DEL KAPPELBRÜCKE. ULTRAMODERNE INVECE LE GEOMETRIE DEL KKL, PROGETTATO DA JEAN NOUVEL
SOTTO, UN’OPERA DELL’IRRIVERENTE DAVID HOCKNEY, ARRIVO DELLA PRIMAVERA A WOLDGATE, EAST YORKSHIRE NEL 2011, 365,6 X 975,2 CM, IN MOSTRA AL KUNSTMUSEUM LUZERN
© David Hockney, Foto: Richard Schmidt
© KKL Luzern
© Luzern TourismusBeat Brechbühl
Berna
La torre gotica della cattedrale e la cupola verde e dorata di Palazzo federale sono i due simboli di quella che della Svizzera è, curiosamente, la capitale solo de facto. Di sicuro, è la città che meglio conserva il proprio carattere medioevale, tanto da essere stata inscritta nel Patrimonio mondiale dell’Unesco. Fra i tanti musei, anche destinazioni sfiziose come la casa di Albert Einstein, che qui soggiornò a inizio Novecento, o il Zentrum Paul Klee di Renzo Piano, che conserva la più importante collezione di questo artista poliedrico.
La città sorprende per vivacità anche nel periodo estivo: le 26 fontane sulla Piazza federale rappresentano i 26 Cantoni, con getti alti fino a 7 metri. Solo una delle tante possibilità per trovare refrigerio nelle giornate più calde a Berna, dal fiume Aar alle tante piscine pubbliche all’aperto, fra cui il frequentatissimo Marzilibad, con vista diretta sul Bundeshaus. Si può anche cercare un po’ di ombra sotto i Lauben, sei chilometri di portici perfetti per lo shopping. Il panorama più bello sui tetti della città vecchia, sulla Collegiata e l’ansa del fiume Aar, lo offre invece il Rosengarten, noto per la sua grande diversità di specie, che ne fanno una destinazione per tutto l’anno, insieme al ristorante.
A SINISTRA, LA TORRE CAMPANARIA DELLA SPLENDIDA CATTEDRALE GOTICA SVETTA CON I SUOI CENTO METRI SUI TETTI DELLA CITTÀ VECCHIA DI BERNA, PATRIMONIO UNESCO. SOTTO, PIERRE BONNARD, IN UN GIARDINO DEL SUD (LA SIESTA), 1914 CIRCA, OLIO SU TELA, ESPOSTO ALLA MOSTRA DEDICATA AL GRUPPO DEI NABIS FINO AL 16 OTTOBRE AL KUNSTMUSEUM BERN IN BASSO, ORGANICHE ED ESSENZIALI, LE FORME DEL ZENTRUM PAUL KLEE DI RENZO PIANO
© Bern Welcome
Photo by Andreas Fischinger on Unsplash
Losanna
Con il trasferimento del Photo Elysée, dedicato alla fotografia, e del mudac, specializzato in design e arti applicate, che hanno raggiunto il Museo di Belle Arti, si è completato a metà giugno il progetto Plateforme 10 con cui Losanna si è dotata di un nuovo quartiere museale di caratura europea, situato nelle immediate vicinanze della stazione. Una dimostrazione dell’innovatività di questa piccola metropoli, al contempo molto fiera delle sue tradizioni, come quella del guardiano della torre campanaria che tuttora annuncia le ore notturne, attestato dal 1405.
Una città da scoprire a piedi, per gustare le prospettive imprevedibili che regala su un dislivello di 500 metri, dal lungolago di Ouchy, sulle rive del Lemano, ai boschi di Chalet-à-Gobet. Al centro, la Cité medioevale arroccata attorno alla cattedrale che, costruita dal 1170, tra i vari rimaneggiamenti ha visto anche il contributo dal celebre Viollet-le-Duc. A far tendenza è il quartiere Flon, frutto della riqualificazione dell’area industriale che si trovava qui, in pieno centro, sotto le arcate del Grand-Pont. Da non perdere una tappa al Museo Olimpico, d’obbligo nella città che dei Giochi è capitale mondiale, il secondo più visitato di Svizzera dopo quello dei trasporti a Lucerna.
SOPRA, UNA PANORAMICA SU LOSANNA CON LA SUA CATTEDRALE. SOTTO, IL NUOVO STABILE CHE OSPITA
IL PHOTO ÉLYSÉE E IL MUDAC, RIUNITI A PLATEFORME 10, NUOVO QUARTIERE DELLE ARTI.
