Premiata Salumeria Italiana 2-2024

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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXVI N. 2 Marzo-Aprile 2024 € 6,70

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Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food – Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia € 6,70

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Euro Annuario Carne

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2024
EURO ANNUARIO CARNE
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In questo numero: Agenda Cittadella, Padova – Verona – Parma – Mantova 12 Immagini Beppino Occelli 14 Fotografati e mangiati Bocconcino del pastore – Chips al tartufo – Le paste di meliga – Gallette 16 Suggestioni dal mondo Charcuterie Millas, Murat-sur-Vèbre, Francia – Köttmästarn, Stoccolma, Svezia 18 Salumi & Co. Tutto green, è primavera – Poster “Definizione” sul vino – 20 Vintage in salumeria – Strofinacci per tutti Brevi storie di cibo lento Di che salsiccia sei? Alessia Morabito 24 a velocità contemporanea Premiata Salumeria Italiana, 2/24 5 A pagina 74. N. 2 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia € 6,70
La copertina eslposa Hoshigyu Wagyu bresaola 26 Attualità Collaboratori: come sta cambiando il mercato del lavoro Sebastiano Corona 28 Agroalimentare e fondi di investimento Sebastiano Corona 34 Il food in rete Social food Elena Benedetti 38 Aziende Meat Japan Wagyu Charcuterie Gaia Borghi 42 Casa del Pescatore, mare, persone e tanta passione Chiara R. Zaccaroni 46 Martínez Somalo: oltre un secolo di salumeria spagnola Riccardo Lagorio 50 Berti 1953, il futuro è adesso Elena Benedetti 52 Buona carne non mente S. Ilario: il prosciutto di una volta Elisa Guizzo 56 Visual Empatia con il cliente Elena Benedetti 66 Marketing The King of Mortadella Maria A. Dessì 70 Indagini La spesa degli Italiani 72 Belle botteghe Salumeria Selezionata n. 69 Federica Cornia 74 In cucina Lezione di cacao Giorgia Fieni 78 Speciale Taste Taste 2024, una edizione super! 82 Prodotti tipici Il prosciutto montano della Val Vigezzo Roberto Villa 94 Chitarra, agnello e pecorino alleati sulle tavole abruzzesi Chiara Papotti 98 Premiata Salumeria Italiana, 2/24 6 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXVI N. 2 Marzo-Aprile 2024 € 6,70
A pagina 56.
In copertina: Hoshigyu Wagyu bresaola della linea Meat Japan Wagyu Charcuterie (photo © Massimiliano Rella).
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Mercati Uno sviluppo europeo per il Prosciutto Crudo di Cuneo DOP 102 Il buono secondo Lara Olio extravergine di oliva: contenuto polifenolico, blend e monocultivar Lara Abrati 104 Turismo enogastronomico Nella valle dei fiori Riccardo Lagorio 106 I sapori della Dehesa Massimiliano Rella 110 Rassegne Slow Wine Fair: il terreno è fertile 114 Fiere Cibus 2024 batte tutti i record: il cibo made in Italy si presenta al mondo 118 Formaggio In origine fu il burro Massimiliano Rella 120 Pecorino: Ismea fa il punto 124 I non misteri della feta Giorgia Fieni 129
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A pagina 70. A pagina 38. A pagina 50.
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Lo chef dell’olio Hai detto Coratina? Fabrizio Bertucci 132 Vino Alla scoperta di Cantina di Venosa 134 Gli assaggi di Max Rella Piemonte Massimiliano Rella 142 Bevande Bicerin, il caffè di Torino dal 1763 Nunzia Manicardi 144 Tecnologie CSB-System: ERP specifico per le aziende di lavorazione carne 144 Con Track Alimenti un’intera filiera racchiusa in un unico 144 flusso di informazioni FB Engineering: e sono 25! Elena Benedetti 150 Tre Libri Bistrotier – Esercizi spirituali per bevitori di vino – 152 Atlante dei formaggi
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A pagina 106. A pagina 110. A pagina 132.
Antica Foma srl Via Limpido, 85 - 41015 Nonantola (MO) Italia www.anticafoma.com

AGENDA

Cittadella, Padova

L’appuntamento con Formaggio in Villa 2024, la rassegna nazionale dei migliori formaggi, è a Cittadella, in provincia di Padova, dal 5 all’8 aprile. Le mura antiche, le atmosfere medievali, i palazzi storici, le piazze e le piazzette saranno la coreografia di questo appuntamento giunto alla sua 12a edizione. In contemporanea andrà in scena anche il Salone dell’Alta Salumeria, con le migliori specialità norcine italiane. Una bella occasione conoscere i salumi della tradizione e le produzioni di nicchia artigianali (photo © facebook.com/formaggioinvilla). formaggioinvilla.it

Verona

Vinitaly è la prima fiera del vino e dei distillati rivolta agli operatori del business sui mercati internazionali con 4 giorni dedicati allo sviluppo delle relazioni tra produttori, buyer e stakeholders per condividere esperienze e competenze. Per la prossima edizione, in calendario dal 14 e 17 aprile, tra gli obiettivi dei vertici di Veronafiere spicca la trazione sempre più internazionale dei buyer e il conseguente rinnovo del record relativo al tasso di operatori esteri presenti, raggiunto nell’ultima edizione (31,8%) ma anche il maggior impatto da parte della domanda nazionale qualificata. Per l’edizione 2024 Vinitaly amplia l’offerta espositiva con aree tematiche di attualità: Vinitaly Bio, Vinitaly Mixology, Micro Mega Wines, International Wine Hall e Vinitaly Tasting. In concomitanza al Vinitaly si svolgeranno Sol&Agrifood ed Enolitech, i saloni dedicati all’agroalimentare e alle innovazioni tecnologiche applicate a vitivinicoltura, olivicoltura e beverage. Un consiglio: registratevi sulla piattaforma di Vinitaly Plus e costruite la vostra agenda di incontri, chiedete appuntamenti on-line e pianificate la vostra visita. vinitaly.com solagrifood.com

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Mantova

Parma

Ci siamo quasi, l’appuntamento fieristico dell’anno, Cibus, si svolgerà presso Fiere di Parma, nel cuore della Food Valley, dal 7 al 10 maggio e si prospetta già con numeri da record. Anche per questa edizione, oltre all’esperienza in fiera, si accompagnerà, come sempre, un ricco programma immersivo alla scoperta del territorio e delle sue aziende, dedicato a chi vuole conoscere il processo produttivo dei propri fornitori food

Perché visitare Cibus? Semplice, Cibus, il Salone Internazionale dell’alimentazione, è la più importante fiera dedicata all’agroalimentare italiano e appuntamento imperdibile per tutta la community. A Cibus, istituzioni, associazioni di categoria, aziende e professionisti dell’agroalimentare made in Italy si incontrano per delineare insieme le future strategie del settore food. Il salone rappresenta un’enorme opportunità per instaurare e sviluppare relazioni commerciali a livello internazionale, ma anche per aggiornarsi sulle innovazioni del comparto e progettare il futuro del proprio business.

Cibus è un evento B2B dedicato a visitatori professionisti, provenienti dai diversi settori di interesse per il settore agroalimentare: GDO, HO RE CA. & Food Service. Grazie agli speciali focus già introdotti nell’edizione 2023, al target preferenziale si aggiungono anche operatori specializzati del Food Retail e del comparto Healthy. Dal punto di vista espositivo, Cibus si rivolge a tutte le diverse realtà produttive dell’industria agroalimentare italiana: grandi player, piccole e medie imprese, produttori di eccellenze di nicchia trovano a Cibus un ideale spazio di visibilità e confronto, costruito a quattro mani con gli organizzatori. cibus.it

Torna il Food&Science Festival, in programma a Mantova dal 17 al 19 maggio. Saranno quindi tre le giornate dedicate alla rassegna scientifica che interroga agricoltura e ricerca sulle sfide globali del nostro tempo: dalle conseguenze dell’emergenza climatica alla discussione sulle politiche agricole, dalla memoria di una forte tradizione produttiva alla nuova era della digital transformation, il viaggio all’interno degli Intrecci che legano settore agroalimentare e indagine scientifica aprirà a numerosi dialoghi sul futuro e su come renderlo migliore. Protagonisti, come sempre, gli scienziati, i divulgatori, gli esperti in ambito agroalimentare e i professionisti del panorama culturale e scientifico contemporaneo che offriranno spunti di riflessione e di dibattito, condivideranno testimonianze e conoscenze, risponderanno a domande e dubbi. foodsciencefestival.it

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In principio fu il burro, quello “impastato” in zangola con la panna fresca e trasformato in panetti grazie a piccoli calchi di legno, come si faceva “un tempo”. Poi arrivarono i formaggi, di capra, pecora o vacca, freschi e stagionati, nel buio delle cantine del recuperato Borgo di Valcasotto, erborinati, con tartufo, Gran Riserva e DOP, una gamma che si è arricchita via via grazie ad una grande creatività sempre in movimento. Il tutto basato sull’amore per il proprio territorio d’origine e di appartenenza, le Langhe e le Alpi, e la cura e il rispetto per la materia prima, la Natura. L’intervista e le foto di Massimiliano Rella a Beppino Occelli le trovate a pagina 120.

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IMMAGINI

Bocconcino DEL PASTORE

Perfetto per uno spuntino goloso, il Bocconcino del pastore del salumificio abruzzese Venditti Food di Luco dei Marsi (AQ) è realizzato con tagli di spalla, tagli di cosciotto e pancetta di suino. La macinatura è fine. Il prodotto è stagionato naturalmente al vento del Monte Velino. Buonissimi! vendittifood.it

Chips al tartufo

Una delle scoperte fatte a Taste 2024 sono le profumatissime patatine al tartufo bianco della linea snack di TartufLanghe, perfette per un aperitivo con un calice di bollicine. Realizzate con tartufo crio-essiccato (Tuber aestivum Vitt.), sono disponibili in sacchetto da 100 g e in un pack dal design molto curato. tartuflanghe.com

FOTOGRAFATI E MANGIATI

LE PASTE di meliga

Restiamo in Piemonte con uno dei biscotti tipici della regione, prodotto con la meliga, la farina di mais macinata grezza. Le paste di meliga del Mulin d’Barot sono l’espressione di un produttore che fa della tradizione, della semplicità e dell’artigianalità la sua forza e visione. Questi biscotti sono perfetti ad ogni ora della giornata. mulinbarot.it

GALLETTE

Prodotte dall’Azienda Agricola Le Colombare di Nogarole Rocca (VR), queste gallette di riso e mais mettono tutti d’accordo! “Leggere, friabili e saporite, sono un prodotto artigianale ideale come spuntino sano o in accompagnamento ai vostri pasti”. Disponibili in confezioni da 90 g. lecolombare.it

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SUGGESTIONI DAL MONDO

Siamo a Murat-sur-Vèbre, tra Tolosa e Montpellier. Qui Charcuterie Millas (charcuterie-millas.fr) produce e vende insaccati e salumi realizzati con carni locali in filiera corta. Artigianalità e forte legame col territorio sono elementi centrali del loro business e sono trasmessi anche attraverso gli arredi della loro “boutique“. Colori chiari, tanto legno e spazi ampi accolgono la clientela (photo © Charcuterie Millas).

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Köttmästarn (kottmastarn.se) a Stoccolma, in Svezia, è vendita al pubblico e ristorazione. Gli arredi sono caldi, accoglienti, richiamano elementi delle botteghe artigiane italiane come il dettaglio dei salumi appesi, delle pentole in rame, delle scritte sulla lavagna. Perfetto il contrasto con il pavimento (photo © Köttmästarn).

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Tutto green,

è primavera

Ci siamo, è finito l’inverno ed è tempo di dare spazio al verde. Da qui l’idea di inserire un tocco di “green” dentro alla bottega e fuori come benvenuto. Costa poco, è di impatto, oltre ad essere un messaggio che racconta di noi, della nostra attenzione ai temi ambientali e alla sostenibilità.

Poster “Definizione”

SUL VINO

Dal vocabolario TRECCANI: pòster s. m., 1. Manifesto, o anche riproduzione fotografica, di grande formato, che si affigge alle pareti a scopo decorativo. Assolutamente perfetto per decorare la zona vini della propria bottega, questo poster fa parte della collezione Definizione, una linea di oggetti di Treccani per tutti i giorni, nata per riscoprire l’importanza di un immenso patrimonio culturale comune: la lingua italiana € 14,90 su emporium.treccani.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 20 SALUMI & CO.

Strofinacci

PER TUTTI

Questo bellissimo canovaccio da cucina lo abbiamo scovato sul portale tedesco 1730.de È bellissimo, stiloso, di ottima qualità e potrebbe essere un’idea di accessorio da avere e vendere in bottega

IN SALUMERIA Vintage

Con un mix di elementi classici e moderni, è possibile ottenere un risultato armonioso che racconta di noi ed eventualmente del nostro passato, se la nostra ad esempio è una bottega di lunga data, storica, o dare spunti e suggestioni che rendono più caldo e accogliente l’ambiente. Basta poco: un tavolo, una Berkel o una bilancia vintage, la bicicletta del nonno, un manifesto pubblicitario degli anni ‘20 come questo di ACHILLE LUCIANO MAUZAN per VILLANI (photo © catalogo.beniculturali.it).

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Se non la chiami per nome, avrai solo una mortadella.

QUALITÀ E TRADIZIONE PALMIERI

Mortadella Favola è la prima mortadella al mondo insaccata e cotta nella cotenna naturale, un vestito unico cucito su misura nella nostra Sartoria.

Favola è inimitabile grazie alla sua esclusiva ricetta: l’unione di pregiati tagli magri del suino italiano con il guanciale tagliato a dadini, il grasso più nobile e profumato del maiale. Gli aromi, tutti rigorosamente naturali e una piccola nota di miele d’acacia, la rendono particolarmente delicata e digeribile.

Favola è inconfondibile per la sua forma e il marchio a fuoco impresso sulla cotenna ne garantisce l’originalità.

Senza: glutine, lattosio, glutammato e polifosfati aggiunti.

È un’idea

IT-067-017
Gusto delicato: con miele d’acacia e sale di Cervia

Di che salsiccia sei?

di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)

Si può dire che la salsiccia sia un salume? Beh, tecnicamente, è un insaccato, quindi sì, un salume fresco, non da pezzo intero ma a partire da carni di tagli diversi, lavorati in vario modo e con l’aggiunta di aromi e spezie, all’interno di un involucro. Ho da poco scritto un articolo sulle salsicce secche di cinghiale, tra fresche e secche c’è di mezzo un processo di stagionatura, ma ci tengo a farne uno sulle salsicce fresche.

Insomma, nell’incertezza, scrivo.

Stasera a cena, al ristorante, ho questo gruppo di epicurei. Dieci amici che si portano appresso bottiglie “esoteriche” e le accompagnano col cibo che cucino per loro, grande onore, grande responsabilità.

Il ritmo questa sera è serrato, solo dopo la prima portata riesco ad andare a salutarli nella sala privata che abbiamo predisposto. Conosco solo un paio degli ospiti, mi presento agli altri.

Concordo i tempi di uscita dei piatti successivi e verifico che siano a loro agio e bendisposti.

Uno dei convitati mi porge una busta. «Ho portato un salame e delle salsicce. Per favore, me ne faccia un assaggio da condividere e il resto tenetevelo per voi».

«Le ha fatte lei?». «Sì, sono un macellaio. Ma lei non è modenese vero? Ha l’accento toscano!». «Eh sì, siamo conterranei».

Dal sacchetto che mi porge sale un profumo che riconosco subito. «Crude sul pane tostato…?». «Rigorosamente».

Io non dovrei scrivere di questo episodio perché le salsicce si consiglia di mangiarle solo cotte, ma eravamo tutti adulti e consenzienti e di tempo ne è passato.

La salsiccia fresca italiana ha forma cilindrico tubolare, lunghezza di circa 15 cm, colore roseo. Si prepara con la carne di maiale e viene insaccata in budello naturale, sempre di maiale, legata e intrecciata.

La consistenza è morbida. L’aromatizzazione cambia a seconda della regione e del territorio ed è proprio questa a fare tutta la differenza.

Da una stima veloce veloce di salsicce italiane fresche codificate ce ne son più di un centinaio: più speziate, meno speziate, vino rosso, più aglio, pepe, spezie dolci, erbe aromatiche secche, finocchietto fresco, patate, con l’aggiunta di frattaglie, con la carne tritata sottile o a punta di coltello, di altri animali o con l’aggiunta, in parte, di carne di altri animali.

La salsiccia fresca, ovunque venga prodotta, a prescindere dalla pratica 2/3 carne e 1/3 grasso, dev’essere fatta, per buona parte, di nostalgia

Nella sua immediatezza, nella sua schiettezza, tutti ricordano la propria salsiccia d’appartenenza territoriale: non ho mai visto perdere il contegno di fronte ad un prosciutto, ho visto piangere di fronte alle salsicce napoletane col finocchio e a punta di coltello, ho visto suggellare amicizie spalmando l’ammazzafegato sul pane, ho assistito a scelte di vita in funzione della salsiccia umbra, ho visto famiglie ricongiungersi a migliaia di km attorno ad un tegame di sousissa di Cerania e olive taggiasche, ho capito di aver conquistato l’amicizia di Seba quando mi ha regalato 5 “caddozzi” di salsiccia appena arrivate dalla Sicilia.

Identitaria e struggente, sul pane caldo, dentro un panino, alla brace, in tegame.

Sono in cucina con queste salsicce di Montignoso, ricetta di famiglia, macellai dal 1925, riconosciute come tra le migliori d’Italia.

Metto a crogiare il pane, tolgo il budello alla prima, ne prendo un pizzico con pollice e indice, la porto al naso, respiro, la porto alla bocca: ho la mia epifania, vorrei avere la visita di un macellaio toscano tutte le settimane.

Non che quelle modenesi siano cattive, tutt’altro, ma non son le mie.

È incredibile come l’identità umana, almeno per noi Italiani, passi inequivocabilmente dal cibo consumato nelle varie tappe della propria vita.

Per conoscere le persone dovremmo provare a chiedere loro: e tu, di che salsiccia sei?

