nel cuore dell’inverno che si rinnovano le tradizioni più rappresentative della nostra cultura. Legate alle festività di fine anno, come insieme di pratiche, riti, credenze che si tramandano da una generazione all’altra, le tradizioni incorporano in avvenimenti e gesti un certo novero di valori.
Linfa vitale di una società, i valori non solo plasmano le tradizioni, ma sono i principi che orientano, dalle leggi alle interazioni quotidiane, le diverse sfere della vita. Che orientano i nostri comportamenti, definendo ciò che riteniamo giusto o sbagliato.
Se in passato questi valori erano spesso cristallizzati in dogmi religiosi, filosofici o morali condivisi, oggi sembra che siano in continua revisione o addirittura in conflitto. A volte solo enunciati, senza poi essere attuati.
Il tema del ‘valore’ attraversa le pagine di questo numero di Ticino come un delicato fil rouge. Senza nessuna pretesa scientifica o antropologica, ma come spunto o curiosità.
Nel dialogo con i nostri intervistati ed autori, sono emersi il valore della filantropia, che in Ticino ha una lunga tradizione, e quello del patrimonio culturale immateriale che, come eredità intangibile e inestimabile in cui si inscrive la storia umana, è tutelato dall’Unesco. Per la parità di genere, pur riconosciuta costituzionalmente come valore, oggi continua ad essere necessario un cambiamento culturale ed etico, come la decostruzione degli stereotipi di genere e la lotta al sessismo in tutti gli àmbiti di vita.
In queste pagine trovano spazio, inoltre, il valore della cura rigenerante in un mondo che punta alla performance e il valore dell’accoglienza, che sia in casa o in un hotel cinque stelle.
Considerato che a Natale siamo tutti più buoni, quello della gentilezza è un valore magicamente di attualità. C’è chi ne ha
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Come ogni anno, questo è un momento di bilanci. Una splendida opportunità per rinnovare il patto di coerenza con i propri valori, per la realizzazione dei propri propositi: che in
Simona Manzione
IN QUESTO NUMERO
Quanto vale la filantropia?
10
12
Un patrimonio inestimabile
Traghettare nel futuro la grande tradizione elvetica delle fondazioni.
Pratiche e tradizioni immateriali salvaguardate dall’Unesco.
18 44
Un’equazione ancora da risolvere
Il percorso verso l’uguaglianza di genere nella vita professionale.
L’accoglienza regale dell’hôtellerie 5 stelle
La cultura dell’ospitalità fra grande storia e nuovi trend.
52 56
Consapevoli di sé
Imparare a rivendicare il proprio valore economico.
Dati alla mano
Estrarre valore e conoscenza dai dati per fornire risposte concrete.
82 78
Essere artigiani per vocazione
Lo scrigno delle meraviglie di ‘Hermès in the making’ a Zurigo.
Figlie d’arte, quando il passato ispira il futuro
Evolvere, senza perdere di vista la filosofia imprenditoriale di famiglia.
VALENTINO
IN COPERTINA: Elsa Libell con la piccola Maya
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Tempo di fiocchi e cristalli... quelli dei doni senza i quali non sarebbe Natale e di una neve che rinnova lo spirito dell’inverno con la sua bianca magia. Da condividere, come tutte le tradizioni
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Henry Peter è presidente del Consiglio della Fondazione Masi, l’organo direttivo del Museo d’arte della Svizzera italiana, del quale ha fatto parte come membro fin dalla sua creazione nel 2015.
In Ticino, è anche presidente del Consiglio della Fondazione per le Facoltà di Lugano dell’Università della Svizzera Italiana e membro del Consiglio dell’Usi. Giurista, specializzato in diritto societario, dal 1988 è professore ordinario di Diritto all’Università di Ginevra, dove dirige anche il centro multidisciplinare dedicato alla filantropia. Da lui creato nel 2017, il Centro di Filantropia di Ginevra è, ad oggi, un unicum sul piano internazionale.
In Ticino la maggior parte delle organizzazioni erogatrici opera a livello locale, ma sono presenti diverse fondazioni attive anche all’estero. «Nonostante la massiccia presenza di fondazioni erogatrici in questo cantone rispetto alla media svizzera, penso che la filantropia abbia ancora un grande potenziale di sviluppo, per favorire il quale occorre tuttavia migliorare le condizioni quadro non solo per le fondazioni, ma anche per i donatori e le iniziative non profit, incluse quelle ricollegabili al mondo aziendale», prosegue Henry Peter.
Proprio partendo da tale presupposto, «Nel 2017, all’Università di Ginevra ho creato un centro pluridisciplinare dedicato alla filantropia (Geneva Centre for Philanthropy, GCP). Il Centro si interessa non solo al ‘come’, ma anche al ‘perché’ svolgere attività altruistiche.
Quanto vale LA FILANTROPIA?
La Svizzera è il Paese al mondo con più fondazioni in rapporto alla popolazione. In Ticino il loro numero è raddoppiato in vent’anni, attestandosi a 832. Tuttavia, si può fare di più
Dal punto di vista della filantropia, «Il Ticino è una realtà fertile», esordisce Henry Peter, «con diversi protagonisti e un numero crescente di iniziative. Relativamente ai settori che beneficiano di sostegni filantropici, gli stessi spaziano dal sociale alla sanità, dall’istruzione alla ricerca, all’arte e alla cultura. Se, invece, si prende in considerazione la distribuzione geografica delle fondazioni ticinesi sotto vigilanza cantonale emerge una loro maggiore concentrazione nel Luganese». Dalle 410 fondazioni esistenti in Canton Ticino nel 2000 si è passati alle 832 registrate alla fine dello scorso anno. «La densità di 23,3 fondazioni ogni diecimila abitanti rappresenta una media superiore a quella nazionale», commenta Henry Peter. Di pari passo con questa evoluzione, il comparto si è progressivamente strutturato nel corso degli ultimi anni. In particolare, con la creazione nel 2020 del Cenpro, Centro Competenze non profit, e nel gennaio 2023 dell’Associazione Asfesi, che riunisce le fondazioni erogative della Svizzera italiana. Mentre, a fine 2023, è stata istituita la Fondazione Mantello Filantropia (Fmf), con l’obiettivo di facilitare l’accesso al dono, aprendo a chiunque disponga di un capitale anche limitato».
A tal fine, entrano in campo economisti, giuristi e specialisti di management, ma anche psicologi, filosofi, specialisti dell’etica, dell’economia comportamentale oltre che delle neuroscienze. Molto importante è anche il partenariato con fondazioni donatrici o operative: oggi il GCP beneficia del supporto di ben nove fondazioni di primissimo piano».
In che modo dunque far emergere il potenziale ancora inespresso della filantropia?
«Da una parte creando condizioni quadro adeguate, volte a rendere il Cantone più attraente. Possiamo pensare ad esempio alla fiscalità la quale, quando favorevole, costituisce un incentivo alla creazione di fondazioni di interesse pubblico e quindi a donazioni, non di rado importanti. Questo produce un effetto tanto diretto a sostegno di iniziative per la società, quanto indiretto per l’indotto che ne deriva. Non solo. Si potrebbe pensare a una ideale piattaforma di incontro e di scambio istituzionale tra operatori privati e pubblici per l’elaborazione e l’attuazione di un’agenda strategica di iniziative che accompagnerebbero e completerebbero gli interventi pubblici. Il mondo delle fondazioni - il ‘terzo settore’ - è in continua evoluzione. Basti pensare che negli ultimi dieci
anni si stima che il loro capitale complessivo a livello nazionale è raddoppiato passando da 70 a 140 miliardi». Una spinta volta a favorire lo sviluppo del potenziale della filantropia si collega ai valori aziendali, «Facendo leva su quell’insieme di valori che oggi la maggior parte delle aziende ha interiorizzato», sintetizza Henry Peter. «Le imprese infatti, pur senza perdere di vista i propri obiettivi ‘profit’, sono sempre più sensibili e attive anche sul fronte ‘non profit’, con un’attenzione verso il contesto nel quale sono inserite, oltre che naturalmente verso tutti gli obiettivi fissati dall’Agenda 2030. Nei loro confronti, dall’esterno, c’è del resto una grande aspettativa: da parte dell’opinione pubblica, degli investitori, dei clienti e anche da parte dei loro stessi collaboratori. Oltre alla pratica sviluppata dalle fondazioni
familiari, la filantropia è diventata una realtà intrinseca per molte aziende, che la stanno integrando nei loro obiettivi e comportamenti di sviluppo. Si osserva peraltro che il confine tra profit e non profit diventa più sottile: i valori etici e una (buona) cultura aziendale delle imprese, con le iniziative non profit che ne derivano, hanno ricadute positive sull’ immagine e di conseguenza anche sul business delle imprese».
E ancora: «La filantropia in Ticino potrebbe svolgere un ruolo più significativo se fosse più strutturata in termini di scambi di esperienze e promozione degli interessi delle iniziative altruistiche nelle loro forme più svariate. Ciò potrebbe includere anche la ricerca e la formazione.
Oggi la filantropia si basa prevalentemente sulle figure di consulenza classiche: vale a dire avvocati, notai, fiduciari, in un contesto, dal mio punto di vista, che potrebbe essere più efficiente unendo le forze».
Storicamente ancorata al mondo anglosassone, la filantropia si sta ora sviluppando fortemente, non solo in Europa ma anche in Paesi emergenti.
In Svizzera, e in Ticino, la tradizione filantropica ha comunque radici lontane ed è sicuramente un valore, da traghettare nel futuro, sviluppandone tutto il potenziale.
IN FOTO, HENRY PETER, DIRETTORE DEL CENTRO DI FILANTROPIA DI GINEVRA, DA LUI CREATO NEL 2017
un PATRIMONIO INESTIMABILE
Tradizioni ed espressioni orali, arti dello spettacolo, pratiche sociali, riti e feste, conoscenze e pratiche concernenti la natura e l’universo, artigianato: estremamente variegato e in continua evoluzione, il patrimonio culturale immateriale, mutuato di generazione in generazione, è quell’eredità intangibile e inestimabile in cui si inscrive l’umana storia. «Attraverso le tradizioni orali, le pratiche sociali e i rituali, il patrimonio culturale immateriale testimonia la diversità culturale del mondo e la creatività umana. Svolge un ruolo essenziale nella coesione sociale e nel dialogo interculturale, stimolando il senso di appartenenza a una o più comunità e alla società in generale. Contribuisce allo sviluppo sostenibile promuovendo modalità di produzione e consumo sostenibili. E la trasmissione della sua conoscenza gli conferisce anche una dimensione educativa. Inoltre, seppur inestimabile, favorisce anche lo sviluppo economico, con la creazione di
Pratiche e tradizioni, espressioni viventi dell’identità di comunità e popolazioni che in esse si riconoscono e che con esse evolvono. Beni intangibili che, proprio come i siti culturali e naturali, hanno bisogno di essere salvaguardati
posti di lavoro e di attività culturali locali sostenibili che generano reddito», spiega Ernesto Ottone R., Vice Direttore Generale per la Cultura Unesco che, dal 2003, ne promuove la salvaguardia con l’apposita Convezione, andata ad affiancarsi a quella per la protezione dei siti naturali e culturali del 1972.
Per poter figurare nella Lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’umanità (Pci), oltre a rispecchiarne la
definizione ed essere incluso in un inventario nazionale, occorre che l’elemento candidato sia già oggetto di azioni per consentire alle comunità interessate di continuare a praticarlo e trasmetterlo, e deve necessitare di una protezione aggiuntiva. Inoltre la candidatura deve essere presentata con la più ampia partecipazione possibile delle comunità interessate e con il loro consenso libero, preventivo e informato.
La Svizzera ha ratificato la Convenzione nel 2008 e oggi conta nove tradizioni iscritte, da quelle alpestri alla maestria artigiana in meccanica orologiera e meccanica d’arte, con anche un po’ di Ticino grazie alle Processioni della Settimana Santa di Mendrisio. Giustamente il testo della Convenzione parla di salvaguardia e non di protezione o conservazione, poiché si tratta di un patrimonio vivente, che evolve anche in risposta al suo ambiente. «Da questo punto di vista, l’inclusione di un elemento nel patrimonio culturale immateriale non riguarda tanto l’oggetto in sé quanto le conoscenze e i rituali che lo circondano. Ad esempio, non è la baguette a essere inserita nell’elenco, ma le abilità artigianali e la cultura ad essa associate. Lo stesso vale per il couscous (Algeria, Marocco, Mauritania, Tunisia), dove vengono evidenziate le conoscenze, le competenze e le pratiche associate alla sua produzione e al suo consumo. La registrazione non è fine a se stessa: scopo principale è quello di attivare misure
SOPRA, ERNESTO OTTONE R., VICE DIRETTORE
GENERALE PER LA CULTURA UNESCO
IN QUESTE PAGINE, ALCUNI ESEMPI EMBLEMATICI
DELLA VARIETÀ E DELLA RICCHEZZA DELLE TRADIZIONI
NELLA LISTA RAPPRESENTATIVA DEL PATRIMONIO
CULTURALE IMMATERIALE DELL’UMANITÀ
(FRA PARENTESI PAESI E ANNO DI ISCRIZIONE)
di salvaguardia nazionali e locali che devono essere presentate già nella fase di applicazione, per garantire una strategia di protezione a lungo termine. Possono assumere la forma di disposizioni legali, inventari, campagne di sensibilizzazione e trasmissione, o formazione, in particolare attraverso l’educazione formale e non formale. In questo modo, si crea il contesto di cui le comunità e i gruppi hanno bisogno per mantenere vivo questo patrimonio vivente a lungo termine», spiega il Vice Direttore Generale per la Cultura Unesco. Per sostenere gli sforzi di inventariazione, salvaguardia e supporto in caso di emergenza, l’Unesco ha già stanziato più di 12 milioni di dollari - attraverso il suo meccanismo di assistenza internazionale - alle comunità locali di 73 Paesi per finanziare più di 140 progetti di salvaguardia, oltre ai fondi mobilitati dagli
ALLEVAMENTO CAVALLI LIPIZZANI (AUSTRIA, BOSNIA ED ERZEGOVINA, CROAZIA, UNGHERIA, ITALIA, ROMANIA, SLOVACCHIA, SLOVENIA, 2023)
@ Unesco / Christelle Alix
SOPRA, DA SINISTRA, IL FESTIVAL DELLE LANTERNE DI LOTO, YEONDEUNGHOE, PER LA NASCITA DEL BUDDHA (COREA DEL SUD, 2020) E LE TECNICHE TRADIZIONALI CINESI DI PRODUZIONE DEL TÈ E PRATICHE CORRELATE (CINA, 2022).
SOTTO, TRE FRA LE NOVE TRADIZIONI VIVENTI SVIZZERE ISCRITTE NELLA LISTA PCI UNESCO
Stati stessi. Più della metà di queste azioni si sono svolte nel continente africano. «Inoltre, l’Unesco ha aiutato gli Stati firmatari a recepire le norme e i principi della Convenzione nelle rispettive legislazioni nazionali. Di conseguenza, il patrimonio immateriale beneficia ora di un quadro giuridico per la salvaguardia nella maggior parte dei Paesi, secondo lo stesso principio che esiste per il patrimonio costruito. Inoltre, è ora al centro di molte politiche educative e persino economiche: molte pratiche artigianali sono fonte di creazione di posti di lavoro sostenibili», precisa Ernesto Ottone R. Ad esempio, 28 Paesi su 32 dell’America Latina e dei Caraibi dispongono ora di politiche pubbliche e istituzioni ad hoc dedicate al patrimonio immateriale, in particolare quelle con le popolazioni indigene e le comunità afro-discendenti. In Europa, il 98% dei Paesi dichiara di avere politiche e misure legali e amministrative per proteggere questa forma di patrimonio e l’80% ha integrato il patrimonio immateriale nei programmi scolastici.
L’Organizzazione ha inoltre creato una rete mondiale di formatori che forniscono servizi di consulenza su richiesta agli Stati membri e agli attori locali. Già più di 2.700 persone in 138 Paesi ne hanno beneficiato.
Lo scosso 17 ottobre, per la prima volta, si è anche celebrata la Giornata internazionale la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, che include ormai oltre 700 pratiche nelle sue Liste. «Sono stati organizzati numerosi eventi in ogni regione del mondo e su social e piattaforme digitali abbiamo raccolto una media di oltre 600mila visualizzazioni dei nostri messaggi, ricordandoci che il patrimonio immateriale è un valore che piace condividere, che è spesso molto visivo, molto fotogenico e in cui ci rispecchiamo», conclude il Vice Direttore Generale per la Cultura Unesco.
Oggi più che mai, la gentilezza ha il potenziale di rinnovare le relazioni umane, creando ponti in un’epoca di sfiducia
Viviamo in un contesto di crescente disgregazione sociale: la fiducia reciproca si affievolisce, i valori condivisi si assottigliano, mentre l’individualismo e la conflittualità si intensificano, accompagnati dal declino di istituzioni sociali fondamentali come la famiglia, la scuola e le associazioni. In questo scenario di frammentazione emerge uno strumento antico e prezioso: la gentilezza. Sì, perché siamo arrivati a un nuovo paradigma di sopravvivenza: più riusciamo a mantenere lucidità e concentrazione sull’obiettivo, più abbiamo la possibilità di essere proattivi anziché farci dominare dalle emozioni, rischiando di reagire in modo sgarbato. La forza della gentilezza risiede proprio in questa capacità di restare centrati e aperti verso gli altri. La gentilezza ha sostenuto la nostra evoluzione; le nostre conquiste infatti non si limitano ai traguardi materiali, ma comprendono la costruzione di una società basata sull’interconnessione e il rispetto reciproco. Abbiamo iniziato a evolverci come esseri umani quando abbiamo compreso l’importanza della collaborazione. Secondo il sociologo Francesco Alberoni, la gentilezza è guidata da una limpida predisposizione interiore e alimentata dall’empatia. Diventa così una leva capace di fare la differenza. È evidente che i paradigmi su
cui si fonda la nostra esistenza sono in crisi, e gli effetti di questo squilibrio sono ormai visibili a tutti. La gentilezza, quindi, non è più un semplice vezzo da sfoggiare nelle grandi occasioni o da riservare solo alle persone a noi care. Al contrario, rappresenta un indicatore fondamentale del benessere di una società.
La differenza tra una società sgarbata e una gentile sta nell’attitudine delle persone, nella loro capacità di condividere progetti, spazi e sogni.