AL CENTRO, PAUL DELVAUX, SOLITUDINE, 1955, OLIO SU TAVOLA, ESPOSTO AL MUSEO DI BELLE ARTI, IL TERZO DEL POLO, CHE DOPO LA SUA INAUGURAZIONE PRESENTA TRE MOSTRE DEDICATE AL TEMA FERROVIARIO
109
© Matthieu Gafsou
© Paul Delvaux Foundation
-
St. Idesbald / 2022, ProLitteris, Zurich Photo : Fédération Wallonie-Bruxelles
© LT / www.diapo.ch, Foto Régis Colombo
Basilea
Quest’estate Basilea conferma la sua fama di capitale culturale svizzera, con l’exploit di due mostre imperdibili, tra le più interessanti in Europa: la Fondazione Beyeler, in occasione del suo 25mo anniversario, presenta una retrospettiva tanto rivoluzionaria quanto il suo protagonista, Piet Mondrian, testimoniando l’evoluzione che da pittore figurativo l’ha portato a diventare il padre dell’arte astratta, con la sua sintassi geometrica di rettangoli nei colori primari. Il Kunstmuseum Basel rivela invece la profonda affinità di due fuoriclasse dell’arte di ogni epoca: El Greco e Picasso, accomunati dall’anticonformismo dei ‘fou de génie’, come rivela una
trentina di eccezionali accostamenti tra le loro opere, a oltre trecento anni di distanza. Due appuntamenti da abbinare a un’escursione nella parte storica della città, dominata dalla Basler Münster, la cattedrale inconfondibile nel rosso della sua arenaria, che ospita anche il sepolcro di Erasmo da Rotterdam, simbolo della tradizione umanistica della capitale renana, per poi proseguire alla scoperta dei tanti edifici progettati dai più rinomati architetti internazionali e studi svizzeri, a partire dalle torri Roche e dal Campus Novartis al quartiere Dreispitz alla Messeplatz, con il duo di casa Herzog & de Meuron a fare gli onori.
A SINISTRA, MONDRIAN, FATTORIA A DUIVENDRECHT, 1916 CIRCA, OLIO SU TELA, UN’OPERA INSOLITA RISPETTO A QUELLE ASTRATTE DELL’ETÀ MATURA, MA IN CUI GIÀ SI COGLIE UNA PRIMA GEOMETRIZZAZIONE IN QUEST’IMMAGINE, UNA SPLENDIDA FOTO PANORAMICA DI BASILEA, AFFACCIATA SULLA SPONDA DEL RENO
© 2022 Mondrian/Holtzman Trust Photo: bpk/The Art Institute of Chicago / Art Resource, NY
SOPRA, DA SINISTRA, DAMA CON PELLICCIA, 1580-88, OLIO SU TELA, A LUNGO RITENUTA DI EL GRECO, MA DAL 2019 ATTRIBUITA AD ALONSO SÁNCHEZ COELLO, IN DIALOGO CON PICASSO, MME CANALS, BENEDETTA BIANCO, 1905, OLIO E CARBONCINO SU TELA
© Basel Tourismus
On the road per 1600 km
L’iniziativa di Svizzera Turismo, il Grand Tour of Switzerland, un percorso in tappe che attraversa tutta la Confederazione toccando oltre 160 attrazioni anche naturalistiche, si snoda lungo 1640 km di strade facilmente percorribili, segnalato da ben 650 cartelli stradali, valicando cinque passi alpini (la cui transitabilità è però garantita solo nei mesi estivi), e spingendosi oltre i 2400 metri del passo del Furka.
Oltre alle destinazioni più celebri, lungo il tragitto se ne trovano altre 50 meno note, distribuite in tutti i Cantoni, e selezionate tra gli insediamenti da proteggere
d’importanza nazionale, ulteriore testimonianza della varietà culturale e architettonica del Paese.
Le particolarità di questo tour non si limitano alle sole attrazioni, ma anche alla semplice viabilità. Offre infatti percorsi carazzerizzati da strade larghe e sicure, limita allo stretto indispensabile i tratti autostradali, garantisce percorsi alternativi nei mesi meno favorevoli e si allaccia naturalmente ai Paesi circostanti, via Basilea, Ginevra e Lugano.
Un aspetto al centro della pianificazione sin dalla prima ora è stato il rispetto dell’ambiente: dal 2017 può essere
SOTTO E NELLA PAGINA A FIANCO, CHE SIA ALL’INSEGNA DELLA SOSTENIBILITÀ CON SUV AD ALIMENTAZIONE ELETTRICA, O DELLO STILE CON UNA CABRIO FRIZZANTE, IL GRAND TOUR È TUTTO DA PERCORRERE NEI SUOI OLTRE 1600 KM
Volvo C40 Recharge
Porsche Macan T
LUOGHI DA SCOPRIRE
© Switzerland Tourism/Nico Schaerer
I numeri del Grand Tour of Switzerland
• Highlight: 46 attrazioni imperdibili, di cui
13 siti del Patrimonio mondiale Unesco e 2 biosfere
• Lunghezza: 1643 km
• Punto più alto: passo del Furka, 2429 m s.l.m.
• Punto più basso: Lago Maggiore, 193 m s.l.m.