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 24 BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA
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LA COPERTINA ESPLOSA

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La stagione primaverile è senza dubbio uno dei momenti ideali per programmare un viaggio in Giappone: è infatti proprio in questo periodo che è possibile praticare l’hanami, ovvero la contemplazione della fioritura dei ciliegi, passeggiando in compagnia lungo i viali che si tingono di bianco e di rosa o allestendo un picnic all’ombra dei sakura, gli alberi di ciliegio. Voliamo in direzione del Paese del Sol Levante anche con la protagonista della nostra copertina di Marzo-Aprile, l’Hoshigyu Wagyu bresaola prodotta dall’azienda Meat Japan Srl, degli italiani PAOLO TUCCI e SALVATORE DI MENTO e della storica macelleria

GINKAKUJI ONISHI di Kyoto, tra le realtà più note e importanti di selezionatori di Wagyu del Giappone. Un salume “fusion” e soprattutto sostenibile, che unisce una materia prima pregiata 100% giapponese al saper fare artigiano della norcineria made in Italy. Per la realizzazione di questa bresaola si parte dai tagli più pregiati della coscia del bovino Wagyu. La carne viene poi salata a secco manualmente con una combinazione di sale marino, erbe aromatiche e spezie e stagiona lentamente per diversi mesi. L’Hoshigyu Wagyu bresaola è parte della linea Meat Japan WagyuCharcuterie, che comprende lardo, guanciale e salame. Trovate l’articolo completo a pag. 40. meatjapan.com

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COLLABORATORI: COME STA CAMBIANDO IL MERCATO DEL LAVORO

Il problema del reperimento del personale sta diventando un punto nodale dell’attività di impresa e si manifesta ad ogni livello di competenza. Durante il lockdown, quando in Italia i licenziamenti erano bloccati per legge, ci si aspettava un ritorno alla vita, anche professionale, con una crisi economica senza precedenti e, a seguire, dismissioni di massa. La storia ci ha invece consegnato un

quadro totalmente diverso, a conferma del fatto che, anche chi fa previsioni supportate dai migliori e più certi elementi economici e sociali, non sempre ci azzecca.

Quello che infatti è accaduto è esattamente l’opposto. Nel dopo Covid, quando nei principali Paesi occidentali sono venute meno le restrizioni, 30 milioni di persone hanno lasciato il lavoro di loro spontanea iniziativa

Le imprese avevano un gran bisogno di personale, anche per far ripartire le attività che erano rimaste ferme, in certi casi accumulando impegni che non avevano potuto rispettare per il lockdown Per comparti come l’agricoltura e l’agroalimentare, invece, il problema del personale in eccesso non c’è di fatto mai stato. In quell’ambito, infatti, la sofferenza si è registrata per ovvi motivi nella ristorazione e in settori circoscritti come

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quelli del vino, ma, all’indomani della pandemia, si è assistito ad un ritorno alla convivialità persino superiore a quello pre-Covid. In quel momento in Italia è comparso — complici anche alcune misure assistenzialistiche per cui stare a casa poteva essere più conveniente che lavorare — un oggettivo problema di carenza di lavoratori, a tutti i livelli, in tutti o quasi i settori. E il calo demografico, che pian piano sarà sempre più accentuato, sta già mostrando i suoi effetti e darà maggiori problemi col passare del tempo.

Autorealizzazione e ricerca della serenità

Ci sono poi altri elementi che rendono la ricerca di personale, al pari del mantenimento della forza lavoro in azienda, sempre più problematica. È così che le imprese si sentono costrette a rendersi attrattive non solo agli occhi del mercato, ma anche a quelli dei lavoratori. Sono due cose che si intersecano perché, in linea di massima, il fatto di avere un certo successo è un elemento che richiama e/o trattiene più collaboratori in azienda. Il quadro attuale è di un mondo in cui i

Il problema del reperimento del personale sta diventando oggi un punto nodale dell’attività di impresa e si manifesta ad ogni livello di competenza.

lavoratori, dove più, dove meno, sono nelle condizioni di scegliere e di avanzare richieste, non solo economiche, e di rivolgersi a coloro che ritengono più rispondenti alle proprie ambizioni e inclinazioni.

Il lavoro non è più considerato fondamentale nella propria esistenza e non rappresenta l’unico elemento che determina l’autorealizzazione personale. Pertanto quella che si fa oggi non è una semplice ricerca di lavoro, ma una ricerca della serenità. A dirlo è RANDSTAD, voce autorevole e importante del settore che, con un’indagine realizzata su 27.000 individui in 34 Paesi, ha pubblicato il Workmonitor 2024 (www.randstad.it).

Il primo dato che emerge dallo studio, ad esempio, è che oggi la scelta del lavoratore ruota attorno a tre parole: Ambition, Balance, Connection L’ambizione è quella che sta al cuore delle scelte di carriera ma che fa i conti con la necessità di un miglior equilibrio tra vita privata e lavorativa e che mette la prima al primo posto e che pertanto porta alla ricerca di flessibilità, equità e formazione. Infine, connessione perché

i talenti, più di tutti, oggi chiedono ai propri datori di lavoro di plasmare in maniera differente i rapporti, prestando attenzione ai loro bisogni e desideri. E da questo partono.

I dati sono chiari: ai primi tre posti nella lista di ciò che viene ritenuto maggiormente importante per il proprio lavoro attuale e futuro, nel campione italiano, troviamo l’equilibrio tra vita e lavoro (scelto dal 94% dei rispondenti), lo stipendio (93%) e la sicurezza del posto di lavoro (90%). La pandemia ha inciso fortemente nel ristabilire la lista delle priorità delle persone, accrescendo il peso attribuito alla propria vita fuori dal luogo del lavoro, sebbene lo stipendio continui ad avere una sua importanza.

Il campione italiano esaminato evidenzia inoltre tutto lo scoramento che caratterizza il Paese in questo momento storico in cui c’è un forte disallineamento tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e quelle possedute da chi si offre. Il nostro è un contesto in cui il mondo del lavoro dialoga poco sia con quello della formazione, sia con quello dei talenti.

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Se da una parte c’è il problema di trovare nuovo personale e soprattutto di trovarlo motivato e partecipe, dall’altra è necessario trattenere le persone in azienda, tanto più se sono valide. Dalle indagini, infatti, le persone rimangono nei contesti di lavoro dove prevale un clima sereno e dove all’occorrenza possono contare su supporto e sostegno, anche il solo ascolto.

L’arrendevolezza dei lavoratori del Belpaese si nota ancor di più relativamente agli aspetti che concernono la flessibilità, ancora oggi considerata un lusso. Non a caso rispetto alla media globale in Italia si mostra una maggiore disponibilità ad accettare lavori che non ne offrono e anche chi lavora da remoto ha investito significativamente meno nell’adattare in maniera sostanziale la propria vita al lavoro da casa, non avendo certezze che lo smart working si possa considerare condizione duratura o permanente.

D’altronde il lavoro da remoto mantiene un suo fascino anche laddove non è agevole, perché è pur sempre una modalità che permette di risparmiare tempi e costi di trasporto, aumentare il proprio tempo libero, limitare la necessità di abbigliamento, i pasti fuori casa e molto altro.

La demotivazione diffusa influisce negativamente non solo sul benessere della persona ma anche sulla sua produttività. Rispetto a un anno fa, oggi solo per il 72% degli Italiani il proprio lavoro è importante nella vita (in calo di 5 punti). Si dice “motivato” nel ruolo attualmente ricoperto il 60%, con 9 punti in meno rispetto ad un anno fa, e solo 51%, invece, si dichiara ambizioso per la propria carriera.

La domanda dunque è questa: cosa rende attraente un posto di lavoro?

Oltre agli elementi citati, relativi all’equilibrio tra professione e vita privata e alla retribuzione, gli intervistati hanno messo in evidenza aspetti un tempo meno richiesti come la sicurezza del lavoro e il fatto di sentirsi realizzati, ma anche la flessibilità di orario, il numero di giorni di ferie e, infine, la formazione e l’assicurazione sanitaria. In questa graduatoria l’opportunità di un avanzamento di carriera (come una promozione o il passaggio a un nuovo ruolo) è al nono posto e supera di poco la politica sui congedi parentali, i valori del datore di lavoro e la possibilità di operare da remoto.

Stando sulle ambizioni dei lavoratori si scopre che non tutti vogliono arrivare ai ruoli apicali. Solo un terzo dichiara di volere ricoprire ruoli manageriali e solo una bassissima percentuale sogna di diventare il capo dell’azienda nella quale lavora. La mancanza di opportunità di carriera si colloca come quinta motivazione alle dimissioni e si registra pur sempre dopo fattori come un ambiente non piacevole, un lavoro che non si adatta alla propria vita personale e il basso stipendio. Stessa cosa si riscontra per il fatto di accettare o meno un nuovo

lavoro, la cui decisione finale è data in buona parte dalla mancanza o meno di sicurezza del lavoro, dalla sua relativa influenza sugli equilibri con la vita personale, lo stipendio e la presenza o meno di benefit.

La formazione è ricercata dal 79% degli Italiani e, tra i diversi bisogni di apprendimento oggi dichiarati, quella sull’intelligenza artificiale è richiamata dal 34% degli intervistati.

E se da una parte c’è il problema di trovare nuovo personale e soprattutto di trovarlo motivato e partecipe, dall’altra è necessario trattenere le persone in azienda, tanto più se sono valide. L’imprenditore può far tesoro di poche regole che chi ha a cuore la propria azienda e quindi anche i propri collaboratori conosce e non deve ricercare nei manuali sul tema. Le persone rimangono nei contesti di lavoro dove prevale un clima sereno e dove all’occorrenza possono contare su supporto e sostegno, talvolta anche semplicemente ascolto

Al pari di quanto accade per il successo o meno di un’azienda dove la mortalità maggiore si registra nei primi due anni di vita, anche per i dipendenti, i primi 18 mesi sono fondamentali. Un anno e mezzo è un tempo in cui avviene la fidelizzazione del collaboratore o in cui si comprende, da entrambe le parti,

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che il rapporto non si può consolidare. Ma esistono anche nuove forme di abbandono che prevedono il distacco dal lavoro senza perderlo in maniera formale: chi è fortemente deluso e demotivato spesso sceglie semplicemente di essere improduttivo. Incrocia le braccia, fa il minimo sindacale, mostra riottosità per ogni compito, vecchio o nuovo che sia. Ma non si dimette.

Chi non è più motivato andrebbe invece ricoinvolto perché perdere un dipendente non è solo una sconfitta per l’azienda, ma anche un costo importante. Si perdono risorse, tempo, denaro, energie per introdurlo e formarlo, ma ci sono anche oneri per la sostituzione che vanno da un minimo della metà del costo annuo di quel lavoratore, a due volte il salario annuo. Pertanto le dimissioni che si possono evitare vanno scongiurate, perché sono deleterie.

Azioni concrete possono essere la verifica dei livelli intermedi dei rapporti. Oggi soprattutto nelle aziende strutturate, dove la relazione tra dipendenti e imprenditore è mediata da figure di responsabilità, è probabile che il dipen-

dente non voglia lasciare l’impresa in sé ma lo fa a causa dei contrasti col proprio superiore, che non è sempre un contrasto col proprio datore di lavoro. Ma a pagare è l’impresa.

Il riconoscimento e la correzione degli errori sono elementi importanti almeno quanto il coinvolgimento nelle scelte aziendali, piccole o grandi che siano e in operazioni elementari quanto in quelle più complesse. Che non significa farsi condizionare dai collaboratori o chiederne il permesso nel fare le attività ordinarie e straordinarie. Significa far partecipare il collaboratore ad un processo operativo che in un modo o nell’altro lo coinvolgerà e per la riuscita del quale è meglio avere l’appoggio pieno.

In un mondo in cui la persona che cerca lavoro ha il potere di scegliere perché l’offerta è tanta e la domanda è sempre meno, chi si accinge ad entrare in un nuovo contesto lavorativo di quell’impresa vuole sapere tutto o quasi e decide in base a molte cose, non ultime la mission, il posizionamento nel mercato, la visione dell’imprenditore

e altro ancora. Le relazioni e le connessioni sono diventate elementi cruciali all’interno delle imprese. Lo sono ancor di più perché oggi si devono gestire processi complessi, compresa la convivenza in uno stesso ambiente di lavoro di più generazioni dove la visione, la spinta e le dinamiche che si possono creare sono il frutto di relazioni e compromessi tra soggetti che possono essere anche molto distanti tra loro sotto innumerevoli punti di vista.

E all’interno di un microcosmo come quello lavorativo, questa convivenza può essere vincente o deleteria a seconda di come la si gestisce.

Infine, giova ricordare che le risorse umane sono sempre un elemento fondamentale dell’impresa e che un investimento su di esse può avere un enorme ritorno, non solo dal punto di vista economico. I collaboratori — che siano di lungo o di breve corso — possono essere i migliori partner o i peggiori nemici per l’impresa. Per questo vanno scelti con cura e fidelizzati, al pari di clienti e fornitori.

Il tempio del vino nel salotto del Chianti: all’Enoteca Falorni al via la collaborazione con i Viticoltori di Greve in Chianti

L’Enoteca Falorni di Greve in Chianti (FI) ritrova le proprie origini di storico “tempio del vino” e riapre i suoi spazi con eventi, degustazioni a tema, presentazioni delle cantine attive sul territorio e corsi di sommelier professionisti, in collaborazione con i Viticoltori di Greve in Chianti, l’associazione che tutela e promuove il territorio grevigiano. «Il nostro desiderio è quello di rafforzare la collaborazione con tutti i produttori — ha dichiarato Chiara Bencistà Falorni, che gestisce l’Enoteca — offrendo l’opportunità di allestire lo spazio all’entrata dell’Enoteca con tutto quello che più li rappresenta, nel modo che loro preferiscono. L’idea è di far appassionare le persone a questa realtà, unendo passato e presente. La degustazione è il modo più importante per riuscire nel nostro intento, per questo metteremo il Chianti Classico Annata di ciascuna azienda coinvolta in degustazione nelle macchine Enomatic® da aprile ad ottobre». Presto sarà visitabile di nuovo anche il Museo del Vino, di recente ristrutturazione, sempre di proprietà della famiglia Falorni, sito proprio di fronte all’Enoteca. Tutti i giorni, infine, si potrà scegliere il proprio vino tra 1000 etichette da degustare al tavolo allo stesso prezzo di vendita dello scaffale oppure a bicchiere, scegliendo tra oltre 100 vini da spillare grazie ai dispenser Enomatic® (brevetto della famiglia Bencistà Falorni).

>> Link: www.enotecafalorni.it

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Crisi Mar Rosso: studio Ismea su rischio export agroalimentare nei mercati asiatici. Per l’Italia in gioco una posta da oltre 6 miliardi di euro

Oltre 6 miliardi euro, pari al 10% circa dell’export agroalimentare made in Italy. A tanto ammonta il valore delle esportazioni italiane verso i mercati asiatici che in dieci anni ha messo a segno una crescita del 128%. In base ai dati riportati nell’Instant Report Ismea “Gli scambi agroalimentari italiani con l’Asia e la crisi del canale di Suez”, l’Italia è in quinta posizione tra i principali Paesi esportatori di prodotti agricoli e alimentari verso l’Asia, dopo Paesi Bassi, Francia, Spagna e Germania. Uno scenario, questo, che si inserisce in un flusso di scambi in rapida evoluzione che ha visto le importazioni di prodotti agroalimentari da parte dell’Asia assumere un peso crescente sull’intero commercio mondiale, con la quota passata in un decennio dal 30,4% del 2013 al 35,7% del 2022. I principali prodotti esportati dall’Italia in Asia includono tutti i “campioni” del made in Italy, con una forte incidenza dei vini, che muovono nell’area un fatturato di 446 milioni di euro relativamente ai soli fermi in bottiglia (dato 2022, pari all’8,5% dell’export totale di categoria) e di 119 milioni per gli spumanti (5,6%). Le paste, con 332 milioni di euro nel 2022, raggiungono in Asia una quota dell’11,9% dell’export totale del comparto; seguono pomodoro trasformato (230 milioni di euro, con il 9,4% di quota) e formaggi (258 milioni di euro; 7,2%). Con riferimento alle importazioni, gli acquisti nazionali di prodotti agricoli e alimentari dall’Asia hanno generato una spesa di 4,9 miliardi di euro nel 2022 (i principali prodotti importati sono oli di palma, caffè e molluschi). Ne deriva un surplus della bilancia commerciale italiana nei rapporti di scambio con l’Asia di 1,2 miliardi di euro. Primo cliente dell’area è il Giappone (1,75 miliardi di euro di acquisti agroalimentari dall’Italia nel 2022), seguito, con valori nettamente inferiori, da Cina, Corea del Sud e Arabia Saudita. La recente crisi in Medio Oriente, che va a incidere su un mercato già influenzato dalle tensioni geopolitiche connesse al conflitto russo-ucraino, sta fortemente condizionando il quadro dei flussi fra l’Asia e il resto del mondo. Tra la fine del 2023 e gennaio 2024 sono crollati i transiti marittimi dal Canale di Suez con i cambi di rotta (circumnavigazione dell’Africa) che hanno comportato un incremento dei costi di trasporto nell’ordine del 40% e un allungamento dei tempi di percorrenza di 7-10 giorni. Uno scenario che rischia di incidere doppiamente sui mercati: parte dei prodotti normalmente destinati ai paesi asiatici, in particolare quelli più deperibili, potrebbero confluire nei tradizionali sbocchi europei dove si configurano possibili rischi di surplus e di riduzione dei prezzi. Da evidenziare — conclude lo studio Ismea — che il commercio agroalimentare risulta esposto alla crisi non solo nelle esportazioni ma anche nelle importazioni di materie prime e semilavorati, la cui potenziale contrazione potrebbe generare un rallentamento della produzione dell’industria alimentare nazionale, e non solo, incidendo sulle catene globali del valore.

>> Link: ismeamercati.it

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AGROALIMENTARE E FONDI DI INVESTIMENTO

Una convivenza possibile e talvolta vincente, ma il futuro è di chi ci mette il cuore

di Sebastiano Corona

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Oggi il tema dell’investimento diretto ed indiretto nella produzione alimentare è attualissimo e si incrocia con quello della sostenibilità, della transizione ecologica, del cambiamento climatico, dell’innovazione in forme alternative di produzione di cibo.

Fate il caso che dobbiate investire dei risparmi, ma non intendete indirizzarvi né su un’obbligazione pura, né su singole azioni o peggio ancora derivati. Una strada valida per mitigare il rischio e magari — con un po’ di fortuna e oculatezza — portare a casa qualche risultato in termini di rendita, sono i fondi di investimento, soluzioni finanziarie non nuove ma sempre attuali che continuano a dare grandi soddisfazioni.

