Ticino Management Donna: Primavera 2025

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BELLEZZA

Una seduzione che fiorisce oltre il tempo e i canoni

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CHIUSURA REDAZIONALE: 14 marzo 2025 © Riproduzione riservata

Una declinazione inafferrabile

Montblanc Masters of Art

Homage to Vincent van Gogh

Limited Edition 8 Fountain Pen

Per festeggiare l’importante traguardo, il NUMERO 100, Ticino Management Donna si confronta con una tematica che, pur nella sua universalità di tempo e di spazio, è femminile, non solo come sostantivo. Un concetto complesso e sfaccettato, che affascina da sempre filosofi, artisti e pensatori: la Bellezza.

Quella che per Dostoevskij è destinata a salvare il mondo, e della cui identità il web restituisce centinaia di milioni di risultati, sfugge in realtà a una definizione univoca.

Pur nella sua semplicità concettuale ed esecutiva, un esperimento condotto qualche anno fa è eloquente. Con una serie di immagini di quelle che si consideravano le labbra femminili più belle al mondo, gli occhi più belli, la fronte, il naso e così via, è stato fatto un collage. Il risultato? Orribile. A dimostrazione che la bellezza non è la somma di una serie di dati perfetti, non è una convenzione. È un’alchimia di elementi che nessuna formula può riprodurre. Neppure la percezione della bellezza è univoca. Influenzata com’è da fattori culturali, storici e personali.

E pur in assenza di una definizione unica, esiste tuttavia una bellezza senza tempo, che trascende mode passeggere o le convenzioni sociali del momento, incarnando un fascino eterno che attraversa le epoche e le culture. È associata a qualità come l’armonia, l’equilibrio e l’autenticità. Che si tratti dell’arte classica, con le sue proporzioni e la sua ricerca dell’ideale estetico, oppure degli innumerevoli esempi offerti dalla natura, dal cosmo agli abissi marini, dai tramonti alla varietà cromatica dei tulipani.

È bello qualcosa che, se fosse nostro, ne saremmo felici, ma che rimane tale anche se appartiene a qualcun altro, per dirla con Umberto Eco. Una prospettiva che spostando l’attenzione su ciò che è altro da noi, enfatizza l’attitudine universale della bellezza a generare gioia e piacere.

E oggi che i confini della bellezza si stanno allargando, con un rischio di appiattimento del concetto quando questa viene legata alla durata, how to (come restare prestanti sempre) o alla body positivity (belli comunque e ovunque, con qualunque taglia e a qualunque età), è rassicurante pensare che sia una condizione di pienezza, che nel godere della bellezza in quanto tale ci fa sentire migliori, ci riallinea con noi stessi, le persone che abbiamo sempre saputo di essere, ma che abbiamo trascurato di diventare (finora!).

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EDIZIONE NUMERO 100

14

Un savoir-faire che si tramanda

Cinquant’anni di storia familiare e aziendale di un leader del Beauty.

32

Andando in scena

Lo spettacolare percorso creativo della scenografa Margherita Palli.

50 54

Prevenzione, fonte di longevità

Le premesse per invecchiare in salute, con un approccio proattivo.

Il cervello, a ben pensarci

Valorizzare le differenze di genere per una medicina più efficace.

58 66

Un trionfo di sapori

Una cucina stellata che esalta ogni elemento nelle sue qualità.

70

Bagliori che si mettono a nudo

14 x 8.000

Il Grande Slam himalayano e la lezione della followership.

74

Un’eleganza contemporanea che sfida la gioielleria tradizionale. Fiera

senza vanità

Epicentro del mercato dell’arte contemporanea: a casa di Art Basel.

IN COPERTINA:
Gioielli CARTIER
Orologio Panthère de Cartier
Bracciale LOVE
Anello Clash de Cartier
Abito POMANDÈRE
ZADIG & VOLTAIRE PARFUM
HERMÈS BEAUTY
AKRIS

Un amore, che dura tutta la vita.

Una volta Miele, per sempre Miele.

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ENTRÉE

DI ELEONORA VALLI

IN FOTO, KENNEDY GOWN - KELLY

GREEN DEGRADE FLORALS

DI SACHIN & BABI

A DESTRA, ARMANI/FIORI: CURA E ARMONIA IN UN DESIGN ESSENZIALE PER DARE AL LIVING UN TOCCO DI FRESCHEZZA

di verde, la Primavera S’ILLUMINA

Trend di questa stagione, il colore simbolo della riconnessione con la natura, capace di infondere energia vitale e piantare semi di speranza. Restare al verde non è mai stato così trendy

E SOPRA, ANELLO TIFFANY, COLLEZIONE ELSA PERETTI, ANELLO BONE IN ORO GIALLO SOTTO, BORSA PRADA GALLERIA MINI IN SAFFIANO

IN BASSO, DI HERMÈS, SANDALI EXTRA

IN FOTO, BRACCIALE RIGIDO

ETERNAL GOLD BOW IN ORO GIALLO, PRADA

Tra nuove tendenze di consumo, prodotti innovativi e l’integrazione di tecnologie avanzate, nell’ultimo anno l’industria della bellezza

è stata protagonista di una significativa espansione, con prospettive rosee per gli anni a venire

piena forma un’ industry in

Consumiamo di più e consumiamo meglio, con più consapevolezza. Per tutta risposta, nei loro laboratori all’avanguardia, le aziende del settore mettono a punto prodotti innovativi, capaci di rispondere a un immenso ventaglio di richieste ed esigenze. Prodotti pensati non solo per una specifica finalità ma capaci di generare uno stato di complessivo benessere e un piacere plurisensoriale, con profumi e texture che coinvolgono principalmente l’olfatto e il tatto.

E senza trascurare il pianeta, per la cui tutela i processi produttivi, a partire dalla scelta delle materie prime, sono concepiti nel segno della sostenibilità.

Profumi, make up, creme. E naturalmente sapone, bagnoschiuma, shampoo, gel e spray: ogni giorno una persona utilizza almeno otto prodotti. Favorendo lo sviluppo del comparto della bellezza che, secondo un’indagine condotta da Kpmg, a livello mondiale, l’anno scorso valeva 527 miliardi di euro, in crescita del 5%, e per il 2028 si stima che crescerà a un tasso medio annuo del 6,3%.

Elevati standard qualitativi, flessibilità, attenzione alle richieste del nuovo mercato, coniugate a innovazione, creatività e tradizioni sono le credenziali che affermano la resilienza del beauty, anche di fronte a sfide globali. Indubbiamente, a condizionare la crescita del mercato potrebbero essere alcuni fattori extra settore, dallo scenario economico e geopolitico alla disponibilità e competitività di materie prime dovute in prevalenza a supply chain e siccità; oltre alla richiesta di competenze con lo sviluppo di nuove skills, fino alla transizione verso l’innovazione digitale che riguarderanno in modo trasversale comunicazione, produzione e marketing. Tuttavia il settore ha diverse frecce al proprio arco: oggi è e sarà sempre più sostenuto dalla multicanalità: a fianco dell’e-commerce, che resta il settore trainante (12%), altri canali di vendita al dettaglio specializzata si stanno affermando sul mercato. Tra questi, il travel retail (9%), lo speciality retail (8%), la parafarmacia/farmacia (3%) e, in misura minore, altri canali, con un introito stimato di vendite al dettaglio per canale pari a cinque miliardi.

Nel 2024 la principale tendenza beauty ha riguardato la trasformazione dello skincare in chiave sempre più ‘clinica’ e perfino fantascientifica (si parla, infatti, addirittura di invertire il processo di invecchiamento), in nome di una nuova frontiera della cosmetica di trattamento, la skin longevity. Meno obiettivi semplici (idratante, antirughe e così via) e più spazio agli ingredienti che fanno bene alla pelle influenzando-

Mercato globale del Beauty:

ne il metabolismo cellulare, meno testimonial e più scienziati riuniti in estesi gruppi multidisciplinari per azzeccare la formula migliore per la longevità cutanea. Tutte le principali industrie del beauty mondiale ci

IN BASSO, PER IL MERCATO GLOBALE DEL BEAUTY È ATTESA UNA CRESCITA DEL SEI PERCENTO. NELLA CLASSIFICA DELLE CATEGORIE, SVETTANO I PROFUMI, TALLONATI DAL MAKE UP, AL SECONDO POSTO

verso una crescita del 6%

Grazie a elevati standard qualitativi, innovazione e creatività

NELLE FOTO, IL PANORAMA DELLA BELLEZZA GLOBALE

DIVENTERÀ ANCOR PIÙ COMPETITIVO, DAL MOMENTO

CHE UNA SERIE DI MARCHI INDIPENDENTI SONO

ARRIVATI CON SUCCESSO SUL MERCATO NELL’ULTIMO

DECENNIO E MOLTI ALTRI NE STANNO NASCENDO.

INNUMEREVOLI ANCHE LE CELEBRITIES CHE SI SONO

AVVICINATE AL SETTORE

Il settore dei profumi è in testa

stanno lavorando e le novità si moltiplicano tanto che, solo negli Stati Uniti – attesta NielsenIQ - i prodotti contenenti gli ingredienti leader della skin longevity, come la niacinamide (vitamina B3) e l’acido ialuronico, sono cresciuti a un tasso medio del 71,5% negli ultimi 5 anni rispetto al 5,3% degli altri prodotti (idratanti o antirughe semplici, eccetera). La skin longevity si prende cura della pelle mantenendola in salute il più a lungo possibile tanto da renderla più soda, luminosa e colorita. Promettendo perfino di rallentarne la senescenza. Si punta a modificare i meccanismi cellulari, anche abbinati a uno stile di vita che includa le tecniche di biohacking per la longevità.

Rimanendo in tema di tendenze, nell’ultimo anno l’industria della bellezza ne ha viste emergere diverse, assecondandole con prodotti innovativi e con l’integrazione di tecnologie. Quattro i trend nel settore, che rappresentano i principali driver di crescita: Bellezza consapevole (Conscious Beauty), che riguarda principalmente i temi dell’inclusività e della sostenibilità, come ad esempio età, colore, genere e sostenibilità dei prodotti; Smart Beauty che si concentra sull’efficacia dei prodotti avvalorata da R&D e test scientifici, ma disponibile a costi accessibili; Bellezza personalizzata (Customized Beauty) che, attraverso l’uso della tecnologia di avanguardia, permette di dare consigli, consulenze o addirittura offrire prodotti personalizzati; Bellezza olistica olistica (Holistic Beauty) dedicata a chi ricerca il benessere body & mind e collegata al Lohas

Pronto a continuare la sua traiettoria ascendente

Fonte: Euromonitor, Generator Research, McKinsey Analysis

Rapporto tra aumento dei costi e qualità Nella vendita al dettaglio di prodotti di bellezza

(Lifestyles of Health and Sustainability), uno stile di vita attento alla salute e al benessere.

Pelle e non solo. Tra i nuovi trend, comincia infatti ad affermarsi quello della ‘skinificazione’ dei capelli, ossia l’introduzione di routine elaborate e di prodotti specializzati nella cura dei capelli, come è avvenuto per la cura della pelle.

Se, a oggi, gli appartenenti alla GenX (nati tra 1964 e 1980) sono stati i consumatori che hanno investito maggiormente in prodotti e servizi di bellezza, tra dieci anni saranno invece i Millenials a trainare la spesa e a contribuire maggiormente alla crescita del settore.

Nel complesso, si prevede che la bellezza sarà caratterizzata da una sorta di ‘premiumization’. La cosmesi di livello premium, infatti, dovrebbe crescere a un tasso annuo dell’8% entro il 2027, contro il 5% della bellezza di massa.

Fonte: Euromonitor, Generator Research, McKinsey Analysis
© Camille Brodard / Unplash
© Ian Dooley / Unplash

savoir-faire Un che si tramanda

Grazie a una rete di distribuzione selettiva, che coinvolge circa cento Paesi in cinque continenti, Sisley ha beneficiato di una delle crescite più forti del settore in tutto il mondo. Azienda francese a conduzione familiare, crea e distribuisce prodotti di trattamento, maquillage e fragranze di alta gamma

In dieci anni, il fatturato di Sisley è più che raddoppiato. L’azienda ha investito 200 milioni di euro nei suoi tre siti francesi e per quest’anno è prevista l’apertura di una nuova fabbrica. Nello stesso decennio, la crescita è stata superiore al 130%.

I prodotti di alta qualità, contrassegnati dall’efficacia dei loro ingredienti chiave naturali e delle loro qualità sensoriali, ricevono regolarmente prestigiosi premi internazionali.

L’azienda è stata fondata nel 1976 dai coniugi Isabelle e Hubert d’Ornano. Isabelle d’Ornano, ancora oggi presente in azienda, supervisiona la creazione dei prodotti, affiancata dai figli Philippe, presidente della Maison e Christine, direttrice generale che si occupa di sviluppare l’immagine della Marca. Intanto, in azienda è arrivata la terza generazione: Daria Botin, nipote di Isabelle, è a capo del Laboratorio Creativo interno di Sisley. Con lei, abbiamo ripercorso a ritroso cinque decenni di storia aziendale e familiare.

Lei rappresenta la nuova generazione di una famiglia che ha creato e affermato un marchio su scala mondiale ormai emblematico. Quali sono gli elementi che hanno determinato il suo successo?

Come azienda familiare, abbiamo una visione a lungo termine. I prodotti Sisley sono il risultato di una stretta collaborazione tra la famiglia e i nostri laboratori. Non ci basiamo su ricerche di mercato, ma sulle nostre esigenze e le aspettative degli utilizzatori. I nostri laboratori lavorano senza vincoli di tempo o di budget per trovare la formula migliore, garantendo prodotti che combinano i migliori ingredienti naturali con tecnologie avanzate di estrazione, test e ricerca dei principi attivi. Grazie a rigorosi test clinici, siamo in grado di offrire prodotti di qualità, sicuri, efficaci e piacevoli da usare. Questo approccio ha permesso a Sisley di diventare un marchio di fiducia con una base di clienti fedeli.

NELLA PAGINA ACCANTO, AL CENTRO ISABELLE

D’ORNANO, COFONDATRICE CON IL MARITO HUBERT, NEL 1976, DI SISLEY. ALLA SUA SINISTRA, LA FIGLIA

CHRISTINE D'ORNANO, DIRETTRICE GENERALE E, ALLA

SUA DESTRA, LA NIPOTE DARIA BOTIN, A CAPO DEL

LABORATORIO CREATIVO

SOPRA, 80 ANNI DI RICERCA PER PRODOTTI DEDICATI A SKIN CARE, MAKE UP E FRAGRANZE DI ALTA GAMMA

SOPRA, DARIA BOTIN, TERZA GENERAZIONE DELLA FAMIGLIA FONDATRICE E PROPRIETARIA

DI SISLEY, È DIRETTRICE CREATIVA DEI TRE MARCHI DEL GRUPPO

Quali sono le caratteristiche degli attuali prodotti per la cura della pelle, di make-up e dei profumi della Maison?

Efficacia e innovazione sono al centro di Sisley. Per fare qualche esempio, siamo stati i primi a lanciare una crema anti-età globale con Sisleÿa, nel 1999, riformulata nel 2016 e tuttora un bestseller. Come pionieri in ciò che attiene alla cura del make-up, abbiamo anche lanciato mascara che rafforzano e rendono più profonde le ciglia, come Phyto-Noir, che personalmente adoro per il suo volume intenso e per la sua azione trattante. Oggi continuiamo a innovare con Neuraé, il nostro nuovo marchio che unisce la cosmetica alla neuroscienza.

Sisley è innanzitutto una grande storia intergenerazionale... Quali sono i suoi primi ricordi d’infanzia legati all’azienda di famiglia e ai suoi prodotti? Sono anche ricordi multisensoriali?

© OlegCovian

Il mio primo ricordo è l’odore dell’Eau de Campagne a casa dei miei nonni in estate, e a far da cornice, i prodotti da testare che erano in giro e di cui discutevamo tutti intorno al tavolo. C’era anche la Crème Réparatrice, la crema ’Sos’ della nostra infanzia che tutti portiamo ancora nelle nostre trousse.

Associo l’odore di Émulsion Écologique anche a mio padre, che veniva a darmi la buonanotte. È bello ascoltare storie del genere dai nostri amici e clienti.

Tre generazioni e, per ognuna, un importante contributo femminile. Come pensa che l’approccio femminile abbia aiutato l’azienda a svilupparsi nel tempo?

Mia nonna è l’anima di Sisley. Cofondando l’azienda con mio nonno, l’ha dotata di una visione unica, audace e intuitiva. Il suo approccio femminile ha sempre giocato un ruolo chiave nello sviluppo dei prodotti, combinando standard elevati, sensorialità e innovazione. Ancora oggi viene in ufficio ogni giorno, condividendo la sua esperienza e il suo occhio attento

Se la bellezza si mette a dare i numeri...

200

Milioni di euro investiti

In dieci anni, il fatturato di Sisley è più che raddoppiato e l'azienda ha investito 200 milioni di euro nei tre siti francesi. Una nuova fabbrica aprirà nel 2025

33

Filiali distributive

Sono trentatré le filiali distributive in Europa, Asia, Americhe e Medio Oriente

90% del fatturato

A tanto ammonta quello del fatturato internazionale

5000

Dipendenti

Cinque miglialia circa, in tutto il mondo, di cui più di mille in Francia, e oltre cento nazionalità

5 Continenti

La storica azienda francese è presente nei cinque continenti

100

Paesi

I prodotti sono distribuiti in più di un centinaio di Paesi in tutto il mondo

7694

Punti vendita

Una distribuzione selettiva include profumerie, spa, grandi magazzini e le Maison Sisley

130%

Crescita

È anche superiore al 130% la crescita registrata in dieci anni

all’immagine del marchio. Il suo impegno e la sua passione sono fonte di ispirazione per me e per la nostra famiglia, ma anche per i nostri collaboratori e clienti, che la riconoscono come una figura emblematica di Sisley.

Lei è ora a capo dello Studio Creativo: cosa le piace del suo lavoro?

Sono il direttore creativo dei tre marchi del gruppo Sisley. Il mio team crea tutti i contenuti visivi e video per il sito web, la stampa, i social network e i punti vendita. Adattiamo anche questi contenuti in base alle particolarità dei differenti mercati internazionali.

Ciò che amo di più è la diversità dei progetti e la possibilità di lavorare con mia zia Christine e mia nonna, la cui creatività e visione apportano molto al marchio.

Quale consiglio le ha dato sua nonna quando ha iniziato a lavorare per l’azienda?

Di essere discreta e di lavorare sodo per trovare il mio posto nell’azienda di famiglia.

Sisley è bellezza e benessere dalla testa ai piedi, grazie a una ricerca che sfrutta i benefici offerti dalla natura e li traduce in prodotti (anche) altamente sensoriali. Cosa pensa che piaccia a chi usa questi prodotti?

I nostri clienti sono fedeli soprattutto per l’efficacia dei nostri prodotti e la ricchezza dei principi attivi vegetali. Ma anche per l’esperienza sensoriale unica: le texture, le fragranze naturali, un rituale di bellezza che unisce piacere e benessere.

Sisley e la bellezza formano un binomio che va oltre la bellezza estetica dell’individuo e si estende all’arte e alla cultura. Qual è il rapporto di Sisley con l’arte?

L’arte ha sempre avuto un ruolo molto importante nella vita di Sisley, in particolare grazie a mia nonna Isabelle e a mia zia Christine d’Ornano. Si esprime attraverso collaborazioni con artisti per il design dei nostri flaconi di profumo, edizioni limitate e altri progetti creativi, come le nostre campagne natalizie. Sisley sostiene anche una serie di iniziative culturali che rafforzano questo legame tra arte e bellezza. Oggi mia zia Christine continua a sostenere i giovani artisti, in particolare con il Prix Sisley Beaux-Arts de Paris. Questo rapporto con l’arte fa parte della nostra identità e influenza ogni giorno le nostre creazioni! Arte e bellezza, accomunate ancestralmente dalla ricerca dell’armonia e dalla capacità di generare benessere.

8 11 MAY 25

ricetta naturale

Le formulazioni più apprezzate coniugano risultati visibili con l’attenzione alla salute e al rispetto dell’ambiente

Il settore delle creme per viso e corpo, in costante crescita, riflette la domanda in aumento da parte dei consumatori di prodotti cosmetici di derivazione naturale e rispettosi dell’ambiente. La Svizzera vanta numerosi marchi dedicati alla produzione di prodotti naturali di alta qualità. Qualità e sostenibilità sono alla base della produzione di Mavex, con sede a Lamone, che valorizza da sempre l’importanza dell’uso di materie prime certificate, estratti di erbe e piante medicinali coltivate nelle Alpi e ingredienti attenti alla salute del pianeta. L’attenzione si traduce in prodotti che rispettano l’ambiente e la salute dei consumatori. L’azienda è nata nel 2009 dall’intuizione di anticipare la crescente domanda di prodotti cosmetici naturali ed ecosostenibili.

Come nasce Mavex?

Mavex nasce con l’obiettivo di sviluppare prodotti cosmetici innovativi e altamente efficaci, legati alla natura e alla ricerca scientifica. L’azienda ha sempre puntato su formulazioni avanzate, arricchite con estratti vegetali e attivi naturali, per offrire soluzioni specifiche per la cura della pelle. La qualità svizzera e l’attenzione alla sostenibilità sono sempre stati elementi centrali della nostra filosofia aziendale. Com’è cambiato in questi anni il rapporto dei consumatori con i prodotti beauty e quali sono le categorie di prodotto privilegiate? Quanto questa relazione ha eventualmente orientato le scelte di produttori come Mavex?

Negli ultimi anni, i consumatori sono diventati sempre più consapevoli e informati, orientandosi verso prodotti che garantiscono sicurezza, efficacia e rispetto per l’ambiente. Si è affermata una forte tendenza verso la cosmesi naturale, sostenibile e priva di ingredienti controversi. Per rispondere a questa esigenza, abbiamo investito nella ricerca di formulazioni clean e nella trasparenza, privilegiando ingredienti di origine naturale e riducendo l’impatto ambientale del packaging. Qual è stato il primo prodotto di punta dell’azienda e quali sono oggi, a distanza di tempo, i prodotti che possiamo considerare iconici?

Uno dei primi prodotti ad aver dato notorietà a Mavex è stato Calluspeeling, un trattamento professionale dedicato al benessere dei piedi, apprezzato per l’efficacia e la facilità d’uso. Oggi, tra i prodotti iconici dell’azienda, possiamo citare anche la linea Phyto Collagen, che

offre trattamenti anti-invecchiamento avanzati per il viso, e la nuova linea Botanic Spa, che rappresenta l’eccellenza nella cura delle mani e dei piedi. Questi prodotti sono caratterizzati da un perfetto equilibrio tra innovazione scientifica e principi attivi naturali.

Qual è la filosofia del marchio?

La filosofia di Mavex è sempre stata quella di combinare scienza e natura per offrire prodotti altamente performanti e sicuri. Nel tempo, un’attenzione crescente dedicata alla sostenibilità e all’innovazione tecnologica ha portato allo sviluppo di prodotti sempre più rispettosi dell’ambiente e delle esigenze dei professionisti della bellezza.

In Svizzera quali sono i canali di distribuzione?

I prodotti Mavex sono distribuiti principalmente attraverso Spa, Istituti di bellezza e Farmacie. Collaboriamo con professionisti del settore per garantire un’esperienza d’uso ottimale e risultati concreti per i clienti.

I prodotti Mavex trovano largo impiego anche in centri estetici e Spa di alta gamma in tanti Paesi diversi. Cosa piace all’estero di questo prodotto squisitamente svizzero?