In un mondo in cui molte persone si sentono isolate e abbandonate, la gentilezza diventa un atto di coraggio, un simbolo di resistenza e speranza. Come affermava il premio Nobel John Nash: “Nelle dinamiche dominanti, il vero vantaggio risiede non solo nell’agire per il proprio interesse, ma anche per quello degli altri”. Agendo con gentilezza, offriamo non solo un beneficio immediato, ma anche la visione di un futuro in cui ciascuno possa contribuire al benessere collettivo, assicurando la prosperità della nostra specie nel tempo.
DI CRISTINA MILANI, AMBASCIATRICE DI GENTILEZZA, FONDATRICE E PRESIDENTE GENTLETUDE
un’ EQUAZIONE ancora da risolvere
Malgrado le pari opportunità siano anzitutto un diritto che spetta a ogni individuo, quando ci si confronta con la realtà dei fatti è presto chiaro che il semplice fatto di essere donna ancora preclude determinate possibilità, come la mancata assunzione in età fertile oppure la preclusione di una carriera per chi lavora a tempo parziale dovendosi dedicare in parallelo a compiti di accudimento. Eppure proprio l’aumento dell’occupazione femminile sarebbe una delle leve più efficaci del Pil, per non citare ricadute non meno importanti come l’aumento della coesione sociale, del benessere, dell’innovazione e della stabilità economica. Nell’imminenza degli obiettivi fissati dalla Strategia Parità 2030 del Consiglio federale, abbiamo chiesto a Rachele Santoro, Presidente della Conferenza svizzera delle/dei delegate/i alla parità (Csp), un bilancio su azioni e misure sinora intraprese a livello svizzero e ticinese.
A quasi 30
anni dall’entrata in vigore
della Legge federale
sulla parità tra i sessi, il cambiamento culturale necessario al pieno raggiungimento dell’uguaglianza di genere nella vita professionale è meno lontano, ma non ancora
concluso
Rachele Santoro, partiamo da uno sguardo al passato: quanto è stato realizzato in questi decenni?
Inizierei col dire cosa non è cambiato negli ultimi 30-40 anni... Nonostante la Svizzera abbia adottato nel 1981 un articolo costituzionale per la parità di genere, la sua implementazione nei fatti è stata ed è tuttora lenta. Tuttavia, la lotta per la parità di genere ha subito importanti cambiamenti negli ultimi decenni: se negli anni Novanta ci si focalizzava soprattutto sulle conquiste sociali e sulle riforme legislative, oggi i temi centrali sono legati a un cambiamento culturale ed etico, come la decostruzione degli stereotipi di genere e la lotta al sessismo in tutti gli ambiti di vita. Ne sono chiaro esempio le diverse rivendicazioni dei due grandi scioperi nazionali organizzati a distanza di quasi 30 anni, nel 1991 e nel 2019, pur con l’obiettivo condiviso di richiamare l’attenzione sulla parità. Oggi, spesso, la discriminazione di genere si manifesta in modi meno visibili, come microaggressioni ed esclusioni implicite, così come intersezionali, intrecciandosi con altre forme di oppressione, come quella etnica, economica o legata all’identità sessuale.
SOPRA, RACHELE SANTORO, PRESIDENTE DELLA CONFERENZA SVIZZERA DELLE/DEI DELEGATE/I ALLA PARITÀ E DELEGATA PER LE PARI OPPORTUNITÀ CANTON TICINO
Quale impatto potrebbero avere sugli sforzi sinora fatti le misure di risparmio di recente ipotizzate per risanare le finanze federali, nel cui mirino rischiano di finire anche gli asili nido? Non mi stancherò mai di ripetere che la parità di genere è un investimento non un costo! Avere strutture di accoglienza per la prima infanzia e servizi extrascolastici sparsi sul territorio (coprendo anche le zone più rurali) necessita di importanti sforzi finanziari da parte di Confederazione, Cantoni e Comuni, e si potrebbero inoltre trovare interessanti partenariati per finanziamenti pubblico-privati efficaci. Tagliare in questi ambiti è estremamente rischioso poiché in breve si tornerebbe verso una società patriarcale, dove l’uomo si dedica al lavoro retribuito e la donna si occupa della sfera familiare. Il Covid ha mostrato come in pochissimo tempo il potenziale lavorativo femminile sia drasticamente diminuito: la chiusura delle scuole e dei servizi di custodia dei bambini complementari alla famiglia, ha portato alcune donne a rinunciare totalmente o parzialmente al lavoro remunerato senza più rientrare sul mercato, nemmeno ora che la pandemia è superata.
A fine maggio il Consiglio di Stato ha approvato il secondo Piano d’azione cantonale per le pari opportunità. Come prosegue il lavoro svolto nel triennio precedente?
Il secondo Piano d’azione cantonale per le pari opportunità vuole essere uno strumento che guida l’attività dello Stato in termini di politiche di genere. Va quindi a toccare trasversalmente tutti i settori di attività dell’Amministrazione cantonale, dal mercato del lavoro, alla conciliabilità tra vita professionale e privata, al contesto formativo, ai settori dell’integrazione, della cultura e dello sport. Tra alcune delle nuove misure, cito in particolare una campagna di sensibilizzazione per ridurre le molestie e prevenire le violazioni dell’integrità personale nell’ambito dell’apprendistato, che da una recente analisi svolta in Svizzera emerge una situazione particolarmente critica. Inoltre, la novità principale del documento programmatico è quella di aver esteso alcune misure e azioni anche ai settori dell’integrazione (ad esempio con misure a sostegno dell’inserimento lavorativo delle donne con retroterra migratorio), dello sport (attraverso misure volte ad incrementare la percentuale di donne monitrici e esperte di Gioventù e Sport) e della cultura (inserendo l’introduzione di parametri
relativi alla parità di genere nei requisiti delle richieste di sostegno da parte di operatrici e per il sostegno alle attività culturali).
Tirando le somme, le sembra che i tempi siano maturi per un cambiamento di paradigma di cui la parità necessita, al di là delle dichiarazioni di intenti?
Possiamo dire che il panorama nazionale e internazionale è a tinte chiaroscure. Da un lato la proficua collaborazione tra i vari livelli istituzionali - Confederazione, Cantoni, Comuni - così come l’appoggio da parte della politica e della società civile, stanno portando numerosi progressi, come l’entrata in vigore della modifica della Legge federale sulla parità di sessi del 2020 che ha introdotto l’obbligo per le aziende con almeno cento dipendenti di svolgere un’analisi interna della parità salariale e di farla verificare da un organo di revisione. Purtroppo però, ci si sta muovendo in un contesto sociale ed economico particolarmente difficile. Il terzo “Barometro nazionale sull’uguaglianza” pubblicato dalla Csp a giugno, ha portato alla luce un netto divario di genere all’interno della Gen Z: gli uomini ritengono che la parità di genere sia sostanzialmente raggiunta, mostrando un approccio più conservatore rispetto alle loro coetanee che, al contrario, con una visione critica segnalano le molte disuguaglianze che persistono, specialmente per quanto riguarda salari, opportunità di carriera e ripartizione dei compiti domestici. Per portare avanti un proficuo e duraturo cambiamento verso le pari opportunità è però indispensabile superare l’idea che l’uguaglianza sia una lotta femminile/femminista. Un’effettiva parità non può essere raggiunta senza un impegno condiviso fra uomini e donne, poiché le disuguaglianze strutturali coinvolgono e influenzano entrambi i generi.
Nel panorama odierno, il lavoro non è più solo uno strumento per generare reddito: è un ecosistema complesso in cui si intrecciano valore sociale, crescita personale e relazioni significative. In questo contesto, le aziende, i lavoratori e gli stakeholder si trovano al centro di una trasformazione che ridefinisce il concetto stesso di lavoro come catalizzatore di benessere collettivo e individuale.
Un’azienda oggi non si limita solo a produrre beni o servizi: il suo impatto va ben oltre. Costruire un ambiente lavorativo che promuova valori come la diversità, l’inclusione e la sostenibilità rappresenta una necessità non solo etica, ma anche strategica. Promuovere la diversità significa riconoscere e valorizzare le differenze individuali, che arricchiscono il contesto lavorativo e favoriscono l’innovazione. L’inclusione, invece, assicura che tutti abbiano le stesse opportunità di partecipazione, creando una cultura aziendale che abbraccia empatia e rispetto. Infine, l’impegno verso la sostenibilità garantisce un impatto positivo non solo sull’ambiente, ma anche sulla comunità, costruendo un ponte tra profitto e benessere sociale.
Quando un’azienda abbraccia questi valori, contribuisce non solo al progresso economico, ma anche a quello culturale e sociale, rafforzando il suo ruolo di attore responsabile nella società.
Per i lavoratori, il valore del lavoro è strettamente legato alla possibilità di crescita personale e professionale. La soddisfazione lavorativa non deriva solo dalla retribuzione, ma dalla possibilità di apprendere, innovare e raggiungere obiettivi significativi. Un contesto che favorisce la formazione continua e che offre opportunità di carriera permette ai dipendenti di sentirsi valorizzati e motivati. Questo si traduce in un circolo virtuoso in cui le persone, sentendosi parte di un progetto più grande, mettono in campo il meglio di sé.
Anche le connessioni che si creano tra colleghi, clienti e stakeholder sono fondamentali per costruire ambienti lavorativi solidi e di successo. Un’azienda che riconosce l’unicità dei suoi collaboratori, promuovendo il rispetto e la fiducia reciproca offre un’atmosfera positiva e produttiva. Le relazioni professionali basate su empatia, ascolto e collaborazione non solo migliorano il clima aziendale, ma rafforzano la capacità di affrontare le sfide e cogliere le opportunità. Creare una rete di fiducia e supporto tra i vari attori del sistema lavorativo non significa solo ottimizzare i processi, ma umanizzare il lavoro, rendendolo un’esperienza ricca e appagante per tutti i coinvolti. Promuovendo la diversità, sostenendo la crescita individuale e valorizzando le relazioni, il lavoro può diventare non solo una necessità, ma una fonte di ispirazione e cambiamento per la società. In questo modo, si può immaginare un futuro in cui il lavoro non sia solo “ciò che facciamo”, ma anche “ciò che siamo” e “ciò che vogliamo costruire insieme”.
Il mondo del lavoro: un ecosistema di valore sociale, personale e relazionale
Ispirare
cambiamento
Barbara Sorce,
Specialista in Risorse umane, Responsabile Randstad Ticino
In fondo, basta scegliere
Quando scopriamo che i Greci univano in un unico concetto il ‘buono’ e il ‘bello’, non può che venirci un po’ di invidia. Oggi la tensione tra valori morali e valori estetici è spesso in primo piano: così, ci vanno di traverso i croccanti chicken nuggets da allevamento di polli in batteria e non possiamo più scindere il piacere sensoriale del mangiare (o del vedere o dell’indossare…) da quello del pensare: da cui il motto ‘buono da mangiare, buono da pensare (o da guardare o da indossare…)’, che accompagna la nuova sensibilità etica ed estetica. ‘Wahrnehmen ist Wertnehmen’: percepire è sempre anche dare un giudizio di valore. Eppure, dietro a questo stesso ‘buono’ quanti diversi valori si possono celare, differenti tra le persone e addirittura per ciascuno nei vari momenti della sua esistenza?
La pluralità dei valori, che gli individui e i gruppi sociali mettono diversamente in gerarchia, è spesso associata a divergenze e conflitti.
La riflessione etica ed estetica, in quanto esame di tali valori, sforzo per riconoscerli e nominarli, ci offre in realtà anche l’opportunità per considerare, esplicitare, discutere e confrontarci su ciò che per ciascuno di noi vale, su ciò che riteniamo buono e bello e, in quanto tale, desiderabile.
Tra valori estetici e valori etici
l’eterna ricerca di una dimensione propria
è, per ognuno di noi, un’occasione per trovare la strada verso la felicità. Cosa conta veramente?
GUENDA BERNEGGER, PRESIDENTE DELLA
SOCIETÀ FILOSOFICA DELLA SVIZZERA ITALIANA E DOCENTE DI ETICA PRESSO LA SUPSI
O anche sui valori che ci impegnamo a portare avanti, o su quelli che vorremmo ma non riusciamo a onorare.
La riflessione etica ed estetica può offrirsi come un ‘luogo del pensiero’ , capace di diventare anche un luogo dell’incontro con l’altro. Lì, nel riconoscere quello che per ciascuno di noi vale, ci prepariamo non solo a scegliere meglio, ma pure a dare colore e intensità a ciò per cui (ci) spendiamo e in cui (ci) investiamo.
Nel pensare a ciò che ha valore - per noi stessi e per il mondo - ci offriamo così anche un’occasione per far fiorire il piacere e il gusto della vita.
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STILE TENDENZE
D ELEONORA VALLI
«Da appassionata cinofila, ho sempre letto con curiosità storie e studi scientifici relativi ai cani», nota Beate Schürle, «Tanto da scoprire, per esempio, che quando interagiscono, anche solo guardandosi negli occhi, umano e cane rilasciano ossitocina, il cosiddetto ‘ormone dell’amore’ o ‘ormone della tenerezza’, capace di promuovere fiducia e generosità reciproche. Inoltre, è ora chiaro, stando ad una ricerca pubblicata nel 2019 su Frontiers in Psychology, che la misura in cui il contagio emotivo si verifica tra l’uomo e il suo compagno canino aumenta in modo direttamente proporzionale al tempo che si trascorre condividendo lo stesso ambiente. Infine, in un’intervista all’etologa Monique Udell, ho trovato la conferma, dai risultati di un’altra ricerca, che cane e umano non solo sincronizzano il proprio comportamento - i cani spesso imitano i movimenti dei propri padroni - ma si sintonizzano anche sulle emozioni. È stato per me illuminante: perché non creare un oggetto ’gemello’ per il cane ed il suo proprietario?». È nata così un’idea che, sviluppata, è diventata realtà. Beate, che per anni è stata direttrice della gioielleria di un rinomato marchio di moda internazionale, ha fatto confluire le due passioni, per i cani e per i gioielli, in un progetto imprenditoriale, Myadoro, un brand di accessori di lusso per cani di piccola taglia. «Accessori di lusso progettati per riflettere questo rapporto unico, non solo come oggetti materiali, ma come simboli del legame profondo e indissolubile tra un padrone e il suo cane», nota la creativa e imprenditrice, che prosegue: «Il cuore della nostra collezione è il braccialetto coordinato. Sotto forma di collare per il cane, realizzato in materiali pregiati e morbidi, esprime l’attenzione per l’animale e il piacere di offrirgli qualcosa di (necessario sì), ma il più gradevole e, in qualche caso, anche il più prezioso possibile. A specchio, un oggetto identico, che il padrone indosserà al polso, è per lui un promemoria tangibile dell’amore incondizionato e dell’assoluta fedeltà che il suo ‘amico a quattrozampe’
CREATIVA DI MAYADORO, CON SEDE A LUGANO
SOTTO, IL DISEGNO DI UNA CREAZIONE: COLLARE CON PIETRE PREZIOSE PER CANI DI TAGLIA PICCOLA
nutre nei suoi confronti. Incastonati con diamanti naturali, pietre preziose autentiche o in design sofisticati senza pietre preziose, ogni pezzo è realizzato per incarnare un’idea di eleganza senza tempo oltre che l’amore che lega i due», conclude Beate Schürle, orgogliosa e affettuosa proprietaria di un chihuahua, che conclude: «Il collegamento emotivo tra l’uomo e il cane è l’essenza del rapporto tra le due specie (la sintesi è di Clive Wynne, professore di psicologia). Cosa può esserci di più prezioso?».
SOPRA, BEATE SCHÜRLE, FONDATRICE E DIRETTRICE
Mangiare rimanere in forma DA CANI per
Da amici a quattrozampe a sovrani assoluti. I cani, ed altri animali domestici, sono sempre più considerati membri della famiglia. Tra oggetti di lusso e menu dedicati, la fanno da padrone. Da VIP - Very Important Pet
Un Paese amante dei cani. In Svizzera la popolazione canina negli ultimi anni è infatti cresciuta costantemente. Superando, nel 2024, i 552mila esemplari; di questi, 34mila cani sono in Ticino (fonte: Identitas.ch). Parlando di animali domestici in generale, in Svizzera l’anno scorso si contavano quattro milioni di bestiole da compagnia. Sui cani in particolare, si sono concentrati diversi famosi Brand della moda e del design, che sempre più spesso propongono linee dedicate (dai maglioncini alle ciotole). Affermatasi da anni, la ‘dog culture’ investe non solo gli aspetti estetici ma, soprattutto, l’alimentazione.Come riflesso di un cam-
biamento culturale che ha portato a considerare gli animali come membri della famiglia, le loro esigenze alimentari diventano una priorità. Grazie alle risorse fornite da enti come l’Ufficio federale dell’agricoltura e Identitas, i dati e le tendenze di mercato aiutano a guidare aziende del settore verso soluzioni sempre più mirate e salutiste.
«Questo incremento ha portato a un’intensificarsi della domanda di alimenti specifici, con un’attenzione particolare verso ingredienti naturali e sostenibili», conferma Carole Boustany, consulente di nutrizione canina e felina, e fondatrice di Animafit’Azur. «Non esiste un’unica ‘migliore’ alimentazione per gli animali, ma infinite possibilità che devono adattarsi alle loro esigenze specifiche. Ogni scelta deve considerare fattori come età, razza, stato di salute e stile di vita, oltre alle preferenze e alle abitudini dei proprietari», prosegue Carole Boustany di Animafit’Azur, che da una parte si dedica al volontariato, supportando rifugi locali per animali con soluzioni alimentari adatte alle loro esigenze e limitazioni, dall’altra, con il progetto ’Very Important Pet, Animafit’Azur si rivolge invece ai cani più fortunati. «In linea con l’affermarsi della ‘dog culture’, sono ormai abitualmente richieste - da parte dei proprietari di cani che viaggiano con i loro amici a quattrozampe - esperienze pet-friendly. Tanti gli hotel di lusso, anche in Svizzera, che accettano animali (dal Dodler Grand di Zurigo allo Schweizerhof Luzern, dallo Chalet Roy Alp di Villars-sur-Olon al ticinese Lugano Dante, per citarne alcuni). Molte strutture non garantiscono solo accoglienza ma una gamma di possibilità specifiche. «Alcuni hotel di lusso offrono menu standard e persino ricercati per gli amici a quattro zampe dei loro clienti», prosegue la specialista - esperta in nutrizione, anatomia e fisiologia, patologie e comportamento del cane e del gatto - le cui proposte comprendono, «di base tre diversi piani alimentari per i privati e tre per gli chef di hotel e ristoranti. Nel primo caso, per i privati, oltre al bilancio dietetico, si tratta di una ricetta personalizzata in base
SOPRA CAROLE BOUSTANY, CONSULENTE IN NUTRIZIONE CANINA E FELINA E FONDATRICE DI ANIMAFIT’AZUR. SOTTO, DUE CIOTOLE DA ’VERY IMPORTANT PET’! NELLA PAGINA ACCANTO, LA ’PET
CULTURE’ NON HA LASCIATO INDIFFERENTI I GRANDI
MARCHI: CIOTOLA GUCCI, CON CHIHUAHUA
ai bisogni dell’animale e alle esigenze del propietario: la scelta è tra preparazioni casalinghe, oppure un mix tra casalinghe e industriali, o completamente industriali (per i proprietari che non hanno tempo ma vogliono comunque un’alimentazione virtuosa per il loro cane). Nel caso dei menu per hotel e ristoranti, sono menu standard in base alla razza per cani adulti e senza patologie, oppure menu personalizzati in base alle caratteristiche proprie del singolo animale, la terza proposta comprende menu gourmet, allestiti rivisitando le ricette della nostra gastronomia treadizionale che vengono adattate ai bisogni del cane. Incluso, per i più coccolati e golosi, delle ricette di pasticceria», conclude Carole Boustany. Ah, vita da cani! Chi l’avrebbe mai detto.
