Artigianalità e tradizione, oltre i limiti del tempo
DIGITALE
Autentiche trasparenze di gemme e di gioie
CULTURA
Monete, scambi e valori: collezioni di significato
FINANZA
La corsa dei passivi: alleanze di lungo periodo
EUREKA
Tradurre senza tradire? Con Intelligenza è possibile
ARREDO
Installazioni plurisensoriali, Milano interprete di forme
nella categoria “Mixed Asset EUR Cons – Global”
Il presente documento è una comunicazione di marketing BASE INVESTMENTS SICAV (la “SICAV”), con sede in Lussemburgo, è promossa e gestita da Banca del Sempione SA Prima della sottoscrizione leggere il prospetto informativo, il quale contestualmente ai KID, allo statuto e alla relazione annuale a semestrale della SICAV, possono essere richiesti gratuitamente presso Banca del Sempione SA, Via Peri 5, Lugano, nominata Rappresentante della SICAV e Agente per i Pagamenti in Svizzera e sul sito www basesicav ch RISCHI DELL’INVESTIMENTO: Ogni comparto della SICAV comporta specifici rischi, quali, a mero titolo esemplificativo, il rischio derivante dall’investimento in obbligazioni, in divise di Paesi Emergenti e dal ricorso a strumenti derivati Per maggiori informazioni sui rischi siete pregati di consultare l’apposita sezione del prospetto e rivolgervi ai propri consulenti finanziari Con riferimento alla commercializzazione del Comparto in Svizzera, il luogo di esecuzione è presso la sede legale del Rappresentante della SICAV in Svizzera Il foro competente è presso la sede legale del Rappresentante della SICAV in Svizzera o presso la sede legale o il domicilio dell’investitore Per informazioni: Banca del Sempione SA, Lugano – Chiasso – Bellinzona –Locarno / www bancasempione ch
The LSEG Lipper Fund Awards are based on the Lipper Leader for Consistent Return rating, which is a risk-adjusted performance measure calculated over 36, 60 and 120 months Lipper Leaders fund ratings do not constitute and are not intended to constitute investment advice or an offer to sell or the solicitation of an offer to buy any security of any entity in any jurisdiction For more information, see lipperfundawards com
Maria Antonietta Potsios - mapotsios@eidosmedia.ch
Eleonora Valli evalli@eidosmedia.ch
Hanno collaborato a questo numero Ettore Accenti, Achille Barni, Alessandro Beggio, Marco Betocchi, Ignazio Bonoli, Simona Galli, Florian Anderhub,Nikol Marinčić, Frank Pagano, Stelio Pesciallo, Francesca Prospero Cerza, Rocco Rigozzi, Luca Trisconi, Andrea Ziswiler, Progetto e coordinamento grafico Veronica Farruggio grafica@eidosmedia.ch
Annuo franchi 100.- (9 numeri, 3 bimestrali) Estero: supplemento postale
Tel. 0041 (0)91 735 70 00
Logistica e amministrazione amministrazione@eidosmedia.ch
Chiusura redazionale: 7 aprile 2025
Montblanc Meisterstück
Chi di dazio ferisce...
Le ultime sono state settimane sicuramente un po’ surreali, e da diversi punti di vista, nel male ma anche nel bene.
Su un fronte più squisitamente economico sono venute meno diverse certezze che oltre mezzo secolo di miracolo commerciale aveva reso possibili. I minacciati dazi, e in certe materie è sufficiente minacciare per far danni, potrebbero essere l’inizio della fine dell’impero americano? Se anche fosse, c’è poco di cui compiacersi, ma che per fare grande l’Europa servisse proprio ‘costui’ fa quanto meno sorridere. Anche lasciando da parte improbabili alleanze, è forse tempo di riscoprire le risorse nascoste del mercato unico europeo, da qui l’invito a Berna di sbrigarsi.
In termini finanziari si è fatto un salto carpiato indietro di diversi anni, ai tempi della Grande Crisi del 2008, o del 2011. Centinaia di miliardi persi, tornati, bruciati, trasfigurati… di preciso cos’è successo? Qualcuno ha visto, qualcuno ha chiamato, qualcuno ha bluffato. Il poker c’è mai stato? Che determinate valutazioni siano irragionevoli non è certo un mistero troppo gelosamente custodito.
Si è però consumato anche Watches & Wonders, dove evidentemente hanno fatto irruzione i dazi in tutta la loro fluidità, trovati a confrontarsi a Ginevra con una delle più antiche tradizioni svizzere, con tutte le sue mirabili complicazioni.
Dalla Ginevra capitale dell’orologiero alla Milano epicentro del design con il Salone del Mobile: due protagoniste relative ma assolute dei loro microcosmi per una settimana. Un’intera settimana; un lusso oggi, da concedersi e in parte meritarsi.
Around The World in 80 Days LE811
È il racconto di questa edizione, nella ferma convinzione che lasciarsi sorprendere sia ancora un valore, ma che non ci si debba mai far cogliere impreparati. Un difficile, ma forse necessario, equilibrismo.
Federico Introzzi
Dazi, pesce d’aprile?
Il nuovo ambiente economico e commerciale che va delineandosi assomma tutta una serie di svantaggi, e ben pochi benefici, per nessuno. In quali circostanze i dazi potrebbero essere utili, e cosa si spera di ottenere concretamente?
Opinioni
12 Ettore Accenti. Alla base del miracolo tecnologico californiano si trovano molteplici motivazioni.
14 Luca Trisconi. Dietro al caso Credit Suisse diverse lacune normative.
16 Andrea Ziswiler. Le regole europee dell’Ia arrivano anche in Svizzera, cosa è legittimo aspettarsi?
18 Stelio Pesciallo. L’ennesima deriva normativa cui stanno pensando a Berna non si capisce a cosa servirebbe.
20 Ignazio Bonoli. Dazi, la parola del momento. Il problema è che non si riesce a capire come uscirne.
22 Olivier Giannini (in foto). L’allentamento dell’obbligo di contrarre quali conseguenze potrebbe avere?
24 Martino Piccioli. Ciclicamente in Svizzera tornano a rialzare la cresta pericolose tensioni redistributive.
Economia
38 Testimonianze. Il futuro parla di terre rare? Stando a molti così sembrerebbe, Trump in primis, ma cosa si dice in Spagna e in Svizzera?
40 Alta gamma. Ecco cosa succede quando la tecnologia incontra le tradizioni più preziose. Autenticità, eticità, trasparenza e fiducia. A beneficiarne il cliente finale.
Da sinistra, Aneeka Gupta, Director ricerca macroeconomica di WisdomTree; Valentin Bissat, Multi-Asset Strategist di Mirabaud Am; Raphael Gallardo, Capo economista di Carmignac; e Vincenzo Vedda, Cio di Dws.
Osservatorio
85 Sfama. Le nuove dall’industria dei fondi svizzera.
86 Tematici. Spesso sottovalutata? La presenza di una famiglia in azienda.
89 Materie prime. Prosegue la corsa dell’oro, ma quali sono le sue cause?
92 Valute. Il primato del biglietto verde quale moneta di riferimento quanto durerà? Il dibattito è acceso, le speculazioni si sprecano.
93 Alternativi. Il collezionismo di auto non solo d’epoca è un investimento sempre più quotato, e con ottimi rendimenti, ma richiede il supporto di un esperto.
94 Scenari (in foto, Lorenzo Vangelisti). L’Europa già prima delle ultime settimane era nel mezzo di un percorso di profondo ripensamento di molte logiche del passato, in primis la riscoperta della leva fiscale in Germania.
42 Orologiero . La complicazione dei secondi morti narra una storia di grande fascino, in una commistione di precisione, filosofia e ingegno.
50 Territorio. Anche in Ticino c’è una forte presenza dell’indotto dell’orologiero svizzero, che a sua volta è diventato tradizione.
53 Territorio. Qualità Swiss made, conoscenza locale e ingegno italiano. Il successo è servito.
54 Territorio. Era leader dell’assemblaggio dell’orologiero svizzero, sta sviluppando una gamma sempre più ampia e personalizzata di servizi.
56 Aziende. Cambiano le competenze richieste dal mondo del lavoro, e le aziende devono attrezzarsi.
58 Eventi. Il 6 maggio all’Usi si terrà il primo forum di macroeconomia. Come pensano gli studenti il Cantone nel prossimo decennio?
Oltre i limiti
Ulteriore balzo quantico, nuova sfida alla tecnica orologiera, per tagliare nuovi sorprendenti traguardi. Un trionfo di abilità nell’ultimo tourbillon. A lato, Jean-Christophe Babin, Ceo di Bvlgari e della divisione orologi di Lvmh.
p. 46
Traduzioni intelligenti p. 66
L’Intelligenza Artificiale si appresta a rubare il lavoro anche ai traduttori? Non proprio, semplicemente il settore sta evolvendo, in particolare con sistemi sempre più performanti per la clientela business. A lato, Samuel Läubli, Ceo di Supertext.
La Milano del Design p. 100
Una volta l’anno Milano si riscopre capitale del Design mondiale, attirando protagonisti e appassionati dai quattro angoli del globo. Nuove icone dell’arredo, ma anche installazioni d'arte ad hoc. A lato, una seduta di Molteni&C.
Eureka
60 Educazione. L’interesse cresce e si rivoluziona in ambito finanziario.
62 Start up. Non solo energia, anche intelligenza. Una CleanTech.
64 Innovazione. Evolve la cultura aziendale, e anche il lavoro. Forse.
65 Studenti. Quella digitale in Bns.
73 Digitale. Sbagliando s’impara? Almeno dovrebbe, se lo si capisce.
Tra
Un viaggio alla scoperta della “multinazionale dell’orologeria diffusa sul territorio”: il contributo del Ticino con le sue oltre 40 aziende a sostegno dello Swiss made. Nel segno dello stile. A lato, Federico Ziviani, Ceo di Gerald Charles.
Passivi, ma non solo p. 82
Il settore dei prodotti passivi continua a correre, e la Svizzera è solo agli inizi di questo nuovo trend. La storia insolita di uno dei grandi protagonisti che ha fatto scuola. A lato, Roger Bootz, Responsabile di Vanguard Svizzera e Liechtenstein.
Statuaria alternativa p. 104
Un Medardo Rosso antesignano e sperimentatore tutto da riscoprire a Basilea nel suo prezioso dialogo con gli artisti della sua e delle successive generazioni. A lato, Elena Filipovic, Direttrice del Kunstmuseum Basel.
74 Digitale. Anche l’Ia ha un limite.
76 Innovazione. La Quantum Technology scopre l’Ia.
78 Digital. Gli Agenti Intelligenti sono un nuovo modo di fare azienda.
Finanza
80 Analisi. Evolve la congiuntura.
98 Sport. Anche gli atleti hanno esigenze patrimoniali, non solo sportive.
Cultura&Lifestyle
108 Mostre. Le monete tradizionali africane al centro del nuovo progetto espositivo del Musec.
111 Auto. L’Alfa Romeo Sz Es 30.
Rubriche
10 Appuntamenti
112 Motori
Xandra
M. Linsin
Cover story
Evolve il commercio mondiale, scosso dalle fondamenta da nuove impopolari decisioni.
Eureka
La sezione dedicata all’innovazione, alla tecnologia e al Venture Capital.
Cultura
I protagonisti del grande mondo dell’arte, della cultura e del lifestyle.
Opinionisti
Le voci degli esperti che accompagnano i lettori con costanza.
Finanza
Riflettori accesi su indipendenti, banche e asset management.
Eventi
La sezione web-only dedicata a pre e post eventi.
Economia
Tutti gli articoli dedicati all’analisi di temi economici dalle aziende alla consulenza.
Osservatorio
La rubrica di approfondimento finanziario si amplia.
Speciali
La sezione dedicata a tutti gli Speciali degli ultimi mesi.
BOVET
Récital 30
Concentrato sul sistema dell'ora mondiale, permette di visualizzare 25 fusi orari in quattro posizioni sul quadrante. Un unicum.
La perfetta guida dell’internauta. Un vivace dialogo è iniziato, da un lato Ticino Management cartaceo dall’altro suo fratello minore digitale, l’obiettivo? Che siano sempre più connessi. Tra l’uscita di un’edizione e la successiva tutti gli articoli del cartaceo saranno pubblicati a cadenza regolare, insieme a contenuti studiati appositamente per essere nativamente digitali.
Using EIDOS colors
E IDOS G R AY # 8a8 d8 e
C: 0 M: 0 Y: 0 K : 57
R :137 G:14 0 B:142 PANTONE 87 7
E IDOS R E D
#e4 0 02b
C: 0 M:10 0 Y: 8 0 K : 0 R :2 28 G: 0 B:4 3
18 5
Londra
Siena: L’ascesa della pittura, 1300-1350
Per i suoi 200 anni la National Gallery rende omaggio ai dipinti più antichi della sua collezione e alle origini della pittura stessa, con una mostra dedicata alla Siena del primo Trecento e all’inno-
Sotto, da sinistra, i 6 pannelli del Polittico Orsini di Simone Martini, riuniti alla National Gallery di Londra: L’arcangelo Gabriele e l’Annunciazione (sul retro del pieghevole) e La strada del Calvario, Crocifissione, Deposizione e Sepoltura (sul fronte), 1333-37.
A sinistra, Tintoretto, Deposizione di Cristo dalla croce, 1560-62 circa, olio su tela, 228 x 295 cm, e sotto la reinterpretazione di Alberto Gianfreda, Materia comune, 2025, piatti in ceramica bianca, catena in alluminio e sgabelli, a confronto al Museo Diocesano di Milano.
vazione portata da artisti come Duccio, Simone Martini e i fratelli Lorenzetti, in patria e nelle corti europee. Molte fra queste opere appartenenti a gruppi più ampi prima di essere separate sono qui eccezionalmente riunite, come lo straordinario Polittico Orsini di Simone Martini (1333-37), questo piccolo retablo pieghevole per devozione privata fu realizzato per il cardinale Napoleone Orsini, fra le più potenti dinastie dell’Italia medievale e rinascimentale. Oggi divisi tra il Louvre di Parigi, il Museo Reale di Belle Arti di Anversa e la Gemäldegalerie di Berlino, tutti e sei i pannelli sono presenti a Londra. National Gallery Fino al 22 giugno 2025
Milano
Attorno a Tintoretto
La Deposizione
In occasione della Pasqua, grazie a un prestito eccezionale delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, è giunto a Milano un capolavoro del Tintoretto la Deposizione di Cristo dalla croce (1560-62), dimostrazione delle principali caratteristiche della piena maturità dell’artista per dinamismo compositivo, intensità cromatica, libertà della pennellata e il magistrale uso di luce e colore, oltre alla capacità di drammatizzazione emotiva.
Attorno ad essa, sono stati chiamati a mettersi in gioco quattro artisti contemporanei - Luca Bertolo, Alberto Gian-
di Mirta Francesconi
Il Kunstmuseum Basel svela cosa si cela dietro alcune opere delle sue collezioni con un allestimento appositamente studiato: sopra, l’esempio del Trittico con l’Adorazione dei Magi del Maestro di Anversa, secondo quarto XVI sec.
freda, Maria Elisabetta Novello, a cui si è aggiunta un’opera di Jacopo Benassi del 2022 per scelta del curatore Giuseppe Frangi - creando un rapporto personale e realizzando un’opera che si confrontasse con il valore profondo del capolavoro veneto, facendo ricorso a diversi linguaggi, dall’installazione alla pittura. Un modo per mostrare le possibilità generative di un capolavoro del passato, in grado di sollecitare e incrociare esperienze presenti, storie intime e personali, a seconda delle diverse sensibilità.
Museo Diocesano di Milano
Fino al 25 maggio 2025
Basilea
Verso. Storie alla rovescia
Accanto alla mostra dedicata a Medardo Rosso, appena inaugurata al Kunstmuseum Basel (presentata a p. 104), l’occasione è ghiotta anche per non lasciarsi sfuggire un altro gioellino della sua offerta espositiva. Una mostra che nasce dall’idea originale di svelare cosa si cela dietroletteralmente - i dipinti realizzati tra il XIV e il XVIII secolo.
Cornici appositamente progettate consentono ai visitatori di osservare il fronte e il retro di 36 opere d’arte della collezione del museo in un modo mai visto prima, di solito riservato al personale scientifico del museo e ai restauratori.
La mostra rivela così la storia di queste opere prima che entrassero nei musei, gli altri contesti e le funzioni in cui sono
state utilizzate. Sono esposte, ad esempio, pale d’altare con ante, aperte o chiuse a seconda del calendario liturgico, stemmi di antichi proprietari che identificavano la persona raffigurata sul recto, e supporti il cui rovescio è stato riutilizzato.
Fra le chicche, una finita insegna di bottega dei fratelli Ambrosius e Hans Holbein il Giovane, regalo-farsa per il loro amico, l’intellettuale Myconius; inoltre sojno presenti anche opere progettate appositamente per essere girate e rivoltate. Un concentrato di scoperte che offre una nuova prospettiva su lavori di artisti famosi come Hans Baldung dit Grien, Lucas Cranach e Konrad Witz, oltre ad altri meno noti che meritano di essere osservati più da vicino.
Kunstmuseum Basel
Fino al 4 gennaio 2026
Le radici della Silicon Valley
Le ragioni alla base della sua nascita sono una serie di fortunate casualità che la rendono però difficilmente ripetibile, nonostante moltissimi tentativi postumi ed esteri. opinioni / l’esperto di tecnologia
La Silicon Valley, tanto nota quanto sconosciuta, è l’epicentro di innovazione con un numero attualmente stimato di oltre 3.000 aziende tecnologiche con una capitalizzazione totale delle quotate che supera i 10 trilioni di dollari, a partire da Apple.
L’ho frequentata per decenni fino agli anni Novanta e poi, in questo millennio, come semplice visitatore e per incontrare vecchi amici come Gordon Moore, Bill Davidow, Federico Faggin, Jack Carsten, Stan Mazor e molti altri, ritrovando quell’ambiente unico al mondo.
In archivio ho ritrovato la vecchia Rich’s Guide del 1984, preziosissima guida con l’elenco delle aziende tech della valle, tra cui sceglievo quelle da visitare e che ne riporta ben 2.200 con più di 10 dipendenti; molte scomparse, altre trasformatesi nelle più grandi aziende del pianeta.
La guida sintetizza splendidamente la Silicon Valley come la contea di Santa Clara con la più grande concentrazione di aziende hi-tech al mondo e dove la loro natura produce un cambiamento costante dove gli attori si
dimostrano insieme ‘artisti’ tecnici e imprenditori... L’aspetto però forse più notevole è un altro: Questo clima innovativo ed eccitante, che accetta con rispetto sia il successo sia il fallimento, è responsabile della leadership continua degli Stati Uniti nel mondo hi-tech. È infatti proprio il dinamismo alimentato da una cultura che celebra il rischio e l’audacia, ad avere avuto un ruolo fondamentale, e a permettere a questa piccola e anonima valle di evolversi trasformando idee in imperi e fallimenti in lezioni.
Se si includono aziende di tutti i settori e non solo Hi-Tech, oggi il numero di quelle presenti e attive supera le 10mila nella sola Silicon Valley con un Pil stimato intorno ai 450 miliardi di dollari che rappresenta il 12% del Pil totale della California pari a 3,3 trilioni di dollari. Proiettando questa crescita al futuro, con un tasso di crescita medio annuo del 3-4%, è facile affermare come questa supremazia economica resterà a lungo ineguagliata. Avendo trascorso buona parte della mia vita attiva in questo mondo mi sono posto spesso la domanda di come abbia avuto
Da sopra, Ettore Accenti, esperto di tecnologia. Sotto, a sinistra la targa posta allo Stanford Research Park, un parco tecnologico fondato nel 1951 da Frederick Terman, è stato fondamentale per l’evoluzione della Silicon Valley segnando l’inizio dell’ecosistema high-tech della regione. Al centro il garage in cui è nata nel 1939 l’HP con Hewelett e Pakard, allora studenti della Stanford University. A destra, Steve Jobs e Steve Wozniak nel loro primo laboratorio con l’Apple 1 di legno.
origine questa ineguagliata ‘unicità’ e ne ho trovato un’autorevole spiegazione in un libro storico che acquistai in uno dei miei viaggi e intitolato The Making of Silicon Valley, a One Hundred Year Renaissance, che paragona la storia della Silicon Valley al successo del Rinascimento italiano Questo bellissimo libro pieno di illustrazioni paragona le origini della Silicon Valley a quanto in Italia avvenne tra il
XIV e il XVI secolo che caratterizzò un rinnovato interesse per l’antichità classica, greca e romana, quando l’umanesimo e una straordinaria fioritura artistica, scientifica e intellettuale presero vigore insieme. Un’esplosione di creatività e sapere, dove l’uomo riscoprì la propria centralità, celebrando la bellezza e la ragione in un equilibrio tra passato classico e futuro moderno. Maestri come Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello esaltarono la bellezza, la proporzione e la prospettiva, contemporaneamente a scienza e innovazioni con figure come Galileo e Machiavelli. La diffusione della stampa con Gutenberg e il mecenatismo di famiglie potenti come i Medici fecero il resto con un’esplosione di creatività paragonabile a quanto vediamo oggi nella Silicon Valley. Il libro spiega come Leland Stanford, fondatore della omonima università, creò la nascita di quello straordinario ambiente. La Santa Clara Valley e la Baia di San Francisco erano terre intatte abitate dagli indiani Costano quando nel 1863 Leland Stanford fu sconvolto da un evento drammatico che diede origine a quanto è oggi. Stanford era un avvocato di New York arricchitosi come commerciante durante la corsa all’oro e durante la Guerra Civile fu eletto governatore della California. Nel 1884, nel corso di un viaggio in Europa, suo figlio Leland Jr. di 15 anni morì di tifo in Italia e quella disgrazia sconvolse la vita dei coniugi Stanford. Ritornati in California decisero di fondare la Leland Stanford Junior University come memoriale per quel loro tanto amato e unico figlio, dotandola di 20 milioni di dollari e includendovi la loro tenuta di Palo Alto. L’unicità di quell’università fu definita dallo stesso fondatore dotandola di uno statuto che imponeva ai professori di Stanford di collaborare con le attività produttive, clausula che i professori abbracciarono di buon grado collaborando con industrie e Governo.
Ne nacque una sequela di successi che potrebbero riempire un elenco telefonico a partire dai 36 premi Nobel di cui 21 per fisica, chimica, fisiologia o medicina.
Tra l’altro queste attività, spesso nate dal nulla o poco più, hanno dato origine alla ‘romantica’ rappresentazione del ‘Garage Startup’ dimostrando come spazi semplici e accessibili siano stati cruciali per l’innovazione tecnologica. La storia della Silicon Valley è una combinazione di visione accademica, imprenditorialità,
Ne scrivevano nel 1984
La Rich’s Guide del 1984 recita: La Silicon Valley della contea di Santa Clara ha la più grande concentrazione di aziende hi-tech al mondo. La natura di questo settore genera un cambiamento costante non solo nello ‘stato dell’arte’, ma anche nella posizione, configurazione e prodotti delle aziende, degli ‘artisti’ tecnici e degli imprenditori. Di conseguenza, da un giorno all’altro, piccole aziende diventano giganti, altre si fondono, alcune diventano pubbliche e molte persone si trasformano in milionari istantanei; alcuni lasciano un’azienda per fondare diverse piccole imprese, sperando di trovare il prodotto o servizio magico: alcuni hanno successo, altri falliscono e cercano nuovamente fondi o idee. Questo clima innovativo ed eccitante, che riconosce con rispetto sia il successo che il fallimento, è in gran parte responsabile della leadership continua degli Stati Uniti nel mondo hi-tech
Ne scrivevano nel 1995
La Silicon Valley rappresenta uno dei fenomeni più straordinari della storia moderna, un epicentro di innovazione tecnologica e culturale che ha trasformato la civiltà umana in modo paragonabile solo al Rinascimento europeo (1350-1600 d.C.). Questa valle, situata nella California settentrionale, è sinonimo di una sinergia unica tra imprenditorialità visionaria, tecnologia all’avanguardia e una cultura di rischio e creatività che ha ridefinito il mondo. La sua storia si è evoluta fino a diventare il cuore pulsante dell’innovazione globale.
e un ambiente favorevole, che continua a ispirare hub tecnologici globali, anche se replicarne il successo rimane una sfida.
In conclusione, la Silicon Valley, inizialmente conosciuta come Santa Clara Valley o Valley of Heart’s Delight per le sue coltivazioni di frutta, si trasformò in un hub tecnologico grazie a una combinazione di fattori: la presenza della Stanford University, l’accesso a capitale di rischio, e una cultura che celebrava il
rischio e l’innovazione. Il termine ‘Silicon Valley’ fu coniato molto più tardi, negli anni Settanta, riflettendo la concentrazione di aziende di semiconduttori, come quelle che seguirono l’arrivo di William Shockley nel 1956, che fondò Shockley Semiconductor Laboratory, attirando talenti come i celebri Traitorous Eight, che poi crearono Fairchild Semiconductor, madre di molte altre aziende, tra cui Intel, Amd, oltre che chiaramente molte altre.
Una vigilanza inefficace
Il caso Credit Suisse ha rivelato una serie di fragilità nel sistema di vigilanza finanziaria svizzero, portando ad aspre critiche da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta alla Finma.
La crisi che ha coinvolto Credit Suisse nel 2023 ha avuto un impatto devastante non solo sull’istituto stesso, ma sull’intero sistema bancario e sull’economia globale, mettendo in evidenza le lacune nel sistema di vigilanza delle autorità competenti. La Finma (Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari), cui è assegnato il compito di garantire la stabilità e la trasparenza del sistema finanziario svizzero, proteggendo gli investitori e preservando la fiducia nelle istituzioni bancarie, è stata oggetto di numerosi rimproveri da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta (Cpi), istituita per esaminare le cause del fallimento della banca e le responsabilità politiche e istituzionali connesse.
Il rapporto conclusivo della Cpi, presentato lo scorso 20 dicembre 2024, ha fornito una panoramica dettagliata degli eventi che hanno preceduto e accompagnato il tracollo della banca, con particolare attenzione al ruolo svolto dalle autorità di regolamentazione, come la Finma, e dalle altre istituzioni coinvolte nella supervisione del sistema bancario svizzero.
Uno dei principali rimproveri alla Finma è legato alla sua gestione dei segnali di rischio che avrebbero dovuto destare preoccupazione ben prima del collasso finale della banca, la cui situazione finanziaria andava deteriorandosi già da anni. Ad esempio, la banca aveva accumulato ingenti perdite a causa di operazioni rischiose, come quelle legate al fondo Archegos Capital Management, ma non sono stati adottati interventi sufficienti per fermare queste attività rischiose.
Pur avendo il compito di vigilare anche sugli aspetti internazionali delle attività
bancarie, la Finma non è riuscita a esercitare un controllo adeguato sulle operazioni internazionali della banca, in particolare sui rischi legati agli investimenti in fondi speculativi e alle esposizioni ad altri istituti finanziari globali. La Commissione ha criticato la mancanza di coordinamento tra la Finma e altre autorità di vigilanza internazionali, come la Federal Reserve o l’Autorità bancaria europea. Un quadro di supervisione frammentato che non è riuscito a evitare il tracollo dell’istituto bancario.
Un altro punto centrale delle critiche rivolte alla Finma riguarda la gestione dei conflitti di interesse interni alla banca. Benché fossero presenti segnali di possibile conflitto tra la direzione operativa e gli azionisti, l’Autorità di vigilanza non ha preso misure adeguate per affrontare questi problemi. La Commissione ha ritenuto che la Finma avrebbe dovuto intervenire in modo più deciso per garantire che gli interessi di tutti gli azionisti e delle parti coinvolte fossero tutelati, prevenendo così decisioni che avrebbero potuto mettere a rischio la stabilità dell’istituto.
Inoltre, un’altra area di critica riguarda le azioni disciplinari intraprese dalla Finma nei confronti di Credit Suisse. La Commissione ha rilevato che l’Autorità di vigilanza non ha mai adottato sanzioni sufficientemente rigorose nei confronti della banca, malgrado le evidenti violazioni delle normative bancarie e le irregolarità riscontrate nelle sue operazioni. Sebbene siano state comunicate raccomandazioni per alcuni interventi di correzione, la Finma non è riuscita a infliggere pene proporzionate alla gravità dei comportamenti scorretti da parte dell’Istituto bancario, alimentando
Luca Trisconi, avvocato e notaio, partner dello studio legale Barchi Nicoli Trisconi Gianini, Lugano.
l’impressione che la vigilanza fosse troppo permissiva nei confronti delle grandi banche.
Un ulteriore rimprovero mosso alla Finma riguarda la sua struttura organizzativa e la gestione delle risorse umane. La Cpi ha evidenziato come la Finma, pur disponendo di risorse e competenze tecniche, non abbia avuto una visione strategica in grado di fronteggiare in modo efficace le sfide poste dalla gestione dei grandi gruppi bancari. La supervisione di Credit Suisse è stata quindi ritenuta superficiale, nonostante le importanti risorse economiche e il personale altamente qualificato di cui la Finma dispone. Si sono sottovalutati i rischi?
La crisi di Credit Suisse ha messo in luce la necessità di una riforma più incisiva e di una vigilanza più stringente per evitare il ripetersi di simili fallimenti in futuro. Il Parlamento si sta ora chinando sul tema. Ma le possibili soluzioni proposte, spesso contrastanti fra loro permetteranno di evitare un’eventuale nuova futura crisi? Ogni storia è diversa. La regolamentazione bancaria svizzera è già una delle più forti al mondo, se viene attuata in modo coerente e completo. Certo, si potrebbe chiedere alle banche di (ulteriormente) inasprire i requisiti del capitale. Ma ciò potrebbe comportare svantaggi competitivi per l’unica grande banca svizzera rimasta sul mercato interno e internazionale: aumenterebbe i costi di finanziamento per privati e aziende e indebolirebbe la piazza finanziaria svizzera nel suo complesso.
MAKE AN OPPORTUNITY every day
Ia: disciplinare senza frenare
La Convenzione sull’intelligenza artificiale del Consiglio d’Europa verrà implementata in Svizzera attraverso emendamenti su misura di leggi esistenti e non tramite una legge ad hoc.
Il Consiglio federale ha recentemente definito il suo approccio di regolamentazione dell’intelligenza artificiale: la Svizzera non seguirà la via europea tramite una legge specifica simile al Regolamento (Ue) 2024/1689 del 13 giugno 2024, ma vi saranno piuttosto delle modifiche di legge agli atti normativi esistenti laddove necessario. Il Consiglio federale ha preferito infatti limitare la regolamentazione generale e intersettoriale ad aree chiave rilevanti per i diritti fondamentali, come ad esempio la protezione dei dati.
Gli obiettivi dichiarati della nuova regolamentazione sono i seguenti: (i) rafforzare il ruolo della Svizzera quale hub di innovazione, permettendo agli attori coinvolti di svilupparsi e garantendo all’industria e alla ricerca l’accesso alle soluzioni di Ia, (ii) assicurare la protezione dei diritti fondamentali, compresa la libertà economica, (iii) aumentare la fiducia del pubblico nell’intelligenza artificiale, tramite un’accresciuta trasparenza, tracciabilità e comprensione dei processi e delle decisioni riguardanti l’Ia, compreso un utilizzo di sistemi di Ia competente. Si vuole inoltre garantire la compatibilità dell’approccio svizzero con quello dei principali partner commerciali, al fine di evitare che il quadro normativo nazionale abbia specificità a livello regolatorio che possano causare una perdita di competitività rispetto a imprese estere, in particolare ai concorrenti europei.
Il Dipartimento federale di giustizia e polizia, insieme al Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni e al Dipartimento degli affari esteri, è stato incaricato di allestire un progetto di consultazione al fine di recepire i principi della Convenzione
sull’intelligenza artificiale del Consiglio d’Europa nel quadro normativo svizzero. Scopo di quest’ultima è assicurare che l’utilizzo dell’Ia sia compatibile con le norme giuridiche internazionali vigenti in materia di diritti umani, democrazia e stato di diritto. Essa impone pertanto un obbligo generale di garantire la tutela dei diritti umani, l’integrità dei processi democratici e il rispetto dello stato di diritto durante l’intero ciclo di vita dei sistemi di Ia. Definisce una serie di principi che devono essere seguiti dagli Stati nel gestire l’Ia e richiede rimedi giuridici e garanzie procedurali, nonché meccanismi di valutazione dei rischi e degli effetti negativi
«La Svizzera non seguirà la via europea tramite una legge specifica simile all’Ai Act, ma vi saranno piuttosto delle modifiche di legge agli atti normativi esistenti laddove necessario»
dell’utilizzo dell’Ia. Gli Stati contraenti dispongono di un ampio margine di manovra per quanto riguarda la scelta di misure legislative, amministrative o di altro genere al fine di attuare la Convenzione. Da evidenziare come le normative vigenti in Svizzera in taluni casi possono verosimilmente essere considerate come sufficienti per adempire senza modifiche aggiuntive ad alcuni requisiti della Convenzione sull’intelligenza artificiale del Consiglio d’Europa, quali ad esempio l’integrità dei processi democratici e dello stato di diritto (articolo 5) oppure la pubblica consultazione (articolo 19). Altri requisiti, solo parzialmente coper-
Andrea Ziswiler, avvocato, LL.M., partner dello Studio Bär & Karrer (Lugano), autore di questo contributo insieme all’Avv. Rocco Rigozzi, LL.M., notaio, partner dello Studio Bär & Karrer (Zurigo e Lugano).
ti, richiederanno invece verosimilmente un adattamento delle attuali disposizioni di diritto svizzero. Si possono citare ad esempio le disposizioni sulla trasparenza e controllo (articolo 8), innovazione sicura (articolo 13) e garanzie procedurali (articolo 15). Infine, vi sono dei principi ancora senza un corrispondente a livello legislativo svizzero, come il quadro di gestione dei rischi e degli impatti (articolo 16) o i meccanismi di controllo effettivi (articolo 26). Per tali principi, una modifica legislativa in Svizzera sarà quindi necessaria.
Al momento è previsto che il progetto di consultazione sarà disponibile entro fine 2026. Non vi sono ancora i dettagli in merito alle modifiche che saranno proposte dal Consiglio federale, ma di principio ci si aspetta che il progetto di consultazione contenga elementi quali requisiti di trasparenza accresciuti, un’etichettatura obbligatoria di contenuti generati dall’Ia e modifiche alla Legge sulla protezione dei dati, sia in materia di obblighi di informazione che di prevenzione di possibili rischi quali la sorveglianza tramite l’Ia. Oltre alle modifiche legislative, misure non vincolanti saranno sviluppate negli anni a venire. Di particolare interesse sarà comprendere quali soluzioni verranno proposte a seconda dei settori economici coinvolti e quale sarà il grado di regolamentazione sia in ambito pubblico che privato.
Un mostro burocratico
Un ulteriore registro statale degli aventi economicamente diritto non sarebbe che causa di dispendio amministrativo e rischi per la sfera privata, senza alcun valore aggiunto.
Èattualmente all’esame delle Camere federali il Progetto di Legge sulla trasparenza delle persone giuridiche e sull’identificazione degli aventi economicamente diritto. Questo testo prevede in particolare l’introduzione di un Registro statale degli aventi economicamente diritto nelle persone giuridiche e simili e la sottomissione della categoria dei consulenti alla Legge sul riciclaggio, in aggiunta a quella già sottoposta degli intermediari finanziari. Se attuata, la proposta del Registro interesserebbe più di mezzo milione di persone giuridiche con sede in Svizzera, che a loro volta presentano più milioni di aventi diritto economici. Dopo aver ricevuto l’avallo del Consiglio degli Stati nel dicembre 2014, è attualmente all’esame del Nazionale.
Già ora la nostra legislazione prevede nel Codice delle Obbligazioni (art. 697j per le SA e Art. 790 per le Sagl) l’obbligo di notifica verso la società da parte degli azionisti di una SA, rispettivamente dei soci di una Sagl, di chi direttamente o indirettamente controlla più del 25% dei diritti di voto, rispettivamente, del capitale sociale e l’obbligo da parte della società di tenere in un apposito Registro l’elenco di queste persone. Il mancato rispetto di questi obblighi comporta conseguenze di diritto civile e anche penale.
Il progetto di legge ora in discussione è la diretta emanazione delle 40 Raccomandazioni emesse dal Gafi (Gruppo di azione finanziaria internazionale), un organismo interstatale, diretta emanazione dell’Ocse, al quale la Svizzera partecipa. Gli Stati aderenti sono tenuti a implementarle nel loro diritto nazionale, pena l’inserimento in una lista grigia o nera a dipendenza delle mancanze riscontrate
che porterebbe all’adozione di sanzioni da parte della cosiddetta “comunità degli altri Stati”. In tal modo queste raccomandazioni sono definite “soft law”, non originate da un processo legislativo democratico. Le raccomandazioni numero 24 e 25, che tematizzano la trasparenza delle persone giuridiche, rispettivamente di Trust e costrutti consimili, recitano che le autorità nazionali sono tenute a istituire un registro degli aventi diritto economici o un meccanismo alternativo. Contrariamente a quanto assume il Consiglio federale nel suo messaggio accompagnante il progetto di legge, il Gafi prevede dunque la possibilità di “alternative mechanism” alla creazione di un registro statale degli aventi diritto economici. Nella “Guidance” che affianca le due raccomandazioni, il Gafi sottolinea che tali meccanismi alternativi devono permettere di accedere a informazioni attuali e appropriate sugli aventi diritto economici delle persone giuridiche e consimili. Possibili esempi suggeriti dal Gafi sono il sistema, aderente a quello già adottato in Svizzera, nel quale gli aventi diritto economici sono identificati in un Registro delle relazioni bancarie.
Da notare che nelle ultime indagini del 2016 e 2023 (“Mutual Evaluation Report”) condotte dal Gafi sull’aderenza da parte svizzera alle raccomandazioni, rispetto alle numero 24 e 25 il nostro paese è stato giudicato “largely compliant”, mentre nella precedente del 2005 era ancora “non compliant”. A titolo di paragone, basti sottolineare che l’unico paese al mondo giudicato compliant con la raccomandazione numero 24 è stato Trinidad e Tobago (!). L’Unione europea con una direttiva del 2015 ha obbligato gli Stati aderenti a istituire il Registro statale degli aventi diritto economici, a
Stelio Pesciallo, avvocato e notaio presso lo Studio 1896, Lugano.
cui ha fatto seguito un’ulteriore direttiva del 2018 che statuiva la natura pubblica del suo contenuto indistintamente da un legittimo interesse. Quest’ultima direttiva è stata giudicata dalla Corte di giustizia dell’Ue contraria al diritto posto a protezione della sfera privata. Al di là di ciò, l’istituzione del Registro statale ha attirato critiche generalizzate in tutti gli Stati dell’Ue in quanto giudicato inefficiente e poco utile allo scopo. Contrariamente a quanto affermato nel messaggio del Consiglio federale accompagnate questo progetto di legge, l’istituzione di un Registro statale non costituisce un presupposto minimo in linea con i tanto declamati standard internazionali e gli Stati che l’hanno introdotto non hanno riportato risultati migliori della Svizzera alla luce degli esami del Gafi. L’esperienza ne dimostra ampiamente l’inefficacia tanto che un esperto in materia come il Prof. Thomas Nagel di Zurigo in un suo contribuito in materia apparso nella rivista online Jusletter del dicembre 2024 lo ha definito una “tigre di carta”, causa di un faticoso lavoro amministrativo per tutti e di pericolo per la tutela della sfera privata. Secondo lo stesso Prof. Nagel sarebbe stato sufficiente prendere come base la sopra citata regolamentazione del Codice delle Obbligazioni perfezionando la stessa per facilitare l’accesso ai dati e il controllo da parte di Uffici di Revisione abilitati, per estendere la sua applicazione a tutte le forme analoghe alle persone giuridiche e introdurre un semplice obbligo di informazione verso l’autorità preposta alla lotta al riciclaggio.
Trump, i dazi e la Svizzera
Si è aperta una fase di mercato particolarmente fluida in cui molte certezze di ieri sono venute improvvisamente meno. Come potrà finire? Difficile a dirsi, complicato a farsi.
Il ‘Liberation Day’ è arrivato. Il 2 aprile 2025 il presidente americano Donald Trump ha annunciato in gran pompa di aver iniziato la ‘guerra di liberazione’ degli Stati Uniti da quei Paesi che per anni hanno approfittato delle loro ricchezze senza rendere nulla. Paesi che Trump ha tacciato di essere ‘sfruttatori’, ‘saccheggiatori’, ‘violentatori’, a seconda dei momenti.
Probabilmente non si è accorto che potrebbe aver decretato la fine del multilateralismo che ha in sostanza favorito lo sviluppo economico di molti Paesi, tra cui gli Stati Uniti. Ora il pericolo evidente è che tutti i Paesi interessati reagiscano allo stesso modo applicando pesanti dazi alle importazioni dagli Stati Uniti. La Cina, che è ora il principale nemico dichiarato, lo sta già facendo decretando dazi analoghi per tutti i prodotti americani.
Invece Trump, non solo ha introdotto molti dazi, ma distingue fra prodotti e Paesi, in pratica applicando la tattica di ‘guerra’ più adatta al momento (secondo il suo insindacabile giudizio), nonché in una certa misura il principio antico del ‘divide et impera’. Si è così creata una situazione che costringe il resto del mondo a reagire, al di là e al di fuori di ogni trattato internazionale. Molti commentatori pensano che farà delle concessioni, anche se come ha già ribadito “solo di fronte a proposte fenomenali”, sempre a suo giudizio.
A questo punto è opportuno spendere due parole per vedere da vicino il metodo Trump. Il calcolo è, a dir poco, grossolano. Si prende in considerazione il deficit della bilancia dei pagamenti e lo si confronta con il totale delle esportazioni di ogni Paese verso gli Stati Uniti. La percentuale viene considerata come indice del ‘guadagno’ di ogni Paese. Lo stesso viene diviso
per metà (per bontà di Trump) per ottenere il dazio da applicare, sottintendendo così che potrebbe anche essere superiore. Ne derivano situazioni assurde, come per esempio, un dazio ipotetico del 46% al Vietnam o del 31 per Lesotho e Svizzera, o del 44% per il disastrato Myanmar. L’Europa viene considerata come un unico partner e spunta un dazio del 20%. Non è detto però che singoli Paesi possano ottenere dazi più favorevoli, per quanto non tutti i prodotti sono imposti uguali. Per la Svizzera sarebbe importante l’esenzione per i farmaceutici e l’oro.
«Trump continua a credere che le importazioni ‘rubino’ qualcosa e che i deficit commerciali ne siano la prova. I dazi sembrano dunque lo strumento più adeguato per risolvere molti problemi, ma è davvero così che riuscirà a rifare grande l’America?»
Mentre la Cina ha reagito subito, la Russia non è compresa tra i ‘puniti’, ma si vede minacciata per l’esportazione del petrolio e se non fa quello che Trump le chiede di fare. Le autorità svizzere, molto deluse, hanno reagito pacatamente e manifestato l’intenzione di discuterne con le autorità americane. Alcuni dati significativi potrebbero convincere dell’inopportunità di dazi elevati, basati sul fatto che il ‘guadagno’ svizzero sarebbe del 61%! È già evidente che una popolazione di 9 milioni di abitanti importa sicuramente meno di una di 350 milioni. Inoltre i rapporti economici non devono limitarsi agli scambi commerciali, ma tener conto
Ignazio Bonoli, economista.
della bilancia dei servizi, che è favorevole agli Stati Uniti. Ma i rimproveri americani non sono una novità. Basti ricordare la faccenda dell’oro degli ebrei o gli attacchi al segreto bancario o anche il recente inserimento sulla lista americana di Stati con “metodi commerciali non corretti” per capire che le discussioni potranno essere lunghe e difficili. Già oggi si constata, infatti, che il sesto investitore negli Stati Uniti, creatore di 400mila posti di lavoro diretti ben pagati, non viene preso in considerazione, come non conta nemmeno il fatto che la Svizzera non applichi più nessun dazio sui prodotti industriali. Tutto è subordinato al giudizio del Presidente basato su dati molto fragili. Come potrà finire? Certamente vi sarà una qualche correzione, ma non si può sapere né come, né quando. Lo stesso Trump non ricorda quanto avvenuto negli anni Trenta, con misure analoghe per difendere l’industria americana che suscitarono una reazione che contribuì al periodo di depressione, poi sfociato nella seconda guerra mondiale. Non mancano già similitudini con la situazione odierna. Per esempio la media dei dazi sul tavolo, del 29%, è molto vicina a quella di allora. E le borse stanno chiaramente manifestando le loro preoccupazioni. Trump continua però a credere che le importazioni ‘rubino’ qualcosa e che i deficit commerciali ne siano la prova. I dazi, oltre a procurargli i capitali per risanare il debito pubblico e rilanciare l’industria, gli sembrano adatti a risolvere il problema di un’economia che prima di lui sarebbe stata al collasso. Ma è davvero così che riuscirà a rifare grande l’America?
Date slancio ai vostri risparmi!
Scoprite il nostro conto risparmio con un tasso d'interesse dell'1.00%.
Vi aspettiamo in una delle nostre agenzie Raiffeisen.
raiffeisen.ch/promo
1.00% d'interesse
Difendere la libera scelta
I fautori promettono maggior concorrenza, ma l’allentamento dell’obbligo di contrarre potrebbe diminuire l’efficienza delle cure, generare maggior burocrazia e costi indiretti, con una sovrapposizione tra pianificazione pubblica e selezione privata.