All’estero, i prodotti Mavex sono apprezzati per l’elevata qualità, l’efficacia e la purezza delle formulazioni. Lo ‘Swiss Made’ è sinonimo di affidabilità e innovazione, valori molto ricercati nel settore della cosmetica. Come si caratterizza la regolamentazione in Svizzera: è più o meno severa rispetto alla media europea e internazionale?

La regolamentazione in Svizzera è tra le più rigorose al mondo e garantisce elevati standard di sicurezza e

SOTTO, IL MODERNO LABORATORIO DI RICERCA

E SVILUPPO DI MAVEX, A LAMONE, DOTATO DI

ATTREZZATURE DI ULTIMA GENERAZIONE E DI PROFILI

ALTAMENTE SPECIALIZZATI NELL’AMBITO DELLA RICERCA

FARMACEUTICA, COSMETICA E FITOTERAPICA

qualità per i cosmetici. La legislazione Svizzera recepisce interamente il Regolamento europeo (CE) 1223/2009, allineandosi così agli standard dell’Ue. Quali sono i mercati più importanti per i vostri prodotti e in che misura incidono?

Mavex è presente in oltre 42 Paesi nel mondo. I mercati più rilevanti includono l’Europa, l’Asia e il Medio Oriente, dove il marchio è riconosciuto per la sua eccellenza nel settore professionale.

Quali prodotti o quali categorie di prodotto sono recepiti maggiormente nei diversi mercati?

In Europa, la nostra linea anti-age per il viso e i trattamenti per la cura dei piedi sono molto richiesti. In Asia, c’è un grande interesse per i prodotti schiarenti e rigeneranti, mentre in Medio Oriente sono particolarmente apprezzate le formulazioni altamente nutrienti e rigeneranti.

Prendersi ‘a carico’ la bellezza e il benessere delle persone è una bella sfida. È ciò che immaginava per sé e per il suo futuro da adulta, quando era una bambina?

Il mondo della bellezza e della cura della pelle mi ha sempre affascinato. Sin da giovane ho nutrito un forte interesse per il benessere e l’innovazione, valori che oggi sono il cuore pulsante di Mavex. È una grande soddisfazione sapere che i nostri prodotti aiutano le persone a sentirsi meglio con sé stesse.

I prodotti Mavex, dal viso ai piedi, sono alleati di benessere e bellezza. Qual è la sua definizione di benessere e quale quella di bellezza?

Per me, il benessere è un equilibrio tra corpo e mente, una sensazione di armonia e vitalità. La bellezza, invece, non è solo estetica, ma anche un riflesso dello stato interiore di una persona. Un viso luminoso, una pelle curata e un atteggiamento positivo sono la vera espressione della bellezza autentica.

IN FOTO, KATIA PALAGANO, COFONDATORE DI MAVEX, LAMONE
Il digitale ha rivoluzionato la percezione e la costruzione dell’immagine di sé, sempre più condivisibile e manipolabile, tramite gli algoritmi

integrati negli smartphone e i filtri delle app Beauty

Dieta drastica di inizio anno: Meta rinuncia al 99% dei filtri di bellezza su Instagram, Facebook e le sue altre piattaforme social, riducendoli da 2 milioni ad appena 140. Al di là delle tattiche - potrebbe che non essere una misura per bandire gli strumenti di produttori esterni rivali e alimentare il proprio business - la mossa è stata venduta con nobili motivazioni etiche, che toccano in effetti una questione sempre più critica: il benessere di giovani e giovanissime, vittime di un ideale di bellezza artefatto e irraggiungibile, che li porta a sviluppare un rapporto distorto con la propria immagine, a partire dal volto, protagonista assoluto di ogni forma di comunicazione e interazione. Basta guardare le foto dei profili: estremamente uniformi e rispondenti ai canoni della cosiddetta “Instagram Face”. Volti sospettosamente ovali e simmetrici, incarnato levigato senza la minima imperfezione, sguardo magnetico enfatizzato da eyeliner ‘occhi di gatto’ e sopracciglia scolpite, labbra sinuose socchiuse su denti bianchissimi, nasino svettante da rinoplastica, … Filtri d’amore 2.0: per guadagnare like, per piacere e piacersi. Perché nel nostro tempo di selfie a profusione (una delle poche

parole dell’anno tuttora virale - correva il 2013 quando l’Oxford Dictionary la incoronò), la percezione dell’immagine di sé continua in realtà a passare dallo sguardo altrui, come quando ancora lo specchio non era diffuso: «Non dimentichiamoci che fino agli albori dell’epoca moderna era rarissimo potersi vedere in immagine, dato che, a parte le forme artistiche come disegni, ritratti e sculture, riservate a fortunate élite, gli strumenti a disposizione erano scarsi, di cattiva qualità e l’atto stesso di specchiarsi era stigmatizzato. Mentalità e strumenti ottici iniziano a evolvere dal Rinascimento e poi,

PELLE AMBRATA E LEVIGATA, OCCHI DA CERBIATTO, CIGLIA CARTOON, SOPRACCIGLIA

LIFTATE E DENSE, ZIGOMI ALTI E PIENI, NASO PICCOLO, LABBRA CARNOSE: È LA “INSTAGRAM

FACE” IMPOSTA DAI SOCIAL, A CUI SEMPRE

PIÙ CI SI OMOLOGA, GRAZIE ALLA COSMESI

DIGITALE DI ALGORITMI E FILTRI DI UNA BELLEZZA VIRTUALE IN TUTTI I SENSI

MAKE-UP ALGORITMICO

nettamente, dallo scorso secolo, quando la fotografia si diffonde a macchia d’olio, fino al nostro millennio con la rivoluzione digitale e, in particolare, con gli smartphone, muniti di telecamere e software sempre più potenti, oltre alle molte app di beautification che

hanno reso produzione, manipolazione, condivisione e consumo di immagini, immediati, poco costosi e pervasivi», ricorda il professore Antonio Nizzoli, Docente di comunicazione mediatica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. Malgrado questa rivoluzione, oggi come allora, si continua a rispecchiarsi in primis negli Altri: «Senza uno sguardo esterno è impossibile per l’Io intraprendere la definizione della propria immagine a livello cognitivo. L’immagine di sé è infatti un dato sociale, nasce dal confronto con gli Altri e, simmetricamente, dal giudizio che hanno su noi», prosegue il Prof. Nizzoli, impegnato anche in numerosi progetti di ricerca, in particolare SatisFace, dedicato proprio alle ricadute delle nuove tecnologie sulla percezione dell’immagine di sé, tema sul quale ha scritto anche un saggio di riferimento, Narcisi nella rete (Mondadori Università, 2021).

La costruzione della propria immagine è dunque il risultato della dialettica costante fra Ego e Alter, oggi intensificata, accelerata e resa misurabile dai like. Gli equilibri fra istanze di omologazione e differenziazione rischiano di venirne sbilanciati. Proprio come nel mito di Narciso, il problema sta nella consapevolezza. «Il conformismo è insito negli algoritmi che uniformano i criteri di bellezza alla normalità statistica dei visi estratta dai big data. Già le stesse fotocamere degli smartphone non sono neutre, ma prevedono l’integrazione di funzioni di intelligenza artificiale e machine learning per ottimizzare la definizione dei

SatisFace: l’immagine di sé nell’era digitale

Il progetto di ricerca interdisciplinare SatisFace nasce dalla combinazione di interessi trasversali legati alla psicologia, alla comunicazione e alla statistica, con l’obiettivo di misurare e analizzare attraverso una rigorosa valutazione quali-quantitativa l’impatto delle tecnologie digitali sull’immagine di sé, anche come possibile predittore di eventuali disagi psicologici soprattutto in età pre e post adolescenziale, nell’ottica di promuovere il digital wellbeing.

Promosso dal Centro Universitario di Statistica per le Scienze Biomediche dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, si avvale anche della partecipazione della Facoltà di biomedicina dell’Usi e dell’Università Sigmund Freud. Iniziato nella primavera del 2022, coinvolgendo studenti delle scuole medie e superiori, con patrocinio del Comune di Milano, il progetto prosegue con nuovi target di riferimento e focus di indagine, per esplorare un fenomeno estremamente complesso per il costante dinamismo del mondo dei social e della tecnologia in generale, che si somma all’eterogeneità nei comportamenti dei ragazzi, legata anche a diversi background socio-economico-culturali e ad aspetti relativi al supporto sociale percepito da parte degli adulti.

visi, ad esempio correggendo le distorsioni generate dalla distanza focale ravvicinata che altera le proporzioni. Ma attenti a idealizzare la genuinità del passato: già l’apparentemente oggettiva istantanea Kodak nascondeva un processo di correzione dell’immagine», avverte Antonio Nizzoli. Si aggiungono poi gli interventi volontari, una cosmesi virtuale per avvicinarsi ancora di più a quei modelli, a loro volta fortemente standardizzati, che la rete ci propina, Vip e sempre più influencer. La ricorsa di un ideale fittizio. Nei casi più gravi, l’insoddisfazione per la discrepanza del proprio aspetto da questi paradigmi può portare allo sviluppo di disturbi ossessivo-compulsivi che si palesano con la fissazione su un presunto difetto fisico (il cosiddetto dimorfismo corporeo): così, sempre più spesso, ci si presenta dal chirurgo estetico smartphone alla mano, chiedendo di apparire identici al selfie ritoccato. «Ma non bisogna demonizzare: i risultati che abbiamo raccolto dai questionari somministrati nel nostro studio SatisFace - dai preadolescenti ai giovani adulti - hanno evidenziato come non siano schiavi della beautification e abbiano in realtà spesso una visione più disincantata e matura della generazione dei loro genitori, complice anche la diffusione di una crescente sensibilità verso la valorizzazione culturale delle diversità. Scattarsi un selfie per loro non è un atto narcisistico, ma una forma di narrazione della propria identità condivisa nelle piattaforme social, per raccontare “cosa sto facendo, con chi sono e dove sono”. Sulla base di questi spunti, nelle prossime fasi approfondiremo la dialettica fra uniformità e difformità - che è poi quella tensione su cui si basa la moda, fornendo modelli che cambiano continuamente (la differenza) ma che, sino a quando sono in voga, tendono a uniformare gli standard (uguaglianza). Inoltre vorremmo studiare l’interazione tra make-up tradizionale e quello digitale, su cui c’è ancora poca letteratura, ma che è un aspetto di forte interesse, tanto che già molte fra le maggiori aziende produttrici di cosmetici ci stanno lavorando, per proporre soluzioni di skincare sempre più personalizzate e interattive», conclude il Prof. Nizzoli. Per intanto, si può che dire che non molto sia cambiato nel banchetto dei ritocchi, nonostante la dieta drastica di Meta. Basta qualche clic in più per esportare la foto e poterla modificare con app di altri sviluppatori come in precedenza. E presto si potrebbe nuovamente scalare di livello, con dietro l’angolo la realtà aumentata che promette di dotarci di avatar integrali. Un futuro che, senza sconfinare nell’apocalittico, reclama però a gran voce senso critico, per non cadere nell’autocontemplazione di uno sterile narcisismo.

Anastasia Shuraeva / Pexels
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Oggi il benessere è spesso associato solo a cibo e attività fisica, dimenticando che la salute inizia dalla consapevolezza di ciò che ‘sentiamo’. Possiamo condurre uno stile di vita sano, ma se accumuliamo stress e insoddisfazione, il corpo non tarderà a farcelo presente

Specchio

delle emozioni

Càpita. Càpita di sentirsi esausti senza un motivo apparente. Di soffrire di tensioni muscolari, mal di stomaco o insonnia, e spesso nei momenti più difficili della propria vita.

Càpita soprattutto alle donne, la cui sensibilità è terreno fertile per l’affaticamento psico-fisico e l’interiorizzazione di temi e situazioni che, in realtà, dovrebbero rimanere all’esterno. Ogni emozione non espressa attraverso parole, pianto o movimento trova comunque una via d’uscita, a livello fisico. Il nostro corpo parla. Anzi, grida. Dando voce proprio a ciò che a livello emotivo non vogliamo affrontare. Ogni tensione o dolore è la manifestazione di qualcosa che non stiamo ascoltando. Un segnale che ci invita a guardare dentro di noi. Comprendere questo legame permette di intervenire non solo sui sintomi, ma in maniera risoluta sulle cause profonde del malessere.

La psicosomatica, disciplina che è diventata a tutti gli effetti una branca della medicina moderna, studiando la connessione tra mente e corpo, dimostra come le emozioni influenzino la nostra salute fisica, offrendo al tempo stesso gli strumenti per liberarsi da questi blocchi emotivi. Un risultato al quale chiunque può arrivare, con un lavoro su corpo, mente e anima, lungo un percorso di crescita personale.

La salute inizia dalla consapevolezza di ciò che proviamo.

Non basta condurre uno stile di vita sano per essere sani: un ritmo di vita perennemente accelerato, sentirsi inadeguati, essere insoddisfatti e affrontare le proprie prove sempre con paura... tutto ha delle ripeercussioni fisiche. Quando ignoriamo questi segnali, il corpo alza il volume per farsi sentire, fino a farci fermare. Il sintomo di norma non è il problema, ma un campanello d’allarme. Il corpo ci avvisa quando ci allontaniamo da noi stessi, quando viviamo situazioni che ci svuotano.

Queste circostanze ci pongono davanti a un bivio: continuare a soffocare il sintomo o fermarci e chiederci che cosa vuole comunicare tale sintomo.

Dalla consapevolezza all’azione: il primo passo per cambiare.

Se il corpo sta cercando di comunicare qualcosa, ignorarlo non è infatti la soluzione. Meglio fermarsi e chiedersi quando è iniziato questo sintomo, cosa lo ha presumibilmente attivato, quale situazione oggettiva e soggettiva si stava vivendo in quel momento. Quali emozioni si stanno reprimendo ...

La consapevolezza è essenziale, ma da sola non basta. Definiti i contorni di una situazione che ci fa soffrire, confinandoci tra paura e abitudine, per liberarci dobbiamo agire, fare scelte nuove, creare spazio per il cambiamento. Muovere il corpo, respirare, scrivere o confrontarsi con qualcuno: ogni azione aiuta a sciogliere emozioni bloccate. Il corpo ci chiede movimento, espressione, trasformazione. Ascoltarlo significa rispondere con gesti concreti, non solo con pensieri. Ogni passo che si fa verso sé stessi è un atto di liberazione. Ogni volta che si sceglie di rispettare sé stessi, si costruisce una vita più leggera, autentica e compiuta. Il corpo non è un ostacolo, ma il nostro più grande alleato. Iniziando ad ascoltarlo, si scopre che dentro di sé c’è la chiave per il proprio benessere.

Carmen Naclerio, Esperta di psicosomatica e crescita personale, Founder di ‘Donna in Azione’

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Nel 2015, a quasi sessant’anni dalla sua fondazione, la Federazione delle associazioni femminili Ticino cambiò nome, aggiungendo nel suo storico acronimo Faft un “plus”, con la volontà di allargare la propria base anche ad associazioni che non avevano lo scopo esclusivo di aggregare le donne, ma - pur con altre finalità - comunque sensibili ai temi dell’uguaglianza e della parità di genere. A guidare questo importante cambiamento furono Chiara Simoneschi Cortesi e Renata Raggi, oggi presidenti onorarie di Faftplus.

Ascolto reciproco

Raggiungere gli obiettivi di parità richiede il coinvolgimento attivo anche della componente maschile della società. Per costruire insieme una comunità di eguali tra generi diversi, dal comune valore aggiunto

Due anni dopo quel “plus” diventava inclusivo anche della componente maschile della società, accogliendo nel Comitato alcuni uomini in rappresentanza dei molti che da sempre lottano a fianco delle donne contro le disparità di genere e ogni discriminazione nella politica e nelle organizzazioni, nel mondo del lavoro e dell’economia. Entrarono così Alberto Stival, Giovanni Valerio ed Evaristo Roncelli.

Si voleva ribadire in questo modo che la parità non è una questione solo femminile. Tutta la comunità è chiamata a favorire una maggior presenza delle donne in quei ruoli, soprattutto decisionali, che per pregiudizio o semplicistici luoghi comuni sono prerogativa degli uomini.

Perché a guadagnarci non sono unicamente le donne, ma le aziende e le banche che le inseriscono nei Consigli di amministrazione; le istituzioni politiche che vedono alzarsi il livello di propositività e abbassarsi quello della conflittualità; la società stessa che si sviluppa grazie a una maggior partecipazione di tutta la popolazione.

“Noi vogliamo progettare e agire coinvolgendo diversi punti di vista perché sosteniamo che il miglior modo per raggiungere gli obiettivi è quello di procedere sotto il segno dell’inclusione”, spiegava l’allora presidente Marialuisa Parodi. “Desideriamo includere gli uomini nei processi decisionali del Comitato, nelle strategie e nei progetti perché gli uomini hanno molto da dire su questo argomento e vogliamo ascoltarli”.

Un ascolto reciproco che mi ha fatto sperimentare un modo più costruttivo di confrontarsi, discutere, immaginare e realizzare iniziative. Lungo questo cammino di effettiva parità e reciproca collaborazione gli ostacoli non mancano. A metterli sul percorso sono ancora soprattutto quegli uomini (anche se non mancano donne che per ideologia o per paura alzano muri anziché costruire ponti) che temono di perdere autorevolezza e potere.

Il compito forse più difficile verso la collaborazione sincera tra uomini e donne che insieme costruiscono una comunità di eguali tra generi diversi, è combattere il pregiudizio, figlio dell’ignoranza. Faftplus ha lavorato in questi anni dimostrando con studi, iniziative e progetti che lottare per la dignità delle donne, la parità di trattamento e salario, la conciliabilità lavoro-famiglia, battersi contro le violenze di genere significa creare una cultura del rispetto e del dialogo della quale beneficia tutta la società. Occorre quindi una maggiore sensibilizzazione verso questa cultura: il confronto e il dialogo vanno valorizzati e vissuti perché abbattono l’indifferenza, che è la peggiore malattia di cui soffriamo di questi tempi.

Luigi Maffezzoli, membro di comitato FAFTPlus

Nel mercato del lavoro svizzero, nella fase attuale, si registrano progressi significativi verso l’inclusione femminile, ma persistono ancora sfide rilevanti. Oltre alla crescita dell’occupazione femminile - con un tasso di attività che raggiunge il 62,2% e un aumento significativo tra le donne di età compresa tra i 55 e i 64 anni - permane un gap salariale medio del 12% rispetto agli uomini, che nel lungo periodo può arrivare fino al 43,2%. A ciò si aggiunge un ulteriore ostacolo rappresentato dal lavoro domestico e di cura non retribuito, ancora oggi prevalentemente affidato alle donne. Nonostante queste difficoltà strutturali, emerge con forza un’opportunità strategica rappresentata dal cosiddetto ‘soft power femminile’. Le soft skills costituiscono un insieme di competenze personali, sociali e comunicative indispensabili in contesti lavorativi sempre più dinamici e collaborativi. Vale a dire: empatia, capacità di ascolto, comunicazione efficace, gestione dello stress e flessibilità. Caratteristiche sempre più richieste dalle aziende in ogni settore.

Alcuni ruoli professionali valorizzano in particolare queste competenze, ad esempio quelli nel settore dei servizi, delle risorse umane, della comunicazione e del management. In un contesto in cui le interazioni e i processi lavorativi sono sempre più digitalizzati, le persone capaci di gestire relazioni interpersonali complesse, di mediare e risolvere conflitti rappresentano profili ideali.

Nel nostro lavoro, assistiamo quotidianamente a una crescente richiesta da parte delle imprese proprio di figure che possiedano queste competenze trasversali. Le aziende con cui collaboriamo prediligono profili in grado di integrarsi rapidamente nei team, gestire efficacemente situazioni complesse e guidare processi di cambiamento. Le donne, proprio per la loro attitudine naturale e il loro approccio orientato alla collaborazione, risultano spesso candidate ideali e rappresentano un vero e proprio valore aggiunto per le aziende. La storia stessa di Manpower offre esempi concreti di soft power femminile. La figura di Maria Mumenthaler, che negli anni ’60 introdusse in Svizzera innovazioni fondamentali come assicurazioni per la perdita di guadagno, formazione per i dipendenti e servizi di assistenza all’infanzia, dimostra come il coraggio imprenditoriale e la capacità di visione femminile possano cambiare radicalmente il mercato del lavoro.

Oggi indubbiamente, per le aziende che desiderano prosperare in un’economia sempre più digitale, le soft skills rappresentano una risorsa strategica essenziale. Dare alle donne un ruolo attivo nei processi decisionali e nell’innovazione può fare realmente la differenza, garantendo una crescita sostenibile e inclusiva.

In altre parole, il soft power femminile rappresenta oggi una leva competitiva imprescindibile per il futuro del lavoro.

delle DONNE Il soft power

Le aziende che vogliono prosperare in un’economia sempre più digitale devono impegnarsi attivamente per garantire alle donne non solo un posto al tavolo delle decisioni, ma anche la possibilità di guidare l’innovazione
Fabrizia Marzano, Area Manager
Ticino Manpower

SPETTACOLO Lo del cosmo

Essenziale per poter godere della grande bellezza astronomica, il buio in sala. Merce rara, nella nostra civiltà troppo ‘illuminata’

Con l’arrivo del bel tempo le notti tiepide invitano a uscire per una passeggiata durante la quale si può mettere in pratica il consiglio del grande Stephen Hawking: “Guardate le stelle non i vostri piedi”. Basta alzare gli occhi e il cielo è a vostra disposizione, senza bisogno di prenotazione né di alcun biglietto.

Vi siete mai chiesti come mai i termini cosmologia e cosmetica abbiano la stessa radice? Cosmo significa bellezza, ma per poterne fruire occorre un ingrediente essenziale: il buio. Apparentemente disponibile in quantità illimitata, il buio è invece merce rara nella nostra illuminata civiltà. Per vincere l’oscurità ci dotiamo di un’illuminazione eccessiva e disordinata dimenticando che, per essere utile, la luce deve essere rivolta verso il basso, dove noi viviamo, e non verso l’alto, dove splendono le stelle. Si chiama inquinamento luminoso ed è, al tempo stesso, uno spreco economico, un problema ecologico e un danno estetico perché, illuminando male la notte, disturbiamo le

creature notturne e spegniamo le stelle, perdendo uno degli spettacoli più emozionanti che la natura ci offre. D’estate la Via Lattea ci passa proprio sopra la testa. È uno spettacolo maestoso, ma provate a pensare quante volte siete riusciti a vedere il chiarore lattiginoso che attraversa il cielo. Non è un faro nella notte, ma piuttosto una luce discreta che viene facilmente cancellata dalla troppa luce diffusa. Se proprio non vi ricordate come appare la Via Lattea, non abbiatene a male, non siete affatto soli. Il problema è globale: un terzo della popolazione del pianeta vive in regioni così illuminate da non riuscire a vederla.

Non parliamo solo delle grandi città, l’inquinamento luminoso è subdolamente presente anche in luoghi appartati perché la luce dei centri urbani viene diffusa dalle particelle presenti nell’atmosfera e forma dei vasti aloni.

Ciascuno di noi guardando il cielo ha una percezione soggettiva di quanto buio sia il luogo dove si trova, ma, per avere una visione globale, bisogna andare nello spazio e fotografare la Terra di notte. In condizioni naturali, l’emisfero non illuminato dal Sole dovrebbe essere perfettamente buio, con l’eccezione

ACCANTO, L'ASTROFISICA PATRIZIA CARAVEO

IN QUEST'IMMAGINE, CENTINAIA DI OGGETTI

ASTRONOMICI BRILLANO NELLA VIA LATTEA.