STA BENE, la felicità!
Da oltre 130 anni è animata dallo stesso desiderio: creare ‘From Love. The Best’. E sull’onda di questo intento, la Manifattura di Gioielli Wellendorff ha investito la più alta qualità orafa, la precisione millimetrica e l’attenzione ai dettagli nello sviluppo delle sue innovazioni e nella produzione delle sue creazioni uniche di gioielli in oro 18 carati. Il meglio.
Ogni giorno, l’azienda di famiglia si impegna per superare i limiti del tecnicamente fattibile, per sorprendere, sempre, i suoi estimatori. Fedele al motto ‘La felicità sta bene a te’, la collezione MY DELIGHT 2024 incarna un’eleganza tranquilla e valorizza l’unicità di chi la indossa. Lo smalto freddo in delicate tonalità nude incontra il caldo oro giallo e i diamanti. Sobria e classica, la palette di colori chiari, dal rosa tenue al rosa terracotta, consente di abbinarla armoniosamente con altri colori, stili e abiti diversi.
Le tonalità nude creano un look fresco, che si adatta ai differenti toni di pelle.
Una sensuale collana dalla forma a ypsilon è il fiore all’occhiello della nuova collezione nude e può essere indossata con il bracciale abbinato in oro flessibile, gli orecchini convertibili e gli anelli rotanti di diverse dimensioni.
L’elemento che accomuna i diversi gioielli della collezione è il cubo magico, riproposto in un delicato design nude. Anche il piccolo cuore, sigla del Marchio, compare su ogni gioiello. A volte nascosto, a volte integrato nel design, ha un significato proprio per chi lo indossa e rende il gioiello la sua fonte di forza. Con un nuovo motivo di incisione, l’anello DELIGHTFUL FLOWERS risulta ancora più magnetico. Intrecciato in modo intimo con le esperienze di chi lo indossa, il fiore meticolosamente inciso rappresenta la natura e la vita, e le radici profonde che la plasmano, riflettendo la sua felicità.
Le proposte rappresentano un ventaglio sorprendente ed elegante di creazioni, che nascono dall’incontro tra la più alta qualità orafa con l’innovazione, di un design unico con emozioni autentiche.
Tutto ciò che rende speciale Wellendorff da oltre 130 anni. Un indimenticabile viaggio di felicità.
SOPRA, A SINISTRA, BRACCIALE EMBRACE
ME. MY DELIGHT NUDE E, A DESTRA, ANELLI DELIGHTFUL FLOWERS. NELLA PAGINA
ACCANTO IN APERTURA, COLLANA DELIGHTFUL TEMPTATIONS E ANELLI MY DELIGHT DIAMOND
Per informazioni: Le collezioni WELLENDORFF sono disponibili presso le boutique CHARLY ZENGER
Lugano, Via Pessina 8 Ascona, Via Borgo 49 charlyzenger.ch
Sorellanza sotto i riflettori
Un gruppo di donne e la comune passione per la moda, lo stile, il design. Una giornata particolare, nel segno di una ‘sisterhood ’ che strizza l’occhio al glamour
JESSICA TIRICO
Si riferisce a un legame, una comunità o un sentimento di solidarietà tra donne che si riconoscono come ‘sorelle’. Il concetto di ‘sisterhood’ può includere significati sociali, politici e culturali, evidenziando l’idea di sostegno reciproco, unità e cooperazione tra donne. Il termine è emerso nel 19mo secolo, quando sono stati riconosciuti per la prima volta i legami tra donne in contesti di attivismo e solidarietà. È dunque un concetto ricco di significati e implicazioni, che si estende oltre le relazioni familiari. «Il nostro è nato proprio come progetto di ‘sorellanza’», spiega Jessica Tirico, titolare di Ashri Boutique a Lugano, e promotrice dell’iniziativa: «Abbiamo realizzato uno shooting tutto al femminile, con un gruppo di donne, tutte professionalmente attive in Ticino, in ambiti diversi. Protagonista degli scatti è Maria Victoria Haas, giornalista e presentatrice, emblema di donna forte, che affronta la vita con tenacia, mettendosi in gioco.
«Realizzare questo progetto, con l’apporto delle competenze e delle passioni di ognuna di noi, ha rappresentato un interessante esperimento di ‘sorellenza’ rivelando come, in questa vicinanza, anzi ‘comunione’, il potere creativo venga amplificato. Più in generale, esperienze condivise come in questo caso, sprigionano un grande potenziale. Sorellanza come empatia, dunque rassicurante, ma anche sorellanza come opportunità di confronto e di crescita», conclude Jessica Tirico.
CREDITS
Modella. Maria Victoria Haas
Stylist. Jessica Tirico
Outfit. Ashri Boutique, Lugano
Gioielli. Naonow Jewels di Naomi Brunschwig Fotografa. Alina Smit
Make-Up. Trucchiamoci di Sibilla CanettiSvitlana Prozort
Location. ATELIER In-désirable (Arzo) di Laura Bernasconi
STILE TENDENZE
DI ELEONORA VALLI
TANTO di CAPPELLO
Istrionici, surrealisti, trasgressivi o sofisticati, i copricapo del modista brittanico Stephen Jones sono molto più di semplici accessori. Accenti di stile, per le Maison e le teste più prestigiose
Che sia un po’ cappellaio matto?
Di sicuro con i suoi copricapo sa far impazzire. Dalle regnanti alle celebrità, ha coronato le teste più in vista, le copertine delle riviste più patinate e molte fra le più memorabili sfilate dell’ultimo quarto di secolo.
LE SOPRENDENTI CREAZIONI DEL MODISTA BRITANNICO
STEPHEN JONES, AL PALAIS GALLIERA DI PARIGI
FINO AL 16 MARZO 2025
A SINISTRA, CHAPEAU LITTLE FISHES, SS 2011
SOPRA, UN MODELLO REALIZZATO PER LA SUA
COLLEZIONE DI DIPLOMA ALLA SAINT MARTIN’S
SCHOOL OF ART, INDOSSATO DA JANE LEONARD, 1979
Nato nel Cheshire (1957) e cresciuto a Liverpool, Stephen Jones ha fatto irruzione sulla scena della moda londinese durante l’esplosione dello street style a fine anni Settanta. Ogni sera lasciava a bocca aperta il leggendario nightclub Blitz, territorio dei post-punk dei New Romantics e proprio loro ne sono stati i primi clienti: Boy George, i Duran Duran, gli Spandau Ballet … Dopo averlo notato con un fez di velluto rosso nel video di Do You Really Want to Hurt, Jean Paul Gaultier gli chiede di disegnare i cappelli della sua collezione donna primavera-estate 1984: il biglietto d’ingresso nella moda parigina. Da allora ha stretto legami con le Maison e gli stilisti più prestigiosi: Christian Dior, Azzedine Alaîa, Givenchy, Claude Montana, Thierry Mugler, Vivienne Westwood, John Galliano, Comme des Garçons, Walter Van Beirendonck, Louis Vuitton, … Un dialogo creativo per completarne i look, sui quali i suoi cappelli appongono un originale accento. Un accessorio
oggi tutto fuorché anacronistico, sempre più amato anche dalle nuove generazioni e non piû solo dall’alta società che si sfida alle corse di Ascot.
Se al padre ingegnere Stephen Jones deve la sua abilità acrobatica nel bilanciare pesi e alla mamma, che adorava i fiori, la passione per natura e colori, è stata Shirley Hex, che gestiva il laboratorio di cappelli della Maison londinese Lachasse, a introdurlo ai gesti del mestiere, che ancora oggi, a distanza di 40 anni, replica nel suo atelier di Londra, poco distante dal negozio di modista che aprì nel 1980: dallo schizzo iniziale alle rifiniture con l’aggiunta di passamanerie, dalla vaporizzazione di feltri alle cannucce su forme di legno all’assemblaggio dei materiali più disparati, un’arte ancora genuinamente artigianale. Ci voleva un fuoriclasse come lui per convincere il Palais Galliera, il museo della moda della città di Parigi, a dedicare per la prima volta una sua mostra a un accessorio. In particolare, Stephen Jones, chapeaux d’artiste esplora il legame del modista con la cultura francese e l’alta moda parigina, che ha avuto un profondo impatto sul suo lavoro creativo. Un’influenza che ne fa a pieno titolo un franglais, visibile nelle sue stesse collezioni, nelle fonti di ispirazione e nei temi scelti: i simboli di Parigi e della storia francese, l’immagine della parisienne, l’omaggio ai couturier francesi e ai più grandi nomi dell’arte, soprattutto surrealisti come Jean Cocteau o Salvador Dalí, che emula trasformando oggetti insoliti in copricapi divertenti e chic: Salade niçoise, Soupe à l’oignon o Sandwich, disegnati per Elsa Schiaparelli, ne sono perfetti esempi. Con quasi 400 opere la mostra, in programma fino al prossimo 16 marzo, riunisce più di 170 cappelli, gli archivi dello stilista (disegni preparatori, fotografie, estratti di sfilate, ecc.) e una quarantina di silhouette complete di abiti e cappelli. Ogni aspetto del processo creativo di
Stephen Jones viene svelato gradualmente grazie allo splendido concetto scenografico. Intanto, ha annunciato che la prossima collezione, Sensuosity, sarà invece ispirata alla Dolce vita italiana. D’altronde il termine inglese che significa modista, millinor, deriva da Milaner, abitante di Milano: molti suoi predecessori arrivarono infatti a Londra nel Sette e Ottocento proprio dalla città lombarda.
ALTO, DA SINISTRA, CATHEDRAL, FW 1995-1996, E CHAPEAU CHARLES JAMES, FW 2017-2018 SOTTO, CHAPEAU BANG!, FW 2010-2011
STILE TENDENZE
DARE forma ai SENTIMENTI
Prezioso, in tutti i sensi. Un gioiello realizzato a mano e su misura porta con sé una narrazione che va oltre il semplice ornamento. Autentico e senza eguali, ha il potere di trasformare in materia l’unicità di chi lo indossa
Prendono vita da un processo creativo meticoloso, in cui ogni fase, dall’idea alla realizzazione, contribuisce a comporre un racconto esclusivo. Sono gioielli speciali. Monili che rispecchiano coloro a cui sono destinati. Spesso sono scelti per suggellare un evento o un momento da ricordare. Promessa d’amore, simbolo, ricompensa e sorpresa… il gioiello si carica di un particolare messaggio e racchiude l’essenza del sentimento che lo genera. L’unicità del messaggio di cui ogni oggetto prezioso è ambasciatore viene plasmata dalle mani sapienti dell’artigiano.
IN ALTO, ANELLO MARGHERITA CON DIAMANTE
GIALLO E DIAMANTI BIANCHI
A SINISTRA, ANELLO RIVIÈRE CON ZAFFIRI RAINBOW NELLA PAGINA ACCANTO, VANNI PESCIALLO, DESIGNER, ORAFO E GEMMOLOGO
DALL’ALTO IN SENSO ORARIO, CIONDOLO SPIRALE
CON DIAMANTI; ORECCHINI CON TORMALINE VERDI, ORO ROSA E CARBONIO; MIX DI ANELLI RIVIÈRE
VARIE MONTATURE CON DIAMANTI E ANELLO HALO E DIAMANTI
I gioielli fatti a mano hanno il privilegio di racchiudere nella loro realizzazione la bellezza dell’originalità, la profondità di storie uniche, la preziosità del lavoro artigianale e la connessione emotiva che li rende esclusivi. «È decisamente l’aspetto più affascinante del mio lavoro: la possibilità che un cliente abbia qualcosa che prima non esisteva. Con la creazione di un oggetto che corrisponda al suo desiderio, trasformato in realtà», esordisce Vanni Pesciallo, orafo e designer. Nel suo Atelier, a Balerna, partendo da un’idea, sono realizzati tutti i passaggi di produzione e trasformazione: si forgiano metalli, si incastonano pietre preziose. «Particolare attenzione è dedicata alla sostenibilità, degli uni e delle altre», prosegue Pesciallo, designer, orafo e gemmologo G.G. esperto in diamanti e pietre colorate, titolo conseguito con un master presso il Gemological Institute Of America, ad oggi il più rinomato laboratorio gemmologico al mondo. Laureato in Fashion Design presso l’Istituto Europeo di Design di Milano e con esperienze all’estero in grandi aziende del settore della moda, Vanni Pesciallo è naturalmente sensibile allo stile che, applicato ai suoi gioielli è «elegante e contemporaneo», sintetizza il creativo, «ma soprattutto, sempre, accurato e personalizzato. Swiss Made».
Per informazioni:
Vanni Pesciallo Gioielli
Via Giuseppe Motta 5, 6828 Balerna Tel. +41 76 541 73 10 info@vannipesciallo.ch vannipesciallo.ch
È DI MODA IL CALORE
Angora, mohair, cashmere, vigogna, piume e pellicce: un guardaroba attrezzato a sfidare anche le atmosfere più glaciali, con classe
BOLLICINE ORO ROSA & DIAMANTI BIANCHI
ACCANTO, HERMÈS, CINTURA IN VITELLO EPSOM, PELLE LANOSA E METALLO DORATO
ACCANTO, DA SINISTRA, MONCLER, PIUMINO CORTO IN MISTO LANA DONNA MULTICOLOR; GOLDBERGH, GIACCA DA SCI CARO; SOTTO, TOM FORD OCCHIALI DA SCI SPECCHIATI
A DESTRA, CHANEL, OROLOGIO J12, ACCIAIO E CERAMICA BIANCA, INDICI DI DIAMANTI SOTTO, HERMÈS, GUANTI IN SETA STAMPATA
un servizio impeccabile e sempre più personalizzato, benessere e autenticità: nella patria che le ha dato i natali, l’hôtellerie di lusso continua a perpetuare un patrimonio unico
ACCOGLIENZA regale
Le montagne hanno aiutato, ma non sarebbe bastata una pur straordinaria natura a fare della Svizzera la patria dell’hôtellerie senza la geniale - e spesso audace - visione di imprenditori che hanno scommesso sul turismo, dando forma alla cultura dell’accoglienza: alberghi sempre più sontuosi, dotati di ogni confort - fu l’Engadiner Kulm di St. Moritz, nel 1879, il primo a mettere in funzione un impianto di illuminazione elettrica nel Paese -, servizio impeccabile, ristorazione allo stato dell’arte, discrezione e lusso. A metà Ottocento, quando in quota salivano tutt’al più d’estate gli alpinisti o chi soggiornava nei sanatori, bisognava essere dei visionari per intuire gli sviluppi che, unitamente a ferrovie e impianti di risalita, avrebbero reso facilmente raggiungibili e alla moda queste desti-
NATHALIE SEILER-HAYEZ, PRIMA DONNA ALLA TESTA DI SWISS DELUXE HOTEL. SOPRA, UNO DEI 43 CINQUE STELLE SUOI ESCUSIVI MEMBRI, IL MANDARIN ORIENTAL SAVOY, ZURICH
nazioni. Un know-how che, trasmesso di generazione in generazione dalle dinastie di questi pionieri, ha fatto della Confederazione un leader dell’hôtellerie cinque stelle, dalle vette ai centri urbani. Non è un caso che la prima coproduzione svizzera di Netflix, Winter Palace, racconti proprio la nascita di questa industria a fine Ottocento, ispirandosi liberamente alle vicende di colui che ne è ritenuto fondatore, il nidervaldese César Ritz (debutto il 26 dicembre su Srf e Rts, in italiano sulla Rsi dall’8 gennaio 2025). Solo ai più esclusivi cinque stelle svizzeri si aprono le porte dell’associazione più importante del settore, Swiss Deluxe Hotels: con un totale di 4.300 camere, nel 2023 i 39 membri (dal Badrutt’s Palace Hotel di St. Moritz allo Gstaad Palace, dal The Dolder Grand di Zurigo al Castello del Sole di Ascona) hanno registrato un fatturato di 1,42 miliardi di franchi. Alla sua guida, Nathalie Seiler-Hayez, che dopo le tante soddisfazioni di una carriera ai vertici della direzione alberghiera è la prima donna a rivestire questo prestigioso e impegnativo ruolo. Un’élite di 43 hotel, dopo le recenti nomine del Bürgenstock Resort Lake Lucerne, di La Réserve Genève e del Mandarin Oriental Savoy in Zürich, cui si è appena aggiunto il Villars Palace.
Nathalie Seiler-Hayez, proprio quest’anno ricorre il 90mo anniversario della creazione di Swiss Deluxe Hotels: come si sta evolvendo il concetto di hotel di lusso, profondamente radicato nella tradizione, di fronte alle nuove esigenze e abitudini degli ospiti?
La percezione del lusso è profondamente cambiata. I nostri clienti non cercano più solo l’opulenza, ma si concentrano sull’autenticità, sull’ultra-personalizzazione, su esperienze coinvolgenti e persino trasformative, che includano anche una forte dimensione di sostenibilità. Il benessere, ormai essenziale in questa nuova visione del lusso, non si limita più a un massaggio o a un trattamento, ma offre un’autentica opportunità di prendersi cura di sé, fisicamente e mentalmente, nel rispetto dell’ambiente. I clienti cercano terapisti all’avanguardia in settori specifici, ma anche pratiche che riducano al minimo l’impronta ecologica, scegliendo prodotti naturali e metodi che rispettino il pianeta. Allo stesso modo, la gastronomia negli hotel di lusso si è evoluta per sorprendere e affascinare. È fondamentale offrire esperienze culinarie variegate, con concetti innovativi. Il fascino degli spazi pop-up, che introducono nuovi chef, cucine o concetti effimeri, sta riscuotendo grande successo, portando una dinamica di rinnovamento e sorpresa che risponde alle aspettative dei viaggiatori moderni alla ricerca di scoperta e autenticità.