Come funzionano è presto detto: si tratta di un contenitore in cui affluiscono le risorse di migliaia di risparmiatori, per essere a loro volta investite in attività più o meno rischiose a seconda della loro natura e tipologia, con modalità di funzionamento e con indirizzo diverso anche in termini di mercati e zone geografiche in cui le attività vengono realizzate: immobiliari, azionari, obbligazionari, bilanciati, chiusi, aperti, su mercati classici, su Paesi emergenti e via discorrendo. La plusvalenza (o minusvalenza!) che deriva tra ciò che viene investito in entrata e ciò che viene riconosciuto in uscita è il guadagno di chi ha creduto nel prodotto finanziario.

La semplificazione nel descriverli è d’obbligo, ma è anche indispensabile comprenderne il meccanismo per osservarli da un punto di vista diverso, quello di chi è oggetto di attenzione da parte del fondo come partner per acquisire rendite o per speculazione vera e propria.

L’agroalimentare non era considerato un mondo interessante dagli operatori finanziari, da sempre rivolti verso altre tipologie di imprese. Ma la pandemia ne ha messo in evidenza la tenuta, la resilienza, la compattezza, anche di fronte alla peggiore delle sciagure.

L’uomo può fare a meno di tante cose, ma non di mangiare e di bere. Il Covid-19 ha messo in luce anche questo aspetto, generando indirettamente l’interesse verso un comparto su cui prima del 2020 si era solo limitatamente scommesso e che paradossalmente, appariva secondario . Non solo la terra continua ad avere il suo fascino come bene rifugio, ma è una risorsa limitata, per quanto vasta, e che può avere modalità di utilizzo e di resa tra le più disparate.

Oggi il tema dell’investimento diretto ed indiretto nella produzione alimentare è attualissimo e si incrocia con quello della sostenibilità, della transizione ecologica, del cambiamento climatico, dell’innovazione in forme alternative di produzione di cibo.

Fondamentalmente agricoltura e agroindustria permettono agli investitori di bilanciare le proprie attività con interventi meno rischiosi e tale interesse diffuso si traduce nel proliferare di fondi che sempre più puntano unicamente o quasi esclusivamente sul settore, nella conseguente ricerca di imprese su cui investire.

Il target è l’azienda che vanta almeno qualche milione di euro di ricavi, per un acquisto dell’impresa nel suo complesso per mera speculazione o in alternativa con un ingresso nella compagine sociale, a seguito di un’acquisizione di quote o azioni, per poi cederle nuovamente dopo un certo lasso di tempo, con o senza garantirsi una posizione di maggioranza ai vertici aziendali. Pertanto l’intervento che un fondo di investimento può proporre ad un’azienda può essere di diversa natura.

È chiaro che in un momento storico di grande difficoltà, dovuto all’aumento del costo del denaro, alla volatilità dei prezzi, all’incertezza riconducibile ai conflitti bellici, ad un mercato isterico e una tendenza netta alla contrazione degli acquisti e molto altro ancora, le sirene del fondo appaiono ancor più fascinose del solito. E alzi la mano l’imprenditore che non ha pensato, almeno una volta di recente: “ma se vendessi tutto???”

L’Italia però non è un Paese come gli altri, nemmeno dal punto di vista della composizione del suo tessuto imprenditoriale. Non solo le aziende medio piccole e le imprese familiari sono le più frequenti, ma, anche quando hanno un nome di richiamo internazionale, spesso hanno alle spalle persone legate da un rapporto di parentela che ne stringono le redini, in un intreccio tra famiglia/impresa forte e solido.

La storia delle aziende italiane, delle piccole quanto delle più strutturate, nella stragrande maggioranza dei casi si confonde con quella di un imprenditore e della sua discendenza, di persone che hanno speso la propria vita per

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Condividere la governance aziendale con un fondo significa dimenticare valutazioni di sorta, basate su ragioni diverse da quelle del guadagno a breve. Una politica dettata non tanto e non solo dalla freddezza dei meccanismi di funzionamento rigido dei fondi stessi, ma soprattutto dall’arco temporale che li contraddistingue e che normalmente non va oltre i 5 o 7 anni.

avviare e consolidare la propria attività. Aziende curate e seguite con la stessa attenzione con cui si crescono i figli e le cui sorti sono il risultato di sacrifici, patemi d’animo, sudore, lacrime e preghiere dentro mura domestiche più che nei capannoni e negli uffici. Difficile quindi per l’imprenditore italiano medio staccarsi dalla propria creatura e lasciarla in mano ad altri.

Tuttavia, al di là dei casi di cessione completa, ci sono varie modalità per condividere un percorso di vita dell’impresa con un fondo. Quest’ultimo può infatti fare ingresso in molte forme e non sempre assumendo ruoli gestionali determinanti. Ma l’apertura ad un socio di tal portata non è mai indolore e ha conseguenze sia durante la sua permanenza sia dopo l’uscita.

Sarà utile tenere a mente che i fondi, per loro natura, hanno l’unico scopo di fare speculazione. Non garantiscono utili, ma puntano alla plusvalenza delle quote e le scelte che fanno sono dettate da ragionamenti puramente economici, dove qualunque elemento di diversa specie è privo di rilevanza.

Condividere la governance aziendale con un fondo significa dimenticare valutazioni di sorta, basate su ragioni diverse da quelle del guadagno a breve. Una politica dettata non tanto e non solo dalla freddezza dei meccanismi di funzionamento rigido dei fondi stessi, ma, soprattutto, dall’arco temporale che li contraddistingue e che normalmente non va oltre i 5 o 7 anni. I fondi operano in tempi ristretti, in maniera diametralmente opposta a quella di un qualunque imprenditore medio italiano che normalmente pensa all’azienda come ad un’entità che non deve cessare mai.

Chi crea o gestisce un’impresa in prima persona e non per mera speculazione di solito la porta avanti senza un orizzonte temporale definito. Nella stragrande maggioranza dei casi, i nostri imprenditori pensano o sperano che la propria impresa gli sopravvivrà, come un’estensione di sé, finendo in mano ai figli, ai parenti, ai dipendenti o a chiunque voglia dare seguito a quel progetto. Questo accade ancora di più in settori come l’agricoltura e l’agroalimentare, dove temi come il territorio, la persona,

la terra, gli animali, la comunità sono elementi fondamentali. Sono entità più o meno complesse che spessissimo hanno un impatto in termini sociali, economici, talvolta di tradizione, storia e cultura che si vuole tramandare anche con il prodotto.

Questi aspetti, che per un imprenditore possono essere importanti e che talvolta addirittura ne condizionano le scelte aziendali, sono invece del tutto assenti nella politica dei fondi di investimento che non puntano alla continuità della vita dell’impresa, ma semplicemente a portare a casa risultati sul breve e medio termine.

Contano su una notevole liquidità e per questo possono diventare partner preziosi in momenti particolari della vita di un’azienda. Hanno il merito di apportare competenze finanziarie e gestionali, particolarmente utili laddove ce n’è carenza, ma gli imprenditori che entrano in correlazione con i fondi, consentendone l’ingresso ai vertici, devono mettere in conto che entro qualche anno il fondo abbandonerà la posizione e la fuoriuscita è un altro passaggio da governare.

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L’ingresso di un fondo spesso spaventa, per l’incertezza che può generare e per la scarsa conoscenza che si ha di esperienze di questo tipo in imprese come le nostre. Ma non mancano esempi positivi, soprattutto quando gli equilibri sono preventivamente studiati affinché nessuna delle parti soccomba alla volontà dell’altra. La natura stessa del fondo gioca un ruolo fondamentale, in particolare quando si tratta di fondi specializzati nel comparto che, con un occhio più attento a certe realtà, possono diventare un prezioso partner con cui fare un pezzo di strada.

È importante che l’ingresso del fondo non sia un passaggio subìto, ma una scelta consapevole, possibilmente un progetto cucito ad hoc sulla base delle proprie momentanee esigenze. Il loro ruolo può quindi essere utile, in certi casi prezioso, ma la ricchezza delle imprese italiane sta proprio in un’impronta di gestione diversa, che talvolta esula anche dalle ragioni contabili. Come padri di famiglia che amano le proprie creature, gli imprenditori del Belpaese hanno un occhio per i conti e per il mercato e uno per il territorio, il personale, la collettività in cui si muovono. Innamorati delle proprie tradizioni e della tavola, talvolta guardano alla qualità quanto al bilancio. Consapevoli del fatto che nel gusto e nel dettaglio si nasconda la virtù del prodotto, azzardano di tanto in tanto scelte antieconomiche che solo il cuore può dettare, lasciando indietro la ragione, quella di bilancio, quella finanziaria e quella patrimoniale. I fondi vantano competenze e professionalità ragguardevoli, ma mancano di sensibilità e attaccamento. E pur nella certezza che l’economia sia fondamentale per stare sul mercato, la passione per il lavoro, il desiderio di continuità, la volontà di lasciare un’eredità materiale e immateriale a chi verrà dopo restano fattori fondamentali che è impossibile acquisire sui libri di testo.

Per l’imprenditore medio italiano, grande o piccolo che sia, l’utile sarà sempre una componente importantissima, ma che si può raggiungere con un respiro più lento e una visione rispettosa delle persone e dei luoghi. Perché pensare al territorio significa in certo qual modo pensare al futuro. E il futuro è nelle mani di chi getta il cuore oltre l’ostacolo.

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di M O D ENA A C ETO B A L SAMI C O CONSORZIO TUTELA L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA Unico. Autentico. Di Modena.

1. Zupppa. Comunicare di gusto

Il team di Zupppa ci piace tantissimo così come il loro blog — zupppa.it — dedicato alla comunicazione nel mondo Food & Beverage attraverso “le parole, i volti, le scelte e le scommesse del settore più amato dagli Italiani”. Il tutto attraverso un editing innovativo e curioso. Da seguire anche su instagram.com/zupppa.it

2. La newsletter di [mini]marketing

Arriva agli iscritti tutti i venerdì ed è un contenuto davvero interessante per chi si interessa di marketing digitale. È prodotta da GIANLUCA DIEGOLI, esperto di consulenza su budgeting, planning e strategia di marketing e vendita digitale, e-commerce e molto altro ancora (minimarketing.it). Oltre alla newsletter, Gianluca Diegoli ha creato anche la pagina ilmarketinginsegnatodainegozianti.info, ovvero Il marketing che vediamo in giro per negozi, a cui chiunque può contribuire (photo © ilmarketinginsegnatodainegozianti.info).

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 38 IL FOOD IN RETE
SOCIAL di Elena
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1

FOOD

Benedetti

3. Mortadella Shop

Sviluppato dal Gruppo MAVIT, leader nella ristorazione a Bologna, Mortadella è uno shop fisico e on-line (mortadellashop.it/shop) che punta tutto sulla tradizione del buon cibo emiliano. Forti su instagram.com/mortadellashop, ogni giorno raccontano attraverso le storie i plus dei propri prodotti e delle proprie offerte. Da seguire (photo © @mortadellashop).

4. ParlaComeMangi

Tutti a Rapallo (GE) a visitare la meravigliosa ParlaComeMangi (parlacomemangi.com), una bottega “tradizionale all’italiana, quella del bottegaio artigiano che viaggia, assaggia e poi sceglie (…) Il nostro miglior prodotto è la coerenza di aver scelto prodotti (dal formaggio, al cappero, alla confettura, al prosciutto…) che stiano in armonia tra loro, perché sono tutti prodotti con grande passione e talento e che i prodotti di questi artigiani tu possa trovarli sempre sui nostri scaffali, perché in loro crediamo e ne siamo diventati amici”. Da seguire anche su instagram.com/parlacomemangi (photo © @parlacomemangi).

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Shopopop, la consegna collaborativa come nuovo standard per una logistica sostenibile

L’azienda Shopopop sta proseguendo il suo cammino verso l’implementazione di un modello di delivery innovativo, la consegna collaborativa, fondamentale per ridurre l’impatto ambientale delle consegne di prossimità, ottimizzando le risorse e riducendo gli sprechi. L’Italia si posiziona al terzo posto in Europa per la diffusione dell’e-grocery, dopo Regno Unito e Francia, con un valore del mercato e-grocery di 1,3 miliardi (+7% sul 2022) e 10,8 miliardi acquirenti, che si prospetta possano diventare 14,5 miliardi nel 2027. Ma quali sono le abitudini di acquisto in Italia? Il 42% degli acquirenti digitali fa la spesa on-line, con il 60% che effettua tra 1 e 2 acquisti al mese, e il rimanente 40% da 3 a 5 acquisti mensili. L’87% degli acquirenti acquista sempre sugli stessi siti. Il principale driver di acquisto dell’e-grocery rimane la consegna a domicilio, seguita dalla comparazione dei prezzi e dall’ampio assortimento a disposizione. La logistica di prossimità presenta comunque delle sfide, prima tra tutti l’impatto ambientale. Nella supply chain del prodotto alimentare, infatti, il momento della consegna di prossimità è il più costoso e il più inquinante. Ad oggi rappresenta il 25% delle emissioni di gas serra e il 30% delle emissioni CO2 relative ai trasporti in città.

Shopopop ha l’obiettivo di rendere la consegna collaborativa il nuovo standard per una logistica di prossimità a minor impatto ambientale. Attraverso la piattaforma di Shopopop, infatti, i commercianti possono fare affidamento su privati che utilizzano i loro percorsi frequenti per effettuare le consegne direttamente a casa dei clienti. Chiunque può effettuare una consegna registrandosi sull’app Shopopop. Grazie ai driver collaborativi di Shopopop per le consegne a domicilio, i commercianti adottano un’opzione flessibile e sostenibile, senza la necessità di investimenti strutturali aggiuntivi. Nel 2023, Shopopop ha raggiunto i 3 milioni di consegne totali. Dalla sua fondazione vanta 4.200 negozi partner in 6 Paesi: oltre che Italia, la piattaforma è attiva in Francia, Belgio, Olanda. Il servizio consente un notevole risparmio di emissioni di CO2e: ogni consegna effettuata durante un percorso abituale comporta una deviazione media di 2,27 km per i driver collaborativi, con un impatto ambientale 3,5 volte inferiore rispetto all’esperienza standard del cliente finale che si reca a fare la spesa al supermercato. Si tratta di un modello che ottimizza gli spostamenti in auto, consentendo un risparmio significativo di emissioni. Grazie alla consegna collaborativa, infatti, si emette il 72% in meno di CO2

«Migliorare la logistica di prossimità riducendo l’impatto ambientale è possibile. Uno dei principali modi per farlo è tramite la consegna collaborativa, proprio come fa Shopopop, che unisce flessibilità, sostenibilità, convenienza e rapidità» ha commentato Country Manager Shopopop Italia,nel suo intervento dal titolo “L’e-grocery, le consegne di prossimità e il loro impatto ambientale” all’Ecommerce Food Conference, l’unico summit e-commerce verticale sul Food & Beverage.

Tramite il miglioramento della fidelizzazione dei clienti, l’aumento delle consegne e il numero di partner, l’obiettivo di Shopopop è di diventare il leader europeo della logistica sostenibile entro il 2027. Obiettivo da raggiungere attraverso ulteriori riduzioni delle deviazioni medie per consegna e l’offerta di servizi ancora più adatti agli spostamenti dei driver collaborativi.

>> Link: shopopop.com

La consegna collaborativa è un servizio di consegna prodotti tra privati che permette un piccolo guadagno durante i propri spostamenti (photo © @shopopopit).

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La Mortadella Bologna IGP è su Tik Tok con Lina l’influencer

Ad inizio 2024 il Consorzio italiano tutela Mortadella Bologna IGP ha annunciato l’ingresso su Tik Tok, uno una tra le piattaforme social più diffuse tra i giovani e giovanissimi, che in Italia ha raggiunto la cifra di 19,7 milioni di utenti. TikTok si caratterizza per la possibilità di pubblicare brevi video divertenti, partecipare a sfide (challenge), seguire i trend estemporanei (tormentoni in tendenza), creare contenuti accattivanti, il tutto con un alto tasso di creatività. Col supporto dell’agenzia di comunicazione FGMC, che ha valutato la conformità del canale social con gli obiettivi di comunicazione del Consorzio, a gennaio è stato lanciato il progetto pilota “Lina l’influencer” Ma chi è Lina? È la mascotte-gadget della Mortadella Bologna IGP già presente da qualche anno nelle attività off-line (eventi, merchandising…) e che, grazie ad un lavoro di animazione, diventa protagonista di contenuti dal potenziale virale su Tik Tok. Lina è la protagonista ricettazioni, educational, giochi, interazioni, reaction ai video editati da altri content-creator a tema Mortadella, il tutto contraddistinto da un approccio simpatico ed empatico, pur interpretando ed esprimendo i valori del Consorzio e dell’Indicazione Geografica.

«Dopo i risultati raggiunti dalla svolta digital avviata dal Consorzio tre anni fa col nuovo sito web, la newsletter e l’apertura dei canali social Facebook ed Instagram, era logico e consequenziale approdare su Tik Tok innanzitutto perché ci consente di coinvolgere al meglio il target della generazione Z che ha scelto Tik Tok come sua piattaforma di riferimento, perché è lì che può mettere in atto la ricerca della gioia e spensieratezza come fonte di benessere (trend 2023 rilevato dal What’s Next Report di Tik Tok) modalità di fruizione in linea con la filosofia della Regina rosa dei salumi “Godersi la vita” — ha dichiarato Guido Veroni, presidente del Consorzio, che prosegue — ma anche perché Lina l’influencer è il tool ideale per cogliere e interpretare i trend del momento e, attraverso la sua simpatia e la sua iconicità, rafforzare la brand awareness della Mortadella Bologna IGP attraverso l’instant marketing».