IN ALTO A DESTRA, LE NUBI DI MAGELLANO, DUE

GALASSIE SATELLITI DELLA VIA LATTEA VISIBILI SOLO

DALL'EMISFERO SUD. L'ARCO ARGENTATO, SEMPRE

SOPRA A DESTRA, È CAUSATO DALLA LUCE SOLARE

RIFLESSA DA UNO DEI SATELLITI DI COMUNICAZIONE

IRIDIUM, IN ORBITA INTORNO ALLA TERRA

degli incendi causati dai fulmini nelle foreste e delle aurore boreali. Invece, i dati dei satelliti metereologici ci mostrano che la Terra di notte brilla della luce delle sue città, delle strade, dei parcheggi, dei cartelloni pubblicitari, oltre che degli incendi (in gran parte non naturali) delle foreste e di quelli che bruciano il gas liberato dall’estrazione del petrolio. Le luci tracciano la geografia dei continenti e mappano la densità di popolazione insieme alla ricchezza delle nazioni. I più ricchi illuminano (e sprecano) molto di più degli altri e, man mano che le nazioni aumentano i loro standard di vita, aumentano le loro emissioni luminose. I satelliti misurano la luce dispersa (e sprecata) verso l’alto e i loro dati, corroborati da misure fatte al suolo, possono essere utilizzati per costruire mappe mondiali dell’inquinamento luminoso. L’inquinamento luminoso penalizza chiunque voglia godere della grande bellezza del cosmo e fa capire perché gli astronomi costruiscano i loro strumenti nei posti più remoti del pianeta. Poiché popolazione fa rima con illuminazione bisogna scegliere luoghi disabitati che offrano cieli perfetti, anche grazie alle loro posizioni geografiche. Montagne in zone de-

sertiche, oppure su isole in mezzo all’oceano, sono i luoghi ideali, non facili da raggiungere, ma con un cielo straordinariamente buio, degno dei più grandi telescopi del mondo, che regala panorami celesti indimenticabili. Le stelle sono tantissime e anche gli astronomi professionisti sono rapiti dalla grande bellezza del cosmo.

Ricordo benissimo la sensazione di meraviglia che ho provato tanti anni fa in un osservatorio sulle montagne del Cile quando, un’ora prima dell’alba, per combattere la fatica che cominciava a farsi sentire, sono uscita a prendere una boccata d’aria e ho visto la mia ombra sul terreno. Era prodotta dalla luce di Venere, la stella del mattino che era sorta e illuminava il cielo buio. Un’esperienza che mi fa apprezzare gli sforzi delle comunità che cercano di limitare la luce artificiale per diventare parchi astronomici. Il cielo è un patrimonio dell’umanità bellissimo ma fragile. A disposizione di tutti senza appartenere a nessuno, la grande bellezza celeste ci ricorda che ognuno di noi, con le sue scelte, può fare la differenza perché “Il cielo è di tutti”. Troppa luce cancella le stelle e, con loro, una parte della nostra cultura.

© Photo Gerald Bruneau

ANDANDO in scena

Uno straordinario percorso professionale, di caratura internazionale.

Una creatività che l’ha condotta a lavorare con grandi registi, direttori d’orchestra e personalità dello spettacolo.

La scenografa e set designer Margherita Palli.

Che detesta l’Ottocento e il disordine, adora le città di cemento e ogni tanto ama ritornare nel ‘suo’ Ticino

GIOVANNI

E

SOTTO, 23ª ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE DI TRIENNALE MILANO. UNKNOWN UNKNOWNS. AN INTRODUCTION TO MYSTERIES

IL

Ècosì. «Mi incuriosiscono sempre le persone nuove. Però poi deve esserci feeling», premette Margherita Palli, «e con Sorrentino il feeling è stato immediato», racconta la scenografa e set designer che ha lavorato con il regista alla realizzazione del progetto-installazione La Dolce Attesa per il Salone del Mobile.Milano 2025. «Sorrentino mi ha offerto lo spunto per guardare le cose con occhi diversi; nel metabolizzare l’idea del progetto, di rendere ‘dolce’ qualcosa che nella realtà dolce non è, ho guardato con occhi diversi anche la mia esperienza personale, in un qualche modo, metabolizzandola, appunto». Ogni progetto nuovo «è sempre una sfida, un universo a sé, nel quale le sensibilità di chi si muove e agisce al suo interno, si incontrano, si confrontano, si riconoscono quando c’è affinità. Come con Sorrentino. Una sensibilità affine l’ho riscontrata anche - per citare altri - con il regista Mario Martone; in teatro lavoro spesso con lui per l’opera lirica», prosegue Palli.

NELLA PAGINA ACCANTO, 23ª ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE DI TRIENNALE MILANO. UNKNOWN UNKNOWNS. AN INTRODUCTION TO MYSTERIES

GIOVANNI AGOSTI E JACOPO STOPPA, IL CORRIDOIO ROSSO. VEDUTA DELLA MOSTRA

«Dal Ticino, dove sono nata, mi sono trasferita a Milano giovanissima. Era il 1968. Anni di piombo ma attraversati da un incredibile fermento culturale. Ho incontrato Italo Rota, ‘l’archi’. Ci saremmo sposati nel 1976, con un pranzo al ristorante cinese, alcuni amici e un abito - il mio - Missoni, in lana rosa. Italo Rota ha rappresentato il primo straordinario incontro della mia vita. Altri, importanti professionalmen-

SOTTO, APPUNTI PER LA DOLCE ATTESA, IL PROGETTOINSTALLAZIONE DEL REGISTA PREMIO OSCAR PAOLO

SORRENTINO PER IL SALONE DEL MOBILE.MILANO 2025: UNO SPAZIO ATEMPORALE, PER REALIZZARE IL QUALE PAOLO

SORRENTINO HA SCELTO DI AFFIDARSI A MARGHERITA PALLI

MARGHERITA PALLI, SCENOGRAFA E SET DESIGNER, SET DESIGN ADVISOR ALLA NABA, MILANO
© DSL Studio
© Claudio Moschin

DUE IMMAGINI CHE SI RIFERISCONO ALLA

MOSTRA 'FANTASMAGORIA CALLAS',

TENUTASI AL MUSEO TEATRO ALLA SCALA, MILANO, 2023-2024, CON ALLESTIMENTI

CURATI DA MARGHERITA PALLI

te, culturalmente e umanamente, sono arrivati nel tempo». Come nel caso dell’artista «Alik Cavaliere, professore di scultura e direttore dell’Accademia di Belle Arti di Brera, dove studiavo. Fece sfumare la mia intenzione di diventare scultore, ricordandomi la difficoltà del farne il proprio lavoro, sopratutto da donna». E quando, tempo dopo, l’Arch. Pier Luigi Nicolin, incaricato con altri colleghi di far ripartire la Triennale e preparare le mostre per la XVI Triennale, le ha chiesto di lavorare con lui, prendeva forma un altro passaggio saliente. Ma è con un incarico ricevuto da Luca Ronconi che «inizio a fare la scenografa», prosegue, «e ancora oggi mi chiedo perché mi abbia dato immediatamente la sua fiducia: giovane, donna, alta 1,60, a lavorare nei teatri italiani dove tutto il personale era di sesso maschile e le scenografe donne quasi inesistenti. Forse discrezione ed efficienza derivanti dalle mie origini svizzere lo rassicuravano. Ci aveva vissuto anche lui, in Svizzera. Ad ogni modo, a quegli inizi di collaborazione, sono seguiti decenni di collaborazioni. Se dovessi dire di un lavoro che mi è rimasto particolarmente nel cuore, questo è Lodoïska, realizzato al Teatro alla Scala, nel 1991. Non solo per la regia di Ronconi, ma perché a dirigere l’orchestra era uno dei miei direttori preferiti, Riccardo Muti, con il quale fino ad allora non avevo mai lavorato: insomma mi trovavo con due giganti nel tempio della lirica, di cui uno - Ronconi - non faceva regia tradizionale, mentre Muti era più nel segno della tradizione». In quarant’anni di carriera, ci sono state diverse collaborazioni anche con registe e donne di spettacolo, di arte e di cultura: «Liliana Cavani, nel 1993 curò la regia lirica de La Vestale, con cui quell’anno si inaugurò la stagione lirica del Teatro alla Scala. Con la sua voce potente, mi lasciò un messaggio in segreteria per propormi la collaborazione. Mi fu detto da altri, successivamente, che due cose non piacevano alla regista: le cose che si muovono sul palco e le cose in prospettiva. Cioé: esattamente le due costanti del

mio lavoro... Nonostante queste differenti posizioni di partenza, la collaborazione fu stimolante e proficua». In generale, «mi diverte lavorare per l’opera lirica, ne sono appassionata, la conosco, ovunque mi trovi vado a vederne una. Progettare l’opera lirica comporta varie sfide: se penso alla Scala, sul suo palco quadrato di 20 x 20 metri, è lì che tutto accade e che tutti lavorano: cantanti, coristi, attrezzisti, macchinisti, sarte ... Appassionante! Con Ronconi ho lavorato per tanti spettacoli - e anche tante mostre -, sino alla sua morte. Questo lavoro mi assorbiva quasi tutto il tempo ma ogni tanto riuscivo a fare delle mostre per altri ed ho anche iniziato a insegnare, un’attività a cui sono arrivata un po’ per caso, che mi ha appassionato tanto che, ancora oggi, sono in Naba-Nuova Accademia di Belle Arti di Milano come set design advisor». Tra le numerose mostre alla cui realizzazione ha contribuito: «Una delle mie preferite in assoluto è Il corridoio rosso: una ricostruzione, estremamente realista, di un corridoio di una casa borghese del primo Novecento, dove il mistero si cela dietro ogni porta. L’installazione è stata realizzata in occasione della 23ma Esposizione Internazionale Unknown Unknowns. An Introduction to Muysteries, trasformandosi poi in un film, diretto da Davide Rapp, con Giovanni Agosti, Stefano Boeri, Jacopo Stoppa e me; una produzione di Triennale Milano, realizzata da Twin Studio». E oggi? «Mi piace insegnare e continuare a lavorare a nuovi progetti. Nella mia casa-studio, piena di cose, ma improntata a un ordine nel disordine, con l’imprescindibile presenza dei miei gatti, sviluppo idee e apprezzo le tante opportunità offerte dalla tecnologia di esplorare nuovi territori della creatività». Che cosa trova bello? «Le città di cemento, vivere qui e ora, andare nel deserto. In generale, trovo che le luci facciano bellezza. Si fa bellezza attraverso la luce, che dà forma allo spazio, misura di tutte le cose. Mi piacciono i colori, il giallo acido è forse il mio preferito, uno di quei colori che una volta non esistevano. È ‘bello’ non rimanere arroccati sulle proprie certezze!»

29 APRILE 2025

LUGANO PALAZZO DEI CONGRESSI

ORE 20:00

Un evento unico per unire la grande musica e l’educazione

La celebre pianista Valentina Lisitsa si esibirà a Lugano in un concerto a sostegno della Scuola Rudolf Steiner di Origlio.

Biglietti disponibili a: CHF 50.- | CHF 75.- | CHF 90.Riserva il tuo posto!

Per maggiori informazioni:

100 MIGLIORI PIANISTE AL MONDO

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MILIONI DI RIPRODUZIONI SU YOUTUBE MILIONI DI ASCOLTATORI MENSILI SU SPOTIFY

UNA, nessuna e centomila

Bello è ciò che piace.

Ma cosa piace e perché?

Un itinerario attraverso 10mila anni di arte e cosmesi, per interrogarsi su quanto i canoni estetici rivelino delle società e delle loro trasformazioni

Malgrado le code epiche a dissuadere dall’impresa, ben l’80% dei visitatori che raggiunge il Louvre transita dalla Sala della Gioconda, ovvero quasi 7 milioni di persone all’anno. Tutti attirati da quella enigmatica bellezza che, dopo oltre cinque

secoli, non smette di intrigare. L’esemplificazione dell’impossibilità di definire cosa sia il Bello.

Se oggi, a fronte dei crescenti consensi guadagnati dalle istanze di diversità e inclusione, non stupisce che i canoni estetici vengano messi in discussione, plurale il concetto del Bello lo è da sempre: un fedele specchio dei valori, dei codici gerarchici e sociali delle diverse civiltà ed epoche. Le stesse collezioni del Louvre ne offrono la miglior dimostrazione: con oltre 30mila opere esposte nei suoi nove dipartimenti su un patrimonio di mezzo milione di pezzi che spazia su migliaia di anni, offre una panoramica quanto mai ampia sulle forme del Bello. Fra queste, ne sono state selezionate 108 (rigorosamente esclusa la già inflazionata Monnalisa) grazie all’inedito progetto di partnership culturale con il Gruppo L’Oréal, creando un itinerario di visita trasversale, alla scoperta di gesti, rituali, oggetti e pratiche di bellezza femminili e maschili, nonché dei canoni di bellezza e di quanto l’aspetto rivela delle società e delle loro trasformazioni. Il titolo non poteva che essere plurale: De toutes beautés! Ne abbiamo parlato con la curatrice Delphine Urbach, Direttrice del Dipartimento Arte, Cultura e Patrimonio del Gruppo L’Oréal.

Delphine Urbach, in che modo questo viaggio, che prende le mosse da 10mila anni fa, permette di illuminare la nostra attuale idea del Bello?

Questo itinerario a ritroso nel tempo fa luce su due aspetti del nostro presente: il primo è che alcuni dei nostri gesti, come l’applicazione del maquillage, hanno più di tremila anni, il che avvicina popoli, civiltà ed epoche e ci riporta a nozioni antropologiche, come il modo in cui le persone hanno sempre coltivato la bellezza. Al contempo, le opere in esposizione mostrano che pratiche un tempo comuni, come l’uso di boccette riutilizzabili per conservare l’acqua di Colonia, trovano eco nelle moderne tendenze della bellezza sostenibile ed etica.

Una seconda riflessione che ne emerge è che ormai viviamo in un mondo globalizzato, dove gli scambi sono molto più rapidi, quasi immediati anche tra parti del pianeta a

© 2001 Musée du Louvre, Dist. GrandPalaisRmn / Georges Poncet

PROSPETTIVE

DI

grande distanza, per cui una moltitudine di visioni coesistono le une accanto alle altre, in continua evoluzione, influenzate da media, tecnologia e cambiamenti sociali.

Come si è evoluto il concetto di bellezza e come si è differenziato culturalmente?

Esplorando il Louvre e tutti i suoi dipartimenti, diventa chiaro che ogni periodo e ogni area geografica ha le proprie specificità e la sua evoluzione. Se prendiamo ad esempio l’Europa occidentale, possiamo notare un’alternanza del canone femminile tra corpi esili e forme molto più voluttuose nel corso di centinaia di anni. Allo stesso modo, in Medio Oriente si possono osservare differenze di atteggiamento nei confronti della peluria del corpo tra la tarda antichità e i primi secoli dopo Cristo.

SOPRA, DELPHINE URBACH, DIRETTRICE DEL DIPARTIMENTO ARTE, CULTURA E PATRIMONIO DI GRUPPO L’ORÉAL, CURATRICE DELL’ITINERARIO DE TOUTES BEAUTÉS! IN COLLABORAZIONE CON IL MUSEO DEL LOUVRE IN APERTURA, TRE MILLENNI CI SEPARANO, MA

LA BELLEZZA DELLA PRINCIPESSA EGIZIA D’AMARNA E IL SUO MAQUILLAGE PARLANO AL NOSTRO PRESENTE

PRESENTATO NEL 1800

COME “RITRATTO DI UNA

NEGRA”, POI RIBATTEZZATO

NEL 2000 CON IL SUO PRESUNTO NOME, MADELEINE, QUESTO

DIPINTO DI BENOIST DICE

MOLTO SULL’EVOLUZIONE

DEL CONCETTO DI BELLO E DEI DIRITTI. ACCANTO, LA BELLEZZA

RINASCIMENTALE DELLA

PRINCIPESSA ESTENSE

DI PISANELLO, 1425-50

Quel che è certo è che il corpo delle donne si sta gradualmente avviando verso una forma di emancipazione e, in generale, si delinea una sempre maggiore individualizzazione nel modo in cui si ‘costruisce’ il proprio corpo. Il che dimostra come la bellezza non sia un concetto immutabile e universale basato su regole precise, ma una reinvenzione di sé stessi all’interno di codici sociali più o meno vincolanti. La diversità dei canoni estetici nel corso della storia diventa una fonte di ispirazione per abbracciare una visione più inclusiva e tollerante della bellezza odierna.

C’è differenza nell’evoluzione della rappresentazione artistica del corpo maschile e femminile? Certo, la rappresentazione artistica riflette valori, ideali estetici e norme culturali di ciascun periodo. È interessante notare, ad esempio, che nell’arte occidentale gli standard di bellezza femminile sono notevolmente mutati, mentre quelli maschili sono rimasti sorprendentemente simili, come dimostra la statua dell’Hermès Richelieu, risalente al II secolo d.C. ma vicina all’ideale virile odierno. Al contrario, se guardiamo al corpo femminile nel Rinascimento, passiamo da un modello molto snello, con un cranio allungato, sopracciglia depilate e capelli raccolti, a una donna molto più rotonda e voluttuosa, con un viso pieno e curve generose.

È solo un’impressione che nell’Antichità si prestasse più attenzione all’anima che all’immagine? In realtà, le società antiche, come quella egizia, attribuivano grande importanza all’aspetto fisico e alla cosmesi. Prendiamo l’esempio del Cucchiaio per fard con nuotatrice (1390-1352 a.C.), un oggetto in legno e avorio che era usato come portatrucchi. Gli Egizi impiegavano pigmenti come il kohl nero e verde per gli occhi, sia per motivi estetici che per proteggerli da malattie e sfortuna. Nell’Antica Grecia, è vero che la nozione del Bello era strettamente legata a quella di Buono e Giusto, e che non si trattava solo di avere un corpo perfetto ma anche una moralità irreprensibile; tuttavia parliamo di una civiltà che dava grande valore anche allo sport e alla cura del corpo.

Per quanto riguarda le tracce di rituali e di cosmetici, ce ne sono addirittura alcune che risalgono a oltre centomila anni fa, a dimostrazione dell’essenzialità della bellezza nella vita di uomini e donne. Come storica dell’arte, l’opportunità di gestire questo progetto e immergersi nelle collezioni del Louvre deve essere stata un sogno. Ci sono delle scoperte che l’hanno sorpresa?

In effetti mi sono sentita davvero privilegiata e sono grata alle équipe del Louvre per aver potuto lavorare con loro alla creazione dell’itinerario: un

LA TABLE DE TOILETTE

APPARTENUTA ALLA

DUCHESSA DI BERRY, 1819. OPERA DI UNA DONNA, MARIE-VICTOIRE DÉSARNAUD

CHARPENTIER CHE AVEVA IL SUO NEGOZIO AL PALAIS ROYAL E SI VANTAVA DI ESSERE STATA

LA PRIMA A REALIZZARE MOBILI IN CRISTALLO. L’APERTURA DEL CASSETTO AZIONAVA UN MECCANISMO MUSICALE, OGGI SCOMPARSO

CUCCHIAIO PER FARD CON NUOTATRICE, 1390-1352 CIRCA, EGITTO. QUESTO PREZIOSO OGGETTO IN LEGNO E AVORIO, USATO COME PORTATRUCCHI, CONFERMA L’IMPORTANZA DELLE PRATICHE DI COSMESI NELLA CIVILTÀ

DELL’ANTICO EGITTO. LA RAGAZZA, MENTRE NUOTA, TIENE FIERAMENTE ALTO IL VOLTO TRUCCATO. L’ANATRA FUNGEVA PROBABILMENTE DA COPERCHIO DELLA SCATOLA IN CUI SI MISCHIAVANO I PIGMENTI PER IL KOHL

sogno che mi sembrava irraggiungibile. Le opere sono tutte affascinanti, ma devo dire di essermi innamorata della Principessa di Amarna (13521330 a.C.). Cercavamo un’opera dell’epoca di Akhenaton, quando la statuaria cominciava ad assumere caratteristiche individuali, e ci siamo imbattuti in questa scultura in pietra, alta pochi centimetri, una giovane principessa di tremila anni fa, figlia di Akhenaton e Nefertiti. Indossa una parrucca e i suoi occhi sono truccati con il kohl, in un modo molto simile a quello in cui mi sono sempre truccata io, come facevano anche mia madre e mia nonna. Nonostante i millenni che ci separano, ho avvertito un legame personale.

Da un anno lei è a capo della divisione Arte, Cultura e Patrimonio di L’Oréal. Oltre a questo grande progetto, quali sono i suoi altri principali impegni?

Il Dipartimento riunisce tre diverse attività. La prima è la gestione del comitato di patrocinio del Gruppo, con il quale sosteniamo progetti artistici legati alla bellezza e al corpo. La seconda è la gestione degli archivi storici di L’Oréal e dei suoi marchi. Su questo fronte stiamo lavorando per indicizzare gli elementi che compongono il nostro patrimonio e per promuoverli nel contesto delle attività commerciali e delle mostre culturali. Infine, ho la fortuna di gestire il Visionnaire - Espace François Dalle, la nostra sede storica che è diventata un luogo di apprendimento, ispirazione e innovazione per tutti i nostri dipendenti, in rue Royale 14 a Parigi.

Come si inserisce questo progetto nella strategia di sponsorizzazione culturale di L’Oréal? La missione della strategia di sponsorizzazione culturale di L’Oréal è quella di far luce sulla questione del corpo e della bellezza da una prospettiva

passata, presente e futura. Questa partnership ne è un ottimo esempio, in quanto ci permette di esplorare la storia della bellezza nel più grande museo del mondo con una vocazione universale. Si tratta di una partnership di mediazione culturale piuttosto che di una classica sponsorizzazione, il che la rende una prima assoluta tra un’azienda e il Louvre. L’obiettivo del progetto è raggiungere le giovani generazioni e, come desidera anche Laurence des Cars, Presidente e Direttore del Museo del Louvre, portare i dibattiti sociali all’interno del museo per creare dialoghi che favoriscano una maggiore tolleranza. Per toccare un pubblico più ampio e giovane, abbiamo creato insieme una serie web, De toutes beautés, che ha appena fatto il suo debutto.

Per un marchio di bellezza leader a livello mondiale come il vostro, cosa significa “Bellezza” oggi, nel 2025?

Il Gruppo L’Oréal ha più di 115 anni e la sua ragion d’essere è sempre stata creare una bellezza che faccia progredire la società. Con questo obiettivo, a inizio Novecento ha costruito una flotta di oltre 80 marchi in tutto il mondo, che rappresentano desideri ed esigenze di bellezza molto diversi. Naturalmente la società è diventata molto più globalizzata con l’arrivo della tecnologia digitale e le questioni di inclusione, identità e diversità sono più complesse di quanto non fossero un secolo fa, ma la nostra missione rimane tuttora offrire i migliori prodotti di bellezza a ogni individuo, indipendentemente dal suo tipo di pelle o di capelli, dall’identità di genere, dall’origine culturale o dall’età. Questo si traduce nello sviluppo di formule efficaci e sicure, adatte alle diverse esigenze, ma anche nella promozione di una raffigurazione autentica nelle nostre pubblicità.

© 2002 Musée du Louvre, Dist. GrandPalaisRmn / Christian Décamps

ROSSO DI SETA il bello del beauty

Ogni tonalità racconta una storia, una narrazione intessuta di esperienze personali e ispirazioni artistiche. Un viaggio alla scoperta di quattordici diversi modi di trasmettere la propria unicità. In versione brillante

Giacomo

Se non fosse stato per quella richiesta, estemporanea e semplice, forse oggi Gregoris Pyrpylis insegnerebbe letteratura inglese. Invece...

Make up artist amato dalle celebrities, talentuoso e sensibile, da quattro anni è direttore creativo di Hermès Beauty.

Il destino sembra essersi divertito a cambiarle le carte in tavola ...