• Segnaletica: 650 cartelli stradali
• Laghi lungo l’itinerario: 22 laghi con una superficie di più di 0,5 km2
• Periodo consigliato: aprile - ottobre (transitabilità passi alpini garantita solo nei mesi estivi)
percorso, nella sua variante E-Grand Tour, da veicoli elettrici. Oltre 300 le stazioni di ricarica di una rete capillare, che garantiscono il rifornimento lungo tutti i 1600 km.
Itinerario concepito anche tramite mezzi pubblici, con un unico titolo di trasporto, lo Swiss Travel Pass,
nella versione breve da quattro giorni o in quella estesa da otto. Molteplici le soluzioni offerte dallo Swiss Travel System, la rete integrata delle diverse società di trasporto locale comunali, cantonali, e federali, per un totale di circa 26mila km fra tratte su rotaia, gomma e acqua.
© Mercedes-Benz AG
Mercedes-Benz GLC Suv (X254)
©
/
Switzerland Tourism
Andre Meier
BMW M850i xDrive Convertible
LUOGHI DA SCOPRIRE
NELLA PAGINA ACCANTO, IN BASSO, TRA LE STRADE IMPERDIBILI, IL PASSO DELLA TREMOLA CHE UNISCE AIROLO AL SAN GOTTARDO CON 24 TORNANTI
CHI • COSA • DOVE
MODA
Alaïa, Blanik, Dolce & Gabbana, Eugenia Kim, Farm Rio, Jade Swim, Kristina T, Loewe, Marjolaine, Raffaela D’angelo, Saint Laurent, Tory Burch, Zimmermann
ACCESSORI
Borbonese, Bottega Veneta, Chloé, Dior, Eugenia Kim, Gianvito Rossi, Gucci, Jaquemus, Loewe, Roger Vivier, The Attico, Valentino, Yves Saint Laurent
OROLOGI & GIOIELLI
Breguet, Bvlgari, Chopard, Harry Winston, Hublot, Jaeger-LeCoultre, Longines, Patek Philippe, Vacheron Constantin
BEAUTY
Josephine Cottet JC Make-Up Academy, Via Massagno 91, Lugano
ABITARE
Armani Casa, B&B Italia, Devon&Devon-Marcel Wanders, Elie Saab, Ethimo, Fendi Casa, Flos, Flou, Gallotti&Radice, Ginori 1735, Giorgetti, Glas, Hermès Maison, Lema, Loro Piana, Minotti, Roberto Cavalli Home Interiors, Rugiano, Sahrai, Talenti, Tom Dixon, Venini, Versace Home
BOUTIQUE & PUNTI DI VENDITA
Antonioli, Via Nassa 29, Lugano • Arredo Più International, Via F. Pelli 5, Lugano • Atelier Fabiola, Via Canova 16, Lugano Blu, Piazza Bernardino Luini 2, Lugano • Bucherer, Locarno e Lugano • Delcò Mobili, Via Gorelle 1, Sant’Antonino Gold Time, Via Luvini 4, Lugano e Piazza Indipendenza, Chiasso
Gübelin, Via Nassa 27, Lugano • Gucci, Via Nassa 2, Lugano • Hermès, Piazzetta Maraini, Lugano
Kurz, Via Nassa 5, Lugano • Mersmann, Via Nassa 5, Lugano • Monn, Chiasso, Lugano, Bellinzona, Locarno
• Ottico Michel di Claudia, Via Pretorio 14, Lugano • Rocca 1764, Via Nassa 4, Lugano • Rugiano Showroom, Via Pelli, 12, Lugano
Salvioni Lugano, Via Pelli 2 e Via Trevano 15, Lugano • Scavia, Via Nassa 29, Lugano • Somazzi, Via Nassa 36, Lugano Tourbillon, Via Nassa 3, Lugano • Vicuna Luxury, Via Calprino 7, Paradiso • Vivi l’attimo, Via Francesco Borromini 10, Mendrisio
Nathalie Rodriguez
Photography
Giorgia Ghezzi Panzera
Produzione e styling
PetraPeter.com
Abito
Abito in tulle e pelle camoscio Vicuna Luxury
Occhiale Vintage Christian Dior, Ottico Michel di Claudia
Make up & hair style
Silvia Ferrara, Muah Studio
Assistente Styling
Ekaterina Cherniak
IMPRESSUM
Editore eidos swiss media sagl 6900 lugano info@eidosmedia ch
Redazione via lavizzari 4 - 6900 lugano
tel. 091 735 70 00
redazione@eidosmedia ch
Pubblicità
tel. 091 735 70 00 • pubblicita@eidosmedia ch
Abbonamenti
tel. 091 735 70 00 • abbonamenti@eidosmedia.ch
www.eidosmedia.ch
(under construction)
TICINO MANAGEMENT DONNA N. 89 LUGLIO-AGOSTO 2022 FOCUS La felicità come sfida CULTURA Artisti all’opera oltre le convenzioni ABITARE Salone del Mobile tendenze e stili MODA La valigia delle vacanze N. 89 • Luglio-Agosto 2022 - Fr. 8 / Euro 7 In copertina
rugiano.com
Sofa / Pierre