Lo scorso 13 marzo, il Parlamento federale ha approvato una mozione volta ad allentare l’obbligo di contrarre previsto dalla Legge federale sull’assicurazione malattie (LaMal). Il Consiglio federale dovrà ora elaborare una proposta di modifica legislativa - benché né i Cantoni, né lo stesso Consiglio federale, né tantomeno la popolazione, come dimostrato dalle votazioni degli ultimi vent’anni in ambito di politica sanitaria, abbiano mai sostenuto questa via. A prima vista, l’iniziativa potrebbe sembrare un passo verso una maggiore concorrenza. Tuttavia rischia di portare a una pericolosa riduzione dell’accesso alle cure e a un possibile peggioramento della qualità del servizio, generando maggiore complessità amministrativa per i pazienti e i curanti.
Cos’è l’obbligo di contrarre?
L’obbligo di contrarre è un fondamento della LaMal e del nostro sistema sanitario (art. 41 LaMal). Obbliga gli assicuratori malattia di stipulare contratti tariffali con tutti i fornitori di prestazioni sanitarie riconosciuti e autorizzati dai Cantoni, garantendo che gli assicuratori riconoscano e rimborsino le prestazioni fornite. Questo meccanismo è alla base della libera scelta del medico, degli ospedali, delle cliniche, dei terapisti per tutte le persone assicurate. La qualità delle cure è già oggi garantita dal processo di autorizzazione cantonale e dai rigidi criteri di qualità previsti dalla LaMal.
Le conseguenze di un allentamento Un allentamento aumenterebbe notevolmente la complessità del sistema: pazienti e curanti dovrebbero verificare ogni volta la validità dei contratti con medici e strut-
ture sanitarie, causando incertezza e carico burocratico. I medici, pur autorizzati e inclusi nella pianificazione cantonale, rischierebbero l’esclusione dai circuiti assicurativi. Questo scoraggerebbe investimenti per nuovi studi medici, soprattutto nelle regioni periferiche come il Ticino, aggravando la già critica carenza di personale qualificato.
Più potere alle assicurazioni, meno libertà per i pazienti?
I fautori della riforma parlano di “maggiore concorrenza”, ma in questo modo le assicurazioni otterrebbero maggiore potere. Potrebbero selezionare i fornitori più economici, riducendo i costi a scapito della qualità e dei reali bisogni dei pazienti. La libertà di scelta verrebbe fortemente limitata. Non si creerebbe maggiore flessibilità, ma piuttosto nuove restrizioni: le casse malati potrebbero imporre unilateralmente ulteriori vincoli, mentre le norme legali resterebbero comunque in vigore. Le persone affette da patologie croniche o complesse - una popolazione in aumento negli anni - subirebbero le conseguenze più gravi. Potrebbero essere costrette a cambiare medico, interrompere trattamenti o affrontare ritardi inaccettabili nella continuità delle cure. Già oggi uno studio medico di base su tre non accetta nuovi pazienti. Inoltre, trattare pazienti complessi diventerebbe per i medici una “scelta rischiosa” dal punto di vista economico. Il pericolo è che in futuro solo i pazienti autopaganti ricevano cure tempestive e di qualità.
I modelli assicurativi alternativi già offrono soluzioni
Oltre il 70% degli assicurati ha scelto volontariamente modelli assicurativi al-
PD Dr med. Olivier Giannini, Membro del Comitato Centrale della FMH, l’associazione professionale dei medici svizzeri, Viceprimario di Medicina Interna presso l’Ospedale Regionale di Mendrisio.
ternativi, rinunciando parzialmente alla libera scelta del fornitore in cambio di premi più bassi. Questo dimostra che flessibilità e concorrenza sono già possibilisenza sacrificare l’accesso universale alle cure. Non vi è alcuna necessità di imporre ulteriori restrizioni unilaterali a tutti gli assicurati.
La pianificazione deve restare una competenza pubblica
La pianificazione cantonale dell’offerta sanitaria garantisce un’equa distribuzione delle cure secondo i bisogni della popolazione. Se anche le assicurazioni potessero decidere con quali fornitori collaborare o meno, si genererebbe una coesistenza caotica tra pianificazione pubblica e selezione privata. Il risultato sarebbe un sistema frammentato, con un aumento degli oneri amministrativi per studi medici, pazienti e autorità, oltre che allo sviluppo di un’offerta privata costosa e proibitiva.
Non smantellare la libera scelta nel nostro sistema sanitario
In conclusione, l’allentamento dell’obbligo di contrarre non porterebbe né maggiore efficienza né risparmi reali. Al contrario, metterebbe a rischio la qualità dell’assistenza, aumenterebbe la burocrazia e genererebbe ulteriori costi indiretti. Un sistema sanitario efficiente deve garantire accesso, continuità e qualità delle cure - non aggiungere ostacoli e incertezze.
8 11 MAY 25
Imposta effetto boomerang
Ciclicamente la Svizzera si trova sotto la pressione di iniziative che mirano alla redistribuzione della ricchezza, rischiando di compromettere i fattori di competitività delle imprese e il loro essenziale contributo al territorio, generazione dopo generazione.
La proposta avanzata dai giovani socialisti svizzeri per una tassazione al 50% delle successioni rappresenta uno degli attacchi più pericolosi al modello economico svizzero, che premia il risparmio a favore delle future generazioni, contro il consumo eccessivo di ricchezza o addirittura l’indebitamento che ricadrebbe a loro carico. Sebbene venga presentata come una misura di equità e redistribuzione della ricchezza, in realtà nient’altro è che una misura espropriativa, distruttiva e autolesionista
Espropriativa, perché toglie la ricchezza generata dal lavoro di una o più generazioni, sulla quale si sono pagate imposte anno dopo anno.
Distruttiva, perché non fa distinzione tra patrimonio e liquidità in banca, obbligando a vendere ciò che magari è stato creato da generazioni per pagare la tassa. Si colpisce dunque chi, invece di “sperperare in vita”, ha preferito conservare, reinvestire e far crescere per i propri figli.
Autolesionista, perché invece di “trovare nuovi fondi”, il risultato sarebbe un impoverimento netto a tutti i livelli.
Già oggi i danni sono evidenti. Il solo fatto di dover votare questa iniziativa scoraggia l’arrivo di importanti patrimoni dall’estero, nuovi afflussi che avrebbero contribuito anche a finanziare la socialità. Al contempo aumenta il rischio di partenze illustri preventive, con l’effetto di privare gli iniziativisti di quei fondi tanto ambiti e addirittura riducendo le attuali risorse dello Stato.
Non convince neppure a sinistra
Tra gli aspetti più rivelatori della debolezza dell’iniziativa è il fatto che non goda di un consenso unanime nemmeno a
sinistra. Ad esempio, la Piattaforma dei socialisti liberali del PS ha espresso forti riserve, ritenendola eccessivamente radicale e non in linea con una politica economica sostenibile. Se anche una parte della sinistra moderata riconosce che una proposta fiscale è troppo estrema, significa che ci troviamo di fronte a una misura i cui danni superano ampiamente i benefici. Ormai da decenni, la Svizzera si trova ciclicamente sotto la pressione di iniziative che mirano a una redistribuzione della ricchezza, dimenticando le implicazioni a lungo termine. Questo nonostante la storia dimostri che ogni qualvolta si tenta di forzare un modello economico più vicino a una visione statalista, il Paese rischia di perdere competitività, di ridurre il potenziale innovativo delle imprese e di compromettere il benessere generale.
Un macigno sulle imprese familiari
Le imprese familiari costituiscono l’ossatura dell’economia svizzera. Molte di queste aziende sono tramandate di generazione in generazione e rappresentano non solo una fonte di reddito per le famiglie proprietarie, ma anche un motore per l’occupazione e l’economia locale e un buon contribuente su più generazioni per la comunità.
Ma l’imposta graverebbe su figli e successori degli imprenditori con un onere fiscale insostenibile. Così come chi ereditasse una casa dai genitori dovrebbe venderla per potersi permettere un’imposta sul valore del 50%, allo stesso modo nel caso di un’azienda familiare si finirebbe per svendere il lavoro di un’intera generazione (o più), consegnandola in mani straniere, con la relativa perdita di indotto, know-how e posti di lavori per gli anni a venire.
Martino Piccioli, Presidente dell’Associazione delle Imprese Familiari (AIF) Ticino.
Imprenditori e investitori in fuga Il motivo per cui molti imprenditori scelgono di avviare le loro attività sul nostro territorio è legato alla certezza di diritto, alla moderata pressione fiscale e a un sistema che incentiva la creazione di ricchezza. Ma se queste condizioni venissero alterate in modo radicale, si innescherebbe una fuga di capitali e di talenti che danneggerebbe seriamente l’economia e il nostro benessere. Soprattutto in un mondo in cui la mobilità è sempre più facilitata e i nuovi lavori sono meno dipendenti dal luogo fisico in cui vengono svolti.
Secondo un’analisi di PwC, un imprenditore su due sarebbe disposto a lasciare la Svizzera se il contesto fiscale diventasse troppo sfavorevole. Questo dato dovrebbe far riflettere seriamente i promotori di politiche fiscali più aggressive.
Falsa giustizia sociale
L’idea che l’imposta sarebbe necessaria per ridurre le disuguaglianze e finanziare lo Stato sociale è frutto di una visione superficiale e poco realistica. La vera giustizia sociale non si ottiene penalizzando chi ha successo, ma creando opportunità per tutti. Invece di tassare pesantemente le eredità, sarebbe molto più efficace incentivare la crescita economica, sostenere le start up, ridurre la burocrazia per le nuove imprese e migliorare il sistema di formazione per garantire a tutti la possibilità di accedere a un lavoro ben retribuito. Sono questi gli ingredienti di successo della sperimentata politica economica svizzera degli ultimi decenni.
Il grande bluff
Storicamente i dazi sono stati uno strumento d’uso abbastanza frequente, seppur risolutivo di non molto. A essere inedite sono la portata e le aliquote annunciate, poi ritrattate. Cosa si voglia ottenere è quanto meno dubbio, cosa si possa realmente molto più chiaro. Va quindi accelerando il definirsi di nuovi equilibri mondiali, frutto degli attuali squilibri, ma dall’esito molto incerto. Per intanto i mercati ballano e gli squilibri rimangono.
Tanto dibattere di dazi che infine giunsero. Tanto tuonò che infine piovve? Forse. Sicuramente molto cambiati da quando si è iniziato a parlarne (poche settimane fa, a ben vedere) ma non per questo meno problematici nella gestione, oltre che nell’applicazione. E come sempre accade i nodi emergono solo dopo aver preso la decisione, anche se, e non è certo questo il caso, dopo attente e ben ponderate analisi. Ammettendo ovviamente che una decisione sia stata davvero presa, e che tale rimanga. Del resto, è noto che all’economia piacciano certezze e prevedibilità, dunque meglio un dazio certo del 50%, che non uno minacciato ma continuatamente ritrattato del 20. Un dettaglio che sembra sfuggire almeno a qualcuno. Eppure, a voler essere onesti, un cocktail più o meno carico di protezio-
nismo e barriere tariffali è stato alla base delle politiche commerciali dell’ultimo migliaio di anni, con rare e ben circostanziate eccezioni. A risultare straordinaria è stata invece la lunga parentesi degli ultimi decenni, la globalizzazione, che se ha certo fatto molto bene alla popolazione di numerosi Paesi, al tempo stesso ha covato a lungo problemi che infine stanno emergendo, in diversi modi.
L’efficacia dei trasporti, e l’efficienza degli scambi, hanno certo contribuito a un lento ma costante specializzarsi delle economie regionali oltre che nazionali, parcellizzando a potenza le catene di fornitura e le fasi di produzione. In presenza di limiti e vincoli economici e burocratici accettabili a prevalere sono le economie di scala, dunque l’abbassamento del costo di produzione, e lo specializzarsi in micro componenti, analogamente a quanto av-
venuto a cavallo dell’anno zero, durante la lunga e altrettanto magica parentesi romana. Perché quindi?
Al netto dei soliti superlativismi tutti latini, alcune delle ragioni sono piuttosto banali. È la prima volta che un’unica entità politica stabile raggiunge dimensioni così significative, toccando popoli e culture tra loro anche molto diverse, al pari di aree geografiche e climatiche distanti. Sotto la supervisione di uno Stato benevolente e particolarmente incline all’iniziativa privata, che dunque si faceva carico di determinare un corpo normativo uniforme, imponendone l’applicazione, si era formato un ‘mercato comune’, o quanto meno una serie di mercati più piccoli ma tra loro coordinati. Ecco dunque che il prezzo del grano o del ferro in Gallia poteva sì risultare diverso rispetto a quello di Roma o Alessandria, ma non in misura
così sostanziale come in precedenza. Questo aveva permesso alle imprese di specializzarsi su base regionale, concentrando la produzione di beni specifici nelle regioni più efficienti e produttive, dunque olio in Spagna, e grano in Egitto, ceramiche in Grecia, metallo in Inghilterra…
Oltre a imporre il rispetto della legge, lo Stato romano, repubblicano o imperiale che fosse, si faceva anche garante delle unità di misura, e della conformità delle merci scambiate, naturali o lavorate che fossero. Dunque le anfore di olio o vino erano uniformate secondo rigorosi standard e ispezionate da zelanti funzionari che ne verificavano dimensioni, spessore, peso, contenuto, producendo vere e proprie certificazioni di autenticità da esporre al mercato, o per poter assicurare la spedizione delle merci via mare. Tali controlli venivano eseguiti presso le dogane, solitamente città o porti, dove venivano anche esatti dazi e tributi, a vantaggio della città stessa, della provincia, o dello Stato centrale, secondo tariffari differenziati e precisi.
Generalmente si trattava di tariffe di pochi punti percentuali, tra il 2 e il 5% del valore della merce, uniformate su base provinciale, ma a dipendenza del bene era applicato al valore di mercato, al costo di produzione, al prezzo d’importazione. Ecco dunque che solitamente tutte le merci in entrata o uscita dalla Sicilia erano tassate del 5%, o del 2 in Spagna, e del 2,5% in Gallia, ma l’import di beni di lusso dall’estero, ad esempio dall’Arabia, vantava dazi dal 25 sino a oltre il 100% del prezzo, solitamente esatti alle frontiere esterne del mercato comune, dunque Egitto o Siria. E Roma stessa (l’isola tiberina) era nata quale dogana naturale sul Tevere. Un semplice caso? Pagare dazio. Nel corso del tempo, nei secoli successivi, il prelievo forzoso di tasse e gabelle all’attraversamento dei confini è rimasta quale prassi, pur venendo meno tutti i servizi che lo Stato romano comunque erogava, divenendo una semplice forma alternativa di entrate per autorità locali e nazionali in un’Europa sempre più divisa e frazionata, oltre che medioevale. Le analogie però con l’Urbe non finiscono qui, e vedono al loro centro, forse per caso, proprio la nuova Roma e non solo per stile architettonico, l’attuale Washington. «Nonostante nel 1776 con la pubblicazione de La ricchezza delle Nazioni Adam Smith avesse dimostrato tutti i
L’espansione di Roma in tre secoli
Britannia
Gallia
Hispania
Mauretania
RaetiaNoricumPannoia Dalmatia
Italia
Sicilia
AfricaProconsularis
201 a.C. - Fine della II Guerra Punica
133 a.C. - Fine della Guerra Numantina
44 a.C. - Assassinio di Giulio Cesare
14 d.C. - Morte di Augusto
117 d.C. - Morte di Traiano
Protettorati romani nel 117 d.C.
Confini delle province romane nel 117 d.C.
Regnum Bospori
Colchis Iberia
Pontus Exinus
Moesia
Thracia Macedonia
Dacia CappadociaArmenia
Galatia
BythyniaetPontus Asia
Creta
Cyrenaica
Cilicia Lycia Syria
Cyprus
Arabia Petrae Mesopotamia
Aegyptus
Le ere recenti del mondo
Grado di apertura commerciale globale (somma imp - exp in % Pil)
Industrializzazione e
Guerre, protezionismo 1945-80
Dopoguerra, ripresa, tassi di cambio fissi
Assyria Albania
1980-2008
Liberalizzazione del commercio
2008-25
Globalizzazione frammentata
vantaggi del libero scambio, nel 1789 una delle prime leggi approvate dal neo costituito Congresso americano fu proprio il Tariff Act, che impose dazi generalizzati su tutte le merci importate, almeno sino al termine della Guerra Civile nel 1865. Pur al netto di una breve parentesi, sebbene gravida di conseguenze, negli anni Trenta della Grande Depressione, a partire da Roosevelt il Novecento e il primo quarto del nuovo secolo hanno visto una progressiva perdita di peso specifico da parte di queste pratiche fortemente protezionistiche, almeno nominalmente, a vantaggio del libero scambio soprattutto tra Paesi occidentali. Almeno sino a poco tempo fa», esordisce così Elena Guglielmin, Cio di Ubs Wealth Management. Se è noto che si verifichino puntualmente dei parallelismi tra fasi storiche analoghe, seppur mai uguali tra loro, anche questo è ovviamente il caso. «Si tende a ricorrere a dazi e tariffe in periodi di crescente sentimento protezionistico,
Il commercio è da sempre nel Dna dell’economia del mondo, ma a dipendenza delle epoche ha assunto connotati completamente diversi. L’ultimo secolo non è l’eccezione.
transizione economica o significativa incertezza geopolitica. Un esempio particolarmente evidente è lo Smoot-Hawley Tariff Act americano del 1930, tra i cui pochi risultati annovera l’intensificarsi della Grande Depressione; un altro ma più recente è la prima presidenza Trump, con i primi dazi alla Cina tra il 2018 e il 2020, che segnarono un cambio di passo nelle relazioni commerciali tra i due Paesi. Quelle che solitamente seguono sono tre fasi: volatilità iniziale dei mercati, anche ma non solo finanziari; aggiustamento delle catene di fornitura delle aziende (6-18 mesi); effetti macroeconomici a cascata sui prezzi (12-36 mesi)», commenta Aneeka Gupta, Director ricerca
Fonte: Trade War 2.0 III-2025
«I Paesi che possono fare affidamento su un mercato interno vivace sono evidentemente meno vulnerabili agli shock esterni; è forse quindi tempo che il Vecchio Continente riscopra sé stesso, e che metta finalmente a frutto il mercato unico, promuovendo il commercio tra Stati membri»
Vincenzo
Vedda, Global Cio di Dws
Un vecchio vizio Incidenza di dazi e tariffe sul tot import ■ Valore dell’import di merci daziate (sx)
Fonte: Oecd 2025
Wto 2025
Valgono centinaia di miliardi di dollari i beni e i servizi acquistati durante un anno da consumatori terzi rispetto al Paese di origine, e nel corso del tempo questo peso è andato solo aumentando, tenendo il passo del globalizzarsi dell’economia mondiale. Tradizionalmente gli Stati Uniti sono stati i grandi consumatori del mondo, ma in futuro?
macroeconomica di WisdomTree. Anche nella storia recente, dunque senza risalire ai secoli passati, possono essere facilmente rintracciati altri casi esplicativi. «Nel 1963 tra le due sponde dell’Atlantico scoppiò un violento conflitto commerciale che aveva per oggetto il pollame, da qui il termine ‘Chicken war’. Essenzialmente durante il secondo conflitto mondiale la produzione di carni bianche negli Stati Uniti era esplosa, al
suo termine a fronte del calo dei prezzi i produttori americani avevano guardato all’estero in cerca di nuova domanda, e la Comunità Economica Europea per tutelare le aziende dei suoi Stati membri impose dazi, aprendo la disputa. Nel 1990, invece, furono gli Stati Uniti a introdurre dazi del 127% sulle graffette, per bloccare l’avanzata dei produttori cinesi, ed effettivamente oggi la maggior parte del mercato americano è servito da aziende locali», prosegue il Cio di Ubs.
La teoria. Anche sulla carta il ruolo che potrebbero giocare i dazi è ambiguo, nonostante i potenziali effetti potrebbero essere positivi, le variabili non controllabili sono altrettanto sostanziali da inficiare la prevedibilità del risultato. «Limitazioni possono essere giustificate in determinate circostanze, non troppo comuni, come potrebbe essere il caso di un partner commerciale che prima sovvenziona la propria industria nazionale, e poi scarica la produzione in eccesso in un preciso mercato estero, il che avrebbe il potenziale di distorcerne pericolosamente i prezzi e gli equilibri concorrenziali. A beneficiarne sarebbero i produttori locali, ma a pagare sarebbero i consumatori, che non godrebbero della potenziale riduzione dei prezzi. A patto che le lobby industriali non decidano di lucrarvi sopra, aumentando ingiustificatamente i loro margini a fronte di un calo delle pressioni concorrenziali», chiarisce Raphael Gallardo, Capo economista di Carmignac. Sempre stando alla teoria i benefici potrebbero essere anche altri, e il perimetro dei beneficiari allargato. «Tra gli effetti positivi si può ipotizzare la costituzione di nuova capacità produttiva nazionale che andrebbe a sostituirsi a una parte dell’offerta sottoposta a limitazioni, dunque non solo le aziende già attive in quel settore sarebbero protette dalla concorrenza estera, ma il numero degli occupati potrebbe aumentare. Le tariffe se ben applicate possono essere un’arma negoziale importante, utile a ottenere certe concessioni, e non da ultimo potrebbero generare entrate fiscali per lo Stato. I costi da sopportare sono però significativi, e rende ambigua la determinazione dei risultati ottenuti, a patto di voler tenere l’intera discussione su un piano puramente economico. Spesso in queste circostanze subentrano fattori politici, come preoccupazioni di sicurezza nazionale ed equilibri geopolitici, strate-
Fonte:
gici per il Paese, reputabili di maggiore rilevanza», mette in evidenza Vincenzo Vedda, global Cio di Dws.
Salvo poi voler trovare proprio un cavillo, all’interno di polverosi manuali di macroeconomia, comunque da non scartare preventivamente. «Esiste infatti un’idea di nicchia, definita ‘tariffa ottimale’, che a patto di circostanze davvero rare, renderebbe giustificabili e poco costose tali iniziative. È il caso di prodotti specifici in mercati di grandi dimensioni, come potrebbero essere gli Stati Uniti, i quali potrebbero riuscire a incidere sui prezzi mondiali di quei beni, senza che a sopportarne le conseguenze, e relativi costi, siano produttori e consumatori nazionali. Evidentemente non si può applicare questa speculazione teorica all’attuale contesto, con i dati degli ultimi anni già a dimostrare il contrario. I prezzi più alti sono pagati sia dai consumatori, che dalle aziende che hanno bisogno di parti e componenti estere quali input di produzione, di cui una parte più o meno consistente finirà con l’essere nuovamente esportata», nota Manfred Elsig, Professore e Deputy Managing Director del World Trade Institute dell’Università di Berna.
Nella pratica è però tutto tremendamente difficile, e le variabili coinvolte centinaia, in larga misura non controllabili. «Le serie storiche dimostrano che solitamente i dazi portino a una riduzione della crescita economica e un aumento dei prezzi al consumo, con una seconda variante da non sottovalutare, il tempo. Costi e benefici sono temporalmente asimmetrici: i benefici, come la protezione offerta alle aziende è immediata, e gli effetti si concretizzano rapidamente; i costi non solo economici si accumulano invece nel tempo e possono essere complicati da individuare, il che potrebbe gettare del fumo sull’intero quadro dell’azione», riflette Andrew Ye, Investment Strategist Thematic di Global X Etfs.
Senza considerare le reazioni che comunque si potrebbero scatenare all’estero, dirette oltre che indirette, potenzialmente significative salvo economie totalmente autarchiche, altra teoria. «Nel mondo reale ai dazi si è soliti rispondere, se sanzioni un partner una forma di ritorsione è molto probabile. Le imprese colpite da dazio potrebbero alzare i prezzi per sopravvivere, perdendo in competitività, i consumatori si ritrovano con meno beni, e più cari, e nel mentre gli altri Paesi ini-
«Gli stati europei non hanno bisogno di cercare capitali, la popolazione accumula strutturalmente risparmio in eccesso. Dovrebbero essere però capaci di porre le necessarie premesse affinché i rendimenti attesi degli investimenti in Europa raggiungano finalmente i livelli di quelli americani»
Raphael Gallardo, Capo economista di Carmignac
Commerciare fa bene
L’export mondiale
Scomposizione dell’impiego dell’export in termini di valore aggiunto (V.a.) (trl usd)
■ V.a. domestico per l’importatore estero, riesportato ma che resta all’estero
■ V.a. domestico per l’importatore estero, che torna nel Paese d’origine
Fonte: World Trade Organization 2024
ziano a cercare mercati alternativi. I benefici iniziali si trasformano in isolamento. L’attualità mostra questi estremi: gli Stati Uniti impongono dazi, la Cina risponde forte e chiaro, Messico e Canada si attivano, l’Europa cerca altri amici, Giappone e Taiwan trattano e promettono. Torna sul tavolo la parola ‘autonomia strategica’, la guerra commerciale nei fatti è già iniziata», evidenzia Alessio Garzone, Portfolio Manager di Gamma Capital.
Entrare nelle catene di fornitura globale ha fatto bene o molto bene a centinaia di milioni di persone nei Paesi emergenti che grazie al consumismo occidentale sono uscite dalla miseria più nera. Si spiega così il miracolo economico degli ultimi decenni. Entrare nel grande meccanismo della globalizzazione fa bene al Pil, alle famiglie, e anche agli Stati, forse non di tutti i Paesi.
Paesi a basso reddito Paesi a reddito medio inferiore Paesi ad alto reddito Paesi a reddito medio superiore
Far cassa sull’import
«È inevitabile, i Paesi colpiti da dazi si riorganizzeranno, dando luogo a situazioni anche improbabili, come i colloqui inediti avviati tra Seul, Pechino e Tokyo. Il vulnus di queste alleanze tra esportatori è che però molto spesso a mancare è l’elemento più importante: il consumatore»
Elena Guglielmin, Cio di Ubs Wealth Management
Ammontare dei dazi raccolti negli Stati Uniti in % dell’import
Smoot-Hawley Tariff Act del 1930
Nafta
Cina si unisce al Wto
Nuovi... amici?
Quello che potrebbe infine realizzarsi, del tutto involontariamente, è proprio il peggior incubo di Washington, un ridisegno degli equilibri geopolitici. «Una Guerra Commerciale aperta tra blocchi contrapposti è realistica ma non probabile, almeno nell’immediato, in quanto l’interdipendenza economica dovrebbe agire da ammortizzatore delle tensioni. È più probabile invece si acceleri la tendenza a una maggior regionalizzazione di commercio e produzione», rileva Gupta. Guardando al passato cosa emerge? «Le economie più grandi hanno la forza di rispondere a dazi con altri dazi, e spesso lo fanno, mentre i Paesi più piccoli cedono in tempi rapidi. Dipende tutto da come reagiranno nelle prossime settimane Canada, Europa, Cina ed Emergenti agli input di Washington, oltre che negli stessi Stati Uniti. Non si può escludere una spirale negativa, con ad esempio il formarsi di queste nuove alleanze cui gli americani potrebbero rispondere con nuovi pesanti dazi. È realistico affermare la Casa Bianca possa dimostrare una tolleranza elevata, seppur non illimitata, a sopportare i costi associati alle sue decisioni», nota il Cio di Dws. In un contesto particolarmente fluido come l’attuale a essere determinanti saranno le decisioni immediate dei singoli Paesi, ricche però di conseguenze di lungo termine. «L’Europa era ormai in procinto di allontarsi dalla Cina per affrontare sfide
Cosa vuole ottenere? Se molte guerre possono essere vinte senza sparare un colpo, e scrivendo semplicemente qualche parola, in questo caso di parole se ne sono molto probabilmente dette sin troppe, e spesso a sproposito. Una novità? «Il 47esimo Presidente degli Stati Uniti ha più volte affermato che il lemma più bello dell’intero dizionario sia proprio ‘dazio’, riportandoli al centro del dibattito, dopo anni che erano lentamente scomparsi dai titoli dei quotidiani. Gli obiettivi chiave da raggiungere secondo Trump sono abbastanza semplici: difendere le aziende americane, aumentare l’occupazione e ridurre il deficit fiscale. Risulta molto discutibile dire se sarà possibile poi raggiungerli», chiosa Guglielmin.
Us-Cina I guerra commeciale
Il novero degli obiettivi da raggiungere sono del resto proporzionali al numero di annunci effettuati e dipendenti dai diversi pubblici di riferimento, per quanto a essere inedita sia soltanto la portata di determinate decisioni. «Le finalità sono delle più varie, e crescenti nel tempo, ma non solo in ambito economico. In prin-
Prelevare introiti più o meno grandi dall’import è sempre stata la norma in un Paese come gli Stati Uniti.
L’export cinese Per area (mld usd)
Eu Asean Usa
Fonte: Dbs research (dati III-2025)
geopolitiche importanti per il suo futuro, ma i dazi potrebbero rallentare di molto questo processo. La prospettiva di tre blocchi contrapposti sta riguadagnando punti, e si avvicina. Gli Emergenti cercheranno invece di negoziare, rimanendo pragmatici, e lasciandosi aperte tutte le porte», chiosa Elsig. Fenomeni curiosi ma non isolati. «È inevitabile i Paesi colpiti da dazi si riorganizzeranno, dando luogo a situazioni anche improbabili, come i colloqui inediti avviati tra Seul, Pechino e Tokyo che starebbero cercando tattiche comuni. Il vulnus di queste alleanze tra esportatori è che però molto spesso a mancare è l’elemento più importante: il consumatore. Quello americano al momento rimane, nonostante tutto, una preziosa valvola di sfogo», conclude il Cio di Ubs.
Valore dei dazi incassati dallo Stato
cipio dovevano essere utili a spostare una parte del carico fiscale dalle spalle degli elettori americani alle imprese estere, oltre a riequilibrare la bilancia commerciale. Incoraggiare anche caldamente tariffe reciproche con gli altri Paesi, spingendoli ad abbassarle, dovrebbe invece riportare produzione manifatturiera negli Stati Uniti, reindustrializzandoli, il che dovrebbe anche ridurre la dipendenza dall’estero in termini di sicurezza nazionale di determinate filiere sensibili. In termini sociali, dovrebbero invece servire a punire i Paesi meno volenterosi nel contrastare l’immigrazione, il traffico di droga, e altre esternalità negative per i cittadini americani», sintetizza Valentin Bissat, Senior Multi-Asset Strategist and Economist di Mirabaud Asset Management.
A essere strana non è del resto la pratica, i dazi sono vecchi come il mondo, ma le finalità molto singolari. «L’insieme di questi ampi obiettivi è un cocktail esplosivo sotto molti aspetti. Nessuno si sarebbe scandalizzato se si volesse semplicemente tutelare la competitività di un settore industriale per quanto ampio, non si riesce però a capire come si possano perseguire tutti questi obiettivi contemporaneamente, ottenendo risultati apprezzabili. Quel che è certo è che i costi economici sarebbero elevati per tutti i settori caratterizzati da un’importante integrazione della propria catena di fornitura a livello globale», chiarisce il professore di Berna.
Il problema fondamentale è anche l’arbitrarietà con cui determinate misure siano considerate ingiuste limitazioni alla concorrenza di imprese americane, e quindi le modalità con cui correggere tali pratiche. «Per quanto risulti evidente che qualcosa debba essere fatto nei confronti della Cina, se guardiamo agli altri Paesi Ocse non si possono ravvisare nette pratiche commerciali sleali, dunque tariffe universali e reciproche porterebbero a semplici distorsioni e inefficienze, non essendoci nulla da correggere. Le possibili ritorsioni di altri Paesi potrebbero portare allo scoppio di una vera e propria guerra commerciale con un impatto sostanziale sugli scambi e sul Pil globale, incoraggiando il formarsi di nuove alleanze e blocchi economici strettamente integrati con inedite catene di fornitura transfrontaliere», rileva l’esperto di Carmignac. Fermo restando che qualche minimo risultato, e anche tra quelli desiderati, sia comunque stato ottenuto, o stia ancora
«Il deficit commerciale è una caratteristica strutturale dell’economia americana, sostenuta da un dollaro forte del suo status di valuta di riserva globale, e dalla composizione del Pil, incentrato sui consumi. Nel tempo la natura del deficit è semplicemente evoluta»
Aneeka Gupta, Director ricerca macroeconomica di WisdomTree
Incertezze commerciali
Evoluzione dei principali indicatori d’incertezza negli Stati Uniti
Guerre commerciali
Elezioni 2016
Incertezza della politica commerciale Indice Vix Incertezza della politica economica
Deficit commerciale
Deficit manifatturiero annuale (% del Pil)
Elezioni 2024
Il manifatturiero americano Quota di occupati in % del totale
Deficit commerciale manifatturiero
arrivando. «In termini di obiettivi strategici, riduzione del deficit commerciale e reindustrializzazione, a fronte della sola minaccia di possibili dazi qualcosa ha innescato. La taiwanese Tsmc ha deciso di investire negli Stati Uniti ulteriori 100 miliardi di dollari in capacità produttiva, Eli Lilly per circa 27 miliardi, mentre Johnson & Johnson ne ha messi sul piatto 55. Il frammentarsi delle catene di fornitura a fronte di dazi troppo pesanti da
Fonte: Bpea Conference III-2025
In termini assoluti imporre un dazio non è una gran novità, anzi, entro certi limiti può anche essere legittimo, a dipendenza di quale obiettivo debba essere raggiunto. Il manifatturiero americano è andato scomparendo, si vuole rianimarlo. Discutibile? Forse, ma se è chiaro... Il grande problema è non sapere dove si voglia andare, e lasciare le imprese in dubbi esistenziali.
«Nessuno si sarebbe scandalizzato se si volesse tutelare la competitività di un settore industriale, non si riesce però a capire come si possa perseguire questo cocktail esplosivo di così ampi obiettivi contemporaneamente, ottenendo risultati abbastanza apprezzabili»
Manfred Elsig, Deputy Managing Director del World Trade Institute dell’Università di Berna
La bilancia commerciale americana
Entrate e uscite di capitali americani dagli Usa (mld usd)
■ Uscita di capitali Us (acquisto di asset esteri) ■ Entrata di capitali Us (passività) Bilancia delle partite correnti Us
Fonte: Bpea Conference III-2025
Mezzo secolo di squilibri
Posizione finanziaria netta con l’estero degli Stati Uniti (in % del Pil) Posizione finanziaria netta Partite correnti
Fonte: Bpea Conference III-2025
Gli Stati Uniti sono sin dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale in una situazione di crescente squilibrio commerciale, senza che si riesca a invertire la rotta. La posizione finanziaria nei confronti dell’estero ha intanto raggiunto dimensioni enormi, proporzionali a quelle del Pil stesso. È il consumatore americano truffato dagli Stati esteri, o è un consapevole spendaccione?
più parti ha il potenziale di ridisegnare l’architettura del commercio mondiale, con la formazione di alleanze basate anche soltanto su interessi economici reciproci, dunque diverse dal passato», riflette l’esperto di Global X.
L’elefante. Pur al netto di una certa creatività distruttiva esiste un problema fondamentale nella stanza particolarmente difficile da risolvere, ma quanto mai necessario: il deficit commerciale statuni-
tense. Non una novità degli ultimi anni. «È una caratteristica strutturale dell’economia americana, sostenuta da un dollaro forte del suo status di valuta di riserva globale, e dalla composizione del Pil, incentrato sui consumi delle famiglie. Nel corso degli anni il deficit commerciale è evoluto, passando dai beni manifatturieri ai fattori produttivi ad alta tecnologia e all’energia. I dazi possono solo sperare di contenere l’aumento dell’import, non di invertire il trend, per farlo servirebbe un mix articolato di elementi. La Fed dovrebbe indebolire il dollaro, il Governo sostenere e incentivare l’industria affiancando generosi incentivi per rimpatriare capacità produttiva, da ultimo dovrebbero essere introdotte politiche ad hoc per stimolare il risparmio interno», commenta l’esperta di WisdomTree.
La cronaca di una storia ormai datata, ma che in ogni caso non accenna a migliorare, salvo brevi fortunate parentesi frutto del caso. «È dagli anni Ottanta che la forbice va aprendosi, e intanto il deficit commerciale ha raggiunto dimensioni tanto considerevoli da rendere irrealistico chiuderlo in tempi celeri. A patto di volerlo fare si dovrebbe sicuramente agire sul risparmio delle famiglie, sia lavorare su un maggior export, che però richiederebbe ulteriori investimenti in R&D, infrastrutture migliori, sovvenzioni all’industria su modello di Biden, e sforzi per formare una migliore manodopera americana. Oltre a collaborare con gli altri Paesi in politiche commerciali favorevoli, soprattutto amici e alleati, si dovrebbe anche riuscire a rafforzare il ceto medio americano, ridistribuendo il carico fiscale», evidenzia Elsig. Sotto molti aspetti il libro dei sogni, anche laddove vi fosse una qualche minima volontà di farlo davvero, reggendo il colpo. Dunque, la variabile tempo. «Sono percorribili due strade. La prima, che presenta dei rischi di breve termine, è quella di imporre dazi, affrontandone poi gli effetti interni. Un secondo approccio, più delicato e di lungo periodo, consisterebbe nel migliorare la competitività delle industrie in cui gli Stati Uniti hanno già un vantaggio, per esportare di più. Molto probabilmente questa seconda strada non riuscirebbe comunque ad azzerare la distanza, ma solo a far diminuire il deficit, seppur strutturalmente. L’economia americana ha un elevato livello di sofisticazione, e al pari delle altre economie sviluppate è più orientato ai servizi, come ha
fatto negli ultimi decenni. In questo senso l’intelligenza artificiale potrebbe essere una buona alternativa», nota il Cio di Dws. Secondo la teoria economica a interessare gli Stati Uniti sono però ben due i deficit, dunque non solo quello commerciale, che a paragone quasi scompare. «La priorità della Casa Bianca dovrebbe essere ridurre il deficit fiscale, ormai da anni stabilmente troppo elevato, e atteso al 6,4% ancora una volta. Si tratta di tagliare la spesa come il Doge promette di fare, o rimuovere gli incentivi fiscali alle imprese che triangolano i diritti della loro proprietà intellettuale con Paesi terzi a bassa fiscalità, come l’Irlanda. Le famiglie americane vantano spesso un elevato patrimonio finanziario netto, ad esempio grazie a buone valutazioni azionarie. Questo oltre a spingere a non risparmiare attrae strutturalmente capitali dall’estero, che controbilanciano il defict commerciale. L’imposizione dei dazi contribuirà sì a ridurre questo deficit, ma per i motivi sbagliati», enfatizza Gallardo. Sempre a patto di voler prendere per buone le intenzioni dichiarate a più riprese dal The Donald internazionale. «Riequilibrare la bilancia commerciale sembra un obiettivo condivisibile se si ignora che solo nel 2023 le BigTech americane abbiano incassato dall’Europa oltre 155 miliardi di dollari per l’utilizzo dei loro servizi. Sullo sfondo di questo scontro si intravedono però 9,2 trilioni di dollari di debito pubblico in scadenza e da rinnovare entro fine anno, ecco quindi che può nascere il fondato sospetto che la recente forte incertezza e il relativo aumento della domanda di beni rifugio sia soltanto un modo di stimolare la domanda di Treasury, meglio se costringendo la Fed a tagliare i tassi», riflette l’esperto di Gamma Capital.
Macro questioni. Esiste però anche la possibilità di sortire esattamente l’effetto opposto di quanto in realtà ci si fosse prefissati prima di intraprendere una serie di politiche blandamente definibili sconsiderate, già da parte dell’uomo della strada. «I dazi potrebbero innescare un forte rafforzamento del dollaro, a fronte del minor import. Nel quarto trimestre del 2024 il dollar index si è rafforzato del 10%, salvo aver poi ritracciato, e questo andrebbe a erodere la competitività delle aziende americane, tralasciando gli evidenti effetti redistributivi. Far cassa imponendo i beni di consumo importati, utilizzandone
«L’idea di un’aliquota universale potrebbe frenare la riorganizzazione delle catene di fornitura, mentre l’entità dei dazi in discussione potrebbe dar luogo a una lunga fase di inflazione persistente, non essendoci più, e in un ambiente meno globalizzato, una Cina esportatrice di deflazione»
Valentin Bissat, Senior Multi-Asset Strategist di Mirabaud Asset Management
Riserve estere globali
Dollari custoditi come riserve estere secondo fonti diverse (in mld usd)
Fonte: Bpea Conference III-2025
I Treasury cercano casa
Principali detentori di titoli del Tesoro americano per nazionalità (usd mld)
Fonte: Trade War 2.0 dati III-2025
i proventi per far diminuire la pressione fiscale, di fatto impoverisce soltanto i ceti più bassi, anche senza voler considerare le probabili conseguenze macroeconomiche, ad esempio l’andamento dell’inflazione», constata l’esperto di Mirabaud Am. Se i risultati di questo complesso mix di politiche economiche sono dunque quanto meno discutibili e molto vari, anche in termini macro cosa succederebbe non è troppo evidente. «I dazi sono in-
Affinché il dollaro continui a essere una valuta di riserva mondiale è indispensabile individuare canali che permettano a grandi quantità di biglietti verdi di defluire verso l’estero. Se gli Stati Uniti non fossero grandi consumatori come farebbero gli altri Stati ad avere centinaia di miliardi di dollari nei forzieri? Questo è sì un vantaggio, ma anche un potenziale grosso problema.
■ Dati Cofer (Fmi) ■ Dati Bea ■ Dati ufficiali Fed Ny (Frbny)
«Gli Stati Uniti impongono dazi, la Cina risponde forte e chiaro, Messico e Canada si attivano, l’Europa cerca altri amici, Giappone e Taiwan trattano e promettono. Torna sul tavolo la parola ‘autonomia strategica’, la guerra commerciale nei fatti è già iniziata»
Alessio
Garzone, Portfolio Manager di Gamma Capital
sull’export, laddove siano occorse misure di ritorsioni estere», rileva Ye.
Fonte: Ecb 2025
Evoluzione del commercio europeo Composizione della
Si parla spesso di Cina, ma anche la mercantilista Europa non è senza macchia, anzi. In proporzione al Pil, europeo o mondiale, l’Eurozona è uno dei motori trainanti del commercio globale, e ovviamente il mercato finale principale sono gli Stati Uniti. La bilancia commerciale del Vecchio Continente rimane molto forte, resta quindi da sciogliere la questione del cosa fare in futuro.
flazionistici specie se applicati in maniera generalizzata e indiscriminata, dunque anche sui beni di consumo, specie nel caso di economie fortemente dipendenti dall’estero. Nel breve periodo aumentano infatti i prezzi dei beni importati, e riducono la pressione competitiva nazionale; nel lungo a determinate condizioni potrebbero invece diventare deflazionistici, ulteriore problema, andando a incidere sull’attività economica, ma anche
Determinante è però anche la risposta che lo Stato può avere rispetto alla tipologia di problemi conseguenti al potenziale avvitarsi della situazione interna ed estera, oltre alle tempistiche. «Laddove nel tempo la domanda dei beni daziati dovesse scemare, o essere sostituita, l’effetto di tali politiche sarebbe disinflazionistico, il che alimenta i timori attuali. In un mondo meno globalizzato gli stimoli fiscali, europei o cinesi, potrebbero compensare questi effetti, o peggiorare i rischi inflativi. Dipende evidentemente dalla destinazione di queste risorse. Se ad esempio in Europa gli stati decidessero di attuare forti investimenti in Difesa, gli effetti potrebbero dimostrarsi positivi, a partire dallo sfruttare una base industriale preesistente, seppur ridotta, che ridurrebbe i tempi di messa a terra di molti progetti. Una cabina di regia comune avrebbe però un ruolo chiave nella buona gestione, sia in termini macro che micro, delle risorse mobilitate», chiarisce Gupta. Anche a fronte di alcuni prevedibili e ragionevoli ‘considerando’. «A essere impattato dai dazi è il livello di inflazione, e non il tasso. È un rialzo una tantum, che dopo un anno statisticamente scompare nel calcolo, ed è quanto già accaduto nel 2017-18, e quanto stima la Fed nel 2025-26. L’idea di un’aliquota universale potrebbe in un certo modo frenare la riorganizzazione delle catene di fornitura, mentre l’entità dei dazi in discussione potrebbe dar luogo a una lunga fase di pressioni inflative persistenti, non essendoci più, e in un ambiente meno globalizzato, una Cina a esportare deflazione in tutto il mondo, come accaduto durante gli anni della Great Moderation», rileva Bissat. Dove andare? Nella patria del libero mercato determinate decisioni, o anche il loro annuncio, sono comunque destinate a suscitare un po’ di scalpore, nonostante illustri precedenti. «A livello internazionale l’approccio di Trump è quello di ‘gestire’ e correggere i flussi commerciali, secondo un modello che assomiglia molto a un’economia pianificata. A livello interno, paradossalmente, l’effetto vorrebbe essere l’opposto, abbassando infatti il livello di regolamentazione a uscirne rafforzata dovrebbe essere proprio la dottrina liberale. Se ha comunque senso voler rafforzare il manifatturiero, l’attenzione dovrebbe concentrarsi sui settori ad alta tecnologia,
salvaguardando ciò che già esiste», riflette il professore di Berna.
Pur al netto delle evidenti difficoltà anche solo teoriche di tale operazione, è pur vero sia un vecchio vizio non solo europeo. «Introdurre politiche economiche ‘pianificate’ non è certo semplice in un’economia liberale, ma gli Stati Uniti l’hanno già fatto in passato in circostanze analoghe, in periodi di profonda trasformazione tecnologica per quanto limitatamente ad alcune industrie. Il rilancio del manifatturiero in settori considerati strategici ha senso ma richiede investimenti sostanziali non solo in capacità di produzione, ciononostante il reshoring completo dell’intera filiera è probabilmente irrealistico, laddove non impossibile», nota l’esperto di Global X.