Sono nato in Grecia, da genitori farmacisti che mi avrebbero voluto farmacista. All’università invece studiavo letteratura inglese e nel tempo libero coltivavo diversi interessi, tra cui la pittura. E quando una sera, un’amica mi chiese di truccarla, pensai che, se ero in grado di dipingere, probabilmente sarei stato in grado anche di truccare un viso. L’esperimento è riuscito: sono bastati tre prodotti per ottenere un bel risultato. Quando si è guardata allo specchio, il suo sguardo è cambiato, e per me è stata una rivelazione. Osservando la sua reazione, ho capito che avrei potuto esprimere la mia visione della bellezza e al tempo stesso ‘trasformare’ una persona, non per renderla più bella ma facendole scoprire la sua innata bellezza. È questo l’aspetto che mi ha sedotto: il make up non come artificio ma come strumento per accedere e svelare la propria bellezza. Una settimana dopo mi sono iscritto a un corso di make up, intraprendendo un percorso che mi ha portato, nel 2012, a Parigi, sulla scia di un sogno che è poi diventato realtà. Dal 2021 è direttore creativo di Hermès Beauty, il più giovane dei métier della Maison, per la quale ha siglato la collezione di rossetti Rouge Brillant Silky, appena presentata. Qual è la sua interpretazione del make up?

Il make up, come la moda, riflette la società. Nel mio ruolo, non creo tendenze affinché la gente le segua, ma cerco sem-

plicemente di condividere la mia visione e la visione della Maison Hermès, con i suoi valori di azienda storica che esisteva prima di me e che continuerà a esistere anche dopo di me. Lavoriamo con una sinergia che è organica, senza forzature. La Maison ha nel suo Dna

SOPRA, GREGORIS PYRPYLIS, DIRETTORE CREATIVO DI HERMÈS BEAUTY
© Thomas Chéné

SOPRA, IL LANCIO DI ROUGE BRILLANT SILKY

È ACCOMPAGNATO DA UNA PRIMA COLLEZIONE IN EDIZIONE LIMITATA COMPOSTA DA TRE TONALITÀ

CONCEPITE DA GREGORIS PYRPYLIS

COME TRE RAGGI DI LUCE COLORATA

dei valori che sono anche i valori della mia cultura: la famiglia, il rispetto, la storia, le tradizioni. Considero il make up e la cura della pelle come un mezzo e non come un fine. Gli oggetti di bellezza sono strumenti meravigliosi che vanno al di là dell’aspetto esteriore, per favorire il benessere. Attraverso il métier Beauty, Hermès propone un’esperienza in cui ogni personalità può essere espressa, ogni forma di bellezza rivelata. Rouge Brillant Silky è un invito ad abbracciare la propria individualità attraverso il colore, ogni volta che viene passato sulle labbra. Il rossetto è un complice, compagno in ogni momento, si presta a un gesto intuitivo e libero. Le quattordici tonalità luminose si dispongono in una tavolozza policroma rivelatrice di bellezza. Tra queste, cinque sono colori emblematici di Rouge Hermès, creata nel 2020: Rouge Casaque, Rouge H, Rouge Amazone, Rose Boisé e Rose Épicé, tutti reinterpretati nella nuova finitura lucida che connota la collezione di quest’anno. Altri sono una novità assoluta, come Brun d’Ambre, una tonalità ambrata calda, perfetta per una pelle molto chiara, ma splendida anche su una carnagione scura.

La nuova collezione è infatti al contempo un’estensione della linea originale Rouge Hermès del 2020 e un nuovo capitolo della sua narrazione creativa.

Rouge Brillant Silky si accompagna a una prima collezione in edizione limitata composta da tre tinte, che ho immaginato come tre raggi di luce colorata.

A proposito di immaginazione, qual è stata la sua ispirazione?

Per il nuovo capitolo Rouge Brillant Silky l’ispirazione è venuta dalla mia infanzia. Volevo rendere omaggio al mio primo incontro con la seta, quella dei foulard che indossava mia madre. Volevo trascriverne la morbidezza, trasparenza, leggerezza. Ho riportato nel rossetto questo aspetto sensoriale della seta. Il rossetto si usa perché porta comfort, sfiorando la pelle. La texture, avvolgente e carezzevole, è una specie di safety zone. Il potere di un rossetto è che in un tratto veloce può segnare la personalità di chi lo porta. Racconta una storia immediata. Un buon make up è quello che riflette la verità di chi lo indossa. E quando ciò accade, si può dire che una donna è bella. Sublime. Qual è la sua visione della bellezza?

Da bambino leggevo spesso storie della mitologia greca. Mi affascinavano le vicende delle divinità dell’Olimpo e mi colpiva che in tutte quelle storie l’idea della bellezza era illustrata non come qualcosa di fisico ma come un’ideale, una virtù, che si rifletteva sulla bellezza esteriore. Crescendo, ho letto i filosofi greci, Platone, Aristotele, … per indagare quale fosse la loro idea di bello. E al tempo stesso dipingevo, esploravo l’opera di alcuni pittori, scultori e architetti greci, mi piaceva

SOPRA, A SINISTRA, ROSE ÉPICÉ, UNO DEI COLORI

EMBLEMATICI DELLA COLLEZIONE ROUGE HERMÈS,

RIVISITATO NELLA COLLEZIONE ROUGE BRILLANT SILKY

IN CHIAVE GLOSSY. A DESTRA, CORAL JAIPUR, UNA

NOVITÀ ASSOLUTA. SOTTO, UN ACCESSORIO CHE

BEN SI ACCOMPAGNA AI NUOVI ROSSETTI, DI CUI

ASSECONDA LA FACILITÀ D'USO, RINNOVANDO

QUEL BINOMIO DI STILE E FUNZIONALITÀ CHE FA

PARTE DEL DNA DI HERMÈS

la poesia: tutte queste influenze hanno caratterizzato la mia formazione e sono presenti ancora oggi nel mio lavoro. Per esempio, nell’approccio al colore ci sono echi del pittore greco Alekos Fassianos che, con un tocco naïf, disegnava le divinità, la libertà, il sole: oggi ritrovo questo nelle mie creazioni, nel mio modo di

pensare. Quindi, la domanda su quale sia la mia visione della bellezza, è una domanda piena di risposte. Per me c’è bellezza dove c’è una totale armonia tra ciò che si è e il modo in cui si appare. E perché ciò si verifichi, occorre avere fiducia in sé stessi e, al tempo stesso, essere onesti con sé stessi, allineati, aspirando a una condizione di benessere. A volte tuttavia ho l’impressione che il concetto di armonia non sia così apprezzato, anzi, che lo si consideri superato in quest’epoca che privilegia lo ‘shocking value’. Forse, però, abbiamo tutti bisogno di qualcosa che ci riporti all’essenziale. Sono convinto che si ritornerà all’idea di armonia e di coerenza, di rispetto di valori autentici, esattamente come fa Hermès che è coerente con i suoi valori fin dall’inizio della sua lunga storia.

In questo anelito e in questa coerenza è racchiuso un piccolo segreto di felicità. Per poter brillare.

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FONTE longevità

Affinché gli anni di vita in più che ci elargisce la medicina non si trasformino in sopravvivenza, occorre trascorrerli in salute.

Fondamentale un approccio preventivo e proattivo, che tenga conto delle specificità di genere.

E anche la felicità e le relazioni sociali hanno la loro parte

In inglese lo si esprime con due termini univoci: healthspan, ovvero il tempo che le persone trascorrono in buona salute fisica e mentale, contro lifespan, a indicare semplicemente la durata della vita. La differenza è cruciale ed è quella che dà senso alla longevità. Altrimenti detto: a poco serve vivere di più, se il bonus di anni, o addirittura decenni, si trasforma in una via crucis fra patologie croniche, malattie acute e disabilità. L’alleanza fondamentale diventa allora quella fra medicina della longevità e medicina preventiva: perché le premesse per un buon invecchiamento si pongono da giovani.

Per approfondire l’argomento, sottraendosi ai sensazionalismi cui si presta, Ticino Management Donna si è rivolto a una vera autorità in materia, la Dr.ssa Anna Erat, che è stata il primo primario donna di Hirslanden Klinik ed è ex-direttrice della strategia per la medicina preventiva e della longevità del Gruppo Hirslanden; mentre di recente è diventata membro indipendente del CdA della Women’s Brain Foundation.

Dottoressa Erat, come ha iniziato a interessarsi di longevità e prevenzione quando non era ancora un trend? Essendo cresciuta in Finlandia, in mezzo alla natura e in paese in cui lo sport è parte integrante della vita quotidiana, fin da piccola ho compreso il loro potere curativo. Più tardi, durante l’adolescenza, come sciatrice alpina professionista, ho imparato come allenare e rigenerare corpo e mente per raggiungere prestazioni di alto livello ed evitare infortuni. Dopo essermi laureata in Medicina, mi è sembrato evidente orientarmi verso la medicina preventiva. E altrettanto lo è stato il passaggio alla medicina della longevità, una volta terminate le mie specializzazioni cliniche in medicina interna, medicina dello sport e prevenzione. In particolare, mi ha ispirata l’esperienza durante il post-doc alla Harvard Medical School, dove con il mio gruppo di ricerca ho avuto la fortuna di studiare gli effetti dell’infiammazione cronica sulle malattie cardiovascolari e sull’invecchiamento. Oggi mi occupo principalmente di medicina preventiva e di medicina della longevità, due discipline che si sovrappongono fortemente e, a loro volta, fortemente legate alla medicina interna, all’attività fisica e allo sport.

IN MATERIA DI LONGEVITÀ E PREVENZIONE, TEMI DI CUI È STATA RESPONSABILE PER LA STRATEGIA DI HIRSLANDEN GROUP. INOLTRE È DA POCO STATA ELETTA MEMBRO INDIPENDENTE DEL CDA DELLA WOMEN’S BRAIN FOUNDATION

SOPRA, LA DOTTORESSA ANNA ERAT, UN'AUTORITÀ
© Pexels

La valle della giovinezza di un Paese per vecchi

Con il suo livello di ricerca medica, innovazione e benessere, la Svizzera non poteva che far corsa in testa fra le nazioni con la maggior aspettativa di vita, con 83 anni. Il notevole incremento nell’ultimo secolo (prima non superava i 50 anni) è dovuto in gran parte alla diminuzione della mortalità infantile e all'opportunità per un maggior numero di persone di condurre una vita più sana, grazie a iniziative sanitarie pubbliche e preventive di importanza cruciale, come l'introduzione del latte pastorizzato, di sistemi istituzionalizzati di raccolta dei rifiuti, dell'educazione sanitaria e delle vaccinazioni.

Capacità di investimento e un R&D alimentato dalle big di Pharma, Biotech e dal dinamismo degli ecosistemi di innovazione attorno ai Politecnici federali, profilano oggi la Svizzera quale hub ideale per una Longevity Valley, un mercato che si preannuncia fra quelli in maggior crescita. In questo paese per vecchi, il Ticino si contraddistingue come il Cantone con la maggior aspettativa di vita ed è terzo a livello europeo: 86,7 anni per le donne, 82, 3 anni per l’altra metà del cielo, nonché quasi il doppio della media di ultracentenari, 42 ogni centomila abitanti. L’anno scorso, in occasione della prima edizione del Lugano Longevity Summit, che ha portato all’Usi alcuni dei massimi esperti internazionali per discutere di longevità, Lugano è stata la prima città della Confederazione ad aderire alla piattaforma internazionale City of Longevity, volta a favorire lo scambio di idee, policies e soluzioni innovative per affrontare su scala urbana le sfide dell’invecchiamento della popolazione.

Fra le due intercorrono però delle differenze. Sì, la medicina della longevità punta a preservare e migliorare la qualità della vita, mirando ai meccanismi biologici dell’invecchiamento e a ritardare l’insorgenza e la progressione di patologie croniche e legate all’età. Poiché l’invecchiamento è riconosciuto come principale fattore di rischio per la maggior parte delle malattie croniche - tra cui ipertensione, malattie cardiache, diabete, cancro e demenza - la medicina preventiva e quella della longevità sono intrinsecamente collegate. Come la mia collega Evelyne Bischof, la

medicina della longevità può essere descritta come una medicina preventiva avanzata e personalizzata, potenziata da biomarcatori profondi dell’invecchiamento, strumenti digitali e intelligenza artificiale.

Se riuscissimo a prevenire anche solo una parte delle patologie legate all’età, si potrebbero inoltre ottenere enormi risparmi a livello macroeconomico. In altre parole, la medicina della longevità è fondamentale anche per ridurre l’esplosione dei costi sanitari.

Età biologica e anagrafica non progrediscono necessariamente di pari passo. Quali sono i segni più significativi dell’invecchiamento da monitorare?

Durante il mio periodo di ricerca alla Harvard Medical School, mi sono concentrata sull’infiammazione cronica e su come ridurla in vari contesti, compresi i processi legati all’età. Sulla base delle mie osservazioni, sono diventata una grande sostenitrice del fatto che l’infiammazione cronica di basso grado sia uno dei fattori chiave dell’invecchiamento e della morbilità. Ma sarebbe fuorviante fermarsi a questo aspetto. Tutti e dodici i segni distintivi dell’invecchiamento sono importanti; in particolare l’instabilità del Dna, la funzione mitocondriale, l’esaurimento delle cellule staminali e le alterazioni epigenetiche sono di grande interesse e verranno studiati e monitorati attentamente nei prossimi anni. E con i nuovi agonisti del recettore Glp-1 - i farmaci nati come antidiabetici che adesso vengono usati anche per curare l’obesitàl’importanza del rilevamento dei nutrienti è diventata evidente per tutti. Il nostro destino non è già scritto nei nostri geni? Non siamo schiavi dei nostri geni. Sebbene si nasca con un certo corredo genetico, il modo in cui questi geni vengono attivati ed espressi può essere regolato epigeneticamente dall’ambiente e dallo stile di vita. Benché alcuni tumori e fattori di rischio cardiovascolare siano fortemente influenzati dai nostri geni o da loro mutazioni, in generale gli studi sui gemelli hanno dimostrato che l’ereditarietà della longevità è pari a circa il 20-30%, mentre stile di vita e altri fattori non ereditari incidono al 70-80%. Credo dunque fermamente nell’efficacia della prevenzione, piuttosto che aspettare che la malattia prenda il sopravvento prima di reagire. Cambiare mentalità e adottare un approccio più proattivo, predittivo e basato sulla precisione è davvero possibile. Questo comprende un discorso specifico per genere.

In che modo la diffusione di un approccio di medicina di genere può aiutare anche in termini di longevità?

Il divario tra la durata della vita e la durata della salute è particolarmente evidente nelle donne. La popolazione mondiale sta invecchiando e se è vero che le

donne hanno una speranza di vita maggiore, vivono però anche in cattive condizioni di salute più a lungo degli uomini. Purtroppo, in passato la maggior parte degli studi clinici è stata condotta su maschi caucasici. Di conseguenza, molti strumenti decisionali clinici e farmaci sono stati progettati per gli uomini e ignorano completamente le differenze di genere.

Sono entusiasta di essere stata recentemente eletta nel Consiglio di amministrazione della Women’s Brain Foundation, che si sta impegnando a fondo per cambiare lo status quo. In un’epoca di medicina personalizzata e di precisione, non possiamo permettere che le donne vengano ignorate negli studi e nella pratica clinica.

Che dire di un’altra tendenza di successo come il biohacking, una sorta di riprogrammazione di abitudini e stili di vita per sbloccare tutto il potenziale del corpo e della mente?

La salute non consiste solo nello screening dei disturbi e delle disabilità da parte dei medici e nel trattamento delle malattie. Il sistema sanitario dovrebbe promuovere l’alfabetizzazione sanitaria e dare la possibilità a gruppi e individui di farsi carico della propria salute, della propria resilienza e del proprio benessere. Quindi il biohacking, se fatto in maniera professionale, è benvenuto.

Anche la felicità ha un impatto sul processo di invecchiamento o è un’idea naïve senza basi scientifiche? Sappiamo che la solitudine e l’isolamento sociale sono associati a un rischio maggiore di malattie, disabilità e mortalità. Esiste un numero crescente di prove che dimostrano che molti altri fattori legati allo stile di vita, come il sonno, la salute muscolare e cardiovascolare, la riduzione dello stress, la conduzione di una vita piena di obiettivi, la felicità e le connessioni sociali, possono essere fondamentali per la nostra durata di vita e la nostra salute.

Per concludere, potrebbe dare qualche semplice consiglio per invecchiare bene a chi non può permettersi un personal coach, lussuose cliniche o continue analisi? Certo! Concentratevi sui piccoli passi quotidiani e su ciò che vi piace fare. Scegliete regimi di esercizio fisico che siano allettanti o almeno non scoraggianti. Soprattutto, però, concentratevi sulle relazioni di qualità. Il Nurse’s Health Study - probabilmente il più lungo studio longitudinale sulla salute al mondo, iniziato nel 1976 - dimostra chiaramente che i legami sociali significativi sono fondamentali per un invecchiamento sano. Parallelamente, l’allenamento di forza (almeno due volte alla settimana) e l’allenamento cardio sono utili anche per combattere l’infiammazione cronica di basso grado.

© Freepik

BENESSERE & BELLEZZA DI SIMONA MANZIONE

a ben PENSARCI IL CERVELLO,

Le differenze di genere impattano la salute mentale. E la salute delle donne nel suo insieme.

Per ragioni biologiche. E sociali.
A che punto sono ricerca scientifica e pratica clinica? C’è da fare…

Gli uomini provengono da Marte, le donne da Venere. È il classico stereotipo per cui ancestrali differenze opporrebbero l’universo maschile a quello femminile. Lo spirito guerriero o la capacità di prendere decisioni razionali attribuiti a lui e, d’altra parte, quello spirito ’venusiano’ di lei, leader incontrastata nella sfera di sentimenti ed emotività.

Il cervello degli uni e delle altre, che in realtà nella struttura è più simile di quanto si creda, tuttavia risponde in maniera molto diversa agli stimoli esterni. Con conseguenze notevoli. Ne abbiamo parlato con la neuroscienziata Antonella Santuccione Chadha, una figura di spicco nella ricerca sulle differenze di genere nelle malattie cerebrali, in particolare l’Alzheimer. È cofondatrice e Ceo del Women’s Brain Project, un’organizzazione no-profit che studia l’influenza del sesso e del genere sulla salute del cervello, evidenziando come queste differenze siano spesso trascurate nella ricerca scientifica e nella pratica clinica. L’organizzazione, nata nel 2017, si impegna per sensibilizzare la società, a livello mondiale, sulla necessità di un’adeguata medicina di genere.

Le differenze tra uomo e donna vanno dunque ben al di là degli arcinoti stereotipi…

Uomini e donne sono profondamente differenti nella risposta ormonale. Ne scaturisce una maggiore o minore suscettibilità ad alcune malattie. Malattie neurodegenerative, depressione e disturbo post-traumatico da stress sono molto più frequenti nelle donne. Per esempio, il constatato aumento del morbo di Parkinson nelle donne in età fertile comincia a essere messo in relazione con una maggiore sensibilità del cervello femminile all’inquinamento e ai cambiamenti climatici.

Se prendiamo in considerazione l’Alzheimer, le donne rappresentano circa due terzi dei casi a livello globale. Entra in gioco una componente biologica, ma anche una componente sociale, capace di impattare la salute. Tra i diversi fattori scatenanti, si può annoverare il sovraccarico di attività di accudimento: a livello globale, il ruolo di prestatore di cure è per l’80-90 percento svolto dalle donne. Loro che, studiano e si formano, ma si ritrovano spesso a uscire dal mondo del lavoro per occuparsi di

figli piccoli o genitori anziani, rinunciando a sonno e/o ad attività fisica. Oggi, l’attività fisica svolta dalle donne è sei volte inferiore a quella praticata dagli uomini. Le donne vivono di più, ma peggio. In questo quadro, come si inserisce e agisce la medicina di genere?

È incredibile, ma solo l’1% delle ricerche mediche è dedicato a condizioni specifiche di genere. La ricerca sulle differenze di genere nelle neuroscienze è ancora agli albori. Il corpo femminile per molto tempo è stato visto come variante del corpo maschile. Negli studi clinici i soggetti arruolati sono stati prevalentemente di sesso maschile. In quelli preclinici in vitro (su linee cellulari o cellule isolate) non si riportava il sesso di origine dell’organismo da cui derivano le cellule. Per quelli in vivo (su animali da esperimento) sono stati usati quasi sempre animali di sesso maschile. Una disparità preoccupante, poiché le donne sono spesso sottodiagnosticate o diagnosticate in ritardo, con conseguenze significative sulla progressione della malattia e sull’efficacia dei trattamenti. Solo negli ultimi anni c’è stata una presa di coscienza globale e, finalmente, si sta iniziando a parlare di medicina di genere. Più procede la ricerca e più ci accorgiamo che le differenze non sono tanto a livello strutturale quanto a livello di alcuni meccanismi molecolari. Differenze che non devono essere utilizzate per continuare nella falsa narrazione sull’esistenza di attività per soli uomini e per sole donne, bensì devono essere indagate per migliorare le cure. Solo un approccio di genere nella pratica clinica ci permetterà di promuovere l’appropriatezza e la personalizzazione delle cure.

Quanto è utile, in questo ambito, l’intelligenza artificiale?

Offre nuove opportunità per colmare il divario di genere nella medicina. Può aiutare a identificare segnali precoci o specifici di alcune patologie che differiscono tra i sessi, migliorando la diagnosi e il trattamento. Tuttavia, è essenziale che i modelli di apprendimento dell’Ia siano addestrati su dati diversificati per evitare il reiterarsi di pregiudizi esistenti.

Lei è cofondatrice e Ceo di Women’s Brain Foundation (Wbf): che cosa fate esattamente? È un’organizzazione globale senza scopo di lucro che si occupa di promuovere la salute del cervello e di affrontare le differenze di sesso e genere nelle malattie neurologiche, molte delle quali sono più evidenti nelle donne che negli uomini. Promuoviamo una migliore comprensione della salute cerebrale delle donne in generale. Attraverso la collaborazione con gruppi e associati di tutto il mondo che la pensano allo stesso modo, ci sforziamo di colmare il divario di genere nella salute, a livello globale.

Una delle iniziative più recenti, è volta alla creazione di un Venture Studio per sostenere le start up che innovano nel campo della medicina di precisione e della salute del cervello. Sfruttando ricerche innovative, approfondimenti clinici e partnership strategiche. Il nostro venture studio contribuirà a sbloccare innovazioni trasformative che affrontano le disparità sanitarie specifiche di sesso e genere. Tra gli altri studi, Wbf ne ha pubblicato uno, in collaborazione con la London School of Economics, che evidenzia come l’aumento dell’attività fisica attraverso piste ciclabili fuori strada possa ridurre il rischio di demenza nel corso della vita e, significativamente, i costi sanitari e assistenziali legati alla demenza, in particolare per le donne. La demenza è una delle sfide più urgenti per la salute globale, con quasi il 50% dei casi legati a fattori di rischio modificabili come l’inattività fisica, l’obesità e le malattie cardiovascolari. Gli studi hanno dimostrato che l’esercizio fisico regolare favorisce la salute del cervello migliorando il flusso sanguigno, riducendo l’infiammazione e aumentando la neuroplasticità, tutti fattori che contribuiscono a ridurre il rischio di demenza. Insomma, muovere il corpo per prendersi cura del cervello.

Una medicina che riconosce e valorizza le differenze di genere è fondamentale per garantire diagnosi più accurate e trattamenti più efficaci per tutti. La ricerca che portiamo avanti evidenzia l’urgenza di integrare la prospettiva di genere nella pratica clinica e nella ricerca scientifica, allo scopo di migliorare la salute e il benessere delle donne in tutto il mondo.