DEL MANDARIN ORIENTAL
INAUGURATO NEL 2023, È STATO NOMINATO
HOTEL DELL’ANNO 2025 DA GAULT & MILLAU
LA DISTENSIVA VILLARS ALPINE SPA. IL CINQUE STELLE VODESE (SOPRA) È APPENA ENTRATO A FAR PARTE DI SWISS DELUXE HOTEL
I criteri sono estremamente rigorosi. Innanzitutto, l’hotel deve essere classificato come 5 stelle superior da Hôtellerie Suisse. Successivamente, la nostra commissione qualità si reca sul posto per ispezionare gli spazi e parlare con le équipe. È poi la volta di un “cliente in incognito” che, incaricato da una società esterna, assegna un punteggio all’hotel, con un requisito minimo dell’80%. Se l’hotel supera tutte queste prove, la sua ammissione viene sottoposta al voto dei nostri 43 soci durante l’Assemblea generale. Anche una nicchia di fuoriclasse come la vostra è confrontata ad alcune sfide: le risorse umane, da sempre al centro del suo servizio (l’associazione conta più di ottomila dipendenti), e quelle digitali, ormai imprescindibili. La pandemia ha avuto un forte impatto sul nostro settore, causando la partenza di molti dipendenti e un generale disinteresse verso le nostre professioni. La nuova generazione ha aspettative molto diverse, che ci costringono a ripensare i processi, le strutture e soprattutto la nostra cultura aziendale, mettendo i dipendenti al centro delle priorità. Questo significa offrire maggiore flessibilità, abbandonare la tradizionale pausa di metà giornata, prendere in considerazione una settimana lavorativa di 4 giorni, intensificare la formazione, offrire opportunità di carriera e lavorare in modalità progettuale su temi chiave come la sostenibilità. È fondamentale coinvolgere i talenti e abbandonare il modello top-down.
Al contempo, la trasformazione digitale è diventata essenziale. Ci permette di conoscere meglio i nostri clienti e di offrire servizi più personalizzati. Deve anche semplificare il lavoro dei nostri dipendenti, consentendo loro di concentrarsi sull’esperienza del cliente. Utilizzando la tecnologia per ottimizzare il back office, possiamo liberare il personale dalle incombenze amministrative e favorire una vera e propria connessione tra dipendenti e clienti, aggiungendo valore.
Accennava alla sostenibilità: come la affrontano hotel come i vostri, che dipendono da spostamenti internazionali e lusso?
La riteniamo un tema cruciale, tanto che tutti i nostri membri si sono impegnati, in occasione della scorsa assemblea generale di Gstaad a giugno, a ottenere il marchio Swisstainable di livello III entro il 2028. Inoltre molti dei nostri hotel contribuiscono attivamente alla reputazione della loro regione. Con una clientela internazionale molto esigente, incoraggiano anche le regioni a investire continuamente e a puntare all’eccellenza. Un hotel è sempre strettamente legato alla sua destinazione e una forte collaborazione è essenziale per massimizzare questo impatto.
Da quali esempi, invece, trarre ispirazione per migliorare ulteriormente la propria offerta?
Molti dei nuovi concept di boutique hotel urbani nelle grandi capitali possono essere fonte di ispirazione, così come i luoghi legati al benessere in mezzo alla natura. Si tratta spesso di concetti di grande successo con un posi-
E ARMONIA IN OGNI DETTAGLIO PER LA SUITE RIVIERA DEL BEAU-RIVAGE PALACE A LOSANNA
zionamento molto chiaro e coerente. A fianco, c’è la lezione dei grandi brand del lusso che hanno imparato l’arte della personalizzazione, dell’innovazione e della gestione dell’immagine del marchio, rispondendo ai valori odierni di autenticità, esperienza e sostenibilità, che sono sempre più importanti per i nostri clienti. E anche lo storytelling è un elemento essenziale. Il suo percorso professionale l’ha proiettata dall’Ehl Hospitality Business School alla scena internazionale, prima di chiudere il cerchio a Losanna, dove ha portato il Beau-Rivage Palace a essere nominato “Hotel dell’anno” da Gault & Millau nel 2022. Quali sono stati i momenti più formativi?
Ho lavorato per molti anni a livello internazionale, a Parigi, New York e Londra, prima di tornare in Svizzera nel 2015. Queste esperienze mi hanno permesso di comprendere meglio una clientela internazionale esigente e di costruire una solida rete globale. Il periodo più memorabile al Beau-Rivage Palace rimane senza dubbio quello della pandemia, quando l’hotel ha dovuto chiudere per la prima volta in 150 anni... Ne abbiamo però approfittato per la ristrutturazione completa dell’ala Beau-Rivage con il decoratore Pierre -Yves Rochon, che ha comportato la riprogettazione di 68 camere e dei corridoi. Un esercizio complesso che si è rivelato un successo, permettendo di uscire dalla crisi completamente rinnovati. ... e di portarsi a casa il titolo di Hotel dell’anno 2022 attribuito da Gault&Millau! Una fra le tante soddisfazioni raccolte nella sua carriera. Negli alberghi che ha gestito, ha avuto il privilegio di ospitare alcune grandi personalità: potrebbe condividere qualche momento particolarmente memorabile?
L’hôtellerie haute de gamme offre esperienze davvero uniche e indimenticabili. Siamo simili a dispensatori di felicità, ed è un incredibile privilegio poter essere
testimoni di tanti momenti eccezionali. Ho ancora dei ricordi vividi, come il giorno in cui un principe in accappatoio, accompagnato dalla sua guardia del corpo, mi ha salutato con un baciamano nei corridoi dell’hotel. O quando John Kerry, dopo due giorni di intensi negoziati con le delegazioni internazionali, ha salutato gli ospiti che festeggiavano un matrimonio in hotel. Voleva scusarsi con la sposa, costretta a rinunciare all’accesso al parco pieno di cecchini e a passare da un ingresso secondario. È stato indimenticabile, vedere John Kerry ricevere una standing ovation nel bel mezzo della cena di gala. Ricordo anche un momento unico nel back office con Tom Cruise e il suo team di sicurezza, o l’impressionante logistica dell’accoglienza del Presidente Xi Jinping a Losanna, tanti momenti straordinari.
Dopo tante emozioni, cosa l’ha spinta a cambiare prospettiva, mettendo le sue competenze a servizio di Swiss Deluxe Hotels?
Il ruolo di albergatrice mi piaceva molto, ma cominciavo a sentire il bisogno di passare ad altro. È una professione in cui ci si investe con tutto il cuore e, quando la passione si esaurisce, è indispensabile rivolgersi a nuove prospettive per conservare l’entusiasmo. Swiss Deluxe Hotels è un’organizzazione fantastica. Questo nuovo incarico mi permette di rimanere al cuore della mia professione, senza avere responsabilità operative in un hotel specifico. Mi dà l’opportunità di fare un passo indietro e di aggiungere un valore reale. Non avrei potuto desiderare di meglio!
E invece quale importanza riveste la propria, di abitazione, per una donna come lei immersa nell’industria dell’ospitalità?
Non sono uno spirito casalingo, ma apprezzo la mia abitazione e i momenti preziosi che posso trascorervi con mio marito e i miei figli. E mi piace anche accogliere i miei amici. Avere uno spazio proprio, un luogo dove potersi rilassare, senza dover recitare un ruolo, è fondamentale. Riscoprire questi momenti di autenticità fa la differenza!
ELEGANZA
Indispensabile per promuovere i prodotti locali, espressione genuina dell’identità di un territorio, è saper creare catene di valore regionali e ‘confezionare’ progetti appetibili
Alimentare L’ AUTENTICITÀ
In un’epoca sempre più artificiale e artefatta, il desiderio di autenticità sta emergendo come un vero e proprio trend. La necessità di ristabilire una profonda coerenza fra i valori in cui si crede e le scelte pratiche di vita porta alla ricerca di esperienze genuine e condivise. Il che, sempre più, contro lo sradicamento della globalizzazione, invita alla riscoperta della dimensione locale che ha una delle sue espressioni più ’naturali’ nei prodotti agrolimentari a cui il territorio dà origine. Prodotti dietro i quali ci sono la passione e l’impegno di chi quotidianamente li coltiva e lavora, con tecniche ancora ampiamente artigianali, nel rispetto dei cicli stagionali, secondo tradizioni tramandate di generazione in generazione. Valorizzare questo patrimonio regionale richiede però la capacità di mettere in rete tutti coloro che possono
contribuire alla sua promozione: non solo le aziende produttrici, ma anche le istituzioni, il turismo, la gastronomia, la ristorazione collettiva e altre specifiche filiere interessate. Un ruolo di coordinamento che il Centro di Competenze Agroalimentari Ticino (Ccat), promosso dal Cantone, interpreta con ottimi frutti. Così, una delle sue più recenti proposte, le Agriesperienze lanciate nel 2023, il 24 ottobre si sono portate a casa il prestigioso “Global Best Of Wine Tourism Award 2025” nella categoria Sostenibilità/Ambiente, riconoscimento internazionale che giunge dopo il primo posto già conquistato a Losanna ottenendo il titolo di “Regional Best of Wine Tourism 2025”, sempre nella categoria Sostenibilità. «Le Agriesperienze sono nate... a tavola, grazie a una cena che ci ha permesso di mettere vis-à-vis rappresentanti del turismo e dell’agricoltura, due settori assorbiti dalle rispettive esigenze operative, il primo focalizzato sui luoghi da promuovere e i grandi attrattori, il secondo sulle sfide della produzione. Se però, già in passato, i turisti desideravano conoscere il territorio attraverso la sua offerta enogastronomica e le sue tradizioni culinarie, oggi, dopo la pandemia, a maggior ragione vogliono saperne di più, avere l’occasione di scoprire da dove provenga un ingrediente, chi lo realizza e tutti gli aspetti che permettono di comprenderne l’unicità e la qualità», racconta Sibilla Quadri, Direttrice del Ccat.
Si spazia dalla raccolta condivisa di verdura, all’approfondimento dei processi di produzione del formaggio o del vino, l’incontro con animali in fattoria o nei pascoli, la scoperta di sapori e specialità locali, o ancora l’esplorazione delle bellezze paesaggistiche, il tutto con l’accompagnamento di esperte guide turistiche e, sempre, momenti di degustazione. «È un insieme di esperienze interattive, per tutti i gusti, di una o mezza giornata, che permettono ai partecipanti di scoprire luoghi di interesse all’infuori dal circuito degli itinerari più battuti, costruendo un ponte fra ambiente urbano e realtà rurali. Un’opportunità apprezzata non solo dagli ospiti stranieri, molto numerosi, ma anche dalle aziende della regione per cui possiamo creare formule su misura, ad esempio in relazione a momenti di team building in piccoli gruppi», specifica Sibilla Quadri. Al pubblico della regione guardano anche
alcune delle altre principali iniziative del Ccat, fra cui “Ticino a Te” e “Ticino a tavola”, che per la loro capacità di valorizzare l’uso di prodotti agroalimentari regionali nella ristorazione e nell’albergheria locali si sono aggiudicate a inizio novembre il “Cercle régional 2024”, attribuito dalla Segreteria di Stato dell’economia e dall’Ufficio federale dell’agricoltura a regioni che si sono distinte per il loro impegno nello sviluppo di catene di valore regionali con un approccio intersettoriale. «A furia di proporre la cucina tailandese, il vietnamita, il poké e tante altre specilità etniche, ci siamo resi conto che nell’offerta gastronomica rischiava di restare poco spazio per i piatti della cucina tradizionale. Insieme a GastroTicino abbiamo quindi lanciato “Ticino a tavola”: i ristoratori aderenti si impegnano a proporre almeno un menù con tre portate oppure quattro piatti composti almeno nella misura del 60% da prodotti ticinesi e, in carta, un 40% di vini ticinesi», spiega Sibilla Quadri, che aggiunge: «Inoltre, lavoriamo anche molto con le mense scolastiche, consapevoli di quanto sia fondamentale sin da piccoli interrogarsi sulla provenienza del cibo che si mangia, in linea anche con l’importanza che la sostenibilità sta acquisendo nel programma scolastico. Confrontandoci direttamente con chi definisce i menù cantonali e con le sedi scolastiche, analizziamo lo status quo e formuliamo una serie di consigli, sensibilizzando sui prodotti indigeni, a partire da latticini e ortaggi, che si possono facilmente integrare, sul rispetto della stagionalità, sulla filiera corta e contribuendo all’ideazione e allo svolgimento di attività didattiche nelle classi, come la spesa intelligente».
“Ticino a Te”, come suggerisce il nome azzeccato, risponde invece alla necessità di incrementare la conoscenza dell’offerta indigena e di facilitarne la reperibilità, raggruppando su unica piattaforma le realtà produttive locali, nel formato fisico delle “Botteghe del territorio” e in quello
INCETTA DI PREMI NEL 2024 PER LE INIZIATIVE DEL CENTRO DI COMPETENZE AGROALIMENTARI TICINO. ACCANTO, LA DIRETTRICE SIBILLA QUADRI (SECONDA DA DESTRA) RICEVE IL PRESTIGIOSO “GLOBAL BEST OF WINE TOURISM AWARD 2025” (SOSTENIBILITÀ/AMBIENTE) PER LE AGRIESPERIENZE, CHE SI ERANO APPENA AGGIUDICATE ANCHE IL “REGIONAL BEST OF WINE TOURISM 2025” (SOSTENIBILITÀ).
“TICINO A TE” E “TICINO A TAVOLA” HANNO INVECE CONQUISTATO IL “CERCLE RÉGIONAL 2024”, ATTRIBUITO DA SECO E UFAG.
virtuale del portale www.ticinoate.ch. «Contiamo ormai circa 240 produttori locali aderenti, che coinvolgiamo anche nelle iniziative di promozione che organizziamo a livello nazionale, ad esempio insieme a Ticino Turismo, mentre sono oltre 900 i prodotti che portano il marchio “Ticino regio. garantie”, l’unica certificazione in Ticino controllata e riconosciuta a livello federale, che attesta la provenienza di territorialità dei prodotti ed è anche ambasciatore di un’economia ecosostenibile e socialmente attenta alle necessità di tutti coloro che nel territorio vivono e operano, perché le nostre scelte quando facciamo la spesa non solo incidono su un’alimentazione più salutare, ma hanno una più ampia serie di ripercussioni economiche, sociali e culturali. Accreditarsi richiede di dimostrare di sottostare a rigorosi controlli ma ne vale la pena, dando un accesso privilegiato anche alla grande distribuzione nazionale che richiede ormai questo label», sottolinea la direttrice del Ccat. Un sigillo di qualità e tracciabilità che il consumatore cerca sempre più. Che sia a casa o in viaggio, per vivere in modo consapevole e genuino.
“TICINO A TE”, FRA LE INIZIATIVE DEL CCAT, È LA PRIMA RETE A RIUNIRE I PRODUTTORI AGROLIMENTARI TICINESI, OFFRENDO UNA VETRINA PER FAR CONOSCERE MEGLIO I PRODOTTI GENUINI CHE CON TANTA DEDIZIONE E PASSIONE COLTIVANO
Lara Comini, imprenditrice e membro di comitato FAFTPlus
Promuovere una cultura rispettosa e disporre di chiare politiche di segnalazione e sanzione delle molestie è fondamentale per prevenire e gestire violazioni all’integrità personale sul lavoro
Contrastare molestie le
Negli ultimi anni il tema delle molestie sul posto di lavoro ha guadagnato attenzione globale, anche in Svizzera. Nonostante il nostro Paese sia spesso percepito come un modello di eccellenza per quanto attiene al mondo professionale, anche qui si registrano casi di comportamenti inappropriati che minano la dignità e il benessere dei/delle dipendenti. Secondo una ricerca del 2014 del Gender Equality National Research Programme, i comportamenti potenzialmente molesti sono diffusi in tutta la Confederazione. “In Ticino oltre i due terzi della popolazione attiva afferma di essere stata confrontata con almeno un comportamento potenzialmente molesto nel corso della propria vita professionale. Nella Svizzera tedesca e in Romandia questa risposta è data dalla metà della popolazione che ha partecipato al sondaggio”.
Le molestie possono assumere forme diverse: commenti offensivi, avances indesiderate, intimidazioni e discriminazioni basate su genere, etnia oppure orientamento sessuale. Questi comportamenti non solo danneggiano le vittime, ma possono anche avere un impatto negativo sull’ambiente di lavoro, riducendo la produttività e aumentando il turnover del personale.
La Legge sul lavoro e la Legge sulla parità dei sessi stabiliscono le basi legali per combattere questo tipo di molestie. Tuttavia la loro applicazione può variare da una realtà lavorativa all’altra.
La cultura aziendale è fondamentale nella prevenzione del problema. Un ambiente di lavoro positivo e rispettoso riduce la probabilità di comportamenti inappropriati. Le aziende devono quindi promuovere un clima di apertura e rispetto, dove ci si sentano sicuri/e nel segnalare eventuali comportamenti molesti. Paura di ritorsioni, stigma e mancanza di fiducia nelle procedure aziendali possono dissuadere le vittime dal farsi avanti. È fondamentale dunque che le aziende creino canali di segnalazione sicuri e riservati, assicurandosi che ogni caso venga preso sul serio e gestito in modo appropriato.
La direzione gioca un ruolo cruciale. I leader devono non solo adottare politiche chiare contro le molestie, ma anche incarnare i valori positivi, di rispetto, nel loro comportamento quotidiano, dimostrando un impegno autentico nella creazione di un ambiente di lavoro sano e rispettoso.
È fondamentale che le aziende implementino politiche interne chiare e accessibili, che descrivano i comportamenti inaccettabili e le procedure per segnalare le molestie. Investire nella formazione, promuovere una cultura di rispetto e implementare politiche chiare sono passi decisivi per prevenire e gestire le molestie. Solo attraverso un impegno collettivo possiamo sperare di creare un ambiente di lavoro migliore per tutte e tutti!
dal 26 settembre a Lugano
consapevoli MERITARE di
Come liberarsi dalla sindrome
dell’impostore e finalmente imparare a rivendicare il proprio valore economico?