Non si tratta però di sola teoria, ma anche di qualcosa che è già realtà. «L’Inflation Reduction Act (Ira), il Chips Act e la legge bipartisan sulle infrastrutture sono un chiaro segnale del ritorno di politiche industriali brandizzate White House. Washington sta già combinando incentivi del libero mercato, dunque crediti d’imposta e partenariati pubblico-privati, con la pianificazione strategica. A patto che i tentativi restino circoscritti a settori ad alta intensità di capitale si potrebbe anche sperare di ottenere qualche tiepido risultato», enfatizza l’esperta di WisdomTree.
Un ulteriore paradosso è comunque in agguato, già dietro l’angolo. «I dazi sono a tutti gli effetti un sussidio per la produzione nazionale, ma sicuramente non un sostegno all’occupazione. Nei moderni sistemi produttivi è la tecnologia a fare la parte del leone, e se ci sono esempi anche recenti della creazione di nuovi siti produttivi, a scarseggiare sono i nuovi posti di lavoro. Non va nemmeno trascurato il ruolo che gioca l’incertezza in tali circostanze, è difficile che le industrie esportatrici decidano di sopportare nuova investimenti con tutti i rischi competitivi di questo nuovo ambiente, essendo di base già penalizzate dai dazi sull’import di componentistica e semilavorati», sottolinea l’esperto di Mirabaud Am. Sempre a patto di salvaguardare il poco che negli Stati Uniti è rimasto, che sta uscendo sensibilmente ammaccato dalle ultime settimane. «Minacciare e imporre poi pesanti dazi non è una strategia particolarmente realistica se si vogliono ottenere risultati apprezzabili. Le tariffe con Canada e Messico hanno il poten-
«Se la frammentazione globale proseguisse, l’Europa potrebbe essere costretta a forgiare un modello ibrido, sviluppando politiche industriali più coordinate per mantenere il vantaggio in settori strategici, ma stimolando anche un mercato interno degno del suo stesso nome»
Andrew Ye, Investment Strategist Thematic di Global X Etf
aggiunto
ziale di distruggere le attuali catene di fornitura, e sarà necessario almeno un decennio per ricrearle nella Rust Belt, a partire dai bacini di manodopera specializzata al momento non pervenuti. Il costo, sopportabile, è sacrificare 40 anni di guadagni ricardiani di produttività per un progetto che dovrà sopravvivere politicamente a molti Governi, dunque meglio che sia condiviso», chiarisce l’esperto di Carmignac.
La piccola Svizzera in termini economici ha un ruolo preminente, sicuramente rispetto alle sue dimensioni, negli Stati Uniti. Le sue imprese investono ogni anno centinaia di miliardi di dollari con le più disparate finalità, alimentando la ricerca americana, ma anche il mercato del lavoro per centinaia di migliaia di posti di lavoro, paragonabili a Stati ben più grandi.
Fonte: Swiss Embassy in Us (dati 2024)
Posti di lavoro negli Stati Uniti Occupati dipendenti da aziende estere
2. Giappone
Fonte: Swiss Embassy in Us (dati 2023)
Investimenti esteri diretti
negli Usa per Paese (mld usd)
Fonte: Swiss Embassy in Us (dati 2022)
usd)
Fonte: Swiss Embassy in Us (dati 2022)
usd)
Un modo per far cassa?
Dati del gettito fiscale sulla base degli annunci del 2 aprile
Il Liberation Day
Tariffe secondo quanto annunciato e % import del Paese daziato
Fonte: Fed, Hsbc IV-2025
Top10 dell’auto Importatori di auto negli Us (2024)
Top10 del Pharma Importatori di farmaci negli Us (2024)
sé stesso, e che metta finalmente a frutto il mercato unico. Per iniziare si potrebbe promuovere il commercio tra Stati membri, abolendo qualche regola, e coordinandosi meglio», rileva il Cio di Dws. Pandemia, Ucraina, sanzioni, dazi… non si può certo parlare di fortuna. Il risultato però non cambia. «Le grandi economie esportatrici, Corea e Germania, si basano sulla volatilità della domanda globale, mentre India e Stati Uniti sono più concentrate al proprio interno, e dunque più stabili. Potrebbe essere tempo per l’Europa di ripensarsi e ricalibrare il suo modello, anche a fronte di demografia avversa e surplus commerciale persistente, lasciando crescere i salari, stimolando la domanda domestica, impiegando i capitali disponibili. Il persistente avanzo delle partite correnti riflette uno squilibrio tra risparmio e investimento, che come nel caso di Giappone e Svizzera costringe a esportare capitali che non trovano impiego», riassume l’esperta di WisdomTree.
Del resto è ironicamente noto in cosa l’Europa eccella, e non è solo un problema economico. «La questione è principalmente culturale, e spinge gli stessi europei a continuare a risparmiare, del tutto inutilmente. Si è soliti dire: l’America innova, la Cina copia, l’Europa regolamenta. È tempo di uscire da questi vicoli ciechi, affrancandosi da questi limiti autoimposti, dunque rafforzando la domanda interna, cambiando partner commerciali, seguendo la direzione della Cina negli ultimi anni», riflette Garzone.
Fonte: US Census Bureau, DBS
Il 2 aprile sono successe molte cose, si è chiacchierato molto, e si è dato il la a molte sciocchezze, salvo poi essere state ritrattate, confermate, sospese, rinviate. Gli Stati Uniti hanno sì un problema commerciale enorme, ma in larga misura è lo scotto da pagare per rimanere leader globali in diversi altri ambiti. Sarà possibile far cassa, tassando l’import, senza mandare in recessione l’economia?
Fonte: US Census Bureau, DBS
Soluzioni cercansi. Sin tanto che va lasciala andare; chiaro. Ma poi che si fa? Ecco, l’Europa dopo un lustro vissuto molto intensamente si trova infine a confrontarsi con sé stessa, essendo venute meno man mano molte certezze. «I Paesi che possono fare affidamento su un mercato interno vivace e sufficientemente ampio sono evidentemente meno vulnerabili agli shock esterni, è forse quindi tempo che il Vecchio Continente riscopra
Se nell’immediato l’Europa ha comunque ancora molte carte da giocarsi, non tutti sono nella stessa fortunata situazione. «Sia Cina che Europa hanno al momento la forza di potersi indebitare per mettere una pezza al problema, stimolando i consumi, o ad esempio finanziando infrastrutture e Difesa. Sono altri Paesi altrettanto dipendenti dall’export che potrebbero invece trovarsi in difficoltà maggiori, come il Vietnam, la nuova Cina del Far East, al pari di altri stati alfieri del libero commercio ma improvvisamente penalizzati per scarso import dagli Stati Uniti. Situazione in cui potrebbe ritrovarsi anche la Svizzera», nota il Cio di Ubs.
Dalla sua l’Europa ha diversi pro, e un prezioso know-how industriale tutto da meglio valorizzare. «Le grandi nazioni esportatrici si specializzano, e raggiungono la competitività dei costi grazie alle economie di scala, cosa che invece gli al-
Fonte: Boston Consulting Group IV-2025
tri Paesi non riescono a fare. A maggior ragione se la frammentazione globale proseguisse, l’Europa potrebbe essere costretta a forgiare un modello ibrido, sviluppando politiche industriali più coordinate per mantenere il vantaggio in settori strategici, ma stimolando anche un mercato interno degno del continente più benestante al mondo», chiosa Ye.
Ulteriore vantaggio, ancora tutto da capitalizzare, le risorse per farlo. «Gli stati europei non hanno bisogno di cercare capitali, la popolazione accumula strutturalmente risparmio in eccesso. Dovrebbero essere però capaci di porre le necessarie premesse affinché i rendimenti attesi degli investimenti in Europa raggiungano finalmente i livelli di quelli americani, il che limiterebbe fortemente gli attuali deflussi. È naturale che in presenza di una rivoluzione tecnologica, e dunque rendimenti interessanti, i capitali si riversino negli Stati Uniti, creando un deficit delle partite correnti. Cercare di ridurre questo disavanzo ex lege significa creare un equilibrio subottimale, limitando la velocità di questo balzo tecnologico. L’attuale deficit americano è probabile rifletta il boom dell’Ia, e un eccesso di consumi derivante da valutazioni azionarie sempre troppo elevate», evidenzia Gallardo. Alla base di tutto sopravvive però un equivoco nella migliore delle ipotesi, o semplicemente una colossale foglia di fico, che presto verrà meno. «Sarà la storia a giudicare se a plasmare un sistema con l’America quale compratore di ultima istanza, e Asia ed Europa quali potenze mercantilistiche, sia stata responsabilità degli Stati Uniti o del resto del mondo. Solo il tempo chiarirà se siano gli americani a voler consumare sulle spalle degli altri, o gli altri a voler invadere commercialmente gli Stati Uniti. Probabilmente emergerà la profonda complicità tra le parti che ha determinato un malsano equilibrio cui il Fondo Monetario Internazionale guarda con preoccupazione da oltre mezzo secolo, non fosse altro che era stato fondato nel 1944 proprio con il compito di facilitare il riequilibrio degli scompensi commerciali tra Paesi», conclude Elena Guglielmin, Cio di Ubs.
Se da un lato risulta abbastanza evidente che qualcosa debba essere fatto, non è sostenibile accumulare per altro mezzo secolo squilibri commerciali così notevoli, e per giunta in rapido peggioramento, e fare esattamente la stessa cosa
Inflazione ti aspetto
Evoluzione delle aspettative d’inflazione delle famiglie (in %)
anche in termini di finanza pubblica, al tempo stesso il rischio molto concreto di approcciare una così delicata materia in questo modo è di porre tutte le premesse per un disastro economico, finanziario e geopolitico per gli stessi Stati Uniti.
Sotto una qualche forma, e qui si può scegliere, deve esistere uno scotto da pagare per rimanere egemoni economici e politici del mondo, e resistere alle pressioni crescenti dei potenziali rivali geopolitici. Se il dollaro vuole (o avrà la forza di) rimanere la valuta di riserva del mondo, in un qualche modo bisogna essere in grado di rifornire gli stati esteri di tale moneta, che per altro è anche l’occasione perfetta per piazzare un po’ dell’enorme debito pubblico che stanno emettendo.
Creato il precedente, la dichiarazione di dazi generalizzati e indiscriminati di tale entità, in termini di fiducia nei confronti di Stati e mercati sarà molto difficile tornare indietro. Non conta se quanto minacciato troverà mai forma, ormai la frittata è fatta. Al pari dell’emergenza pandemica la ruota ha iniziato a girare, le imprese inizieranno a cercare alternative,
Se da un lato l’introduzione di pesanti dazi almeno inizialmente sarà accompagnata da una salita dei prezzi abbastanza generalizzata (quale migliore scusa?), al tempo stesso le misure di ritorsione potenziali, in questo caso nei confronti degli Stati Uniti, potrebbero essere sensibili.
gli Stati altrettanto, e sembra piuttosto probabile possa finire esattamente al contrario di quanto The Donald avrebbe auspicato, sino a poche settimane fa, sempre ammettendo un piano logico e razionale, rispetto a un problema sicuramente serio e molto concreto, sia poi mai esistito. È stato tutto un grande bluff, e il poker non è stato calato? La partita non è persa sin tanto che non è finita, ma i problemi sono sicuramente solo iniziati. È possibile che il ‘grande restauratore’ del sogno americano (e qui i parallelismi con Brexit abbondano), rischi di rivelarsi il grande costruttore di quanto l’Europa non è stata in grado di fare per così tanto tempo? ❏
Fonte: Oecd Outlook III-2025
Stati Uniti Regno Unito Eurozona Corea del Sud
Fonte: Boston Consulting Group
Materie prime critiche
Flussi commerciali globali di minerali rari nel 2022 (usd mld)
Usa
Messico
Paesi del Mercosur
■ Rotte commerciali a rischio geopolitico
La febbre delle terre rare
Le note aspirazioni dell’amministrazione Trump di negoziare gli aiuti all’Ucraina in cambio dello sfruttamento delle terre rare del Paese confermano il crescente interesse per queste risorse. La posizione della Svizzera e la ‘ricchezza’ della Spagna, ancora poco nota.
Afine febbraio la Rsi pubblicava un articolo in tema di “Materie prime, l’Occidente che rincorre la Cina. Oggi il Paese asiatico è in vantaggio nello sfruttamento delle risorse minerarie - Stati Uniti ed Europa tentano di recuperare il tempo perso - La Svizzera cosa rischia?”, che concludeva: “Nel frattempo,
anche in Svizzera il Consiglio federale, rispondendo alle richieste del Parlamento, ha trattato la dipendenza da materie prime. La risposta è stata che per la Confederazione non rappresenta un problema, in quanto l’importazione dei materiali avviene dall’Unione europea sotto forma di semilavorati”. Non tutti sanno che la Spagna è uno
dei Paesi europei con maggiore potenziale per lo sfruttamento di tali risorse. Un accenno alla storia del settore minerario in Spagna può essere interessante: nell’antichità i Fenici, i Cartaginesi e soprattutto i Romani sfruttarono intensamente miniere di oro, argento, rame, stagno e ferro. I Romani resero celebri le miniere di Las Médulas (oro) e Riotinto (rame, argento). Con l’avvento della Rivoluzione Industriale nel XIX secolo coincide l’esplosione dell’attività mineraria: carbone, ferro, piombo, zinco, mercurio (famosa Almadén, una delle miniere di mercurio più grandi al mondo). Molte concessioni furono date a capitali stranieri, in particolare francesi e britannici. Dopo la Guerra Civile, il regime franchista nazionalizzò molte risorse, cercando l’autarchia e negli anni ’70 ci fu un vero e proprio boom di carbone e minerali ferrosi. Poi, tutto tacque.
La febbre delle terre rare, materie prime ed altri minerali strategici oggi diffusa, è recente. Ben sintetizza l’attuale situazione in Spagna il Prof. Gonzalo Gómez de la Calle (della Facoltà di Economia e Relazioni Internazionali dell’Icade): “ Più di venti secoli dopo, la Spagna è di nuovo il gioiello della corona, non per Roma, ma per l’Europa. La ricchezza mineraria è ampia, ma, purtroppo, è poco conosciuta e largamente vilipesa dall’ideologia popolare. Un’industria che sarebbe al pari dell’energia nucleare. Tuttavia, sia il settore minerario che quello nucleare sono presentati come i salvatori dell’autonomia strategica, sia per la Spagna che per la Vecchia Europa. Nel contesto del conflitto russo-ucraino, le terre rare sono le principali protagoniste, anche se non le uniche, del settore minerario. Secondo i dati del Ministero della Transizione Ecologica e della Sfida Demo-
grafica, la Spagna ha più di 2.700 miniere attive distribuite su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, Andalusia, Castilla y León, Castilla La Mancha, Catalogna, Galizia, Asturie ed Estremadura sono le regioni che si distinguono maggiormente per i minerali che possiedono. (…) Se l’Europa vuole essere protagonista sullo scacchiere internazionale, oltre a garantire la propria sopravvivenza, deve contare sulla Spagna, perché la penisola iberica è la chiave della futura innovazione europea. I chip, i laser, i magneti e gli altri componenti tecnologici necessari per aumentare l’innovazione e la produttività del Vecchio Continente proverranno da questi minerali e, pertanto, la Spagna può essere il loro più grande sostenitore e difensore”.
Primo produttore mondiale di ardesia per tetti, la Spagna è anche il secondo produttore di marmo e rocce ornamentali e il terzo di granito; inoltre, è l’unico produttore europeo di stronzio e sepiolite, il primo di fluorite e gesso e il secondo di rame, magnesite e sali di potassio. Il valore economico delle materie prime chiaverame, fluorite e gesso, feldspato, stronzio, wolframio e tantalio - ha superato gli ottocentocinquanta milioni di euro.
Ed è proprio dall’Unione europea che si sono poste le basi per il futuro sviluppo delle ricchezze minerali strategiche presenti in Spagna. Un anno dopo l’adozione della normativa sulle materie prime critiche, con l’obiettivo di “diversificare i fornitori” e individuare le risorse all’interno dell’Ue stessa, Bruxelles ha annunciato una spinta a progetti concreti nei Paesi partner in un contesto geopolitico che minaccia ulteriormente le catene di approvvigionamento europee. La Commissione europea classifica le materie prime in tre categorie: la categoria “critica” comprende le materie prime che sono molto scarse e di vitale importanza economica (materiali come il litio, il cobalto e il nichel, utilizzati per produrre batterie; il gallio per i pannelli solari; il boro grezzo per le tecnologie eoliche; il titanio e il tungsteno nei settori dello spazio e della difesa). Quelle “strategiche” sono legate agli obiettivi della transizione ecologica e digitale (due dei pilastri del Meccanismo di recupero finanziato dai fondi Next Generation). Infine, quelle “generali” forniscono altri materiali di base per l’industria. L’obiettivo proposto da Bruxelles ai Paesi dell’Ue è che entro il 2030 non vi sia più del 65% di dipendenza da una sola materia prima critica proveniente da un solo
Paese. Va ricordato che la Commissione europea prevede che la domanda di terre rare nell’Ue aumenterà di sei volte entro il 2030 e di sette volte entro il 2050, mentre la domanda di litio aumenterà di dodici volte entro il 2030 e di venti volte entro il 2050. Tra i materiali chiave, la Spagna possiede depositi di feldspato, stronzio, tungsteno, antimonio e silicio meccanico (utile per prevenire l’usura dei materiali). L’idea di Bruxelles, con il nuovo regolamento, è quella di rendere meno difficile lo sfruttamento dei giacimenti da parte delle compagnie minerarie in termini di permessi amministrativi. In particolare nelle tre fasi di un progetto: esplorazione, sfruttamento e riciclaggio. Per raggiungere questo obiettivo e incoraggiare le imprese minerarie, sarà approvato un nuovo sistema di garanzie finanziarie per favorire l’attività. Nel caso della Spagna, in pratica, l’ultima revisione del Piano di Approvvigionamento di Materie Prime Minerali risale al 1987 e da allora, ha riconosciuto il governo, non c’è stata alcuna pianificazione del settore minerario; rimane solo l’elenco delle materie prime minerali prioritarie in vigore dal 2002. Ma è proprio recente (11 marzo 2025), la presentazione da parte del Governo spagnolo del 1° Piano d’Azione sulle Materie Prime presso il Centro Nazionale di Ricerca Metallurgica. In questa occasione il Segretario di Stato per l’Energia, Joan Groizard, ha sottolineato che la gestione delle materie prime fondamentali è “una questione sempre più importante in un contesto geopolitico sempre più complicato e in un contesto di transizione energetica che richiederà materie prime sempre più necessarie”, e si impegna per “l’identificazione dei bisogni, il riciclaggio e la circolarità”. Ha inoltre sottolineato che la Spagna sta per eliminare la dipendenza energetica grazie alla transizione energetica, mentre la dipendenza dai minerali e dalle materie prime critiche è qualcosa che “vogliamo affrontare proprio con questo Piano d’azione (…) È un piano che sta per essere sottoposto a un’udienza pubblica affinché tutti possano esprimersi e le loro affermazioni, i loro contributi, in modo che possa essere approvato nel corso dell’anno, ed è proprio questo piano che cerca di ridurre la dipendenza dai minerali stranieri, sfruttando le risorse esistenti e conoscendo quelle che abbiamo in Spagna per utilizzarle al meglio”. Pertanto, le misure incluse nel piano comprendono azioni per il recupero di materie prime minerali dal
David Mülchi, Avvocato e Socio dello Studio Legale Mülchi & Asociados, Madrid e Lugano. Nella pagina accanto, una miniera in Spagna.
riciclaggio e meccanismi per la tracciabilità dell’origine di questi materiali da Paesi terzi. Questo Piano mira a lanciare il primo programma di esplorazione della democrazia spagnola e a individuare le risorse negli oltre mille bacini e discariche esistenti in Spagna. L’obiettivo è aggiornare le normative per accelerare e migliorare il ripristino dei siti minerari chiusi. Oggi molte mobilitazioni hanno a che fare con i danni ambientali che molti impianti minerari hanno storicamente causato. Il nuovo regolamento dell’Ue ritiene che il processo di autorizzazione nazionale debba garantire che i progetti relativi alle materie prime fondamentali siano sicuri e soddisfino i requisiti ambientali, sociali e di sicurezza. Sarà proprio questo aspetto quello più rilevante per risolvere l’atavico “tra il dire e il fare…”. L’Europa spinge costretta da necessità strategiche sempre più impellenti, la Spagna ha un grandissimo potenziale per le sue quasi sconosciute ingenti risorse minerali, il Governo, ora, sembra voler seguire la corrente ed agevolare lo sfruttamento di tali risorse. Eppure, tali progetti (così si è dimostrato nel passato e neppure tanto remoto) trovano un grande ostacolo nella burocrazia, un sistema giudiziario estremamente lento e l’esistenza di gruppi di persone che per ideologia e/o sistema sono sempre pronti ad erigersi come fermi ed ostinati oppositori. Vedremo dunque i risultati, che saranno sicuramente anche legati, “volens nolens”, all’intervento di buoni studi legali.
‘In viaggio’ con le gemme
È probabilmente una delle tecnologie più innovative nel settore delle pietre preziose, dei gioielli e della tracciabilità etica. Tutta la catena di valore viene passata al setaccio per acclarare l’autenticità, creando maggiore trasparenza e fiducia a beneficio del consumatore.
Con una tecnologia all’avanguardia, si affiancano, alla certezza della qualità delle pietre preziose, le loro credenziali etiche.
In tema di pietre preziose e di gioielli, più importante di un buon investimento è la certezza di aver fatto un buon investimento, non solo in termini economici ma anche dal punto di vista etico, assicurando autenticità e tracciabilità lungo tutto il viaggio della gemma. Nel settore delle pietre preziose, la provenienza è uno dei fattori determinanti nella definizione del loro valore. Oltre al valore estetico e commerciale, sapere da dove arriva una pietra e chi è stato coinvolto nella value chain è fonda-
mentale. «Nel 2019 abbiamo lanciato la prima piattaforma al mondo basata su blockchain che permette di mappare il viaggio di ogni pietra preziosa, dalla pietra grezza al gioiello finito, con un metodo a prova di falsificazione», spiega Klemens Link, direttore di Provenance Proof, che fa parte della Maison Gübelin, pur rimanendo indipendente. Provenance Proof consente di determinare trasparenza e autenticità nel settore delle pietre preziose e dei gioielli come fornitore di tecnologia terzo, neutrale.
Azienda innovativa che utilizza tecnologie all’avanguardia per rivoluzionare il modo in cui le gemme vengono tracciate, verificate e autenticate, lungo tutto il percorso, dalla miniera alla vetrina, Provenance Proof in tal modo fornisce alle aziende e ai consumatori gli strumenti per garantire la fiducia nei prodotti gemmologici che acquistano e vendono.
Provenance Proof si compone principalmente di due strumenti, il primo dei quali è costituito dai Physical Tracers, una tecnologia brevettata che permette di
Sotto, mediante l’uso di nanoparticelle si possono individuare l’origine della miniera, il periodo di estrazione, il Paese di produzione di una pietra preziosa.
identificare l’origine esatta della pietra grazie a nanoparticelle invisibili. Questi marcatori sono sicuri, non alterano la pietra e possono essere ‘letti’ anche anni dopo, garantendo una firma unica e non falsificabile. Lanciate nel 2017, e rivoluzionari marker per il tracciamento, le nanoparticelle possono essere applicate in qualsiasi fase della produzione, dalle pietre grezze ai pezzi finiti. Le informazioni, memorizzate sulle nanoparticelle basate su Dna sintetico, risultano completamente invisibili anche sotto il più potente microscopio ottico, e non inducono alcun effetto visivo sulle pietre. Il secondo stru-
mento è Provenance Proof Blockchain: una piattaforma aperta e decentralizzata basata su blockchain, che permette a tutti gli attori della filiera - minatori, tagliatori, commercianti, gioiellieri - di registrare ogni passaggio della gemma in modo sicuro, trasparente e immutabile, fino al consumatore finale.
La blockchain di Provenance Proof consente di creare un inventario digitale lungo l’intera catena di fornitura di ogni gemma estratta. Per ogni gemma viene creato un gemello digitale unico nel suo genere, visibile esclusivamente al proprietario della gemma stessa. La tecnologia blockchain offre una crittografia di altissimo livello e l’immutabilità dei dati, che consente alle persone autorizzate di farsi un’idea della catena di fornitura e dell’origine della pietra preziosa. Il gemello digitale del gioiello da lui acquistato è a
disposizione del consumatore corredato di documentazione completa e di interessanti approfondimenti sul mondo delle pietre preziose, che altrimenti resterebbero nascosti. Ad oggi, più di 37 milioni di gemme e gioielli sono presenti sulla Provenance Proof Blockchain. Gli utenti provengono da oltre 60 Paesi.
Una funzione particolare è l’esclusivo B2B Provenance Proof Marketplace per comprare/vendere gemme e perle che vengono così scambiate in modo trasparente. Un mercato inclusivo, essendo aperto a tutti coloro che nel mondo delle gemme e dei gioielli abbracciano la trasparenza e la tracciabilità. La funzione di base è addirittura gratuita.
Provenance Proof si connota dunque come marchio ombrello di una serie di tecnologie innovative e all’avanguardia che consentono una maggiore trasparenza nel settore delle pietre preziose e
Sopra, Klemens Link, Direttore di Provenance Proof, innovativa start up della Maison Gübelin. Provenance Proof consente di tracciare le pietre preziose con una soluzione blockchain.
dei gioielli. I vantaggi di questa tecnologia sono molteplici. Da un lato, la tracciabilità completa crea trasparenza e fiducia rispetto all’origine delle pietre preziose. I consumatori possono essere certi che le pietre sono state estratte in modo etico e trattate in modo equo. Inoltre, la soluzione blockchain consente di evitare la contraffazione o il commercio illecito di pietre preziose, in quanto ogni gemma presenta un’impronta digitale esclusiva. Infine, la tecnologia contribuisce a migliorare l’efficienza e la sicurezza della catena di fornitura, poiché tutte le informazioni presenti sulla blockchain sono disponibili in tempo reale e protette da manipolazioni. Si tratta quindi di una tecnologia innovativa che definisce nuovi standard per il settore, spianando la strada a un futuro più etico e responsabile. Trasparenza e commercio etico pos-
sono creare un reale valore aggiunto per tutte le parti coinvolte.
Ultimo elemento e non meno importante, è la Proof of Authenticity. Gli articoli di lusso come gioielli e orologi, contrassegnati in modo invisibile mediante le nanoparticelle, verificati attraverso la Provenance Proof Blockchain, sono dotati di un ‘Certificato di Autenticità’: un certificato digitale che può essere condiviso con gli acquirenti, offrendo loro la massima tranquillità. La possibilità di affiancare alla certezza delle caratteristiche qualitative ed estetiche del prodotto finito anche le relative credenziali etiche porterà ad un processo di sensibilizzazione che avrà ricadute positive sulla catena distributiva resa più consapevole del percorso delle gemme a partire dalla materia prima.
Simona Manzione
Una sequenza di momenti discreti
Dimenticata dal grande pubblico ma amata dagli intenditori, la complicazione dei secondi morti racconta una storia affascinante di precisione, filosofia e ingegno orologiero.
Il ticchettio era sbagliato. Non nel modo in cui un vecchio orologio ansima prima di fermarsi definitivamente, né nel ritmo irregolare di un meccanismo in avaria. No, questo ticchettio era troppo preciso. Troppo misurato. Si muoveva con una premeditazione innaturale, ogni secondo scandito da uno scatto netto e calcolato... tic, tic, tic, come se il tempo stesso esitasse prima di compiere il suo prossimo inevitabile passo. Per secoli, gli orologiai hanno perfezionato l’illusione della continuità. La leggiadra e ininterrotta corsa della lancetta dei secondi sul quadrante era diventata sinonimo di eccellenza meccanica. Eppure, tra i maestri dell’orologeria esisteva un segreto, un paradosso sepolto negli annali del cronometraggio: la complicazione dei secondi morti.
L’ironia della sua esistenza non sfuggiva a nessuno di coloro che ne comprendevano il funzionamento. Si trattava di un meccanismo di squisita complessità: ingranaggi aggiuntivi, leve delicate, ruote stellari e molle in tensione, che cospiravano tutti per far muovere la lancetta dei secondi con la brusca finalità di un orologio al quarzo. A un occhio inesperto, era indistinguibile dagli impostori digitali a basso costo che avevano invaso il mondo a partire dagli anni Settanta. Ma per coloro che comprendevano veramente il tempo, era un trionfo dell’ingegneria, un esercizio di perfezione meccanica raggiunto attraverso una deliberata moderazione. Le origini dei secondi morti si possono far risalire ai regolatori di precisione del XVIII secolo, con un contributo fondamentale da parte di George Graham.
Intorno al 1715, Graham perfezionò lo scappamento a battuta (o dead-beat), un’innovazione che riduceva significativamente le perturbazioni al pendolo e permetteva una misurazione molto più precisa del tempo. L’Osservatorio Reale di Greenwich adottò questi regolatori astronomici con scappamento a battuta, che producevano un caratteristico ‘tic’ secco a ogni secondo. Re Giorgio III (1738-1820), con il suo vivo interesse per la scienza, sostenne questi progressi nell’orologeria, essenziali per l’astronomia e la navigazione britannica. Quando gli astronomi dovevano registrare il momento esatto in cui un corpo celeste attraversava il mirino del loro telescopio, il ticchettio ‘morto’ di ogni secondo forniva la precisione necessaria. Questo principio di precisione nella misurazione del tempo sarebbe stato
Rolex Ref. 6556 ‘Tru-Beat’ in oro giallo 18 carati, 1962 circa: un orologio da polso a carica automatica eccezionalmente raro, con secondi centrali morti e fondello a vite. Questa rara referenza ha raggiunto i 58.000 Chf da Antiquorum nel 2021.
Fonte: Antiquorum
successivamente adattato agli orologi da polso per coloro che apprezzavano la vera eccellenza cronometrica.
Questa complessità richiedeva una precisione meticolosa. Un meccanismo di tipo “deadbeat” comprendeva in genere un treno di ingranaggi supplementare, un sistema di leve specializzato, almeno una molla supplementare e una ruota a stella. Questi elementi dovevano essere inseriti all’interno di un movimento orologiero già ristretto, aumentando sia lo spessore che i costi di produzione. L’assemblaggio era arduo e richiedeva la massima abilità artigianale, e solo pochi orologiai erano in grado di metterlo a punto.
Il meccanismo dei secondi morti imponeva un grande dispendio di energia. Il salto istantaneo richiedeva che l’energia potenziale accumulata venisse rilasciata in una frazione di secondo, riducendo le riserve di energia del 20-30% rispetto ai movimenti senza questa complicazione.
L’usura aggiuntiva dei componenti, l’aumento delle esigenze di manutenzione e la sollecitazione della molla hanno reso l’affidabilità una sfida continua. Per molti produttori, il costo era superiore alla ricompensa.
Al di là della complessità meccanica, i secondi morti hanno anche un significato filosofico e artistico più profondo. Diversamente dal movimento ondeggiante delle lancette dei secondi tradizionali, che crea l’illusione di un tempo continuo, i secondi morti presentano il tempo come una sequenza di momenti discreti e deliberati. In un certo senso, rispecchiano la percezione umana: la vita viene vissuta un momento alla volta, non come un flusso ininterrotto. Questo approccio misurato al cronometraggio sfida l’osservatore a considerare il tempo come qualcosa di finito e segmentato piuttosto che fluido e infinito. Il ticchettio dei secondi morti, con i suoi salti precisi e deliberati, serve a ricordare che ogni secondo è un evento a sé stante, un passaggio di tempo marcato e definitivo.
Nel corso della storia dell’orologeria, la precisione è stata sempre un obiettivo principale, e i secondi morti hanno svolto un ruolo silenzioso ma significativo nel conseguimento di tale obiettivo. Nell’epoca d’oro delle gare di cronometriaprove rigorose tenute presso istituzioni come l’Osservatorio di Neuchâtel e l’Osservatorio di Ginevra - gli orologiai cercavano di perfezionare i movimenti meccanici per raggiungere i più alti standard di precisione. Sebbene i secondi morti non fossero la complicazione più comunemente utilizzata in questi concorsi, i
Il Grönefeld One Hertz Red Gold presenta il calibro G-02 di manifattura con secondi morti indipendenti azionati da un treno di ingranaggi secondario, doppia molla principale, riserva di carica di 72 ore, ponti in acciaio inossidabile con incisione in rilievo e cassa da 43 mm.
Fonte: Grönefeld
Sopra, il Richard Lange Jumping Seconds è dotato di un movimento a carica manuale in una cassa da 40 mm. Il design specifico del quadrante del jumping seconds può essere ricondotto ai rinomati orologi da osservazione. Con il grande cerchio dei secondi disposto nella parte superiore, l’enfasi è posta sulla più piccola delle tre unità di tempo.
Fonte: A. Lange & Söhne
suoi principi erano strettamente legati al cronometraggio di precisione. La capacità del meccanismo di dividere il tempo in incrementi esatti e misurabili lo rendeva particolarmente utile negli orologi da osservatorio e nei cronometri marini, dove l’accuratezza di ogni secondo era fondamentale per la navigazione e i calcoli scientifici. Sebbene la tecnologia al quarzo abbia reso obsolete queste competizioni, l’associazione storica tra i secondi morti e la cronometria d’élite rimane una testimonianza della sua importanza tecnica nella ricerca dell’orologio meccanico perfetto.
Uno dei casi più curiosi nella storia dei secondi morti è stato il Rolex Tru-Beat, un orologio progettato con un unico scopo: aiutare i medici a contare le pulsazioni dei pazienti. Dal 1954 al 1959, Rolex ha combattuto una battaglia silenziosa contro la propria creatura, inserendo il delicato modulo all’interno dei suoi robusti mo-
vimenti. Ma il paradosso si rivelò fatale. La maggiore fragilità del meccanismo si scontrava con la reputazione di durata del marchio e molti di questi orologi vennero in seguito modificati radicalmente, sostituendo i loro cuori pulsanti con i tradizionali secondi a scansione. L’esperimento era finito e Rolex aveva abbandonato la complicazione: uno dei più grandi orologiai della storia aveva ammesso la sconfitta. Un decennio dopo, arrivò la rivoluzione del quarzo. Non sussurrò o entrò in punta di piedi, ma frantumò il vecchio ordine con un rumore assordante. Il mondo non voleva più l’ingegno meccanico. Voleva l’efficienza. E i movimenti al quarzo, alimentati da batterie e cristalli vibranti, imitavano il ticchettio preciso e deliberato dei secondi morti. Era l’insulto definitivo. Quello che un tempo era stato un segno di genialità orologiera era diventato il biglietto da visita di orologi economici e usa e getta. E così, i secondi morti svanirono nell’oscurità, una reliquia dimenticata di un’epoca perduta. Eppure c’è stato un breve periodo in cui i secondi morti simboleggiavano l’apice della precisione. Tra gli esempi più notevoli c’era il Doxa Challenge Timer, alimentato dal raro movimento Chézard 116. Prodotto tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, questo calibro è stato progettato appositamente per produrre i caratteristici salti di un secondo di una complicazione con secondi morti. A differenza degli orologi meccanici
convenzionali, il Chézard 116 era dotato di un ingegnoso sistema a leva e molla che teneva momentaneamente ferma la lancetta dei secondi prima di rilasciarla a intervalli perfetti di un secondo. Gli orologi che utilizzavano questo movimento, adottato anche da marchi di nicchia come Avia e Candino, offrivano sia una funzione di arresto che un funzionamento a carica manuale, enfatizzando la precisione clinica in un periodo in cui regnava ancora la precisione meccanica. Sebbene limitati nel numero e oggi raramente trovabili, questi segnatempo rimangono una testimonianza della ricerca di innovazione cronometrica degli orologiai della metà del secolo, poco prima che l’era del quarzo riscrivesse le regole. Ma il tempo, come sempre, ha un modo di girare su sé stesso. Nel 2010, i fratelli Grönefeld presentarono One Hertz, un orologio progettato non per scusarsi dei secondi morti, ma per celebrarli. A differenza dei suoi predecessori, One Hertz non sottraeva energia al treno di ingranaggi principale, ma si affidava a un barilotto di molla completamente separato per far battere il suo cuore. Era una rivelazione, una testimonianza di innovazione all’interno della tradizione. Eppure, anche se i critici si sono meravigliati della sua ingegnosità, One Hertz è rimasto un enigma: troppo complesso, troppo di nicchia, troppo una curiosità da intenditori.
La creazione di One Hertz è nata da un momento molto personale della vita di
Nel 2015, Jaeger-LeCoultre ha lanciato il Geophysic “True Second”, che presenta la rara complicazione dei secondi morti tramite il Calibro 770 automatico con bilanciere Gyrolab. Ispirato al Geophysic del 1958, l’innovativo design del movimento riduce l’attrito dell’aria per una maggiore precisione, rendendolo un punto di riferimento tecnico per gli intenditori di orologi.
Fonte: Fondation Haute Horlogerie
Bart Grönefeld. In un’intervista del 2011, ha rivelato che l’orologio è stato concepito durante una degenza in ospedale, mentre osservava la lancetta dei secondi di un orologio a muro che segnava gli intervalli precisi tra le contrazioni della moglie durante il parto. Quel ticchettio clinico ed esatto - che misurava momenti di dolore e di attesa - lo ha ispirato a rivisitare una complicazione che la maggior parte degli orologiai aveva abbandonato. Ne è nato non un semplice orologio, ma una dichiarazione filosofica su come viviamo il tempo nei suoi momenti più intensi, non come un flusso, ma come istanze distinte e misurate.
Seguono altri. Il Richard Lange & Söhne Jumping Seconds di A. Lange & Söhne, il Geophysic “True Second” di Jaeger-LeCoultre e le creazioni di F.P. Journe hanno dato nuova vita ai secondi morti. Ma la battaglia non era più solo tecnica: era esistenziale. Come vendere un’idea che sembra indistinguibile dalla sua controparte più economica? Come spiegare a un mondo ossessionato dallo spettacolo che le più grandi imprese di ingegneria spesso sembrano le più semplici?
A. Lange & Söhne ha adottato un approccio audace, inserendo la complicazione “deadbeat” all’interno di un meccanismo a forza costante e di una funzione di azzeramento. Il Richard Lange Jumping Seconds, con il suo quadrante ispirato al regolatore, rende omaggio ai cronometri di precisione di un tempo. Tuttavia, nonostante il suo prestigio, è rimasto un pezzo da collezione di nicchia, apprezzato da pochi che ne hanno compreso il significato.
Jaeger-LeCoultre ha tentato una strada più commerciale con il Geophysic “True Second” nel 2015. Il segnatempo è stato progettato per essere indossato tutti i giorni, offrendo una raffinatezza tecnica
a un livello relativamente accessibile. L’azienda si è preoccupata di ribattezzare la complicazione con il termine “True Second” (secondi veri) anziché “deadbeat” (secondi morti), sottolineando così il suo patrimonio di precisione. Ma anche questo sforzo ben ponderato non è riuscito a far entrare i secondi morti nel mainstream.
Durante il Sihh 2015, un noto giornalista si avvicinò allo stand di Jaeger-LeCoultre per osservare da vicino il nuovo Geophysic “True Second”. Notando lo scatto netto della lancetta dei secondi, rimase sorpreso: riteneva che un orologio meccanico di alta gamma non dovesse comportarsi come un quarzo. Il nome stesso del modello - “True Second”sembrava confermare la sua impressione, suggerendogli che quel ticchettio fosse stato finalmente eliminato. Espresse dunque il proprio stupore al direttore tecnico. Questi, secondo quanto riportato, sorrise con pazienza prima di spiegare che il movimento era stato progettato proprio per produrre quel tipo di avanzamento, frutto di tre anni di sviluppo. L’ironia non sfuggì
agli addetti ai lavori: una complicazione tanto sofisticata da sembrare, paradossalmente, un errore.
Per i pochi che l’hanno perseguita, i secondi morti non erano solo una funzione, ma una filosofia. Era un’affermazione del fatto che il tempo non è un flusso regolare e infinito, ma una serie di momenti distinti e deliberati. Ogni ticchettio è una decisione. Ogni secondo una scelta. In un mondo che corre in avanti all’infinito, “deadbeat seconds” ricordava che il tempo poteva essere misurato nella sua forma più pura: un passo alla volta.
E così il paradosso rimane. Un segreto nascosto in bella vista, racchiuso nel ticchettio di un orologio che conosce il proprio destino. Il mondo non chiederà mai a gran voce i secondi morti. Non saranno mai i beniamini della produzione di massa, né il premio dei collezionisti occasionali. Ma per coloro che li cercano, per coloro che ne comprendono il mistero, saranno sempre lì, a segnare il tempo con perfetta e deliberata certezza.
Sergio Galanti
Quando il tempo supera i limiti
Orologi complessi, che sfidano le leggi della fisica. I segnatempo meccanici ultrasottili sollecitano conoscenze e creatività di ingegneri, orologiai e designer alla conquista di una sottigliezza senza precedenti. L’abilità orologiera da record per Bvlgari si fa ad arte.
Emblema dell’orologeria ultrapiatta, Octo Finissimo fin dal 2014 ha inanellato una serie di record. Con Octo Finissimo Ultra Tourbillon (1,85 mm) la Maison conquista il decimo record: per il tourbillon più sottile al mondo.
Nei giorni di Watches and Wonders, oltre sessanta marchi orologieri, a Ginevra, raccontano il proprio universo creativo, svelando le proprie novità. L’edizione di quest’anno si segnala anche per alcune new entry, tra cui Bvlgari. Abbiamo incontrato Jean-Christophe Babin, Ceo dello storico Marchio e appena nominato Ceo della Divisione Orologi del Gruppo Lvmh, di cui Bvlgari fa parte.
Perché Bvlgari ha scelto di partecipare a Watches & Wonders?
È stata una scelta naturale, in quanto questo evento si è affermato nel tempo come il principale palcoscenico globale per l’orologeria di alta gamma. Per noi costituisce la piattaforma perfetta per presentare le nostre ultime innovazioni e rafforzare il nostro posizionamento nel mondo dell’Alta Orologeria. Un’occasione per evidenziare la fusione unica tra l’esperienza orologiera svizzera e la cre-
atività italiana che definisce l’approccio di Bvlgari ai segnatempo, in un contesto che celebra davvero l’arte dell’orologeria. Qual è il valore di questa tipologia di evento?
In un’epoca in cui le interazioni digitali si sono moltiplicate, Watches & Wonders rappresenta un incontro fisico insostituibile in cui artigianato, innovazione e storytelling prendono vita. Questo evento favorisce inoltre discussioni significative, rafforza le relazioni e accresce lo slancio
A destra, Jean-Christophe Babin, amministratore delegato di Bvlgari e, dal 1 aprile di quest’anno, Ceo della Divisione Orologi del Gruppo LVMH.
Sotto, Bvlgari Serpenti Aeterna, una novità del 2025, che reinterpreta in chiave contemporanea un’icona femminile.
collettivo del settore. Stabilisce il tono per i successivi dodici mesi nel settore dell’orologeria.
Per Bvlgari non si tratta solo di presentare le novità, ma di immergere il pubblico nell’essenza del marchio, rafforzando il nostro patrimonio e dimostrando la nostra incessante ricerca dell’eccellenza.
La connessione emotiva che clienti e partner sperimentano quando scoprono i nostri orologi di persona è impareggiabile. Desideriamo affascinare il nostro pubblico con innovazioni rivoluzionarie che si spingono oltre i confini del design e della tecnologia. Cerchiamo inoltre di approfondire le relazioni con i nostri partner, di rafforzare la nostra posizione nei mercati chiave e di ispirare nuove generazioni di appassionati di orologi. Oltre a presentare segnatempo eccezionali, Watches & Wonders è un’opportunità per Bvlgari di riaffermare la propria identità - dove l’esperienza orologiera svizzera incontra l’audace creatività italiana.
Che si tratti di movimenti ultrasottili da record, di combinazioni di materiali inaspettate o della fusione di alta orologeria e alta gioielleria, continuiamo a spingerci oltre i limiti del possibile. In definitiva, vogliamo che ogni visitatore - sia esso un giornalista, un collezionista o un rivenditore - possa portare con sé un profondo
apprezzamento della visione unica dell’orologeria di Bvlgari: un perfetto equilibrio tra tecnica ed estetica.
L’orologeria è protagonista di un altro appuntamento ginevrino, che si amplia costantemente: Geneva Watch Days, nella cui creazione Bvlgari ha svolto un ruolo chiave. Un Salone al quale Lei partecipa personalmente in qualità di Presidente. Come vede il suo ruolo nel settore oggi?
L’iniziativa è nata dal desiderio di creare una piattaforma indipendente e collaborativa per l’industria orologiera, offrendo un’alternativa più flessibile e intima alle fiere tradizionali. Dal suo lancio, i Geneva Watch Days hanno acquisito un forte slancio, diventando un evento chiave nel calendario dell’orologeria. L’evento favorisce l’innovazione, le connessioni significative e un ambiente dinamico per marchi, collezionisti, media e partner. In qualità di marchio indipendente all’interno del Gruppo Lvmh, Bvlgari apprezza questa piattaforma come un’opportunità per mettere in mostra la propria abilità artigianale e la propria creatività uniche nel campo dell’orologeria.