IN FOTO, ANTONELLA SANTUCCIONE CHADHA, NEUROSCIENZIATA, MEDICO, PATOLOGO CLINICO. COFONDATRICE E CEO DEL WOMEN’S BRAIN PROJECT

In Svizzera, ogni anno circa tremila coppie iniziano un processo di procreazione medicalmente assistita. Qual è lo stato dell’arte nel campo della medicina riproduttiva? Le novità alla luce della recente decisione del Consiglio federale come risposta alle esigenze di questi tempi

MATERNITÀ, DAL SOGNO ALLA REALTÀ

Nella storia della medicina della procreazione, la svolta è avvenuta nel 1978, in Gran Bretagna, con la nascita di Louise Brown, la prima bambina al mondo concepita in provetta. Da allora questa branca della medicina si è sviluppata rapidamente aprendo molte nuove possibilità. E in Svizzera, oggi, oltre tremila coppie all’anno vi ricorrono, rivolgendosi in molti casi a uno dei 27 Centri specializzati, diffusi sull’intero territorio.

«Circa il 15% delle coppie in età fertile si trova confrontato con problemi di infertilità», esordisce la dottoressa Marina Bellavia, ginecologa e direttore sanitario di Next Fertility ProCrea, clinica all’avanguardia nella diagnosi e nel trattamento dell’infertilità, con sede a Lugano, «anche come conseguenza di uno stile di vita caratterizzato spesso da stress, alimentazione sbilanciata, assenza di attività fisica». Il consiglio, per la donna e per l’uomo, è di fare controlli preventivi al fine di ottenere una diagnosi precoce e completa: «Ci sono problematiche, anche maschili che, se individuate e trattate per tempo, non

comprometterebbero la fertilità. L’altro aspetto fondamentale è l’anagrafe, nel senso che le chance di riuscita di una tecnica di riproduzione assistita dipendono molto dall’età della donna», prosegue la dottoressa. Quanto alle tecniche praticate, in Svizzera, la medicina della procreazione è disciplinata dall’articolo 119 della Costituzione e dall’apposita legge che prevede chi può farvi ricorso e quali sono i metodi consentiti. «Ad oggi rientrano tra i metodi previsti l’inseminazione, che consiste nel trasferimento dello sperma nell’utero, e la fecondazione in vitro, che prevede la fecondazione degli ovociti al di fuori del corpo della donna e il loro successivo impianto nell’utero», spiega Marina Bellavia, che aggiunge: «La prima tecnica viene utilizzata per lo più quando si tratta di giovani donne, le quali proprio per l’età, hanno una maggiore possibilità di riuscita». È un trattamento coperto dall’assicurazione sanitaria di base (LaMal), a differenza della fecondazione in vitro, che non ha invece copertura da parte delle Casse malati. «Alla fecondazione in vitro si ricorre soprattutto nei casi resi più sfidanti da fattori come l’infertilità maschile o una particolare condizione della donna, per esempio per gli effetti di precedenti malattie o interventi», prosegue la specialista. In seguito all’adozione del disegno di legge “Matrimonio per tutti”, da luglio 2022 le coppie di donne sposate possono ora ricorrere alla donazione di sperma. Prerogativa prima riservata solo alle coppie eterosessuali.

A gennaio 2025, il Consiglio federale ha deciso di procedere a una revisione completa della Legge sulla medicina della procreazione per adeguarla alla realtà odierna. Il tema centrale della revisione è l’approvazione della donazione di ovociti: il Consiglio federale ne ha stabilito gli elementi chiave e propone inoltre di consentire la donazione di ovociti e di sperma anche nel caso di coppie non coniugate. «In questo modo, viene estesa alle coppie che non possono avere figli per via della sterilità della donna la possibilità di avvalersi di una donazione», sottolinea la ginecologa.

Secondo il Consiglio federale, la vigente limitazione alle sole coppie coniugate non è più attuale e non rispecchia la realtà sociale. Oltre all’autorizzazione della donazione di ovociti e all’apertura della donazione di sperma e di ovociti alle coppie non coniugate, la revisione della legge attuerà ulteriori modifiche, come l’abolizione o l’allentamento della regola secondo cui, nell’ambito di un ciclo di trattamento di fecondazione in vitro, possano essere prodotti al massimo 12 embrioni. Inoltre va anche verificato se lo sperma, gli ovociti e gli embrioni congelati potranno essere conservati più a lungo di quanto sia consentito attualmente (10 anni).

«Sempre più richiesta dalle coppie è la tecnica di fecondazione assistita mediante la quale si procede con la crioconservazione degli ovociti in laboratorio, congelati in azoto liquido, al fine di preservare la fertilità della donna e consentirle di posticipare la gravidanza per ragioni mediche o personali. Per procedere alla crioconservazione: «Si fa un bilancio di salute (la prevenzione

ha senso se non aumenta il rischio di salute per la paziente), si procede poi a una stimolazione ormonale di circa due settimane che consente di far sviluppare i follicoli e, in base alla fascia di età a cui appartiene la donna, si hanno differenti chance di riuscita.

Nelle under 35, con 5 ovociti si ha il 15% di possibilità di avere un bambino e con 3 ovociti in più la percentuale sale al 40%; per le over 35, le chance si riducono della metà», sintetizza la dottoressa. «Alla sensibilizzazione delle persone sull’importanza di preservare la fertilità, deve aggiungersi la consapevolezza per tutti che a volte un ciclo di stimolazione non è sufficiente, e potrebbero occorrerne due o tre per aumentare le possibilità di avere un bambino», evidenzia la ginecologa, che si sofferma infine sulla possibilità di analisi preimpianto: «Un numero crescente di coppie si sottopone ai test di screening per verificare se sono portatori di malattie genetiche; si tratta di un semplice prelievo di sangue. Un controllo volto a prevenire la nascita di un bambino affetto da malattia genetica grave, tanto da comprometterne salute e aspettativa di vita», spiega Marina Bellavia che, in conclusione, pone l’accento sulla necessità che per ogni coppia vi sia un approccio personalizzato. Ciò che caratterizza ProCrea, da venticinque anni.

SOPRA, LA DOTTORESSA MARINA BELLAVIA, DIRETTORE SANITARIO DI NEXT FERTILITY PROCREA, LUGANO

trionfodiSAPORI Q

uattro stelle e 38 punti GaultMillau, se si sommano i riconoscimenti ottenuti dal suo La Brezza nelle due location, presso l’Hotel Eden Ron di Ascona e il Tschuggen Grand Hotel di Arosa, dove trascorre, rispettivamente, la stagione estiva e quella invernale, con la sua inseparabile piccola brigata, elemento fondamentale - come lui stesso non manca di sottolineare con il suo motto “one band one sound” - del suo successo. Che è sempre più conclamato: solo 32 anni e una carriera travolgente per Marco Campanella. Se nel 2019 veniva eletto “Scoperta dell’anno in Ticino” dalla guida GaultMillau, non ha tradito le aspettative e nel 2025 si supera meritandosi il titolo di “Chef dell’anno” in Svizzera.

In cucina ha cominciato a muoversi sin da bambino, nel ristorante gestito dai genitori, di origini pugliesi, sul lago della tedesca Costanza. Se all’inizio la passione per il calcio si contendeva le sue attenzioni, i fornelli hanno avuto la meglio. Nelle brigate di Martin Dalsass, Rolf Fliegauf e Andreas Caminada ha dimostrato di apprendere in fretta. «Anche se non bisogna mai accelerare le cose: pazienza e tempo sono fondamentali. Non si può raggiungere tutto subito. È essenziale avere chiari obiettivi e, anche quando sembra di non fare progressi, non bisogna smarrire la motivazione», sottolinea lo chef.

Il Ticino, dove era arrivato per il praticantato della scuola alberghiera, dal 2019 è diventata casa, e anche nei mesi freddi, quando lavora nei Grigioni, approfitta della pausa settimanale per rientrare. Non solo qui c’è la sua famiglia - la moglie Sara e la piccola Enola - ma nei prodotti del Lago Maggiore e della Vallemaggia ha trovato ingredienti perfetti per le sue creazioni: «Le mie radici gastronomiche sono un connubio tra, da una parte, la precisione artigianale e la tecnica della cucina tedesca; dall’altra, la passione e l’attenzione al prodotto della cucina italiana. Influenze che in Svizzera si fondono in modo affascinante, dando vita a una cucina che reinterpreta le ricette classiche e lascia spazio all’innovazione, con un tocco di influenza alpina e internazionale», racconta lo chef.

Il suo è un radicamento al territorio che però si nutre di una forte curiosità verso nuovi sapori e, in particolare, le tecniche culinarie di altre culture. Ogni anno Marco mette in scaletta veri e propri viaggi di studio: «Scoprire nuove culture e intrecciarle alla mia è una delle cose che più mi affascina. A volte gli elementi si combinano alla perfezione, altre volte creano tensioni - ma proprio da queste differenze nascono spesso

Che si cimenti con la cucina tradizionale o vegana, il risultato è sempre stellato. Un’esplosione di gusto, dove ogni elemento è esaltato nelle sue qualità. Incoronato “Chef dell’anno 2025” da GaultMillau, Marco Campanella racconta le sue due stagioni gastronomiche, fra Ascona e Arosa

le idee più originali. In particolare Giappone, Corea del Nord, Tailandia e Messico hanno avuto una forte influenza sui miei piatti. Amo la varietà di sapori che ho scoperto in questi luoghi, ma il mio obiettivo è sempre l’equilibrio fra tradizione e creatività. A volte, queste due dimensioni sembrano entrare in contrasto, ma proprio questo rende tutto più interessante. Un perfetto esempio è la nostra reinterpretazione di un

SOPRA, LO CHEF MARCO CAMPANELLA MENTRE IMPIATTA UNA DELLE SUE CREAZIONI. DAL PIÙ PICCOLO DETTAGLIO ALLA COMPOSIZIONE NEL SUO INSIEME, GUSTO ED ESTETICA, OGNI ELEMENTO DEVE ESSERE PERFETTAMENTE BILANCIATO

Foto copyright @DigitaleMassarbeit

grande classico della cucina giapponese, l’anguilla: a La Brezza abbiamo applicato l’arte della sua preparazione al locale pesce gatto, accompagnandolo con cavolfiore», illustra Marco Campanella. Una delle portate del suo menu “Ispirazione”. Ma lo chef rivela la sua abilità anche con le verdure. Nel gennaio 2024, GaultMillau ha nominato La Brezza di Arosa ristorante con il “menu vegano di 7 portate più sofisticato della Svizzera”. Un punto di orgoglio per il gruppo alberghiero The Tschuggen Collection (che oltre ai due hotel citati include anche il Valsana, sempre ad Arosa, e il Carlton a St. Moritz), che ha sviluppato un vero e proprio programma olistico, “Moving Mountains”, per aiutare i suoi ospiti a ritrovare la vitalità e riconnettersi con la natura.

Creare un menu vegano a livello di ristorazione stellata richiede competenza tecnica e creatività. «La sfida è sfruttare al meglio la straordinaria diversità offerta dagli ingredienti vegetali per creare piatti gustosi e bilanciati, reinterpretando la tradizione senza perdere autenticità e gusto. Spezie, erbe e fermentati sono essenziali per amplificare le note aromatiche. Altrettanto lo sono tecniche di lavorazione precise, come la cottura sotto vuoto, la fermentazione e l’uso di alternative vegetali ai prodotti animali. Non si può semplicemente arrostire a 200°C come si farebbe con la carne. Abbiamo scoperto che una cottura lenta in forno esalta la dolcezza naturale delle verdure. Nel nostro menu “Moving Mountains” cerchiamo di mantenere un perfetto equilibrio tra acidità, dolcezza e piccantezza», spiega Marco Campanella.

Una costante rimane l’estetica. «Ogni piatto deve sembrare un’opera d’arte, ma senza compromessi sul gusto. Ogni elemento, dal più piccolo punto di purè fino alla carne o alle verdure, deve essere perfettamente bilanciato», afferma lo chef.

Foto: @DigitaleMassarbeit

Che sia ad Arosa - dove la stagione invernale si è appena conclusa - o ad Ascona, dove inaugurerà quella estiva il 2 maggio, la filosofia che lo ispira rimane la stessa. A cambiare sono solo gli ingredienti, dettati dalla stagionalità: in inverno predominano quelli più intensi e terrosi come topinambur, scorzonera, cavolo rosso e zucca; d’estate si dispiega una grande varietà di verdure fresche come pomodori, cetrioli, asparagi e piselli. «Lavoriamo sempre con gli stessi produttori, perché conoscono esattamente i nostri standard. La qualità è fondamentale: voglio che il cliente possa riconoscere sul piatto una carota, un cetriolo o un pisello, ma con un’esplosione di sapori intensificata tre volte rispetto al naturale. Negli ultimi anni, la mia cucina si è evoluta molto. Prima utilizzavamo solo aceto o lime, ora sperimentiamo con diversi agrumi, vari tipi di aceti, ingredienti fermentati e peperoncini di varie intensità. In Giappone ho scoperto le diverse varietà di salsa di soia: nel nord sono più intense e robuste, mentre scendendo verso sud diventano sempre più dolci. Questo mi ha permesso di integrare nel mio ristorante un’ampia gamma di soia e miso, abbinandoli ai diversi tipi di verdure», osserva lo chef. Il segreto del suo equilibrio, risiede nella sua famiglia. «Ho una moglie meravigliosa, Sara, che mi ha sempre sostenuto al 100%. Senza lei, non sarei il cuoco e l’uomo di oggi. Mi ha insegnato a non dubitare mai dei miei sogni. Cerco di ricambiarle tutto questo amore, soprattutto ora che abbiamo la nostra piccola Enola. Quando è nata, due anni fa, ho fronteggiato un blocco creativo. Tutta la mia attenzione era per lei e mia moglie, dormivo poco e in cucina ero insofferente. È stato fratello Tommaso - anche lui chef - a tranquillizzarmi: non sempre è necessario reinventarsi. E dopo due mesi tutto è tornato alla normalità. La pazienza è sempre fondamentale!», conferma. E la piccola Enola è già una buongustaia? «Mangia di tutto: insalata, ramen, pasta, verdure, pizza… ma solo se ben condito, altrimenti non lo tocca! Passiamo molto tempo nella natura, al parco, in acqua o leggendo insieme. Io le parlo in tedesco, Sara in portoghese e tra di noi parliamo italiano. Ora le mescola tutte, è davvero adorabile!», conclude Marco Campanella, che approfitterà di questa pausa fra le due stagioni per volare tre settimane insieme alla sua famiglia in Corea del Sud, un’altra destinazione asiatica che lo affascina con i suoi sapori. Aspettiamo di ritrovarne le note nella sua “brezza”…

Èuno dei campi da gioco su cui la disparità fra i sessi è più schiacciante. Sport per eccellenza maschile, il calcio ha relegato a lungo le donne a livello amatoriale. Etichettate dagli uomini come poco potenti, poco tecniche e incapaci di regalare match spettacolari, si sono dovute scontrare anche con la riprovazione da parte del loro stesso sesso per la scelta di praticare uno sport ritenuto poco femminile.

Una discriminazione che si è tradotta da una parte nel divario di condizioni di allenamento, preparazione fisica e infrastrutture, dall’altro nella scarsa copertura mediatica e, ovviamente, nella latitanza degli sponsor. Tirando le somme: un abisso a livello salariale, che ha storicamente determinato l’obbligo di affiancare all’impegno agonistico un lavoro per mantenersi. E le cose non sono andate meglio per arbitri e allenatrici.

Eppure finalmente si percepisce un’inversione di rotta, non solo nei paesi con i club più titolati, ma anche in Svizzera. Non è unicamente l’effetto traino degli Europei femminili che quest’anno si svolgeranno proprio

qui, dal 2 a 27 luglio, ma il risultato dell’impegno sul lungo periodo dell’Associazione Svizzera di Football (Asf) che ha fatto dello sviluppo del calcio femminile una delle priorità della sua Strategia 2021-2025, istituendo una Direzione del calcio femminile, lanciando diversi programmi di sviluppo e facendo investimenti significativi. «Siamo ancora agli inizi e abbiamo un grande potenziale di crescita, ma la tendenza mostra che i numeri di giocatrici, allenatori, dirigenti sono in costante aumento. A novembre abbiamo raggiunto il massimo storico di oltre 44mila giocatrici con licenza. Dieci anni fa erano poco più di 24mila e nel 1990 4mila», osserva Marion Daube, dal 2023 direttrice del calcio femminile dell’Asf. Una figura, la sua, che porta una grande esperienza nel settore, diventata nel 2009 prima direttrice generale a tempo pieno del calcio femminile svizzero: sotto la sua guida, le donne dello Zurigo hanno festeggiato nove titoli in campionato, sei vittorie in Coppa e si sono qualificate più volte per la Champions League. «In quei 13 anni abbiamo raccolto molti successi, e non solo sul campo (squadre femminili nelle categorie giovanili, U21, ecc.). Un’avventura da cui ho imparato che è utile essere corag-

Ospitare gli Europei di calcio femminile rappresenta

un prezioso

assist per la strategia svizzera di promozione della parità in uno sport che ha sempre visto le donne relegate a bordo campo

PALLA al CENTRO

giosi e aprire nuove strade», ricorda Marion Daube. Ovviamente rimane ancora molto da fare. «Abbiamo bisogno di un maggior numero di giocatrici, allenatori e dirigenti, di maggior visibilità e risorse, finanziarie e di personale. Dobbiamo professionalizzare ulteriormente il calcio femminile a tutti i livelli. Questo richiede il coinvolgimento del mondo del calcio, ma anche dell’intera società. Ci saranno sempre opinioni diverse e non è detto che il calcio (femminile) debba piacere a tutti, ma la nostra responsabilità è garantire che ragazze e donne abbiano le stesse opportunità delle loro controparti maschili: l’intero nostro programma Legacy risponde a questo obiettivo. Nei prossimi anni vogliamo promuovere il calcio femminile in tre aree: calcio di base, calcio di alto livello e donne nella società. Abbiamo bisogno di una base ampia, più qualità ai vertici e più modelli e donne in posizioni chiave», dichiara Marion Daube. Una visione in linea con la nuova strategia Uefa, Unstoppable, che mira entro il 2030 a investire un miliardo di euro per rendere il calcio femminile lo sport di squadra più praticato da donne e ragazze di ogni paese europeo, facendone il continente con le migliori calciatrici al mondo. Proprio Marion Daube è stata responsabile del progetto della candidatura elvetica a Uefa Women's Euro 2025. Le partite si svolgeranno a Basilea, Berna, Ginevra, Zurigo, San Gallo, Sion, Losanna, Lucerna e Thun. Naturalmente il ruolo di nazione ospitante comporta anche qualche onere: «Si tratta del più grande evento sportivo femminile d'Europa. Stiamo lavorando affinché il torneo sia un grande successo e per dimostrare di essere dei buoni padroni di casa non solo nell’accoglienza e nell’organizzazione, ma anche con il successo

SOPRA, MARION DAUBE, DAL 2023 DIRETTRICE DEL CALCIO

FEMMINILE DELL’ASSOCIAZIONE SVIZZERA DI FOOTBALL (ASF)

E RESPONSABILE ANCHE DELLA CANDIDATURA SVIZZERA

A NAZIONE OSPITANTE LA UEFA WOMEN'S EURO 2025

con la nostra squadra e la capacità di apportare un cambiamento positivo duraturo al calcio femminile insieme a tutti i nostri partner», dichiara la direttrice del Calcio femminile svizzero.

Ma come si stanno preparando le giocatrici, sotto la guida di un’allenatrice del calibro della svedese Pia Sundhage, che dopo i successi da attaccante, come coach ha condotto la nazionale

Usa a due ori olimpici e la sua Svezia all’argento? «Per una giocatrice è davvero speciale disputare un torneo di questo tipo in casa. L'attesa è grande, ma anche la pressione per una buona prestazione. Pia è un'allenatrice molto esperta, anche per affrontare una sfida come questa. Ci vorrà l’impegno di ogni giocatrice, di ogni membro dello staff e, naturalmente, un grande tifo», esorta Marion Daube. Incoraggiante che anche le selezioni giovanili svizzere, dalla U16 alla U19, si stiano facendo notare a livello internazionale. Certo, le campionesse della “Nati” durante l’anno militano spesso nei club stranieri, dai cachet più appetibili: la capitana Lia Wälti è la regista dell’Arsenal in Premier League, Ramona Bachmann dopo il Psg è volata oltreoceano allo Houston Nash e, su tutte, la popolarissima Alisha Lehmann è approdata alla Juventus femminile (sulle tracce del fidanzato Douglas Luiz), lei che è la calciatrice più seguita al mondo su Instagram con 16,6 milioni di follower, anche se si schernisce dicendo di investirci pochissimo tempo: un primato che può comunque far bene al calcio femminile e contribuire a renderlo più popolare, oltre ad attirare graditi sponsor. Fischio di inizio il 2 luglio, quando alle 21 la nostra Nazionale affronterà al St. Jakob-Park di Basilea la Norvegia: attesi nel mese di competizioni circa 700mila visitatori e si prevede che mezzo miliardo di spettatori seguirà l’evento. L’auspicio è che possa essere un importante assist alla parità nel calcio.

Carole

Perrot

Seduti al tavolo di un bar ad Honolulu, John Collins, sua moglie Judy e qualche amico, tra una chiacchiera e una scommessa inventarono il triathlon. Era il 14 febbraio 1977. L’idea - assurda eppur geniale - fu quella di mettere insieme le tre discipline più faticose: nuoto, ciclismo e corsa a piedi. Un anno dopo ebbe luogo la prima gara e Judy Collins divenne la prima donna nella multidisciplina. Negli ultimi decenni il triathlon è stato protagonista di un’evoluzione notevole in termini sia organizzativi e

NO LIMITTS

Campionessa del mondo e d’Europa, la triatleta svizzera, ambassador Technogym, è pronta per una stagione di traguardi ambiziosi. Gli inizi nel triathlon a 35 anni e un ricco palmarès: Carole testimonia che non è mai troppo tardi per realizzare i propri sogni

di distanze inserite, sia di metodologia di allenamento. «Una pratica sportiva che richiede impegno, ma riserva numerosi benefici e soddisfazioni», esordisce Carole Perrot, triatleta svizzera e illuminante esempio di donna matura che ottiene risultati straordinari a livello mondiale. Carole ha rappresentato la Svizzera in vari eventi internazionali di triathlon, con ottime performance sia nelle competizioni di sprint che in quelle di lunga distanza. «Ho praticato diversi sport, da quando avevo cinque anni. Sebbene mi fossi già dedicata singolarmente alle tre discipline che lo compongono, al triathlon sono approdata che di anni ne avevo trentacinque». In questo sport le tre discipline sono unite senza soluzione di continuità, «per questo l’atleta deve avere ottime capacità condizionali quali forza e resistenza, velocità e flessibilità, ma anche buone capacità di coordinamento, dovendo esprimere durante lo sforzo gestualità sportive completamente differenti tra loro: nuotare, pedalare e correre», aggiunge Carole che, tra i suoi successi più importanti, annovera la vittoria ai Campionati del mondo di triathlon-cross AG 2024 a Molveno, i Campionati d'Europa di sprint distance AG 2024 à Vichy e i Campionati d'Europa di triathlon-cross AG 2024 a Coimbra. Le tre discipline del triathlon sono tutte di tipo aerobico, quindi di fondo, e presuppongono un diverso impegno dal punto di vista dei distretti muscolari interessati in ognuna di esse; il triatleta è pertanto un fondista, «un atleta dedito allo sport di resistenza, con uno sviluppo muscolare completo e armonico», prosegue Carole che, ambasciatrice Technogym, sottolinea l’importanza di un allenamento adeguato, sia indoor che outdoor.