>>Link: mortadellabologna.com

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Meat Japan

WAGYU CHARCUTERIE

Bresaola (da copertina), guanciale, lardo e salame realizzati dall’azienda

Meat Japan Srl con la carne speciale di Wagyu giapponese e la maestria artigiana italiana. Un viaggio dei sensi con il plus della sostenibilità di Gaia Borghi

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AZIENDE

Dici Giappone, cibo made in Japan, e pensi ai… salumi? Beh, non proprio. Piuttosto a riso, noodles, alghe, miso, tofu e salsa di soia, tutti ingredienti non di derivazione animale che sono alla base di piatti oramai molto diffusi anche a casa nostra come il sushi o il ramen, magari proposti in versioni non proprio uguali a quelli effettivamente preparati e mangiati nei locali del Sol Levante, ma certamente rappresentativi della cucina nipponica. E poi c’è il Wagyu, una carne, e un bovino, di origine 100% giapponese per genetica e tipologia di allevamento, sinonimo di rarità e lusso in tutto il mondo, «che sta modificando l’intera cultura di un Paese che per 1000 anni non ha mangiato carne» mi dice Paolo Tucci, CEO di Meat Japan Srl Meat Japan è una società con sede in Italia, a Saronno (VA), fondata nel 2021 dallo stesso Tucci, gastronomo formatosi all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (CN), Salvatore Di Mento, veterinario specializzato nella selezione e trasformazione di premium beef, e Hideki Onishi, titolare con la famiglia della macelleria Ginkakuji Onishi di Kyoto. Una realtà, quest’ultima, che conta più di 20 punti vendita, migliaia fra clienti HO RE CA. e GDO ed è storicamente specializzata nella selezione di carni Wagyu di altissima qualità, tra cui la Ginkakuji Onishi Wagyu e la Juku, il primo “Wagyu giapponese sostenibile”.

Il loro obiettivo? «Portare la cultura del vero Wagyu in Italia e in Europa» prosegue Paolo Tucci. Insieme, unendo le loro professionalità, riescono a seguire tutta la filiera che porta al cliente finale il taglio desiderato, insegnandone anche — elemento di fondamentale importanza — manipolazione e comunicazione. «Meat Japan rappresenta l’incontro (to meet) di culture diverse e ha per oggetto ciò che ci nutre (to eat). Ma alla base di tutto c’è la passione condivisa per la carne (meat) e il valore del rispetto: per i nostri dipendenti, gli allevatori e i nostri animali, di cui noi onoriamo il sacrificio cercando di non sprecare nulla di ciò che ci donano. E questo è sostenibilità, il vero goal di Meat Japan» sottolinea Paolo Tucci.

«Con la nostra fattoria Juku, ad esempio, nasciamo certificati sostenibili perché per l’allevamento delle nostre vacche Wagyu Juku utilizziamo un In alto: il guanciale di Meat

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Japan. In basso: Hoshigyu Wagyu bresaola.

processo a base di fermentati tradizionali giapponesi che abbatte l’emissione di metano e vogliamo continuare ad evolverci in tal senso nei prossimi anni».

Meat Japan Wagyu

Charcuterie: Paddock to Plate E se unissimo la capacità e la tradizione italiane di trasformare la carne in salumi con questa materia prima straordinaria cosa succederebbe? Profonda conoscenza del prodotto, selezione accurata dei tagli, lavorazione artigiana manuale, utilizzo di spezie e erbe che esaltano le caratteristiche naturali di questa carne dal sapore

complesso, aromatico e pieno, e del suo grasso, ma, soprattutto, volontà di “spingere” ancor più l’acceleratore sulle attività dell’azienda in direzione della sostenibilità: così è nata la linea Meat Japan Wagyu Charcuterie, una serie di prodotti che rappresentano la fusione di sapori italiani e giapponesi.

«La sostenibilità è il principale motivo per cui è nata questa linea di salumeria» mi dice Paolo Tucci. «Abbiamo voluto unire l’utilizzo della carcassa intera con l’artigianalità della salumeria nazionale, che nasce tradizionalmente per non sprecare nulla del sacrificio animale e si sviluppa creando prodotti organo-

letticamente eccellenti. Il nostro è un progetto globale sull’animale: essendo un’azienda che lavora in Giappone e in Italia “Paddock to Plate”, dal vitello al salume, ci teniamo a sostenere i nostri allevatori esportando la carcassa intera disossata e dando modo ai nostri clienti di utilizzarla tramite un’educazione alla sua cottura e lo sviluppo di prodotti specifici come appunto la linea Meat Japan Wagyu Charcuterie».

Salvatore Di Mento è il responsabile della produzione delle referenze a catalogo che al momento sono bresaola, guanciale, lardo e salame.

Hoshigyu Wagyu bresaola

Per la bresaola (a cui è dedicata la copertina di questo numero della rivista, NdA) si parte dai tagli più pregiati della coscia. La carne di Wagyu viene salata a secco manualmente con una combinazione di sale marino, erbe aromatiche e spezie per 30 giorni. Il processo di salatura, senza l’aggiunta di acqua, che permette ai sapori di penetrare naturalmente nella carne, e il successivo lento processo di stagionatura, che dura diversi mesi, regalano a questa bresaola una grande raffinatezza di gusto.

Guanciale

La produzione del guanciale inizia con una selezione accurata di tagli di Wagyu giapponese Juku e Onishi A5 — grado massimo disponibile sul mercato — lasciati a stagionare per diverse settimane con un metodo di salatura a secco. Oltre al sale marino, viene aggiunta una combinazione equilibrata di pepe, rosmarino e altre spezie. I pezzi vengono rigirati e controllati continuamente, assicurando un perfetto equilibrio di sapori finale. Dopo questo lento processo di stagionatura, il guanciale viene lasciato a maturare per un periodo di 60-90 giorni, così da intensificarne ulteriormente il sapore.

Abura Special Wagyu lardo

Per la realizzazione dell’Abura Special Wagyu lardo si inizia selezionando le parti più pregiate di grasso di Wagyu, tagliate di forma di lingotti e poi lasciate a stagionare per 90 giorni. Nella salatura, manuale, si utilizza una combinazione di spezie e erbe aromatiche tra cui pepe, alloro ed altre spezie che esaltano il ricco profilo gustativo

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In alto: Abura Special Wagyu lardo. In basso: Flower of Japan Wagyu salame.

di questo grasso. Confezionato sottovuoto per preservarne la freschezza, il grasso di Wagyu è disponibile per chef e griller anche in una versione spalmabile chiamata Meat Japan Wagyu Butter, fatta di grasso renderizzato, utile per creare salse gastronomiche o semplicemente per donare a fine un cottura un elegante gusto di Wagyu giapponese a qualsiasi carne.

Flower Of Japan Wagyu Salame

Si parte con la selezione di tagli di Wagyu giapponese Onishi A5, cubettati a mano dopo attenta tolettatura per evitare di surriscaldarne la carne, dato il punto di fusione dei grassi insaturi così basso. I tagli sono poi conditi con sale marino, spezie aromatiche e erbe che donano al salame una ricchezza di sapore che si evolve durante il processo di stagionatura, della durata di 60-90 giorni. Un salame 100% fatto di carne e grasso di Wagyu giapponese.

Un lusso democratico

«Ci tengo a mettere in luce un ultimo aspetto di questa linea, che secondo me riesce nell’intento di modificare il modo i cui viene percepito il Wagyu presso il consumatore» conclude Paolo. «Se infatti il prezzo della carne rimane elevato, con la salumeria e l’affettamento scende perché per una degustazione basta una piccola quantità di prodotto. In questo modo tutti o quasi possono assaggiarlo e scoprirne l’incredibile sapore».

>> Link: meatjapan.com

Nota

Curiosità: in Giappone i salumi, soprattutto quelli a base di carne suina come prosciutto crudo e cotto, pancetta, ecc…, vengono da tempo apprezzati, sia quelli prodotti in loco (nel 1872 a Nagasaki IEMON KATAE preparò il primo prosciutto della storia nipponica; fonte: ITA, Giappone.Il mercato dei salumi www.infomercatiesteri.it), che quelli importati. Secondo i dati di ASS.I.CA., nel 2021, prima della chiusura del mercato (oggi parzialmente riaperto) a causa della PSA, erano state esportate in Giappone circa 2.700 t di salumi italiani, per un valore di oltre 31 milioni di euro, rendendolo il terzo Paese extraUE di destinazione per i salumi italiani.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24

CASA DEL PESCATORE, MARE, PERSONE E TANTA PASSIONE di Chiara R. Zaccaroni

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 46 ALLA SCOPERTA DELLE CONSERVE DELLA TRADIZIONE ROMAGNOLA

In alto: sbarco di vongole fresche sul porto di Cattolica. A sinistra: Casa del Pescatore Soc. Coop opera dal 1930 a Cattolica (RN). “La Cooperativa è, per sua natura, destinata a creare valore per i propri associati e questo valore, per noi, non è meramente economico, ma anche sociale: per le persone e la comunità di cui facciamo parte”.

Tra una manciata d’anni festeggerà i cent’anni di attività! La Casa del Pescatore è una realtà di Cattolica (RN) dalla lunga storia e con nel DNA una visione molto innovativa e moderna ma con radici nella tradizione locale. Abbiamo incontrato il direttore, dott. Nicola Tontini, che ci ha accompagnato alla scoperta di un mondo cooperativo fatto di manualità, conoscenza dei prodotti, inventiva e tanta passione.

La vostra storia parte da lontano. Quando e come si è sviluppata la Cooperativa?

«Casa del Pescatore fu costituita nel 1930 dall’unione di soci pescatori e, in particolare, grazie al lavoro prezioso di aggregazione svolto da Salvatore Galluzzi, figura importante per la marineria locale. In quegli anni il porto rappresentava una parte fortemente identitaria e predominante dell’allora cittadina di Cattolica, che si buon ben dire fosse un vero e proprio borgo di pescatori. Nei decenni successivi la Cooperativa crebbe moltissimo arrivando a contare circa 700 soci pescatori (contro gli odierni 250). Via via si passò dalla

tradizionale pesca coi trabaccoli ad altri tipi di pesca, come quella tradizionale del pesce azzurro fatta con le sardellare, alle quali erano fortemente legate diverse industrie conserviere locali. Si sviluppò in seguito la pesca con le reti Larsen, quelle volanti, per passare poi a tecniche più moderne. Fino al 2000 avevamo una flotta a strascico importante, una trentina di imbarcazioni, poi questo tipo di pesca è andato in crisi, per la difficoltà nel reperire gli equipaggi, a causa dello sviluppo di altre attività di pesca, come quello delle vongole, senza dimenticare l’emissione di nuove direttive e normative più restrittive».

Il Mercato ittico all’ingrosso di Cattolica è gestito ancora oggi direttamente dalla Cooperativa come servizio pubblico. Quando è stato costituito? Come opera?

«È nato nei primi anni del ‘900; l’attuale sede fu soggetta a diverse fasi di riammodernamento, la prima importante negli anni ‘50 poi negli anni ‘80. Opera attraverso un sistema informatizzato di asta automatica che dal 2001 è entrata nel circuito PEFA (Pan European Fish Auctions, pefa.com) e si rivolge ad acquirenti, grossisti e dettaglianti attra-

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La linea Conserve del Pescatore comprende Lumachine in umido, Polpa di cozze, Razza sottolio, Seppia con piselli, Sugo alle canocchie, Sugo alle vongole, Brodo di canocchie, Brodo di cozza e Brodo di vongole.

I marchi della Casa del Pescatore

• Vongola Regina – Un prodotto totalmente locale, pescato unicamente nei compartimenti di Rimini e Pesaro. Il marchio viene assegnato unicamente a vongole pescate da meno di 24 ore.

• Vongola Romagnola – Cooperativa Casa del Pescatore aderisce al marchio “Vongola Romagnola” di proprietà dei Consorzi di Gestione Molluschi di Ravenna e Rimini, con l’obiettivo di valorizzare il prodotto pescato dalle marinerie della costa emiliano-romagnola.

• Cozza Romagnola – Cooperativa Casa del Pescatore aderisce al marchio di origine “Cozza Romagnola”. Il Consorzio Mitilicoltori dell’Emilia-Romagna ha scelto di adottare il marchio di origine “Cozza Romagnola” con l’obiettivo di valorizzare il prodotto locale e distinguerlo da altro prodotto di origine nazionale e, soprattutto, da quello di importazione. Certo della qualità del prodotto locale, sia di carattere organolettico, sia legata alla stretta osservanza delle norme igienico-sanitarie, l’obiettivo del Consorzio è quello di disporre di un marchio, che valga per tutto il territorio in cui operano gli allevatori associati, che consenta ai consumatori di riconoscere il prodotto emilianoromagnolo e le sue caratteristiche. L’adozione di un apposito Disciplinare di produzione consente inoltre di uniformare maggiormente la produzione locale, pur mantenendo specificità prettamente locali legate alle capacità dei singoli allevatori e all’ambiente di origine.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 48

verso due modalità di acquisto: le aste con sistema a scendere (anche on-line), e la contrattazione diretta prevalentemente utilizzata per le specie massive (cozze, vongole, pesce azzurro)».

Avete anche una pescheria. E non solo quella!

«Sì, nel mercato è presente una pescheria che fu realizzata negli anni ‘80 per vendere il prodotto dei soci direttamente al consumatore. Abbiamo poi un negozio di materiale nautico e di vendita di generi alimentari e uno stabulario, dietro al quale abbiamo realizzato uno stabilimento di trasformazione. Grazie all’accesso ad un bando di investimenti nel 2020 questo impianto è stato riammodernato per ricavarne un centro di confezionamento e depurazione molluschi. La Cooperativa conta infatti 10 imbarcazioni per l’allevamento delle cozze e circa 25 imbarcazioni per la piccola pesca, dedite alle attività con gli attrezzi calati. Sempre nei pressi di questi impianti è stato realizzato anche un centro e trasformazione dove studiamo prodotti che di fatto sono prodotti della tradizione locale».

Arriviamo alla produzione della Casa del Pescatore…

«Si va dalla produzione primaria alla tavola con polpa di vongole, cozze, sughi pronti e pesce azzurro semilavorato o congelato. Li produciamo con

quello che viene sbarcato dalle nostre barche, con materie prime freschissime, di assoluta qualità e totalmente rintracciabili. Ciò significa che siamo in grado di risalire sempre al produttore di ogni singola pescata.

La linea Conserve del Pescatore comprende Lumachine in umido, Polpa di cozze, Razza sottolio, Seppia con piselli, Sugo alle canocchie, Sugo alle vongole, Brodo di canocchie, Brodo di cozza e Brodo di vongole. In questo modo si lavorano un po’ tutti i prodotti che vengono sbarcati qui nel porto per essere poi riproposti sul mercato attraverso ricette tradizionali del nostro territorio. A questi si aggiungono anche prodotti congelati: canocchie, triglie eviscerate, alici marinate.

Operate anche all’estero?

«Sì, siamo attivi anche sul mercato estero, in particolare in Spagna, con le vongole fresche. E siamo pronti anche con il congelato».

I vostri prodotti trasformati e locali sono un bell’aiuto per il consumatore!

«Assolutamente! A volte, anche scegliendo le produzioni a livello nazionale si rischia di perdere un po’ la conoscenza delle produzioni locali. Come consumatori ci siamo un po’ standardizzati nella domanda per motivi di prezzo, abitudini alimentari e, soprattutto, anche per un modello di

vita in evoluzione. Abbiamo tutti meno tempo, meno conoscenze nel saper trattare il prodotto. Per questo siamo sempre alla ricerca di prodotti facili, immediati, che ci fanno risparmiare tempo in cucina».

Quali sono i top nelle vendite?

«Ultimamente abbiamo riscontrato una buonissima risposta con i sughi di canocchie e di vongole e con le seppie con i piselli».

Dove si trovano i vostri prodotti?

«A parte il nostro negozio diretto e alcuni punti vendita locali abbiamo iniziato una collaborazione con Mr. Fish (misterfishriccione.it), che vanta una distribuzione capillare in tutto il Paese. Per il futuro l’obiettivo è il potenziamento del canale delle botteghe enogastronomiche, in quanto, per i trasformati, facciamo fatica a pensarci in un contesto di Grande Distribuzione che ha esigenze di dimensione e volumi. Per il fresco invece siamo già in GDO».

Il vostro packaging è di forte impatto!

«Il packaging ha un ruolo molto importante. C’è stata molta ricerca sia nella grafica (con l’utilizzo di un font che richiama gli anni della nostra costituzione) che nella ricerca dei colori, che si rifanno alle imbarcazioni di pesca locali e all’italianità. Il messaggio che volevamo dare era chiaro: parlare di prodotti del nostro territorio e del made in Italy».

Zaccaroni

Casa del Pescatore Soc. Coop

Via Toti 2

47841 Cattolica (RN)

Web: pescatori.it

Direzione e Amministrazione

Telefono: 0541 1611761

E-mail: info@pescatori.it

Mercato ittico

Telefono: 0541 954663

E-mail: mercato@pescatori.it

Nota

Photo © Casa del Pescatore.

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Strozzapreti con il sugo alle canocchie di Casa del Pescatore.

Martínez Somalo:

OLTRE UN SECOLO DI SALUMERIA SPAGNOLA di Riccardo Lagorio

Almeno una volta all’anno l’ufficio commerciale dell’Ambasciata di Spagna in Italia organizza la presentazione di prodotti e aziende meritevoli di attenzione da parte del mercato italiano. Una sfida di portata enorme quella di penetrare il mercato italiano della gastronomia, che trova però in alcune proposte iberiche utili suggerimenti per negozi al dettaglio, ristoranti e punti vendita specializzati. Specie nel settore della salumeria, ambito in cui i connazionali sono sempre alla ricerca di prosciutti dall’inconfondibile atout spagnolo.

Ecco allora che si può citare, tra gli altri, Martínez Somalo, azienda familiare fondata nel 1900 a Baños de Río Tobía, piccolo centro de La Rioja le cui attività economiche prevalenti sono l’industria della lana e della trasformazione di carni suine (per la cronaca, l’illustre cardinale EDUARDO MARTÍNEZ SOMALO, camerlengo di papa BENEDETTO XVI, era originario proprio di Baños de Río Tobía).

All’interno della galassia di tipologie di prosciutto spagnolo, il Jamón Serrano (lo potremmo tradurre con prosciutto montano) è una STG prevista solo in Spagna che prevede l’utilizzo di carne di suini bianchi: Duroc, Landrace, Pietrain o Large White. Gli allevamenti che forniscono Martínez Somalo propongono perlopiù cosce di Duroc, nato dall’incrocio di Old Duroc e Red Jersey, che si caratterizza per l’elevato indice di marezzatura e, di conseguenza, succosità e tenera consistenza dal gusto particolarmente intenso.

Chiarito che circa il 93% dei prosciutti spagnoli proviene da questi animali, mentre il restante 7% è elaborato con maiale iberico, dal vello scuro, non tutti i prosciutti STG vengono prodotti

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Jamón Serrano Gran Reserva Duroc Martínez Somalo.