Restiamo impegnati nel sostenere l’evento che continua a evolversi e a riflettere l’energia e l’innovazione del settore.
Simona Manzione
Forma, Maestro
La cospicua e affascinante eredità artistica e tecnica di uno dei più celebri watch designers di sempre, reinterpretata in chiave contemporanea. Una produzione che spazia dalla iconica silhouette ispirata a un edificio barocco alle realizzazioni bespoke. E un orologio celebrativo.
Èstata fondata nel 2000 da Gérald Charles Genta, famoso e prolifico watch designer, il quale, anche dopo aver ceduto l’azienda, nel 2003 alla famiglia Ziviani, mantenne in Gerald Charles la carica di capo designer, fino al 2011. «Genta, ha lasciato all’Azienda un importante archivio dei suoi ultimi undici anni di disegni originali, molti dei quali sono ancora inediti, che rappresentano una fonte di ispirazione e un tesoro per lo sviluppo della Maison», esordisce Federico Ziviani, amministratore delegato di Gerald Charles.
Il Marchio, fin dalle sue origini, realizza orologi in quantità limitate per una nicchia di collezionisti.
La Maison «produce millecinquecento orologi all’anno, lavorando a stretto contatto con professionisti e artigiani altamente qualificati per continuare la tradizione iniziata dal grande designer», prosegue Ziviani. A connotare tutti i segnatempo Gerald Charles sono specifiche caratteristiche tecniche ed estetiche: orologi svizzeri di alta gamma, sono concepiti e realizzati seguendo gli standard Qualité Fleurier, che assicurano precisione e prestazioni superiori, oltre all’eccezionale resistenza ad acqua e urti. Ogni esemplare garantisce elevati livelli di ergonomia e versatilità in ogni generazione e stile di vita, il segno distintivo e l’eterna ispirazione del suo fondatore.
Al creativo Gérald Charles Genta la storia dell’orologieria svizzera deve molto. Artista e designer di orologi nato a Ginevra, dopo aver disegnato il Polarouter per la Universal Genève, ha elaborato progetti divenuti pietre miliari, come il Royal Oak di Audemars Piguet, il Nautilus di Patek Philippe o l’Iwc Ingenieur.
In apertura, Maestro GC39 25th Anniversary Edition. Con movimento di manifattura Jumping Hours, è decorato con la particolare tecnica del meta-guilloché, che determina a seconda dell’angolazione della luce, un effetto visivo dinamico.
Accanto, da sinistra verso destra, Giampaolo Ziviani, former general manager di Gerald Charles, Franco Ziviani, presidente, e Federico Ziviani, amministratore delegato.
Sotto, a sinistra il Maestro 3.0
Chronograph Mini Tapisserie Clous De Paris rende omaggio all’eredità progettuale di Gérald Charles Genta e, a destra, Maestro GC Sport Tennis in un vibrante color giallo.
Oggi l’eredità di Genta è veicolata nel futuro dal marchio Gerald Charles: «Un universo che fonde creatività artistica e maestria tecnica», sintetizza il Ceo. Marchio indipendente oggi di proprietà della famiglia Ziviani, con sede in Ticino, Gerald Charles ha il proprio Atelier, una nuova sede e un polo culturale, a Ginevra, dove è possibile visitare il Museo.«Dal 2019, anno del rilancio della Maison, abbiamo avuto il privilegio di presentarla a una nuova generazione di collezionisti. Gli amanti dell’orologeria di tutto il mondo si sono appassionati a Gerald Charles con entusiasmo: un successo fondato sull’orologio Maestro», nota Federico Ziviani. E per festeggiare il venticinquesimo anniversario dalla sua fondazione, la Maison celebra quest’anno la creatività di Genta con l’orologio Maestro GC39 25th Anniversary Edition.
Come per gli altri orologi Maestro, l’esoterica forma della cassa del GC39 deriva la sua ispirazione dalle forme presenti in un monumento barocco di Roma, progettato da Francesco Borromini, maestro dell’architettura del XVII secolo. La sua facciata ha portato alla realizzazione della cassa asimmetrica dell’orologio, alla ghiera a cascata e al “sorriso” convesso a ore 6.
Per il quadrante sono stati utilizzati tre componenti e materiali che, combinati, creano un motivo in stile barocco, a più raggi e parzialmente nascosto, che prende vita quando la luce lo colpisce. Questo ipnotico effetto è realizzato grazie a una nuova tecnica di microincisione chimica, sviluppata da Gerald Charles, denominata meta-guilloché
Mai utilizzata in precedenza nell’orologeria, inizia con una fine incisione alla quale viene applicato uno strato protettivo. Viene poi aggiunta una seconda incisione, prima della rimozione dello strato, permettendo alla luce di colpire e scoprire la stella.
L’incisione viene effettuata, creando canali arrotondati, affinché la superficie tridimensionale catturi la luce in modo non lineare.Il cuore del quadrante è decorato con un finissimo lapislazzuli, particolarmente amato da Genta. L’orologio è dotato del nuovo Gerald Charles Swiss Manufacture 4.0 Calibre Jumping Hours, sviluppato e brevettato internamente dalla Maison. Possiede una funzione di ore saltanti e una riserva di carica di 50 ore: «Genta amava le ore saltanti, una complicazione oggi quasi estinta», nota Ziviani. «La sfida tecnica è immensa, come far atterrare un razzo Space X, ma in miniatura. Ciò la rende però affascinante e meravigliosa».
Simona Manzione
Montres, Uhren... e anche orologi
Non sarà la culla dell’orologeria, tuttavia anche il Ticino conta una quarantina di aziende, spesso attive da più generazioni, (e qualche fuoriclasse) a servizio di marchi e indipendenti del settore, soprattutto dedicate alle fasi di finalizzazione del prodotto. Imprescindibile per restare competitive, qualità, innovazione e flessibilità nell’adattarsi all’evoluzione del mercato.
Seppur periferico rispetto al baricentro dell’industria orologiera svizzera, anche il Ticino gioca la sua parte a servizio del settore, favorito dalla sua eccellenza nella meccanica di precisione come dalla vocazione logistica nel suo Dna. Tanto da potersi definire una “multinazionale dell’orologeria diffusa sul territorio”. I numeri ci sono: circa 3.000 addetti e una quarantina di aziende specifiche, che contribuiscono al Pil cantonale nell’ordine dell’1,5%, realizzando 8 milioni di pezzi l’anno. «In particolare, il Ticino è noto per le fasi di finalizzazione del prodotto, cruciale per poter garantire gli standard cui è legata l’immagine dell’orologio Swiss made, quindi l’assemblaggio, il controllo qualità e la distribuzione, ma ci sono anche realtà che specializzate nella progettazione e produzione di componenti del meccanismo o nella fabbricazione e lavorazione di casse, bracciali, fibbie e quadranti, ad
esempio con trattamenti superficiali di indurimento o particolari colorazioni nel finishing, oltre a contare sul nostro territorio aziende leader mondiali nella raffinazione e lavorazione dei metalli preziosi, un segmento che nel nostro settore, pur in un anno di leggera contrazione dell’export come lo scorso, ha visto consolidarsi la domanda, orientata ad asset di sicuro valore», osserva Alessandro Recalcati, co-presidente dell’Associazione ticinese delle industrie orologiere (Atio). Proprio la volontà di fare massa critica e rappresentare gli interessi della filiera regionale ha portato una decina di anni fa all’istituzione di Atio, confrontandosi in prima battuta con la sfida di dar coesione a un settore frammentato, fatto soprattutto di piccole e microimprese poco interessate a far rete, spesso realtà di famiglia attive già da diverse generazioni, abituate a lavorare con clienti fuori Cantone e gelose del loro savoir-faire esclusivo.
Ticino polivalente
Il novero delle aziende basate in Ticino a servizio dell’industria orologiera si allarga notevolmente includendo quelle che contano il settore fra i segmenti della loro clientela, a partire da chi produce macchinari e strumenti di precisione necessari per le lavorazioni artigianali dell’alta orologeria. Restando ai nomi esclusivamente dedicati al settore, nelle prossime pagine, a complemento dello sguardo complessivo sulla filiera offerto dall’Associazione di categoria, incontrerete tre realtà che ne testimoniano alcune caratteristiche salienti, dando dimostrazione della sua polivalenza: Timex Luxury Division, Montrelux e Ronda Time Center, mentre nelle pagine precedenti è stato presentato Gerald Charles.
L’intervista si è tenuta a ridosso della doccia fredda dei dazi. Le preoccupazioni non mancano: gli Stati Uniti sono il primo mercato di esportazione per il settore e anche le Maison e gli indipendenti haut de gamme, meno esposti con i loro prodotti di extralusso al conto della serva, sarebbero significativamente colpiti da dazi nell’ordine del 31%. «È ancora troppo presto per capire quali saranno gli sviluppi e se non si possa arrivare a un accordo per sospendere o almeno mitigare i dazi. È però chiaro che, qualora entrassero in vigore, ancora una volta la maggior parte delle aziende ticinesi, come anello della supply chain dei brand a cui forniscono i loro servizi, si troveranno a doversi adattare ai loro cambiamenti strategici senza possibilità di pianificazione, come già in passato sia nei momenti positivi, per ricorrere la domanda come con il boom post pandemia, sia frenando nelle fasi di riassestamento, come lo scorso anno con il
netto calo di due altre destinazioni chiave - rispettivamente secondo e terzo mercato di export - come Cina e Hong Kong, la cui esplosione aveva fatto la fortuna del settore dopo la crisi finanziaria del 2008», osserva Alessandro Recalcati.
Tuttavia non manca qualche sprazzo di luce: i mercati mediorientali di Arabia Saudita, Dubai e Qatar, ma anche Giappone ed Europa hanno dato ottimi segnali negli ultimi anni. E un nuovo driver potrebbe essere l’India, con cui peraltro la Svizzera ha siglato l’anno scorso uno storico accordo di libero scambio: «Tutti la vedono come la Cina del futuro e sicuramente anche per l’orologiero il potenziale è enorme: pur essendo ancora a ventesimo rango in termini di export, la crescita degli ultimi due anni è stata veramente impressionante», osserva il co-presidente di Atio.
D’altronde un primo momento sfidante il comparto orologiero ticinese già lo aveva vissuto nel 2017, con l’inasprimento dei parametri della legislazione sulla swissness, secondo cui almeno il 60% dei costi di fabbricazione del prodotto devono essere realizzati su suolo elvetico. Se la misura è stata salutata con entusiasmo dai brand più blasonati e dagli indipendenti con serie limitate da collezione, ha però avuto effetti strutturali sul settore nel suo complesso, con una crescita dell’export in valore ma un netto calo del numero di unità prodotte. «Molti dei nomi del fashion o dei marchi di fascia media e bassa per cui tradizionalmente lavoravano le aziende del nostro territorio non hanno più ritenuto interessante rimanere in Svizzera, determinando un netto calo delle richieste di assemblaggio, quality control e tutte le attività legate ai movimenti al quarzo per cui il Ticino rappresenta uno dei principali produttori», commenta Alessandro Recalcati. Un cambiamento che ha spinto l’associazione di categoria cantonale a puntare sulla formazione per poter garantire competenze uniche, non replicabili da altri, in un ambito in cui l’artigianilità rimane ancora essenziale. «Alla creazione di Atio, una decina di anni fa è subito seguita quella del suo Centro di Formazione Orologiero (Cfo), oggi attrezzato anche per poter dare supporto alle aziende del comparto qualora avessero bisogno di una piccola unità produttiva autonoma, oltre che per ospitare i corsi che organizziamo con cadenza mensile, coprendo un’ampia
«In ambito orologiero, il Ticino è noto in particolare per le fasi di finalizzazione del prodotto - quindi assemblaggio, controllo qualità e distribuzione - cruciali per la garanzia dello Swiss made, ricercata dai brand e dagli indipendenti a cui queste aziende del nostro territorio forniscono i loro servizi»
Alessandro Recalcati, co-presidente di ATIO e Managing Director Supply Chain della Timex Luxury Division
Evoluzione dell’export di orologi Swiss made per fascia di prezzo 2000-2024, volume (mln pezzi, colonna dispari) vs. valore (colonna pari, mld Chf)
orologi Swiss made movimenti quarzo e meccanici
Orologiero: Svizzera/Ticino I numeri del settore a confronto, 2024
gamma di argomenti, sempre una buona partecipazione. In particolare, puntiamo ora a concentrarci sulla parte ingegneristica, di concept dell’orologio, e sulla costruzione stessa, con competenze manuali molto specifiche difficili da reperire, ad esempio nel polishing, nella realizzazione e nell’assemblaggio di microcomponenti per i movimenti meccanici», sottolinea il co-presidente di Atio.
Dal 2017, l’inasprimento della legislazione sulla swissness ha ribaltato gli equilibri dell’industria orologiera elvetica a favore dell’alta gamma. Un nuovo scenario con cui ha dovuto confrontarsi la quarantina di aziende ticinesi del settore, attive soprattutto nelle fasi di assemblaggio, controllo qualità e distribuzione per brand del fashion o piccole realtà indipendenti.
Fonte: ATIO,
Fonte: FH, UDSC
C’è il Ticino dietro la progettazione, la produzione e la distribuzione degli orologi di Versace nel mondo, gestiti in licenza dalla Luxury Division dello statunitense Timex Group.
La difficoltà è data però anche dalla necessità di competere con l’attrattività della Svizzera culla dell’alta orologeria, dove è possibile lavorare direttamente per le Maison, anche senza voler citare la concorrenzialità dei salari di Oltregottardo. Soprattutto, difficile coinvolgere i giovani. Se già si considera che a livello nazionale, secondo le stime, dovrebbero presto mancare quattromila addetti nei profili altamente qualificati, si comprende la portata della sfida e la necessità di attingere anche dal bacino oltre frontiera, ora però scoraggiato dalla nuova imposizione. Dalla politica, l’associazione di categoria cantonale auspicherebbe misure mirate che permettano di accedere a risorse per l’innovazione, imprescindibile per essere competitivi, ma che richiede investimenti altrimenti difficili da sostenere per la maggior parte delle realtà di piccole dimensioni attive a livello locale, malgrado non manchi qualche grande nome, come Swatch Group Assembly, insediato a Genestrerio e Stabio.
rivenditori indipendenti, negozi duty free ed e-commerce», illustra Alessandro Recalcati.
Collezioni di alta moda
I talenti sono fondamentali anche per la Luxury Division di Timex Group, della quale Alessandro Recalcati è Managing Director Supply Chain. Fra i maggiori produttori al mondo di orologi a livello di volumi, la multinazionale statunitense è arrivata in Ticino quasi vent’anni fa, a seguito di un accordo di licenza con Versace. Successivamente si è aggiunta la licenza per il design, la produzione e la distribuzione di orologi per Salvatore Ferragamo e, dal 2022, anche per Philipp Plein. Una realtà molto dinamica e che, in controtendenza rispetto al territorio, ha beneficiato enormemente delle nuove regolamentazioni sulla swissness. «Dal 2015 abbiamo iniziato a internalizzare tutta la produzione: abbiamo un sito di 2.200 mq dove lavorano una cinquantina di collaboratori sui 75 che impieghiamo in Ticino. Per i nostri marchi in licenza gestiamo l’intero percorso, che va dalla creazione con il disegno tecnico, la prototipia e l’engineering, alla produzione e le diverse lavorazioni, l’assemblaggio, il controllo qualità e il packaging, fino al marketing e alla distribuzione, che copre oltre 90 Paesi e diversi canali: boutique monomarca e
Negli anni è stata affinata sempre più la sensibilità nell’interpretazione del Dna distintivo di un brand. «In perfetta sintonia con le due linee strategiche e la sua immagine, sviluppiamo i progetti che, passo dopo passo, sottoponiamo al loro creative director. Dai nostri clienti ci viene riconosciuta l’unicità del prodotto Swiss made e il know-how tecnologico della tradizione orologiera, tanto che sono disposti a pagare un premium price per assicurarsi quel valore aggiunto e quella garanzia di qualità ed esclusività che vogliono esprimere con le loro collezioni. Questo, insieme al sostegno di Timex Group, ci ha permesso a differenza di piccole realtà indipendenti di investire in innovazione e crescere a doppia cifra nell’ultimo decennio», afferma Alessandro Recalcati.
Il fatto di lavorare pressoché esclusivamente per i propri brand in licenza consente inoltre un buon margine di pianificazione, anticipando le dinamiche piuttosto che subirle.
«Un altro nostro punto di forza è il fatto di non avere ‘un’ mercato di riferimento, ma il mondo intero, con la possibilità di ribilanciare gli equilibri con i nostri diversi marchi. La Cina non è mai stata una delle principali destinazioni, d’altra parte il mercato americano, storicamente forte per nostri marchi come Versace, sta continuando ad avere un trend favorevole. L’area mediorientale in generale è un altro mercato importante, mentre l’Europa, che essendo più legata alla tradizione dell’alta orologeria in passato era stata meno ricettiva allo Swiss made fashion, ultimamente è cresciuta molto bene, in particolare Italia, Spagna e Turchia, quest’ultima fra i Paesi in maggiore crescita per l’orologeria», conclude Alessandro Recalcati, che anche come Managing Director Supply Chain della Luxury division di un grande gruppo statunitense, oltre che come co-presidente di Atio, ha le sue ragioni per interrogarsi sulle future relazioni commerciali fra le ‘sue’ due patrie. Risposte che - come sempre - solo il tempo saprà dare.
Susanna Cattaneo
L’atelier di produzione della Timex Luxury Division, ad Agno.
Trasferirsi da oltre confine in Ticino e lanciarsi nell’assemblaggio conto terzi così come nella progettazione creativa e tecnica. Unendo alla precisione svizzera lo stile italiano.
Orologio = Svizzera. Un’equazione entrata nel senso comune e, a maggior ragione, evidente per chi fra movimenti, sfere, casse e quadranti è cresciuto, nel laboratorio artigianale di assemblaggio avviato da papà negli anni Sessanta, però dall’altra parte della frontiera. Una realtà che si è nel frattempo evoluta ed è ancora attiva, oggi a Cernobbio. Ma la tentazione di compiere il passo inverso a quello di molti frontalieri e insediarsi nella patria della loro arte è stata tanto forte da spingere Matteo Cavadini al grande passo. «Negli anni avevamo cominciato a occuparci anche di assemblaggio del prodotto finito conto terzi e sempre più spesso ci trovavamo a dar mandato a produttori esterni perché i nostri clienti richiedevano lo Swiss made. A un certo punto abbiamo capito che avremmo potuto farlo direttamente noi e così, nel 2006, abbiamo fondato Montrelux a Chiasso: anche se in Ticino non mancano i competitor, è stata una mossa vincente perché, oltre alla swissness, le condizioni quadro favorevoli ci hanno aiutati a crescere», afferma Matteo Cavadini, che dirige l’azienda. Dai 25 metri quadri del primo ufficio, oggi si è passati a poco più di 1.000: un aumento di superficie che riflette lo sviluppo delle competenze, dall’assemblaggio conto terzi a creazione del design e gestione della progettazione tecnica, in direzione di un’assistenza al cliente a 360 gradi, incluso confezionamento, logistica e magazzino, garantendo alta specializzazione e flessibilità. «I nostri sono ovviamente piccoli numeri rispetto ai grandi produttori Oem, ma la proporzione dello scorso anno, con 70mila pezzi assemblati conto terzi e 30mila disegnati e prodotti da noi, conferma come la parte creativa e di ingegneria del prodotto stia diventando sempre più rilevante per Montrelux. Il 90% sono clienti svizzeri, sia brand insediati
«Sempre più spesso i clienti del nostro atelier di assemblaggio orologi in Italia richiedevano lo Swiss made. Così, nel 2006, mi sono lanciato fondando un’azienda in Ticino: una mossa vincente perché, oltre alla swissness, le condizioni quadro favorevoli ci hanno aiutati a crescere»
Matteo Cavadini, fondatore e amministratore di Montrelux
sulla base delle loro specifiche esigenze. A volte rimane un progetto unico, altre si rivela un microbrand destinato a crescere, come anche abbiamo marchi già più affermati e con la loro rete di distribuzione, ma senza una produzione interna, che periodicamente tornano per un nuovo progetto. Ci muoviamo fra i prodotti più commerciali, con un prezzo alla vendita di 400-500 franchi, a orologi con movimenti meccanici o automatici multifunzione che arrivano a 12-13mila franchi», illustra Matteo Cavadini.
Per essere in linea con le normative svizzere, grande cura è dedicata al controllo della qualità: dalle verifiche incrociate sulla documentazione e l’ispezione visiva dei componenti in entrata fino ai test funzionali e le verifiche estetiche finali. Tutto ciò passando da progettazione e prototipazione interna, come richiede la normativa della swissness per garantire l’eccellenza orologiera Swiss made.
in Ticino che della Svizzera romanda. Principalmente si rivolgono a noi indipendenti che per creare il loro modello hanno bisogno di chi sappia supportarli in ogni passaggio con un servizio personalizzato, portando dal mondo delle idee al mercato l’orologio che hanno in mente,
Le sfide del momento ovviamente si sentono, ma Matteo Cavadini rimane positivo: «Il 2024 è stato il nostro miglior anno e anche il 2025 è iniziato bene. Andremo soprattutto a raccogliere gli investimenti fatti lo scorso anno, ci sono molti progetti in calendario e abbiamo acquisito anche nuovi clienti. Ovviamente i dazi statunitensi pongono degli interrogativi, ma abbiamo la forte consapevolezza di aver lavorato bene e la fortuna di essere una realtà familiare molto unita e in sintonia, in azienda come nel privato insieme a mio fratello e nostra sorella che fa parte del servizio di qualità», conclude il Ceo di Montrelux. Una realtà che contribuisce a dare dinamismo al tessuto orologiero ticinese, quasi interamente fatto da aziende presenti già da generazioni e che dimostra come lo spazio e le opportunità non manchino per chi ha spirito di iniziativa e sa interpretare la qualità svizzera, perché no, portando anche creatività e stile italiani nel suo Dna.
Puntualità rigorosa, flessibilità smart
Fra i principali produttori mondiali di movimenti al quarzo e meccanici di alta precisione, in quasi ottant’anni e tre generazioni - oggi guidata da Fabien Schirmer, nipote del fondatore William MossetRonda è rimasta un’impresa svizzera in mani familiari, orgogliosa della sua totale indipendenza. Quella che le ha permesso, decennio dopo decennio, di definire autonomamente le proprie strategie e affrontare le non indifferenti sfide del mercato, rafforzando la sua competitività. Così, già dagli anni Novanta, si è fatta strada la decisione logica di ampliare i propri servizi, offrendo ai clienti anche l’assemblaggio completo dei loro orologi. Da Lausen, Canton Basilea, dove ha sede la casa madre, si è allora guardato verso il Sud della Svizzera dove, dopo un’iniziale joint-venture, la crescita della domanda ha spinto a fondare nel 2002 un’azienda dedicata, Ronda Time Center, oggi una delle realtà di punta del settore in Ticino, peraltro fra i membri fondatori di Atio. «Lavoriamo conto terzi, assemblando orologi con movimenti al quarzo e meccanici sia di Ronda sia di altri produttori,
sempre rigorosamente Swiss made, per una quarantina abbondante di brand, principalmente svizzeri, circa un quinto sono europei e il restante 10% internazionali, con produzioni di varia gamma che spaziano da 1000 al 50mila unità per cliente l’anno», illustra Thomas Detjens, dal 2023 managing director di Ronda Time Center. Arrivato cinque anni fa, ha dapprima avuto un ruolo chiave come responsabile della produzione nel guidarne l’organizzazione da un modello
Assemblaggio orologi.
Da leader nell’assemblaggio di orologi svizzeri all’offerta di una gamma sempre più ampia di servizi, dallo sviluppo del prodotto alla spedizione worldwide all’acquirente finale, per rispondere alle esigenze dei brand che nello Swiss made cercano non solo una qualità tecnicamente ineccepibile, ma anche il valore aggiunto di una consulenza a 360 gradi.
gestionale conservativo al just-in-time richiesto dall’evoluzione del mercato innescata dalle normative sulla swissness, che ha imposto all’azienda di passare dai precedenti grandi volumi sollecitati da una produzione di massa a lotti di piccole dimensioni e più personalizzati. Una ristrutturazione che ha permesso all’azienda non solo di tornare alla profittabilità, ma di garantire tempistiche serrate di realizzazione, al contempo, innalzando ulteriormente la qualità, concetto di cui sempre più fa parte, accanto all’assemblaggio del prodotto, un’ampia gamma di servizi individualizzati.
«Oggi supportiamo i nostri clienti dallo sviluppo del prototipo fino alla spedizione B2C. Una copertura dalla A alla Z molto apprezzata, che ci permette di sviluppare con loro dei rapporti di partnership a lungo termine. Ad esempio, accanto alla ‘classica’ consegna B2B ai centri di distribuzione del cliente, tipicamente in box da 10 o 20 unità, ormai da un paio di anni il nostro servizio di logistica copre tutte le esigenze del drop shipping: imballiamo il singolo orologio nella sua confezione, regolato sull’ora del paese di destinazione,
compiliamo la garanzia, aggiungiamo il booklet e magari un secondo cinturino, poi finalizziamo la spedizione tramite corrieri. E prossimamente abbiamo anche previsto di andare nell’ambiente di gioielleria», anticipa Thomas Detjens. Uno dei principali fattori distintitivi di Ronda Time Center è proprio la capacità di gestire - e non solo di misurare - il ‘tempo’, sia che si tratti della consegna dei prodotti già in stock (addirittura con il servizio express l’ordine viene evaso il giorno stesso) sia sul fronte della produzione. «Dopo la ristrutturazione, con le nostre quattro workcell di assemblaggio che lavorano in parallelo, raggiungiamo volumi di 2.000 pezzi al giorno. Dal momento in cui riceviamo la richiesta di un nuovo lotto, siamo in grado di arrivare sul mercato entro 7-10 giorni lavorativi, in base al volume dell’ordine e alla presenza in stock di componenti e movimenti necessari. Anche per questo, strategicamente offriamo al cliente il servizio di warehousing, occupandoci di tener aggiornato il suo magazzino. Inutile dire che questa velocità e la puntualità nel rispettare la data stabilita sono fondamentali per consolidare un rapporto di fiducia», osserva il direttore di Ronda Time Center. Fiducia che si basa anche sui rigorosi controlli di qualità, tecnici e visivi, garantiti su ogni singolo passaggio dell’assemblaggio del prodotto - dai componenti in ingresso fino all’ispezione finale al momento di imballaggio.
Un’organizzazione - proprio come il direttore e la casa madre - svizzero-tedesca, “ma con simpatia all’italiana” come riconoscono i collaboratori. Se tecnicamente l’azienda di Stabio non è di famiglia, familiare è però l’atmosfera che si respira al suo interno, grazie a uno stile di leadership improntato a una gestione smart e a uno spirito di squadra che favorisce il confronto costruttivo e un clima disteso di lavoro «Il tutto esclusivamente dal lunedì al venerdì, perché ho imparato come il worklife balance sia fondamentale per il rendimento in settimana. Fra l’altro abbiamo un’elevata quota rosa, del 90% a livello di organico e del 50% nel mio team di direzione. Questa serenità la percepiscono subito anche i clienti stessi, che quando vengono a trovarci qui a Stabio si sentono a casa», rivela Thomas Detjens. E, dal canto loro, anche i collaboratori dimostrano di apprezzare con una fluttuazione molto bassa.
«Dal momento in cui riceviamo la richiesta di un nuovo lotto, siamo in grado di arrivare sul mercato entro 7-10 giorni lavorativi, in base al volume dell’ordine e alla presenza in stock di componenti e movimenti necessari. Velocità e puntualità che, insieme alla qualità, sono fondamentali per consolidare un rapporto di fiducia con i clienti»
Thomas
Detjens,
Managing director di Ronda Time Center
Tra i servizi offerti non ancora citati, anche l’incisione laser personalizzata sulla massa oscillante e sul fondello di loghi, decorazioni multicolori e numerazione di edizioni limitate, non solo per effetti esteticamente speciali, ma anche a protezione dalle contraffazioni e di un’esclusività ancor più elevata. «Un ulteriore vantaggio per i nostri clienti è - a monte - l’offerta di consulenza già in fase di disegno e ingegnerizzazione dei prototipi, che proponiamo in collaborazione con
Incisione laser personalizzata.
un ufficio tecnico in Ticino per risolvere le sfide tecniche e assicurare quel 60% di Swiss made. A valle, stiamo anche iniziando a fornire servizi After Sales di riparazione e manutenzione, così da coprire integralmente ogni possibile esigenza», conclude il managing director di Ronda Time Center.
Precisione, velocità e puntualità, dunque, ma al contempo anche la flessibilità per continuare a sviluppare la gamma dei servizi in direzione di una consulenza sempre più ampia e personalizzata ai brand che cercano un partner in cui avere la massima fiducia, in un momento storico in cui le sfide del mercato impongono la massima qualità ed efficienza per restare competitivi. Disposti a investire qualcosa in più per un servizio impeccabile, ben sapendo che i potenziali risparmi che può offrire la concorrenza estera rischiano di presentare a conti fatti costi nascosti ben maggiori e ripercussioni reputazionali, queste sì non sostenibili per chi vuole offrire un marchio e prodotti di assoluta eccellenza.
Susanna
Cattaneo
Ronda Time Center, a Stabio.
La miglior versione di sé
Visto che requisiti e competenze richieste nel mondo del lavoro cambiano rapidamente, nella formazione continua il singolo e l’azienda trovano un alleato per dotarsi di adeguati strumenti.
Scegliere di investire nella crescita personale e professionale dei propri collaboratori è, per i datori di lavoro, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda, una strategia destinata a mostrare i propri risultati già a corto termine. Di formazione abbiamo parlato con Gabriele Novello, consulente in formazione e coaching presso Formazione Business by Pnl Evolution, una Business School nata in Svizzera nel 2012, per iniziativa di Andrea Di Gregorio, counselor relazionale, formatore e scrittore, con un’esperienza professionale di oltre venticinque anni.
Numerosi i corsi sia per chi vuole arricchire il proprio bagaglio di competenze, sia per le aziende che puntano sulla formazione continua dei propri collaboratori per rispondere alle sfide del mercato... Con piani formativi ad hoc dedicati alle aziende, per la maggior parte piccole e medie imprese, proponiamo corsi professionali in Mentoring aziendale, Direttore vendite, Corso formazione per formatori Fsea livello 1 Ffa Cf-Af e altri ambiti: rivolti sia a privati, sia a imprese interessate alla formazione continua dei propri collaboratori.
Sono tante le aziende del territorio che investono nella formazione dei propri dipendenti perché ne hanno colto pienamente il valore di strumento strategico per fidelizzare i collaboratori, migliorarne le performance e favorire un clima aziendale più positivo e sostenibile.
La proposta formativa della business school è orientata al mondo professionale in accordo con la lista dei corsi di preparazione offerti dalla Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (Sefri). La proposta è incentrata su corsi
in Coaching, Counseling, Sales Director e Mentore aziendale, riconosciuti come corsi preparatori agli Esami Professionali Superiori per il conseguimento del Diploma Federale protetto dallo Stato: per questo motivo possono essere cofinanziati al 50% dalla Sefri.
La possibilità per i partecipanti di beneficiare di un rimborso fino al 50% del costo del corso, rende la formazione ancora più accessibile e incentiva la crescita professionale all’interno dell’azienda. Perché avete creato il marchio “Formazione Business” by Pnl Evolution? Per anni abbiamo proposto corsi destinati solo ai privati. Forti degli ottimi risultati quantitativi e qualitativi, abbiamo scelto di espandere il nostro impegno al mondo aziendale, con l’obiettivo di raggiungere un pubblico ancora più ampio. Lo facciamo restando fedeli alla nostra missione: favorire la crescita personale e l’evoluzione dell’individuo, integrandole con lo sviluppo professionale.
Accompagnato e supportato in ogni fase, chi partecipa al corso si indirizza verso una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità, raggiungendo un risultato di maggior resilienza ed equilibrio. Oltre alle competenze e agli strumenti pratici utilizzabili nella vita quotidiana, ciò che i partecipanti apprezzano di più è l’opportunità di confrontarsi e di condividere esperienze con gli altri: l’interazione e il dialogo rappresentano sempre una straordinaria occasione di crescita. Quali aspetti e caratteristiche vi contraddistinguono?
La nostra filosofia, che pone al centro l’evoluzione personale prima ancora di quella professionale, è ben rappresentata dal nostro logo: un cuore racchiuso in una mente. Crediamo, infatti, che la crescita
Gabriele Novello, consulente in formazione e coaching presso Formazione Business by Pnl Evolution.
dell’individuo e della società passi attraverso il potere della mente, guidato dalla purezza del cuore. Ci distingue anche il rigore: privilegiamo la qualità alla quantità. Non offriamo un ampio numero di corsi, ma solo quelli per i quali possiamo garantire docenti altamente specializzati, con un’esperienza significativa nel loro settore e un elevato livello di competenza. Focalizziamoci sul ‘Corso di mentore aziendale’. Che ruolo svolge, questa figura, all’interno di un’organizzazione?
Oltre a possedere competenze specifiche relative alla sua professione, la figura del mentore aziendale è in grado di far crescere ed evolvere i propri colleghi, contribuendo a creare un ambiente di lavoro più sereno e orientato alla collaborazione, ad aumentare l’efficienza e l’efficacia dei processi lavorativi, a migliorare il clima aziendale e la produttività.
In una società in cui il benessere individuale e collettivo è ritenuto sempre più rilevante, il mentore aziendale non solo garantisce un ambiente di lavoro soddisfacente, ma offre ai colleghi un supporto più ampio, contribuendo così al raggiungimento di un benessere complessivo. Quanto dura questo corso? Si può innestarsi nel percorso formativo anche se questo è già iniziato?
Il corso è proposto in una modalità intensiva della durata di un anno. L’inserimento nel percorso formativo dopo l’inizio, è possibile, valutando insieme al candidato le opzioni disponibili.
Simona Galli
La macro in forum
Il 6 maggio all’Usi si terrà il primo forum di macroeconomia, al centro dell’evento la premiazione di un’idea di sviluppo economico del Cantone formulata dagli studenti della facoltà.
fa che cosa?
Fornitura di energia elettrica gas,vapore e ariac ondizionata,…
Prestazione di servizi finanziari e d'assicurazione
Commercio e riparazione di veicoli, trasporti, servizi di alloggio,…
L’Università della Svizzera Italiana è il frutto di una serie di fortunate coincidenze e di un progetto visionario che hanno fatto del Ticino un Cantone universitario poco più di un quarto di secolo fa, nel 1996, al termine di un dibattito durato diversi anni, e che ha visto l’interazione di diversi organi e più livelli istituzionali.
Nonostante dunque un trentennio di storia alle spalle la strada ancora da fare è sicuramente molta, per quanto la comunità accademica abbia intanto raggiunto dimensioni significative, potendo vantare oltre 4.300 studenti iscritti, e altri 12.794 già laureati, ma anche 134 professori, 529 docenti, 738 assistenti, distribuiti in 4 campus, 6 facoltà, e 25 istituti per un totale di 114 Paesi rappresentati, e un budget annuo di oltre 100 milioni di franchi.
L’elevato numero di nazionalità presenti nei campus se da un lato si conferma essere una delle principali ricchezze di questo microcosmo accademico (nono al mondo nella classifica di The World’s best small universities), dall’altro è anche forse uno dei principali ostacoli nello
Amministrazione pubblica
Attività immobiliari, scientifiche, tecniche, amministrative, intrattenim.
Edoardo Beretta, Professore dell’Università della Svizzera Italiana. A lato, l’evoluzione dei delicati equilibri produttivi che reggono il Cantone Ticino negli ultimi anni.
Economie domestiche
stringere vere relazioni con il territorio in cui è immersa, ma su cui si sta comunque lavorando da tempo, puntando su iniziative e momenti di contatto tra studenti, personale accademico e cittadinanza.
Tra questi tentativi ben si inserisce l’iniziativa della facoltà di Scienze economiche dell’Usi, il Forum di macroeconomia 2025, il Ticino tra sfide e opportunità, moderato e organizzato da Edoardo Beretta, professore titolare della facoltà, e membro della Direzione scientifica del Mepin.
«L’idea nasce per avvicinare i nostri studenti alle necessità di sviluppo economico del Cantone, oltre che per mettere alla prova le competenze sviluppate negli anni di apprendimento nei diversi corsi.
La sfida lanciata a studenti di Bachelor e Master è sicuramente molto impegnativa, ma siamo fiduciosi delle idee che la comunità studentesca sarà in grado di fornire alla commissione giudicante, composta da accademici e un’importante istituzione nazionale, la Bns», precisa il professore. La sfida? Sicuramente molto impegnativa: formulare un’idea o un progetto di sviluppo macroeconomico per il Ticino.
«Singoli studenti, o piccoli gruppi, hanno presentato nel corso delle ultime settimane progetti riassunti in poche pagine sottoposti alla commissione, e il 6 maggio nel tardo pomeriggio le due migliori idee, una di Bachelor e una di Master, saranno premiate dal rappresentante per il Ticino della Banca Nazionale. Nella medesima occasione si terrà anche un confronto tra i rappresentanti di importanti istituzioni del territorio, l’Associazione Bancaria Ticinese, il Dipartimento delle finanze e dell’economia del Cantone, la Città di Lugano, e la stessa Banca Nazionale, con il medesimo oggetto, come garantire sviluppo macroeconomico al Ticino nei prossimi anni», commenta Beretta. Cosa aspettarsi da parte della popolazione studentesca, altrettanto poco legata al territorio, qualche perplessità sicuramente la solleva, al tempo stesso nel Cantone più vecchio della Svizzera trovare qualche idea nuova di sviluppo sembra un imperativo. «Tutti i progetti presentati alla commissione saranno raccolti in un’unica pubblicazione, e consegnati ai relatori dell’evento, che auspico possa essere il primo di una serie di eventi simili nei prossimi anni. In Ticino è fondamentale mantenere vivo il dibattito, e definire una direzione di cosa si voglia fare nei prossimi anni, e pensiamo di poter così dare il nostro contributo, coinvolgendo gli studenti», conclude il professore.
Achille Barni
Diversamente consapevoli
In un mondo sempre più segnato da incertezza, molto spesso economica e finanziaria, l’interesse verso la materia sta aumentando e altrettanto velocemente evolvendo.
Negli ultimi anni, l’educazione finanziaria ha assunto un ruolo sempre più centrale nel processo decisionale di investimento. A partire dal 2010, quando ho iniziato a muovermi nel settore, si è potuta osservare una trasformazione significativa nella consapevolezza e nella percezione dell’importanza dell’alfabetizzazione finanziaria.
Inizialmente la conoscenza delle tematiche finanziarie era spesso limitata e considerata un argomento di nicchia e per pochi. Tuttavia, gli eventi economici globali e locali degli ultimi anni (non ultimo la crisi commerciale delle ultime settimane) hanno incentivato una crescente attenzione verso l’importanza di una solida educazione finanziaria innanzitutto per comprendere bene la realtà. La consapevolezza è certamente cresciuta, e oggi molte persone comprendono quanto sia cruciale avere le competenze necessarie per gestire in modo efficace le proprie finanze personali.
Evolvono le modalità. Nel corso degli anni, anche il modo in cui l’educazione finanziaria viene comunicato è cambiato in misura radicale. In passato, le informazioni erano spesso diffuse attraverso mezzi e canali tradizionali, come seminari in presenza e pubblicazioni. Ho iniziato personalmente a condurre webinar per conto di un intermediario finanziario nel 2010 quando ancora questo strumento di comunicazione non era così diffuso. In questi 15 anni molto è cambiato, si è assistiti alla proliferazione di piattaforme digitali e social media per raggiungere un pubblico sempre più vasto e diversificato. Le infografiche, i podcast e i video informativi sono solo alcuni degli strumenti che hanno permesso di rende-
re i concetti finanziari più accessibili e comprensibili per tutti. In particolare, i canali YouTube sono essenziali per fornire informazioni sui mercati finanziari in maniera continuativa, con diverse puntate quotidiane e settimanali.
Le nuove generazioni. Un secondo aspetto interessante di cui tener conto è l’evoluzione demografica della clientela e più in generale degli interessati. Mentre le generazioni con maggiore esperienza rimangono un segmento importante, sempre più giovani esprimono interes-
«La soddisfazione nel constatare che si è raggiunto un grado di consapevolezza finanziaria certamente più elevato rispetto al passato non deve far perdere di vista l’obiettivo, che rimane quello di continuare a essere divulgatori di conoscenze finanziarie e fornire gli strumenti necessari affinché ognuno possa navigare con successo nel complesso mondo degli investimenti personali»
se per l’educazione finanziaria. Questo cambiamento è particolarmente evidente nelle fasce d’età tra i 20 e i 30 anni, che dimostrano una crescente volontà di iniziare a investire presto e pianificare il proprio futuro finanziario, per quanto non manchi una certa reticenza tra i giovani, spesso dovuta a una comprensibile mancanza di fiducia nelle proprie capacità di gestione finanziaria. Gli strumenti della conoscenza. È fondamentale mantenere un contatto co-
Stefano Gianti, Education Manager di Swissquote Bank.
stante con la clientela attuale e potenziale per costruire e consolidare relazioni di fiducia. Nel nostro piccolo, ad esempio, siamo molto attivi nell’ambito dell’educazione collaborando direttamente con le università, organizzando lezioni itineranti presso varie istituzioni accademiche, e promuovendo contest tra gli studenti. Quest’anno, nella prima edizione di questa sfida, sono scese nell’arena ben 35 squadre che stanno lavorando alla creazione di portafogli ben diversificati tra diversi settori, dimostrando l’importanza dell’approccio pratico all’educazione finanziaria. Questo tipo di iniziative non solo rafforzano il legame con il pubblico, ma contribuiscono anche a formare futuri professionisti del settore, o comunque a nutrire un interesse per la corretta gestione dei propri investimenti.
Del domani non v’è certezza. Una prima fondamentale questione da porsi, e tutt’altro che evidente, in questo ambito è: come evolverà il modo di insegnare a prendersi cura delle proprie finanze?
In un periodo di grande trasformazione e profonda incertezza come quello attuale, la soddisfazione nel constatare che si è raggiunto un grado di consapevolezza finanziaria certamente più elevato rispetto a decenni fa, e anche al recente passato, non deve comunque far perdere di vista l’obiettivo, che rimane quello di continuare a essere divulgatori di conoscenze finanziarie e fornire gli strumenti necessari affinché ognuno possa navigare con successo, e anche meglio con profitto, nel complesso mondo degli investimenti personali, senza perdere la bussola.
Where to grow your skills in financial markets and commodity
Un percorso unico per il tuo futuro nel mondo della finanza! Con il Matherika Summer Camp, avrai l’opportunità di seguire un percorso esclusivo, progettato per formare i migliori talenti e offrirti concrete opportunità di crescita. Gli studenti possono cogliere l'opportunità di essere selezionati per uno stage presso Matherika Group e i suoi partner industrial.
*La quota comprende 5 notti di alloggio, colazione, pranzo, e tutto il materiale didattico
Contattaci per saperne di più: akademy@matherika.com www.matherika.com/it/akademy | Matherika Akademy | @matherikagroup_akademy
Ottimizzare le reti termiche
Le sorti del riscaldamento del pianeta e quelle degli edifici sono strettamente collegate. Se le strategie di neutralità climatica riguardano l’energia nel suo insieme, tuttavia a causa dell’enorme quota parte di calore, la svolta energetica è allo stesso tempo una svolta termica. In Svizzera, il fabbisogno di riscaldamento rappresenta il 40% circa del consumo energetico totale e causa quasi un quarto delle emissioni di gas serra. Per azzerarne il saldo netto entro il 2050, la Confederazione calcola che andranno sostituiti ancora 900mila impianti di riscaldamento a combustibili fossili, oltre alle ristrutturazioni per rendere gli edifici più efficienti. Ma non si tratta di ragionare solo sull’impatto della singola abitazione, quanto di adottare una visione di insieme, che alla predilezione per le fonti rinnovabili sommi il contenimento dei consumi, la riduzione di sprechi e inefficienze nella distribuzione del calore e l’ottimizzazione di erogazione e stoccaggio. «Le reti di riscaldamento sono la spina dorsale della transizione energetica, ma troppo a lungo sono rimaste arretrate sul fronte dell’efficienza e dell’ottimizzazione, tanto da trovarsi in ritardo di una decina di anni sul livello raggiunto
Le reti di riscaldamento costituiscono un aspetto strategico nella transizione energetica, ma spesso funzionano ancora in modo inefficiente. Applicando l’intelligenza artificiale alle sfide energetiche, la CleanTech bernese Yuon offre un sistema di controllo predittivo in grado di ottimizzare in tempo reale i consumi, ridurre le emissioni di CO2 e prevenire i picchi di carico.
dalle reti elettriche, per cui ormai gli Energy Management System (Ems) stanno diventando lo standard. Con Yuon stiamo facendo il salto verso un controllo intelligente e basato sui dati, un passo decisivo sulla strada della decarbonizzazione. La nostra soluzione affronta una sfida molto specifica e spesso trascurata: l’inefficienza delle reti termiche. Questi sistemi sono spesso sovradimensionati, mal regolati e generano inutili emissioni di CO2 e perdite di energia», osserva Sebastian Herberger, Ceo di Yuon, con sede a Burgdorf, nel Canton Berna. Colpito dalla qualità della sua tecnologia e dal
Fonte: CleantechAlps
Settori di attività CleanTech svizzere 2023
Fonte: CleantechAlps
La crescita esponenziale delle CleanTech svizzere
potenziale di farne una CleanTech scalabile e d’impatto, nel 2023 si è unito a Lorin Mühlebach, ingegnere elettrico specializzato in algoritmi predittivi, e Josef Jenni, esperto di microtecnologie e tecnologie energetiche, che tre anni prima hanno fondato la start up.