A lungo erroneamente considerato uno sport maschile, il triathlon «in realtà è adatto a chiunque abbia il giusto mindset: occorre essere motivati intrinsecamente, resilienti allo stress competitivo, capaci di interpretare l’errore come esperienza positiva per migliorare, dialogare con se stessi in modo positivo indipendentemente dal risultato ottenuto», sintetizza la campionessa, che prosegue: «Bisogna gestire in modo adeguato le proprie emozioni, mentalmente e fisicamente e mantenere la concentrazione, controllando i fattori di distrazione (visivi, uditivi), per stabilire obiettivi efficaci e misurabili». Chiaro, ma non facilissimo se, oltre a essere triatleta, si hanno anche due figli e un lavoro part-time… «Occorrono organizzazione e disciplina. E tutto è possibile!», sorride Carole, che lo ha dimostrato nei fatti, non solo avvicinandosi alla pratica da ultratrentenne ma anche raggiungendo altissimi livelli sportivi: «Credo che l'età sia solo un numero», commenta, «Con la giusta mentalità, l'equilibrio e il sostegno della mia famiglia e della comunità, sono riuscita a superare i limiti oggettivi e personali, raggiungendo obiettivi che un tempo avevo solo sognato». E ora? Tra i suoi obiettivi per il 2025, quello di diventare campionessa d'Europa e del mondo di Cross Triathlon AG e quello di ottenere una posizione tra i primi tre ai Campionati del Mondo Uci Gravel AG.

In aggiunta a questi impegni principali, Carole parteciperà a diversi eventi di triathlon e gravel, a partire dalle qualificazioni Uci di gravel a Wörthersee (Austria) e quelle di Monaco in aprile. Inizierà poi la stagione regolare del triathlon-cross e del triathlon classico, che si concluderà con gli attesissimi Campionati del Mondo Uci Gravel in ottobre, in una sede non ancora nota. La vittoria? «Non è vincere, ma riuscire a fare tutto il possibile per ottenere i risultati a cui si ambisce», ne è certa la triatleta. In bocca al lupo, Carole. La vittoria è figlia della determinazione.

ACCANTO, LA TRIATLETA CAROLE PERROT DURANTE

UNA RECENTE GARA E, SOPRA, DURANTE UN ALLENAMENTO INDOOR CON CONNECTED DUMBELLS, UNA NOVITÀ DI TECHNOGYM, MARCHIO DEL QUALE LA SPORTIVA È AMBASSADOR

NELLA PAGINA

14 x 8.000

È questa la formula che iscrive la franco-svizzero-canadese Sophie Lavaud nell’Olimpo dei pochissimi ad aver siglato il Grande Slam himalayano. Immersione nel suo mondo d’alta quota

Per quattordici volte Sophie Lavaud ha superato quota

8.000 metri. Primo francese e canadese in assoluto - uomo o donna - e prima scalatrice svizzera ad aver completato il “Grande Slam himalayano”: un triplice primato che le consegnano i suoi tre passaporti e tanta determinazione. Un successo ancor più ragguardevole perché Sophie Lavaud ha iniziato a praticare l’alpinismo solo trentenne, ma una cima dopo l’altra, con la stupefacente modestia e la perseveranza che le sono connaturate, ha siglato a 55 anni un’impresa per pochi.

Sophie Lavaud, come è iniziato il lungo cammino che l’ha portata in vetta alle 14 montagne più alte al mondo? È davvero stato un lungo cammino, costruito passo dopo passo. Ho iniziato ad arrampicare abbastanza tardi: nella mia famiglia non ci sono alpinisti, anche se sin da quando ero piccola ho trascorso molto tempo nella Valle di Chamonix a sciare e a fare escursioni. Sono stati degli amici a far nascere la mia passione. Da quando nel 2004 sono riuscita a scalare il Monte Bianco, ho sentito la spinta ad andare sempre più in alto: cinque, poi sei, settemila metri e nel 2012 è arrivato il primo ottomila. Allora il traguardo è diventato l’Everest, il punto più alto del pianeta, che ho raggiunto due anni dopo. E così, una spedizione dopo l’altra, sono arrivata a completare il Grande Slam himalayano, lunedì 26 giugno 2023, in vetta al Nanga Parbat.

IN FOTO, IL K2 (8611M) IN TUTTA LA SUA SOMMA MAESTÀ

Cosa ama di più dell’alpinismo?

Più che l’alpinismo è l’himalayismo la mia passione, il mondo dell’altissima quota. All’alpinista che scala un 4.000 bastano pochi giorni, il suo è un obiettivo tecnico. Con l’arrampicata himalayana ci si immerge invece di un’ottica di lungo periodo e questo permette di vivere appieno lo spirito di avventura. Si inizia dalla camminata di avvicinamento, il trekking per arrivare al campo base, tutta la fase di acclimatazione. C’è la strategia di salita che condividiamo con il team.

Ovviamente l’obiettivo è raggiungere la cima, ma c’è molto di più, compreso il rientro, che non bisogna mai sottovalutare. Ecco, è questo che amo dell’Himalaya.

Quali le caratteristiche che fanno un buon himalaysta?

Pazienza, testardaggine e abnegazione. Tanta perseveranza, perché bisogna sempre ricominciare, che si abbia successo o si fallisca. All’opposto, non si deve avere fretta di raggiungere il risultato. In Himalaya può essere fatale. E non bisogna porsi subito obiettivi troppo ambiziosi. Occorre capire cosa significa salire a 8.000 metri, familiarizzarsi con questo universo.

La disciplina faceva già parte del suo carattere?

Sì, in questo mi è stata maestra la danza classica. Ho iniziato a studiarla durante un periodo in cui vivevo a Milano, per cui parlo anche un po’ di italiano. Ricordo molto bene la mia prima insegnante, che tanto me l’ha fatta amare, Daniela. Puntavo a diventare prima ballerina, ma per seri problemi alla schiena dopo 15 anni ho dovuto rinunciare. Però praticare una disciplina così esigente e impegnativa mi ha formato e mi ha permesso di sviluppare una forza mentale fondamentale per il mio progetto himalayano.

che organizzava conferenze nel campo della finanza. La crisi economica del 2008 ci ha costretti a chiudere, ma proprio quella pausa mi ha permesso di tentare il primo ottomila.

Per farcela occorre tempo ma anche denaro... Trovare gli sponsor è proprio la vera impresa! Per non fare il passo più lungo della gamba, ho sempre programmato anno per anno, altrimenti si rischia di deludere sponsor e partner, non solo sé stessi. Sono immensamente grata a tutti coloro che mi hanno sostenuta e che non mi hanno mai costretto a tornare indietro da una missione per mancanza di fondi.

SOPHIE LAVAUD, IL 26 GIUGNO 2023 DIVENTATA

PRIMO SCALATORE FRANCESE E CANADESE (UOMO O DONNA) E LA PRIMA SVIZZERA AD AVER CONQUISTATO I 14 OTTOMILA.

OGGI SI DIVIDE TRA L'HIMALAYISMO E L'ATTIVITÀ DI CONFERENZIERE

Ha tanto creduto nelle sue possibilità da lasciarsi alle spalle una carriera di successo.

In realtà fino all’ultima spedizione ho sempre avuto dei dubbi: ci sono così tanti possibili pericoli e imprevisti! Però non si può conciliare una professione ad assenze di mesi per spedizioni come queste, in Nepal, Tibet o Pakistan. Nel 2015, a 36 anni, ho dato le dimissioni dal mio ultimo posto di lavoro per consacrarmi al 100% al progetto. In precedenza avevo lavorato come responsabile vendite e marketing nell’hôtellerie di lusso, poi nel settore della cosmetica e, in seguito, ho gestito con mio fratello una società

Ci sono però altri motivi che possono obbligare a desistere da una missione, anche quando la vetta non è lontana. Come mantenere la lucidità necessaria per capirlo?

Non sono schiava dei record e questo mi ha permesso di tornare indietro quando il pericolo sarebbe stato troppo grande. Ho un totale di 22 spedizioni per i miei 14 successi, i conti sono presto fatti. Quasi sempre sono stati fattori esterni a fermarmi: il terremoto nel 2015, una valanga sul K2, condizioni meteorologiche. Ma la trappola più insidiosa dell’alta quota è l’ipossia, la privazione di ossigeno che compromette la capacità di ragionare.

© Francois Damilano

Fra i 14 ottomila qual è stato il più duro da conquistare?

Ogni volta è l’ultima spedizione, ancora fresca, a sembrare più difficile. Forse il K2 è stata una delle più sfidanti: è molto lontano, molto alto, molto impegnativo e pericoloso. Insomma, ha un sacco di superlativi!

A proposito di superlativi, deve aver visto panorami incredibili.

In effetti, quando si sale a queste quote, se si ha la fortuna di avere un cielo limpido, si ha una visuale come da un aereo. Montagne a perdita d’occhio, un panorama estremamente spettacolare che si somma all’ebbrezza

SOPRA, LA LOCANDINA DEL DOCUMENTARIO CHE

RACCONTA LA CONQUISTA DEL 14ESIMO OTTOMILA DI SOPHIE LAVAUD, IL NANGA PARBAT, CON CUI NEL 2023

HA COMPLETATO IL SUO GRANDE SLAM HIMALAYANO, RICORDATO NELLA SUA INTEREZZA ANCHE IN UNO SPLENDIDO LIBRO (SOTTO), ENTRAMBI REALIZZATI

A QUATTRO MANI CON FRANÇOIS DAMILANO

dell’impresa compiuta, come sull’Everest, dove abbiamo avuto condizioni eccezionali.

Durante questi anni di scalate, quanto ha visto cambiare la natura?

Drasticamente sulle Alpi, penso ad esempio alla Valle di Chamonix. In Himalaya il fenomeno è identico, ma è difficile accorgersene senza le misurazioni in un periodo breve come quello da cui frequento la regione, quando si prende un ghiacciaio come il Baltoro, in Pakistan, lungo 65 km. Proprio il 2025 è stato proclamato dall’Onu Anno Internazionale della Conservazione dei Ghiacciai, con l’obiettivo di sensibilizzare sul loro ruolo nel sistema climatico e idrologico globale. Riferendosi alle sue missioni parla spesso al plurale.

In Himalaya, da soli, non si arriva da nessuna parte. È la squadra che mi circonda e le capacità di ciascuno a garantire che si raggiunga la vetta. Questa fondamentale lezione della montagna si può applicare a moltissimi settori. Parlo spesso di “followership”, in opposizione al modello della leadership, su cui spesso vengo chiamata a tenere conferenze anche per manager e imprese. Negli anni ho scoperto che mi fa molto piacere condividere le mie esperienze e immergere il pubblico nel mondo dell’alta quota.

La sua esperienza è stata anche celebrata in un libro e un documentario.

Sì, il volume Les quatorze 8000 de Sophie Lavaud (Glénat, 2024) e il documentario, Sophie Lavaud -Le Dernier Sommet girato da François Damilano hanno ricevuto un'ottima accoglienza da parte di critica e pubblico, vincendo la scommessa di attirare anche tanti spettatori non appassionati di montagna. Penso che sia un ottimo modo per concludere il progetto.

E adesso, dopo aver concluso questa grande impresa, non avverte un senso di vuoto?

No, anzi, è un bene che ci siano solo 14 ottomila! Altrimenti continuerei, e non bisogna dimenticare che è comunque molto pericoloso andare lassù. Ovviamente non ho smesso di fare spedizioni, anche se con uno spirito diverso. Ho già un progetto per celebrare il 75esimo anniversario della prima scalata dell’Annapurna I, nel 1950.

IN ALTO, PORTABORRACCIA

LOUIS VUITTON, ACCATTIVANTE E

LUSSUOSO, RICHIAMA

LO SPIRITO NOMADE

DELLA MAISON;

SOPRA, POLO ERREÀ

A DESTRA, SCARPETTE DA

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SOTTO, BICI DRALI

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A SINISTRA E SOTTO, COMPLETO CHERVÒ, COMPLICE DI FEMMINILITÀ SUI CAMPI DA GOLF, GONNA CHERVÒ

Che STILE! OPEN AIR

‘Hermès in the making’ è una sorta di scrigno delle meraviglie che, in una città sempre diversa, per dieci giorni svela il ‘dietro le quinte’ della Maison. Quest’anno, tappa a Zurigo, dove è andato in scena tutto il valore dei suoi métieres Un’indole prêt-à-porter che, sfidando le convenzioni della gioielleria tradizionale, definisce un’eleganza contemporanea

Bagliori che si mettono A NUDO

Tonalità intense e riflessi di luce che attraggono ed emozionano. Il colore è protagonista. Rende immediatamente preziosa una gemma agli occhi di chi la guarda.

Simboli di bellezza, forza e potenza le gemme hanno un fascino senza tempo; ammalianti oggetti del desiderio, travalicano le mode, entrano in sintonia con l’essenza stessa della femminilità. Indossate, delle donne raccontano l’animo: esuberante, innovativo, romantico, ironico o avanguardista, les nuances abbondano. Vincenzo Castaldo, direttore creativo di Pomellato, interpreta le gemme e le nuances dell’animo femminile,

PAGINA ACCANTO, COLLANE CON PENDENTE

‘NUDO MINI’, IN ORO ROSA, CON TOPAZIO BLU CIELO, TOPAZIO BLU LONDON E DIAMANTI

IN QUESTA PAGINA, SOPRA, ANELLO IN ORO ROSA E BIANCO CON PRASIOLITE E 39 DIAMANTI BIANCHI E, A DESTRA, ANELLO NUDO MAXI

SOPRA, VINCENZO CASTALDO, DIRETTORE CREATIVO DELLA

MAISON POMELLATO, CHE FA PARTE DEL GRUPPO KERING, E PHILIPPINE

LEROY: L’ATTRICE, STILOSISSIMA E ACCLAMATA ‘SYLVIE’ DI ‘EMILY IN PARIS’ È LA NUOVA GLOBAL AMBASSADOR DI POMELLATO

con la stessa empatica creatività. Sovverte le regole in una costante ricerca di nuove armonie. Naviga con la stessa naturalezza i mari della poesia e dell’equilibrio, sospinto dalla convinzione che l’anticonformismo non

NELLA

debba essere confuso con l’eccesso di design. «Un gioiello non convenzionale è in realtà più semplice di quanto si possa immaginare: ha una personalità distintiva e sorprendente, che lo rende unico. Ogni fase del processo che porta alla sua realizzazione è animata dallo stesso desiderio: far sentire le donne belle, gioiose e sicure di sé, e quindi emancipate», nota Castaldo, che prosegue: «L’universo creativo della Maison è allo stesso tempo audace e sobrio, un paradosso che rispecchia perfettamente la città in cui essa è nata, Milano. C’è tanto sentimento italiano in quello che facciamo, e con questo fondiamo i contrasti in belle armonie», aggiunge il direttore creativo di Pomellato. Affidato nella realizzazione alle mani esperte di artigiani altamente qualificati, che tagliano a mano le gemme, ogni gioiello è caratterizzato da un tocco organico, leggermente irregolare e squisitamente umano. Ne nascono monili che seguono il movimento del corpo ornandolo d’oro, pietre di colore, luminosità. La natura, nelle forme degli oggetti, e nella generosità dei colori

Solo il silenzio non è d’oro

Impegnato da anni a favore dell’emancipazione femminile, con l’iniziativa Pomellato for Women e campagne video annuali, il marchio incoraggia alla responsabilità collettiva e all’azione contro la violenza. Usando le parole di Sabina Belli, am ministratore delegato di Pomellato: “La violenza domestica è una ferita collettiva che segna tutta la nostra società. Come Casa che si occupa di donne dal 1967, crediamo che la trasformazione inizi quando tutti noi accettiamo il nostro ruolo di sentinelle sociali. Ciò significa essere vigili e avere il coraggio di agire. Significa capire che il silenzio non è neutralità, ma complicità. Dob biamo passare dalla consapevolezza all’azione, dall’empatia al cambiamento sistemico”. La campagna riunisce un gruppo influente, in ternazionale, che comprende tra gli altri l’attrice e attivista premio Oscar Jane Fonda.

delle pietre, è un elemento ricorrente. Non solo: nell’ambito del suo impegno per un futuro più rispettoso dell’ambiente e per l’emancipazione delle donne, Pomellato ha raggiunto il 100% di approvvigionamento responsabile dell’oro, investe nella tracciabilità delle pietre colorate e dei diamanti e collabora con una scuola orafa di Milano per preservare l’eccellenza di questo mestiere. Audacia, savoir-faire, rispetto per l’individuo e per il contesto, valorizzazione dell’unicità di ogni donna concorrono nel determinare una personalità non convenzionale. Per chi crea, per chi indossa.

IN ALTO A SINISTRA, ORECCHINI ‘NUDO’ IN ORO ROSA CON RUBELLITE E DIAMANTI. LA RUBELLITE È UNA VARIETÀ RARA DI TORMALINA ROSSA DALLE INTENSE SFUMATURE DAL ROSA AL ROSSO; È DUREVOLE E RESISTENTE SOPRA, SAUTOIR, COLLEZIONE ALTA GIOIELLERIA NUDO, IN ORO ROSA CON DIAMANTI E SMALTO SOTTO, COLLEZIONE TOGETHER IN ORO ROSA E DIAMANTI

Ha portato il nome della sua città nei tre continenti. È il brand che per antonomasia rappresenta il mercato dell’arte contemporanea: Art Basel. Nata come fiera svizzera nel 1969 da galleristi del calibro di Ernst Beyeler, Trudl Bruckner e Balz Hilt, oggi è una piattaforma globale con i suoi quattro appuntamenti annuali: la storica fiera in casa, le ormai affermate Hong Kong e Miami Beach, cui si è aggiunta più di recente Parigi. Se già la prima edizione aveva attirato 16mila visitatori, 90 gallerie ed editori internazionali, l’anno scorso a Basilea sono stati in oltre 91mila a scoprire le proposte delle 285 gallerie ospiti, cui si affianca la sempre più ricca programmazione pubblica che si irraggia nel tessuto cittadino, sancendo quella sintesi fra radicamento locale e propulsione globale che è l’essenza stessa dell’arte.

FIERA

VANITÀ

È il riferimento assoluto per il mercato dell’arte contemporanea. Ma Art Basel punta a dialogare anche con musei, istituzioni e partner culturali delle città che la ospitano. A partire da quella in cui è nata oltre 50 anni fa e dove è più che mai presente con il suo programma pubblico. Un tour dietro le quinte con la direttrice Maike Cruse

Un successo che ha premiato il debutto di Maike Cruse come direttrice (peraltro in ottima compagnia, affiancata dalle colleghe Angelle Siyang-Le e Bridget Finn, alla guida rispettivamente di Art Basel Hong Kong e Miami Beach). Ci sono dunque tutte le premesse per superarsi nell’edizione 2025, che si terrà dal 17 al 22 giugno, come ci racconta la sua direttrice.

MAIKE CRUSE, DIRETTRICE
BASEL

FRA I SETTORI CHE SI DISPIEGANO IN CITTÀ CON INSTALLAZIONI, SCULTURE, INTERVENTI E PERFORMANCE SITE-SPECIFIC, “PARCOURS”, CURATO DA

Maike Cruse, per cominciare ci racconterebbe come è entrata l’arte nella sua vita?

Ho studiato arte a Londra, ma a un certo punto ho capito che non sarei diventata io stessa un’artista. Tuttavia, sapevo di voler continuare a lavorare con chi lo era. Ho quindi iniziato come stagista presso la Kunst-Werke di Berlino, dove sono stata assegnata al team di Pr - un ruolo perfetto per me, dato che molti fra i miei amici erano giornalisti. Da allora mi sono sempre trovata all’intersezione tra artisti, curatori, gallerie e media: la passione per l’arte è sempre stata la mia forza motrice. Le voci degli artisti sono personali e potenti, sanno commentare ed elaborare gli eventi del mondo in modo unico. In questi tempi turbolenti e impegnativi, le nostre fiere d’arte continueranno a fungere da piattaforme, riunendo galleristi, collezionisti e artisti di tutto il mondo.

Lei aveva già lavorato per Art Basel come responsabile della comunicazione tra il 2008 e il 2011. Tornando con il bagaglio della sua importante esperienza a Berlino, dove in particolare per dieci anni ha diretto la manifestazione primaverile Gallery Weekend Berlin, quanto è cambiata la sua visione della fiera e il suo lavoro quotidiano?

Il mondo dell’arte è diventato significativamente più globalizzato, così come Art Basel, facendo crescere la sua comunità globale di gallerie, artisti, partner e collezionisti, nonché introducendo nuovi formati espositivi e iniziative che riflettono il cambiamento del panorama artistico. Oggi organizziamo quattro fiere in tre continenti e lavoriamo con un team internazionale che opera su più fusi orari. Basilea rimane la nostra fiera di riferimento, caratterizzata da una qualità eccezionale e da settori speciali unici, oltre che dalla ricca storia e dall’importanza della città nel mondo dell’arte. Ma come ha fatto una città così intima e piccola a diventare l’epicentro della fiera delle fiere?

È proprio questo ambiente intimo a rendere la città una location unica: i visitatori possono scoprire la fiera e il programma culturale che la accompagna a piedi o in bici, sperimentando l’arte di livello mondiale in uno spazio circoscritto e accessibile. Ogni anno, portiamo qui il mondo dell’arte internazionale per una settimana di esposizione di qualità museale seppur commerciale. Al di là della fiera stessa, il nostro programma pubblico si estende in tutta la città, offrendo un’esperienza

espositiva ampliata e coinvolgendo una comunità più ampia, diventando un luogo di incontro per il mondo dell’arte. Le principali istituzioni culturali di Basilea arricchiscono ulteriormente il panorama artistico con mostre di rilevanza internazionale, come il Kunstmuseum Basel, che ospita la più antica collezione d’arte pubblica del mondo, la rinomata Fondation Beyeler e istituzioni all’avanguardia come la Kunsthalle Basel e lo Schaulager.

Come riuscite a bilanciare la storica presenza delle gallerie svizzere ed europee con l’apertura ai mercati dell’arte emergenti?

Ogni nostra fiera è unica e definita dalla città e dalla regione che la ospita, il che si riflette nella selezione delle gallerie partecipanti, nelle opere presentate e nella programmazione parallela prodotta in collaborazione con le istituzioni locali. Sebbene più del 50% delle gallerie presenti a Basilea siano europee, continuiamo a diversificare le nostre fiere, coin-

STEFANIE HESSLER, DIRETTRICE DELLO
SWISS INSTITUTE DI NEW YORK, SI ESTENDE VERSO IL RENO E LA CITTÀ VECCHIA DI BASILEA
© Basel Tourismus / Photo Florian Huber

LA

“FINESTRA SUL

CIELO”

DELLA FIERA

DI

BASILEA FIRMATA

HERZOG

& DE MEURON

volgendo gallerie provenienti da mercati artistici emergenti, come quest’anno Filippine e Tunisia. Inoltre, accanto al settore principale delle Gallerie, ogni fiera ne ha diversi che si concentrano su specifiche tipologie di gallerie e opere d’arte. Qui a Basilea, il settore Statements è dedicato in particolare agli artisti emergenti con presentazioni personali, mentre Feature ai progetti storici. Quest’anno introduciamo anche un nuovo settore, Premiere, che offre a dieci gallerie l’opportunità di presentare opere ultracontemporanee e audaci realizzate negli ultimi cinque anni, mettendo in luce fino a tre artisti ciascuna.

Come rimanere leader e continuare a offrire la miglior fiera possibile a gallerie, collezionisti e acquirenti?