Il Chorizo Riojano IGP di Martínez Somalo. Dalla caratteristica forma a ferro di cavallo, il Chorizo Riojano IGP può essere prodotto solo nella Comunità Autonoma de La Rioja.

con cosce di suini allevati in Spagna, ma solo quelli aderenti al Consorcio Serrano (Consorcio del Jamón Serrano Español, consorcioserrano.es), che assicura un ulteriore innalzamento della qualità dell’STG.

Le tipologie con le quali si può presentare il Jamón Serrano sono con osso, senza osso, in blocco o a fette mentre la stagionatura minima dell’STG è di 7 mesi (12 per il prosciutto del Consorcio Serrano). Martínez Somalo ne produce tre tipologie: il Bodega, che matura tra 9 e 12 mesi, il Reserva, che stagiona fino a 15 mesi, e il Gran Reserva, dalla stagionatura superiore ai 15 mesi.

Secondo tradizione, nella regione de La Rioja le cosce dei suini venivano avviate alla salatura, cosparse di sale grosso, pressate e lasciate in questa condizione per un periodo che oscillava tra 0,65 e 2 giorni per ciascun kg di peso del prosciutto, ad una temperatura variabile tra 0 °C e 4 °C e con un’umidità relativa tra il 75% e il 95%. Una volta ultimato questo periodo, si ricopriva la coscia con un altro conservante naturale, la polvere di peperone dolce,

con la quale si completava il periodo di stagionatura al clima secco e fresco dell’altopiano. La versione passa sotto il nome di Gloria Riojana (il vecchio nome dato in origine dai fondatori) e la modalità di produzione è ancora oggi eseguita nel laboratorio di Martínez Somalo con l’aiuto di tecnologia artigianale. Al termine del periodo di stagionatura, il prosciutto viene marchiato a fuoco.

Un altro dei prodotti da salumeria spagnoli che gli Italiani apprezzano è il Chorizo, dalla forma di una salsiccia, che può essere piccante o dolce. Il chorizo de La Rioja gode dell’Indicazione Geografica comunitaria di IGP e la Martínez Somalo appartiene alla ventina di aziende che possono vantarlo. Nella fattispecie il Chorizo Riojano IGP si elabora con carne magra di suino maschio castrato o scrofa che sia priva di tessuto connettivo e pancetta senza cotenna, sale, paprica e aglio fresco.

Alla Martínez Somalo non si accontentano di prodotti generici, ma sono andati sul sicuro, scegliendo il Pimentón de La Vera DOP, il sale di Añana (ottenuto facendo evaporare l’acqua salata che sgorga dall’omonima montagna dei Paesi Baschi) e l’aglio di La Pedroñera IGP (località in provincia di Cuenca nota per l’ajo morado, ovvero violetto, dai profumo e gusto intensi). L’impasto viene inserito in budello suino naturale e alla salsiccia viene data la forma di ferro di cavallo.

Vale la pena riportare che “importanti industrie di lavorazione delle carni di altre regioni cercano di trarre vantaggio dal prestigio del prodotto, denominando i propri chorizo come Chorizo Riojano benché non abbiano niente a che vedere con il prodotto che l’indicazione geografica protetta in questione intende tutelare” come riporta l’articolo 5 del Disciplinare di produzione.

Al consumo il loro chorizo si riconosce per una consistenza equilibrata, buona coesione tra parti magre e parti grasse, ottima masticabilità e senso di succosità della fetta. Caratteristiche che apprezzerebbe assai il mercato italiano, dove il chorizo stenta a farsi conoscere.

Riccardo Lagorio

>> Link: martinezsomalo.com

Premiata Salumeria Italiana, 2/24

Berti 1953, IL FUTURO È ADESSO

A Thiene una gastronomia-salumeria accoglie la clientela con una visione moderna dell’offerta e un restyling contemporaneo dei locali che ha trovato in Criocabin linee, tecnologia e innovazione di Elena Benedetti

Il grande banco della linea MAX di Criocabin nel locale rinnovato di Berti 1953 l’angolo dei sapori di Thiene (VI).

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C’era una volta il negozio di alimentari. Comodo, nei pressi della propria abitazione, rifornito di tutto un po’. Si cucinava a casa e la spesa era concentrata sulle materie prime e sugli ingredienti necessari per la realizzazione dei piatti del giorno. Si mettevano a tavola famiglie più o meno numerose e la vita scorreva forse un poco più lenta di oggi.

Era il 1953 quando aprì a Thiene (VI) l’Alimentari Casolin, una bottega che oggi — dopo 70 anni e alla terza generazione — ha cambiato via via pelle per trasformarsi in una moderna gastronomia con salumeria e bottega di eccellenze e prodotti super selezionati della famiglia Berti. A fine gennaio, dopo una breve chiusura per un restyling che ha visto coinvolta anche Criocabin, leader nel design e nella produzione di moderni banchi refrigerati a servizio assistito e libero servizio, Berti 1953 l’angolo dei sapori ha riaperto al pubblico con una veste nuova, decisamente contemporanea.

Le gastronomie di quartiere e le botteghe storiche di alimentari rappresentano un pilastro fondamentale nello sviluppo

economico e culturale di una città. Questi punti vendita non solo contribuiscono alla vitalità economica della comunità locale, ma offrono anche una vasta gamma di prodotti selezionati e di qualità che non si trovano nei supermercati tradizionali, sempre più orientati verso il prezzo. Inoltre, gastronomie di quartiere e botteghe storiche spesso giocano un ruolo chiave nella valorizzazione delle tradizioni culinarie locali.

Proprio per la loro attenzione alla qualità e alla provenienza dei prodotti offerti, questi negozi sono spesso la scelta preferita da coloro che cercano ingredienti autentici e genuini per le proprie ricette. In questo modo, contribuiscono a preservare le ricette e le pratiche culinarie tipiche del territorio. «Oggi siamo una gastronomia con salumeria e vendita di formaggi, più una selezione di prodotti, tra paste, conserve, sughi e qualche bottiglia di vino» mi dice Daniele Berti che, con il figlio Antonio, operativo nella bella cucina a vista, è alla terza generazione.

Nel nome di questa bottega c’è un mondo! Di lavoro, innanzitutto, di esperienze, di evoluzione nel seguire le esigenze, i gusti, i comportamenti

d’acquisto e di consumo di una clientela sempre più orientata a prodotti e servizi diversi. «Siamo in questa sede dal 1961 ma il 24 gennaio di quest’anno abbiamo riaperto con un riammodernamento del locale che ora si apre al visitatore con un banco Criocabin della linea MAX, una cucina a vista e spazi ripensati, che rendono la bottega moderna, più funzionale e accogliente» sottolinea Berti.

Come è cambiato il lavoro e l’offerta dei prodotti negli ultimi anni?

«È cambiato tutto e tantissimo! Da negozio di alimentari ci siamo specializzati decisamente nella gastronomia con un’ampia offerta di piatti pronti. Tutti i giorni facciamo un menù diverso che parte dagli antipasti e arriva ai secondi. Oggi, per esempio, è venerdì e c’è una bella offerta di piatti di pesce. Anche sulla tipologia di cucina ci siamo aggiornati: oggi offriamo piatti più light e non speziati, con più attenzione alle verdure rispetto alla carne».

Il motivo?

«L’età della clientela si è abbassata e oscilla tra i 35 e i 40 anni. Un target di persone in piena attività, con fami-

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glie da crescere, sempre di corsa tra lavoro e casa, che presta attenzione a cosa mangia ed è alla ricerca di piatti più equilibrati ma ugualmente gustosi».

Perché Criocabin?

«Ci siamo appoggiati ad Extra Cooking Systems di Thiene, specializzata nella fornitura di impianti completi ed attrezzature anche per gastronomie e ci siamo innamorati del banco della nuova Family Line MAX di Criocabin», una delle ultime novità che l’azienda padovana ha presentato sul mercato. Nella pianificazione degli arredi dell’area di vendita il banco refrigerato è centrale: dà risalto e luminosità ai prodotti, con una conservazione

ottimizzata di ogni tipo di alimento. «È decisamente un banco di qualità!» mi conferma Daniele.

Qual è allora il segreto del successo delle botteghe storiche, delle gastronomie di quartiere? Alla luce di questa chiacchierata provo a dare una risposta. Si tratta di un giusto mix tra tradizione, ruolo nell’economia e nella cultura di una città, promozione della ricerca e qualità dei prodotti selezionati. Ma è anche impiego della migliore tecnologia, innovazione quotidiana nel banco e autenticità nella scelta dei prodotti, contribuendo così a costruire comunità più consapevoli dal punto di vista nutrizionale e sociale.

MAX, innovazione nell’esposizione

Berti 1953 l’angolo dei sapori

Viale Bassani 154

36016 Thiene (VI)

Telefono: 0445 361525

E-mail: infoberti1953@gmail.com

Berti – L’angolo dei Sapori –berti_angolo_dei_sapori

Criocabin Spa

Via S. Benedetto 40/A

35037 Praglia di Teolo (PD)

Telefono: 049 9909122

E-mail: info@criocabin.com

Web: www.criocabin.com

Questo concept accresce la visibilità dei prodotti esposti avvicinandoli al cliente: è il metodo Criocabin per aumentare il desiderio di acquisto. Esso prevede una gamma completa e versatile per realizzare qualsiasi tipo di layout. Sono possibili innumerevoli personalizzazioni in termini di forme, finiture e materiali. Due sistemi di apertura vetrina, telaio monoscocca per maggiore robustezza e facilità di canalizzazione, zona lavoro lato operatore personalizzabile con grande flessibilità: numerosi sono gli accessori a disposizione per rendere facile ed ergonomico il lavoro del professionista. Tra le principali caratteristiche di MAX: modularità (il retrobanco modulare e personalizzabile), standard igienici (facile da pulire), estetica (design e customizzazione) e performance (con un’efficienza energetica migliorata).

>> Link: criocabin.com/projects/max

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Il retro banco della linea MAX.

ERGONomiA E ACCESSIBILITÀ

Migliora l’esperienza di chi vende e di chi acquista.

Un design innovativo che accresce la visibilità dei prodotti esposti avvicinandoli al cliente garantendo un accesso totale per l’allestimento e la pulizia.

www.criocabin.com
Discover

S. ILARIO: IL PROSCIUTTO DI UNA VOLTA

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 56 BUONA CARNE NON MENTE
Prosciutti S. Ilario in stagionatura e, a pagina 57, i fratelli Stefano e Raffaele Montali.

«Ebbene io credo di poter dire che lo spartito è unico ma cambiano gli interpreti»

Piero Montali

«Il mio lavoro non è diverso da quello di tanti miei colleghi stagionatori di prosciutti: c’è la stessa passione, la voglia di imparare sempre qualcosa per riuscire meglio, per avere successo sul mercato. È un mestiere che non ha segreti ma, come per la tastiera di un pianoforte, non basta conoscere le note per far sprigionare la musica» Piero Montali, solista del Prosciutto di Parma, se n’è andato nel 2018 e ci ha lasciato delle bellissime parole. L’arte e la passione lo portarono ad aprire, a soli trent’anni, il Prosciuttificio S. Ilario ubicato a Poggio S. Ilario, frazione del comune di Felino. Piero lo chiamò con lo stesso nome del patrono di Parma, con la speranza che portasse bene, e così è stato.

Qualche anno più in là, Piero acquisì un prosciuttificio a Mulazzano Ponte, nel comune di Lesignano de’ Bagni, sempre in provincia di Parma, che diventò la sede attuale, gestita oggi

dai figli Stefano e Raffaele. Stefano segue la parte commerciale ed amministrativa, mentre Raffaele si occupa di selezionare la materia prima e della lavorazione.

Piero produceva prosciutti e coppe; queste ultime servivano per fidelizzare il cliente, mi spiega Stefano, «non avevamo nome e quindi mio padre faceva assaggiare ai potenziali clienti la coppa. Se il cliente rimaneva soddisfatto, era più facile vendergli il prosciutto». La coppa era la garante della qualità ed anticipava il parere positivo sul resto. «Mio padre era sicuro della qualità del suo prodotto e con tale consapevolezza lo valorizzava».

Piero Montali ha creato un valore inestimabile a livello qualitativo ed organolettico di prodotto, focalizzandosi sulla scelta della materia prima. Oggi come allora, l’azienda continua ad andare negli stabilimenti di macellazione a selezionare le migliori cosce. La scelta delle cosce esige un occhio attento, addestrato e formato sulla quantità di carne presente, sul grasso e sulla forma. «Il nostro prosciutto deve avere carne di qualità che supporti una lunga stagionatura e con grasso abbondante di copertura e di infiltrazione» spiega Stefano. Negli anni ‘80 si selezionavano

circa 2.000 cosce a settimana, oggi il numero è diminuito, complice l’epidemia di PSA che ha ridotto la disponibilità delle cosce e la composizione nutrizionale delle carni suine, cambiate in maniera significativa sia in termini di quantità che di distribuzione del grasso sottocutaneo, oltre alla diminuzione dello spessore del lardo. Tutto ciò implica maggiori difficoltà nella scelta della materia prima.

Dopo la fase di selezione si procede con la rifilatura e la preparazione delle cosce alla salatura, punto sinergico della lavorazione del prosciutto. Le cosce vengono dapprima marchiate con il nome dell’azienda, la data di salatura e il numero di stabilimento CE, poi massaggiate per prepararle alla presa di sale umido distribuito sulla cotenna insieme a quello secco. Il sale, unico conservante ammesso dal Disciplinare del Prosciutto di Parma, proviene dalle saline pugliesi ed è macinato in azienda.

Dopo la salatura e un breve periodo in cella statica si procede a rimuovere il sale residuo dalle cosce, nuovamente massaggiate e risalate. Nella prima salatura la quantità di sale è la stessa in tutte le cosce, nella seconda, invece, la quantità è direttamente proporzionale al colore e all’acqua liberata dalla carne.

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La famiglia Montali produce circa 70.000 pezzi l’anno, il 70% dei quali è marchiato come Prosciutto di Parma DOP; il restante 30% invece è marchiato Riserva Sant’Ilario, un prodotto che gode della stessa selezione e degli stessi controlli di qualità previsti dal Consorzio di Parma.

Una fase certosina questa, dove l’esperienza del salatore è cruciale.

Il riposo delle cosce è un’alternanza tra celle statiche e ventilate. La ventilazione deve essere delicata al fine di garantire un’asciugatura morbida e la penetrazione del sale: qui nascono le prime muffe nobili che conferiscono sapori e profumi impreziosendo così le carni.

Dopo il riposo si procede con la tolettatura, che dona forma e tipicità al prosciutto ed evita il rischio di infil-

trazioni d’aria che possono dar luogo a proliferazioni batteriche.

Terminata la tolettatura i prosciutti sono stoccati e appesi ai telai con una corda; a 100 giorni vengono lavati con acqua calda che toglie impurità e li fa rinvenire.

Dopo circa tre mesi dalla prima stagionatura delle cosce avviene la sugnatura: si “spalma” sulla parte magra la sugna (grasso di maiale, farina di riso, sale e pepe) per ammorbidire la crosta esterna del prosciutto, evitando

così la formazione della barriera esterna e permettere la fuoriuscita di umidità dalla carne.

La stagionatura dura almeno un anno e mezzo: «il nostro prosciutto non è pronto prima dei 20 mesi, il profumo è il risultato di una qualità eccellente della carne, del poco sale usato e di una lenta maturazione non forzata. Più attenzioni si rivolgono ad esso e meglio risulterà» racconta Stefano.

Ogni prosciutto matura a modo suo Seguire un prosciutto significa controllarne attentamente il microclima che lo circonda poiché l’ambiente di maturazione è correlato alla temperatura esterna. Nelle cantine di stagionatura è presente un tubo perimetrale che genera aria calda al bisogno; tuttavia, se il cielo si fa sereno, è doveroso aprire le finestre.

La famiglia Montali produce circa 70.000 pezzi l’anno, il 70% dei quali è marchiato come Prosciutto di Parma DOP; il restante 30% invece è marchiato Riserva Sant’Ilario, un prodotto che gode della stessa selezione e degli stessi controlli di qualità previsti dal Consorzio di Parma.

Domando a Stefano quali requisiti debba avere un buon prosciutto. «Un colore chiaro, rosato, se ci riferiamo ad un prodotto con una stagionatura di 20/24 mesi (il colore diventerà più scuro con l’aumentare della stagionatura), un grasso di copertura abbondante ed un profumo che evochi la muffa nobile: dolce e soave. La delicatezza organolettica sopraggiunge alla vista, all’olfatto e al palato».

I principali clienti che beneficiano del crudo S. Ilario sono le salumerie, le gastronomie, le macellerie e i ristoranti ma non la Grande Distribuzione. «La mossa più importante l’ha fatta mio padre quarant’anni fa, quando decise di dare l’esclusiva ai dettaglianti. Questa scelta ci è costata molto ma ci ha portati ad essere quello che siamo oggi» racconta Stefano.

«Oggi S. Ilario è presente principalmente in Italia ed esporta circa il 7/8% in Europa, Francia in primis. La nostra azienda è la nostra famiglia, i nostri collaboratori sono la nostra forza. Siamo molto affezionati a loro e loro a noi».