Il software Yuon è composto da tre moduli che controllano dinamicamente la produzione, la distribuzione e il consumo di calore nella rete. Il cuore è un modello di controllo predittivo (Mpc) brevettato che apprende automaticamente le proprietà termiche e i requisiti energetici della rete, creando un gemello digitale di ogni edificio e dell’intera rete, compresa la termodinamica di ogni componente collegato. È così possibile ottimizzarne la gestione in tempo reale in base all’esatta domanda di calore dei consumatori e tenendo conto delle condizioni meteorologiche. Ciò consente di attenuare i picchi di carico - che possono mettere a dura prova la capacità della rete e richiedere costosi metodi di compensazione, come i bruciatori di gasolio -, di utilizzare in modo ottimale le fonti di calore o, ancora, di impiegare gli edifici inattivi come riserve di calore e gestire attivamente i serbatoi d’acqua locali nella rete. «I nostri algoritmi utilizzano i dati storici in loco, le previsioni meteo e il know-how interno di reti simili. Il monitoraggio puntuale ci permette di rispondere rapidamente alle variazioni del fabbisogno e di rilevare automaticamente a lungo termine l’alterazione delle proprietà termiche dei componenti e potenziali perdite. Un approccio che contribuisce in modo significativo a ridurre il consumo energetico e i costi dell’intera rete. Inoltre il controllo in tempo reale tramite dashboard e app migliora l’affidabilità e la reattività delle reti di calore e ne aumenta l’efficienza. Il che non solo porta a una riduzione dei costi operativi e di manutenzione, ma prolunga la vita utile dei sistemi», sottolinea Sebastian Herberger. Nel team, la start up combina forti background tecnici: Ia e sistemi di controllo, modellazione energetica, ingegneria elettrica e sistemi di edifici reali. Il software di Yuon può essere facilmente integrato nei sistemi esistenti, senza interventi strutturali e con la massima interoperabilità, seguendo un modello SaaS scalabile. I costi di licenza sono di soli 0,003 Chf/kWh, in compenso i primi progetti mostrano
Da sinistra, Sebastian Herberger, Ceo di Yuon, con i due cofondatori, Lorin Mühlebach e Josef Jenni, e il Cfo Mehmet von Burg.
«Le reti di riscaldamento sono la spina dorsale della transizione energetica, ma troppo a lungo sono rimaste arretrate sul fronte dell’efficienza e dell’ottimizzazione. Con Yuon stiamo facendo il salto verso un controllo intelligente e basato sui dati: un passo decisivo sulla strada della decarbonizzazione»
Sebastian Herberger, Ceo di Yuon
risparmi impressionanti: «Fino al 25% del consumo energetico, 30% in meno di emissioni di CO2 e una riduzione dei picchi di carico di oltre il 50%», evidenzia il Ceo di Yuon, che con la sua offerta si rivolge ad aziende elettriche comunali, progettisti e installatori di reti di medie e piccole dimensioni. «La risposta del mercato è stata molto incoraggiante: siamo in trattative con oltre l’80% dei principali fornitori di teleriscaldamento svizzeri, come e360° ed ewb e, a medio termine, l’obiettivo è diventare il principale sistema di ottimizzazione delle reti di riscaldamento in Europa. Il prossimo grande passo è l’espansione in Germania e nei Paesi nordici, a partire dal quarto trimestre del 2025. Sono in corso colloqui con un fornitore leader nel settore degli impianti di riscaldamento per sviluppare un pacchetto completo personalizzato per il mercato tedesco. Stiamo già pianificando altre partnership strategiche e preparando un ulteriore round di finanziamento per sostenere la crescita e il goto-market», anticipa il Ceo della start up
Quasi ancora il 60% delle case svizzere riscaldate dalle fossili Popolazione secondo la fonte d'energia principale per il riscaldamento
bernese, che già a due riprese ha ricevuto il sostegno dalla Fondazione svizzera per il clima, oltre alle collaborazioni strategiche con l’Università di Scienze Applicate e Arti di Lucerna e l’Ostschweizer Fachhochschule. Nel suo palmarès, importanti riconoscimenti quali il Watt d’Or, il Climate Launchpad e, lo scorso gennaio, l’Ypsomed Innovation Award, ne confermano le potenzialità.
Se la Svizzera prevede che nei prossimi 25 anni si possa raddoppiare il contributo assicurato dalle attuali 1400 reti di teleriscaldamento portandolo a 18 TWh, ovvero circa il 40% del fabbisogno di calore stimato al 2050, anche in Europa, dove sono già in funzione 17mila reti, che coprono circa il 13% del consumo energetico finale, si punta al 50%. Traguardi che per essere raggiunti richiederanno ulteriori investimenti e soluzioni innovative ed efficaci, capaci di rendere le reti di riscaldamento ancor più flessibili, efficienti e sostenibili.
Emanuele Pizzatti
Fonte: UST-SEA, dati 31.12.23
Risultati, non presenza
La naturale evoluzione della leadership aziendale, improntata quindi alla collaborazione e alla flessibilità, non può più limitarsi a organizzare il lavoro, quanto a ispirarlo.
Lo stato dell’arte in Svizzera
Composizione della popolazione attiva per generazioni (’91-’24; in % tot)
Francesca Prospero Cerza, fondatrice di coworkingbar.ch, spazi di lavoro per professionisti in viaggio dove il business incontra il leisure. A lato, l’evoluzione della composizione della popolazione attiva in Svizzera negli ultimi anni.
un indirizzo: serve disegnarla, nutrirla e comunicarla, anche da remoto.
Fonte: Ust VII-2024
Secondo il Workmonitor 2025 di Randstad, i lavoratori svizzeri sono pronti a lasciare il proprio impiego se manca un senso di appartenenza o opportunità di crescita. Oggi non basta più il cosa si fa: contano anche il perché e con chi. Il lavoro diventa così un’esperienza motivata da scopo e cultura, più che da routine e compiti. Il futuro del lavoro non è più legato a un ufficio, ma alla possibilità di creare valore, da qualsiasi luogo. Il vecchio modello centrato sulla presenza fisica lascia spazio a un approccio orientato alla performance, in cui la fiducia sostituisce il controllo e la flessibilità diventa un requisito. Tra aspettative e generazioni. La mobilità fluida è la nuova normalità: si lavora ovunque vi siano connessione, autonomia e senso. L’ufficio non sparisce, ma cambia funzione: da contenitore a catalizzatore relazionale. Questo impone una leadership evoluta, capace di valorizzare il lavoro per risultati e obiettivi, specie se considerando che in Svizzera, nel 2023, le generazioni Y e Z costituiscono oltre il 51% della forza lavoro totale.
La flessibilità lavorativa è diventata un requisito imprescindibile. Il Randstad Workmonitor 2025 evidenzia come le diverse generazioni abbiano aspettative variegate riguardo al lavoro:
- Il 50% degli svizzeri è pronto a licenziarsi se manca un senso di appartenenza;
- Il 64% valuta fondamentale l’accesso alla formazione e allo sviluppo;
- Il 79% ritiene che la flessibilità migliori benessere e produttività. Le leve per le aziende. Adottando queste strategie, le aziende non solo miglioreranno la soddisfazione e la produttività dei dipendenti, ma si posizioneranno anche come datori di lavoro di scelta in un panorama competitivo in continua evoluzione. Ecco alcuni termini chiave:
- Flessibilità integrata. Non è solo remote working, ma la libertà di scegliere quando, dove e come creare valore;
- Formazione continua e mirata. Puntare su competenze digitali oltre che su soft skill trasversali: Ia, leadership, collaborazione virtuale.
- Cultura intenzionale e inclusiva. Un luogo di lavoro è una cultura prima che
Il nuovo spazio di lavoro è una rete intelligente, non una sede. Le aziende che sapranno costruire un’esperienza su misura, dunque flessibile, formativa, connessa, diventeranno magneti di talenti. Perché oggi, il miglior contratto non è un foglio firmato, ma un’identità condivisa.
Questo nuovo paradigma richiede un approccio coraggioso e progettuale: non bastano policy scritte, servono esperienze vissute. La flessibilità deve essere reale, non concessa. La formazione è un investimento, non un costo. La cultura aziendale va coltivata, non improvvisata.
Offrire spazi di lavoro vicini agli interessi dei propri collaboratori, come i coworking diffusi sul territorio o integrati in hotel in Ticino, è una soluzione concreta e personalizzabile. Luoghi dove orchestrare momenti intenzionali: ‘sync days’, incontri strategici, retreat di team, giornate di cultura condivisa.
Esempio: un ‘Team Culture Day’ trimestrale in un coworking hotel, con workshop, attività di team building e aperitivo in terrazza. Non è logistica. È cultura.
Una leadership innovativa sa che la distanza non può giustificare la frammentazione culturale. La flessibilità, se ben progettata, è un acceleratore di cultura, innovazione e valore. La vera sfida oggi? Non è organizzare il lavoro. È ispirarlo.
Generazione X
Il progetto pilota della Bns
Prudente ma pionieristica, la Bns sta esplorando l’uso di moneta digitale di banca centrale per regolamentare le transazioni fra istituzioni finanziarie, rendendole più efficienti e sicure.
Negli ultimi decenni, la Bns ha affrontato l’evoluzione dei mezzi di pagamento, adattandosi alla crescente digitalizzazione dell’economia, nel rispetto del mandato legale sancito dall’art. 5 della Legge federale sulla Banca nazionale svizzera (Lbn), che la obbliga a garantire un sistema di pagamento stabile ed efficiente, incluso il buon funzionamento delle transazioni digitali e senza numerario.
Le soluzioni innovative introdotte in ambito Fintech hanno reso la rete bancaria più dinamica, tecnologicamente avanzata e accessibile. In risposta a queste trasformazioni, la Bns ha avviato diverse iniziative che riguardano il Sistema di Compensazione Interbancaria (Sic), ottimizzando la gestione dei trasferimenti interbancari in tempo reale e senza intermediari, grazie all’utilizzo di tecnologie avanzate come la blockchain e i registri distribuiti (Dlt). Questo processo di pagamento rapido, noto come instant payment (IP), avviene in media in meno di 10 secondi e consente interazioni a qualsiasi ora del giorno.
Per accedere al Sic, le istituzioni devono soddisfare specifici requisiti stabiliti dalla Bns, tra cui l’autorizzazione dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (Finma), come previsto dall’articolo 4 della Legge sull’infrastruttura finanziaria (LInFi). È inoltre necessario fornire adeguate garanzie, rispettare i parametri tecnici e assicurare una liquidità sufficiente per le transazioni. Tuttavia, l’accesso al Sic rimane attualmente limitato per le nuove entità in espansione, come le Fintech, che potrebbero apportare un significativo valore aggiunto al mercato tokenizzato. Per questo motivo, dal 2020 è stato avviato il Progetto pilota Helvetia,
ancora in corso, con l’obiettivo di esplorare modalità per favorire l’integrazione di queste realtà emergenti nell’apparato di pagamenti svizzero e rivedere la politica di accesso al Sic.
Il progetto Helvetia si focalizza sulla sperimentazione della tokenizzazione e della regolamentazione tramite la wholesale Central bank digital currency ( wCbdc ) sulla piattaforma Six Digital Exchange (Sdx). La moneta digitale è emessa direttamente dalla Bns, l’unica istituzione autorizzata a detenere il mo-
«La Bns si colloca tra le prime banche centrali a sondare l’integrazione della moneta sovrana con il mercato digitale e tokenizzato tramite la wCbdc, un passo che assicura la coerenza e la continuità della struttura economica nazionale»
nopolio sulla politica monetaria, come previsto dall’articolo 99 della Costituzione svizzera e dagli articoli 4 e 5 della Lbn. Questo modello centralizza il regolamento, mantenendo le caratteristiche di sicurezza, stabilità e fiducia tipiche della moneta di banca centrale, evitando la frammentazione del sistema finanziario e preservando il controllo sulla politica monetaria. La Bns si colloca così tra le prime Banche centrali a sondare l’integrazione della moneta sovrana con il mercato digitale e tokenizzato tramite la wCbdc, un passo che assicura la coerenza e la continuità della struttura economica nazionale. In questo contesto, il ruolo della moneta della Banca centrale viene
ulteriormente rafforzato, riaffermandosi come pilastro fondamentale dell’infrastruttura monetaria.
La terza fase del progetto, conclusa nell’estate del 2024, ha confermato l’efficacia della wCbdc nel regolamento dei movimenti su asset digitali, con emissioni di obbligazioni digitali che hanno superato i 1,3 miliardi di franchi. L’estensione del progetto per almeno altri due anni evidenzia l’impegno a garantire un’infrastruttura scalabile e sicura. Questo radicamento della fiducia del mercato nei beni digitali rafforza il ruolo della Svizzera come leader nell’adozione della finanza tokenizzata e nell’innovazione dei mercati dei capitali, con un approccio prudente ma aperto al progresso tecnologico.
Il progetto Helvetia sta reinventando l’esperienza degli utenti privati, rendendo le interazioni economiche più rapide, sicure e automatizzate. Questo schema elimina gli intermediari, riduce i tempi di attesa e abbassa il rischio di credito, poiché i pagamenti diventano immediatamente disponibili e definitivi per il beneficiario. A partire dal 20 agosto 2024, i clienti delle principali banche svizzere possono accedere ai pagamenti istantanei tramite app di pagamento. Questa tecnologia avanzata, pur essendo ancora in fase di sviluppo, è destinata a diventare ampiamente diffusa nel breve periodo. La sua adozione è prevista in tutta la Svizzera entro novembre 2026, con l’integrazione di tutte le banche del paese, trasformando i trasferimenti istantanei in uno standard e migliorando notevolmente l’efficienza e l’accessibilità degli investimenti.
Nikol Marinčić, Membro del Direttivo del Circolo Giovani Giuristi Zurigo.
Intelligenza omniglotta
Sempre più performanti, le soluzioni di traduzione basate sull’intelligenza artificiale stanno diventando strategiche per le aziende, dalla comunicazione interna all’assistenza clienti fino all’espansione nei mercati esteri. Un settore in cui Europa e Svizzera, istituzionalmente plurilingui, stanno dimostrando di aver voce in capitolo. Se le prestazioni promettono di superare presto quelle umane (e la privacy?), non sembra però il requiem per i traduttori in carne e ossa.
Che poter comunicare senza barriere linguistiche sia garanzia di reciproca comprensione l’attualità sembra sconfessarlo con tutta evidenza. Fa quasi sorridere che una delle prime sessanta frasi tradotte da un sistema automatico - correva il 7 gennaio 1954 - sia stata “International understanding constitutes an important factor in decision of political questions”. L’originale era in russo, il progetto - piuttosto intuitivamente - americano. Al cervello elettronico del Georgetown-Ibm Experiment occorrevano allora 6-7 secondi per ogni frase. Un successo che, riecheggiato dalla stampa mondiale, incoraggiò i governi a investire in linguistica computazionale. La sfida era notevole: ci si rese ad esempio conto che la formulazione della logica necessaria per convertire correttamente i significati delle parole anche in un piccolo segmento di due lingue richiedeva un numero di istruzioni 2,5 volte superiore a quello necessario per simulare il volo di un missile guidato.
Settant’anni più tardi, si arriva al record delle 243 lingue supportate da Google Translate, 110 aggiunte l’anno scorso: da quelle ampiamente parlate come il cantonese, per cui però era difficile trovare dati di training sovrapponendosi spesso al mandarino nella scrittura, a quelle parlate solo da piccole comunità di indigeni africani. Prodigi del suo modello linguistico di grandi dimensioni PaLm2. Obiettivo dichiarato: arrivare a mille (1.000
Languages Initiative). Nel mondo se ne parlano sette volte tante, ma l’assenza di molte dal Www è stata finora di ostacolo agli approcci di addestramento tradizionali, sfida cui cominciano però a rispondere i Large Multimodal Models (Lmm) più avanzati, in grado di estrarre informazioni anche dai tanti altri formati digitali di condivisione di contenuti testo, audio e video. D’altronde il traduttore di Mountain View ha fatto proprio dell’ampia copertura e dell’accessibilità (oltre che dell’integrazione con i servizi di casa) i punti di forza della sua offerta ecumenica, lasciando eccellere altri competitor in accuratezza e personalizzazione. Su queste ultime ci si gioca in particolare la clientela business (quella delle versioni Pro e a pagamento), per cui ormai i servizi di traduzione linguistica automatica - e sempre più anche di scrittura - rappresentano un investimento strategico, specie per realtà in espansione internazionale o votate all’export che per affrontare le sfide comunicative in ambiti come le operazioni interne e il supporto clienti hanno bisogno di soluzioni non solo efficienti, ma progettate per soddisfare specifiche esigenze di riservatezza e adattarsi a stile e ‘lessico’ aziendali, riducendo il rischio di produrre allucinazioni o altre forme di disinformazione.
All’interno di un mercato globale dei servizi linguistici che, traduzioni più interpretazioni, vale decine di miliardi - per una volta guidato dalla poliglotta Europa - le soluzioni abilitate dall’Ia stanno re-
gistrando la crescita più elevata, trainata dai progressi di machine learning e reti neurali, dallo sviluppo delle tecnologie di elaborazione del linguaggio naturale (Nlp) e dei Large Language Models (Llm), dall’aumento della potenza di calcolo (che però, DeepSeek docet, potrebbe non essere imprescindibile) oltre che da scambi sempre più globali e digitali.
Un ritmo di innovazione che si spiega solo considerando come dietro gli attuali risultati raggiunti dai sistemi di traduzione automatica vi sia un lungo cammino. A cimentarsi con la sfida - fra le maggiori per una macchina - si è iniziato dall’immediato secondo dopoguerra. Anni in cui emergeva anche il concetto di intelligenza artificiale. I primi a discuterne furono un manipolo di eccentrici talenti nell’estate del 1956. Nella proposta per ottenere i finanziamenti per quel campus di due mesi al Dartmouth College avanzavano la congettura che “ogni aspetto dell’apprendimento o di qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza può in linea di principio essere descritto così precisamente da farne una macchina in grado di simularlo”. Fra i problemi specifici su cui ritenevano utile concentrarsi suggerirono - primo della lista - l’uso del linguaggio.
Processare il linguaggio naturale
Anche in un paese quadrilingue come la Svizzera non poteva che esserci un forte interesse per la traduzione automatica, campo di cui l’Istituto Dalle Molle di Studi Sull’intelligenza Artificiale UsiSupsi (Idsia) ha fatto uno dei suoi settori di punta. «Quando dopo l’università ho cominciato a lavorare all’Idsia, nel 1988, direttore e vicedirettore erano proprio due linguisti computazionali. In particolare si occupavano di cercare metodi per formalizzare l’analisi logica e l’analisi sintattica attraverso una macchina e, altra cosa che li divertiva molto, per cercare di risolvere le ambiguità lessicali appoggiandosi al contesto», ricorda Luca Maria Gambardella, che l’Idsia l’ha poi diretto per 25 anni, fino al 2020. «A quei tempi i sistemi di traduzione automatica oltre a un dizionario di equivalenze lessicali richiedevano tutta una parte descrittiva della costruzione linguistica e sintattica per permettere alla macchina di identificare i diversi elementi della frase, convertirli in un linguaggio intermedio, astratto (una sorta di esperanto), da cui volgerli nella lingua di destinazione, adattandosi
«Anche qualora l’Ia linguistica arrivasse a superare l’uomo nelle traduzioni, la vera singolarità, quella che richiederebbe alla macchina di capire davvero quello che elabora e scrive e, soprattutto, di avere coscienza - quindi di non essere solo cervello, ma anche mente - resta invece ancora molto lontana»
Luca Maria Gambardella, esperto di intelligenza artificiale
I leader del settore
Sistemi di traduzione Ia usati da 127 aziende di servizi linguistici di 28 Paesi, 2024 vs 2023 ■ 2024 ■ 2023
Fonte: Fonte: ALC Industry Survey 2024
“In quali aree la traduzione IA può fare la differenza?”
780 decision maker (senior level) Emea e Usa
Supportare i team di traduzione interni In combinazione con agenzie esterne
Integrazione Ia in prodotti chiave dell'azienda
Aiutare i team a comunicare con maggior efficacia
Fonte: Deepl, Language AI Report 2025
alle sue regole per preservare il significato. Ci si limitava a traduzioni molto semplici, anche perché questa struttura logica sottostante computazionalmente era molto pesante», ricorda Gambardella. Nel successivo grande salto, anche Lugano ha avuto un ruolo: l’Idsia ha infatti sviluppato il metodo Long-Short Therm Memory Recurrent Neural Network, «una rete neuronale innovativa, con una sorta di memoria interna, capace di ap-
“Quali sfide linguistiche affronta la sua azienda?”
780 decision maker (senior level) Emea e Usa
Espansione in nuovi mercati
clienti esteri
Fonte: Deepl, Language AI Report 2025
“Come allocherete il budget investito in IA nel 2025?”
780 decision maker (senior level) Emea e Usa
In tutte le attività aziendali
compiti specializzati come la traduzione
parte degli strumenti del luogo di lavoro
AI non
Deepl, Language AI Report 2025
L’ascesa della tedesca DeepL verso la leadership di mercato, con 200mila clienti aziendali e istituzionali nel mondo, evidenzia l’importanza delle soluzioni di traduzione basate sull’intelligenza artificiale nella trasformazione di settori come gli stessi servizi linguistici, manifatturiero, legale, sanitario e molti altri, sempre più interessati ad adottarla. Non solo le Big Tech hanno voce in capitolo.
Fonte:
Chi lassa la strada vegia par na nova ...
Utilizzati da gruppi ristretti, in territori specifici e senza un impiego ufficiale, i dialetti pongono una sfida non indifferente alla loro preservazione, mentre si ridisegnano i confini di un mondo sempre più globalizzato e omologato. In Ticino, se fino a circa 50 anni fa l’80% della popolazione lo parlava, oggi i dialettofoni sono solamente il 25%, soprattutto adulti e anziani. Ma fra questi circa 80mila dialettofoni ce n’è però ora uno molto particolare e loquace: il ChatBot di Artificialy, la start up luganese cofondata da Luca Gambardella. Oltre a inglese, tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese, ucraino e romeno, la sua PrivateAi Suite supporta ora anche ul dialèt. «La vera sfida, più che allenare il modello, è stato l’inserimento di termini e modi di dire introvabili online, con fonti spesso datate, e allinearsi su una forma comune, considerato come i diversi dialetti italiani in Svizzera siano molto variegati. Una volta arrivati a mettere in produzione il modello, ci si è fatti aiutare da diversi esperti sul territorio per valutarlo e affinarlo sugli usi attuali», racconta Athos Fiori (in foto), fra i pochi ticinesi riusciti a rientrare, dopo gli studi universitari fra Epfl, Eth e un dottorato a Basilea, con un incarico ghiotto quanto quelli oltre Gottardo, come data scientist e oggi responsabile delle soluzioni Ia per i clienti di Artificialy. Originario di una famiglia patrizia e molto attaccato al territorio, è orgoglioso di aver guidato questo progetto pilota, che dimostra come l’intelligenza artificiale possa contribuire a iniziative di valorizzazione locale, rendendole sostenibili. Se “Chi lassa la strada vegia par na nova, al sa quel che lassa ma al sa migna quel che trova”, in questo caso dall’innovazione potrebbe venire la soluzione per dare continuità al passato.
prendere automaticamente e di fare traduzioni in maniera molto efficace: non più classificando il singolo elemento della frase e seguendo delle regole prestabilite, ma lavorando su enormi set di dati e imitando i testi già tradotti con cui è stata addestrata. Il testimone dello sviluppo è però passato alle aziende, probabilmente perché l’accademia ha visto poco valore aggiunto nello sforzo di nutrire le macchine con i miliardi di testi necessari per traduzioni sempre più raffinate e coerenti, vicine alla padronanza di un madrelingua», sottolinea Luca Gambardella. Nel 2017, la presentazione della tecnica di Transformer nel paper di Google All you need is attention ha dato un nuovo scossone al modo in cui l’intelligenza artificiale processa il linguaggio. Si è aperta l’era dei Llm, come Gpt-3 di OpenAi e poi, nutrita a base di conversazioni, la sua versione Chat, che ha riempito di domande e risposte le nostre vite. Sembrano passati decenni ed era solo la fine del 2022 - e l’inizio del boom dell’Ia, che l’anno scorso ha incassato 184 miliardi di dollari investimenti, quando nel 2023 erano ‘solo’ 50. Secondo un sondaggio sull’adozione dell’Ia nelle imprese a li-
vello mondiale appena condotto dalla tedesca DeepL - che un po’ di acqua al suo mulino la tirerà, ma con una clientela di 200mila aziende non manca di voce in capitolo - il 72% dei dirigenti aziendali nell’area Emea e Usa intende adottare l’Ia nel 2025, con un quarto che vuole utilizzarla proprio per attività specialistiche come la traduzione. L’entusiasmo non deve far però sottovalutare quello che è uno dei grossi nodi irrisolti: la privacy. Che per il mondo degli affari e delle istituzioni è cruciale: «Che venga caricato sui server di un’azienda di traduzioni automatica tedesca o americana, se il sistema non è on premises - in ‘casa’ tua, senza accesso al mondo esterno - la garanzia che quel contenuto non verrà analizzato e usato per altri addestramenti non può esserci. Bisogna esserne consapevoli e soppesare i vantaggi fra confidenzialità e qualità del servizio. Una terza opzione sarebbe fare un primo processo di anonimizzazione dei dati, ma può essere lungo e oneroso», avverte l’esperto. I più elevati standard di sicurezza e privacy sono al centro della piattaforma di servizi Ia progettata da Artificialy (start up cofondata da Luca Gambardella e Marco Zaffalon,
con sede a Lugano e uffici ora anche a Zurigo) che include un sistema di traduzione in 9 lingue, installabile on premises e con performance altamente competitive rispetto alle soluzioni sul mercato. Prossimo orizzonte: la traduzione simultanea vocale, per conferenze e call, che pone la sfida di saltare i passaggi intermedi del voice-to-text-to-text-to-voice. Meta sembra sulla buona strada con il suo SeamlessM4T-V2 che sfrutta un processo di data mining parallelo per tradurre con una latenza di un paio di secondi 101 lingue verso 36 (mentre il sistema rivale di Google traduce solo verso l’inglese).
L’altra grande domanda è se e quando verrà raggiunta la singolarità linguistica, ovvero il momento in cui la qualità della traduzione dello specialista in carne e ossa e dell’Ia si equivarranno - ma attenzione: la seconda sarà istantanea e poliglotta. Per Marco Trombetti, cofondatore di Transalted, il traguardo è dietro l’angolo. Il lancio a fine 2024 di Lara lo preannuncia. Il nome - scelto perché facilmente pronunciabile in tutte le lingue - battezza la sua nuova Ia per la traduzione automatica, allenata sulla piattaforma di Nvidia utilizzando un set di dati unico di 25 milioni di traduzioni reali eseguite dai migliori traduttori professionisti. La superiorità sta nella capacità di ‘spiegare’ le proprie scelte, utilizzando la comprensione contestuale e il ragionamento. Fa ancora 2,5 errori su mille parole (contro 1 stimato per un umano esperto). «Ma anche qualora si arrivasse a superare l’uomo, la vera singolarità, quella che richiederebbe alla macchina di capire quello che elabora e scrive e, soprattutto, di avere coscienzaquindi di non essere solo cervello, ma anche mente - resta ancora molto lontana», rassicura Luca Gambardella. Trombetti però è un visionario contagioso e concreto: la sua Translated, fondata con la moglie linguista - informatico lui - nel 1999 con un investimento iniziale di circa 100 euro per acquistare un dominio Internet e uno spazio pubblicitario online, è una di quelle cenerentole che fanno bene all’imprenditoria. Promette di non liquidare i traduttori in carne e ossa, parte fondamentale del suo successo e ancora oggi ne sono i primi clienti. Non è l’unico a puntare sulle sinergie con i traduttori umani, che anzi diventano preziosi alleati per i servizi di traduzione linguistica Ia più avanzati. E chi meglio della plurilingue e innovativa Svizzera per farlo?
Scopri la Personal Line
Traduzione liquida
Alla fine dello scorso anno, Textshuttle e Supertext hanno unito le loro forze, lanciando il concetto di ‘fused translation’. Con il rebranding seguito alla fusione delle due aziende, entrambe zurighesi, si è scelto di mantenere il nome della seconda che, in vent’anni di attività, ha saputo diventare un attore globale dei servizi linguistici, con una solida reputazione di qualità e la sua rete di oltre 3.000 professionisti linguistici freelance. Il con-
nubio con la più giovane (classe 2016) ma ben lanciata Textshuttle, spin-off dell’Università di Zurigo specializzata in traduzione automatica basata sull’intelligenza artificiale, delinea un salto di paradigma, mettendo a disposizione senza soluzione di continuità le rispettive competenze su un’unica piattaforma, in grado di soddisfare tutte le esigenze linguistiche di team e aziende. Ma c’è davvero spazio per un outsider accanto ai colossi del settore? «DeepL e Google sono progettati per
I progetti più sfidanti
Fra i progetti tecnicamente più impegnativi finora affrontati dall’Ia di Supertext, ce n’è uno affine a quello di Artificialy con il dialetto ticinese: lo sviluppo del primo traduttore automatico di romancio al mondo per la Rtr (Radiotelevisiun Svizra Rumantscha). «Essendo difficile per il romancio reperire precedenti traduzioni professionali nell’enorme quantità necessaria ad addestrare un modello, ci siamo serviti principalmente testi giuridici, come la Costituzione federale, comunicati stampa del Canton Grigioni e dati dell’Rtr. Il fatto che oggi sia ampiamente utilizzato dimostra che la qualità risulta raggiunta convincente, oltre a essere un ottimo esempio di come la tecnologia possa aiutare a rendere accessibile a un pubblico più vasto una lingua ‘minoritaria’», sottolinea Samuel Läubli. Ci sono poi collaborazioni di lunga data, come quella con Amag, per cui negli ultimi cinque anni sono stati gestiti oltre 40mila progetti di traduzione professionale. «In questo caso occorre trovare il giusto equilibrio tra qualità e costi per fronteggiare la crescente quantità di contenuti che devono gestire quotidianamente nelle loro comunicazioni. Abbiamo quindi creato flussi di lavoro ibridi e personalizzati, automatizzando il più possibile e coinvolgendo traduttori esperti laddove possono fare veramente la differenza», rileva il Ceo di Supertext. Non mancano grandi nomi internazionali: la Karl Lagerfeld, ad esempio, utilizza il servizio di transcreazione di Supertext per adattare le sue campagne ai mercati di destinazione, dai Paesi Bassi al Giappone. «Anche nei lavori di traduzione più creativi, tecnologia e processi intelligenti sono ormai essenziali. Ragion per cui li sosteniamo anche con una piattaforma per le approvazioni sistematiche delle traduzioni da parte dei loro specialisti di marketing interni in ogni mercato», conclude Samuel Läubli.
un uso generico. Noi siamo orientati al business. Supertext offre un’Ia linguistica sicura, adattata e integrata nei flussi di lavoro dei clienti, coniugata all’intervento di persone in carne e ossa dove necessario. Oltre a servizi completamente automatizzati o completamente gestiti da umani, la nostra Usp sta nell’offerta anche di soluzioni ibride. La peculiarità risiede nel fatto che le aziende possono addestrare il nostro sistema con la loro terminologia e i loro dati, avendo la garanzia che non verranno mai trasmessi fuori dai confini della Svizzera - dove gestiamo la nostra infrastruttura di server ad elevate prestazioni - né a qualsiasi altro fornitore, così come non li utilizzeremo mai per addestrare dei modelli pubblici», sottolinea Samuel Läubli, cofondatore di Textshuttle e nuovo Ceo di Supertext. Standard di sicurezza tanto elevati da soddisfare le esigenze delle principali banche, compagnie assicurative e istituzioni governative nazionali ed estere, infatti già ben rappresentate nella sua clientela di oltre 1.500 aziende in Europa: nomi quali Axa e Swiss Life, ma anche istituzioni regionali come le amministrazioni cantonali del Ticino e dei Grigioni, oltre ad agenzie creative e piattaforme di e-commerce.
I professionisti in carne e ossa coprono oltre 100 lingue, mentre il sistema di traduzione automatica professionale ne supporta 23: tutte le principali europee e asiatiche, nonché le lingue ufficiali della Svizzera, comprese le varianti svizzere di tedesco, francese e italiano. I blind test effettuati da traduttori professionisti hanno dimostrato che dal tedesco verso inglese, francese e italiano, è superiore alla qualità di DeepL. Come è possibile raggiungere una tale qualità per una Pmi? «Il denaro da solo non può sostituire la ricerca e l’ingegneria qualificata. Le nostre radici affondano nella ricerca sull’Ia. La stretta collaborazione con università di punta, in particolare qui a Zurigo, è un grande vantaggio. Abbiamo sviluppato un Llm in grado di tradurre porzioni di testo più consistenti simultaneamente, garantendo così la coerenza tra i documenti: un cambiamento radicale rispetto alla precedente generazione di modelli, che traduceva isolatamente frasi e paragrafi prima di accorparli. Ma il vero segreto di un’Ia linguistica eccellente risiede oggi in un processo di sviluppo che unisce esperti di entrambi gli ambiti - linguistico e tecnologico - facendo lavorare a stretto con-
tatto i team interni di traduttori e R&D», spiega il Ceo di Supertext, che ha uffici anche a Berlino oltre che a Zurigo.
Ovviamente l’unificazione di piattaforme strutturalmente diverse ha richiesto tempo, così come integrare due team con background culturali e competenze professionali distanti. «Realizzare la fusione tra una start up di deep-tech e un’agenzia di redazione di testi è stato come accorpare le competenze di ingegneri e poeti! Dovevamo instaurare un rapporto di fiducia e creare una visione condivisa, in cui la lingua è considerata sia come dato che come arte», sottolinea Samuel Läubli.
Mettere a punto un modello di traduzione personalizzato sulle esigenze di un’azienda richiede a Supertext in media 12 settimane, ma lo sviluppo in sé costituisce solo una minima parte del processo. «Acquisiamo vecchie traduzioni, glossari e linee guida sul tone of voice - e poi non solo addestriamo un modello in linea con le esigenze dell’azienda, bensì anche con il suo personale, affinché possa sfruttarlo al meglio», spiega. Pur intravedendo le opportunità in ambiti come la traduzione simultanea voice-to-voice, Supertext preferisce per ora rimanere focalizzata sulla traduzione di testi scritti, convinta che racchiuda ancora potenzialità inesplorate. «È per questo che stiamo raddoppiando gli sforzi: da quest’autunno, ogni cliente potrà utilizzare un traduttore Ia individuale che apprenderà in tempo reale da ogni input fornito dagli esperti linguistici - siano essi parte del nostro team o di quelli dei nostri clienti. Si tratta del prossimo passo per costruire un sistema di traduzione in continuo miglioramento e veramente adattabile, oltre che personalizzato al massimo», afferma Samuel Läubli, che dimostra di averci visto giusto quando, lasciato il suo lavoro in una società di software statunitense per iniziare il dottorato in Machine Translation all’Università di Zurigo, accorgendosi che ancora mancava un’Ia in grado di tradurre per la clientela business in modo preciso, sicuro e adattandosi al wording aziendale, si è lanciato nella missione di Textshuttle.
Ma, proiettandosi invece nel futuro, dobbiamo aspettarci una Supertext in cui l’artificiale renda superflui i traduttori in carne e ossa? «L’idea di una traduzione tecnica completamente automatica viene definita un “five-year problem” fin dagli anni Sessanta! E anche se siamo più vicini che mai, onestamente non credo che si
«Abbiamo sviluppato un Llm in grado di tradurre porzioni di testo più consistenti simultaneamente, garantendo la coerenza tra i documenti: un cambiamento radicale. Il segreto di un’Ia linguistica eccellente risiede in un processo di sviluppo che unisca esperti di entrambi gli ambitilinguistico e tecnologico»
Samuel Läubli, Ceo di Supertext
Messo alla prova da test alla cieca effettuati da traduttori professionisti, il sistema di traduzione automatica di Supertext risulta superiore a quello di DeepL quando si tiene conto della performance su testi non segmentati, grazie al Llm su cui si basa, in grado di sfruttare il contesto esteso dell’intero documento tradotto per garantirne la coerenza. Un salto avanti compiuto grazie alla sua capacità di innovazione e all’alleanza con esperti linguisti.
riuscirà a raggiungere il traguardo. Anche se una macchina fornisse una traduzione perfetta, non potrebbe assumersene la responsabilità - e in settori come i manuali per dispositivi medici, la responsabilità non è negoziabile. Non si può fare un processo in tribunale a un algoritmo. Quindi ritengo che gli esseri umani rimarranno coinvolti nel processo. Fatta questa premessa, il ruolo dei linguisti si sta evolvendo ogni giorno. Proprio come nello sviluppo dei software, dove ci sono ingegneri, Quality Assurance tester e manager, vedremo che gli esperti linguistici
si specializzeranno: alcuni di loro in fase di pre-editing come gestori dei dati, altri in fase di post-editing come revisori per il controllo qualità o editor», conclude il Ceo di Supertext.
La traduzione sembra dunque destinata a conservare una cifra analogica.
Ricordando che, malgrado l’impressionante mole di dati che oggi i Large language model possono introiettare, l’umorismo, l’ironia e i riferimenti impliciti continueranno a necessitare del tocco umano.
Chi traduce meglio?
Traduzione automatica DeepL vs Supertext
Fonte: Supertext, 2025
Plurilinguismo istituzionale
Se le capacità di R&D, la tradizione nelle relazioni diplomatiche e un’economia votata all’export pongono la Svizzera in posizione centrale - anche geograficamente - per dire la sua nel settore delle traduzioni, l’esperienza maturata è ancor prima interna per una nazione plurilingue, chiamata a tradurre nei tre idiomi ufficiali i testi delle Commissioni parlamentari, dell’Assemblea federale e i suoi comunicati stampa, laddove non anche in romancio e inglese. I servizi linguistici dell’Amministrazione federale comprendono i Servizi linguistici centrali della Cancelleria federale, quelli dei Dipartimenti e di singoli uffici federali. «A fine 2023, l’Amministrazione federale impiegava esperti linguistici per un totale di circa 357 posti a tempo pieno (per lo più traduttori, ma anche giurilinguisti, terminologi, esperti in tecnologie linguistiche), che in caso di sovraccarico o urgenza possono affidare mandati ad agenzie, traduttori freelance indipendenti o altri specialisti esterni, sempre però mantenendo la responsabilità finale dei testi prodotti», spiega Franco Fomasi, Capo della Divisione italiana dei Servizi
linguistici centrali della Cancelleria federale. La mole di lavoro è infatti più che rilevante, si calcoli ad esempio che nel 2023 sono state tradotte circa 313mila pagine fra tedesco, francese, italiano, romancio e inglese.
A seconda del livello di sicurezza di un documento, il traduttore è autorizzato a servirsi di determinate tecnologie linguistiche, secondo chiare regole stabilite per ogni servizio linguistico. Inoltre, il programma di formazione dell’Ufficio federale del personale prevede diversi corsi per i collaboratori e anche per i traduttori dei servizi linguistici, onde acquisire una buona conoscenza di questi strumenti, dei loro limiti e dei rischi che comportano. «Ad esempio, sebbene grammaticalmente corretti, i testi tradotti automaticamente possono contenere errori di senso, di sintassi, risultare poco accurati, innaturali o difficili da capire e non garantire la necessaria precisione e coerenza terminologica. Non sempre rispettano le sfumature linguistiche, contestuali, culturali e non riescono (perlomeno ancora) ad adattare il tono e lo stile del testo in base al pubblico di destinazione. Detto questo, bisogna anche considerare che la
Tecnologie linguistiche a Palazzo
All’interno dei Servizi linguistici centrali della Cancelleria federale esiste un’unità deputata, il Centro di competenze per le tecnologie linguistiche (Cctl), che si occupa dell’acquisizione, degli accessi e della gestione del ciclo di vita dello strumento di traduzione automatica (DeepL Pro), dello strumento di traduzione assistita al computer (Transit Nxt), del correttore specializzato (Antidote) e degli abbonamenti a dizionari online, come Duden, Devoto Oli, Sansoni o Grand Robert. Agli utenti offre supporto, formazioni e coaching. Inoltre osserva gli sviluppi sul mercato e si occupa dell’accertamento delle esigenze. «Per quanto riguarda lo sviluppo nell’ambito dei Llm e dell’Ia generativa, il Cctl studia i prodotti che arrivano sul mercato e, se necessario, li confronta con la soluzione acquistata dall’Amministrazione federale, utilizzando test standardizzati. Chiaramente analizziamo i nuovi prodotti anche dal punto di vista della sicurezza delle informazioni e della sicurezza informatica, confrontandoci regolarmente con i relativi esperti della CaF e di altre unità organizzative», spiega Monika Röthlisberger (in foto), Capo del Cctl. «I documenti sensibili non devono essere tradotti con strumenti nel cloud, indipendentemente dal fatto che i server si trovino in Svizzera o in Europa. Il Cctl sta attualmente valutando la necessità di un sistema di traduzione automatica interno all’Amministrazione», precisa Monika Röthlisberger. Il Cctl ha redatto un promemoria sull’uso di DeepL Pro per i collaboratori dell’Amministrazione federale; il Settore Trasformazione digitale e governance delle Ict ha elaborato una scheda informativa per gli strumenti di Gen-Ai e la Rete di competenze per l’intelligenza artificiale (Cnai) ha fatto lo stesso sui Llm.
trasposizione interlinguistica è soltanto una delle fasi che concorrono al processo di traduzione dei testi ufficiali (leggi, ordinanze, decreti, messaggi, rapporti, comunicati stampa ecc.). Essa comprende la valutazione critica del testo iniziale, l’esame della correttezza materiale e formale, la riformulazione, l’adeguamento del registro, la revisione, ecc.», osserva il Capo della Divisione italiana dei Servizi linguistici centrali, che è il più antico servizio linguistico della Cancelleria federale. La sua creazione è stata una delle tappe fondamentali di un lungo cammino, non solo per le sorti dell’italiano federale, ma per la cura del plurilinguismo in senso lato in quanto pegno dell’attenzione dello Stato verso l’uso ufficiale delle sue lingue. Una particolare sfida è destinata a porla la traduzione degli Accordi fra Svizzera e Unione Europea, dall’inglese alle altre 23 lingue ufficiali dell’Ue. I servizi linguistici delle due Parti contraenti lavoreranno congiuntamente. La Commissione Europea ha già dichiarato che si servirà anche dell’intelligenza artificiale, a garanzia dell’equivalenza dei testi. Cosa ne pensa Berna? «L’Ia non può garantire da sola l’equivalenza di testi di questa tipologia, né in realtà di altri. Tuttavia - ricorrendovi in modo mirato e avveduto - può contribuire al risultato sostenendo l’attività delle figure professionali implicate, siano traduttori, giurilinguisti, giuristi, specialisti. Questi professionisti, che sempre più spesso si trovano a lavorare sotto una pressione incredibile e con tempi strettissimi, svolgono una funzione di controllo indispensabile per garantire la necessaria accuratezza ed equivalenza dei testi plurilingue. Questo sarà probabilmente anche l’approccio della Commissione Europea. Un vero plurilinguismo istituzionale evita che ci siano lingue di serie A, con testi curati nei minimi dettagli e sottoposti a molteplici controlli, e lingue di serie B, con testi tradotti automaticamente e messi a disposizione senza ulteriori verifiche», conclude Franco Fomasi. Le sfide non mancheranno, visti i distinti regimi giuridici e le non rare divergenze terminologiche. Una bella palestra non solo per la diplomazia, ma anche per i servizi di traduzione, che promette di far incrementare notevolmente il numero di pagine tradotte a Palazzo federale.
Susanna Cattaneo
I nostri macro-errori
Lasciandosi ispirare dai più grandi sbagli commessi negli ultimi anni si dovrebbe avere il coraggio di voltare pagina, e seguire strade completamente diverse. Ma sarà così?
Due Premi Nobel sono intervenuti al Tedx Piazza Campo de Fiori, organizzato a Roma da Simona Sinesi, docente e autrice, lo scorso 22 febbraio. Il tema dell’incontro era “Macro Errori”, ovvero i grandi sbagli delle nostre vite.
Michael (Mike) Spence, economista e professore universitario statunitense, insignito del Premio Nobel per l’Economia nel 2001 (con Joseph Stiglitz e George Akerlof, per il loro lavoro sull’asimmetria dell’informazione) ha passato in rassegna i nodi dell’attualità, non risparmiando critiche a Trump. L’errore più grande degli ultimi 20-30 anni come comunità globale, secondo Spence, è stato quello di portare avanti globalizzazione e trasformazione tecnologica, modificando radicalmente società ed economia, e creando, allo stesso tempo, enormi scompensi. “I Governi e gli economisti sono stati lenti a capire e a reagire. Noi, mi viene da dire, mettendomi in questo gruppo di persone, siamo stati complici di quanto accaduto, e lo vediamo per esempio nei mutamenti climatici o nell’acuirsi delle diseguaglianze, e nella concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi”, sostiene Spence.