Non è questione di essere materialisti, il riconoscimento del valore di una persona passa anche dal compenso economico per il suo lavoro. Senza voler mischiare sacro e profano, l’indipendenza finanziaria innegabilmente è un presupposto di libertà di scelta nella vita.
Il discorso riguarda in prima battuta noi donne, che qualsiasi classifica si prenda fra quelle che fotografano il gender gap, anche nei paesi più fair, risultiamo meno pagate dei colleghi maschi di pari livello e competenze. Non bisogna però dimenticare che ogni contratto prevede sempre due lati del tavolo. Uno dei problemi è proprio che, mentre dalla parte dell’offerente il braccio è corto, dalla nostra molto spesso nemmeno osiamo sederci. Sembra infatti che, ancor prima di rivendicarlo, sia molto difficile a noi stesse per prime riconoscerci il giusto valore economico. «Questo dipende dal fatto che veniamo educate in modo da sottostimare le nostre competenze e posizioni. Fra i tanti, penso a uno studio del Dipartimento dell’Istruzione statunitense che ha chiesto a bambine e bambini delle elementari e ai loro docenti chi fosse più bravo con i numeri. Tutti concordi: i maschietti. E questo a dispetto dei dati, perché i voti più alti sono quelli delle femmine, attribuiti da quegli stessi
docenti che si lasciano poi fuorviare dai loro preconcetti nel giudizio di insieme. Ecco che questi e tanti altri stereotipi con cui veniamo cresciute, per cui la bambina perfetta è ancora quella che se ne sta composta e silenziosa, finiscono per impattare successivamente sulla capacità di valutarsi con evidenti ripercussioni sul mercato del lavoro», avverte Azzurra Rinaldi, Direttrice della School of Gender Economics all’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza.
Ed eccoci candidate alla sindrome dell’impostore: quando ci vengono riconosciuti dei successi pensiamo di non meritarli, di esser state favorite dalle circostanze, che abbiano sovrastimato le nostre capacità e la prossima volta non ci dimostreremo all’altezza. Come mettere a tacere questa insicurezza e vincersi?
Se di solito gli esperti del settore si fermano a constatare il gender pay gap e a qualche proiezione sulle decadi necessarie a colmarlo, Azzurra Rinaldi è l’interlocutrice ideale per qualche spendibilissimo consiglio che consenta di arrivare a sedersi a quel famoso tavolo e giocarsi la partita.
SUSANNA CATTANEO
L'ECONOMISTA FEMMINISTA AZZURRA RINALDI, DIRETTRICE DELLA SCHOOL OF GENDER ECONOMICS ALL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA UNITELMA
SAPIENZA. È INOLTRE COFONDATRICE DI EQUONOMICS, SOCIETÀ DI CONSULENZA PER LA GENDER EQUALITY, E DEI MOVIMENTI IL GIUSTO MEZZO E #DATECIVOCE.
FRA LE SUE PUBBLICAZIONI PIÙ RECENTI, LE SIGNORE NON PARLANO DI SOLDI (FABBRI, 2023) E COME
CHIEDERE L'AUMENTO (FABBRI, 2024)
«Dietro la richiesta di un aumento è necessario un processo di preparazione, che dovrebbe partire dallo studio del contesto per non avanzare pretese irrealistiche: quindi guardare ai dati di mercato e alla performance aziendale, così come confrontarsi con la situazione di colleghi con mansioni e competenze analoghe, per capire quali caratteristiche vengano premiate. Dopodiché dobbiamo passare al nostro piano individuale, per essere pronte quando verrà posta la fatidica domanda “Perché merita un aumento?”. Consiglio di costruirsi un report, appuntando ogni nostro piccolo o grande risultato: un aumento di produttività ottenuto dal nostro team, clienti portati all’azienda, un intervento a una conferenza, un articolo pubblicato, … Allo stesso tempo si possono creare delle alleanze, trovando sponsor interni che supportino la nostra
causa», elenca Azzurra Rinaldi, riprendendo i suggerimenti della sua recente pubblicazione, Come chiedere l’aumento: un titolo eloquente e provocatorio come quelli a cui ci ha abituato con il suo precedente Le signore non parlano di soldi
Ma proseguiamo con i consigli: come incassare una risposta negativa? «È un altro errore in cui incorriamo noi donne: non essendo culturalmente abituate a chiedere, ci attendiamo che quando finalmente osiamo debba arrivare un sì, il che non è assolutamente detto. Inutile cristallizzarsi su posizioni inamovibili, si tratta pur sempre di una negoziazione. Dobbiamo arrivare pronte con un’alternativa, che potrebbe essere un benefit di un altro tipo, magari una maggior flessibilità sull’orario di lavoro e, se il no persiste, farsi spiegare le ragioni per capire come potremmo arrivarci», suggerisce Azzurra Rinaldi. Che dal canto suo, con convinzione e soddisfazione, rivendica la sua qualifica di economista ‘femminista’ incarnando alla perfezione i principi ispiratori di questa teoria che, in contrasto con i modelli mainstream dell’economia classica e neoclassica, adotta l’approccio della cura e della sostenibilità. Un discorso che - passando dall’accademia all’impresa - sviluppa anche con Equonomics, di cui è cofondatrice: «Aiutiamo le aziende a raggiungere i loro obiettivi di parità di genere, soprattutto lavorando con le multinazionali. È un segnale incoraggiante scoprire un allineamento di valori con queste grandi realtà, pur nella specificità dei loro settori e delle strategie e degli strumenti che sviluppiamo per loro», osserva Azzurra Rinaldi. «Ma altrettanto importante è portare alla consapevolezza attraverso l’educazione economico-finanziaria, che nei programmi scolastici dell’obbligo ancora non trova una sua collocazione. Se però a casa non se ne parla, né lo si fa in aula, la situazione non può che peggiorare. Anche i social possono essere utili per provare a diffondere conoscenza, seppur in pillole, raggiungendo un pubblico molto ampio», ammette Azzurra Rinaldi. Perché la chiave è la consapevolezza. Dunque iniziate a compilare la vostra lista di personali successi professionali. Che prima ancora che a rivendicare un aumento in busta paga, deve appagare noi stesse, aiutandoci a riconoscerci finalmente i nostri pieni meriti. E a dirci un “Brava!”.
Non sapevo fino a che punto fossimo ‘cablati’ per la cura finché non sono diventata madre. Prima che questo accadesse, ho vissuto per quindici anni nel mondo del lavoro alla ricerca di un mio timbro, della mia personale leva di efficacia, guardando tra le competenze che avevo acquisito con gli studi e quelle che avevo migliorato con l’esperienza, ma sentendomi sempre un po’ in difetto: notando più le mie mancanze che i miei successi.
Mi sembrava che ci fosse qualcosa che mi sfuggiva: che gli altri fossero tutti più sicuri, più adatti, più forti di me. Non avevo difficoltà ad assumere responsabilità crescenti, ma faticavo ad associarvi un senso di potere.
Mi sembrava di essere eternamente ragazzina: mai adulta abbastanza per avere una voce mia. È una sensazione, questa, che provano molte donne. Oggi, dopo oltre dieci anni passati a studiare questi temi, so bene perché.
La scienza la chiama ‘minaccia dello stereotipo’. Si tratta della minaccia percepita da tutte le persone che oggi, per un motivo o per un altro, ricadono nella definizione di ‘minoranza’, e viene prodotta dall’inserimento in un contesto in cui si sentono diverse in modo sbagliato a causa di alcune loro caratteristiche, non sempre note: perché anziane, perché
SOCIETÀ
DI RICCARDA ZEZZA
Come ricomporre l’antitesi fra lavoro e cura, restituendo energia vitale e senso a un mondo professionale impoverito dalla corsa alla performance?
donne, perché giovani, perché genitori, perché malate, perché in qualunque modo distanti da una definizione standard di come si dovrebbe essere.
La mia maternità mi aveva spostata un passetto al di fuori del cerchio magico di quelli che potevano continuare a dare tutto al lavoro. Ma a me non era chiarissimo perché.
Nei fatti, ed ecco l’incredibile scoperta, diventare madre mi aveva dato una consapevolezza e una sensazione di forza che non avevo mai sentito prima. Si trattava di un ruolo che accendeva, accrescendolo, tutto il mio senso di responsabilità, collocandomi in modo più chiaro nel mondo e dandomi molta più voglia di avere un impatto… proprio attraverso il lavoro.
Finalmente, direi. Ero arrivata ad avere 36 anni senza mai sentirmi così adulta, forte e con un significato come in quel momento. La pensavo come un pezzo a sé stante, che avrei collocato in modo ordinato insieme alle altre cose della mia vita. Eppure, la maternità, quel sassolino, l’ultimo in ordine di tempo, ha rovesciato il barattolo della mia vita: niente è più stato lo stesso.
CONCILIARE FAMIGLIA E VITA
LAVORATIVA È UN ESERCIZIO
COMPLESSO, MA PROPRIO
LA MATERNITÀ PUÒ AIUTARE
A SVILUPPARE COMPETENZE
ORGANIZZATIVE E RELAZIONALI
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NELLA VITA PROFESSIONALE, APPORTANDO NUOVE ENERGIE
CURA
‘Carriera’ significa letteralmente strada per la corsa dei cavalli con carri, e la presenza di carichi di cura, su questi carri, non è prevista. La strada è stata disegnata quando i carichi di cura erano altrove e nel tempo si è fatta, se possibile, ancora più stretta. Velocità e cura formano così un gioco a somma zero: perché vinca uno, l’altro deve per forza perdere.
Ti dicono, quindi, che puoi tornare al lavoro, ma che devi lasciare fuori la maternità. L’esclusione non è diretta a te: solo a una parte di te.
Ti accorgi così di quanto fosse piccola la porta che prima varcavi ogni giorno di corsa. E non ti viene il dubbio che sia perché sei diventata troppo grande tu. Molte donne e molti uomini: genitori, caregiver, persone che a un certo punto incontrano eventi di vita che li cambiano, come una malattia, un lutto, un amore, chinano la testa per continuare a passare sotto a quello stipite.
La scienza lo chiama ‘conflitto tra i ruoli’: trovarsi davanti a una società che ti vuole ‘a pezzi’, perché presa tutta insieme sei troppo grande. Succede a molti, praticamente a tutti: se non possiamo rallentare la velocità, rispondiamo con la tensione tra le parti di noi che teniamo qui e là, ci pieghiamo alla sensazione di essere nel posto sbagliato, di essere sempre sbagliati. Ma che cosa, della cura, non entra nel mondo del lavoro? Mi domandavo allora: possibile che fosse proprio quella cosa che invece mi aveva resa così forte?
Istintivamente, sentivo che era così: che quel rifiuto era non solo il risultato di uno schema obsoleto, a cui si poteva rispondere con un diverso equilibrio vita-lavoro, ma anche il segnale di un rischio maggiore, che stava portando il lavoro a restare senza energia vitale. Da dieci anni studio come cura e lavoro possano trovare una loro strada comune. La capacità di cura è alla base della sopravvivenza della nostra specie. La sua apparente estraneità al lavoro - un lavoro sempre più veloce e ad alto impatto, un lavoro che ha acquisito lo status di priorità assoluta nelle nostre vite, e non solo perché genera reddito - le ha però dato un ruolo di secondo piano nel mondo in cui viviamo. Per spiegarci: se tra cura e lavoro c’è una dicotomia, vince sempre il lavoro. E il disaccoppiamento tra i due genera una tensione che la società umana non può più sostenere. Perché gli esseri umani hanno bisogno di cura, perché il lavoro ha bisogno di cura, perché
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SOPRA, RICCARDA ZEZZA, FONDATRICE DI LIFEED, SOCIETÀ DI EDUCATION TECHNOLOGY CHE CREA
SOLUZIONI DIGITALI INNOVATIVE PER LO SVILUPPO E LA SOSTENIBILITÀ DEL CAPITALE UMANO. GIÀ AUTRICE
DI MAAM, MATERNITY AS A MASTER E DI C(U)ORE
BUSINESS, A INIZIO 2025 PUBBLICHERÀ IL SUO NUOVO
LIBRO, CURA (FRANCO ANGELI EDITORE)
la cura rende forti e fa vivere meglio e perché quella del prendersi cura è l’unica strada percorribile per la sostenibilità.
Perché la cura è contagiosa: chi la riceve si carica di capacità e di desiderio di darla.
Ma la cura fa anche paura proprio perché è così potente e perché ‘svela’. Rende vulnerabili perché attira irresistibilmente, rende esposti perché visibili.
Ed è, purtroppo, un territorio sempre meno familiare, a ogni generazione che passa. In un circolo vizioso di scommesse al ribasso, meno ci prendiamo cura gli uni degli altri e meno abbiamo voglia di farlo, in ogni contesto.
Rischiamo di dimenticarci come si fa.
Rischiamo di dimenticarci perché farlo.
E, quando l’avremo dimenticata, sarà molto difficile far rientrare la cura nelle nostre vite.
Fornire risposte concrete ai concreti problemi di tutti i giorni, in particolare in aree come la sanità, l’ambiente o la produzione industriale, è il compito dello Swiss Data Science Center. Che dimostra
come dai dati si possano estrarre valore e forza di innovazione
Vengono definiti “il nuovo petrolio”: ma perché i dati sono, o possono essere, così preziosi? Lo abbiamo chiesto a chi nei dati vive immersa e che questo mondo lo sa molto ben raccontare. Sarà che la sua tesi di Master era dedicata ai sistemi di comunicazione fra uomo e macchina? Nella sua ancor giovane e brillante carriera, dal 2019 Silvia Quarteroni è approdata allo Swiss Data Science Center, joint venture tra i due Politecnici federali, dove oggi, come Chief Transformation Officer & Head of Innovation, è responsabile di gran parte delle colla-
DATI alla MANO
borazioni con l’industria, il settore pubblico e le Ong, a capo di un team di 25 altrettanto brillanti data scientist, che risolvono problemi non banali mediante approcci data-driven, potendosi confrontare con una grandissima varietà di ambiti e applicazioni.
Silvia Quarteroni, il suo percorso formativo è però iniziato con una maturità letteraria. Cosa l’ha spinta a cambiare rotta?
La molla che ha fatto scattare il mio interesse per l’informatica prima, e per l’intelligenza artificiale poi, è stata la voglia di capire come funzionassero i motori di ricerca: trovavo affascinante che un programma informatico potesse ‘capire’ il linguaggio umano. Ho ritrovato tanti aspetti della linguistica nel trattamento del linguaggio naturale, che pur utilizzando metodi basati sui dati ha le sue radici nelle teorie linguistiche del Novecento.
Ma cosa rende i dati tanto preziosi da definirli il ‘nuovo petrolio’? È possibile misurarne quantitativamente il valore? E, soprattutto, come estrarlo?
L’utilizzo dei dati può essere estremamente potente per sostenere la presa di decisioni importanti. Certamente, affidarsi all’esperienza e all’intuito è importante, tuttavia il dato - se valorizzato adeguatamente - può dare una dimensione alternativa di grandissimo impatto. Il modo di misurarlo dipende dal campo d’applicazione: un sistema di Ia che permette di depistare gli effetti collaterali di un trattamento clinico potrà essere valutato in termini di riduzione dell’incidenza di tale trattamento; un sistema Ia che raccomanda prodotti ai consumatori potrà essere valutato in termini dell’ammontare del carrello virtuale dei clienti. Chiaramente, per arrivare a valorizzare il dato, è importante raccoglierlo e conservarlo in modo adeguato e capirlo da un punto di vista delle sue proprietà statistiche: per questo esistono molti strumenti che appartengono alla famiglia della data science. Qualche esempio dai progetti che sviluppate allo Swiss Data Science Center?
Il nostro Centro collabora con aziende e organizzazioni in tutti i settori. Per esempio, in ambito manufacturing, utilizziamo la data science per ottimizzare i processi di produzione legati a materie prime quali grano e malto, in modo da far risparmiare energia ai
SILVIA QUARTERONI, CHIEF TRANSFORMATION OFFICER & HEAD OF INNOVATION DELLO SWISS DATA SCIENCE CENTER, COFONDATO DA EPFL ED ETHZ. DA GENNAIO 2024 FA ANCHE PARTE DEI MEMBRI DELL’INNOSUISSE INNOVATION COUNCIL
nostri clienti. In campo biomedico, realizziamo modelli di intelligenza artificiale per identificare quali pazienti abbiano determinati comportamenti (per esempio una buona risposta a una terapia) o rischi (per esempio di effetti collaterali) grazie al loro profilo genetico e ad altri aspetti clinici. Nel retail, lavoriamo sulla personalizzazione in modo da permettere ai nostri partner di proporre il ‘giusto’ prodotto al ‘giusto’ cliente. Ma non c’è il rischio che, delegando sempre più le nostre decisioni al supporto dell’Ai, si perda la nostra umana capacità di ragionare e l’autonomia nelle nostre scelte?
Come ogni strumento, l’intelligenza artificiale necessita di disciplina e di una ‘mano’ che la manipoli correttamente. Quello che si può certamente dire inoltre è che l’Ia odierna - e probabilmente anche quella futura - non ha molto valore se non nel contesto di un processo decisionale umano.
Se i dati sono un asset strategico per le aziende, il singolo individuo quali benefici può trarne? A quali rischi essere attenti per non regalare sbadatamente i nostri dati personali?
Intanto, l’utilizzo di soluzioni Ia non è un imperativo categorico: molti ne traggono beneficio per raccogliere dati
e ricercare informazioni, o per dare spunto alla propria creatività nel generare contenuti (immagini, testi, audio e video). Altri preferiscono non servirsi di soluzioni del genere nella sfera privata, anche per motivi di privacy: come ogni sistema che richieda di trasmettere i propri dati a un server esterno, un chatbot come ChatGpt o un software come Midjourney ci espone - ma a questo siamo forse abituati dal momento che utilizziamo i social media o le piattaforme di streaming e di e-commerce. A proposito di questi ultimi, è importante comunque notare che in qualità di loro utenti, lo siamo anche indirettamente dei sistemi di Ia: in effetti, i contenuti e i prodotti che ci vengono proposti sono influenzati da una rappresentazione ‘intelligente’ del nostro profilo che deriva, appunto da modelli di Ia. Come trovare allora il giusto equilibrio fra le norme necessarie per la protezione dei dati e l’altrettanto indispensabile libertà per sperimentare e innovare che serve a voi ricercatori? Sono convinta che l’eccesso di regolamentazione sia un potenziale danno. Intanto, siamo ai primi passi di un’adozione sistematica e veramente d’impatto di sistemi Ia, specialmente in ambito aziendale. Le prime prove convincenti del valore di tali sistemi saranno preziosissime e non vanno stroncate sul nascere.