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Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it
ph: Franceschini Vincenzo

Rafforzare il benessere animale e la biosicurezza negli allevamenti suinicoli attraverso il protocollo PARSUTT

Il progetto PARSUTT (PARma ham high SUsTainability sTandard) del Consorzio del Prosciutto di Parma nasce nel 2021, con l’obiettivo di delineare un modello di filiera suinicola caratterizzato da standard di benessere animale e biosicurezza più elevati rispetto a quelli imposti dalla normativa vigente. Dopo oltre due anni di ricerca, il progetto è ora divenuto un protocollo operativo, messo a disposizione di tutti gli anelli della filiera produttiva, affinché possano applicarne, su base volontaria, i parametri. L’attività è stata coordinata dal Centro Ricerche Produzioni Animali – CRPA di Reggio Emilia e finanziata dal PSR 2014-2020 della Regione Emilia-Romagna. Ha visto la partecipazione di un selezionato numero di operatori della filiera — produttori, allevatori, macellatori — e si è avvalsa del supporto di altri partner/consulenti tecnico-scientifici, quali l’Università degli Studi di Milano, l’Organismo di Certificazione CSQA e l’ente di formazione Dinamica. Il protocollo PARSUTT fornisce agli operatori gli strumenti per la costruzione di una “filiera virtuosa”, che possa rispondere in modo ancora più puntuale alle esigenze del consumatore di oggi, particolarmente attento ai processi produttivi del cibo che acquista; allo stesso tempo, questo documento intercetta e anticipa le richieste che i moderni sistemi di distribuzione sempre più spesso pongono alle aziende agroalimentari in fatto di sostenibilità e innovazione nelle produzioni, e offre in questo modo un vantaggio notevole in termini di competitività di mercato. Durante la fase progettuale, l’analisi dei principali disciplinari e delle linee guida nazionali e internazionali, che prevedono elevati standard di benessere animale e biosicurezza negli allevamenti suinicoli, ha permesso di definire un elenco di parametri rilevanti e propedeutici al miglioramento, che è stato condiviso con portatori d’interesse ed esperti scientifici internazionali. Particolare attenzione è stata posta alla fase di allevamento, dove il progetto si è proposto di identificare, sviluppare e promuovere degli indicatori concreti per delineare un modello operativo in cui l’innalzamento degli standard di benessere e sostenibilità esprima il suo potenziale. Si riportano, di seguito, i principali parametri definiti all’interno del protocollo PARSUTT:

• spazi di allevamento superiori ai minimi di legge;

• aumento della disponibilità di materiale fibroso (es. paglia) per assecondare e favorire il comportamento naturale degli animali;

• superfici di riposo a pavimento pieno;

• scrofe gestanti e in attesa di fecondazione allevate sempre in gruppo;

• scrofe in maternità libere o con confinamento temporaneo in concomitanza del parto.

Il progetto ha previsto anche la verifica della sostenibilità economica e ambientale dell’applicazione del protocollo su tutta la filiera, con la quantificazione degli oneri d’investimento e di gestione e la loro incidenza sui costi di produzione. È stato inoltre condotto un attento studio di mercato per valutare la propensione all’acquisto di Prosciutto di Parma da “filiera virtuosa” da parte del consumatore e l’accoglienza da parte della grande distribuzione, con l’obiettivo di definire possibili strategie di marketing a supporto. Infine, il progetto ha compreso anche attività di formazione e divulgazione sul benessere animale e la biosicurezza, col coinvolgimento di allevatori e altri portatori d’interesse, quali veterinari, agronomi, trasformatori e ditte agroalimentari.

«Accompagnare il Prosciutto di Parma nel suo processo di transizione verso il futuro è una componente essenziale del nostro lavoro. Nell’ottica di rispondere in modo puntuale alle esigenze dei clienti ma anche con lo scopo di permettere alle nostre aziende di divenire sempre più competitive nel dialogo con la distribuzione, il nostro Consorzio ha creduto in questo progetto, con la ferma consapevolezza che per prendere parte al progresso sia spesso fondamentale abbracciare visioni ambiziose, capaci di precorrere i tempi. Lo abbiamo fatto con l’auspicio che il protocollo PARSUTT possa dare vita ad una filiera virtuosa sempre

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più estesa e che il frutto di questo lavoro supporti in modo rilevante il settore suinicolo nella sua sfida per l’innovazione. Desideriamo esprimere un sentito ringraziamento alla Regione Emilia-Romagna, per aver creduto nel progetto e averlo reso possibile, e al CRPA di Reggio-Emilia che lo ha coordinato con grande competenza e professionalità», ha commentato Alessandro Utini, presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma.

«Oggi il consumatore è sempre più attento alla sostenibilità della filiera agroalimentare di cui acquista i prodotti. Nel settore zootecnico questo significa particolare attenzione agli impatti ambientali degli allevamenti ed al benessere degli animali. Con il Gruppo Operativo PARSUTT, finanziato sul PSR della Regione EmiliaRomagna, il CRPA ha “puntato in alto”, rendendo disponibile un protocollo che permette di attuare e valutare metodi di allevamento dei suini con elevati standard di benessere animale e biosicurezza, passando attraverso un’importante fase di condivisione con diversi attori della filiera, affinché la proposta risulti effettivamente praticabile nell’interesse di tutti. Le ricerche del CRPA, al servizio del mondo produttivo agricolo e agroindustriale, sono orientate a proporre soluzioni innovative e sostenibili che siano concrete e attuabili, anche dal punto di vista economico», ha sottolineato Simona Caselli, presidente del CRPA.

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Mortadella Bologna IGP: incremento della produzione (+3,7%) e export (+6,7%). Picchi di crescita a due cifre in Germania e UK. Bene anche le vendite dell’affettato: +6,5%

Nel corso del 2023 sono stati prodotti 39,5 milioni di kg di Mortadella Bologna IGP e venduti 33,3 milioni di kg. Rispetto al 2022 la produzione è cresciuta del 3,7% e le vendite dello 0,8% (dati forniti dall’organismo di controllo IFCQ certificazioni). L’affettato in vaschetta conferma il decennale trend di crescita, con un aumento del 6,5%, a riprova della comodità del formato che continua ad essere scelto dal consumatore per la praticità di utilizzo e consumo. Basti pensare che si è passati dai 4,7 milioni di kg lavorati nel 2013 agli 11,3 milioni di kg del 2023, con un volume di vendita più che raddoppiato, pari a +240%. «Siamo soddisfatti dei risultati di crescita ottenuti dalla Mortadella Bologna IGP, particolarmente trainati dalle vendite all’estero, cresciute del 6,7%. A conferma del fatto che il valore di appagamento del gusto e dello spirito, associato al consumo di Mortadella Bologna, sia un fattore vincente e premiante non solo in Italia ma anche all’estero» afferma Guido Veroni, presidente del Consorzio italiano tutela Mortadella Bologna «Parte di tale successo è dovuto anche al continuo impegno del Consorzio di tutela in attività di promozione volte a garantire lo sviluppo e la salvaguardia di questa IGP in tutto il mondo».

In Italia, la GDO si conferma il principale canale di vendita con una quota del 54,8%, seguita dal Normal Trade, col 28,1%, e dal Discount, col 17,0%. Le vendite sono prevalentemente destinate ai consumi interni; tuttavia, la quota destinata alle esportazioni, nel 2023 pari al 20,9%, è in progressiva crescita (+6,7% rispetto al 2022). La maggior parte delle esportazioni sono verso i Paesi UE; tra questi ultimi, Francia e Germania rappresentano i principali mercati di riferimento, con quote del 26,4% e del 22,7%, seguiti da Spagna, UK e Belgio. Assumono particolare rilievo le performance registrate in due mercati: Germania +15,8% e UK +20,8% che vedono aumentare anche le rispettive quote di mercato passando dal 20,9% al 22,7% per la Germania e dal 5,9% al 6,6% per il Regno Unito.

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BUONO COME FATTO IN CASA

UNA GRANDE NOVITÀ NEL BANCO GASTRONOMIA

Frutto dell’esperienza Ferrarini nella produzione di salumi cotti, PAVO è prodotto solo con carne italiana, utilizzando il petto intero di tacchino magistralmente aromatizzato con la stessa salamoia del Prosciutto Cotto Ferrarini. Grazie alla lenta cottura risulta particolarmente morbido e succoso e come tutti i salumi Ferrarini è senza Glutine e derivati del latte oltre ad avere solo 1,5% di grassi.

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Culatello di Zibello DOP, la produzione torna ai livelli pre-Covid e il fatturato al consumo supera i 20 milioni di euro

Un ritorno della produzione ai livelli pre-Covid, con 81.351 culatelli sigillati e un fatturato al consumo che supera i 20 milioni di euro. A dirlo è il Consorzio di tutela del Culatello di Zibello DOP, nell’annunciare i dati economici di un 2023 chiuso con un trend positivo. Un dato ancor più importante considerando l’aumento dei costi della materia prima, che nel 2023 ha fatto registrare un +15%. «Il Culatello di Zibello DOP prosegue nella sua affermazione di prodotto di eccellenza. Merito anche delle ottime performance del preaffettato che ci ha permesso una maggiore penetrazione del prodotto nelle catene retailer» ha ribadito Romeo Gualerzi, presidente del Consorzio. Un settore, quello citato da Gualerzi, in grande crescita per il Consorzio che racchiude tutte le 23 aziende produttrici della DOP: nel 2023 quasi la metà dei culatelli è stata destinata al preaffettato, per un valore di 10 milioni di euro al consumo. Un vero e proprio boom considerando come nel 2017 la percentuale affettato rappresentava solo l’8,7% della produzione complessiva. «Le aspettative per il 2024 sono rosee, nonostante la previsione di un ulteriore incremento dei costi della materia prima, a maggior ragione considerando la minor disponibilità di suini che rispettano i parametri della Dop» ha proseguito Gualerzi. «Da gennaio siamo entrati a pieno regime col nuovo disciplinare approvato a settembre. Inoltre valutiamo la possibilità di utilizzare sempre più il Culatello di Zibello come ingrediente in specifiche ricette, per farlo conoscere ancor di più».

La quota estero del Culatello di Zibello DOP si attesta su un 25% del totale: i Paesi dell’area UE (in primis Francia e Germania), insieme con la Svizzera, rappresentano l’88% dell’export, ma cresce anche il Nord America, con Canada e Stati Uniti, oltre al Giappone e il Regno Unito. Infine per quanto riguarda Il canale di commercializzazione, il normal trade si conferma quello principale con una quota pari al 60% del comparto, mentre la Grande Distribuzione Organizzata rappresenta il restante 40%.

Salamini Italiani alla Cacciatora DOP: nel 2023 produzione in crescita

La produzione certificata dei Salamini Italiani alla Cacciatora DOP ha chiuso il 2023 con un andamento positivo, con un incremento del + 0,8% con 4.138.617 kg prodotti. Se guardiamo al 2022, che aveva chiuso in negativo di alcuni punti percentuali rispetto all’anno precedente, il risultato dell’anno appena conclusosi evidenzia un trend di ripresa e dimostra, dunque, l’apprezzamento dei consumatori. In Italia, che assorbe il 70% della produzione certificata, il 61% della DOP è stata distribuita nel canale moderno (GDO) e il rimanente 39% nei restanti canali. Dato positivo anche per l’affettato in vaschetta che consolida il suo trend di crescita degli anni precedenti, facendo registrare un aumento del 6% rispetto al 2022 a conferma della praticità d’utilizzo e della comodità di fare scorta in questo formato.

Circa il 30% del prodotto viene venduto all’estero, una percentuale ormai consolidata negli ultimi anni. Ciò significa che la DOP è riuscita a crearsi un proprio mercato anche al di fuori dei confini nazionali. I principali Paesi di destinazione del prodotto si riconfermano quelli dell’Unione Europea, Germania in primis, seguita da Belgio e Francia. Proprio per rafforzare la presenza della DOP all’estero, il Consorzio è coinvolto da alcuni anni in diverse attività promozionali: in Francia e in Spagna e Belgio. Infine, sono appena riprese le attività promozionali ad Hong Kong con investimenti in comunicazione su stampa e outdoor, oltre che degustazioni nella GDO.

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EMPATIA CON IL CLIENTE

IDEE E SUGGERIMENTI PER MIGLIORARE

L’ESPERIENZA DI ACQUISTO

di Elena Benedetti

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VISUAL

Attenzione ai colori!

Per un allestimento di una salumeria o gastronomia, è consigliabile utilizzare una combinazione di colori che rifletta l’atmosfera desiderata e che stimoli l’appetito dei clienti. Ecco alcuni colori che sono particolarmente adatti per questo tipo di ambiente:

1. le tonalità del marrone e del beige: questi colori sono associati alla terra, alla natura e alla calma. Possono creare un’atmosfera accogliente e rustica, perfetta per una salumeria o gastronomia che desidera trasmettere un senso di tradizione e autenticità;

2. rosso e bordeaux: il rosso è un colore associato alla passione, all’appetito e all’energia. Utilizzando tonalità di rosso o bordeaux, è possibile creare un ambiente caldo e invitante che va a stimolare l’appetito dei clienti e li invoglia ad esplorare l’offerta;

3. verde: è il colore associato alla freschezza, alla natura e alla salute. Utilizzare tonalità di verde può evocare l’idea di prodotti freschi e di alta qualità, come verdure, erbe aromatiche e insalate, che possono essere presenti nelle gastronomie e nelle salumerie;

4. colori neutri: bianco, grigio e color crema possono fornire una base neutra e versatile per l’allestimento del negozio, consentendo ai prodotti alimentari di essere i veri protagonisti. Possono essere utilizzati per pareti, scaffalature o arredi;

5. colori terrosi: le tonalità della terracotta, ocra o senape possono aggiungere calore e carattere all’ambiente, evocando l’idea di autenticità e tradizione;

6. colori pastello: tonalità come il rosa chiaro, il celeste o il giallo pallido possono essere utilizzate per creare un’atmosfera leggera e giocosa, particolarmente adatta per negozi che offrono prodotti dolciari o gourmet. Quando si sceglie la combinazione dei colori per l’allestimento di una salumeria o gastronomia, è importante considerare anche la luminosità e l’illuminazione dell’ambiente, per assicurarsi che i colori scelti siano ben visibili e che l’ambiente nel complesso sia accogliente e invitante.

Esposizione ordinata dei prodotti, punti focali visivi, assaggi e degustazioni guidate sono alcuni degli strumenti che possono davvero fare la differenza nel miglioramento dell’esperienza d’acquisto della clientela.

Lo chiamano anche linguaggio commerciale creativo: in sostanza, si tratta di un insieme di strumenti in grado di indurre nel cliente empatia al fine di attirarne l’attenzione. È il visual merchandising, tema a noi caro e sul quale, in ogni numero di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA, sviluppiamo idee e suggerimenti. Per promuovere al meglio i prodotti e incentivare le vendite nelle salumerie, gastronomie e negozi specializzati di Food & Beverage è infatti essenziale adottare efficaci strategie di visual merchandising. Ecco alcuni strumenti utili: 1. vetrine accattivanti: investire tempo ed energia nella progettazione di vetrine creative può generare un maggiore interesse nei prodotti esposti e stimolare l’acquisto impulsivo.

Quando i clienti si sentono attratti e incuriositi dalla presentazione dei prodotti, sono più inclini ad entrare nel negozio ed effettuare un acquisto;

2. esposizione dei prodotti in modo logico e ordinato: l’organizzazione dei prodotti facilita la ricerca e l’acquisto da parte dei clienti. Assicurarsi che i prodotti siano disposti in modo accessibile e ordinato, con una chiara segnaletica e categorizzazione, può migliorare l’esperienza di shopping e aumentare le vendite. Quando i clienti possono trovare facilmente ciò che stanno cercando e sono esposti a una varietà di prodotti correlati, sono più propensi ad effettuare acquisti aggiuntivi;

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3. materiali promozionali: utilizzate materiali promozionali come manifesti, brochure o volantini per informare i clienti su offerte speciali, nuovi prodotti o eventi in negozio. Posizionateli strategicamente vicino all’ingresso o vicino ai prodotti correlati;

4. degustazioni e dimostrazioni: sono strumenti potenti per stimolare l’appetito e l’interesse dei clienti e aumentare le vendite. Consentire ai clienti di assaggiare i prodotti può aiutarli a sperimentarne qualità e sapore, oltre a fornire loro un’opportunità per interagire col personale del negozio e porre domande. Le degustazioni e le dimostrazioni possono influenzare positivamente le decisioni di acquisto dei clienti, spingendoli ad acquistare prodotti che altrimenti potrebbero non aver considerato;

5. punti focali: è bene creare punti focali, ovvero punti precisi che hanno il compito di focalizzare l’attenzione

di chi guarda, utilizzando elementi di design o prodotti di punta per guidare il cliente attraverso il negozio. Ad esempio, una grande forma di formaggio o una selezione di salumi possono fungere da punti focali;

6. segnaletica chiara e leggibile: utile per indicare i diversi reparti e i tipi di prodotti disponibili. Questo aiuta i clienti a orientarsi nel negozio e trovare facilmente ciò che stanno cercando;

7. creare ambienti tematici: a seconda della stagione o in caso di eventi speciali, festività (Natale, Pasqua, ecc…) è utile creare ambienti tematici che catturino l’immaginazione dei clienti con decorazioni appropriate;

8. utilizzare l’arredamento per comunicare il brand: l’arredamento e l’allestimento devono riflettere l’identità della bottega. Utilizzate colori, materiali e stili che comunichino il carattere unico del proprio negozio e attraggano il giusto target di clientela per la propria offerta;

9. coinvolgere i sensi: creare un’esperienza memorabile coinvolgendo i sensi della clientela utilizzando, ad esempio, profumi, suoni piacevoli e testi descrittivi che stimolino l’appetito, anche quello intellettuale, dei potenziali acquirenti;

10. monitorare e adattare: monitorando costantemente le vendite e l’efficacia delle proprie strategie, si potranno apportare modifiche e adattamenti in base ai feedback dei clienti e alle tendenze del mercato.

Utilizzando questi strumenti e tecniche di visual merchandising è possibile massimizzare l’attrattività del negozio, stimolare le vendite e offrire un’esperienza di acquisto coinvolgente ai propri clienti. Investire nel visual merchandising può contribuire significativamente all’incremento delle vendite, stimolando l’acquisto non programmato e creando un’esperienza di shopping soddisfacente, a favore della fidelizzazione della clientela.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 68
Il colore verde evoca l’idea di prodotti freschi e qualità.

The King of Mortadella

Come ti monto un singolare caso di marketing seguendo istinto e olfatto di Maria Antonietta Dessi

Tutti hanno una missione nella vita, la mia è quella di girare il mondo con la mortadella”: questo e altri slogan vengono continuamente pronunciati da Giuseppe Alessio per promuove il notissimo salume emiliano e per promuovere se stesso!

Alessio ha trovato un modo davvero originale per distinguersi che di certo non passa inosservato. La mortadella non è un prodotto tipico del territorio da cui proviene e al quale dice di essere molto legato, ma per ora nemmeno in Emilia erano stati in grado di osare tanto.

L’immagine è buffa e la prima reazione nel vederlo non può che essere ilare, ma è quello che va cercando, nella certezza di rimanere impresso. Appena lo si sente parlare, però, ci si innamora della sua spontaneità e dell’originalità con cui si fa strada.

Per le forme che lo caratterizzano e per il modo di metterle in mostra senza imbarazzo sembra uscito da un quadro del pittore colombiano BOTERO, ma colpisce anche la scenografia utilizzata. Si fa raffigurare in ambienti barocchi, che talvolta rasentano e altre volte oltrepassano abbondantemente il kitsch. Stanze curate dove la sua immagine, unita a quella della mortadella, è il tripudio dell’italianità, per il modo creativo di proporsi.