L’incertezza continua ancora oggi, con l’avvento di Trump, la cui agenda sembra essere in discontinuità con la precedente amministrazione, secondo il professore. Il fallimento può aprire alla speranza, sostenuta dalla tecnologia e dalla forza delle nuove generazioni. Sicuramente l’intelligenza artificiale può servire da volano di crescita, se messa nelle giuste mani. Le nuove generazioni possono sciogliere i nodi dell’oggi. “L’incertezza attorno all’Ia è sicuramente la fonte principale di tutte le preoccupazioni, più della tecnologia stessa. Il sospetto verso la tecnologia è
culturale. L’intelligenza artificiale deve aiutare e collaborare con l’umano”, continua Spence.
In un mondo dove il 10% delle persone controlla due terzi della ricchezza globale è davvero difficile avere una discussione pacata sulle urgenze della comunità internazionale. Le soluzioni non sono semplici. Spence sottolinea l’importanza dell’educazione, per esempio. È una combinazione di strategie. La stessa cosa vale per la sostenibilità. Non siamo al punto
«I macro-errori possono aiutare a ripensare anche un territorio sacro come la finanza, come mostra la teoria e, soprattutto, la pratica del suo modello. Yunus ha affrontato non poche resistenze, prima di raggiungere la meritata fama grazie al Premio Nobel. Ma il suo lavoro non è terminato. C’è ancora tanto da fare per dare a tutti accesso al credito»
di non ritorno, secondo il professore. Si può ancora invertire il corso della storia, ma per farlo c’è bisogno di tutte le menti e le energie disponibili. I fallimenti possono diventare l’agenda della prossima generazione di leader. Tutti i macro-errori commessi possono insegnare a costruire una società più giusta e sostenibile. Muhammad Yunus, economista e banchiere bengalese, diventato famoso per il suo lavoro pionieristico sul micro-credito, ha attaccato, senza mezzi termini, finanza e banche, ovvero l’intero sistema. Primo Ministro ad interim del Bangladesh, Yunus ha fondato la Grameen Bank nel
Francesco Pagano, azionista di Tokenance, Senior Partner di Jakala, Contributor de Il Sole 24 Ore.
1983, un istituto che offre prestiti non garantiti alle comunità rurali povere, con l’obiettivo di stimolare l’imprenditorialità e aiutare le persone a uscire dalla povertà, aprendo il credito soprattutto alle donne. Per i suoi sforzi nella lotta contro la povertà, Yunus ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2006. La domanda qui è: di chi è la colpa dei macro-errori della finanza? Le donne povere, e non è colpa loro, non hanno accesso al credito, perché povere. Le banche seguono le regole e non danno denaro senza garanzie, per non compromettere gli interessi degli azionisti. Tutti hanno ragione, perché “il sistema era sbagliato. Abbiamo fallito. Abbiamo disegnato la finanza nella maniera errata. Le banche dovrebbero essere istituite attorno alle persone. La domanda è stata: come faccio a mettere a punto un sistema a misura della mia comunità, e non viceversa?”, chiede Yunus. Per risolvere molti nodi, ammette Yunus, occorre “andare nella direzione opposta a quella percorsa fino a ora. Dobbiamo costruire un mondo inclusivo”.
I macro-errori possono aiutare a ripensare anche un territorio sacro come la finanza, come mostra la teoria e, soprattutto, la pratica del suo modello. Yunus ha affrontato non poche resistenze, prima di raggiungere la meritata fama grazie al Premio Nobel. Ma il suo lavoro non è terminato. C’è ancora tanto da fare per dare a tutti accesso a credito e risorse. “Basta davvero poco. Possiamo rendere il nostro mondo una casa meravigliosa per tutti, un micro-prestito alla volta”, chiude Yunus.
Il racconto di marca
Nonostante l’Ia possa prendersi in carico sempre più funzioni, come la realizzazione grafica di un logo, la componente più importante rimane la narrazione, umana, della sua storia.
L’intelligenza artificiale sta ridefinendo il panorama della comunicazione e del graphic design. Processi che un tempo richiedevano competenze tecniche e artistiche avanzate sono oggi accessibili con pochi clic. La creazione di loghi ne è un esempio emblematico: ciò che un tempo necessitava di disegno manuale e software grafici, oggi può essere generato istantaneamente da strumenti automatizzati. Il futuro è chiaro. In pochi mesi, attività come la produzione di loghi potranno essere delegate interamente all’Ia.
Ma la vera questione non è la capacità di elaborare una forma grafica. Il valore di un brand non risiede nella mera estetica del suo logo, ma nella storia che esso racconta, nei significati che incarna e nella connessione emotiva che instaura con il pubblico. È qui che emerge il ruolo insostituibile del professionista della comunicazione e del branding. La tecnologia può generare forme, ma solo un pensiero strategico può dare loro un senso.
Un esempio concreto chiarisce il punto. Il logo di Ander Group, in una sua componente, presenta una somiglianza con quello di un noto brand di attrezzatura tecnica italiano. È plagio? Assolutamente no. Il nostro simbolo è il risultato di
«Il futuro del design non è l’automazione cieca, ma l’integrazione tra tecnologia e strategia. Gli strumenti digitali velocizzano i processi, ma il valore risiede nella strategia e nella narrazione di marca. In un’epoca in cui tutto sembra già visto, il designer sarà sempre meno autore e sempre più curatore. Saprà riconoscere cosa funziona, cosa è coerente, cosa va scartato. E soprattutto saprà fare domande»
una riflessione strategica: rappresenta la crescita e l’ottimizzazione continua, supportate da HubSpot, lo strumento con cui misuriamo il progresso delle aziende che si affidano a noi. Non ha nulla a che vedere con sci e scarponi da montagna. Questo dimostra come il design non sia solo una questione di linee e colori, ma di significato e posizionamento. Oggi assistiamo a una saturazione visiva senza precedenti. La tecnologia consente di generare una quantità infinita di loghi, pattern e identità visive, spesso con risultati sorprendentemente simili tra loro.
L’originalità formale è sempre più difficile da ottenere. L’intelligenza artificiale ha abbattuto le barriere all’output, ma ha anche generato una convergenza pericolosa. Pattern visivi simili, palette sempre uguali, layout prevedibili.
La strategia è ciò che impedisce al brand di essere confuso con altri mille. In questo contesto, il vero differenziale non è la forma, quanto invece il contenuto: ciò che sta dietro un’identità visiva, il pensiero strategico che la plasma e il racconto che essa veicola.
Un logo efficace non è solo un segno grafico, ma un dispositivo narrativo. È l’emblema di una storia aziendale, un manifesto sintetico dei valori del brand. Il design non è fine a sé stesso, ma uno strumento di posizionamento e differenziazione.
L’intelligenza artificiale può generare infinite varianti di un logo. Tuttavia, non può creare un’identità che emozioni il pubblico. Questo resta una prerogativa del branding strategico (e umano).
Il futuro del design non è l’automazione cieca, ma l’integrazione tra tecnologia e strategia. Gli strumenti digitali velocizzano i processi, ma il valore risiede nella strategia e nella narrazione di marca.
In un’epoca in cui tutto sembra già visto, il designer sarà sempre meno autore e sempre più curatore. Saprà riconoscere cosa funziona, cosa è coerente, cosa va scartato.
E, più di tutto, saprà fare domande. Perché una buona identità visiva non nasce da risposte automatiche, ma da riflessioni complesse.
Florian Anderhub, fondatore e Chief Vision Officer di Ander Group.
*Termini e Condizioni applicabili. Maggiori informaioni su www.alpian.com/it/campaign-terms-of-use/
Il gioiello svizzero
La quantum technology nei prossimi anni arriverà ad avere un ruolo chiave in moltissimi ambiti applicativi dell’Ia. Si trova a Ginevra un campione emergente del segmento.
Le comunicazioni quantistiche sono un settore da monitorare con estrema attenzione. Si tratta infatti di quelle tecnologie che utilizzano i principi della meccanica quantistica per trasmettere e ricevere dati. In buona sintesi sono innovazioni fondamentali per i ‘super-computer’ del futuro, che a loro volta potranno consentire, tra le altre cose, nuove applicazioni nel campo dell’Intelligenza Artificiale.
McKinsey ha previsto che il mercato totale delle comunicazioni quantistiche, valutato nel 2023 a circa 1 miliardo di dollari, crescerà con un Cagr del 23-25% fino al 2035, arrivando potenzialmente a sfiorare i 14,9 miliardi.
In questo settore, si è messa recentemente in mostra la statunitense IonQ, che ha annunciato un accordo definitivo per rilevare da Sk Telecom una quota di controllo di Id Quantique (Idq). Si tratta di un’azienda leader globale nel networking quantistico e nella sensoristica, con sede a Ginevra e uffici in Corea del Sud (Seoul), Austria (Vienna) e Usa (Boston).
Parallelamente, IonQ prevede di avviare in tempi celeri una partnership strategica con Sk Telecom, il più grande operatore di telecomunicazioni wireless della Corea del Sud.
Una volta completata l’acquisizione, che richiederà diversi mesi, il Gruppo americano potrà contare sul team di Idq, i suoi prodotti all’avanguardia e quasi 300 brevetti e domande di brevetto. Una mossa che porterà a oltre 900 il numero totale di brevetti concessi e in attesa di approvazione di IonQ.
“Questa operazione strategica, insieme all’esperienza di Id Quantique, rafforza il nostro ruolo come leader globale nelle comunicazioni sicure di nuova genera-
zione” ha commentato Peter Chapman, Executive Chair del gruppo americano, “Una volta finalizzata, prevediamo che la nostra partnership strategica con Sk Telecom, una delle aziende tecnologiche più influenti in Asia, accelererà significativamente la distribuzione della nostra tecnologia quantistica, creando numerose opportunità commerciali e tecniche”.
Mentre Grégoire Ribordy, co-fondatore e Ceo di Idq, ha detto che la società porterà avanti la “missione di fornire
«In questo settore, si è messa recentemente in mostra la statunitense IonQ, che ha annunciato un accordo definitivo per rilevare da Sk Telecom una quota di controllo di Id Quantique, un’azienda leader globale nel networking quantistico e nella sensoristica, con sede a Ginevra e uffici in Corea del Sud, Austria e Stati Uniti»
tecnologia di rete quantistica a livello globale. IonQ è stata una vera e propria pioniera nel settore quantistico e la combinazione tra le nostre aziende sarà potente e impattante a livello mondiale”.
Le reti quantistiche saranno sempre più un’infrastruttura chiave, con applicazioni cruciali in settori decisivi, come difesa, finanza ed energia. Garantendo, per esempio, comunicazioni altamente sicure e calcolo quantistico avanzato.
Ad oggi, IonQ è specializzata nel quantum computing, sviluppando sistemi ad alte prestazioni per applicazioni com -
Alessandro Beggio, Ceo e fondatore di Vector Wealth Management.
merciali e di ricerca. Con Id Quantique si potenzierà soprattutto nelle soluzioni di crittografia quantistica sicura, già utilizzate da Governi, imprese e organizzazioni in oltre 60 Paesi.
Il 2024 è stato un anno d’oro per IonQ. Il gruppo ha infatti registrato un fatturato di 43,1 milioni di dollari, superando la fascia alta della guidance precedentemente annunciata di 38,5-42,5 milioni. L’equivalente di una crescita annua del 95% rispetto ai 22 milioni dell’anno precedente.
I prossimi 12 mesi saranno cruciali per capire come si evolverà il business, soprattutto considerando che i tech americani sono sotto pressione per la concorrenza cinese. Ma con le nuove ‘competenze svizzere’ di Idq, il Gruppo statunitense punta a sbaragliare i competitor.
Tra i progetti più interessanti a cui partecipa la società basata a Ginevra, per esempio, c’è l’Ariane 6, il nuovo e potente razzo vettore europeo che sfida SpaceX e che, a marzo, ha completato con successo il volo VA263 dal Centro Spaziale della Guyana, mettendo in orbita il satellite Cso-3 per le Forze Armate francesi.
Idq è coinvolta nel programma dal 2017, in particolare per sviluppare un’apparecchiatura di test a terra personalizzata e ad alte prestazioni, in grado di eseguire il monitoraggio dell’integrità e delle prestazioni dell’intera rete in fibra ottica del sistema di controllo. Si tratta di un cosiddetto “pyrotechnic control system”, appunto un sistema di comando e controllo basato su fibre ottiche, che offre prestazioni elevate e un significativo risparmio sui costi.
LEADER SAPIENS
Combinando tecniche di recupero di informazioni e modelli linguistici evoluti, l’Ai avanzata abilita una nuova modalità di interazione con la knowledge base aziendale: semplice, affidabile e in grado di fornire insight immediati per attivarsi con azioni basate su analisi avanzate.
Agenti Ai, missione conoscenza
Nel panorama attuale, l’accesso rapido e preciso alle informazioni rappresenta il game changer per ottimizzare i processi aziendali. In un simile ecosistema, la crescente complessità e mole di dati eterogenei rappresentano sfide significative. Le aziende si trovano spesso a dover gestire un’enorme quantità di documenti in formati diversi, come pdf, e-mail, fogli di calcolo e report. La frammentazione delle informazioni e la difficoltà di accedervi rapidamente generano inefficienze e frustrazione.
Con un approccio avanzato e interattivo, gli agenti di Ai generativa possono trasformare queste difficoltà in opportunità, offrendo un’esperienza che supera i limiti dei sistemi tradizionali di gestione delle informazioni.
Uomo e informazione
Non si tratta solo di uno strumento tecnologico avanzato, ma di un vero e proprio ponte tra l’informazione dispersa e il bisogno umano di conoscenza contestualizzata e accessibile. La sua importanza risiede non soltanto nelle capacità ope-
rative, ma anche nell’impatto che questa tecnologia porta con sé, ridefinendo il rapporto tra uomo e informazione.
Da sempre, l’essere umano ha cercato di rendere più efficiente il processo di estrazione delle informazioni. Questo desiderio è stato al centro dell’evoluzione culturale, ma l’odierna complessità dei dati - la loro vastità, eterogeneità e disorganizzazione - richiede un approccio nuovo. L’intelligenza artificiale generativa risponde a questa necessità, offrendo la possibilità di dialogare con la conoscenza come si farebbe con un compagno di lavoro ideale: erudito, rapido e particolarmente competente.
Edward de Bono, padre del pensiero laterale, ricorda che spesso la soluzione a un problema non è lineare ma richiede di “pensare fuori dagli schemi”. Gli agenti di Ai possono fungere da facilitatori: invece di limitarsi a rispondere alle query tradizionali, suggeriscono alternative, espandono le prospettive e abilitano approcci non convenzionali. Ad esempio, nei contesti aziendali, un agente Ai che gestisce una knowledge base può proporre soluzioni innovative per migliorare i processi
interni, combinando dati storici, trend del settore e analisi predittive.
Le knowledge base statiche del passato, spesso inaccessibili o frammentate, stanno lasciando il posto quindi a interfacce conversazionali, dove gli agenti Ai dialogano con gli utenti, apprendendo dalle interazioni per migliorarsi costantemente. Questo approccio non solo democratizza l’accesso alla conoscenza, ma trasforma anche il modo in cui le persone interagiscono con i dati.
Le tecnologie e gli strumenti Tecnologie come il Retrieval-Augmented Generation (Rag) rappresentano un esempio paradigmatico di come sia possibile combinare tecniche di recupero di informazioni avanzate con modelli di generazione del linguaggio naturale. Questo approccio consente non solo di trovare informazioni pertinenti da fonti disparate, ma anche di integrarle in risposte coerenti e contestualizzate, elevando il valore delle interazioni digitali.
Non è più necessario adattarsi ai rigidi percorsi dei chatbot tradizionali o navigare interminabili archivi. Con l’Ai gene-
rativa, l’accesso all’informazione diventa fluido, intuitivo, persino conversazionale. Questo non solo migliora l’efficienza operativa, ma democratizza la conoscenza: chiunque, indipendentemente dal proprio ruolo o livello di competenza tecnica, può accedere e utilizzare informazioni complesse senza barriere.
Tuttavia, l’importanza dell’Ai generativa non si esaurisce nell’ambito tecnico. Solleva questioni più ampie sul valore della conoscenza, sulla memoria collettiva e sul nostro rapporto con la tecnologia. Se un tempo la ricerca dell’informazione era un atto di scoperta e apprendimento, oggi si trasforma in una relazione collaborativa con un’entità che non solo ci assiste, ma ci arricchisce. L’intelligenza artificiale diventa, in un certo senso, un’estensione del pensiero umano, capace di offrire nuove prospettive e suggerire connessioni inaspettate.
Questa sinergia tra uomo e macchina apre la strada a una nuova etica della conoscenza. Come garantire che l’informazione sia sempre affidabile? Come preservare la trasparenza in un mondo in cui i dati sono generati e rielaborati da entità non umane? La risposta sta nella capacità di progettare sistemi che non solo rispondano alle domande, ma che facciano della trasparenza e della verifica delle fonti un loro pilastro fondamentale. La Gen-Ai non è solo uno strumento di efficienza, ma un modello di fiducia e responsabilità.
Intelligenza che amplifica la conoscenza
Come suggerisce Douglas Hofstadter, autore di Gödel, Escher, Bach, l’intelligenza non è solo la capacità di processare dati, ma di cogliere pattern, creare connessioni inaspettate e navigare tra i livelli di astrazione. Gli agenti di Ai incarnano questa visione: dotati di algoritmi avanzati di machine learning e di Natural language processing (Nlp), sono in grado di correlare informazioni apparentemente scollegate, offrendo insight che spesso sfuggono anche agli esperti più acuti.
«L’Ai generativa è un cambiamento di paradigma. Invita a ripensare il ruolo della conoscenza e il modo in cui ci relazioniamo con essa. Rappresenta una nuova forma di collaborazione tra l’uomo e la macchina, una ‘relazione’ continua tra il sapere e l’essere, in cui l’informazione non è solo accessibile, ma viva, dinamica e profondamente umana»
Angela Sebastianelli, Head of Marketing StrategyData Science Var Group
Le applicazioni concrete
Il contraltare operativo di un nuovo accesso alle informazioni critiche istantaneo impatta già oggi i processi decisionali in vari settori. Alcuni esempi emblematici.
Il supporto IT democratizzato
In un ecosistema IT complesso, i team di supporto si trovavano sommersi da richieste ricorrenti e problemi di gestione delle informazioni. Grazie a questo tipo di agenti Ai, i provider possono creare un sistema in grado di autocategorizzare i ticket, identificare temi ricorrenti e notificare criticità. Il risultato? Una riduzione drastica del carico di lavoro e una maggiore proattività nei processi operativi.
Comunicazioni critiche in tempo reale
Nel settore del trading online, le Fintech possono adottare agenti conversazionali per inviare notifiche in tempo reale su eventi significativi, come stop loss o oscillazioni di mercato, ai propri investitori. Parallelamente, gli utenti possono interrogare il sistema per comprendere l’impatto sui loro portafogli. Un esempio di efficienza e personalizzazione nella comunicazione finanziaria.
Snellire la regolamentazione farmaceutica
Le società di consulenza nel settore farmaceutico affrontano la sfida della gestione di complessi documenti regolatori. L’Ai rende possibile analizzare, sintetizzare e creare report regolatori in pochi secondi, ottimizzando i tempi di presentazione e accesso al mercato.
Supporto alla decisione nei processi produttivi
In un’azienda manifatturiera che ha integrato un agente di Gen-Ai nel proprio sistema Product Lifecycle Management (Plm), quando un ingegnere chiede: “Quali sono i fornitori con il miglior rapporto qualità/prezzo per il componente X?”, l’Ai analizza dati relativi a fornitori, performance storiche, recensioni e perfino alle condizioni contrattuali, restituendo una risposta dettagliata che include un confronto grafico e raccomandazioni basate su parametri specifici.
Creazione di campagne marketing altamente personalizzate
Un’azienda del settore retail, ad esempio, ha adottato questa tecnologia per analizzare dati demografici e comportamentali dei clienti e generare e-mail promozionali su misura. Grazie a questo approccio, è riuscita a migliorare il tasso di conversione del 20%, un risultato che sarebbe stato difficilmente raggiungibile con metodologie tradizionali.
Dinamiche sotto la lente
Le mosse della Banca Nazionale Svizzera continuano a dimostrarsi un delicato equilibrio di prudente determinazione, e i numeri sembrano darle ragione.
Le catene di fornitura
Aziende che hanno evidenziato difficoltà negli approvvigionamenti (% tot.)
Fabio Bossi, delegato della Banca Nazionale Svizzera per la Svizzera italiana. A lato, l’analisi congiunturale condotta dall’istituto.
minazione all’aumento dell’inflazione. Cosicché, dopo aver consapevolmente consentito un apprezzamento del franco, dal giugno 2022 il tasso guida era stato innalzato e corretto verso l’alto a più riprese fino all’1,75% nel giugno 2023. Dalla seconda metà del 2022 sino a dicembre 2023 la Bns aveva pure venduto valuta estera per generare un ulteriore apprezzamento del franco.
In occasione dell’esame trimestrale dello scorso 20 marzo, la Bns ha deciso di abbassare il proprio tasso guida di 0,25 punti percentuali allo 0,25%. L’adeguamento è avvenuto in un contesto di accresciuta incertezza, che scaturisce da tensioni di natura geopolitica e commerciale, che potrebbero gravare sensibilmente sia sul commercio globale che sull’economia nazionale. Anche le prospettive per l’inflazione in Svizzera sono attualmente molto incerte. Il taglio del tasso guida assicura che le condizioni monetarie restino appropriate, alla luce della debole pressione inflazionistica e degli accresciuti rischi al ribasso. Quest’ultima ha di recente mostrato un’evoluzione in linea con le aspettative, scendendo dallo 0,7% in novembre allo 0,3 in febbraio. Per far sì che a medio termine si mantenga nell’area di stabilità dei prezzi, che viene assimilata a un tasso compreso fra lo 0 e il 2%, la Bns ha assicurato che continuerà ad osservare attentamente la situazione e, se necessario, adeguerà la politica monetaria. Agendo all’occorrenza anche sul mercato dei cambi.
Un contributo all’osservazione dell’andamento congiunturale viene anche dal lavoro dei delegati della Bns, che hanno la possibilità di captare in tempi rapidi i segnali di cambiamento, grazie a colloqui regolari con dirigenti aziendali. Negli ultimi anni è per esempio stato possibile ottenere informazioni di prima mano sulle difficoltà scaturite nel periodo post pandemico a seguito della rottura delle catene di approvvigionamento.
Nel 2021 una forte domanda di beni si era infatti trovata confrontata a un’offerta ridotta e a grossi problemi di approvvigionamento, che hanno portato a un’impennata dell’inflazione. La guerra in Ucraina aveva poi dato un ulteriore impulso ai prezzi dell’energia, già precedentemente aumentati. Al tempo stesso gli imprenditori avevano segnalato di essere in grado di imporre aumenti di prezzo con maggiore facilità rispetto al passato. La Bns si era quindi resa conto che l’inflazione non era più soltanto dovuta a fattori temporanei e legati all’offerta.
Questa constatazione aveva contribuito alla sua decisione di reagire con deter-
Con l’inasprimento preventivo della politica monetaria, si era potuto limitare gli effetti secondari che rischiavano di mettere in moto una spirale inflazionistica il cui sradicamento può essere lento e penoso. Il tasso guida era poi rimasto invariato sino a marzo 2024. Successivamente è stato ridotto a ogni esame trimestrale, sullo sfondo di un prolungato calo della pressione inflazionistica.
Nel primo trimestre di quest’anno gli imprenditori descrivono come difficilmente valutabili le conseguenze della politica commerciale del nuovo Governo degli Stati Uniti, anche perché al momento dell’inchiesta non era ancora nota la sua esatta impostazione. Nel frattempo, è noto che anche la Svizzera è confrontata a un forte aumento dei dazi. Resta però una grossa incertezza in merito ai possibili effetti che queste misure avranno sull’andamento della domanda e dei prezzi, sulle catene di approvvigionamento, e sulle decisioni d’investimento. Questi fenomeni saranno quindi tenuti sotto stretta osservazione anche dai delegati a supporto delle future decisioni della Bns.
Fonte: Banca Nazionale Svizzera
Attivare la liquidità
La strategia European Covered Bond Opportunities di Nordea rappresenta un’interessante alternativa d’investimento nell’attuale delicata fase di mercato.
Nel contesto finanziario attuale, caratterizzato da una diminuzione dei tassi di interesse, i clienti conservativi con depositi in scadenza o investimenti a basso rischio si trovano a un bivio. Possono rimanere nelle acque più prudenti degli investimenti a basso rendimento oppure lanciare la loro rete più al largo per ottenere rendimenti più elevati. Gli investitori più avversi al rischio tendono a privilegiare la protezione del capitale rispetto alla crescita, optando per strumenti finanziari più sicuri come depositi a termine, strumenti del mercato monetario e simili. Negli ultimi due anni, questa strategia si è rivelata efficace grazie a tassi di interesse sufficientemente elevati da contrastare l’inflazione.
Tuttavia, questo raro scenario ideale sta volgendo al termine. I tassi di interesse sono in calo, mentre l’inflazione continua a erodere significativamente i rendimenti reali di questi investimenti. Con tassi sui depositi previsti inferiori al 2% entro la metà del 2025, gli investitori conservativi dovrebbero attivare la propria liquidità e considerare nuove opportunità in grado di contrastare l’inflazione senza modificare significativamente il loro profilo di rischio.
Il potere dell’allocazione dinamica nelle obbligazioni di alta qualità.
La strategia European Covered Bond Opportunities di Nordea rappresenta una soluzione innovativa, progettata specificamente per gli investitori prudenti che cercano di aumentare i rendimenti mantenendo un elevato livello di sicurezza.
Questo obiettivo viene raggiunto attraverso una selezione dinamica e un’allocazione strategica in un universo di titoli a reddito fisso di alta qualità, tra cui obbligazioni governative e covered bond di elevato standing. L’approccio di gestione dinamica mira
Fabio Ferra, Sales Director di Nordea Asset Management Switzerland.
a garantire che questa solida base non sia ottenuta a scapito dei rendimenti, rendendo la strategia una soluzione intelligente per attivare la liquidità.
Una strategia efficace dal 2019. Dalla sua nascita nel 2019, la strategia ha generato rendimenti assoluti positivi e ha dimostrato la propria efficacia anche in condizioni di mercato difficili. Ad esempio nel 2022, la strategia European Covered Bond Opportunities (ECVBO) è riuscita a distinguersi registrando un rendimento positivo del 2,77%. Questo risultato ha superato le performance delle obbligazioni governative europee, che hanno subito perdite significative, e dei conti deposito, i cui rendimenti sono rimasti appena sopra lo zero.
Un approccio più ‘smart’ al reddito fisso. Ciò che distingue questa soluzione è il focus su fattori specifici delle obbligazioni piuttosto che sulle tendenze macroeconomiche generali. La strategia adotta un approccio non vincolato all’interno di un mercato del
reddito fisso inefficiente e segmentato, sfruttando possibili arbitraggi. Limitando la duration e concentrandosi su caratteristiche uniche dei singoli titoli di alta qualità, la strategia mira a generare alpha e a sovraperformare costantemente i tassi dei depositi, anche in condizioni di mercato sfidanti. Questo la rende interessante sia per gli investitori che stanno valutando un investimento obbligazionario, sia per quelli che hanno già un’esposizione in questo segmento. Tale approccio distintivo può inoltre integrare le allocazioni obbligazionarie tradizionali, migliorando potenzialmente la resilienza complessiva del portafoglio.
Un team di esperti all’opera. Alla base della strategia c’è il team premiato di Fixed Income Rates di Nordea. Con oltre 15 anni di collaborazione e più di 40 miliardi di euro in gestione attraverso un’ampia gamma di strategie obbligazionarie, il team sfrutta la propria esperienza per individuare opportunità di rendimento aggiuntivo.
È il momento attivarsi. È il momento di pescare rendimenti più smart! Oltre 1.000 miliardi di euro di depositi andranno a scadenza nel 2025 e dovranno essere reinvestiti.
Per gli investitori alla ricerca di soluzioni per attivare la propria liquidità, la strategia European Covered Bond Opportunities di Nordea rappresenta uno strumento efficace e sofisticato all’interno dell’universo del reddito fisso. È un’opportunità per generare rendimenti potenzialmente più elevati, mantenendo al contempo una solida base di investimenti di alta qualità.
Per informazioni:
Si vince solo nel lungo periodo
Ad avere particolarmente segnato gli equilibri dell’industria della finanza negli ultimi anni il diffondersi dei prodotti passivi ricopre un ruolo principe, seppur non unico. Qual è la strategia di uno degli attori chiave del mercato, e quali i progetti per la Piazza elvetica?
Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Nonostante le origini del proverbio non siano delle più note, è certamente rappresentativo di molte tendenze che accomunano mercati e settori tra loro molto distanti. L’industria della finanza non costituisce eccezione, e altrettanto frequente consuetudine è che il mercato matura nel tempo degli ‘anticorpi’ per contrastare tendenze che, a detta di clienti e consumatori, sono ‘sfuggite di mano’, cadendo in eccessi. La velocità con cui questo avviene è di solito proporzionale alla magnitudo di tali eccessi.
Il dibattito sulle diverse possibili tipologie di Gestione di un portafoglio d’investimento sono ormai decenni che prosegue, come si conviene la discussione è particolarmente calda e i toni accesi, ma nonostante le proteste la rotta è ormai tracciata, con le preferenze di molti investitori sempre più polarizzate. I dati del resto non mentono: a fine 2023 - un anno dai risultati straordinari - di ripresa (che è poi proseguita) da un 2022 piuttosto tragico, i fondi azionari passivi globali avevano sfondato i 15 trilioni di dollari di AuM, superando per la prima volta quelli gestiti attivamente, ‘fermi’ a 14,3. Un risultato straordinario soprattutto in prospettiva, se si considera che ancora nel 2012, il rapporto era di 3 trilioni a 8,4.
Numeri però tutto considerato trascurabili, e limitati a un’unica seppur importante asset class, da meglio contestualizzarsi rispetto a equilibri aggregati ancora molto distanti. A fronte di un AuM globale atteso a fine 2025 di 145,4 trilioni di dollari, secondo recenti stime di PwC, 87,6 sono ancora gestiti attivamente, contro un ragguardevole 36,6 di passivi, dunque un 60% contro 40.
Alle origini. Se però oggi gli investimenti passivi sono una ‘famiglia’ numerosa e ben diversificata, che gode di una significativa reputazione, come nascono e da dove arrivano è tutta un’altra storia. «Festeggiamo quest’anno i nostri primi cinquant’anni di storia da quando, nel 1975, John Bogle con il ‘Vanguard Experiment’ segnò una pietra miliare nell’evoluzione dell’industria finanziaria. L’idea rivoluzionaria fu di lanciare, solo un anno dopo, il primo fondo d’investimento indicizzato allo S&P 500, aperto anche agli investitori privati, che acquistavano una quota della cooperativa Vanguard, diventandone così anche proprietari. La mission era del resto semplice ma altrettanto insolita: fornire a chiunque fosse interessato le migliori possibilità di successo, dunque prodotti a basso costo, totalmente trasparenti e in assenza di conflitti d’interesse», esordisce così Roger Bootz, responsabile Svizzera e Liechtenstein di Vanguard.
L’onda lunga dei prodotti passivi nei portafogli d’investimento.
Un obiettivo dunque chiaro sin dal principio, che voleva essere raggiunto senza che si dovesse scendere a compromessi. «Il mercato americano dell’epoca era in mano a pochi gestori attivi, i costi della cui attività erano significativi. Ancor prima delle commissioni, il problema erano i costi e Bogle voleva fornire anche agli investitori retail un’importante esposizione al mercato azionario americano, a basso costo, così da metterli nelle stesse condizioni degli investitori più sofisticati. Seppur pubblicizzata anche fuori, sino agli anni Novanta l’offerta rimase concentrata sul Nord America, riscuotendo un apprezzabile successo, per poi arrivare, in pochi anni, anche nel resto del mondo», prosegue il responsabile.
A distanza di mezzo secolo, la situazione non sembra essere particolarmente cambiata, bene o male che sia. «Lo si definisce in gergo Vanguard effect, è la tendenza ribassista che solitamente si registra a livello di costi di gestione dopo il nostro annuncio di voler entrare in un mercato specifico. Ancora oggi rimane essenzialmente un problema di concorrenza, in questo caso a danno dei piccoli investitori che vedono spesso vanificati i rendimenti
Il primo Etf obbligazionario consente l’esposizione a una nuova asset class
Vanguard sbarca in Svizzera
Lancio del primo fondo comune indicizzato allo S&P 500 aperto a tutti
Viene fondata la cooperativa Vanguard negli Stati Uniti da John C. Bogle
dei propri investimenti. Si parla spesso di ‘attivo vs. passivo’, di guerra dei prezzi e scontro, in realtà è soltanto ‘costoso vs. economico’. Quello che noi facciamo è democratizzare l’accesso al mercato; con i nostri prodotti forniamo agli investitori la libertà di poter scegliere a loro esclusivo vantaggio; cosa poi scelgano di fare non dipende da noi», riflette Bootz. I vantaggi. Altrettanto spesso si finisce con l’agitare i sostanziali effetti negativi che l’eccessivo aumento della quota di mercato dei passivi potrebbe avere. Ma dove sta la verità? «In termini assoluti un prodotto finanziario non può essere né positivo né negativo, dipende dall’uso che se ne fa, ma in ogni caso vedo solo aspetti positivi per gli investitori. Al di là del fatto che la nostra ricerca non è riuscita a evidenziare alcuna correlazione tra aumento dei passivi e ad esempio l’aumento della volatilità o la distorsione dei prezzi, i nostri principali acquirenti in Europa rimangono i professionisti, dunque banche e indipendenti, che li impiegano in fondi o mandati discrezionali. Sarebbe però sbagliato parlare di un ‘mercato europeo’, in quanto ogni Stato fa storia a parte; se la Germania è quello più profondo, in Svizzera sino all’anno scorso non era possibile sottoscrivere piani di risparmio in Etf per la clientela retail. Grazie a un accordo stretto con Swissquote e PostFinance, è ora possibile», evidenzia il responsabile Svizzera e Liechtenstein di Vanguard.
Come spesso accade in Europa, a prevalere su normative spesso comuni sono le peculiarità e le abitudini delle popolazioni. «Questa tipologia di piani di risparmio, che consente di investire piccole somme in maniera ricorrente, senza sopportare costi esorbitanti, è molto recente in Svizzera, ma in Germania vale già 168 miliardi di euro. Questo può essere ricondotto all’estrema sofisticazione che i fondi pensione elvetici, e il sistema previdenziale, hanno già raggiunto, diversamente dagli altri Paesi europei, che ne ha quindi sgonfiato la domanda. Anche a livello di portafoglio, i retail in Svizzera sono timidi rispetto agli Etf, tanto che si stima che, nel 2019, di tutti i patrimoni gestiti nel Paese meno del 27% era allocato su prodotti passivi. Nel 2024 si è giunti al 31% e ci aspettiamo che la dinamica continui anche in futuro, trainata dalla crescente attenzione verso i costi e alla trasparenza, sia da parte degli investitori privati che di quelli professionali», sintetizza Bootz.
«Siamo trasparenti, e privi di conflitti d’interesse, siamo una cooperativa. Dalla nostra abbiamo il tempo, e i numeri ci stanno dando ragione; Vanguard non offre solo prodotti d’investimento per il lungo periodo, è la società stessa a vivere guardando avanti, come avrebbe voluto il suo fondatore»
Roger Bootz, Responsabile Svizzera e Liechtenstein di Vanguard
La differenza tra passivi e attivi N. di fondi quotati e % di quelli attivi con alpha
Assett Class N. di fondi 2018 2022 Almeno 2 volte in 5 anni (‘18-’22)
Fonte: Bloomberg, 2024
Flussi e deflussi nell’azionario
Raccolta netta globale trimestrale per prodotto dal 2021 (mld usd)
Alla radice di tutto una semplice ma intricatissima motivazione: scarsa alfabetizzazione finanziaria. Almeno al di fuori delle ristrette cerchie degli ‘addetti ai lavori’ del settore. «Diversamente dal caso degli americani, per i quali è una preoccupazione fondamentale sin da quando si firma il primo contratto di lavoro, i cittadini del Vecchio Continente si sono interrogati di meno sulla loro pensione.
Sovraperformare il mercato rimane un affare complesso, soprattutto se si considera la sfida al netto dei costi di gestione dell’investimento. Non è sufficiente battere l’indice di riferimento per un anno, ma consecutivamente nel tempo, difendendo le posizioni. A patto di contenere i costi un primo passo importante è stato già fatto.
Fonte: Berenberg 2025
Etf azionari ■ Fondi azionari attivi
La corsa dei prodotti passivi
Evoluzione dell’AuM globale dei prodotti passivi per segmento (trl usd)
L’incidenza dei costi di gestione
Investimento iniziale di 100k a 30 anni con 6% Cagr
Gli investitori apprezzano sempre di più i passivi per i bassissimi costi di gestione, considerata l’incidenza che hanno nel lungo periodo.
Lo Stato avrebbe garantito e provveduto, come promesso. Solo di recente qualcosa è cambiato. Mediamente gli europei ignorano anche le più basilari nozioni in ambito finanziario, si lasciano ciclicamente prendere dall’entusiasmo, si scottano le dita come negli anni Novanta con il titolo Telekom, o più di recente con Wirecard, ed escono dal mercato. Molti si domandano ora, in ritardo, come mantenere il precedente tenore di vita, dopo essersi fidati troppo delle promesse della Politica; ma il problema rimane l’alfabetizzazione media delle persone», nota il responsabile. Del resto allorquando non c’è la necessità, non si acuisce l’ingegno, dunque non si sollevano nemmeno domande potenzialmente scomode, o l’interesse. «Negli Stati Uniti le persone devono decidere dove e come investire il proprio fondo
pensione, il famigerato piano 401k, e devono farlo per legge. In Europa si può scegliere di non investire nulla, come spesso avviene, lasciando ai sistemi nazionali provvedere per come potranno, in assenza anche di qualunque forma di armonizzazione tra Paesi. Su un orizzonte di trent’anni, il nemico di un investitore sono i costi di gestione, a prescindere dalle difficoltà di trovare un gestore attivo che riesca a sovraperformare sistematicamente il mercato. Ma qual è il costo medio di gestione del proprio portafoglio? Lo abbiamo chiesto a cittadini italiani, inglesi e tedeschi. Se nel Regno Unito includendo la consulenza finanziaria, i costi vengono stimati a circa 180 punti base, più di quanto siano in realtà (165 bp), in Germania, si stimava un costo massimo di 161 bp, anche se in realtà era pari a 235 bp. Un dato che dice molto di quanto le persone siano informate», rileva Bootz. Perché. Fermo restando che il costo non sia comunque tutto, l’attenzione si sposta anche sui prodotti specifici, in un mercato globale che conta ormai oltre 10mila
Etf quotati. «Il nostro obiettivo è fornire solidi tasselli per allestire portafogli d’investimento competitivi e poco costosi, in asset class consolidate e sicure. Dei 2800 Etf quotati alla Six, solo 43 sono nostri, va dunque prestata attenzione anche al singolo prodotto, in cosa s’investa e come. Il costo fa molto, ma non è tutto, per quanto il mondo Etf abbia già dimostrato molto sin dai primi mesi dell’emergenza pandemica, continuando a scambiare regolarmente», sottolinea il responsabile.
Ma qual è il ruolo che ricopre la Svizzera all’interno della strategia di un attore così importante del mercato? «Abbiamo aperto la sede di Zurigo nel 2008 per servire principalmente gli istituzionali, mentre è dal 2020 che abbiamo deciso di riorientare la strategia, includendo anche gli investitori finali, e potenziando di conseguenza l’offerta di Etf. La Svizzera rimane un mercato importante e appetibile per molti, le banche elvetiche hanno 9,2 trilioni di dollari di asset in custodia, di cui oltre 2,1 di crossborder. Istituti e gestori indipendenti guardano con interesse ai nostri prodotti, per inglobarli in un’offerta competitiva per i loro clienti, e stiamo lavorando per migliorare ulteriormente tali sinergie», nota il manager. Al tempo stesso, perché proprio Vanguard? Cosa fa la differenza? «Ho alle spalle ormai molte esperienze nell’industria, e ho sempre amato il mio lavoro, ma ho accettato un paio d’anni fa questa nuova sfida per le peculiarità della nostra società, che la rendono unica. Non abbiamo azionisti a cui rispondere, siamo dunque privi nella maniera più assoluta di conflitti d’interesse, oltre che trasparenti in tutto quello che facciamo; siamo una cooperativa con una mission altrettanto particolare, e non lavoriamo secondo obiettivi trimestrali. Dalla nostra abbiamo il tempo, e i numeri ci stanno dando ragione; Vanguard non offre soltanto prodotti d’investimento per il lungo periodo, è la società stessa a vivere e crescere guardando avanti, come avrebbe voluto il suo fondatore», conclude Roger Bootz. Che si debba ragionare sempre e comunque di lungo periodo è una vecchia storia, ormai un po’ sbiadita, soprattutto se a erodere molti sforzi si trovano costi di gestione importanti. La questione assume però un altro significato se le commissioni si riducono a pochi punti base.
Federico Introzzi
Fonte: Vanguard 2022
Fonte: StateStreet 2025 (dati a XII-2023)
Azionari ■ Obbligazionari ■ Materie prime ■ Misti ■ Alternativi
Allocation ■ Altro ■ N. dei fondi (unità, dx; 9.149)
Osservatorio
Anzi la tempesta
I mercati in inizio anno non avevano ancora evidenziato quanto sarebbe successo di lì a poche settimane. L’industria dei fondi era ripartita calma, chiudendo un febbraio positivo.
Il mercato svizzero dei fondi d’investimento ha iniziato l’anno, almeno nel primo bimestre, all’insegna del sereno, senza registrare eccessivi scossoni, e tenendo dietro all’andamento dei mercati internazionali e dei listini.
Le masse in gestione si sono riportate su livelli più che significativi, avvicinandosi rapidamente agli 1,65 trilioni di franchi, ulteriore traguardo per l’intera industria, che negli ultimi anni ha continuato a macinare nuovi record, complice anche l’eccellente performance delle borse.
Mese su mese, dunque febbraio 2025 rispetto a gennaio, la progressione dell’intero comparto è di poco superiore a 7,3 miliardi, con una raccolta invece leggermente superiore, a 8,31 miliardi, indice del fatto che le performance di mercato non siano state delle migliori, ma al tempo stesso anche che nonostante la situazione molto fluida sopravviva una certa fiducia da parte degli investitori.
In termini di raccolta, dunque ancora a febbraio, l’interesse è rimasto concentrato sui fondi obbligazionari, per un totale superiore a 4,47 miliardi di new money, e un ulteriore 2,28 miliardi sui monetari, che continuano a trascinare il comparto. Meno brillanti gli azionari, comunque in positivo di 889 milioni. Fermi al palo alternativi e immobiliari.
Evidentemente all’alba del 28 febbraio non c’era ancora nell’aria la sorpresa del 2 aprile, e di quanto sia poi seguito in termini di listini, che hanno aperto una stagione probabilmente lunga di ulteriore volatilità, a fronte di sfide per il commercio mondiale potenzialmente inedite per portata e implicazioni, ancora maggiori rispetto alla stagione pandemica.
Prosegue il rafforzamento del franco, e anche dell’euro, rispetto a un biglietto verde che mostra più di un mal di pancia, anche a fronte di sensibili manipolazioni cinesi sul mercato secondario dei titoli del debito statunitense.
Il mercato svizzero dei fondi (Dati Morningstar in mln di franchi)
Categoria fondi
Raccolta
per Asset class (in milioni di franchi)
Osservatorio 4.0
Caro lettore,
L’Osservatorio sta infine sfondando la famosa terza dimensione, l’online, per essere sempre più completo e aderente all’evoluzione vorticosa dei mercati finanziari, tenendo il passo. Una parte dei contributi dei numerosi Partner che da anni contribuiscono alla sua ricchezza, e che molti apprezzano, inizieranno a essere web-only, specie per quelle tematiche molto più ‘liquide’. Buona meta-lettura FI
Il valore della famiglia
L’allineamento degli interessi tra management e azionisti è una delle dinamiche più complesse della Governance aziendale, ma può fare la vera differenza.
Cyril Benier, Senior Investment Manager di Pictet Am. Avere manager esperti di famiglia alla guida fa spesso la differenza.
che creano valore a lungo termine per l’azienda e di solito lo fanno mantenendo bilanci solidi. La salute e la sostenibilità finanziaria dell’azienda vengono prima dei profitti di breve termine.
I dati hanno dimostrato che questo approccio differenziato può creare vantaggi competitivi durevoli nel tempo per le aziende a conduzione familiare e per quelle guidate dai fondatori. E questo si traduce in ultima analisi anche in migliori rendimenti per gli investitori. Ad esempio, uno studio ha dimostrato che le società quotate in borsa controllate dai fondatori hanno registrato una performance quasi doppia rispetto a quella annualizzata del mercato nel suo insieme.
Aggiungendo le società gestite dai proprietari a un portafoglio azionario diversificato, gli investitori possono dunque ottenere un rendimento aggiustato per il rischio molto migliore.
Dalla costruzione di un nuovo stabilimento produttivo all’estero all’acquisizione di un concorrente, le decisioni strategiche d’investimento prese oggi possono avere un impatto sulla società e sui suoi azionisti per gli anni a venire. Gli azionisti possono però scoprire che i manager perseguono obiettivi diversi se non opposti ai loro, succede. Un’acquisizione ostile rischiosa ma che fa notizia,
ad esempio, può aumentare la notorietà o il potere di un Ceo. Ma questo potrebbe comportare problemi futuri per la società, salvo raggiungere determinati obiettivi. Tali debacle sono rare per le società quotate che hanno nell’azionariato le famiglie fondatrici. E questo rappresenta una caratteristica interessante per gli investitori che vi investono.