Uno degli aspetti più importanti per me è rimanere in stretto contatto con i nostri galleristi per soddisfarne le esigenze. A conferma, l’anno scorso abbiamo registrato forti vendite in tutti i segmenti di mercato e un’affluenza di 91mila persone, tornando ai livelli prepandemici. Anche nella prossima edizione presenteremo un’eccezionale selezione di gallerie internazionali, con incredibili opere in un’ampia gamma di forme espressive. Inoltre sono entusiasta di aver commissionato a Katharina Grosse il progetto per la Messeplatz, sotto la direzione di Natalia Grabowska, Curator at Large, Architecture and Site-Specific Projects della Serpentine Gallery di Londra. Un’installazione immersiva in cui la rinomata artista tedesca utilizzerà la sua tecnica della pistola a spruzzo per trasformare la piazza e i dintorni in un ambiente cromaticamente vibrante.

Oltre alle nostre sale espositive, organizzeremo ancora una volta una serie di eventi in tutta Basilea, rafforzando ulteriormente la reputazione della città come polo culturale.

QUEST’ANNO

SARANNO

OSPITATE A BASILEA

291 GALLERIE DA 42 PAESI

La fiera dura solo una settimana, ma è un evento che richiede una pianificazione meticolosa durante tutto l’anno. Può darci un quadro della complessità del lavoro organizzativo dietro le quinte?

L’organizzazione di fiere d’arte di livello mondiale in quattro sedi globali richiede un enorme e costante lavoro di squadra per assicurare che tutto si svolga senza intoppi. Il mio compito, come direttrice di Basilea, è supervisionarne la fiera lavorando a stretto contatto con la rete di gallerie, collezionisti e artisti di Art Basel e mantenendo forti relazioni con i principali musei, istituzioni e partner culturali locali. Per la prima edizione che ho guidato l’anno scorso, ad esempio, è stato molto importante per me intensificare la collaborazione con la città. Sono spesso in loco, per seguire tutti gli sviluppi e stare a stretto contatto con il team che riunisce professionisti dedicati con un’ampia gamma di competenze, che spaziano dalla logistica e dalle infrastrutture della fiera alla programmazione degli eventi e al supporto delle gallerie partecipanti.

Ormai la leadership di Art Basel è in gran parte femminile, con ben tre donne su quattro direttori delle sue fiere, che riescono anche a conciliare famiglia e carriera. Un grande esempio, che va oltre il business. Guardando al mercato dell’arte, quanto è vicino a una vera parità di genere?

Nonostante i progressi compiuti, nel mercato globale dell’arte permangono significative disparità di genere.

L’Art Basel and UBS Global Art Market Report dell’anno scorso esamina anche la rappresentazione delle donne artiste e, malgrado ci siano stati cambiamenti positivi, c’è ancora molto lavoro da fare. Allo stesso tempo, stiamo assistendo a un cambiamento significativo. L’ultima

Biennale di Venezia ha visto una forte presenza di artisti giovani, donne e queer, molti dei quali sono rappresentati nelle nostre fiere. Ho notato anche un cambiamento nella cultura del lavoro nel mercato dell’arte, uno sforzo reale per diversificare i team. Ma stiamo ancora spingendo per fare progressi, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione delle donne artiste nel mercato.

VALLI

da vivere BASILEA

Spunti per momenti indimenticabili

SOPRA, PERFETTO PER INAUGURARE UN WEEKEND A BASILEA, UN BRUNCH AL RISTORANTE BOHEMIA SULLA PALPITANTE MARKTPLATZ. PER RAGGIUNGERE LE DIVERSE DESTINAZIONI IN GIORNATA, NON C’È MEZZO MIGLIORE DEGLI ICONOCI TRAM GIALLI E VERDI. LA BASELCARD, COMPRESA NEL PREZZO DI OGNI PERNOTTAMENTO, OFFRE L’UTILIZZO GRATUITO DEI TRASPORTI PUBBLICI

SOPRA, NEL CENTENARIO DI JEAN TINGUELY, NON PUÒ MANCARE UNA VISITA AL SUO MUSEO, FIRMATO DA MARIO BOTTA. A SINISTRA, DAL 16

OTTOBRE AL 6 NOVEMBRE, LA GRANDE MUSICA INTERNAZIONALE È IN PROGRAMMA A BALOISE

SESSION, DAL ROCK AL JAZZ AL BLUES

A DESTRA, PER CONCLUDERE PERCHÉ NON VIZIARSI CON UNA NOTTE REGALE A LES TROIS ROIS, TRA I PIÙ ANTICIHI GRAND HOTEL CITTADINI IN EUROPA? ANCHE CON UN’OTTIMA CUCINA

SOPRA, UN RIUSCITO ESEMPIO DI RIQUALIFICAZIONE URBANA, L’EX-BIRRIFICIO WARTECK CON SPAZI DEDICATI OGGI A PROGETTI CULTURALI, CREATIVI E RISTORAZIONE. DA INSTAGRAMMARE LA SUA SCALA ZIGZAGANTE

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© Albrecht
Fietz

nell’incertezza della VITA

Un invito a ricercare la bellezza, oltre la superficie del proprio riflesso

DI FABIANO ALBORGHETTI, POETA (PREMIO SVIZZERO DI LETTERATURA) E PRESIDENTE

DELLA CASA DELLA LETTERATURA PER LA SVIZZERA ITALIANA

on è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace: un proverbio sulla bocca di tutti. In pochi sapranno però che apparve nel 1608, ne Le piacevoli e ridicolose simplicità di Bertoldino di Giulio Cesare Croce, scrittore e cantastorie che inventò il personaggio di Bertoldo, contadino

TROVARE lo straordinario N

rozzo di modi ma di mente acuta (e dalle avventure tutt’oggi esilaranti). Non sappiamo se Croce si inspirò a Plutarco (“De gustibus non est disputandum”), specie perché è una fonte ambigua: Plutarco scriveva in greco, la citazione è in latino e forse è il rimaneggiamento di un traduttore; poi il tempo ha fatto il suo corso ed è arrivata a noi, pronta all’uso e senza memoria.

C’è però una certezza che si ripropone: in ogni epoca storica, in ogni movimento di creazione (arti, architettura, musica) in un dato momento accade una frattura e un nuovo concetto di bello prende piede. Senza lo scandalo creato degli impressionisti non avremmo avuto l’evoluzione (al galoppo) dell’arte contemporanea; Kandinsky ha di fatto fondato la pittura astratta; mezza Europa aveva appena digerito l’efflorescenza dell’Art Nouveau di fine Ottocento (e relativi esiti nazionali: Liberty in Italia; Jugendstil in Germania e Svizzera, ecc.) che le carte in tavola cambiano, le linee si ripuliscono e il mantra dell’architettura e del design diventa l’essenziale Bauhaus. Con gradienti diversi, quando qualcosa di nuovo accade spesso è contrastato, il più delle volte apprezzato solo a posteriori. Si sente ripetere che bisogna educare al bello così da avere cittadini migliori, ma sappiamo che anche questa è una definizione ambigua e a maglia (molto) larga: bello per chi? E cosa è bello? Accanto a chi apprezza il fine lavoro di un ebanista, c’è chi invece ricerca il chiasso visivo. Il kitsch si afferma con la cultura di massa dell’arte commerciale a metà del XIX secolo e, come scriveva Milan Kundera in L’insostenibile leggerezza dell’essere: “nel regno del kitsch impera la dittatura del cuore”. Quello stesso cuore che ha portato milioni di case di un certo ambiente piccolo borghese a riempirsi di “buone cose di pessimo gusto”, come scriveva Guido Gozzano in L’amica di Nonna Speranza

col suo Viaggio in Italia: la percezione della bellezza arriva al nostro cuore solo mediante il veicolo della condivisione umana).

La bellezza è carnale e trasgressiva come in Lolita di Vladimir Nabokov, ma anche idealizzata e mitizzata come in Morte a Venezia di Thomas Mann. È un ritorno improvviso e inaspettato come per Marcel Proust nella Recherche, e al contempo può essere emblema dello svanire, del valore della conservazione e della memoria che si oppone al tempo come in Viaggio al termine della notte di Céline; o ancora, può essere quasi virtù, integerrimo splendore e purezza d’animo assoluta, come per il principe Myskin nell’Idiota di Dostoevskij.

La bellezza è dentro di noi; qualcuno la estende a ciò che circonda la vita, per altri si palesa discreta, nelle pieghe dell’ordinario, silenziosa. La sua fruizione riesce a convivere sia come movimento intimo e privato che come atto sociale e collettivo (ce lo insegnò Goethe

La bellezza, insomma, è inspiegabile, intangibile, appoggia sia a ciò che culturalmente è dettato dalla società quanto nella crescita personale non condivisibile. Eppure, evolve e non solo come concetto astratto. Pensiamo all’arrivo della tecnologia, che ha messo il potere di definire la bellezza nelle mani delle persone: gli smartphone consentono a chiunque un maggiore controllo sulla propria immagine, permettendo di modificarla per ricostruire il miglior sé e, infine, inseguendolo senza sosta, come quel Lord Henry Wotton ne Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde per il quale la bellezza e l’appagamento sensuale sono le uniche cose che valga la pena perseguire. Nello specchio-riflesso che detta (o impone) come si appare al mondo, chi più chi meno ci caschiamo tutti, ognuno un poco Narciso che cade nel lago dopo troppo specchiarsi. Non disabituiamo gli occhi alla bellezza, cerchiamo non già il conficcare quello sguardo solo dentro di noi, bensì appoggiamolo su tutti gli altrove possibili. Essere consapevoli del bello anche quando non lo capiamo; essere in quella bellezza che trabocca dagli occhi della Madonna mentre posa lo sguardo sul figlio morto nella Pietà di Michelangelo; ed essere, di Michelangelo, l’incompletezza di una Pietà Rondanini: lontani dalla finitezza, eppure così interamente completi da non necessitare altro. La bellezza è complessità, ma è soprattutto trovare lo straordinario nell’incertezza del mondo.

© Dalga Ellaby / Unsplash

Let’s Dance!

Festival, strumenti a sostegno di artisti e compagnie, nuove occasioni di condivisione con il pubblico: gli importanti passi avanti della danza in Ticino ‘coreografati’ da Tiziana

EConte

espressione di intima creatività individuale e, al contempo, di unione collettiva, con il suo linguaggio universale che non ha bisogno di parole, ma è fatto di ritmo, movimenti, rappresentazione gestuale, la danza è in grado di superare ogni barriera etnica, culturale e politica, permettendo di manifestare e condividere direttamente, attraverso il corpo, emozioni personali e valori di una comunità. Dal 1982 l’Unesco le dedica una giornata internazionale, il 29 aprile (data di nascita di Jean-Georges Noverre, considerato il creatore del balletto moderno), per celebrarla in tutte le sue forme.

Se nei suoi esiti più elevati diventa arte, ancor prima è un’attività rigeneratrice, che favorisce in maniera naturale il benessere e la consapevolezza di sé, agendo a livello fisico, cognitivo, psicologico, relazionale.

Sua “instancabile promotrice” in Ticino, Tiziana Conte, giornalista e operatrice culturale, che nel 2023 è stata insignita del Premio svizzero per le arti sceniche proprio per la passione, il coraggio e la tenacia con cui in questi decenni ha sostenuto e favorito lo sviluppo della danza contemporanea in un territorio in cui questa disciplina ha a lungo sofferto di una certa marginalità. Ripercorrere le iniziative di cui è stata ed è motore, permette di ricordare le nuove risorse oggi a disposizione dei professionisti e le tante nuove occasioni per chiunque di farsi contagiare dal ritmo.

Tiziana Conte, come è nato il suo desiderio di impegnarsi a favore della cultura e della danza?

Difficile spiegarlo: inizialmente mi sono formata come infermiera psichiatrica, ma poi ho deciso di cambiare vita e iscrivermi all’Università di Bologna, pur sempre lavorando in parallelo. Mi sono laureata al Dams in Storia del cinema, convinta che quello sarebbe stato il mio ambito. Ma anche in questo caso non è andata secondo i piani: grazie a una serie di circostanze molto fortunate, ho avuto il privilegio di

A MAGGIO SARÀ LA VENTESIMA EDIZIONE PER FESTA DANZANTE CHE IN TICINO HA IL SUO MOTORE IN TIZIANA CONTE (ACCANTO), INSTANCABILE E INSOSTITUIBILE

PROMOTRICE

DELLA DANZA CONTEMPORANEA CON LE SUE TANTE INIZIATIVE SUL TERRITORIO

partecipare alla riapertura del Cinema Teatro di Chiasso, dove ho iniziato, tra gli altri impegni, a occuparmi del festival di danza contemporanea Chiassodanza, impegno portato avanti dal 2002 al 2010.

Poi è emersa la voglia di raggiungere e sensibilizzare un pubblico ancor più vasto… Sì, da questo desiderio di fare qualcosa di più personale nell’ambito della cultura indipendente, nel gennaio 2013 è nata l’Associazione Arturo prod., una realtà che intende favorire la creazione, lo sviluppo e il coordinamento di progettualità artistiche e culturali. Da allora il nostro impegno non si è mai fermato e, nell’ottobre 2022, ha dato vita anche a Isadora - Piattaforma Danza, una struttura innovativa per sostenere e coordinare gli eventi di danza nel Ticino: un progetto nato in modalità partecipativa, coinvolgendo artisti e operatori culturali che ne hanno definito i contenuti, mentre il pubblico ha scelto il nome Isadora, in riferimento alla danzatrice Isadora Duncan. Questa piattaforma digitale è una sorta di villaggio virtuale in cui offriamo informazioni utili su artisti, maestranze, residenze, ma anche consigli e consulenze alle strutture che lo richiedono. Inoltre, due volte all’anno promuoviamo degli incontri per riflettere sulla cultura della danza. Siamo ancora una realtà giovane e speriamo con il tempo di ‘contagiare’ molti ambiti. Insieme a Lea Conconi, che già la affianca in queste due iniziative, è anche coordinatrice di Festa danzante Ticino. Nata a Zurigo nel 2006 e promossa da Reso - rete danza svizzera, la manifestazione si è allargata a macchia d’olio su scala nazionale, fino a includere una quarantina di città, tra cui diverse in Ticino. Di cosa si tratta?

In origine era un momento di festa, non così articolato come oggi. Grazie alla presenza di alcuni coreografi si imparavano delle brevi sequenze e si ballava tutte/i insieme: un momento partecipativo, un party che tuttora è tra i progetti della Festa

danzante Ticino. Il fatto che venissi già da un’esperienza di organizzazione di un festival di danza, mi ha visto coinvolta sin dalle primissime edizioni, già nell’ambito di Chiassodanza. Il prossimo appuntamento, ventesimo della serie, avrà luogo tra il 14 e il 18 maggio a Chiasso, Mendrisio, Lugano, Bellinzona e Locarno, proponendo spettacoli di danza e momenti di condivisione.

La danza dunque, pur essendo un’arte ancora fragile in Ticino, oggi è un po’ più forte?

Sicuramente, ci sono stati cambiamenti significativi: ad esempio il Lac, che propone una stagione di danza di alta qualità e al contempo progetti di approfondimento e mediazione.

Dal 2022 organizza inoltre il festival Lugano Dance Project. Il Teatro San Materno, diretto da Tiziana Arnaboldi, promuove da anni la danza, con una compagnia di giovani. C’è anche il festival Steps. Nel panorama ticinese si stanno affacciando alcuni artisti/e della nuova generazione e noto con piacere che i performer in generale hanno maggiori contatti oltralpe: si sta solidificando una rete di scambi! Tuttavia, spero vivamente che la politica culturale del Cantone diventi sempre più sensibile e attenta alla danza e alle arti performative in generale, perché in Ticino le compagnie faticano a stabilirsi. La danza vive di pochi finanziamenti e l’attenzione generale verso la cultura indipendente è carente. Per questo sono contenta del progetto Carta della Gerra, promosso dall’Associazione Idra. In questo movimento, in cui sono stati coinvolti operatori e artisti intergenerazionali, sono scaturite proposte concrete per migliorare la situazione, in particolare della cultura indipendente. Un ottimo auspicio di crescita!

© BAK / Charlotte Krieger
Festa danzante 2019 © LuganoEventi Città di Lugano

L’ARMONIA di

tante UNICITÀ

Quando la persona è quella giusta, il messaggio passa con più chiarezza. L’esperienza di Petra Peter che, con un team selezionato e formato, supporta le aziende in occasioni e per eventi speciali

L’ agenzia Petra Peter’s Events festeggia i suoi primi venticinque anni, nel segno di un’imprenditorialità femminile. Tempo di bilanci per una realtà che, nata nell’ambito dell’hospitality, è oggi operativa in settori e con funzioni diversi. «Può trattarsi

di eventi istituzionali, sfilate di moda, presentazione di un nuovo Brand o di una nuova collezione, di eventi sportivi o culturali», nota Petra Peter, sottolineando come «ciò che accomuna queste diverse circostanze, è la necessità di individuare i profili giusti. Il che significa non semplicemente le persone più belle ma le risorse che, all’interno del mio team, rispecchiano meglio le carattestiche dell’azienda, del marchio o della tipologia di evento per il quale siamo interpellati o riceviamo un mandato». L’affinità tra le caratteristiche dell’azienda e della circostanza e quelle della persona o delle persone che sono assegnate a quello specifico incarico crea un risultato finale credibile, piacevole e per ciò stesso efficace.

Petra Peter’s Events da venticinque anni valorizza la bellezza in tutte le sue espressioni. Testimone di quel cambiamento, e testimoniandolo a sua volta, che in un mondo in continua trasformazione riguarda anche il concetto di bellezza.

«Il paradigma è cambiato. Soprattutto in termini di inclusività. Sono stati abbandonati i rigidi standard che dominavano fino solo a qualche anno fa. Nei casting per eventi di alto profilo, per esempio, la sola presenza di tatuaggi o piercing era motivo di esclusione. Oggi questi elementi sono considerati una forma di espressione dell’individualità, e per questo accettati. Anche l’industria della moda, per decenni legata a un certo ideale di bellezza, oggi di ideali ne contempla diversi, favorendo la rappresentazione di altrettante tipologie di fisicità; basti pensare alle modelle curvy. Del resto, è proprio questa inclusività, diventata un valore imprescindibile, a rendere il settore molto più ricco e stimolante. Solo grazie a questa varietà di tipologie, chi fa il mio lavoro riesce ad individuare profili specifici per richieste puntuali: penso ad esempio alle richieste relative a campagne pubblicitarie o video promozionali», nota Petra Peter. Dopo venticinque anni, Petra Peter’s Events non è solo un’agenzia di eventi, ma un punto di riferimento per chi cerca un’esperienza unica e raffinata. «La comunicazione è sempre stata il cuore del mio lavoro, come pure la ricerca di eleganza e armonia, al di là del semplice criterio estetico». Con centinaia di giovani formati e un network internazionale in continua crescita, «Mi piace pensare di aver contribuito a creare momenti di bellezza autentica, affermando un ideale che non si limita all’esteriorità».

NELLE DUE PAGINE, DALL’ALTA GIOIELLERIA AL FASHION, DAGLI EVENTI SPORTIVI AI SERVIZI FOTOGRAFICI DI MODA: COME IN UN PUZZLE, OCCORRE CHE CI SIANO LE PERSONE GIUSTE AL POSTO GIUSTO
IN QUESTA FOTO, PETRA PETER, FONDATRICE E TITOLARE DELL’OMONIMA AGENZIA DI EVENTI. EVENTI DI TIPOLOGIE E IN AMBITI DIVERSI: AZIENDALI E ISTITUZIONALI, DI MODA, SPORTIVI E CULTURALI

IN ALTO, MISSONI, DALLA SFILATA PE2025; BRACCIALE LAURENCE

GRAFF SIGNATURE, IN ORO GIALLO, DI GRAFF IN BASSO, CHANEL, OCCHIALI QUADRATI DA SOLE, CON MONTATURA E

LENTI IN COLORE ROSSO, E

BALLY: RUNWAY, BORSA MINI RAY IN PELLE BLU

La natura che rinasce, i colori che riprendono possesso del paesaggio e del guardaroba. Vigorosamente. L’energia nuova della stagione che risveglia i sensi

BENTORNATA VITALITÀ!

IN APERTURA, ALEXANDER CALDER, CARNEVALE DI PRIMAVERA, 1965. A SINISTRA DALL’ALTO, VERSACE OPERA BOW SABOT IN VERNICE 85MM, MAISON MARGIELA: MOCASSINI E MESSENGER BAG MINI MEISTERSTÜCK DI MONTBLANC

ACCANTO, ALCUNI DEI COSTUMI DISEGNATI

DA LEONOR FINI PER IL TEATRO, IN MOSTRA

INSIEME A DIPINTI E ALTRE SUE CREAZIONI

A PALAZZO REALE, A MILANO, FINO AL 22 GIUGNO, TESTIMONIANO IL TALENTO POLIEDRICO DELL’ARTISTA

SOPRA, IL SUO AUTORITRATTO CON CAPPELLO ROSSO, 1968, OLIO SU TELA, 84 X 61 CM, ARCHIVIO FOTOGRAFICO

DEL MUSEO REVOLTELLA - GALLERIA D’ARTE MODERNA, TRIESTE

ENIGMA Magnetico

Una fra le artiste più sfavillanti e oscure

del Novecento: l’italo-argentina

Leonor Fini, di estrema attualità con la sua opera anticonvenzionale

IN FEMME ASSISE SUR UN HOMME NU, DEL 1942, LEONOR FINI REINTEPRETA IL MITO DI VENERE E ADONE

La sfinge è il suo perfetto alter-ego. Ibrido fra uomo e animale, come le tante creature che popolano le sue opere. Femminile, enigmatica e temibile come quella del mito greco; regale, eterna e protettrice come nella versione egizia - due fra le culture che permeano l’originale e stratificato immaginario di Leonor Fini (Buenos Aires, 1907 - Parigi, 1996). La spiccata predisposizione per la fantasia, l’attrazione per il subconscio e l’intolleranza alle regole che manifesta sin da ragazza, contraddistinguono i quasi novant’anni della sua esistenza che attraversa il Novecento e la vede reinventarsi continuamente: pittrice, scenografa, costumista, illustratrice, scrittrice, ... sempre, però, coerente alla propria poetica, rivendicando una libertà senza compromessi, tanto sul piano artistico quanto nella trasgressione delle norme sociali, in particolare quelle del matrimonio e della maternità. Se la sua produzione è vicina per predilezioni tematiche, sensibilità e amicizie al

PERCORSI_MOSTRE

DI MIRTA FRANCESCONI

A DESTRA, DALL’ALTO, LE ATMOSFERE ALCHEMICHE DI LE BOUT DU MONDE, 1948, DOVE LEONOR FINI APPARE COME NOVELLA PERSEFONE; IL SUO ALTER-EGO PER ECCELLENZA IN SPHINX (ORANGE), 1973, E RASCH, RASCH, RASCH, MEINE PUPPEN WARTEN! - DICHIARAZIONE D’ARTISTA - DIPINTO A 77 ANNI

surrealismo, in cui si immerge nella Parigi di fine anni Trenta, ha sempre rifiutato quest’etichetta, costruendo un universo creativo autonomo e rivoluzionario, tanto da risultare più che mai attuale per la sua capacità di anticipare questioni ancora oggi centrali nel dibattito artistico e culturale: dal genere all’identità, passando attraverso i modelli consolidati di famiglia e il rapporto con la sessualità.