Sempre e ovunque si accompagna a forme del roseo salume che mostra nel migliore dei modi, facendone pregustare sapori e profumi, anche a chi solo lo osserva in fotografia. La divisa d’ordinanza, cucita su misura e completa di toque da chef, è completamente rosa con grossi pois bianchi per richiamare il lardello, ma Alessio non perde occasione di mostrarsi con abiti molto più succinti e spiritosi se necessario.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 70 MARKETING

Nato e cresciuto nella casa di commercianti pugliesi, ha ristrutturato il negozio di famiglia trasformandolo in un Tempio della mortadella, dove ha anche iniziato a programmare spettacoli in cui il noto salume viene esaltato in ogni suo aspetto e se ne tessono le lodi con parole, tagli e panini. Piccole esibizioni che non solo fanno venire l’acquolina in bocca, ma regalano sorrisi e leggerezza.

Alessio è diventato in poco tempo il “Re” indiscusso del più caratteristico dei salumi e ad incoronarlo ufficialmente è stata l’attrice HELEN MIRREN, assidua frequentatrice delle Puglie che, capitata nel suo negozio di Tiggiano (LE), ne è rimasta affascinata e ha pubblicato sui social una foto dove si ritraeva con lui, definendolo e consacrandolo come The King of Mortadella. Un’immagine che ha fatto il giro del web e che non solo gli ha regalato un’inaspettata notorietà che non ha esitato a sfruttare, ma l’ha spronato a fare di più e meglio.

Verrebbe da dire che il prodotto di marketing in questo caso non sia la

mortadella, ma Alessio in persona, anche se è evidente che le due cose siano indissolubilmente intrecciate tra loro.

Quando ha iniziato questa campagna di “promozione” Alessio non era legato a nessun brand in particolare, ma col tempo ha avviato una partnership con un piccolo salumificio emiliano, un artigiano che usa solo carni italiane, principalmente di Mora romagnola, e che produce la mortadella col marchio di Giuseppe.

Quelli che si possono definire brevi spettacoli altro non sono che showcooking senza cottura di piatti nei quali la mortadella è servita in tutti i modi possibili, per mostrarne la versatilità a tavola. Il taglio è eseguito in diretta come un vero e proprio rito, un momento topico in cui la lentezza e il silenzio dominano. Le fette si presentano sottili ed uniformi per garantire sapori e profumi. Quei profumi che, manco a dirlo, contribuiscono in maniera determinante a far innamorare gli ospiti della mortadella, almeno quanto se ne è innamorato Giuseppe Alessio già da bambino. Ovunque si

A sinistra: Alessio e la mortadella

firmata “The King of Mortadella” (photo © instagram.com/the.king. of.mortadella). La sua filosofia?

«Non ho social media manager. Non ho nessuno che mi dice quello che devo o non devo fare. Guai a chi tocca il mio modo di vedere le cose, di scrivere, di creare e pensare. In un mondo di false apparenze, mostrarsi per quello che si è con pregi e tanti difetti è una priorità. La gente ha bisogno di genuinità, semplicità e “essere”. Le realtà costruite durano poco, verranno spazzate via dal primo vento contrario» (photo © @danielemet).

muova, le scenografie sono originali e d’effetto, al pari del set fotografico che ha allestito sotto la bottega di famiglia, il suo quartier generale. Il resto lo fa Alessio in sé, con la sua presenza scenica, la mise tutta rosa, il faccione baffuto e sempre sorridente e il suo modo gentile di parlare. I commensali divertiti e affascinati vanno via gioiosi con in mano vetrofanie, adesivi, calendari e altri gadget originali almeno quanto lui e la sua strategia di marketing. Fuori, ad attenderlo, una Fiat 500 rosa anch’essa, manco a dirlo, con la fascia tricolore e i cerchioni bianchi.

Nessuna descrizione, nemmeno la più particolareggiata renderà giustizia ad un personaggio del tutto inedito. Per comprenderne appieno la caratura, quindi, sarà necessario incontrarlo o almeno vederne foto e video.

Giuseppe Alessio ha iniziato a meno di 25 anni la sua anomala carriera in una bottega e nelle feste patronali e da subito è stato preso in considerazione come una start-up interessante da studiare. Quando ha intrapreso il suo percorso non aveva nemmeno i più minimi rudimenti di marketing e a guidarlo era solo l’amore per la mortadella, appunto. Oggi è protagonista di eventi, iniziative pubbliche e private e di convegni dove si fa osservare e dove si discute il fenomeno insieme a lui che l’ha generato. Gira per il mondo e miete consensi, ma la soddisfazione maggiore gli deriva dall’aver convinto suo padre, all’inizio molto scettico e ora, invece, tra i suoi maggiori sostenitori.

Maria Antonietta Dessi

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 71

LA SPESA DEGLI ITALIANI

Nuova edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy tra sostenibilità e acquisti consapevoli

Nuova edizione per l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, lo studio semestrale che da sette anni analizza e racconta i cambiamenti della spesa fatta dagli Italiani in supermercati e ipermercati su tutto il territorio nazionale. E lo fa con un approccio particolare: partendo dalle informazioni, obbligatorie e volontarie, riportate sulle etichette di un ampio e rappresentativo paniere di prodotti. «Un approccio coraggioso e innovativo, che dimostra di reggere alla prova degli anni, confermandosi di grande modernità perché industria e distribuzione arricchiscono continuamente le etichette di nuove informazioni, ritenendole un importante mezzo di comunicazione con lo shopper» afferma Marco Cuppini, research and communication director di

GS1 Italy. «Il consumatore, dal canto suo, queste informazioni sempre di più le ricerca, le consulta, le utilizza, come emerge dalla ricerca sulla lettura delle etichette nei prodotti di largo consumo che abbiamo commissionato a IPSOS e che abbiamo raccontato in questa edizione dell’Osservatorio Immagino L’altra importante novità è il nuovo approccio alla misurazione della comunicazione tramite le etichette dei valori della sostenibilità, per cui abbiamo avviato una collaborazione con l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa». La 14a edizione dell’Osservatorio rileva le indicazioni (come ingredienti, tabelle nutrizionali, loghi e certificazioni, claim e indicazioni di consumo) presenti sulle etichette di oltre 136.000

prodotti, digitalizzati dalla soluzione Immagino di GS1 Italy Servizi. Un paniere che, nell’anno terminante a giugno 2023, conta oltre 46 miliardi di euro di sell-out, pari all’82,6% di quanto venduto da ipermercati e supermercati nel mercato totale del largo consumo in Italia. La stima è di NIELSENIQ che correda l’Osservatorio Immagino coi dati di venduto (retail measurement service) e consumo (consumer panel). Tale approccio fornisce una fotografia precisa dei trend in atto nel largo consumo e ne misura l’evoluzione e l’impatto sul mercato, tramite l’analisi di 11 panieri di consumo, che, in questa edizione, si arricchisce di un nuovo approfondimento sulla sostenibilità e di un’indagine sul rapporto degli Italiani con le etichette.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 72 INDAGINI

Gli 11 macro-fenomeni della spesa degli Italiani Osservatorio Immagino ha monitorato l’evoluzione della composizione e delle vendite, in valore e volume, di 11 panieri, tra food e non food, che rappresentano altrettanti fenomeni e tendenze di consumo:

• il richiamo dell’italianità: il made in Italy, le DOP/IGP e le regioni in etichetta;

• il mondo del free from: il trend dei claim consolidati e di quelli emergenti;

• il mondo del rich-in: quali cibi ricchi o arricchiti guidano il mercato;

• il tema delle intolleranze: la dinamica del “senza glutine” e del “senza lattosio”;

• il cibo identitario (lifestyle): vegetariano, vegano, biologico, halal e kosher;

• il mondo di loghi e certificazioni: Fairtrade, Ecolabel, Cruelty free e altro ancora.

I nuovi valori:

• gli ingredienti benefici: dall’avocado al caramello, i sapori del momento;

• il metodo di lavorazione: la comunicazione on-pack di procedure di lavorazione;

• la texture dei prodotti: morbido o croccante? Le consistenze espresse on-pack;

• il cura persona: i claim più diffusi, con un focus sui prodotti naturali e bio;

• il cura casa green: la sostenibilità sulle etichette dei prodotti per la pulizia.

Inoltre, continua il monitoraggio del valore nutrizionale della spesa media italiana (metaprodotto Immagino).

La sostenibilità al centro del nuovo Osservatorio Immagino È dal 2019 che l’Osservatorio Immagino ha messo la sostenibilità sotto il

suo radar. Per questo, dall’edizione n. 6 ha introdotto un doppio approfondimento semestrale: il monitoraggio delle informazioni ambientali sul riciclo degli imballaggi e il “Barometro Sostenibilità”, che misura la diffusione e le performance di vendita dei claim, delle certificazioni e delle indicazioni “green” segnalati sulle confezioni. La crescita dell’attenzione alle tematiche ambientali ed etiche ha spinto GS1 Italy ad adottare un nuovo approccio, messo a punto dall’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, per riuscire a leggere e rappresentare in modo più ampio e completo come la sostenibilità sia entrata sulle etichette dei prodotti di largo consumo. Scoprendo che parlano di sostenibilità (ambientale, sociale e benessere animale) sulle loro confezioni oltre 8 referenze su 10 e che questi prodotti sono stati meno colpiti dalla spending review degli Italiani.

Italiani ed etichette

Quanti Italiani leggono le etichette dei prodotti quando fanno la spesa? Di quali referenze? Quali informazioni cercano? Per quale motivo? A queste e molte altre domande risponde l’indagine che GS1 Italy ha commissionato ad Ipsos per esplorare l’interazione tra consumatore ed etichetta, rivelando che la lettura delle informazioni on-pack è un processo tutt’altro che banale (la ricerca identifica almeno tre momenti di relazione, distinti nel tempo e nell’obiettivo conoscitivo) e una relazione che coinvolge una fetta consistente di consumatori che ricerca informazioni che ritiene utili per un acquisto e un consumo più consapevoli. A conferma che l’etichetta è un fattore strategico di relazione tra il produttore e un consumatore sempre più accorto.

>> Link: osservatorioimmagino.it

Osservatorio Immagino di GS1 Italy è lo studio semestrale che analizza le abitudini di consumo degli Italiani, incrociando le informazioni riportate sulle etichette dei prodotti di largo consumo digitalizzate dal servizio Immagino di GS1 Italy Servizi (oltre 100 variabili tra ingredienti, tabelle nutrizionali, loghi e certificazioni, claim e indicazioni di consumo) con le rilevazioni NielsenIQ su venduto in supermercati e ipermercati italiani. La 14a edizione monitora l’andamento di 136.686 prodotti venduti nella grande distribuzione italiana tra luglio 2022 e giugno 2023.

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Premiata Salumeria Italiana, 2/24

SALUMERIA SELEZIONATA

N. 69

Ad Altamura, cittadina pugliese famosa per il suo pane, una bottega a gestione famigliare in cui gustare panini davvero eccezionali di Federica Cornia

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 74 BELLE BOTTEGHE
Franco Lograno e il figlio Marco dietro al banco di Salumeria Selezionata n. 69 durante la visita in bottega di Nicola Levoni, presidente del salumificio omonimo di Castellucchio, Mantova, in occasione del video girato ad Altamura nel giugno 2022, un piccolo tour alla scoperta dell’anima più autentica di Altamura guidato dallo stesso Levoni.

Una rosea fetta di mortadella fa mollemente capolino dalla focaccia picchiettata di pomodorini e straborda dalla crosta croccante e la soffice mollica color paglierino di due fette di pane. Potremmo essere in Emilia, in particolare a Bologna, dove la mortadella è il salume più famoso della tradizione gastronomica locale, invece siamo ad Altamura, in provincia di Bari, una bella cittadina dell’entroterra pugliese.

Qui, tra claustri e strette vie, si celebra così, in un sol boccone, il buon connubio tra il Nord e il Sud d’Italia, con morbide fette di mortadella racchiuse nel pane o nella focaccia di Altamura, sposalizio gastronomico espressione di due realtà locali: da una parte la Panetteria di Giuseppe Di Gesù, uno dei forni storici di Altamura, dall’altra la selezione di salumi di Franco Lograno e della sua Salumeria Selezionata n. 69

Vera e propria istituzione in paese, da poco compiuti i trent’anni di attività, ha rinnovato i locali nel 2017. Dal civico 86 si è spostata all’88 di via Vittorio Veneto e ha assunto l’aspetto attuale di piccolo tempio del gusto, ben lontano dall’idea di salumeria di una volta.

In alto: gli interni di Salumeria Selezionata n. 69 ad Altamura, Bari. In basso: il “panino alla carpentiera” farcito con mortadella, salame piccante e provola (photo © Diego Artioli).

Con l’aiuto di architetti e la curiosità di chi nella vita non pensa di essere arrivato nemmeno dopo 30 anni dietro al banco, qualità che permettere di raccogliere spunti e suggestioni, le più disparate, per poi ricomporle in una sintesi equilibrata, Franco e il figlio Marco

hanno dato ai nuovi locali della bottega un’impronta moderna che conserva però il profumo della vecchia salumeria. Il risultato è un ambiente caldo dove il profumo di legno e quello delle stagionature si mescolano nell’aria così come tradizione e innovazione convivono a

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 75

banco raccontando l’evoluzione di un mestiere che negli ultimi anni è molto cambiato.

L’espressione tangibile della trasformazione avvenuta si registra sia nell’organizzazione degli spazi in bottega, coi due ampi banconi dedicati a salumi e formaggi, che nella somministrazione, con la formula del take away di panini farciti con salumi scelti, formaggi e conserve e sottoli a piacere. Il più consigliato e consumato? Il “panino alla carpentiera” farcito con con mortadella, salame piccante e una fetta di provola.

Marco con una grande passione, maturata fin da piccolo, da quando in bottega «rubava il lavoro con gli occhi» al padre, lo affianca nel lavoro e mi spiega che oggi la gente quando entra in bottega cerca “quel qualcosa in più”, che il cliente è curioso, ha un interesse puntuale per il prodotto e ha bisogno e voglia di capire quello che sta mangiando. Insomma, a banco, al salumiere, è sempre più richiesta l’abilità dello storyteller

E loro ce la mettono tutta per fare capire all’acquirente la qualità di quello che sta mangiando, per metterlo nella condizione di poter degustare al

meglio e apprezzare i salumi italiani. Provenienza, materia prima, produttore e processi di trasformazione: questi aspetti li raccontano volentieri perché la missione che si sono dati è quella di promuovere prodotti di qualità per una vera e propria educazione al gusto. È nato per questo l’abbinamento che non ci si aspetta di incontrare in una salumeria alle porte di un piccolo paesino della Murgia tra il pane di Altamura e la mortadella. L’accoppiata è vincente da trent’anni, da quando Franco ha scelto la mortadella Levoni (www.levoni.it) e l’azienda mantovana come fornitore.

La mortadella resta il prodotto di punta in salumeria. Attorno a “lei” in bottega la rosa di salumi a marchio Levoni, in particolare quelli della linea selezionata L’Artemano, che comprende prosciutto crudo, prosciutto cotto, cotto affumicato, mortadella, anche con pistacchio di Bronte, e coppa.

A banco, alla selezione della salumeria nazionale, nella quale Levoni è indiscusso protagonista, si affiancano altri prodotti di salumeria locale, tutti reperiti nel raggio di 40 km, come il capocollo di Martina Franca, la pancetta nostrana da Picerno e la salsiccia pez-

zentella, Presidio Slow Food, salume, lo dice il nome stesso, di origine contadina, nato dalla necessità di conservare più a lungo possibile la carne e utilizzare ogni parte del maiale e alla realizzazione della quale erano riservati i tagli poveri tritati e miscelati con concia di peperone, finocchio selvatico, aglio e sale.

Quest’ampia varietà di salumi abbinata a conserve, melanzane sottolio o pomodori secchi finisce nella farcitura di panini oggi sempre più richiesti per pranzi veloci e sfiziosi. Tendenza che dal 2019, con Matera designata capitale della cultura europea, ha registrato una netta crescita: oggi in salumeria infatti, oltre agli abitanti di Altamura, arrivano turisti da ogni parte del mondo. Approdano in bottega dentro l’incanto di salumi appesi, sgranano gli occhi, allargano le narici e respirano il profumo dell’autentica salumeria artigianale italiana.

Federica Cornia

Salumeria Selezionata n. 69

Via Vittorio Veneto 88

70022 Altamura (BA)

Telefono: 331 7665504

E-mail: salumeriaselezionata69@gmail.com

Web: www.salumeriaselezionata.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 76
Focaccia di Altamura realizzata con semola di grano duro, pomodorini, olive, origano e farcita con la mortadella Levoni.

LEZIONE DI CACAO

In cucina non solo nei dolci di Giorgia Fieni

Lo compriamo in polvere (ottenuto dalla macinazione delle fave tostate e raffinate), a volte anche già zuccherato, pensando che quella sia la sua natura: un ingrediente da spargere sul tiramisù, sul cappuccino e per torte, semifreddi e cioccolata in tazza (con l’aggiunta di un buon addensante però o rimarrà latte e cacao). Ma è un pregiudizio. Come lo era da parte di chi non ne voleva sapere di quella strana pianta arrivata dall’America: “Il suo frutto è a modo di mandorle e nasce in certe zucche di grossezza e larghezza quasi

come un cocomero… Lo mettono al sole a sciugare, e quando lo vogliono bevere, in un testo lo fanno seccare al fuoco, e poi con le pietre… lo macinano e messolo nelle sue tazze… a poco a poco distemperatolo con acqua, e alle volte con un poco del suo pepe, lo beono, il quale più pare beveraggio da porci che da huomini” scriveva nel 1565 GIROLAMO BENZONI in “Historia del mondo nuovo”

Quasi seicento anni dopo, la percezione del cacao è totalmente cambiata. Come sempre gli chef per primi hanno contribuito, spinti da «un

profumo importante e una sensazione di amaro che apprezzo», come lo ha definito DAVIDE OLDANI, che usa anche il burro di cacao e le fave, per dare ai piatti «l’essenza di un buon burro, ma senza l’invadenza di un latticino» e «un tocco di croccante persistente perché, a differenza del cioccolato, non si sciolgono subito in bocca ma devono essere masticate».