I manager che sono anche proprietari danno priorità a progetti e investimenti
Un primo problema. Nella gestione di un’azienda, capita spesso che qualcuno prenda decisioni per conto di altri. Nel caso delle società quotate, però, la situazione diventa problematica quando le decisioni prese dai manager non rispondono agli interessi degli azionisti, finendo per produrre risultati negativi.
Un modo per risolvere questo problema, tipicamente noto come problema dell’agente principale, è quello di creare contratti o strutture di incentivi che incoraggino i manager, ossia l’agente, ad agire nell’interesse del principale, gli azionisti. Non è semplice. Gli interessi da bilan-
Fonte: Pictet Am
Crescita media ricavi Cash flow medio Roi Rendimento annualizzato per gli azionisti
ciare sono molteplici e la maggior parte dei programmi di incentivazione dei manager ‘a lungo termine’ dura solo tre anni, mentre la permanenza media di un Ceo dello S&P è inferiore a cinque anni. Le aziende gestite dai proprietari non riscontrano tale problematica. Gli interessi di management e proprietari sono sempre allineati per definizione.
A distinguersi nella gestione di questa tipologia d’imprese solitamente sono quattro principi guida, che consentono al management di adottare una visione di lungo termine:
- Imprenditorialità. Il fondatore è un imprenditore per definizione e promuove una cultura dell’innovazione e un processo decisionale agile. Le migliori aziende familiari hanno dimostrato di poter mantenere questo spirito imprenditoriale anche attraverso le generazioni;
- Gestione. I proprietari hanno il compito di proteggere un’eredità e ritengono loro dovere garantire la salute e la sostenibilità a lungo termine dell’azienda. La reputazione del fondatore o della famiglia è strettamente legata a quella dell’azienda;
- Disciplina. La priorità della salute e della sostenibilità dell’azienda è spesso associata alla prudenza finanziaria, al mantenimento di un margine operativo di sicurezza e alla capacità di essere agili quando si presentano le opportunità;
- Reinvestimento. Reinvestire gli utili nell’azienda, ad alti tassi di rendimento, dà priorità alla creazione di valore economico a lungo termine rispetto ai dividendi. Durevoli e di alta qualità. Sulla base di questi quattro principi è possibile delimitare un universo d’investimento di aziende di alta qualità e resilienti, che hanno dimostrato la capacità di prosperare attraverso molti cicli di mercato.
Un primo esempio è Rollins, azienda leader nella disinfestazione fondata nel 1948 dai fratelli John e Wayne Rollins. In un mercato altamente frammentato, l’azienda ha sviluppato una tecnologia proprietaria e si è avvalsa di acquisizioni strategiche per diventare il leader del settore in Nord America. La cultura familiare di Rollins e lo stile di gestione decentralizzato incoraggiano i dipendenti a sviluppare i propri franchising locali, promuovendo un senso di appartenenza. Questo approccio ha permesso all’azienda di registrare una crescita media delle vendite doppia rispetto a quella del suo concorrente più prossimo, un ren-
Aziende gestite da manager e dalla famiglia
Evoluzione di un investimento iniziale di 10k usd in 30 anni
Nord America ■ Mercati emergenti ■ Giappone e Asia
Fonte: Pictet Am (XII-2024)
dimento del flusso di cassa sugli investimenti costantemente superiore al 10% e margini in costante espansione.
Gli investimenti in infrastrutture sono un tipico caso di spesa in conto capitale, anche se possono richiedere anni per essere ripagati. Ma per chi ha un approccio a lungo termine, possono essere una fonte di vantaggio competitivo in grado di garantire rendimenti stabili.
Ciò è particolarmente vero per gli ospedali. Una nuova ala dell’ospedale dotata di attrezzature avanzate e di sistemi informativi sofisticati aumenta gli standard di cura e di benessere per i pazienti, il che dovrebbe migliorare anche i risultati finanziari per gli azionisti, come mostra l’esempio della famiglia Frist.
Si tratta della famiglia fondatrice e tuttora azionista di controllo di Hca Healthcare, il più grande proprietario e operatore ospedaliero degli Stati Uniti, e che ha da tempo dato priorità assoluta al reinvestimento di valore in azienda.
Negli ultimi 10 anni, Hca ha generato un flusso di cassa di 70 miliardi di dollari, metà del quale è stato reinvestito nell’a-
Impietosi confronti rispetto alla performance azionaria delle aziende guidate dalla famiglia, e quelle dall’azionariato diffuso. A distinguersi i settori tradizionali.
zienda attraverso spese in conto capitale, tra cui nuovi ospedali, con un rendimento di oltre il 20% sul capitale investito. Il resto è stato restituito agli azionisti attraverso i riacquisti, che hanno dimezzato il numero di azioni dal 2011.
Questa combinazione ha portato le azioni di Hca a sovraperformare sia il principale concorrente, che l’indice S&P di circa il 1400% dal 2011.
Le aziende di successo a conduzione familiare o con il fondatore ancora presente danno priorità alla creazione di valore strategico a lungo termine, piuttosto che ai guadagni a breve termine, già nell’allocazione del capitale. L’allineamento degli interessi tra proprietà e manager contribuisce poi a creare rendimenti interessanti e duraturi per loro stessi e per tutti gli altri investitori presenti.
Fonte: Pictet Am
La febbre dell’oro
Prosegue la corsa del metallo giallo che da inizio anno ha inanellato nuovi record. Quali le cause alla base del fenomeno, e quali le possibili ulteriori evoluzioni?
Le ragioni della corsa del metallo giallo
Acquisti di oro da parte delle Banche Centrali (in T, 2015-2024)
Matteo Ramenghi, Cio di Ubs
Wealth Management Italia. A lato, la domanda di oro da parte delle Banche Centrali.
Paura, inflazione, tassi e dollaro sono quindi le principali variabili nell’equazione che determina il prezzo dell’oro.
L■ Acquisti trimestrali in T.
’oro ha sempre avuto un ruolo centrale nella storia umana, fungendo da simbolo di ricchezza e potere. Secondo il World Gold Council, l’oro fisico esistente al mondo si aggira intorno a 197.576 tonnellate includendo l’oro estratto e quello depositato.
Si stima che il 31% della produzione annuale di oro sia destinata agli investimenti, il 12% all’industria (soprattutto tecnologia) e il 57% alla gioielleria.
L’India è uno dei maggiori consumatori al mondo, con le famiglie che ne detengono oltre 25mila tonnellate. Ciò è dovuto al valore simbolico che ha in India, che è uno dei maggiori produttori di gioielli.
Gli utilizzi nella tecnologia spaziano dall’elettronica, per la sua conduttività elettrica, all’aerospaziale per la capacità di riflettere le radiazioni solari. Ma, per gli investitori, rappresenta soprattutto una riserva di valore. Si stima che, proprio per questo, le Banche Centrali ne detengano oltre 35mila tonnellate. Nella Top5 Stati Uniti, Germania, Italia, Francia e Russia. Nei tempi moderni l’importanza finanziaria del metallo giallo va oltre la sua
dimensione fisica. Sempre più spesso l’oro viene scambiato attraverso strumenti finanziari quali exchange-traded fund (Etf) e exchange-traded commodity (Etc), che permettono agli investitori di ottenere un’esposizione senza possederlo.
A febbraio il più grande Etf sull’oro a livello mondiale (Spdr Gold Trust) ha raggiunto le 908 tonnellate. Gli Etf sull’oro statunitensi hanno registrato un incremento di oltre il 4% quest’anno a quasi 1650 tonnellate. Anche gli Etf europei hanno continuato a crescere raggiungendo un record di 1334 tonnellate. Volendo semplificare, si potrebbe dire che la natura di bene rifugio rende l’oro reattivo soprattutto alla paura e all’inflazione. Quando le tensioni geopolitiche e l’incertezza economica aumentano, crescono le quotazioni aurifere. Se l’inflazione sale, l’oro rappresenta un’ancora. Inoltre, il prezzo è inversamente correlato al valore del dollaro, essendo scambiato in quella valuta. La sua natura di bene infruttifero lo rende assimilabile a un’obbligazione a lunghissima durata e quindi sensibile ai tassi d’interesse.
Da inizio anno la debolezza del dollaro, la forte incertezza sull’agenda politica statunitense, gli attacchi americani contro gli Houthi in Yemen e la rottura della tregua a Gaza hanno contribuito a far salire l’oro di oltre il 20%, nonostante un aumento del 27% nel 2024.
Ma questi elementi non spiegano completamente la performance a medio termine dell’oro, che ha raddoppiato il proprio valore in cinque anni. Infatti, si è aggiunto un elemento relativamente nuovo: i principali acquirenti di oro sono state le Banche Centrali, in particolare quelle emergenti, che a partire dal 2022, ne stanno acquistando oltre 1000 tonnellate all’anno, diversificando rispetto al dollaro.
In particolare, Cina e Russia sono state tra i maggiori acquirenti. La Cina ha acquistato circa 316 tonnellate di oro dal 2022 al 2024, mentre la Russia ne ha accumulato addirittura quasi 1700 tonnellate dal 2010. Anche altri Paesi come India, Polonia e Kazakhistan ne hanno aumentato le proprie riserve.
Nel complesso, nonostante i forti rialzi, si conferma il nostro orientamento positivo sull’oro con un livello target di 3200 dollari l’oncia. Sebbene il mercato stia evidenziando flussi in acquisto ‘euforici’, l’oro costituisce un efficiente strumento di copertura e può rappresentare qualche punto percentuale all’interno di un portafoglio diversificato.
Fonte: Bloomberg, Ubs
Un rialzo giustificato
L’oro si conferma essere uno dei principali beni rifugio, scalzando forse anche il debito americano dalla vetta.
Ma cosa lo rende tale? Diverse le motivazioni in discussione.
Vola il metallo giallo
Evoluzione del prezzo dell’oro (in usd)
Bloomberg (al 1-I-2025)
In un contesto globale sempre più instabile, l’oro ha ancora una volta confermato la sua forza come bene rifugio, raggiungendo sempre nuovi record nelle ultime settimane. Questo aumento è spiegato da tre fattori: la crescente domanda delle Banche Centrali per accumulare riserve d’oro; il persistente rischio inflazionistico e l’instabilità politica, in particolare commerciale. Dal 2005, il prezzo dell’oro è aumentato di oltre sette volte. La sua resilienza si è dimostrata particolarmente forte in periodi di crisi sistemiche, come la crisi del 2008, la pandemia e le fasi di rallentamento economico o di sanzioni commerciali. Un primo dato: diverse Banche Centrali continuano ad accumulare oro nelle loro riserve. Negli ultimi tre anni, gli acquisti di oro hanno superato le 1.050 tonnellate all’anno. In particolare, la Banca centrale cinese sta cercando di recuperare il ritardo. L’oro rappresenta circa il 20% delle riserve degli istituti centrali mondiali, ma solo il 5% di quelle cinesi. Negli ultimi due anni, si stima che il 20% delle riduzioni dei titoli obbligazionari statunitensi
sia stato compensato da acquisti di oro.
Un secondo dato: i rendimenti reali continuano a sostenere l’oro. I rendimenti decennali statunitensi sono scesi di diversi punti base dall’inizio dell’anno a causa delle sorprese economiche negative negli Stati Uniti, tra cui una possibile contrazione del Pil. Data la correlazione negativa tra i tassi a lungo termine statunitensi e l’oro, questa dinamica ha contribuito a sostenere il prezzo del metallo prezioso. Inoltre, le aspettative di inflazione sono state riviste al rialzo a causa delle tensioni commerciali e dei dazi.
Un terzo dato: i rischi di instabilità politica sono in aumento. Il Fmi stima che i rischi di bilancio, fiscali e commerciali spieghino strutturalmente circa un quarto della variazione del prezzo dell’oro. Negli Stati Uniti, l’aumento del rischio di default (da 25 a 40 punti base, anche se ancora basso), l’aumento del debito federale al 100% del Pil e il probabile calo del commercio internazionale sostengono questa tendenza al rialzo.
Lo spettro di nuove maggiorazioni tariffarie negli Stati Uniti ha portato a
Arthur Jurus, Head Investment Office Private Bank di Oddo Bhf Switzerland. A lato, l’evoluzione del prezzo dell’oro.
un forte aumento delle importazioni di oro a gennaio, con i metalli preziosi che hanno rappresentato il 10% dell’incremento. Allo stesso tempo, il mercato globale dell’oro sta vivendo una fase di forte perturbazione, con una carenza di metallo fisico a Londra che contrasta con le scorte record di New York. Questo squilibrio, amplificato dai timori di nuovi dazi statunitensi e dalle opportunità di arbitraggio tra il mercato a pronti e i contratti futures, riflette le crescenti tensioni tra i principali centri finanziari internazionali.
Per gli investitori, l’oro sta diventando un asset strutturale dei portafogli. Il suo fascino risiede nella bassa volatilità rispetto alle azioni, in particolare in un contesto di bassi tassi d’interesse, che lo rende un asset con uno Sharpe ratio competitivo. Tra il 2000 e il 2020, l’oro ha generato un rendimento medio annuo del 9,6%, superando dunque i titoli sovrani e mantenendo al contempo una bassa correlazione con le azioni (0,03 in due decenni).
Queste caratteristiche consentono agli investitori di incorporare efficacemente l’oro nei portafogli per migliorare la loro resistenza alle fluttuazioni dei mercati. Inoltre, uno studio del Mit (2022) ha dimostrato che quando i tassi d’interesse reali sono inferiori all’1%, l’oro sovraperforma le altre asset class in media del 5%. Allo stato attuale, l’oro e l’argento non sono toccati dai dazi statunitensi, ma il calo dei rendimenti a lungo termine e i riacquisti da parte delle Banche Centrali potrebbero dare ulteriore sostegno ai prezzi dei metalli preziosi.
Fonte:
Certezze subordinate
Nonostante le fluttuazioni degli ultimi giorni, il debito subordinato bancario negli ultimi mesi ha performato molto bene, e i fondamentali si confermano solidi.
dell’eurozona
Andamento dei requisiti di capitale e capitale disponibile in eccesso
Julien de Saussure, Gestore di debito subordinato finanziario, Edmond de Rothschild Am. Sotto, aumentano i requisiti di capitale delle banche europee, ma rimane stabile quello in eccesso.
afflussi hanno gradualmente cancellato le perdite degli anni precedenti, aprendo la strada a un esercizio 2025, dinamico. Il 2024 è stato un anno particolarmente favorevole per il debito finanziario subordinato, con solide performance nei vari segmenti. I CoCo bond Additional Tier 1 (At1) con copertura in euro si sono distinti con una performance dell’11,02%.
Diversi fattori vi hanno contribuito:
- Gli interessanti livelli di carry che hanno attirato gli investitori;
- L’elevata compressione degli spread;
Dopo i significativi aumenti dei tassi d’interesse del 2022 e del 2023, che hanno accresciuto la redditività di banche e compagnie assicurative, mettendo però sotto pressione la loro liquidità, fino allo spettacolare crollo di Credit Suisse, il
2024 ha segnato un punto di svolta per il mercato del debito finanziario subordinato. Il consolidamento dei bilanci bancari, insieme alla prospettiva di tassi d’interesse più bassi, ha riacceso l’interesse degli investitori per questi strumenti obbligazionari. In questo contesto più sereno, gli
- Questi fattori hanno permesso agli investitori di ritrovare una certa serenità e di ritornare gradualmente a questa classe di asset, dopo due anni difficili. Fondamentali solidi. Nel 2024, le banche europee hanno rafforzato in misura considerevole i coefficienti patrimoniali, ben al di sopra dei requisiti minimi stabiliti dalla Bce. I requisiti patrimoniali fissati dalle autorità di regolamentazione vengono soddisfatti con ampio margine. Forti di un’eccedenza media di capitale di 400 o 500 punti base, le banche dispongono di un margine di manovra significativo per assorbire eventuali shock. In particolare, le banche dell’Europa meridionale, dunque Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, un tempo considerate vulnerabili, si trovano oggi in posizione migliore:
- Intesa Sanpaolo (Italia) ha un Cet1 del 15,5%, con un’eccedenza di capitale di oltre 600 punti base;
- Millennium Bcp (Portogallo) gode di una maggiore solidità finanziaria e di spread interessanti. New money. Un altro fattore positivo è la dinamica dei flussi di investimento. Nel 2024, i fondi obbligazionari Ig e Hy hanno beneficiato di afflussi stabili, che hanno consolidato il mercato. Un altro fenomeno degno di nota nell’ultimo anno è stato l’ampliamento della base degli investitori. Dopo essersi ritirati in massa, scottati dalla crisi di Credit Suisse, gli investitori asiatici stanno tornando, contribuendo a diversificare la base degli investitori e ad incrementare la liquidità del mercato. Allo stesso modo, i fondi statunitensi Preferred Share stanno registrando forti afflussi e aumentano le loro partecipazioni in At1. Fattori tecnici favorevoli. Sul piano tecnico, varie tendenze stanno rafforzando la fiducia degli investitori:
- La maggior parte delle opzioni call viene esercitata: i casi in cui gli AT1 non vengono rimborsati alla data di call sono diventati molto rari;
- Il prefinanziamento delle emissioni 2025 procede bene, in un mercato fluido. Questi due effetti creano un circolo virtuoso in cui il livello del margine di credito rende possibile un rifinanziamento ‘economico’ delle opzioni call. M&A in piena effervescenza. Nel 2024, il mercato delle fusioni e acquisizioni ha registrato una netta ripresa dell’attività nei settori bancario e assicurativo, in particolare in Europa, dove il consolidamento bancario è in pieno svolgimento. Nell’ultimo anno, sono state annunciate diverse operazioni in Italia e nel Regno Unito. Ma è soprattutto il ritorno delle operazioni transfrontaliere ad attirare l’attenzione, come le discussioni tra UniCredit e Commerzbank.
Stesso dinamismo fra le compagnie di assicurazione, che si stanno muovendo in modo strategico, con acquisizioni mirate, soprattutto nel settore dell’asset management, come dimostra la fusione tra AxaIm e Bnp Cardif o tra Banco Bpm Vita e Anima. In entrambi i casi, è la filiale di assicurazione vita dell’entità bancaria ad acquisire l’attività, beneficiando di un meccanismo normativo noto come ‘compromesso danese’ che riduce notevolmente l’impatto patrimoniale dell’operazione.
Nel complesso, tali operazioni sono positive per il settore e dovrebbero contribuire a comprimere gli spread, fornendo ulteriore supporto al debito subordinato.
Solidità confermata
Dispersione in riduzione dei dati per il bancario dell’eurozona (in pp)
Fonte: Edmond de Rothschild Am
Il calendario europeo
Calendario delle call degli Additional Tier-1 nel 2025 (mln eur)
Esteso per ampio swap cost
Tender 6 mesi in anticipo Tender 10 mesi in anticipo Tender 6 mesi in anticipo Tender 9 mesi in anticipo Tender 5 mesi in anticipo Tender 17 mesi in anticipo Tender 13 mesi in anticipo
■ Annuncio Call/Tender ■ 6 mesi alla Call
Fonte: Edmond de Rothschild 2025
Inoltre, il rischio di esecuzione di queste operazioni sembra contenuto, dato che molte di esse sono in parte finanziate da scambi di azioni. Per gli investitori obbligazionari, questo è probabilmente un uso più interessante del capitale in eccedenza rispetto al riacquisto di azioni o ai dividendi eccezionali. Una pratica che favorisce la diversificazione e l’aumento della redditività, che resta in definitiva la prima linea di difesa quando si investe in debito finanziario subordinato. 2025: opportunità interessanti. Le obbligazioni finanziarie subordinate affrontano il 2025 con prospettive favorevoli. In un contesto caratterizzato dal calo dei tassi d’interesse, l’asset class continua a offrire un carry interessante:
- i CoCo bond in euro hanno iniziato l’anno con un rendimento del 5,8%
- le obbligazioni finanziarie subordinate hanno un rendimento del 4,9%.
Anche il contesto macroeconomico sembra giocare a favore degli investitori:
- la disinflazione in Europa potrebbe limitare il rischio di un aumento dei tassi di interesse a lungo termine;
Il sistema bancario dell’Eurozona si riconferma solido e in buona salute nonostante le turbolenze delle ultime settimane. Il debito subordinato è gestito con una certa attenzione da parte degli istituti, ma presenta qualche interessante opportunità.
- l’irripidimento delle curve dei rendimenti e del credito dovrebbe offrire l’opportunità di riaggiustare i portafogli a favore delle obbligazioni a scadenza intermedia (5-7 anni).
Nel complesso, il debito finanziario subordinato inizia il 2025 con ottime prospettive. Con banche meglio capitalizzate, flussi di investimento sostenuti e un mercato obbligazionario stabilizzato, questa classe di asset dovrebbe continuare ad attrarre gli investitori.
Il calo dei tassi d’interesse è un elemento favorevole, ma le opportunità non si limiteranno a questo aspetto: la compressione degli spread, la ripresa delle M&A e l’ampliamento della base degli investitori sono tutti catalizzatori del mercato.
■ Distanza da Mda nel 2020 ■ Distanza da Mda nel Q3 - 2024
Nlb Santander Bnpp
SocGen Bawag UniCredit Nordea Hamburg Cb
L’enigma del dollaro
Il biglietto verde rimane la bandiera della finanza americana, ma intorno alla sua egemonia si addensano nubi sempre più scure. A segnalarsi è un piano di un consigliere di Trump.
Il dollaro americano
Quanto vale il dollaro rispetto alle altre valute? Evoluzione del Broad Index.
Giorgio Bertoli, Senior Portfolio Manager di Banca del Sempione. A lato, l’andamento del valore del dollaro negli ultimi anni.
propria volontà facendo leva sul predominio economico e militare, forzandoli a convertire le riserve valutarie in buoni del tesoro americani perpetui a tasso zero, ottenendo allo stesso tempo un taglio effettivo del debito pubblico e una svalutazione del dollaro.
Tra tutte le riforme ipotizzate dalla nuova Amministrazione americana una delle più affascinanti e complesse riguarda la ridefinizione delle politiche commerciali a livello globale. Uno dei cavalli di battaglia elettorali del presidente Trump, infatti, riguarda la ricostruzione di un settore manifatturiero significativo negli Stati Uniti, in particolare in quegli stati chiave del Midwest che hanno particolarmente sofferto la deindustrializzazione degli anni Settanta e Ottanta.
Lo strumento principale impiegato per incentivare il ritorno di alcuni stabilimenti negli Usa è la politica protezionistica, al fine di rendere meno competitive le aziende straniere colpendole con dazi doganali. Tale iniziativa è vista da molti come insufficiente per raggiungere pienamente gli obiettivi, sia per i rischi riguardanti crescita e inflazione, sia per la possibile svalutazione monetaria da parte dei Paesi colpiti da dazi, che riacquisirebbero in tal modo la competitività perduta. L’attenzione di chi desidera soluzioni più strutturali si sposta quindi sul dollaro, che
Real Broad Dollar Index (100: I-2006)
appare decisamente sopravvalutato, determinando un costo del lavoro troppo elevato negli Stati Uniti per competere in settori manifatturieri a minore livello di marginalità rispetto ad altre industrie, come quella tecnologica.
Un’interessante analisi viene offerta da Stephen Miran, capo consigliere economico del presidente Trump, che lo scorso novembre ha pubblicato un articolo in cui suggerisce possibili soluzioni che portino a un indebolimento strutturale del dollaro. Tra le varie ipotesi delineate, la più estrema è stata battezzata “Mar-aLago accord”, che prende ispirazione dal Plaza Accord del 1985. Allora le principali potenze economiche mondiali si incontrarono all’hotel Plaza di New York, tre anni più tardi acquisito proprio da Donald Trump, e concordarono azioni congiunte al fine di svalutare il dollaro, la cui sopravvalutazione aveva raggiunto livelli estremi nella prima parte degli anni Ottanta.
La versione odierna, sottolinea Miran, difficilmente potrebbe avvenire in modo concordato; tuttavia gli Stati Uniti potrebbero imporre ai principali partner la
Un accordo così favorevole agli Stati Uniti, per quanto abbia fatto molto parlare di sé negli ambienti finanziari americani, pare poco attuabile, al punto che lo stesso Miran ha in seguito dichiarato che si tratta soltanto di una delle varie ipotesi per affrontare il problema, e che nessuna iniziativa concreta è in essere.
L’impressione è che, ipotesi audaci a parte, non sia ancora stato ideato un piano credibile per ottenere una svalutazione significativa del dollaro senza comprometterne lo status di valuta di riserva globale, a cui gli Stati Uniti sembrano non voler rinunciare (e al quale tra l’altro non appare esserci al momento un’alternativa).
Nel breve periodo quindi pare che l’amministrazione Trump concentrerà i propri sforzi di politica commerciale sui dazi doganali, rinviando a data da destinarsi eventuali sconvolgimenti dell’ordine monetario mondiale, sperando che una Fed meno restrittiva possa comunque portare un calo di valutazione del dollaro. Per gli investitori al momento non si profilano sconvolgimenti, ma in un periodo già di elevata incertezza su molti fronti, l’emergere di un ‘enigma dollaro’ può far venire meno le consolidate certezze su uno dei classici beni rifugio.
Fonte: Fed, Banca del Sempione (dati II-25)
Passioni alternative
È un segmento in crescita, dal fascino iconico, ma anche dai rendimenti molto interessanti. Le auto da collezione sono però anche importanti biglietti da visita, spendibili in molti contesti.
Andrea Antonacci, Institutional Clients Advisor di Credinvest Bank. A lato, le performance nel tempo di alcune auto da collezione.
In un’epoca in cui la diversificazione del portafoglio è diventata imprescindibile, l’interesse per gli asset alternativi è cresciuto esponenzialmente. Tra vini, opere d’arte e orologi, a distinguersi sono le auto da collezione. Alternativo e sorprendente. Diversi indici tracciano la performance del segmento, con una stima di circa il +450% dal 2008 basata sui risultati d’asta, che nonostante una sostanziale stagnazione nell’ultimo biennio lo spinge oltre diamanti e arte contemporanea. Non tutte le auto sono uguali, ma quelle storiche si sono dimostrate relativamente stabili, rendendole un interessante elemento di diversificazione patrimoniale, a fronte di una scarsa correlazione con i mercati tradizionali. Ciononostante le dinamiche di questo settore restano complesse, e legate ai singoli modelli. Quando è ‘collezionabile’. Il primo errore è credere che ogni auto d’epoca abbia un valore crescente nel tempo. Il collezionismo premia la rarità, la qualità e l’autenticità. Dunque i ‘matching numbers’, ovvero motore, cambio e telaio originali,
possono fare la differenza. Anche la storia del veicolo può fare molto, ad esempio se appartenuto a una celebrità. La documentazione completa, i libretti originali, i certificati di provenienza e un restauro ‘a regola d’arte’ sono altri elementi che influenzano la quotazione, per quanto ne complichino le valutazioni.
La segmentazione. Per semplificare l’ampio universo d’investimento, si può dividere il mercato in quattro periodi, ognuno con logiche differenti:
- Pre-belliche (anni ’20-’40): auto molto rare, di grande valore ma poca liquidità;
- Classiche (anni ’50-’70): il cuore del mercato, sono considerate le blue chip;
- Youngtimer (anni ’80-2000): in crescita grazie ai giovani collezionisti;
- Moderne: il mercato oggi premia hypercar e modelli a produzione limitata, ma con maggiore incertezza sul valore. A quattro ruote. Ciò che rende l’auto da collezione un investimento speciale è però tutto ciò che comporta in termini di relazioni, esperienze e visibilità. Possedere un’auto iconica, ben tenuta e rara è un vero e proprio biglietto da visita su quat-
tro ruote, capace di aprire porte e creare connessioni altrimenti difficili da stabilire. Le community di collezionisti sono spesso ristrette, internazionali e caratterizzate da un’elevata disponibilità economica. Partecipare a eventi esclusivi significa entrare in contatto con imprenditori, manager, appassionati e investitori. L’auto diventa un catalizzatore relazionale, un tema di conversazione capace di unire mondi professionali molto diversi, oltre a rafforzare il personal brand in settori come il lusso o la consulenza finanziaria. Gioie e dolori. Dietro al fascino delle auto si nascondono però impegni importanti. La custodia in ambienti controllati, le assicurazioni specifiche, la manutenzione con ricambi spesso introvabili... senza una guida l’imprevisto è dietro l’angolo. Asset allocation. Come in molti altri casi è fondamentale costruire un portafoglio equilibrato. Diversificare tra epoche, marchi e segmenti può aiutare a gestire la volatilità. Un ‘bilanciato’ potrebbe includere, ad esempio, un modello iconico dei Sessanta, una youngtimer in ascesa e una supercar moderna con potenziale di rivalutazione, e maggior facilità d’uso. E il futuro? Una delle grandi incognite riguarda l’impatto dell’elettrificazione. Se le normative stringenti potrebbero limitare l’uso delle auto storiche, dall’altro potrebbero rafforzarne il fascino. In un mondo sempre più digitalizzato, la meccanica analogica, il rombo di un V12 aspirato e il cambio manuale diventano esperienze sensoriali sempre più ambite.
Una svolta tutta europea
Negli ultimi mesi si sono verificati alcuni fondamentali eventi nella storia del Vecchio Continente, che potrebbero ridefinirne molte certezze del passato. A segnalarsi è il caso tedesco.
Nuovo e vecchio mondo
Differenze di valutazione e di incertezza della politica economica
Lorenzo Vangelisti, Ceo e fondatore di Valeur Group. A lato, una differenza fondamentale che spiega parte dei problemi è la profonda incertezza politica dell’Europa.
NDifferenza di P/E tra Europa e Stati Uniti (sx)
Differenza incertezza sulle politiche economiche tra Europa e Stati Uniti (dx)
egli ultimi mesi i Governi europei hanno intensificato i loro sforzi per rafforzare le economie nazionali attraverso ambiziosi programmi fiscali. Due delle iniziative più significative sono l’aumento delle spese militari, promosso da diversi Paesi membri dell’Unione Europea, e il massiccio programma di investimenti annunciato dalla Germania. Questi sviluppi potrebbero avere implicazioni rilevanti sia per la crescita economica del continente sia per le strategie di investimento nei portafogli finanziari, in particolare se questi piani fiscali dovessero fare chiarezza sulle politiche economiche del vecchio continente.
Ma questi interventi segnano davvero una svolta strutturale per l’economia europea, o si tratta più semplicemente di strategie temporanee per arginare le pressioni attuali? E, soprattutto, come si rifletteranno sui mercati finanziari e sulle strategie d’investimento?
La Difesa. L’aumento delle spese militari è una diretta conseguenza del conflitto in Ucraina, ma risponde anche alle pressio-
ni dall’amministrazione Trump affinché i Paesi membri della Nato raggiungano tra il 2 e il 3% del Pil di spesa per la Difesa. La Germania, ad esempio, ha ormai da tempo annunciato un fondo speciale
«I recenti sviluppi nei programmi fiscali europei rappresentano un importante cambiamento nel panorama economico e finanziario della regione. L’aumento della spesa per la Difesa e le riforme fiscali tedesche potrebbero fornire un impulso alla crescita, ma anche introdurre nuove sfide legate all’inflazione e alla sostenibilità del debito»
da 100 miliardi di euro per rafforzare la Bundeswehr, che sino ad oggi ha stentato a concretizzarsi, mentre altri stati membri hanno sottoscritto impegni simili. Inoltre, il programma ReArm Europe promosso dalla Commissione Europea mira a mo-
bilitare fino a 800 miliardi di euro per rafforzare le capacità difensive dell’Unione nei prossimi anni.
Questo aumento delle spese potrebbe avere un impatto significativo sull’economia. Da un lato, l’industria della Difesa, caratterizzata da un’elevata intensità di capitale e tecnologia, potrebbe trarre un beneficio diretto da questi investimenti, favorendo la creazione di posti di lavoro e stimolando la domanda di beni e servizi correlati. Dall’altro, un incremento delle spese militari potrebbe tradursi in un maggiore indebitamento per i Paesi con già alti livelli di debito pubblico, esercitando pressioni sui mercati obbligazionari europei e sollevando interrogativi sulla sostenibilità fiscale nel lungo periodo. Cambio di paradigma. Parallelamente all’incremento delle spese militari, la Germania ha annunciato un ampio piano d’investimenti volto a modernizzare le infrastrutture nazionali e accelerare la transizione energetica. Questa iniziativa, sostenuta dal neo cancelliere Friedrich Merz, prevede ingenti stanziamenti per la digitalizzazione, le rinnovabili e il trasporto sostenibile, con un focus anche sull’eliminazione del limite al debito pubblico per favorire gli investimenti.
Secondo nostre stime, l’espansione della spesa pubblica potrebbe tradursi in una crescita del Pil dell’Eurozona compresa tra l’1,3 e l’1,6% entro il 2027, con un incremento tra 0,3 e 0,5 punti percentuali rispetto alle previsioni precedenti.
Fonte: Valeur Group
Questo aumento del Pil potrebbe tradursi in un incremento tra il 2 e il 3% degli utili societari europei.
Per gli investitori, questi cambiamenti offrono nuove opportunità e qualche rischio. Gli investimenti in infrastrutture e settori industriali potrebbero favorire un’espansione più sostenibile e resiliente dell’economia tedesca, con effetti positivi sull’intera Eurozona. Se attuato efficacemente, questo piano non solo rafforzerebbe la crescita interna, ma stimolerebbe anche la domanda di materiali e lavoro, contribuendo a un rilancio economico più ampio. Inoltre, con la Germania in prima linea nella decarbonizzazione, l’iniziativa potrebbe rappresentare un impulso significativo per il settore delle energie rinnovabili, accelerandone lo sviluppo e consolidandone il ruolo nel mix energetico europeo. Tuttavia, un aumento così rilevante della spesa pubblica potrebbe alimentare ulteriori pressioni inflazionistiche, spingendo la Banca Centrale Europea a mantenere più a lungo una politica monetaria restrittiva.
È il momento di puntare sull’Europa?
Le trasformazioni nelle politiche fiscali europee possono avere importanti ripercussioni per gli investitori, interessanti per la costruzione dei portafogli:
- Settori chiave. Le aziende di Difesa e aerospazio, nonché quelle coinvolte nelle infrastrutture strategiche, e quelle delle rinnovabili potrebbero trarre vantaggio da questo contesto, rendendo tali settori particolarmente interessanti per gli investitori. Si tratta di settori da valutare in modo tattico nel breve periodo, considerando che le valutazioni scontano una crescita sopra la media storica;
- Obbligazionario. L’aumento del debito pubblico in Europa potrebbe portare a divergenze nei rendimenti tra i titoli di stato, favorendo strategie di diversificazione tra Paesi con politiche fiscali differenti. Di conseguenza, strumenti e strategie d’investimento che prevedano un’allocazione dinamica tra diversi settori, Paesi e duration potrebbero trarre vantaggio dalla realizzazione dei piani annunciati e dalle eventuali sorprese di mercato. Come singolo settore, l’obbligazionario del settore finanziario europeo è quello che al momento offre il maggiore rendimento per il rischio;
- Azionario. Il mercato europeo sta sovraperformando quello statunitense grazie a valutazioni più contenute, risultati
La locomotiva tedesca Ripartizione degli investimenti per settore del piano Merz (500 mld eur)
Spese per Difesa
Evoluzione della spesa militare dell’Eurozona (in % del Pil; 1995-2028e)
Spesa militare media dell’Eurozona
aziendali solidi e una crescente fiducia degli investitori nella stabilità della regione e questo potrebbe continuare grazie a una riduzione dell’incertezza sui programmi e le politiche economiche europee. Il bancario potrebbe beneficiare di queste condizioni, anche grazie a un mantenimento di tassi più alti in futuro e a una crescita economica stabile. Tra i settori con le valutazioni più contenute risultano quelli energetici che potrebbero trarre vantaggio da una crescita industriale;
- Valutario. L’apprezzamento dell’euro, in particolare rispetto al dollaro americano e al franco svizzero, ha superato i fondamentali economici, ma appare coerente con il rinnovato ottimismo sulle prospettive di crescita della regione. Nel medio periodo, le dinamiche fondamentali torneranno a essere il principale motore dell’andamento valutario, suggerendo un probabile scenario di stabilizzazione per l’euro, fino a quando non emergeranno segnali più chiari sul successo di questi numerosi e variegati programmi.
In conclusione, i recenti sviluppi nei programmi fiscali europei rappresentano
A far tornare l’ottimismo circa le aspettative di crescita dell’Eurozona le decisioni maturate a Berlino, e il ritorno della leva fiscale in misura significativa, non solo per Difesa.
un importante cambiamento nel panorama economico e finanziario della regione. L’aumento della spesa per la Difesa e le riforme fiscali tedesche potrebbero fornire un impulso alla crescita, ma anche introdurre nuove sfide legate all’inflazione e alla sostenibilità del debito.
Gli investitori dovrebbero dunque monitorare attentamente questi sviluppi per adattare le proprie strategie di portafoglio alle nuove dinamiche del mercato e affidare i loro investimenti a strategie dinamiche d’investimento, in particolare nel segmento del reddito fisso. Queste strategie dovrebbero mirare a sfruttare rendimenti attesi superiori alla media degli ultimi dieci anni, garantendo al contempo la flessibilità necessaria per navigare un contesto economico in continua evoluzione.
Fonte: Valeur Group
Scuole
Edilizia popolare
Ferrovie
Autostrade
Riduzione della CO2
Fonte: Eurostat 2024
L’Italia s’è desta
Il risiko bancario italiano si sta tornando a scaldare, indice di un settore che ha fatto bene negli ultimi anni, con diverse operazioni avviate. Al momento ancora poche certezze.
Il settore bancario italiano
Quote di controllo dei principali attori coinvolti finanziari e non nella partita
Simone Gentini, Portfolio Manager di Lemanik Invest. Si sta riaprendo la partita del settore bancario italiano con diverse operazioni e offerte presentate.
nuovo periodo di crisi, causato da un’impennata dei prezzi delle materie prime e dell’energia che ha costretto la Bce ad intervenire con rialzi dei tassi d’interesse per frenare l’inflazione.
Fonte: Bloomberg 2025 (dati I-25)
L’Italia è stata senza dubbio uno dei Paesi usciti più indeboliti dalla crisi del 2008. Basti pensare che il Pil italiano dal 2008 al 2019 ha subito una contrazione del 4,3%, contro un’espansione media del Pil dei Paesi dell’Unione Europea del 12,8%.
Le ragioni di questa crisi del sistema italiano sono da ricercarsi in vari fattori: l’elevato livello del debito pubblico in rapporto al Pil, la suddetta assenza di crescita e l’instabilità politica che ha causato anche una scarsa credibilità del Governo italiano a livello internazionale.
Questo ha portato gli investitori internazionali a nutrire una certa sfiducia nei confronti del Belpaese, alimentando le paure di un’insolvenza e andando a travolgere i principali detentori del debito pubblico italiano, ovvero le banche.
Queste hanno, inoltre, visto un aumento significativo dei crediti deteriorati sul totale dei prestiti bancari, addirittura triplicati in quanto molte famiglie e imprese non sono più riuscite a far fronte al rimborso dei finanziamenti ricevuti.
I problemi del sistema finanziario
italiano si sono, ovviamente, riflessi sul mercato azionario che, per peso e composizione, è prettamente banco-centrico e ha portato ad una netta sottoperformance del FtseMib nei confronti degli altri indici europei e mondiali. Da febbraio 2009 al 2019 l’indice ha, infatti, avuto un ritorno totale pari a meno di un terzo dell’indice Bloomberg World in Eur.
Dopo la pandemia, però, qualcosa è cambiato. L’Italia ha dimostrato una gestione migliore dell’emergenza e una più rapida crescita del Pil tanto da essere eletta, a fine 2021, “Paese dell’anno” dal settimanale The Economist.
Questa uscita migliore della pandemia è stata, sicuramente, favorita da un desiderio di libertà da parte della popolazione che ha agevolato l’industria del turismo, ma anche dalle ristrutturazioni ed efficienze a livello aziendale effettuate negli anni di crisi, che hanno permesso un rafforzamento patrimoniale tale da rendere il settore industriale più resiliente a ulteriori criticità.
Con l’invasione dell’Ucraina a marzo 2022 l’Europa ha dovuto affrontare un
L’aumento dei tassi ha sicuramente favorito il sistema bancario italiano che, grazie alla pulizia dei bilanci effettuata nel decennio precedente e alla maggiore leva rispetto alle banche del Nord Europa, è riuscito ad aumentare i profitti in maniera sostanziale. Il mercato italiano ha, quindi, sovraperformato l’indice Bloomberg World di circa un 15% dal 2020 a fine febbraio 2025.
La testimonianza più significativa di quanto detto è il fatto che le banche italiane hanno ottenuto rendimenti di gran lunga migliori delle tanto decantate Magnifiche 7 a stelle e strisce, addirittura +215% di ritorno totale contro +91%.
Tuttavia, come noto, “le performance passate non sono garanzia delle performance future”, quali sono quindi i motivi per cui il mercato italiano dovrebbe continuare a performare anche nei prossimi anni? Tre le ragioni principali: - Basso costo . L’Italia tratta ancora a sconto rispetto ai multipli degli altri mercati europei nonostante abbia avuto un re-rating negli ultimi anni: l’indice Ftse Italia All share scambia a 11 volte gli utili contro le 15 volte dell’Eurostoxx 600. L’Italia non è più il ‘malato d’Europa’ e, oltre alla ottima uscita dal Covid, ha trovato stabilità con Meloni, a oggi il
sesto in termini di longevità tra i Governi dell’era repubblicana.
Il mercato italiano ha, quindi, tutte le carte in regola per chiudere almeno parzialmente questa differenza in termini di valutazione. Di rilevante importanza è, inoltre, il piano di spesa da 1.000 miliardi per la Difesa e le Infrastrutture recentemente annunciato dal Governo tedesco. Questo stimolerà la crescita economica europea e avrà effetti positivi anche sull’Italia, il cui tessuto manifatturiero è strettamente connesso a quello tedesco; - M&A bancario. Al momento l’unica operazione sulla cui effettiva riuscita sembrano esserci pochi dubbi è l’acquisizione di Anima da parte di Banco Bpm dopo il recente rilancio a 7 euro per azione. È, inoltre, molto probabile il buon esito dell’operazione lanciata da Bper sulla Banca Popolare di Sondrio, grazie al supporto di Unipol, comune azionista di maggioranza al 20% di entrambe le banche. Per comprendere meglio le probabilità di successo delle altre operazioni attualmente in corso l’ago della bilancia sarà l’assemblea di Generali del 24 aprile.
Se Unicredit decidesse di schierarsi con la lista del management uscente, sarebbe un segnale di avvicinamento importante verso il colosso assicurativo da parte della banca di Orcel che potrebbe contare sul supporto di Mediobanca, intenta a difendersi dall’Offerta Pubblica di Scambio lanciata dal Monte dei Paschi. Mediobanca potrebbe liquidare ad Unicredit la sua partecipazione del 13% in Generali e ottenere in cambio Banca Generali.
L’Ops lanciata dal Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca ha sollevato molte perplessità da parte degli operatori di mercato, in particolare per quanto riguarda le differenze culturali e di business. Le sinergie di ricavo e di costo, indicate dal Ceo Lovaglio, tra la banca di Rocca Salimbeni e la banca d’affari di Piazzetta Cuccia sono di circa 700 milioni, ai quali aggiungere altri 500 milioni di euro all’anno per i prossimi 6 anni derivanti da un’accelerazione dell’utilizzo delle Dta.
L’offerta è supportata dal Mef, azionista del Monte per l’11%, e da Delfin e Caltagirone, tra i principali azionisti di entrambe le banche. Il Monte avrebbe, quindi, in tasca al momento del lancio dell’offerta il 27,47% di Mediobanca, ma è molto probabile che, nel caso in cui l’adesione sia inferiore al 50%, la Bce possa considerarla inefficace. Se l’offerta non
Borsa italiana
Andamento delle Sme rispetto all’indice principale (2022: 100)
Bancario italiano
andasse in porto il Monte rimarrebbe con un Cet1 del 18% (16% nel caso di combinazione con Mediobanca), con ampio spazio per remunerare i propri azionisti in modo sostanzioso.
È evidente come, per un osservatore esterno, non sia facile districarsi tra i meandri del complesso risiko bancario italiano, ma operando delle giuste scelte ci sono ancora ottime opportunità, nonostante valutazioni non più così a buon mercato come qualche mese fa. - Il ritorno delle small cap. Il settore è strettamente connesso all’andamento dei tassi d’interesse, sia per un tema di liquidità del mercato, sia per una maggiore difficoltà di accesso al mercato del credito per società di piccole dimensioni. Con il taglio dei tassi in corso da parte della Bce l’indice “Small Mid Cap” potrebbe tornare a sovraperformare il listino principale grazie alle valutazioni attrattive e alle prospettive di crescita delle tante società di qualità, vere e proprie eccellenze del tessuto industriale italiano.