Inoltre, viviamo in un contesto globale in cui è impensabile un approccio a due velocità: adozione entusiasta contro prudenza eccessiva. Chi frena oggi, rischia di non avere una seconda possibilità. Infine, trovo sbagliato regolamentare la tecnologia e i processi allo stesso tempo. Se è importante non copiare durante un esame, la regola dovrebbe applicarsi tanto al compagno di banco quanto alla copia da un software. Introdurre una regola ad hoc mi sembra una complessità inutile. La sua tesi di Master era già dedicata ai sistemi di dialogo fra uomo e macchina. Immagino quindi che, al di là dell’impatto mediatico, non l’abbia troppo stupita l’arrivo di ChatGpt. Guardando invece all’orizzonte, in che direzione immagina possa andare lo sviluppo della Gen-Ai?
Rimane moltissima strada da fare, in particolare nella contestualizzazione dei sistemi di GenAi ad ambiti specifici (insegnamento, manifattura di precisione, nutrizione, ecc.) e alla lingua e cultura di ciascun paese. L’obiettivo a mio avviso più grandioso, inoltre, riguarda la medicina personalizzata, che negli ultimi anni sta rivoluzionando l’approccio clinico e promette grandi passi in avanti grazie a un’analisi estremamente complessa e raffinata delle caratteristiche genetiche, cliniche e metaboliche di ciascun paziente.
Per concludere, una provocazione: oltre che ai dati, dà spazio anche l’intuito nelle sue decisioni personali?
In realtà, credo molto di più nell’intuito che nei dati quando si tratta di decisioni personali. Penso che una grande componente delle decisioni sia la curiosità, che unitamente alla dimensione emotiva costituisce una grandissima risorsa di noi esseri umani.
UN FILTRO INTELLIGENTE
LDI JENNIFER
NGADIUBA,
ASSOCIATE
SCIENTIST PRESSO
IL FERMI NATIONAL
ACCELERATOR
LABORATORY (USA), MEMBRO
DELL’ESPERIMENTO
CMS DEL CERN
avorare al Cern significa contribuire a rispondere ad alcune delle domande più profonde dell’umanità: di cosa è fatta la materia? Come funziona l’universo? Come scienziata dell’esperimento Cms (Compact Muon Solenoid), faccio parte di un team globale che utilizza il più grande acceleratore di particelle al mondo, il Large Hadron Collider (Lhc), per esplorare queste domande fondamentali. La sfida principale di Cms è filtrare e analizzare i dati prodotti dalle collisioni di protoni ad altissima energia. Ogni secondo, il nostro esperimento genera un volume di dati pari al 5% del traffico internet globale. Per gestire questa enorme mole di informazioni, il sistema di trigger di Cms seleziona in tempo reale gli eventi più rilevanti da analizzare, riducendo drasticamente
L’Ia come chiave per accelerare le scoperte scientifiche
i dati da immagazzinare. È qui che entra in gioco la mia passione per l’intelligenza artificiale.
Ho sviluppato tecniche di Ia avanzate per migliorare il sistema di trigger di Cms. Questo ‘filtro intelligente’ individua in tempo reale gli eventi più significativi, scartando quelli meno interessanti. Grazie all’uso di reti neurali e algoritmi di machine learning su hardware ultrarapidi, possiamo identificare segnali rari di nuova fisica, come particelle mai osservate o interazioni che potrebbero riscrivere il nostro modello standard della fisica.
Un esempio innovativo è l’uso dell’anomaly detection, ossia la capacità di individuare eventi inattesi nei dati. Immaginate di cercare un ago in un pagliaio... senza sapere com’è fatto l’ago! Con l’Ia, possiamo individuare queste anomalie, accelerando il percorso verso nuove scoperte.
L’impatto della mia ricerca va oltre la scienza fondamentale. Queste nuove tecnologie sviluppate al Cern trovano applicazione anche in medicina, industria e sostenibilità. Ad esempio, sistemi di Ia per il riconoscimento di anomalie possono migliorare la diagnosi precoce di malattie o ottimizzare l’efficienza energetica. Con il mio lavoro, spero di ispirare altre donne a intraprendere carriere scientifiche. La scienza non è solo una strada per comprendere l’universo, ma anche per innovare e contribuire al progresso della società. Nel mio lavoro, ogni giorno è un’avventura verso l’ignoto, e l’Ia è la nostra bussola nel vasto mare dei dati.
Dalla ‘beautification’ all’anti-aging, come sintonizzarsi con la migliore versione di sé, preservando la propria unicità
Accettarsi per piacersi. In un’epoca in cui il valore di un talento viene stabilito a suon di ‘Likes’, stare bene con se stessi libera dal giudizio degli altri e rappresenta il primo, fondamentale, passo verso la felicità. Un’immagine corporea positiva svolge un ruolo importante per la propria salute psicofisica, sia per quanto riguarda la relazione emotiva con il proprio corpo, sia in numerosi altri ambiti della
vita. Chi ha un’immagine corporea positiva infatti ha un maggior grado di accettazione di sé, un approccio più sano verso alimentazione e attività fisica, ed anche una vita professionale e sociale più serena.
SOPRA, DUE IMMAGINI DEL DR. MED. MARTINO MEOLI, SPECIALISTA IN CHIRURGIA PLASTICA, RICOSTRUTTIVA ED ESTETICA, E FONDATORE DI DIAMOND MEDICAL, ATTIVO A LUGANO, LUCERNA, ASCONA E GRONO
«A volte, per piacersi veramente, soprattutto in alcune fasi della vita, le persone hanno voglia o sentono la necessità di intervenire sul proprio aspetto fisico, migliorandolo», premette il dottor Martino Meoli, specialista svizzero FMH in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica e specialista europeo EBOPRAS. «Ogni paziente è unico e merita un approccio basato esclusivamente sulle sue necessità e richieste specifiche, affinché abbia un’esperienza di benessere e bellezza senza pari», sintetizza il dottor Meoli, fondatore di Diamond Medical, attivo a Lugano, Lucerna, Ascona e Grono, «Proponiamo per questo un percorso di eleganza e armonia, dove ogni dettaglio è curato con la massima precisione». Ogni intervento di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica «è una creazione su misura, frutto di artigianalità, precisione e innovazione medica, volta a garantire risultati straordinari e una sicurezza assoluta per la salute del paziente», prosegue il chirurgo, evidenziando al contempo l’importanza di un dialogo chiaro e trasparente tra chi desidera sottoporsi a un trattamento o intervento ed il medico, «per poter comprendere i reali bisogni del paziente, che va consigliato, e a volte anche scoraggiato se le richieste sono inadatte al suo caso».
Se si guarda alla medicina estetica, i trattamenti possibili nelle sedi di Diamond Medical includono trattamenti ‘dalla testa ai piedi’, letteralmente: dalla biostimolazione dei capelli, che li rinforza e ne stimola la crescita, migliorandone densità e qualità, a quelli per viso e corpo: «Questi trattamenti mirano a correggere con precisione ed efficacia diversi problemi estetici, tra cui rughe, cicatrici, perdita di volume, lassità cutanea e depositi di grasso localizzati». I filler di acido ialuronico e il botulino sono alcuni dei trattamenti più richiesti», spiega Meoli, che sottolinea: «Con riferimento alla chirurgia estetica, la parola d’ordine è naturalezza. Mediante interventi che non devono apportare trasformazioni estreme, quanto piuttosto esaltare le caratteristiche personali, mantenendo un aspetto autentico e armonioso. Ossia, la vera bellezza».
L’incatesimo di uno sguardo che si accende delle magnetiche aurore del Nord, ammaliante e sensuale
cosmetica BOREALE
POKER DONNE di
MarinaApollonio Venezia
La geometria delle forme elementari e le ricerche attorno alla possibilità di attivazione sono al centro dell’opera di Marina Apollonio (n. 1940), in particolare il cerchio. La mostra della Collezione Peggy Guggenheim ripercorre la carriera di questa protagonista dell’Arte Optical e Cinetica internazionale, con la sua rigorosissima progettazione matematica, la continua sperimentazione di tecniche, materiali e ritmi cromatici.
SOPRA, PAULA REGO NEL SUO STUDIO, 2009
A DESTRA, IL SUO ACRILICO LA SPOSA, 1985
Paula Rego. Giochi di potere
Kunstmuseum Basel
Fino al 2 febbraio 2025
UMORISMO ABISSALE
FORME PRIMARIE
SOPRA, MARINA APOLLONIO, 1965
A DESTRA, LA SUA GRADAZIONE 11. VERDE GIALLO SU ROSSO, 1971
Marina Apollonio. Oltre il cerchio Collezione Peggy Guggenheim Fino a 3 marzo 2025
APaula Rego
ttivista e femminista, con i suoi dipinti a volte esuberanti e disturbanti, l’artista luso-britannica Paula Rego (1935-2022) è stata una delle più importanti pittrici figurative degli ultimi decenni, autrice prolifica di un’opera di grande impatto visivo e sociale che testimonia il suo interesse per lo studio dei “giochi di potere e delle gerarchie”, filo conduttore della grande mostra monografica che le dedica il Kunstmuseum Basel.
A DESTRA, LA SUA NANA BALLERINA MEDIA, PIEDISTALLO DI JEAN TINGUELY, 1982
Niki de Saint Phalle
Milano
Gabrielle Münter
SPIRITO LIBERO
Èstata una delle artiste che maggiormente hanno sfidato gli stereotipi di genere attraverso l’arte, esprimendo il suo impegno e la sua identità in un’arte gioiosa, inclusiva, in grado di veicolare attraverso opere comprensibili e amate da tutte le generazioni un discorso attento alle diversità, non-eurocentrico e non-gerarchico. Un lato impegnato dell’artista franco-americana che il Mudec di Milano rivela attraverso una diversa lettura della sua opera.
COLORE RIBELLE
Indifferente alle limitazioni imposte alle donne del suo tempo, Gabriele Münter (1877-1962) è stata una delle figure di spicco dell’Espressionismo tedesco, anche se a lungo sottovalutata. Nei suoi dipinti, dalle linee precise e dai colori intensi, immerge lo spettatore nel suo mondo privato e, attraverso il suo sguardo altamente sensibile, presenta con grande raffinatezza oggetti quotidiani, paesaggi, donne e sé stessa. Il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza le dedica una corposa retrospettiva, che si apre con una sezione in cui l’artista si presenta al pubblico attraverso una serie di autoritratti e fotografie, per seguirne poi tutta la lunga carriera, caratterizzata da un’instancabile voglia di sperimentazione.
SOPRA, GABRIELE MÜNTER FOTOGRAFATA
MENTRE DIPINGE DAL SUO COMPAGNO
WASSILY KANDINSKY,1902
A SINISTRA, IL SUO RITRATTO DI MARIANNE VON WEREFKIN, 1909
Gabriele Münter. Grande pittrice espressionista Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, fino al 9 febbraio
Berna, Palazzo federale. Nella sala della cupola, dall’alto dei 33 metri dell’intradosso, lo stemma rossocrociato è circondato da parole: Unus pro omnibus, omnes pro uno (Uno per tutti, tutti per uno); è indubbiamente la sintesi della nostra democrazia ma il pensiero corre svelto anche alle parole di un romanzo. È il motto che Alexandre Dumas mette in bocca ai suoi tre moschettieri (anche se per loro era invertito: tutti per uno, uno per tutti). Dumas lo scrive solo una volta (o due, se contiamo il
DI FABIANO ALBORGHETTI, POETA (PREMIO SVIZZERO DI LETTERATURA) E PRESIDENTE DELLA CASA DELLA LETTERATURA
PER LA SVIZZERA ITALIANA
Favole e fiabe, romanzi e poesia, con il loro potere immaginifico ci aiutano a scoprirci e a interpretare il mondo, accendendo la sete di
conoscenza
terzo e ultimo volume della trilogia, Il visconte di Bragelonne) ma tanto è bastato per farle passare alla storia. La grande Storia è nutrita da migliaia di piccole, infinitesimali storie: quelle vissute da ognuno di noi e che non troverebbero modo di raccontarsi. Sono però la malta che costruisce qualcosa di più vasto. La Storia, perché abbia respiro e continuità, perché sia tramandata, chiede un lavoro incessante alla letteratura il cui compito è da sempre quello di documentare, mostrare, indagare e anche analizzare l’essere umano per come è immerso nella società. E la letteratura ascolta, soprattutto le storie dette sottovoce. Diventeranno letteratura solo dopo, attraverso costellazioni di linguaggi, ognuno con un suo
contenuto, una forma, una capacità penetrativa che faccia sì che quella storia resista al tempo e abbia valore. Il compito assegnato non è però solo documentale: deve incarnare altro, prima di tutto il potere immaginifico. Deve servire sia da ritratto che da specchio. Una forma di specchio che aiuta a decrittare il mondo è, per i più piccoli, l’universo dato da favole e fiabe. Spesso le si confonde. Le favole nascono nel IV secolo, hanno di regola protagonisti animali nonché una morale con la quale si insegna o condanna un comportamento o un vizio umano; come non ricordare Esopo, oppure i fratelli Grimm? Le fiabe arrivano invece molto dopo, alla fine del 1600, non indirizzano a una morale e, soprattutto, narrano fatti irreali; Andersen è l’autore più conosciuto. È grazie a queste narrazioni così sovversive e talvolta pungenti che i bambini iniziano a dare una forma a concetti, a orientarsi e confrontarsi con la realtà, ad assegnare scale di valori e a riconoscere i contrari e le ombre. Come diceva lo scrittore e giornalista britannico Gilbert Keith Chesterton: “Le favole non insegnano ai bambini che i mostri esistono. Questo lo sanno già. Le favole insegnano ai bambini che i mostri possono essere sconfitti”.
Da adulti il percorso non è dissimile: continuiamo a creare sistemi di comprensione formale attraverso quella stessa stupefacente e multi-
forme attività che è l’interpretazione. Accanto all’ortodossia delle certezze e del reale statico, accogliamo la consapevolezza di un’esperienza sempre in divenire. Non è un percorso così lontano da quanto già fatto nel Quattrocento con l’Umanesimo o nel Settecento con l’Illuminismo. A patto di volersi mettere in gioco. Sapere aude (abbi il coraggio di conoscere) scriveva l’illuminista Emmanuel Kant nel 1784 riprendendo quanto già in Orazio (Epistole I, 2, 40). Ma le ombre sono difficili da arginare, e hanno una mano lunga, spesso più della luce della ragione. Evo dopo evo la ragione ha perso un poco la voce, e nei nostri tempi correnti si direbbe talvolta afona. Alla filosofia - relegata ormai a pochissimi - sono subentrati altri linguaggi. Alcuni volutamente dispersivi perché la regola del “panem et circenses” di Giovenale (Satira X) si applica da secoli, funziona oggi, e temo funzionerà anche domani.
Resta la letteratura come argine alle storture, alla perdita di memoria e alle derive del buio. Lo indicava già Faulkner (Carnets II): “Quelli che non sanno parlare della fierezza, dell’orgoglio, dell’onore, del dolore, sono scrittori senza futuro e la loro opera morirà (…)”. La prosa (spesso è il romanzo) lo fa con un linguaggio più esplicito, mentre la poesia (citando Benedetto Croce) è una forma di conoscenza a carattere intuitivo, che opera attraverso immagini. In entrambe però il potere immaginifico è lo specchio capace di rimandare il nostro ritratto: una letteratura che non sia un “raziocinio tabellare” come scriveva Friedrich Schiller, ma un percorso di cre- scita e conoscenza partecipe, perseverante, preservante anche, in quanto bussola di orientamento per l’essere umano.
Un percorso difficile e sommesso, ma è questa la strada data: cercare di essere (ancora) una voce contro la censura o la dimenticanza, farsi scudo contro i sinistri precettori del compromesso. Lo scrittore sarà “uno per tutti” facendosi voce; il “tutti per uno” sarà l’azione, il compito assegnato a noi, per ricordarci che i mostri esistono, ma possono essere sconfitti.
Una
FOLGORANTE CREATIVITÀ
Il suo è un cielo ancorato alla terra.
Concreta e al tempo stesso visionaria, autrice di un’opera multiforme
ma personalissima, Ingeborg Lüscher si racconta al Museo d’arte Mendrisio, che le dedica la prima antologica nel ‘suo’ territorio ticinese
SOPRA, INBOX, 1968-69, GOUACHE E PITTURA A EMULSIONE SU POLISTIROLO, SMALTO SU CARTONE, LEGNO E VETRO, 34 X 34 X 15 CM, COLLEZIONE DELL’ARTISTA
Una rigogliosa cascata di luce. Banali nastri di plastica gialli come quelli comunemente usati nei cantieri, intrecciati si riversano rigogliosi dal soffitto della stanza, trasfigurati da una potente metafora creativa ne I giardini pensili di Semiramide.
A 88 anni Ingeborg Lüscher, un’artista che ha saputo attraversare le principali frange avanguardiste del secondo dopoguerra diventando una delle figure di riferimento dell’orizzonte artistico contemporaneo, continua a interrogarsi, sperimentare e sorprendere. Con questa spettacolare installazione site-specific che attribuisce alla controversa sovrana assiro-babilonese l’origine di una delle sette meraviglie, ha voluto concludere - in giallo, suo colore d’elezione - il percorso dell’antologica che le dedica, fino al prossimo 19 gennaio, il Museo d’arte Mendrisio. Un tributo che ancora non le era stato reso in Ticino, malgrado proprio questo sia stato l’epicentro di una vita che l’ha condotta a esporre a ogni angolo del mondo.