Una modernità e una complessità di linguaggio restituite con efficacia e grande completezza dalla mostra in corso a Milano (Io sono Leonor Fini, a Palazzo Reale fino al 22 giugno), una delle più rilevanti retrospettive mai dedicate all’artista italo-argentina. Oltre 100 opere tra dipinti, disegni, fotografie, costumi e video, scandite in nove sezioni tematiche, testimoniano la versatilità della sua produzione, a partire dalla prima giovinezza, attraverso gli anni della formazione tra la mitteleuropea Trieste dove cresce, poi a Milano dove esordisce con la sua prima mostra, Roma e soprattutto la Parigi di Dalí, Miró, Max Ernst, André Breton, Remedios Varo, Leonora Carrington, Dora Maar, con cui stringe importanti legami. Conturbanti come lei sono i personaggi, soprattutto femminili, che abitano le sue tele: maghe, guerriere, streghe, fate e dee, sfingi, chimere e sirene, spesso impegnate in misteriosi rituali arcaici. Ma nella sua pittura è riconoscibile anche la lezione dei grandi maestri del passato, che reinterpreta per veicolare i suoi messaggi di grande innovazione, proponendo un viaggio nei territori dell’inconscio e del sogno, in cui l’essenza dell’essere prende forma, nutrendosi delle sue esplorazioni psicoanalitiche e di metamorfosi alchemiche. Anche nel campo della moda ha lasciato il segno: sua, ad esempio, l’iconica boccetta del profumo Shocking per Elsa Schiaparelli, con cui strinse un’intesa creativa. Dal 1944 al 1972 disegna anche costumi e scenografie per i più importanti teatri europei e il grande schermo, collaborando con autori del calibro di Strehler, Fellini e Visconti (esposti gli splendidi costumi per Tannhaüser (1963) e gli originali bozzetti per le scenografie del Teatro alla Scala, partner della mostra).

La scrittura la accompagna per tutta la vita, raggiungendo l’acme negli anni ’70 con la pubblicazione del monumentale Le livre de Leonor Fini e, quando scompare a 88 anni, ha da poco finito di lavorare a un libro illustrato di racconti, Pourquoi Pas? Tra le curiosità in mostra anche il documentario Il mondo di Leonor Fini, del 1966, realizzato dalla Radio Televisione Svizzera, in cui l’artista dichiara il suo amore per l’estate che le permetteva di “restare con il minor numero possibile di abiti addosso” - una fra le tante provocazioni del suo spirito ribelle.

CANONE INVERSO

Mettere

a NUDO

Suzanne Valadon INDOMITA

Modella prediletta dai pittori di Montmartre con il nome di Maria, Suzanne Valadon (1865-1938) imparò a disegnare osservando gli artisti per i quali posava. Ai margini delle tendenze dominanti del suo tempo, difendendo con ardore la necessità di dipingere la realtà, pose il nudo, sia femminile che maschile, al centro della sua opera, rappresentando il corpo con tratti incisivi, senza artifici o voyeurismo. La grande monografica al Centre Pompidou ne celebra l’audacia, attraverso 200 opere.

DUE ACRILICI SU TELA DI TRACEY EMIN

Firenze Parigi

SOPRA, DUE OPERE DI SUZANNE VALADON

DA SINISTRA, CATHERINE NUE ALLONGÉE SUR UNE PEAU DE PANTHÈRE, 1923, LUCIEN ARKAS

COLLECTION, E LES DEUX SŒURS, 1928

COLLEZIONE PRIVATA

Suzanne Valadon Centre Pompidou, fino al 26 maggio 2025

Tracey Emin PERTURBANTE Confessioni LACERANTI

SOPRA, HURT HEART, 2015, MELBOURNE, ACAF, COLLECTION BY YASHIAN SCHAUBLE.

A DESTRA, I WAITED SO LONG, 2022, COLLEZIONE PRIVATA C/O XAVIER HUFKENS GALLERY

Tracey Emin. Sex and Solitude

Palazzo Strozzi, fino al 20 luglio 2025

Un intenso viaggio nei temi del corpo e del desiderio, dell’amore e del sacrificio che permeano i lavori di Tracey Emin (1963), fra le artiste britanniche oggi più influenti, celebre per l’approccio diretto e crudo con cui traduce esperienze personali in opere profondamente intime e potenti. Con 60 lavori che spaziano tra pittura, disegno, video, fotografia e scultura, incluse nuove produzioni ad hoc, a Palazzo Strozzi è in corso la più grande mostra finora dedicatale in Italia.

Photo © Matthew Hollow
Photo © Hadiye Cangokce

Carol Rama

PROVOCATORIA

SOPRA, OCCHI DI BAMBOLA E TASSIDERMIA PER QUESTE DUE OPERE DI CAROL RAMA: DA SINISTRA, SENZA TITOLO, 1967, COLLEZIONE PRIVATA, E ANNUNCIAZIONE, 1985, COLLEZIONE PRIVATA.

Carol Rama, Ribelle della modernità Kunstmuseum Bern, fino al 13 luglio 2025

CDome molte artiste di spicco dell’avanguardia, la torinese Carol Rama (1918-2015) ha ricevuto un riconoscimento tardivo, solo quando è stata premiata con il Leone d’Oro alla 50ma Biennale di Venezia nel 2003. Autodidatta, indipendente da qualsiasi scuola, ha creato un corpus di opere provocatorie e molto personali, alternando ogni dieci anni circa nuovi periodi creativi, presentati nei sei capitoli della mostra in corso al Kunstmuseum Bern, la prima grande retrospettiva in Svizzera dedicata a questa pioniera dell’arte femminista, che si distingue per ribellione, radicalismo, gusto per la sperimentazione e varietà dei materiali utilizzati.

DirompenteRIBELLIONE EsuberanteCARNALITÀ Berna

a oltre tre decenni, Jenny Saville (1970) esplora la tradizione secolare della rappresentazione del corpo umano, con le sue figure che occupano una zona ambigua tra idealizzazione e decostruzione. Traendo ispirazione dai grandi maestri - da Michelangelo a Bacon - la sua è una pratica pittorica definita dalla fisicità, dalla carnalità e dall’interazione tra nuovi e vecchi media, tra figurazione e astrazione. Che rappresenti corpi altrui o il suo stesso profilo, sfida sempre le nozioni convenzionali di bellezza e bruttezza. Il Museo Albertina dedica a questa importante artista britannica la prima personale in Austria focalizzata sugli ultimi due decenni.

DA SINISTRA, JENNY SAVILLE, BYZANTIUM, 2018, THE GEORGE ECONOMOU COLLECTION; GAZE, 2021–2024, PRIVATE COLLECTION

Jenny Saville. Gaze Albertina Museum, fino al 29 giugno 2025

DALLA COLLEZIONE DUAL CODE DI ELENA SALMISTRARO PER SIGNATURE

KITCHEN SUITE, FRIGORIFERO CONVERTIBILE SOTTOPIANO SUPERNOVA

VINO CANTINA SOTTOPIANO SUPERNOVA

FRIGORIFERO CONVERTIBILE SOTTOPIANO VECTOR

UNA SINFONIA in continuo DIVENIRE

Un pezzo di design non è mai solo un ‘oggetto comune’, ma qualcosa che invita alla riflessione, che evoca diverse dimensioni diventando una sorta di piccola finestra sul mondo. È un oggetto capace di trasmettere cultura

QUI ACCANTO, ELENA SALMISTRARO, PRODUCT DESIGNER E ARTISTA.

TRA I DIVERSI PREMI RICEVUTI, È DEL 2023 LA SUA NOMINA A DESIGNER DELL’ANNO DALLA FIERA DI FRANCOFORTE PROSPETTIVE_DESIGN

Il suo universo creativo è un crocevia di design, moda, arte e illustrazione. Un variopinto tripudio, gioioso e giocoso, delle cose belle della vita. Con Elena Salmistraro, product designer e artista, alla scoperta di un mondo che restituisce il senso della piena libertà. Una dimensione oggi più che mai bella e desiderabile.

Emozione oltre la funzione. Come product designer, sente questa ‘responsabilità’ e il merito di generarla nei fruitori degli oggetti che crea?

Credo che le emozioni più autentiche nascano in modo spontaneo, senza forzature. Ho imparato che quando si cerca di ottenere un risultato emotivo preciso, il rischio è quello di costruire qualcosa di artificiale, perdendo quella sincerità che invece è fondamentale. Dunque, non mi soffermo troppo a pensare alla responsabilità di suscitare un’emozione nei fruitori dei miei oggetti. Per me, l’unico modo per trasmettere davvero un’emozione è esprimere ciò che sento senza condizionamenti, lasciando che il processo creativo segua il suo corso naturale.

Questo è un principio che ho compreso dall’arte e che applico a tutto ciò che faccio, perché la verità di un’opera si percepisce, indipendentemente dall’intenzione.

Se i miei oggetti riescono a toccare corde profonde, andando oltre la loro funzione, è proprio perché nascono da una ricerca libera e autentica. Mi concentro sull’atto creativo in sé, sulle forme, i colori, le suggestioni che mi guidano nel processo.

Il resto, quindi l’emozione che arriva a chi osserva e utilizza i miei oggetti, è una conseguenza naturale di questa sincerità espressiva.

SOTTO, A SINISTRA, VASI DELLA COLLEZIONE

PRIMATES, PROGETTATA DALLA DESIGNER PER BOSA, CON FINITURE IN SMALTI COLORATI E METALLI

PREZIOSI E A DESTRA, COFFEE TABLES SANGAKU

REALIZZATI PER DRIADE

Qual è la sua definizione di design/oggetto di design? Direi che è prima di tutto la capacità di un oggetto di trasmettere cultura. Cultura nel senso ampio, intesa come il racconto di un’idea, di una funzione, di un materiale, di un’epoca o anche di un’emozione. Un oggetto di design non è solo qualcosa di utile, va invece oltre la sua funzione pratica, che porta con sé un significato profondo, un racconto. Ogni elemento, dalla scelta dei materiali alla forma, può evocare un legame con un determinato periodo storico, una tradizione o una sensibilità contemporanea. La bellezza del design sta proprio nel fatto che ogni singolo oggetto può essere letto e interpretato in mille modi diversi, in base alle esperienze e alla cultura di chi lo disegna e di chi lo osserva.

Da quali premesse nasce la nuova capsule collection Signature Kitchen Suite e come si connota nell’ambito del suo personale universo creativo?

La nuova capsule collection di Signature Kitchen Suite nasce da un dialogo fondato su una conoscenza già approfondita del mio linguaggio espressivo. Fin dall’inizio, il brand aveva idee molto chiare su ciò che cercava, nello specifico, un progetto capace di inserirsi con naturalezza in ambienti dal carattere deciso e dai colori intensi, creando un equilibrio armonioso tra contenitore e contenuto. L’obiettivo era sviluppare un concept di cabinet per il vino cantina e il frigorifero sottopiano che potesse declinarsi in due versioni complementari, una più audace e protagonista, in grado di imporsi con forza nello spazio, e l’altra più discreta, ma comunque dotata di una forte identità. È proprio su questa dualità che ho voluto concentrare la mia ricerca, lavorando sul concetto di dual code, quindi due linguaggi apparentemente distinti, ma profondamente connessi dalla stessa idea di fondo.

Questo approccio mi ha consentito di esplorare nuove prospettive, trovando un equilibrio tra contrasto e continuità, tra esuberanza e misura. È stata una sfida stimolante che mi ha permesso di raccontare la stessa visione attraverso due punti di vista differenti, ma complementari.

© Iacopo
Barattieri

IN FOTO, DIVANO

MODULARE GRUMETTO, DISEGNATO DA ELENA SALMISTRARO PER BUSNELLI

In tema di design e della sua interazione con l’essere umano e con l’ambiente in cui l’essere umano si muove e prova emozioni, qual è la sua definizione di bellezza?

La bellezza, soprattutto nell’ambito del design, è come una sinfonia in continuo divenire, capace di trasformarsi e adattarsi al fluire dei tempi e della cultura. Non si può ridurre a un insieme di regole fisse, anche se esistono codici e maniere che ci guidano nella sua definizione, come l’attenzione ai pesi, ai bilanciamenti e alle proporzioni, ma anche questi elementi si evolvono, rispecchiando le sensibilità e le esigenze della contemporaneità.Personalmente, vedo il design come un linguaggio che dialoga con l’essere umano e con l’ambiente circostante, andando oltre la dualità forma/funzione. La bellezza, in questo senso, nasce dall’armonia che si crea tra le varie componenti, è quel perfetto equilibrio in cui ogni dettaglio trova il suo posto nella composizione. Il design diventa quindi un ponte tra l’industria, l’arte e la vita quotidiana, un mezzo per raccontare storie e per far emergere l’essenza di periodo storico, rendendo ogni oggetto unico e in continua evoluzione. Come risolve, con le sue creazioni, la dicotomia funzionalità-bellezza?

Nel mio lavoro, la dicotomia tra funzionalità e bellezza si dissolve abbandonando la visione tradizionale che vedeva questi aspetti in opposizione. Le mie creazioni nascono da un approccio che guarda all’oggetto come a un sistema complesso, in cui produzione, comunicazione, distribuzione e persino la dismissione sono tutti elementi integranti. In questo contesto, l’aspetto formale diventa parte di un insieme più ampio e stratificato, anziché essere l’unico punto di riferimento. Questo tendenzialmente mi porta a progettare oggetti densi, pieni e ricchi di livelli di significato, dove ogni elemento ha il suo ruolo e insieme dà vita a un esperimento che va oltre la semplice funzionalità, ricercando

una bellezza che nasce dalla complessità e dalla profondità del processo creativo. Il colore per lei è…?

Per me il colore è molto più di un semplice aspetto estetico, è un linguaggio, un mezzo espressivo capace di trasmettere emozioni e significati profondi. Disegnando, ho imparato a riconoscere il valore di ogni tonalità, a comprenderne le sfumature emotive e simboliche. Spesso utilizziamo il colore anche nel linguaggio comune senza rendercene conto, ad esempio penso al rosso della passione, al nero della rabbia o al blu della tristezza. Sono associazioni spontanee, quasi istintive, che arricchiscono la nostra comprensione del mondo. Nel mio lavoro, mi piace giocare con il colore, sperimentare accostamenti inaspettati, creare contrasti e stratificare significati. Non lo temo, anzi, lo considero uno strumento potente per dare profondità e carattere a un progetto. Comunque, credo anche che il colore, da solo, non possa risolvere un’idea debole, mentre una scelta cromatica sbagliata può compromettere la forza e l’efficacia di un progetto ben costruito. Per questo motivo, do grande attenzione ad ogni dettaglio cromatico, cercando sempre il giusto equilibrio.

Un oggetto di design, suo o di altri, che la rappresenta. Un oggetto che mi pace molto è sicuramente il cavatappi di Alessandro Mendini, Alessandro M. disegnato per Alessi. Non so se mi rappresenta, ma solo guardarlo mi rende felice, e questo basta.

Lo spazio della casa che per lei ha un significato speciale e perché...

Lo spazio della casa che ha per me un significato speciale è senza dubbio lo studio. Anche se può sembrare semplice, è il luogo dove nascono le mie creazioni, dove la pittura prende forma. Ogni volta che entro, mi trovo a confrontarmi con forme e colori, in un gioco che mi permette di esprimermi liberamente. È il mio rifugio, il posto dove posso essere veramente me stessa, dove le idee fluiscono senza ostacoli. In fondo, è il mio laboratorio di sperimentazione. È uno spazio in continua evoluzione, che non solo riflette chi sono, ma cresce insieme a me, come se fosse una parte di me.

L’oggetto che non ha ancora creato, ma a cui pensa da un po’...

Non so. Forse mi piacerebbe disegnare una sedia, ma ogni volta mi blocco, e quelle che ho disegnato finora non mi hanno mai soddisfatto appieno. È un progetto estremamente complesso, perché una sedia non è solo una questione di forma, ma di equilibrio tra ergonomia, funzione ed emozione. Proprio questa complessità, però, la rende una sfida affascinante, qualcosa a cui continuo a pensare e che, prima o poi, vorrei affrontare nel modo giusto.

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Architettura

SENZA CONFINI

Estetica raffinata e soluzioni all’avanguardia, in un equilibrio perfetto, tra natura e tecnologia

NELLA PAGINA ACCANTO, LA SALA DA PRANZO,

SPETTACOLARE PER IL PANORAMA VERSO IL QUALE È ORIENTATA E PER LA SCENOGRAFICA

INCASTONATURA, NEL SUO SOFFITO A VETRO, DELLA

INFINITY POOL E, IN QUESTA PAGINA, UNO SCORCIO

DELL’ULTIMO PIANO DELLA VILLA E DELLA SUA

TERRAZZA DOVE È COLLOCATA LA PISCINA

Èi ncastonata sul pendio ammantato di verde, che domina il lago dalle sfumature argentee. Questa residenza d’élite è un capolavoro architettonico che fonde innovazione, design e sostenibilità, offrendo un’esperienza abitativa senza pari. Improntata a un’architettura visionaria, si presenta con linee pulite, grandi vetrate panoramiche e materiali pregiati, che ne definiscono gli spazi interni e quelli esterni, creando un equilibrio perfetto tra natura e modernità. Il design minimalista esalta la luce naturale e il panorama mozzafiato, con interni che si aprono armoniosamente verso l’esterno grazie a terrazze e giardini. Un rifugio pregiato.

Nato dall’idea di creare una ‘casa’ nel senso più profondo del termine, il progetto ridefinisce il concetto di abitare contemporaneo. Destinato fin dall’inizio a dare forma non a una residenza, quanto piuttosto a una dimensione intima, sicura e avvolgente, capace di fondersi con il paesaggio circostante e regalare un’esperienza di benessere senza compromessi. «L’obiettivo era la realizzazione di uno spazio esclusivo capace di emozionare e stupire», nota l’architetto Massimiliano Cattaneo, autore del progetto e direttore di Valeur Concept, studio di progettazione con sede a Lugano, «La sfida era ‘domare la natura con l’architettura’. A cominciare dalla logistica del sito, che ha richiesto soluzioni costruttive su misura per adattarsi al contesto. Inoltre, l’impiego di tecnologie avanzate, materiali ad alte prestazioni e strategie per ottimizzare

il consumo energetico ha reso il progetto un vero banco di prova per l’ ingegneristica, che in questo caso ha dovuto esprimere la propria eccellenza», prosegue l’architetto, considerando che: «Raggiungere la certificazione Minergie, uno degli standard più rigorosi per l’efficienza energetica, è stata una sfida ambiziosa». Nel segno dell’innovazione, tecnologia e materiali sono stati scelti per assicurare un comfort totale. Ogni dettaglio è stato studiato per garantire un’abitazione che va oltre il concetto tradizionale di lusso. «Le soluzioni implementate includono, sotto il profilo tecnico, fondazioni speciali e protezioni anti-Radon, per una sicurezza assoluta, automazione avanzata degli impianti, per una gestione smart degli ambienti, dalla climatizzazione all’illuminazione. Dal punto di vista estetico, sono stati scelti rivestimenti in grandi lastre ceramiche, capaci di trasformare lo spazio in un’opera d’arte contemporanea e, vero e proprio fiore all’occhiello del progetto, una piscina in vetro sospesa sul tetto, una vera icona di design riconosciuta a livello internazionale, che sembra fondersi con il cielo. Da queste premesse è nata un’opera iconica di design e funzionalità.

IN ALTO, LE CAMERE DA LETTO DELLA

VILLA, VERE E PROPRIE SUITE PRIVATE, SONO IMMERSE IN UN’ATMOSFERA DI QUIETE E BENESSERE, CON BAGNI EN SUITE CARATTERIZZATI DA RIVESTIMENTI E DETTAGLI DI PREGIO E, QUI A SINISTRA, L’IMPONENTE

SCALINATA: LEGNO, VETRO E ACCIAIO

MIRROR CONCORRONO NEL RAPPRESENTARE UN CAPOLAVORO ARTIGIANALE E ARCHITETTONICO

DELLA VILLA

RIPRESA DAL DRONE

E, SOTTO, DUE

SPAZI DEDICATI AL BENESSERE E AL

RELAX: LA SAUNA

E LA SALA CINEMA

«La scelta dei materiali è stata cruciale per esaltare il concept progettuale. Le grandi lastre ceramiche non solo enfatizzano la spazialità, ma garantiscono luminosità, resistenza e un’eleganza senza tempo. L’obiettivo era trovare il perfetto equilibrio tra raffinatezza e durata, per ambienti che mantengano il loro fascino negli anni; come pure tra tecnologia e artigianalità, per soluzioni su misura capaci di rispondere a ogni esigenza e, infine, tra efficienza e sostenibilità, in linea con gli standard energetici più elevati», nota il progettista.

Design, tecnologia e sostenibilità coesistono in perfetta armonia, dando vita a un’architettura senza confini. Scelte progettuali e stilistiche hanno dato forma non (solo) a una dimora, ma a un sogno trasformato in realtà: il massimo del benessere e dell’esclusività condensati in un lusso che, non ostentato, è espresso da tutti quei minimi dettagli capaci di esaltare al massimo la qualità della vita.

CHI • COSA • DOVE

MODA & ACCESSORI

Akris; Apilat; Armani; Bally; Cettina Bucca; Chervò; Drali; Erreà; Hermès; Louis Vuitton; Maison Margiela; Missoni; Nike; Ovyè; Petzl; Pomandère; Prada; Romeo Gigli; Sachin & Babi; Versace; Victoria Beckham; Zadig & Voltaire

OROLOGI & GIOIELLI

Cartier; Graff; Gübelin; Pomellato; Tiffany; Van Cleef & Arpels

BEAUTY

Chanel; Hermès; La Mer; La Prairie; Mavex; Nars; Shiseido; Sisley; Valmont

ABITARE

Bosa; Busnelli; Driade; Signature Kitchen Suite; Valeur Concept

BOUTIQUE & PUNTI DI VENDITA

Bucherer, Via Nassa 56, Lugano • Cartier, Piazzetta Maraini 1, Lugano • Charly Zenger, Via Borgo 49, Ascona e Via Pessina 8, Lugano Gold Time, Via Luvini 4, Lugano e Piazza Indipendenza, Chiasso • Gübelin, Via Nassa 27, Lugano • Hermès, Piazzetta Maraini, Lugano Mersmann, Via Nassa 5, Lugano • Montblanc, Via Pretorio 7, Lugano • Nassadonna, Piazza Bernardino Luini 2, Lugano Petra Peter’s Events, via Sasselli 18, Agno • Rocca 1794, Via Nassa 4, Lugano • Somazzi, Via Nassa 36, Lugano • Tourbillon, Via Nassa 3, Lugano

LUOGHI

Albertina Museum, Vienna; Art Basel, Basilea; Bohemia, Basilea; Casa della Letteratura per la Svizzera italiana, Lugano; Centre Pompidou, Parigi; Grand Hotel Villa Castagnola, Lugano; Kunstmuseum Bern, Berna; La Brezza - Hotel Eden Roc Ascona e La Brezza Tschuggen Grand Hotel Arosa; Les Trois Rois, Basilea; Musée du Louvre, Parigi; Next Fertility ProCrea, Lugano; Palazzo Reale, Milano; Palazzo Strozzi, Firenze; Tinguely Museum, Basilea

in COPERTINA gioielli Cartier abito Pomandère

modella Milona Mikhailava IG milona_m photographer & creative director Marina Prinzi  marinaprinzi.com IG marinaprinziphotography make up & hairstylist

Anastasia Kataurova IG anastasiakataurova retoucher

Retouch Concept IG retouchconcept

location

Grand Hotel Villa Castagnola, Lugano

IMPRESSUM

Editore eidos swiss media sagl 6900 lugano info@eidosmedia ch

Redazione via lavizzari 4 - 6900 lugano tel. 091 735 70 00 redazione@eidosmedia ch

Pubblicità tel. 091 735 70 00 • pubblicita@eidosmedia ch

Abbonamenti tel. 091 735 70 00 • abbonamenti@eidosmedia.ch www.eidosmedia.ch

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