Nelle prossime settimane, inoltre, partirà il Fondo Nazionale Strategico (Fns)
Azionario italiano
Net Total Return a confronto (eur)
Negli ultimi anni buona parte dell’ottima performance raggiunta dall’azionario italiano è riconducibile all’elevata componente bancaria dell’indice principale.
varato dal Tesoro in collaborazione con Cdp e che avrà un commitment iniziale tra i 700 milioni e 1 miliardo con il compito di iniettare liquidità nelle società a più bassa capitalizzazione e fermare i delisting sempre più frequenti. Gli investimenti del Fns saranno gestiti dai principali asset manager italiani che andranno a prediligere società con multipli ben al di sotto delle loro medie storiche, con un bilancio sano e capaci di generare crescita e flussi di cassa. Per questo motivo sarà fondamentale gestire attivamente l’esposizione al settore attraverso un’accurata attività di stock picking, capace di individuare le società che beneficeranno di tali flussi. Le opportunità sul mercato italiano non mancheranno anche nei prossimi mesi, l’importante è saper identificare i cavalli vincenti per continuare a correre!
Fonte: Lemanik, Bloomberg (dati a II-2025)
Fonte: Bloomberg, Lemanik (al II-2025)
Fonte: Bloomberg, Lemanik (al II-25)
L’altra metà del campo
Si tende spesso a sottovalutare le necessità di un atleta, che sono sì sportive e professionali, ma anche patrimoniali, volte alla tutela di fortune accumulate da giovanissimi.
Questione di fortuna?
Evoluzione di costi ed entrate tipo della vita di un atleta (usd)
7.000.000
5.250.000
3.500.000
0 1.750.000
Fonte: Lfg+Zest 2025
Dietro le luci dei riflettori, i trofei e gli stipendi a sei zeri, si nasconde una verità non sufficientemente raccontata: per molti atleti professionisti, il rischio più grande non è quello in campo, ma quello che arriva dopo.
Nel mondo del calcio numerosi studi e ricerche, tra cui i report di organizzazioni internazionali come la FifPro, ma anche indagini di testate nazionali e internazionali evidenziano come una percentuale impressionante di atleti professionisti nei principali campionati di calcio europei (dal 40 al 60%) rischi di perdere tutto nei 5 anni successivi al ritiro.
Secondo Sports Illustrated, il 78% degli ex giocatori della massima lega americana di calcio, la National Football League (Nfl) e il 60% degli ex atleti della massima lega americana di basket, la National Basketball Association (Nba), affrontano gravi problemi finanziari e rischiano di dichiarare bancarotta rispettivamente nei tre-cinque anni successivi al ritiro.
E non si tratta solo di calcio europeo, Nba o Nfl; questa fragilità infatti accomu-
na sport, Paesi e discipline diverse.
Ma com’è possibile che chi guadagna milioni possa trovarsi in bancarotta a distanza di così poco tempo dall’ultimo stipendio? La domanda, che potrebbe sembrare provocatoria, è in realtà una delle più trascurate nel mondo dello sport.
A differenza di un imprenditore o di un manager, che costruisce la propria carriera nel corso di almeno quattro decenni, l’atleta vive un ciclo economico front-loaded: guadagna molto, in poco tempo, e in una fase della vita particolarmente delicata, tra i 20 e i 30 anni.
Il patrimonio che potrebbe garantire serenità per i decenni successivi viene raramente pianificato con questo orizzonte. Spesso lo stile di vita, che cresce insieme ai guadagni, non si ridimensiona quando i flussi si interrompono.
E in assenza di una seconda professione capace di sostenere lo stesso tenore di vita, molti atleti, dopo anni di sacrifici e riflettori, si ritrovano a fare i conti con instabilità, pressioni e, nei casi peggiori, vera e propria bancarotta.
Un flusso continuo di stimoli, rischi e
Andrea Midolo, Responsabile della Sport Division di Lfg+Zest.
A lato, l’evoluzione tipo della situazione patrimoniale di un atleta prima e dopo il ritiro dallo sport.
opportunità. Se il rischio di insolvenza è reale, non lo è solo per la traiettoria reddituale atipica dell’atleta, ma per un insieme di fattori, tra cui scarsa pianificazione, mancanza di educazione finanziaria, decisioni sbagliate, e presenza di soggetti poco trasparenti.
È però anche, a volte soprattutto, il risultato di un ecosistema talmente complesso e frammentato, che rende difficile, anche a chi ha le migliori intenzioni, costruire una protezione efficace.
Ogni giorno, infatti, l’atleta, e chi lavora per tutelarlo, si trova al centro di un flusso continuo di stimoli e decisioni, che provengono da una moltitudine di aree diverse ed esterne al campo da gioco: investimenti, fiscalità, relocation, protezione legale, gestione dei diritti d’immagine, pensione, assicurazioni, e molto altro.
A proteggerlo c’è un ‘Circle of Trust’ formato da familiari, agenti e persone di fiducia, che funge da filtro e da scudo. Ma spesso, le figure professionali che operano nei vari ambiti di supporto non si parlano tra loro, creando un ambiente frammentato e difficilmente gestibile anche per chi ha le migliori intenzioni.
Il risultato? Chi cerca di aiutare davvero l’atleta, che sia un procuratore, un family office, o un consulente di lungo corso, si trova a navigare in una giungla di interlocutori, ognuno con strumenti e approcci diversi, senza una visione coordinata. Questo disallineamento sistemico è una delle principali cause di inefficienza e, in
molti casi, di fallimento nella tutela del patrimonio e del futuro dell’atleta. Un ecosistema al servizio di atleti e professionisti. La domanda alle origini di tutto, dunque il reale bisogno di mercato, è: come si può aiutare chi ogni giorno lavora per proteggere e accompagnare gli atleti nelle loro sfide, dentro e fuori dal campo?
Una prima organizzata risposta può nascere attraverso una piattaforma, indipendente, discreta, costruita per essere un alleato fidato dei professionisti già presenti negli entourage dei campioni, e sin dal principio senza l’ambizione di sostituirsi a loro, ma di supportarli nell’opera, dimostrandosi concretamente utile.
Idealmente tutto dovrebbe muoversi all’interno di una logica strettamente modulare, fatta di competenze e soluzioni attivabili in modalità ‘cherry picking’. In grado dunque di coprire l’intera catena del valore della protezione non solo patrimoniale dell’atleta, ma al tempo stesso flessibile il giusto per integrarsi con le componenti potenzialmente già presenti.
Parole chiave? Nessun vincolo, nessuna rigidità. Solo molta esperienza, stru-
Monte salariale
Evoluzione del costo per salari delle leghe Top5 (mln eur)
I calciatori europei sono tra i campioni meglio pagati in assoluto, almeno negli sport di squadra, con una progressione nel corso degli anni quanto meno impressionante. Eppure bisogna saper gestire... la fortuna.
menti pronti all’utilizzo, e soprattutto un network selezionato e reattivo di professionisti di fiducia attivabili su chiamata. Perché tutelare il presente di un campione
è importante, ma aiutare a costruirne il futuro, lo è ancora di più. Un atleta non può permettersi di rimandare molte cose, alcune più evidenti di altre, a partire dalla preparazione atletica, preoccupazione quotidiana. Ma vi sono anche altre scelte, di natura patrimoniale e finanziaria, che compiute a 25 anni, hanno il potenziale di condizionare la serenità dei successivi 50. E in un mondo dove le carriere scorrono veloci e le aspettative sono altissime, l’unica vera strategia è giocare d’anticipo.
Fonte: Deloitte 24
Pensate ad hoc
Inserite negli spazi del Salone o collocate in luoghi iconici della città di Milano, sorprendenti installazioni
invitano il visitatore a vivere affascinanti esperienze plurisensoriali. Tra design, architettura, luce, suono, arte, poesia, tempo sospeso, introspezione e spiritualità.
L’installazione Mother, del regista e drammaturgo texano Robert Wilson (in foto), all’interno dell’Antico Ospedale Spagnolo al Museo Pietà Rondanini-Castello Sforzesco.
Il design è un processo creativo che attraversa le epoche, reinterpretando il passato e intuendo il futuro attraverso il linguaggio del presente. In questa funzione e seguendo questo processo, la sua commistione con l’arte è spontanea. Addentellato com’è, il design, in particolare con quell’arte che esce dall’artisticità, per porsi - entrambi - nella prospettiva aperta al dialogo con la storia e con l’attualità, con il lusso e l’industria, con l’architettura e le altre arti; con le riflessioni e le emozioni dello spettatore e del fruitore al quale si indirizzano. Una commistione i cui esiti toccano, nell’individuo, corde profonde. Designer e artisti sono senza dubbio te-
Sopra, Library of Light, scultura luminosa e cinetica, progettata dall’artista e designer britannica Es Devlin (a destra) in occasione del Salone del Mobile.Milano 2025. È collocata al centro del seicentesco Cortile d’Onore, che collega la Pinacoteca di Brera, la Biblioteca Nazionale Braidense e l’Accademia di Belle Arti.
stimoni del loro tempo, generano movimenti e rivoluzionano le dialettiche, esasperano forme per trasmettere messaggi e valori, anche mediante il sostegno delle aziende.
In questa cornice si incastonano le varie installazioni realizzate, negli spazi di Fiera Milano Rho e nella città di Milano, da creativi di matrice diversa, e animati ognuno da un diverso spirito. Tra esse, quattro popolano queste pagine, in dialogo con alcuni pezzi delle nuove collezioni di alcune aziende presenti al Salone.
La performance Mother di Robert Wilson al Castello Sforzesco regala al pubblico una Pietà come non si era mai vista, in una commistione di spiritualità, musica sacra e luce di intensità rara. Il capolavoro di Michelangelo Buonarroti è reinterpretato dal regista e drammaturgo texano in una performance che
porta il visitatore a una profonda contemplazione mistica.
A Brera, nel Cortile d’Onore, che collega la Pinacoteca di Brera, la Biblioteca Nazionale Braidense e l’Accademia di Belle Arti, è collocata Library of Light, scultura luminosa e rotante progettata
In alto, lampada da tavolo Alma (design by Controvento), di Contardi.
Qui accanto, di Giorgetti, divano Lorelei
In queste pagine, due installazioni allestite negli spazi di Fiera Milano Rho. In apertura, La dolce attesa, ideata dal regista premio Oscar Paolo Sorrentino, affiancato dalla scenografa Margherita Palli (nelle foto in alto): una metafora del vivere. A destra, l’installazione site-specific Villa Héritage, progettata dallo studio Pierre-Yves Rochon (foto sopra), eclettico maestro dell’ospitalità di lusso. Un’esperienza in cui luce, texture e suono si uniscono per creare emozione.
dall’artista e designer britannica Es Devlin in occasione del Salone del Mobile.Milano 2025. L’installazione cinetica, composta da scaffali illumi-
nati contenenti oltre tremiladuecento volumi, ospita una serie di incontri che intrecciano arte, letteratura, artigianato e riflessioni sul nostro tempo.
Sopra, lampada a sospensione Aliseo (Paolo Castelli).
Al Salone, nei padiglioni 13 e 15, Villa Héritage, dell’architetto francese Pierre-Yves Rochon, maestro dell’ospitalità di lusso, rappresenta l’esperienza di A Luxury Way, proposta espositiva immersiva che celebra un abitare senza tempo. Commenta Pierre-Yves Rochon: “L’eredità non è un vincolo, è una fonte di libertà. Villa Héritage celebra questa dinamica tra storia e creatività contemporanea e coinvolge tutti i sensi, offrendo un’esperienza in cui luce, texture e suono si uniscono per creare emozione. L’arte è la nostra eterna fonte di ispirazione, elevando il design a un dialogo senza tempo con l’umanità”.
Si intitola La dolce attesa il progetto-installazione del regista premio Oscar Paolo Sorrentino: uno spazio atemporale, un ponte invisibile tra presente e futuro, in cui il desiderio si intreccia con il timore di incontrare il destino. Come afferma Sorrentino “l’attesa è angoscia. La dolce attesa è un viaggio. Che stordisce e ipnotizza”. Un luogo indefinito dove tutto è ancora possibile.
Simona Manzione
Sotto, di Molteni&C, tavolo Diamond (design Patricia Urquiola).
Sotto, USM Haller, Soft Panels, versione verde oliva.
Liberare la scultura dalla statuarietà
Emancipatore della scultura dalla sua ieratica compostezza e instancabile sperimentatore, Medardo Rosso rivela la sua radicale forza innovatrice nel dialogo con artisti della sua e di successive generazioni proposto dal Kunstmusem Basel. Persino quando gli accostamenti si fanno più sorprendenti, si coglie un sotterraneo flusso di coscienza: quello di una modernità inquieta e transitoria che cerca la sua essenza destabilizzando le certezze e sublimando l’informe.
Monumentale ed eterna, verticale tanto nella sua proiezione spaziale quanto nella forza assertiva: per secoli la scultura ha glorificato divinità, eroi e sovrani, perpetuandone le fattezze e la memoria. Lo scandalo suscitato nel 1898 dalla rivoluzionarietà del Monumento a Balzac di Rodin , tanto deplorato da dover attendere quattro decenni prima di trovare la collocazione che gli era predestinata, reca in realtà eloquenti segni della ‘paternità’ di un altro artista: Medardo Rosso (1858 Torino - 1928 Milano). Un’insinuazione che avanzarono
La sala che apre la mostra dedicata a Medardo Rosso dal Kunstmuseum Basel, con opere sui piedistalli originali. Al centro, il Bambino malato, 1894, gesso. Sotto, l’artista nel suo atelier in Boulevard des Batignolles,1890.
diversi critici, non certo volendo nobilitare lo scultore italo-francese. I due erano amici di lunga data, si erano addirittura scambiati opere poi rimaste nelle rispettive collezioni, anche se con la polemica i rapporti si guastarono. A Medardo spettavano infatti le invenzioni formali mutuate da Rodin per esprimere la forza creativa del sommo scrittore, ma che fecero inorridire chi aveva commissionato un canonico monumento commemorativo e si trovava davanti un ammasso in veste da camera. Se però Rodin è passato alla storia, Rosso rimane tuttora un outsider, tranne che nella sua Italia - dove in realtà ha poco
vissuto, partito a trentun anni per Parigi e lì rimasto nei tre decenni centrali della sua attività.
A restituirgli la giusta statura, è la mostra appena inaugurata dal Kunstmuseum di Basilea, in programma fino al prossimo 10 agosto. A una cinquantina di sculture di Medardo Rosso sono state affiancate opere di altri artisti, da quelli a lui coevi, come Eugène Carrière, Edgar Degas e Loïe Fuller fino a nomi attuali come Nairy Baghramian, Olga Balema ed Erin Shirreff, passando da Constantin Brancusi, Alberto Giacometti, Meret Oppenheim o Louise Bourgeois. «Sono accostamenti
non evidenti né prevedibili: l’intento è invitare il visitatore a soffermarsi, riflettere, cercare i punti di contatto. Non è tanto una questione di migrazione di forme ma di condivisione di idee, processi creativi e concettualizzazione dell’opera, un comune modo di interrogarsi sull’arte e sulla tradizione», spiega Elena Filipovic, Direttrice del Kunstmuseum Basel, con cui abbiamo avuto la fortuna di visitare in anteprima la mostra, organizzata in collaborazione con il mumok di Vienna, dove ha esordito nel 2024 e che a Basilea viene presentata in una nuova edizione arricchita da confronti inediti.
Se ormai i musei sempre più spesso ricorrono all’espediente del dialogo fra le loro collezioni e l’artista ospite (in larga parte per abbattere i costi di produzione e non solo per valorizzare il proprio patrimonio), in questo caso l’impostazione rispecchia una modalità espositiva cara allo stesso Medardo, che amava orchestrare ‘incontri’ fra le sue opere e quelle di altri autori. Se ne ha un saggio proprio nella sala iniziale, al pianterreno del Neubau,
«Con gli accostamenti non prevedibili fra opere di Medardo e di artisti a lui coevi e successivi proposti in mostra vogliamo invitare il visitatore a interrogarsi. Non è tanto una questione di migrazione di forme ma di condivisione di idee, processi creativi e concettualizzazione dell’opera, un comune modo di interrogarsi sull’arte»
Elena Filipovic, Direttrice del Kunstmuseum Basel
dove viene proposto un trio che riunisce il suo Ritratto di Henri Rouart (1890), il Torse de l’Homme qui marche di Rodin (1878-79) e le Cinque bagnanti di Cézanne (1885-87) emulando l’accostamento creato da Rosso al Salon d’Automne del 1904.
Visitando la mostra, si scopre un Medardo innovatore a 360 gradi: non solo di forme, materiali e linguaggio, ma anche nel processo creativo, per tecniche
La serialità è un aspetto caratterizzante della produzione di Medardo Rosso, che su un ristretto repertorio di motivi sperimenta infinite varianti, nobilitando anche materiali come il gesso e la cera, all’epoca usati solo per i modelli. Qui due esempi, in bronzo e cera su gesso, dell’Ecce Puer, ultimo tema creato nel 1906. La tenda da cui il bambino spunta giocando si fonde con la sua effigie.
il corpus di opere in possesso dei musei e ancor meno ne siano disponibili sul mercato, spingendo al rialzo le quotazioni. «Addirittura, eseguiva lui stesso il processo di fusione delle sculture in bronzo, organizzando spettacolari sedute con tanto di invitati. Ma il suo fu soprattutto un incessante lavoro di rielaborazione, come dimostra la continua insistenza su un ristretto repertorio di motivi, una quarantina circa (l’ultimo è l’Ecce Puer, raffigurante un bambino che spia il salotto paterno da dietro una tenda, del 1906), che riprende con variazioni anche minime di angolazione, dettagli e finitura. Ma non c’è un’opera uguale all’altra, come confermano le numerose varianti di uno stesso tema affiancate in mostra, persino quando il materiale è lo stesso», sottolinea la Direttrice del Kunstmuseum Basel.
e allestimenti. Transmediale ante litteram. Mentre Rodin aveva alle proprie dipendenze un atelier per produrre in serie esemplari identici con cui presidiare il mercato, Rosso non derogò mai al controllo più minuzioso della propria opera: realizzava con le sue stesse mani ogni singolo lavoro, il che ha contribuito ovviamente a limitarne circolazione e notorietà, e oggi fa sì che ristretto ne sia
Gesso e cera, di solito utilizzati per i modelli preparatori, diventano per Medardo i materiali di elezione per l’opera finita, fragili e modesti come i soggetti che raffigura. In particolare la cera - che aveva imparato a conoscere e manipolare nell’unico anno all’Accademia di Brera, dove aveva seguito i corsi di disegno della Scuola di Anatomia - con la sua precarietà fra stato solido e liquido, sempre pronta a deformarsi, viene elevata a principio stesso dell’instabilità della sua scultura, al contempo permettendo grazie alla sua malleabilità e traslucenza
di sperimentare nuovi effetti atmosferici nella resa delle superfici. Ma c’è di più: consapevole del ruolo giocato dal contesto nella percezione della scultura, Rosso guarda oltre la singola opera, in almeno due sensi. Se da una parte l’ambiente circostante ‘entra’ nel personaggio, spingendolo ai confini dell’astrazione, dall’altra Medardo è attentissimo regista degli allestimenti con cui presenta le sue opere. Sempre la grande sala con cui si apre il percorso del Kunstmuseum Basel ne offre la massima dimostrazione: al centro, un nucleo di opere dell’artista è collocato sui supporti originali, messi a disposizione dal Museo di Medardo Rosso a Barzio, gestito dai suoi eredi: non semplici piedistalli, ma vere e proprie gabbie, tanto simili a quelle poi giacomettiane, artista che ne fu ispirato dichiaratamente a moltiplici livelli. «La messa in scena era una parte essenziale del significato del lavoro di Medardo, che era convinto che nulla esistesse in modo isolato, quindi non solo progettava un ambiente più ampio intorno alle sue opere, ma stabiliva anche meticolosamente le condizioni della loro presentazione. Si serviva di queste teche munite di vetro non solo per proteggere opere fragili come quelle in gesso e in cera, ma per vincolare il punto di vista dello spettatore, imponendo una visione frontale. Noi invece, andando per una sola volta contro la sua volontà, le abbiamo collocate in posizione centrale per consentire di osservarne anche la parte posteriore, le tracce della lavorazione, l’enfasi della ma-
La mostra del Kunstmuseum Basel gioca con accostamenti fra opere di Medardo e altri artisti: da quello da lui stesso proposto al Salon d’Automne del 1904, affiancandosi a Rodin e Cézanne (sotto), ad abbinamenti inattesi con nomi coevi e contemporanei. Perfettamente riuscito quello con Giacometti e la versione deluxe della Boîte-en-valise di Duchamp (sopra), con i quali condivideva l’attenzione alla messa in scena della propria opera.
Medardo la integra nel processo creativo: «Scattava e sviluppava lui stesso i negativi, se ne serviva per verificare come angolazioni, luci e inquadrature influissero sulla percezione, modificava i negativi e quando otteneva il risultato a cui aspirava interveniva sul modello e poi tornava in camera oscura. Dal 1902 inizia anche a esporre queste piccole fotografie e i collage che ne ricavava accanto alle sculture, considerandole molto più di una semplice documentazione. Addirittura, servendosi della macchina fotografica come di una fotocopiatrice, immortalava ed esponeva i suoi schizzi, facendone un mezzo per approfondire le questioni che lo animavano. Tanto che, malgrado li realizzasse su supporti di fortuna, come biglietti d’invito, buste o menu, li firmava», rivela Elena Filipovic. Delle 500 fotografie note, circa la metà sono presentate in mostra.
terialità e la radicalità delle forme», spiega Elena Filipovic, cocuratrice della mostra insieme alla Vicedirettrice generale del mumok Heike Eipeldauer.
Strumento prediletto da Rosso per studiare la percezione delle proprie opere fu la fotografia.Un altro campo in cui si dimostra pioniere. A differenza di Rodin che ingaggiava fotografi di fama per promuovere le sue sculture in modo trionfale,
Salendo al primo piano, in ciascuna delle sette sale, attraverso la compresenza con le opere di altri artisti, la mostra permette di comprendere come Medardo il mimetismo della tradizione figurativa si sia avviato a lasciar spazio a una destabilizzazione di strutture, canoni e forme che ancora oggi prosegue. Il suo anelito a cogliere l’istante, come l’affiorare di un sorriso su un volto, la prosaicità dei soggetti scelti, lo studio degli effetti della luce, il rapporto con le tecnologie della modernità, la serialità, ne fanno l’impressionista delle arti plastiche. Ma innovatore Medardo Rosso lo è stato in un senso ancor più radicale, sposando la feroce critica di Baudelaire alla scultura del suo tempo, bollata come noiosa, antiquata, incapace nella sua ieraticità di cogliere l’inquietudine e la transitorietà della modernità. Medardo è il primo a rivitalizzarla ribaltandone i presupposti: “Ciò che per me è importante nell’arte è dimenticare la materia” scriveva (e siamo nel 1902!) “Uno scultore deve riassumere le impressioni ricevute e comunicare tutto ciò che ha toccato la sua sensibilità in modo tale che, contemplando la sua opera, si possa percepire interamente l’emozione provata guardando la natura”. Un’emozione che arriva tutta allo spettatore del 2025: densa e destabilizzante. Nel suo essere sempre presente, eterna.
DI UFFICIALI, ISTRUTTORI E COMANDANTI DEI POMPIERI
Le attività di leadership nelle funzioni di milizia sono state finora poco riconosciute in Svizzera, così come le esperienze e le competenze dei pompieri. I capi milizia assumono talvolta funzioni di comando complesse e di alta responsabilità.
Swiss Leaders ha sviluppato un certificato e i relativi modelli di competenza in collaborazione con la Coordinazione svizzera dei pompieri (CSP).
In collaborazione con
Come si ottiene il certificato?
Chi è ufficiale, istruttore o comandante dei vigili del fuoco può ottenere un certificato delle competenze di leadership Swiss Leaders.
Fase
Fase 4
Transazioni e transizioni
Sakania. Monete a forma di lama di vanga. Ciad. Sara. Musec, Collezione Antonini.
Da monete cerimoniali ed emblemi del potere nelle comunità africane di origine a oggetti di design da collezionare nelle dimore di una raffinata Europa, sedotta dalla capacità di sintesi delle loro forme e dall’esotismo. Un itinerario di risemantizzazione lungo cui accompagna il nuovo progetto espositivo del Musec di Lugano. Tra valori tradizionali e nuovi significati, a rimanere immutata è l’arcana forza di cui sono custodi.
Per il lettore di una testata specializzata in economia e finanza, questa è indubbiamente una mostra intrigante. Cadendo prima sulle immagini che sul testo, l’occhio potrebbe categorizzarla come un’esposizione di arte extraeuropea: bracciali, cavigliere e monili, lame di vanghe e zappe, coltelli da lancio, bastoni rituali, tessuti… Il luogo conferma: siamo al Museo delle Culture di Lugano. Il titolo African design. I metalli del potere, potrebbe innescare un primo cortocircuito, accostando due dimensioni di per sé estranee: design (siamo quindi nella sfera dell’estetica e della funzionalità) e potere (istanze politiche, economiche e spirituali). I quattrocento oggetti qui riuniti sono infatti stati monete, in uso tra fine Ottocento e inizio Novecento in Africa occidentale e centrale, poi divenute nel Vecchio mondo oggetti da collezionare. Monete che spiazzano la logica di chi, impregnato del paradigma mercantile, al denaro attribuisce le funzioni di mezzo
di scambio, unità di conto e riserva di valore, a prescindere dalla forma - metallica, cartacea, scritturale e, sempre più, digitale. Ma le monete esposte al Musec sono tutt’altro che lo strumento asettico e impersonale che permette una miriade di scambi istantanei, indipendenti e reversibili, muovendo gli ingranaggi di produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi. Come ben sottolinea nel suo saggio incluso nello splendido catalogo a prezioso complemento alla mostra René Chopard, già Direttore del Centro di Studi Bancari, nell’ottica olistica di queste comunità africane la moneta era invece portatrice dei loro valori fondanti, contribuendo con la sua stessa circolazione a perpetuarne l’organizzazione sociale. La stessa fattura di questi oggetti, alla preziosità dei materiali - non inganni che molti siano in ferro, relativamente scarso in Africa, quindi importato e preziosoabbina la raffinatezza estetica e la stratificazione di elementi simbolici, tanto che, pur richiamandosi a forme di strumenti
agricoli, di armi o gioielli, perdevano la funzione originaria, come denotano le dimensioni ragguardevoli o le forme curiose che li rendono inadatti all’impiego pratico, elevandoli a oggetti di rango. Più che nei correnti scambi commerciali, queste monete tradizionali venivano infatti impiegate in transazioni di rilievo sociale, ad esempio alleanze matrimoniali (il bride price, concetto opposto a quello della nostra dote, pagato alla famiglia della sposa periodicamente per indennizzarla della cessione della figlia) e l’acquisto di schiavi (non solo oggetto della tratta atlantica, ma anche nel commercio interno) oppure per transazioni simboliche (come i kissi penny, detti “monete con l’anima”, fasci di barrette di metallo martellate simili a mazzi di fiori, usate per pagare i guaritori locali, unendo al valore economico quello spirituale).
Il contesto in cui questi oggetti sono stati utilizzati viene rievocato al pianterreno dello Spazio Mostre di Villa Malpensata, come sottolinea anche l’allestimento,
Loggo (o kulluti), moneta a forma di lama di pala. Repubblica del Sudan del Sud. Bongo. Musec, Collezione Coray.
giocato sulle calde tonalità africane del giallo e del marrone scuro. È l’occasione anche per ricordarne gli artefici, i fabbri, sorta di alchimisti in grado di trasformare nelle loro fucine gli elementi primordiali e mettere in comunicazione il mondo degli uomini con quello di spiriti e forze della natura, capacità che conferiva loro uno status ambivalente, fra prestigio ed emarginazione.
Se dai fabbri e, ancor prima che da essi venissero forgiate, dalle culture e dai sistemi di pensiero e valori che ne sono il sostrato, parte il processo di concezione e realizzazione di queste ‘monete’, il loro percorso non si è concluso con la loro caduta in disuso. Con una netta cesura, manifesta nel salto cromatico dell’allestimento della mostra che vira al minimalismo del bianco, richiamando il white cube tipico degli spazi espositivi della seconda metà del Novecento, al secondo piano del percorso di visita ci si trova a guardare agli stessi oggetti con gli occhi degli occidentali, sedotti dalle qualità grafiche ed espressive di questi manufatti, permeati dalla forte carica simbolica e dall’esotismo della loro provenienza. Dapprima importate in Europa nell’Ottocento, per documentare la conoscenza dei popoli dell’entroterra del continente africano che si cominciava allora ad esplorare e colonizzare, se inizialmente le monete cerimoniali hanno fatto parte delle opere di art nègre che hanno indi-
Guinzé (o kissi penny). Monetaregalia. Guinea, Sierra Leone e Liberia. Musec, Collezione Antonini.
cato agli artisti delle avanguardie la via per rompere il predominio del realismo, hanno successivamente attirato l’attenzione dei collezionisti. In particolare, dal secondo dopoguerra, negli anni del boom economico, conquistano sempre più i ‘ricchi signori’ che ne popolano gli interni delle proprie dimore parigine o newyorkesi, conquistati dalla loro singolare bellezza, dalla stupefacente capacità di sintesi di forme estremamente moderne nella loro semplicità e potenti nella
Onzil (o musele), Coltello da lancio con lama ‘a testa di uccello’. Camerun, Gabon. Fang, Kota. Musec, Collezione Coray.
loro aura primitiva. Lo confermano anche le motivazioni dietro le due importanti collezioni costituite, rispettivamente, da Giorgio Antonini e da Pieter e Catherine Coray, dalla cui musealizzazione è nato il progetto African Design, completato con prestiti della Collezione Rossini e opere della Collezione Nodari, di proprietà del Cantone e depositata al Musec.
I due curatori, Paolo Maiullari e Moira Luraschi, insieme a Marta Santi, responsabile dell’allestimento, hanno saputo in-
Affascinato dall’aspetto moderno e dalla sintesi formale, che sentiva così vicina alla stilizzazione di un Giacometti, delle monete tradizionali africane scoperte durante i suoi viaggi di lavoro in Africa negli anni Settanta, Giorgio Antonini ha costituito la sua collezione, circa 190 pezzi, tra gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Duemila, periodo del boom per questo mercato di nicchia, acquistandone la maggior parte fra Inghilterra, Belgio, Francia e Italia. La sua donazione al Musec nel 2018 (che segue quella del 2016 della collezione di pettini ornamentali creata con la moglie Gabriella) è stata il primo tassello che ha permesso di dare avvio al progetto African Design
La Collezione Coray
Nonostante Pieter Coray fosse già immerso nell’arte africana grazie al padre Han Coray, noto collezionista, le monete africane di metallo erano rimaste fuori dal suo radar. La scintilla è scoccata presso la galleria parigina di un mercante di arte africana in Rue de la Seine dove, insieme alla moglie Catherine, le ha scoperte. Ne è nata l’idea di creare una raccolta che documentasse un genere singolare, poco diffuso e conosciuto. Anche nel loro caso, circa 190 opere, soprattutto acquistate a Parigi, che nel 2019 hanno consegnato come deposito a tempo indeterminato al Musec.
Arte e finanza, affinità elettiva
Il netto salto cromatico fra le calde tonalità e il bianco minimal sui due piani dell’allestimento a Villa Malpensata sottolinea il processo di risemantizzazione delle monete africane nel passaggio dalle comunità originarie all’Europa, da emblemi di potere a oggetti di design.
Una mostra sulle monete non poteva che essere sostenuta da una banca? Efg non si è improvvisata principale sponsor di African Design. Metalli del potere per il facile richiamo esercitato dal tema. «Nel tempo, Banca del Gottardo, Bsi ed Efg non solo hanno collezionato complessivamente 1500 opere di artisti svizzeri e internazionali, giovani e affermati, ma anche avviato importanti collaborazioni come quella con la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, di cui siamo
Institutional partner da diversi anni, oltre aver sostenuto iniziative che dimostrano l’interesse per gli ambiti uniti con maestria da questa nuova mostra del Musec, quali la numismatica e l’arte africana. E già vent’anni fa, Banca del Gottardo è stata il primo sponsor del rilancio del Museo delle Culture», sottolinea Franco Polloni, Responsabile della regione Svizzera e Italia di Efg (in foto). L’intreccio fra finanza e arte è d’altronde inscritto nel private banking, con l’arte fra gli investimenti alternativi e i collezionisti fra i clienti delle banche. «Ma colgo un’ulteriore analogia. Ancor prima della Bns, dal 1883 al 1907 la Banca della Svizzera italiana è stato l’unico istituto di credito autorizzato a emettere banconote per il territorio del Canton Ticino. Ecco che le figure allegoriche cesellate da grafici svizzeri su quei biglietti di banca per indicare valori come la solidità e la coesione rappresentati dall’Helvetia con scudo e spada sul taglio da 50.- Chf o la laboriosità cui alludeva la filatrice su quello da 100.-, trovano un corrispettivo nell’estrema cura estetica posta dagli anonimi fabbri africani nelle opere presentate in questo progetto espositivo. E, in entrambi i casi, era richiesta una grande fiducia affinché degli oggetti, siano pezzi di metallo o di carta, potessero effettivamente rivestire il valore espresso», evidenzia Franco Polloni. Una sponsorship che conferma come un istituto bancario possa contribuire a preservare e promuovere il valore dell’arte, nonché supportare la vita economica e sociale delle comunità in cui opera.
terpretare alla perfezione la filosofia del Musec: un’antropologia dell’arte che, invece di focalizzarsi su un singolo momento storico - per quanto fondante e complesso - cerca di percorrere l’intera
traiettoria di assimilazioni e risemantizzazioni, dal substrato che porta alla germinazione di un’opera alle sue estreme rifioriture, nella consapevolezza di come la stagione presente non sia che transito-
ria nel ciclo di un perenne divenire. Frutto di oltre sei anni di ricerche, African design. I metalli del potere (in programma fino al 21 settembre) a sua volta è un perfetto tassello del progetto Altrarti , lanciato dal Musec nel 2005 richiamandosi alle sue stesse ragioni fondanti, indicate da Serge Brignoni (1903-2002) nel valore che le arti etniche hanno avuto nell’elaborazione dei linguaggi artistici dell’umanità. Ecco allora che le quattrocento opere qui convocate, osservate attraverso ottiche disciplinari complementari, evidenziando la complessità di significati e valori in gioco, inscrivendo la creatività nel multiforme divenire delle manifestazioni della cultura. Fino ad arrivare alla contraddizione odierna, illustrata a fine percorso, di un’Africa che, nostalgica di sé stessa, della propria identità spazzata via dalla modernità ma ancora parte della sua coscienza collettiva, incontra la domanda di un Occidente che a propria volta idealizza un’Africa altrettanto inesistente. Ecco dunque gli artigiani locali di oggi esoticizzare la propria stessa cultura, emulando forme e oggetti della tradizione per soddisfare le richieste degli acquirenti, enfatizzandone gli elementi particolarmente apprezzati, ma tradendone lo spirito: da monete a merce.
Sorprendente, compatta e aggressiva. Uno dei modelli più audaci e tecnicamente avanzati della leggendaria Casa.
Dicono che le idee migliori arrivino nei periodi di crisi. Non sempre è vero ma nonostante l’aria fosse decisamente pesante in Alfa Romeo in quel periodo (nel 1987 l’azienda era stata ‘regalata’ alla Fiat con un’operazione molto contestata che ne segnò l’inesorabile destino) il patrimonio tecnico e umano della prestigiosa Casa automobilistica era ancora ricco, vibrante e pieno di idee.
contenuti tecnici e stilistici, attingendo all’immenso bagaglio tecnico di Arese che, va ricordato e sottolineato, all’epoca era ancora impegnata sul fronte delle attività sportive.
Partendo quindi dal telaio della 75 Imsa, versione da corsa della popolare berlina, con le sue soluzioni tipiche delle vetture da competizione e le eccezionali qualità di tenuta di strada che permettevano alla vettura di superare il valore di
Alfa Romeo SZ ES 30, una supercar sperimentale, con il grandioso propulsore a sei cilindri, l’iconico volante Momo e alcune soluzioni stilistiche che hanno fatto scuola.
Fu quindi in un clima quasi di carboneria interna che, nel giro di pochi mesi, un ristretto gruppo di ingegneri e progettisti diede luce a uno dei modelli più audaci e tecnicamente avanzati della casa milanese: Alfa Romeo SZ ES 30.
L’intenzione era quella di dimostrare la capacità di creare una supercar sperimentale che potesse stupire il mondo per
1G in curva, il gruppo di progetto capitanato dall’ingegner Iacoponi e coordinato da Giorgio Pianta, pilota e collaudatore che ne seguì lo sviluppo in pista, decise di adottare il grandioso propulsore a sei cilindri, progettato dall’ingegner Busso e portato a 3 litri di cubatura e 204 cavalli di potenza, montato in posizione longitudinale e abbinato alla trazione posteriore come si conviene a una vera vettura sportiva.
Il più era fatto ma mancava il vestito, che è sempre stato un fattore determinante per tutti i modelli sportivi Alfa Romeo. Dopo un rapido beauty contest interno, fu deciso di adottare il progetto del Cen-
tro Stile Alfa Romeo, opera del grande designer Robert Opron, affidandone la finitura e il montaggio alla Carrozzeria Zagato e utilizzando un mix di materiali compositi mai impiegati prima.
Il risultato fu una vettura che fece scalpore fin dalla sua presentazione al Salone di Ginevra del 1989; sconcertante, innovativa, compatta e aggressiva, con alcune soluzioni stilistiche che hanno fatto scuola, come i gruppi ottici anteriori a sei fari, ripresi anni dopo su modelli come Tonale e Giulia.
Spente le luci della ribalta, la vita dopo il lancio non fu però altrettanto scintillante e a poco valse la decisione di impiegare alcuni esemplari per realizzare un campionato che faceva da contorno ai Grand Prix di Formula 1. Le difficoltà produttive e le lotte intestine in azienda fecero il paio con una crisi economica che si affacciava e che culminò nella tempesta valutaria del 1992 e il destino commerciale della SZ ES30 terminò con poco più di mille esemplari prodotti, ai quali seguirono circa 250 modelli con capote in tela, denominati RZ, molti dei quali languirono tristemente nei magazzini dei concessionari, a lungo invenduti.
Chi oggi ha il privilegio di guidarla impugnando il bel volante Momo e sedendosi dietro al suo parabrezza dalle audaci curvature, ne percepisce tutto il potenziale inespresso, tutto il fascino straordinario di un’auto dal montaggio artigianale che non poté certo competere con la concorrenza tedesca ma conserva ancora il suo carattere unico e una guida davvero entusiasmante. Fu l’ultima vera sportiva di razza, pensata, voluta e costruita tutta in Alfa Romeo.
testo e foto di Marco Betocchi
Propulsioni per ogni esigenza
Elettrica, ibrida o diesel mildhybrid? In tanti sono in dubbio sul tipo di motorizzazione su cui puntare, fra pro e contro delle possibili alimentazioni, mentre il settore delle elettriche è in forte discussione. Tre diverse proposte per guidare la scelta fra gli ultimi modelli.
Renault Rafale Esprit Alpine e-Tech full hybrid 200
Proposta esclusivamente con motorizzazioni ibride, la Renault Rafale si presenta spaziosa, ben rifinita e con uno stile deciso. Ha quattro ruote sterzanti, sistemi Adas precisi ed è un suv coupé con forme massicce ma anche aerodinamiche. I gruppi ottici anteriori sono sdoppiati, sopra proiettori Matrix Led, sotto luci diurne che riprendono la forma del rombo. I grossi cerchi da 20 pollici le conferiscono una silhouette molto bella e dinamica. L’impostazione generale della plancia riprende quella dell’Espace ma con un passo avanti per la cura di rifiniture e scelta dei materiali utilizzati. L’allestimento top di gamma Esprit Alpine offre rivestimenti in Alcantara sui sedili e similpelle per volante e pannelli porta. Bel tocco anche la moquette azzurra all’interno dei vani laterali. Il sistema di infotainment con display verticale da 12 pollici usa Android Automotive con Google Maps integrato oltre a Google Assistant e tante altre app. Assai scenografico il tunnel centrale con
maniglione di ispirazione aeronautica che aiuta a poggiare il gomito per utilizzare i tasti touch della climatizzazione e che ospita la ricarica a induzione per smartphone. I sedili della terza fila sono accoglienti e non ci sono problemi di spazio per ginocchia e testa, la vera chicca è il bracciolo che integra dei vani rivestiti, due prese Usb aggiuntive e, soprattutto, un sistema rotante con due supporti per bottigliette, tablet o telefoni per intrattenere chi siede dietro. Generoso il bagagliaio da 627 a 1.900 litri con il divano abbattuto. Monta un benzina 1.2 tre cilindri da 130 Cv, un motore elettrico di trazione da 70 Cv e un altro motore elettrico che ha le funzioni di avviamento e generatore e di azionamento del cambio automatico, cioè un’unità multimodale che consente un utilizzo in serie-parallelo. Può muoversi esclusivamente in elettrico ma anche solo con il motore termico, oppure quest’ultimo può funzionare da generatore di energia per caricare la batteria. Il funzionamento è completamente automatico per ottimizzare l’efficienza
Renault Rafale Esprit Alpine e-Tech full hybrid 200
e le prestazioni, privilegiando la guida in elettrico quando le condizioni sono adatte. Il conducente può scegliere tra la modalità di guida più confortevole o sportiva con i paddle al volante impostando, su quattro livelli diversi, l’intensità della frenata rigenerativa al rilascio del pedale dell’acceleratore. Grazie al sistema opzionale 4Control, le ruote posteriori sterzano fino a 5 gradi in controfase alle basse velocità e fino a 1 grado con andature più decise, premiando stabilità e direzionalità. Lo 0-100 avviene in 8,9” e la velocità di punta è di 180 km/h. In listino a partire da 44.300.- franchi.
Kia
EV6 GT Line
È la prima elettrica della casa coreana a sfruttare la piattaforma E-Gmp specifica per auto elettriche. Lunga 470 cm e con 155 cm assai bassa per una crossover, ha una linea originale e sportiveggiante. Questa forma particolare e la batteria sotto il pianale assieme al passo lungo 290 cm, offrono ampio spazio anche ai passeggeri posteriori. Due i bagagliai, anteriore per depositare i cavi di ricarica e una borsa della spesa o una piccola valigia, e posteriore con doppio vano. La versione base propone un motore posteriore da 228 cavalli a trazione posteriore, con scatto e riprese vigorosi, che lo diventano ancora di più nella 4x4 e con almeno 325 Cv, dove una seconda unità elettrica muove le ruote anteriori. In marcia si gode di un’eccellente insonorizzazione e le sospensioni incassano bene le buche, quasi come se si viaggiasse su un tappeto volante. Non male neppure l’autonomia con oltre 450 km reali nel nostro testdrive, soprattutto considerando le sfavorevoli basse temperature esterne e i parecchi tratti autostradali, le prestazioni in ricarica sono davvero elevate con 11 kW in corrente alternata e ben 240 in quella continua, riducendo i tempi delle fermate.
Ricca la dotazione in sicurezza, compresa la guida semiautonoma. Solo sulle versioni più care invece optional come i fari a matrice di led. In listino a partire da 49.950.- franchi per la versione monomotore, mentre con doppio motore e trazione 4x4 da 62.600.- franchi e 68.900.- franchi per la top di gamma GT Line del nostro testdrive.
VW Passat Variant 2.0 Tdi
Cambio di marcia per la nuova Volkswagen Passat: più imponente e confortevole, linee esterne più pulite ed equilibrate, all’interno è più spaziosa e tecnologica, risultando ideale per i grandi viaggi. Tante attenzioni migliorano l’esperienza di conducente e passeggeri, dalla dotazione infotainment alla climatizzazione allo spazio, incluso il bagagliaio che offre un minimo di 690 litri.
La gamma motori è ideale per una clientela business o da flotta aziendale
con il nuovo benzina mild-hybrid eTsi che permette di tener bassi i costi di gestione con un 1.5 quattro cilindri da 150 Cv e di sfruttare un modulo elettrico a 48V per avere 19 Cv aggiuntivi e disattivare due dei quattro cilindri quando non è richiesta particolare potenza. Il turbodiesel 2.0 offre tre livelli di potenza: 122, 150 o 193 cavalli, quest’ultimo a trazione integrale 4Motion di serie. A completare la gamma motori c’è l’ibrida plug-in da 177 o 272 Cv con batteria 19,7 kWh che offre fino a 100 km di autonomia puramente elettrica, ideale per chi compie quotidianamente lo stesso tragitto e può ricaricare agevolmente a casa o a lavoro. La vera chicca però si chiama “Dcc Pro”, un sistema attivo di sospensioni a controllo elettronico che legge le condizioni stradali, adattando individualmente la rigidità di ogni ammortizzatore, a sua volta dotato di due valvole per gestire al meglio la fase di estensione e di compressione. Si può anche regolare a mano in 14 posizioni diverse il livello di taratura, da rigido a morbido. In listino da 44.600.- franchi, con la versione Elegance con 2.0 diesel da 150 cavalli del testdrive da Chf 55.900.-
Claus Winterhalter
Kia EV6 GT Line Volkswagen Passat
Un anno con noi
Edizione dopo edizione, in dialogo con i protagonisti, per approfondire l’attualità economica e finanziaria, e per raccontare tradizione e tendenze, dall’arte al lifestyle
Abbonamento annuale
Ticino Management (9 edizioni)
Abbonamento annuale
Ticino Management Donna
In combinazione
Ticino Management + Ticino Management Donna
PER ABBONARSI
abbonamenti@eidosmedia.ch
Editore
Eidos Swiss Media Sagl • Via Lavizzari 4 - 6900 Lugano • info@eidosmedia.ch