A testimonianza della complessità e del pluralismo della sua visione, si sono voluti presentare tutti i principali nuclei tematici della sua ricerca artistica, che è anche la storia di emancipazione personale e femminile di una donna che, a 32 anni, decide di lasciarsi alle spalle una carriera d’attrice ben avviata e separasi dal marito: impegnata a Praga nelle riprese di un
film per la televisione tedesca, non può restare indifferente alla determinazione con cui i futuri dissidenti difendono le loro idee al prezzo della libertà. Al rientro affitta l’atelier locarnese appartenuto a Jean Arp, dove inizia il suo cammino da autodidatta. Si va dalle prime Inboxes, con cui scopre il potere trasformativo del fuoco, alle opere create negli anni ’90 con lo zolfo, che con la sua sulfurea luminosità le permette di portare all’apice il contrasto fra luce e oscurità soggiacente alla sua intera opera. Scoperto per caso in due ampolle di un’antica farmacia di Locarno, è soltanto uno degli inconsueti materiali che Ingeborg non teme di sperimentare, come i celeberrimi mozziconi di sigaretta, che assume quali condensato di momenti di vita vissuta - impressionante, in particolare, la serie delle Finestre - oppure la domestica lanugine del bucato con cui compone il suo Pesto cotonese. Ci sono persino progetti ancora in corso, come la serie Foto del mago, ormai oltre 500 ritratti, dal 1976 a oggi, che affiancano nomi celebri della cultura ad amici e vicini di casa di Tegna. Perché Ingeborg Lüscher è anche profondamente legata al nostro cantone, come testimonia anche il suo rapporto con l’eremita Armand Schulthess in Valle Onsernone, evocato da un’altra delle tre installazioni site-specific. Tanti registri, molte dicotomie: oltre a luce e oscurità, maschile e femminile, interiorità ed esteriorità, cielo e terra, dolore - emblematico il lancinante video dedicato al conflitto israelo-palestinese L’altra parte, un lavoro quantomai attuale ed efficace a 15 anni di distanza - e ironia, come quella che
fa ancora sorridere davanti al gigantesco mantello mimetico confezionato per consentire ad Harald Szeemann, compagno di una vita felice e papà della figlia Una, di girare indisturbato per Venezia quando fu nominato curatore della Biennale. Concreta e al tempo stesso visionaria, Ingeborg Lüscher ha saputo vivere il suo essere artista donna, moglie e madre come un accrescimento e mai come un limite. Come continua a fare alla soglia dei 90 anni. Più che da raccontare, una mostra da visitare per apprezzare l’efficacia dell’allestimento creato in tre mesi di intenso lavoro con l’artista stessa, la cui unicità si esprime sala dopo sala, in tutta la sua vitalità creatrice.
SOPRA, L’AUTORITRATTO GLASBILD 72/15, 1972, FOTOGRAFIA, MOZZICONI, COLLA, INCHIOSTRO, VETRO, BULLONI, 40 X 40 X 6 CM, COLLEZIONE UNA SZEEMANN ACCANTO, CIELO E TERRA, 1995, ILFOCHROME SU ALLUMINIO, AARGAUER KUNSTHAUS AARAU. DONAZIONE INGEBORG LÜSCHER
L’arte ha sempre rappresentato, in tutte le sue forme, uno straordinario strumento di espressione, creatività e trasformazione sociale. Per secoli il mondo artistico è però stato dominato da una prospettiva maschile che ha spesso relegato le donne a ruoli secondari o marginali; oggi, invece, assistiamo a un momento di rinnovamento in cui le competenze e la sensibilità femminili emergono come risorse imprescindibili, non solo per arricchire il panorama artistico ma anche per offrire modelli di leadership, collaborazione e innovazione.
Protagoniste dietro
le quinte museali
Il mondo dell’arte è costellato da “addetti/e ai lavori” che ogni giorno, dietro le quinte, contribuiscono a rendere l’arte fruibile al pubblico, a divulgare il messaggio degli artisti e a porre le basi per una crescita delle nuove generazioni improntata al bello.
La leadership femminile si distingue per un approccio spesso collaborativo, volto a creare sinergie tra artiste, istituzioni e pubblico; non mancano nella nostra regione esempi virtuosi tra le istituzioni museali (Nicoletta Ossanna Cavadini per il m.a.x. museo di Chiasso, Barbara Paltenghi Malacrida per il Museo d’Arte di Mendrisio, Antonia Nessi per la Pinacoteca Vincenzo Vela, Danna Olgiati per la Collezione Olgiati) e tra le gallerie d’arte (Patrizia Cattaneo Moresi per Artrust, Tecla Riva per Kromya Art Gallery a Lugano, Livia Facchetti per Primo Marella Gallery a Lugano).
Molte donne oggi lavorano in ambiti essenziali e spesso poco visibili, come la conservazione, la logistica e la gestione delle opere d’arte, contribuendo con professionalità e dedizione alla crescita di un ecosistema culturale internazionale e interconnesso.
Un esempio significativo viene dall’Icefat, network mondiale che riunisce le aziende leader nella movimentazione e nel trasporto di opere d’arte. Qui le donne stanno assumendo ruoli sempre più rilevanti, svolgendo un lavoro estremamente complesso, che richiede una combinazione di rigore tecnico, sensibilità culturale e capacità organizzative per garantire che le opere viaggino in sicurezza da un luogo all’altro del mondo, contribuendo a preservare
Competenze e sensibilità femminili quali risorse a disposizione del mondo dell’arte
e proteggere un patrimonio artistico inestimabile. Alla recente convention svoltasi a Montreal, Züst & Bachmeier ha partecipato nel ruolo di socio fondatore, unico membro in Canton Ticino. Fra i panel proposti, l’evento “Women in Logistic” ha raccolto figure femminili di riferimento tra più di 80 aziende da tutto il mondo e che in molti casi rivestono ruoli apicali. “We see you breaking those glass ceilings” non è più solo un auspicio della nostra Vice-Chair Melissa Osterwind, ma una realtà tangibile. Anche nel campo della conservazione e della gestione delle collezioni museali le donne rivestono ruoli cruciali, come quello di registrar, il responsabile di documentazione, gestione e sicurezza delle opere d’arte all’interno delle istituzioni. Con le loro competenze analitiche e la loro attenzione ai dettagli, le donne svolgono in questo campo un lavoro sia tecnico che amministrativo, contribuendo a gestire le collezioni e a facilitare mostre internazionali. Queste figure femminili che lavorano dietro le quinte sono indispensabili per il funzionamento del sistema dell’arte. Esse incarnano un’idea di leadership che, oltre alla competenza disciplinare dimostra empatia e capacità di mediazione, qualità che favoriscono la costruzione di reti e collaborazioni durature.
Monica Malinverno, Director Fine art, Exhibition and Design Department Züst & Bachmeier e socia BPW-Ticino
Potere della CONNESSIONE. Umana
Norvegese di nascita, dopo aver vissuto in posti diversi, dalla Turchia a Roma e Stati Uniti, Angélique Eriksen ha impresso la propria esperienza multiculturale e poliglotta in un progetto imprenditoriale che, a quasi venticinque anni dal suo avvio, è un modello vincente.
Il fattore umano è preponderante. Non solo perché Egg - questo è il nome dell’agenzia di eventi internazionali fondata da Angélique - è oggi una realtà che comprende 220 collaboratori a tempo pieno dislocati in diversi continenti, espressione di 33 nazionalità e 22 lingue, incluso il linguaggio dei segni. Il fattore umano è preponderante perché: «La riuscita di un’impresa non dipende mai solo da una persona», nota Angélique. «Ci vuole una comunità di persone che lavorino insieme. Senza confini, su scala mondiale, con le nostre differenti culture e competenze, noi siamo un’unica squadra».
Quando gli esseri umani sono pienamente nel ‘qui e ora’ e connessi emotivamente, accadono cose straordinarie. «Intrecciando nella narrazione sentimenti come amore, speranza, gioia e nostalgia, nascono esperienze che trasportano il pubblico al cuore del momento. Ed è qui che avviene la vera trasformazione. Gli individui diventano partecipanti attivi, co-creatori del loro viaggio». Facendo leva su questo potenziale, un evento non è solo intrattenimento, ma la scintilla che innesca la passione o rafforza una fedeltà duratura all’azien-
Creatore di esperienze straordinarie, chi organizza eventi trasporta le persone in mondi diversi. Consegnando loro un’emozione destinata ad avere effetti positivi ben oltre la fine dell’evento
da o al marchio. «È inimmaginabile l’impatto che un evento ‘corporate’ può avere sulla storia stessa dell’azienda, sul suo successo e sui suoi profitti. Trasversalmente, in tutti gli ambiti, incluso quello farmaceutico che oggi rappresenta, per Egg, la maggior parte del fatturato». Uno stimolo a creare senza sosta occasioni speciali, per un ‘Uovo’ da cui escono sempre nuove sorprese.
ANGÉLIQUE ERIKSEN, CEO E FOUNDER DI EGG, AGENZIA INTERNAZIONALE DI EVENTI
Rancate (Mendrisio), Cantone Ticino, Svizzera
(1815-1884)
Carlo Bossoli
Pittore giramondo tra le corti reali e il magico Oriente
20 ottobre 2024 - 23 febbraio 2025
Carlo Bossoli, Veduta di Lugano. Piazza Grande particolare, 1849. Lugano, Museo d’arte della Svizzera italiana, Collezione
Città di Lugano, inv. CCL-91
ARTIGIANI PER VOCAZIONE
‘Hermès in the making’ è una sorta di scrigno delle meraviglie che, in una città sempre diversa, per dieci giorni svela il ‘dietro le quinte’ della Maison. Quest’anno, tappa a Zurigo, dove è andato in scena tutto il valore dei suoi métieres
Ogni creazione artigianale è una storia, un pezzo di anima che riflette le passioni, le competenze e l’autenticità del processo produttivo.
Sin dal 1837, Hermès è fedele al suo modello artigianale. E ai suoi valori umanistici. La libertà creativa, la costante ricerca dei materiali più belli, la trasmissione di un savoir-faire d’eccellenza e un’estetica improntata alla funzionalità sono le caratteristiche che forgiano l’unicità di oggetti pensati per durare nel tempo e creati utilizzando tecniche artigianali. La precisione dell’incisione e la delicatezza dei colori stampati che fanno ‘vibrare’ i foulard di seta; la confezione di una borsa Kelly o le prime fasi di lavorazione di un paio di guanti in pelle; l’ingegno e l’esperienza necessari per riparare una borsa; la pazien-
NELLA PAGINA ACCANTO, DISEGNO SU PORCELLANA,
PRIMA CHE SIANO APPLICATI I PIGMENTI CON TECNICHE COMPLESSE. PER OTTENERE COLORI VIVIDI E BRILLANTI, OCCORRONO DIVERSE COTTURE
FINO A 800 °C IN QUESTA PAGINA, COME NASCE IL CELEBRE ‘CARRÉ’? IL PROGETTO ORIGINALE A GRANDEZZA NATURALE
VIENE ‘SEZIONATO’ E TRACCIATO A MANO CON UN PENNINO SU UN FILM TRASPARENTE; VIENE QUINDI
CREATO UN FILE PER COLORE. POI, SI REALIZZANO I RIQUADRI DI STAMPA, CON UNA TONALITÀ PER RIQUADRO. NELLE FANTASIE COMPLESSE SI POSSONO RAGGIUNGERE FINO A QUARANTOTTO CROMIE!
za necessaria per dare vita al nuovo orologio Hermès H08 o per ornare di diamanti un bracciale Chaîne d’ancre; la meticolosità richiesta per dipingere il motivo Fauves de Nuit su un piatto di porcellana bianca; la destrezza necessaria per assemblare la sella da salto ostacoli Hermès Vivace. Realizzati con i materiali più pregiati, sviluppano una patina, diventano più belli con il tempo e possono essere tramandati e riparati.
SOPRA, SOTTO E NELLA PAGINA ACCANTO, ALCUNI DEI SAVOIR FAIRE DI HERMÈS, LA CUI STORIA È STRETTAMENTE LEGATA ALL’EQUITAZIONE. COME SI FA UNA SELLA? SCELTE LE PELLI E AGGIUNTI I MATERIALI COME MOUSSE E CINGHIE, OCCORRONO PUNTI DI CUCITO TRA CUI IL CELEBRE E COMPLESSO PUNTO SELLA O SELLAIO
NELLE FOTO, PELLE, PELLI. PER REALIZZARE UN PAIO DI GUANTI CI VOGLIONO
BEN VENTIDUE FASI. IL GUANTAIO ANALIZZA LA PELLE, LA AMMORBIDISCE, LA TRATTA, LA DISTENDE … QUANDO IL DESIGN DEL GUANTO È PRONTO, LA ‘MANO DI FERRO’ (UNO STRUMENTO DEL XIX
SECOLO) TAGLIA LA FORMA ESATTA DELLE DITA CHE POI UNA ‘MANO TERMICA’ RISCALDATA LEVIGHERÀ
Di mestieri Hermès ne annovera sedici.
Azienda indipendente a conduzione familiare, si impegna a mantenere la maggior parte della sua produzione in Francia, attraverso i suoi 60 siti di produzione e formazione, e a sviluppare la sua rete di circa 300 negozi in 45 Paesi. Il Gruppo impiega oggi 23.200 persone in tutto il mondo, di cui 14.300 in Francia, 7.300 dei quali sono artigiani.
Axel Dumas, membro della famiglia della sesta generazione, ricopre dal 2013 il ruolo di amministratore delegato dell’Azienda.
Istituita nel 2008, la Fondation d’enterprise Hermès supporta progetti negli ambiti della creazione artistica, della formazione, della trasmissione del savoir-faire, della biodiversità e della tutela dell’ambiente.
Durata, qualità, innovazione, trasmissione ed estetica funzionale sono i valori che guidano la creazione degli oggetti Hermès dal 1837; valori che, oggi più che mai, rispondono alle sfide fondamentali del nostro tempo.
SOPRA, ISPIRANDOSI ALLE ’POCHES EN LIBERTÉ’ IDEATE DA MARGIELA CON HERMÈS E RIPRENDENDO I QUARTIERI DI UNA SELLA, LA BORSA ARÇON HA UN’INEDITA FORMA ARROTONDATA, VOLUMI GENEROSI DALLE LINEE ESSENZIALI E UNA FIRMA DECISA. IL MOSCHETTONE? ...PER AGGANCIARE GUANTI O AMULETI!
Maral Artinian
Tradizione e innovazione. E una grande passione come motore del cambiamento, senza perdere di vista la filosofia imprenditoriale di famiglia e i codici stilistici tramandati di generazione in generazione. Due differenti ambiti, diverse geografie e una distinta rivisitazione del savoir-faire appreso fin da giovanissime. I percorsi di due donne accomunate dalla capacità di anticipare, con una visione contemporanea, il nuovo corso
Figlie D’ARTE: QUANDO IL
Dietro un nome celebre, spesso c’è una storia familiare fatta di passione, dedizione e visione. Di valori e insegnamenti condivisi e tramandati. Maral Artinian, fondatrice e direttrice creativa del brand di gioielli
Marli New York, e Susanna Minotti, responsabile della decorazione d’interni dell’iconico brand d’arredo Minotti, incarnano perfettamente il concetto di ‘figlie d’arte’. Cresciute in famiglie che hanno costruito il proprio successo su una tradizione di eccellenza, le due donne hanno saputo trasformare quella eredità in un percorso innovativo e personale, portando le loro aziende a nuove vette.
Un’eredità di gioielli senza tempo
Per Maral Artinian, l’amore per l’arte della gioielleria è nato quasi... per osmosi! Circondata da diamanti e pietre preziose, elementi fondamentali del business di famiglia, fin da quando era piccola. Questa eredità ha plasmato la sua visione e il suo approccio alla creazione. Con Marli New York, fondata nel 2014, ha saputo
IN QUESTA PAGINA, MARAL ARTINIAN, DIRETTRICE
CREATIVA DI MARLI NEW YORK, IL BRAND DI GIOIELLI
DA LEI FONDATO NEL 2014, È CRESCIUTA IN UNA
FAMIGLIA DI GIOIELLIERI, SVILUPPANDO CONOSCENZA
E RISPETTO DI VALORI TRA CUI L’ARTIGINALITÀ E
L’ARTE. IL SUO È UN VOCABOLARIO DEL DEL DESIGN
DECISAMENTE ORIGINALE
ridefinire i codici della gioielleria tradizionale, dando vita a un brand che celebra l’individualità e riflette la diversità culturale di New York.
La scelta di mantenere una produzione interna, a conduzione familiare, consente a Marli di garantire standard impeccabili di qualità e artigianalità. Ogni gioiello, che unisce eleganza e audacia, incarna una visione contemporanea che reinterpreta il passato con spirito moderno. Come spiega Maral: «Volevo sfidare le norme tradizionali della gioielleria fine e creare un marchio capace di rispecchiare uno spirito contemporaneo».
La magia del design italiano, nel mondo
Anche il percorso professionale di Susanna Minotti trova origine nella casa della sua infanzia. Proprio il legame emotivo e multisensoriale creatosi con gli arredi che ne facevano parte ha ispirato la visione che oggi guida il suo lavoro: il desiderio e l’impegno sono volti a rendere ogni pezzo un’esperienza unica, che ogni cliente possa riconoscere come propria.
Fondata dal nonno Alberto nel 1948, Minotti è un’azienda oggi sinonimo di eccellenza nel design ‘Made in Italy’. Made in Italy che per Susanna «non è solo un marchio di qualità, ma un’attitudine che unisce cultura, tecnica e passione. Continuare ancora oggi a produrre nella città dove il brand è nato è un modo per preservare l’autenticità, anche in un contesto globale».
E, su scala internazionale, il pubblico apprezza quel ‘codice Minotti’, che caratterizza le diverse collezioni, esprimendo valori di sobrietà estetica, eleganza senza
tempo, continuità nella tradizione, savoir-faire artigianale con un’attenzione sartoriale ai dettagli, propri del Marchio. «Lavoravo in uno store di Los Angeles, quando ho realizzato per la prima volta quale fosse il valore del lavoro della mia famiglia, apprezzato ben oltre i confini italiani», nota Susanna, raccontando di aver deciso così di dare il proprio contributo, lavorando a fianco di suo padre Roberto e suo zio Renato, oggi
IN QUESTA PAGINA, SUSANNA MINOTTI, HEAD OF INTERIOR DECORATION PRESSO MINOTTI, È LA TERZA GENERAZIONE NELL’AZIENDA DI FAMIGLIA. FORMULA CHIAVE DELL’IDENTITÀ MINOTTI È LA PIENA ESPRESSIONE DEL CONCETTO DI ‘MADE IN ITALY’ CHE OGGI FONDE IN MODO INDISSOLUBILE TRADIZIONE E INNOVAZIONE
co-Ceo dell’azienda, e dei suoi cugini. Il Marchio condensa oggi, infatti, l’innato spirito imprenditoriale e la spiccata sensibilità estetica della famiglia, unendo tradizione e innovazione, anche attraverso collaborazioni con designer di fama internazionale. Maral e Susanna dimostrano che essere ‘figlie d’arte’ non significa solo ereditare un nome, ma saperlo trasformare. Hanno reinterpretato le tradizioni familiari, ampliando gli orizzonti delle loro aziende senza perdere il contatto con le radici. Nelle loro creazioni - gioielli che riflettono la diversità del mondo e arredi che esprimono il calore della casa - le due creative rivelano tramite il loro vissuto che l’arte, quando guidata dalla passione, può superare ogni confine. Di spazio e di tempo.
UN’ODE alla libertà
ARTISTICA
Attraverso un programma audace, da 40 anni la Fondation Cartier pour l’art contemporain, pioniere di mecenatismo privato, incoraggia la libera espressione artistica. Una vocazione rispecchiata anche dal concetto architettonico di Jean Nouvel che, dopo l’iconico edificio in vetro e acciaio disegnato nel 1994, si misura ora con il palazzo storico nel cuore di Parigi che da fine 2025 accoglierà la nuova sede
NELLE PROSSIME PAGINE, ALCUNI FRA GLI ALLESTIMENTI DELLE MOSTRE CHE HANNO COSTELLATO I PRIMI
40 ANNI DELLA FONDATION CARTIER POUR L’ART CONTEMPORAIN A PARIGI, DOVE SONO ORA PROTAGONISTE, FINO AL 16 MARZO, LE STUPEFACENTI
OPERE TESSILI CREATE DALL’ARTISTA COLOMBIANA OLGA DE AMARAL
Inizialmente l’idea era di creare una fondazione che tutelasse gli artisti francesi assicurandogli strumenti legali e risorse per proteggersi dai plagi, una preoccupazione che, allora come presidente di Cartier International, Alain Dominique Perrin affrontava quotidianamente per salvaguardare gioielli e orologi della Maison. Ma fu proprio un artista, l’amico César, a suggerirgli che era più importante assicurare invece la disponibilità di fondi e spazi grazie a cui il talento potesse esprimersi e ottenere visibilità senza i tempi epici delle istituzioni pubbliche. Proprio quello che imprenditori e dirigenti di alto livello potevano offrire. A 40 anni esatti dalla sua inaugurazione, il 20 ottobre 1984, la Fondation Cartier pour l’art contemporain tuttora mantiene inalterato questo principio, garantendo ad artisti di fama internazionale e a giovani talenti di ogni estrazione culturale e forma espressiva uno spazio di libertà, incontro e confronto.
Se nel frattempo diversi hanno seguito l’esempio di questa esperienza pionieristica nel campo del mecenatismo privato, la rilevanza raggiunta dalla Fondation Cartier come luogo di ricerca, produzione e trasmissione del sapere rimane ineguagliata. Attraverso il suo audace programma di mostre, residenze artistiche, eventi, pubblicazioni e incontri anche con scienziati e filosofi, continua ad abbattere le barriere tra le discipline, sfidando i punti di vista correnti, alla scoperta di nuovi territori, sia reali che immaginari. Rispecchiandone lo spirito di apertura e scoperta, la sua poliedrica Collezione di quasi 4.500 opere di oltre 500 artisti, spazia dalla pittura africana all’architettura giapponese, dal design italiano agli artisti amerindi, dai maestri della fotografia americana ai giovani artisti visivi europei. Il tutto senza alcuna ingerenza con lo sviluppo commerciale della Maison.
UNA VEDUTA DELLA MOSTRA PAIN COUTURE BY JEAN PAUL GAULTIER, 2004
A SINISTRA, NEL 1994 LA FONDATION CARTIER HA LANCIATO LE SOIRÉES NOMADES, CON CUI HA APERTO I SUOI SPAZI
ESPOSITIVI ALLE ARTI PERFORMATIVE
L’anniversario è stata l’occasione per annunciare il trasloco, entro la fine del 2025, in un nuovo edificio, che proietterà la Fondation Cartier nello storico quartiere del Palais-Royal, di fronte al Louvre. Jean Nouvel è stato nuovamente chiamato da Alain Dominique Perrin, oggi Presidente della Fondazione, a superarsi, dopo aver già progettato l’iconica architettura in vetro e acciaio che la ospita al 261 di Boulevard Raspail dal 1994. Se allora Nouvel aveva realizzato quello che lui stesso ha definito il suo “monumento a Parigi” trasponendo il concetto di apertura e osmosi creativa in uno spazio espositivo praticamente privo di pareti, unicità, trasparenza e modularità continueranno a essere la firma architettonica della Fondation Cartier. Questa volta, Jean Nouvel trasformerà la costruzione in stile Haussmann preesistente in uno spazio atipico di sperimentazione: cinque piattaforme mobili permetteranno di modificare le aree espositive e i percorsi all’interno dell’edificio di 6.500 mq, sfruttandone i volumi in altezza grazie a percorsi di passerelle, mentre le grandi vetrate affacciate su Place du Palais-Royal, Rue Saint-Honoré e Rue de Rivoli offriranno a ospiti, visitatori e passanti nuove prospettive sulla città. In attesa dell’inaugurazione, prosegue a pieno regime l’attività in Boulevard Raspail, con la prima grande retrospettiva europea, fino prossimo 16 marzo, dedicata a Olga de Amaral, figura di spicco della scena artistica colombiana e della Fiber Art. Classe 1932,
SOPRA , GLI ARTISTI VENGONO SPESSO INVITATI A REALIZZARE INSTALLAZIONI IN SITU, COME QUELLA
CREATA NEL 1999 DALLA NEWYORKESE SARAH SZE, EVERYTHING THAT RISES MUST CONVERGE
SOTTO, NEL 2019, LA MOSTRA NOUS LES ARBRES HA RIUNITO ARTISTI, BOTANICI E FILOSOFI PER RIFLETTERE SULLE PIÙ RECENTI RICERCHE SCIENTIFICHE SUGLI ALBERI
ha segnato una vera e propria rivoluzione nell’arte tessile, a lungo relegata in secondo piano perché considerata principalmente decorativa e femminile. Stereotipi che Olga de Amaral ribalta sperimentando nuovi materiali e tecniche mutuati sia dai modernisti sia dalle tradizioni popolari del suo paese. Astratte e monumentali le sue ambiziose creazioni si liberano dal muro e rifiutano di essere categorizzate: allo stesso tempo dipinti, sculture, installazioni e architetture, avvolgono il pubblico nell’universo sensoriale e intimo di questa straordinaria artista. Un'altra grande occasione nell’arazzo che la Fondation Cartier pour l’art contemporain continua sapientemente a intessere.
ACCANTO E IN BASSO, A 40 ANNI, LA FONDATION CARTIER POUR L’ART
CONTEMPORAIN CONFERMA IL SUO
DINAMISMO ANNUNCIANDO UNA
NUOVA SEDE, SEMPRE FIRMATA DA JEAN NOUVEL, MA QUESTA VOLTA
SITUATA IN UNO STORICO PALAZZO DI PLACE DU PALAIS-ROYAL, A DUE PASSI DAL LOUVRE.
IN ATTESA DELL’INAUGURAZIONE A FINE 2025, È STATA REALIZZATA UN’INSTALLAZIONE SUI
7 METRI D’ALTEZZA DELLE VETRATE, OMAGGIANDO ALCUNI
FRA GLI INNUMEREVOLI ARTISTI CON CUI HA COLLABORATO
L’ATTUALE SEDE DELLA FONDATION CARTIER IN BOULEVARD RASPAIL A PARIGI: UNO SPETTACOLARE EDIFICIO IN VETRO E ACCIAIO, GIÀ PROGETTATO DA JEAN NOUVEL E INAUGURATO NEL 1994
RENDERING DEI FUTURI SPAZI DELLA FONDATION CARTIER POUR L’ART CONTEMPORAIN, IN PLACE DU PALAIS-ROYAL, CON LA PIATTAFORMA 1 CHE SI AFFACCERÀ SU PLACE DU PALAIS-ROYAL, CREANDO UN CONTINUO SCAMBIO FRA INTERNI ED ESTERNO GRAZIE ALLE AMPIE VETRATE
ACCANTO, VITO NESTA, GRAND TOUR, POMPEI PIATTO PIANO IN PORCELLANA CON DISEGNO DI GROTTESCA #2; CASARIALTO, CANDELABRO
EDEN GOLD IN VETRO
SOFFIATO FATTO A MANO
SOPRA, LA SALA DEL CAMINO
DI VILLA PASSALACQUA, RESIDENZA STORICA ORA
LUSSUOSO RETREAT
CON 24 SUITE
Nello spazio più vivido della casa si narrano storie di ibridazione di contesti.
Esperienze materiche e rinnovate funzionalità ne sono le indiscusse, amabili, protagoniste
L’ abitare viene ridisegnato. Giorni di festa. Atmosfere calde e accoglienti. Ghirlande, piccole luci che illuminano anche gli angoli solitamente meno frequentati della casa, candele, pigne e velluti, nastri, coccarde e profumo di cannella. È il tempo degli inviti, con brindisi, pranzi e cene che punteggiano il calendario. Sono i riti di sempre, che tuttavia sanno essere puntualmente diversi. Con fantasia e un tocco di design.
FIAMME A CINQUE BRACCI IN ARGENTO STERLING A DESTRA, CUCINA OFFICINE GULLO SOTTO, ZAHA HADID DESIGN, SERENITY BOWL IN BASSO, DA SINISTRA, VILLARI, CANDELIERE, DIVA GIGI MEDIO, ORO GALIMBERTI NINO, DIVANO PIGRONE
il colore della festa
Invitare e ricevere ospiti in casa propria ha un im portante valore per per chi arriva e per chi accoglie. È dichiararsi fiducia reciproca.
La tavola diventa un palcoscenico dove ognuno può esprimere la propria personalità, il proprio gusto. Attorno a un tavolo ogni commensale può svelare una quantità incredibile di sensazioni che cambiano
IN ALTO, CARLOTTA ODDONE
CUSCINI SWEETS BABY
SOPRA, LUHDO, VASO MARQUISE
A DESTRA, BIOSOFA, DIVANO
RAFAELLA BY DAVIDE BARZAGHI
SOTTO, GINORI 1735, COPPA LA MUSICA, ARTE DI GIO PONTI
la percezione di ciò che si sta vivendo. Tradizionale, barocca o minimal, la tavola delle feste preferita è quella che ci riporta indietro nel tempo, che rievoca le tradizioni di quando eravamo bambini. Per chi la allestisce è una gioiosa espressione di creatività. Mai senza un centrotavola personalizzato, magari con bacche rosse, pigne e candele.
IN ALTO, GINORI 1735, PIATTO ORIENTE
ITALIANO, AZALEA
SOPRA, DA SINISTRA, ALESSI, BISCOTTIERA
DELIGHT BY NINA ZUPANC E, ACCANTO, LA DOUBLEY, TAVOLA WINE & DINE TIME
A DESTRA, CREART, SCATOLA
DOGE IN CRISTALLO BLU
pagine d’inverno
È nel vetro che si riflettono luci, ghirlande luminose e baglior di candeli. Poesia pura. Un materiale che rievoca antiche manifatture e in queste occasioni diventa ancora più prezioso. Quindi ampio spazio anche al recupero di vetri di famiglia, ripensati e attualizzati secondo un’apparecchiatura contemporanea.
ACCANTO, OFFICINE GULLO, CUCINA SOTTO, DA SINISTRA, LUISA BECCARIA, ALZATA PER TORTA VERDE; CASARIALTO IN IDEAT, CANDELABRO DOLCE VITA
Render
(Villa Tree)
Non si tratta solo di un’abitazione, ma di un’esperienza abitativa unica, dalla progettazione visionaria di StudioGest. A caratterizzare Villa Tree sono due stile-
mi: la forza dei materiali, usati sapientemente e declinati nelle diverse forme dell’architettura, e il vigore degli scorci prospettici, che tagliano dal pieno il volume scultoreo dell’edificio. L’identità della dimora è definita dall’abbinamento di legno e pietra, in un gioco di vuoti e di pieni, di luci e di ombre. Il legno è usato con funzione strutturale: tutto l’impianto fuori terra è infatti in legno lamellare. Ed è ancora il legno ad evidenziare la forza dei segni architettonici; utilizzato nel
Una dimora imponente che si incastona, preziosa, nel suggestivo contesto paesaggistico. Un design su misura e spazi versatili dove la luce naturale è protagonista
rivestimento del tetto e delle pareti della facciata, si sposa con la granitica presenza della pietra, elemento verticale, è dedicato anche alle pavimentazioni, così da porre in relazione gli spazi interni con quelli esterni. La disposizione dei volumi è una continua scoperta, ogni diversa angolazione mostra dettagli nuovi, non percepibili dalle altre. Collocata in posizione dominante, la dimora gode di privacy, ma con la possi-
IN FOTO, LA SOLIDITÀ DELLA PIETRA E LA
VERSATILITÀ DEL LEGNO. LA DOPPIA ANIMA
DI UNA VILLA CHE DOMINA IL PANORAMA. CIRCONDATA DA UNA VEGETAZIONE DI MACCHIA MEDITERRANEA CON CIRCA
SESSANTA DIVERSE SPECIE, È DOTATA
DI DIVERSI SPAZI OUTDOOR E DI UNA
SCENOGRAFICA PISCINA A SFIORO
bilità di aprirsi totalmente al paesaggio circostante, vera quinta scenica in cui si fonde l’architettura del progetto.
Le linee pulite e i materiali naturali abbinati al cemento armato connotano un edificio, a struttura mista, che è tanto affascinante quanto funzionale. Le ampie finestre sfruttano la luce naturale come elemento decorativo, trasformando l’interno in un luogo armonioso. L’abitazione è disposta su due piani, uniti da una scala di grande impatto. La zona notte, ospitata al livello più alto, ha pavimenti in parquet dal taglio particolare. Mentre la zona giorno e gli spazi per gli ospiti si trovano al primo piano.
TUTTA LA CASA È DOTATA DI UN IMPIANTO DOMOTICO DI ULTIMA GENERAZIONE
La cucina è un’esecuzione completamente personalizzata, a partire dal modello Phoenix di Poliform. Un modello che ben si presta alla più ampia libertà di progettazione. Ogni dettaglio dello spazio cucina è stato attentamente studiato: dagli armadi su misura agli elettrodomestici di ultima generazione, tutto è stato progettato per semplificare la vita quotidiana, senza mai sacrificare l’estetica.
SOTTO, DALLA CAMERA DA LETTO PADRONALE SI GODE DI UNO SPLENDIDO PANORAMA SUL LAGO CERESIO.
SOPRA E A DESTRA, TAVOLO E SEDIE IN LEGNO
MASSELLO DI NOCE, ABBINATI AD UNA CUCINA PHOENIX DI POLIFORM PERSONALIZZATA
NELLA PAGINA ACCANTO, ANCHE LA CAMERA DA LETTO PADRONALE, CON LETTO GIORGETTI, COMODINI E SIDEBOARD POLIFORM, ED IL BAGNO PADRONALE, SONO STATI PERSONALIZZATI DALL’UFFICIO DESIGN E SVILUPPO DI DELCÒ 1890
Il tavolo da pranzo è un’esecuzione speciale eseguita con un piano in legno massello di noce.
I cinque bagni distribuiti sui due piani si caratterizzano anche per i rivestimenti e le finiture di pregio oltre che per le eleganti rubinetterie. Piani e lavandini sono un’esecuzione speciale, come per diverse soluzioni di arredo in vari ambienti della casa dove, «a partire da pezzi e sistemi design, il nostro ufficio design e sviluppo ha tradotto in concreto le esigenze di personalizzazione del cliente», spiegano Giovanni Corbetta e Francesco De Gaetano di Delcò 1890, «anche per quanto concerne, la camera da letto padronale, dove la parete retro letto, è un’esecuzione speciale, personalizzata, realizzata dal nostro ufficio design e sviluppo». Nella camera padronale, al letto Giorgetti sono abbinati comodini e sideboard di Poliform.
Degna di nota, per il bagno padronale la scelta dell’armadio Rimadesio, integrata con mobili di due diversi fornitori: Poliform ed Erba Mobili.
A incorniciare esternamente l’intero edificio, un progetto verde di macchia mediterranea per il quale sono state selezionate circa sessanta diverse specie.
Alberta Ferretti; Bally; Baum und Pferdgarten; Boss; Etro; Falke; Gezutz; Goldbergh; Hermès; Mayadoro; Marli New York; Miu Miu; Moncler; Pepe Jeans; Prada; Stephen Jones Millinery; Steven Madden; Tom Ford; YSL
Aimo Room, Contrada di Sassello 5, Lugano • Ashri Boutique, Quartiere Maghetti 20, Lugano • Bentley Lugano, via Cantonale 1, Grancia Boîte d’Or, via Nassa 54, Lugano • Bucherer, Via Nassa 56, Lugano • Cartier, Piazzetta Maraini 1, Lugano Centro Porsche Ticino, via Pian Scairolo 46A, 6915 Pambio-Noranco • Charly Zenger, Via Borgo 49, Ascona e Via Pessina 8, Lugano Delcò 1890, via Gorelle 1, S.Antonino, via Senago 42, Pambio Noranco - Lugano • Diamond Medical, Lugano - Lucerna - Ascona - Grono Elite Gallery, Via Peri 6, Lugano • Emozioni, Crocicchio Cortogna 2, Lugano • Gold Time, Via Luvini 4, Lugano e Piazza Indipendenza, Chiasso Gübelin, Via Nassa 27, Lugano • Hermès, Piazzetta Maraini, Lugano • Mersmann, Via Nassa 5, Lugano Montblanc, Via Pretorio 7, Lugano • Nassadonna, Piazza Bernardino Luini 2, Lugano • Rocca 1794, Via Nassa 4, Lugano Scavia, via Nassa 29, Lugano • Somazzi, Via Nassa 36, Lugano • Vanni Pesciallo Gioielli, via Motta 5, Balerna • Tourbillon, Via Nassa 3, Lugano
LUOGHI
Bentley Lugano, Grancia; Casa della Letteratura per la Svizzera italiana, Lugano; Centro Porsche Ticino, Pambio-Noranco; Cern, Ginevra; Collezione Peggy Guggenheim, Venezia; Fondation Cartier pour l’art contemporain, Parigi; Kunstmuseum Basel, Basilea; Mudec, Milano; Museo d’Arte Mendrisio; Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid; Palais Galliera, Parigi; Swiss Science Data Center, Losanna/Zurigo; Villa Heleneum, Castagnola
in COPERTINA
Elsa Libell
Agenzia: ABC Models Milano
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photography Jolie Zocchi joliezocchi.com IG jolie_zocchi make up Svitlana Prozort IG svitlana.prozort
location
Parco Villa Heleneum Castagnola
IMPRESSUM
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