CARLO CRACCO prepara Spaghettoni di cavolo rosso, grue di cacao e uova di salmone Alessandro Di Furia, Maialino su patate viola con granella di mandorle, ragù di porcini, profumo

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 78
CUCINA
IN

di agrume, grue di cacao e composta tiepida di cipolla di Tropea e arancia Corrado Assenza, Il bianco e il nero (mezzi rigatoni, ricotta ovina, nocciola dei Nebrodi, timo selvatico degli Iblei, seppia e il suo nero, granella di fava di cacao). Bruno Barbieri, Piccione al rosmarino e cacao con tomino grigliato Sara Bardelli, Elicoidali con melanzane alla menta, fave di cacao e pecorino di fossa.

Agostino Petrosino grattugia le fave nella pasta e fagioli al posto del pepe nero. Marcello Petrosino usa il burro di cacao per cuocere le animelle infarinate (ma ho letto anche di altri chef che l’hanno adottato come sostituto del burro come fondo grasso).

L’esperienza insegna: chi conosce le materie prime sa come abbinarle Perciò, come prima lezione, direi di appuntare il fatto di usare polvere di cacao crudo, forse più difficile da reperire (e più costosa, anche se ne useremo in quantità inferiori per ottenere lo stesso risultato) ma con un aroma molto più intenso e più ricco di nutrienti (che con la raffinazione di solito si perdono). Ricordiamo di tenerla in un vaso chiuso.

Sul nostro quadernetto degli esercizi invece scriviamo alcune ricette in cui possiamo iniziare ad introdurre il cacao. Nella citata pasta ripiena, tanto per cominciare, o nell’impasto della sfoglia (tagliatelle, per esempio, in foto). Nella selvaggina, a cui toglie il sapore forte (niente di nuovo: lo abbiamo imparato dalla storia della cucina) e in generale nel brasato e nello spezzatino. Nella crosta di sale dei pesci: rombo, orata o branzino ospitano il cacao per rendersi originali (più che altro nell’aroma nel momento in cui la crosta viene spezzata). Nel risotto, con la zucca (se volete esagerare mettiamo anche briciole di fondente come decorazione e gorgonzola per mantecare).

Passiamo alla classe successiva, ovvero le ricette in cui il cacao diventa protagonista. Riempiamo i fi ori di zucca con zucchine croccanti, tuorli, Parmigiano, cacao e amaretti, leghiamo con un nastro di porro e inforniamo. Cuciniamo i brownies con fagioli neri e cacao (qui è in un ambiente diciamo più consono, ma coi legumi a movimentare la situazione… Un po’ come quando lo aggiungiamo alla torta al cioccolato

preparata con la barbabietola o col cavolo bianco).

Mettiamo cacao e zafferano nell’impasto degli gnocchi conditi con un ragù di ricotta e salsiccia (o con zucchine e provola o radicchio e mascarpone per una variante vegetariana).

Prepariamo una marinata con olio, spezie e pangrattato, vi immergiamo il pesce spada o il manzo, infilziamo negli spiedini e alterniamo con olive e peperoni prima di metterli sulla brace o la griglia.

Aggiungiamo cacao e nocciole nel fondo di cottura del coniglio al prosciutto

crudo ed erbe aromatiche. Infine, nel sughetto di cipolla, alloro, sardelle e uva passa, tipico del Baccalà alla cappuccina, perché non aggiungere cannella e cacao?

Una lezione per definizione dovrebbe dare delle risposte, ma qui siamo in cucina, per cui le risposte di solito generano altre domande, ed è proprio questa che dobbiamo tenere a mente: “Perché non aggiungere il cacao oppure non usarlo al posto di qualcos’altro?” Sento il suono della campanella. Finita la lezione, tutti a mangiare!

Giorgia Fieni

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 79

Il Club Sandwich multistrato di Park Hyatt Milano si rifà il look

Era il 2009 quando Tyler Brûlé, fondatore della rivista Monocle, in occasione di un suo viaggio a Italia, lo definì “il miglior Club Sandwich al mondo”. Ad ottenere il plauso dal giornalista canadese fu la versione proposta dalle cucine di Park Hyatt Milano: da allora, l’interpretazione di questo classico — sempre richiestissimo dagli ospiti dell’hotel — si è evoluta, adottando forme nuove, ma mantenendo intatta la sua sfiziosa sostanza. Dopo la versione originale — con le fette di pane tagliate a triangoli, come recitava la ricetta creata all’Union Club di New York a fine ‘800 — il Club Sandwich di Park Hyatt Milano si è presentato al pubblico in struttura quadrata. Con l’arrivo del 2024 e l’ingresso nella terza decade di attività dell’hotel, il sandwich arriva oggi al tavolo in una nuova dimensione: il rettangolo! A lanciare la nuova edizione del Club Sandwich firmato Park Hyatt Milano sono le cucine guidate da chef Guido Paternollo, che dirige anche il fine dining dell’hotel, Pellico 3.

La sua gustosa rivisitazione parte dalla tostatura di tre fette di pan carré su tutti i lati. Alla base della prima viene versato uno strato di maionese alla senape di Digione, un paio di foglie di lattuga ben lavata e condita con olio e sale, 4/5 fette di pomodori ramati tagliati e dallo spessore di 4 mm, uovo sodo e 4 strisce (immancabili!) di bacon. Nella parte centrale si ripete la composizione, con maionese alla senape, lattuga e pomodori; ma qui il grande protagonista è il tacchino. Viene preparato massaggiando prima bene la carne con sale e pepe; il tacchino viene poi legato e fatto rosolare in casseruola con un filo d’olio e, una volta pronto, viene massaggiato ancora con senape liscia e messo in un sacchetto sottovuoto, lasciandolo cuocere in forno a vapore a 68 °C per 3 ore. La carne, morbida e ricca di aromi, viene poi tagliata all’affettatrice con uno spessore di 3 mm. L’ultima fetta di pan carré tostato viene ricoperta di maionese alla senape. Una volta completato l’assemblaggio, si rimuove la crosta del pan carré e il Club Sandwich viene tagliato a rettangoli, serviti con il proprio stuzzicadenti e patatine fritte.

«Per inaugurare le celebrazioni per i vent’anni di Park Hyatt Milano, abbiamo voluto dare una nuova veste al nostro iconico sandwich imbottito, senza però snaturarne l’identità gastronomica» spiega lo chef. «Ci piaceva l’idea di rivisitare un classico con un formato di più facile gestione per l’ospite: siamo certi che questa inusuale versione esalti l’anima in essa contenuta e convinca ancora una volta che il nostro è il miglior Club Sandwich al mondo!».

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 80

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ALIMENTI

L’APPUNTAMENTO DI PITTI IMMAGINE A FIRENZE SI CONFERMA

ANCORA UNA VOLTA UN PUNTO DI RIFERIMENTO

PER LE ECCELLENZE ENOGASTRONOMICHE ITALIANE

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 82 SPECIALE TASTE
Taste 2024, una edizione super!

In alto: lo spazio esterno della rassegna fiorentina. Taste 2024 ha registrato oltre 11.000 visitatori in tre giornate di manifestazione. A destra: l’ingresso in Fortezza da Basso (photo © AKAstudio-collective).

Otre 8.250 operatori del settore intervenuti da più di 50 Paesi e buyer in crescita a doppia cifra, con l’estero a +25%. Migliori performance da Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Austria, Giappone e Corea del Sud. In crescita importante anche l’Italia, che ha totalizzato oltre 6.400 compratori (+19%) arrivati da tutte le regioni. Per scoprire le novità delle oltre 660 aziende protagoniste, sono giunti alla Fortezza da Basso di Firenze più di 11.000 visitatori in tre giorni (3-5 febbraio). «Il successo di un salone come Taste è nei numeri ma, soprattutto, nella selezione e nella qualità delle partecipazioni, da ogni punto di vista» ha dichiarato Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine. «Da una parte i nostri espositori, che rappresentano il meglio del patrimonio gastronomico italiano: produzioni di eccellenza selezionate e sfaccettate, tutte di altissima qualità, in cui tradizione, valorizzazione e racconto del territorio vanno a braccetto con l’innovazione e un’imprescindibile attenzione alla natura e all’ambiente. Dall’altra il pubblico di operatori del settore, con presenze ancora una volta in crescita e sempre più qualificate. Tra negozi specializzati, aziende della distribuzione, department store, importatori

di eccellenze italiane, a Firenze si sono viste le migliori realtà internazionali del mondo del cibo di qualità, dai mercati di riferimento e da nuovi mercati lontani per incontrare i loro clienti e stringere nuove relazioni. Concludo citando il successo e i tanti apprezzamenti per gli eventi di questa edizione come la bellissima installazione NEW EGG presentata da Giannoni & Santoni alla Sala della Volta, i temi caldi e originali dei Taste Talk e dei Taste Ring di Davide Paolini (l’importanza del brand nelle Pmi, le fermentazioni del cibo, il fenomeno del vino in anfora), e tutte le presentazioni andate in scena nella UniCredit Taste Arena; i tanti eventi in città per il FuoriDiTaste, sempre più originali e curati, che hanno reso protagoniste le nostre aziende in luoghi speciali di Firenze».

Taste, giunto alla sua 17a edizione, si conferma dunque un appuntamento di riferimento per i professionisti del Food & Beverage: un luogo in cui scoprire le novità, creare connessioni commerciali, e al tempo stesso raccogliere input sulle tendenze del mercato. Infine, numeri importanti li ha registrati anche il Taste Shop, il negozio dove acquistare i prodotti delle aziende, che in totale ha venduto circa 13.000 prodotti.

>> Link: taste.pittimmagine.com

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 83

A Taste 2024 la Mortadella Favola Gran Riserva del Salumificio Palmieri

Alla Fortezza da Basso di Firenze il Salumificio Palmieri di San Prospero (MO) ha presentato, tra gli altri prodotti, anche la Mortadella Favola Gran Riserva. «Siamo lieti di aver partecipato nuovamente a Taste, una fiera che sosteniamo sin dalla prima edizione con la nostra presenza, luogo di ritrovo di operatori internazionali e di un sempre più nutrito pubblico di appassionati» ha commentato Francesco Palmieri, AD del salumificio. «Nelle giornate di fiera abbiamo incontrato i protagonisti del canale tradizionale e Ho.re.ca., un segmento per noi strategico, e per stringere relazioni fruttuose nel segno della qualità artigianale made in Italy che caratterizza il nostro lavoro». Mortadella Favola Gran Riserva è il fiore all’occhiello della produzione di Salumificio Palmieri. Un prodotto di punta, insignito di numerosi riconoscimenti, tra cui i Cinque Spilli della Guida Salumi d’Italia 2023 come Miglior Mortadella d’Italia e il Luxury Food & Beverage Quality Award. Unica nel suo genere, questa mortadella si contraddistingue per l’inconfondibile timbro a fuoco e per la caratteristica legatura fatta a mano con corda tricolore. Insaccata nella cotenna sottile e naturale, cotta lentamente in forni in pietra, la mortadella è composta di sole carni italiane pregiate ed è ricca di tagli nobili di suini italiani. Ulteriori ingredienti che conferiscono unicità e ne esaltano il sapore, il sale integrale dolce di Cervia, gli aromi naturali e il miele d’acacia (in foto, Margherita e Marcello Palmieri al loro stand a Taste 2024).

>> Link: mecpalmieri.com – mortadellafavola.com

«I nostri espositori, oltre 660 aziende, tra cui tanti nuovi prodotti, rappresentano il meglio del patrimonio gastronomico italiano» ha dichiarato Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine (photo © AKAstudio-collective).

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 84

Parmigiano Reggiano: lunghe stagionature e i 90 anni del Consorzio

Parmigiano Reggiano è tornato sul palco di Taste — un appuntamento fisso per la DOP che ha messo in mostra la naturalità, la biodiversità e l’estrema versatilità che lo hanno reso un simbolo del made in Italy nel mondo — per parlare di lunghe stagionature, in particolare del Parmigiano Reggiano 40 mesi: un prodotto dalle caratteristiche inconfondibili, friabile, estremamente solubile e dalla forte personalità, apprezzato e utilizzato dall’alta ristorazione mondiale come ingrediente per dare un tocco di umami ai piatti, cioè di quel gusto sapido e piacevole che solletica le papille gustative e rende l’esperienza sensoriale indimenticabile. Da Carlo Cracco a Massimo Bottura, sono tanti gli chef stellati che apprezzano la complessità e le caratteristiche organolettiche di questa stagionatura.

La manifestazione è anche stata la cornice scelta per lanciare i festeggiamenti per il novantesimo compleanno del Consorzio, che si svolgono nell’arco di tutto il 2024 in concomitanza alle principali manifestazioni a cui parteciperà la DOP. L’ente di tutela che associa tutti i produttori di Parmigiano Reggiano venne infatti fondato il 27 luglio 1934, quando i caseifici sottoscrissero l’atto costitutivo del primo Consorzio Interprovinciale Grana Tipico. Fin dalla sua nascita, il Consorzio ha la funzione di tutelare, difendere e promuovere il prodotto, salvaguardandone la tipicità e pubblicizzandone la conoscenza nel mondo. Il termine “Parmigiano Reggiano”, presente fin da subito nel marchio ovale delle forme, viene poi ufficializzato nel 1938. In questi primi anni, al Consorzio aderiscono oltre 2.000 caseifici che producono più di 37.000 tonnellate di Parmigiano Reggiano, lavorato con il latte di 430.000 bovine. Per dare un’idea del viaggio intrapreso da allora e del progresso delle tecnologie e delle tecniche di lavorazione, basti pensare che nel 2023 i 292 caseifici del Consorzio (situati nella zona di origine della DOP, che comprende le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova a destra del fiume Po e Bologna a sinistra del fiume Reno) hanno prodotto oltre 4 milioni di forme, pari a circa 160.000 tonnellate, con il latte munto da 267.000 bovine. Meno caseifici e bovine, dunque, per una produzione che è più che quadruplicata.

>> Link: parmigianoreggiano.it

Antica Macelleria Falorni presenta la pancetta arrotolata legata a mano con stagionatura minima di 300 giorni

Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti (FI) ha portato a Taste prodotti nuovi e classici della tradizione toscana. Una prima novità è rappresentata da quello che può essere definito un tuffo nel passato: la pancetta arrotolata con stagionatura minima di 300 giorni, ma che può raggiungere i 900 giorni (in foto). Questa pancetta è un prodotto storico, come si faceva secoli addietro: materia prima selezionata, produzione artigianale e legatura a mano. La pancetta, insaporita con sale e aromi naturali, viene fatta riposare a lungo nelle cantine Falorni, la cosiddetta “Prosciuttaia”. Tra i protagonisti del banco Falorni anche la Finocchiona IGP, insignita dei Cinque Spilli della Guida Salumi d’Italia 2023 e, altra novità, l’astuccio del Prosciutto Falorni di Cinta senese DOP

>> Link: falorni.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 85

Un prosciutto XXL 60 mesi e il Maestro di lama Benedetto Colantuono

In occasione di Taste l’Azienda Agricola Bettella di Gabbioneta-Binanuova, in provincia di Cremona, ha presentato in degustazione il suo Prosciutto crudo XXL di Maiale Tranquillo® 60 mesi che nasce dalla combinazione tra una materia prima straordinaria, l’arte norcina e un territorio vocato alla produzione e stagionatura dei salumi. E a tagliare questi 20 kg di bontà assoluta a Firenze è arrivato il primo Maestro di lama italiano, Benedetto Colantuono. Di origine molisana, Colantuono si è diplomato presso la prestigiosa Escuela Internacional de Cortadores de Jamón del maestro Jesùs Serrano ottenendo il riconoscimento di “Maestro Cortador” dalla Asociación Nacional de Cortadores/as de Jamón in Spagna. La sua abilità ed esperienza ne fanno dunque un professionista di altissimo livello e uno dei pochi ad essere in grado di tagliare con perfezione assoluta prosciutti di dimensioni importanti. Ma veniamo al prodotto. Questo prosciutto di dimensioni uniche si ottiene dalle cosce del Maiale Tranquillo® che vengono affidate alle sapienti mani di un piccolo artigiano situato in Alta Val Parma. Una volta raggiunto il grado ideale di maturazione, le cosce sono lasciate a stagionare a lungo, oltre 5 anni, sino a quando le carni raggiungono la massima espressione di sapori e aromi. Il Prosciutto crudo XXL si presenta dolce e avvolgente prima dei 40 mesi, diventando opulento, ricco di profumi e aromi di frutta secca quando invecchia anche oltre 60 mesi. Grazie a questa lunga stagionatura, la materia prima si trasforma e come una magica alchimia regala una nuova consistenza alle carni. Il Prosciutto crudo XXL è stato premiato dalla Guida Grandi Salumi Gambero Rosso oltre che dalla Guida Salumi d’Italia.

E il Maiale Tranquillo®? Il suo nome — marchio registrato dall’azienda Bettella — racconta un progetto visionario nato dalla volontà della famiglia Bettella, che nel 2010 decise di abbandonare l’allevamento intensivo dei suini per dedicarsi a una modalità più lenta, sana e rispettosa del ciclo di vita dell’animale. «Siamo ritornati a lavorare come si faceva una volta, curando l’alimentazione e dedicando tempo e rispetto a questi animali» risponde Giuseppe Bettella quando gli si chiede in cosa consiste l’allevamento del Maiale Tranquillo®.

>> Link: salumibettella.it

NEW EGG, la collezione di pollai domestici nata dall’incontro tra la coppia di artisti Vedovamazzei e il produttore di uova Paolo Parisi. E poi biscotti, maionese e uova in gelatina proposti nella serie Emporio

Quale occasione migliore di Taste per presentare un progetto visionario, il primo “marchiato” OFF, brand di Giannoni & Santoni, azienda toscana leader nel general contractor, nelle ristrutturazioni e nella progettazione di spazi e opere ad alto valore artistico (giannonisantoni.com). Si tratta di un’originale collezione di 20 pollai domestici immaginati dal duo artistico milanese Vedovamazzei, alias Simeone Crispino e Stella Scala, in collaborazione con l’allevatore toscano Paolo Parisi (in foto). Pezzi unici realizzati a mano progettati da un team di esperti per essere l’ambiente di vita ideale per le galline. Sono apribili e chiudibili, mentre lo sportello superiore custodisce il nido. Le superfici esterne in legno rappresentano un invito a riflettere su temi universali come l’emigrazione, la casa, la gestione delle risorse naturali, attraverso messaggi trattati con la lente dell’ironia, elemento peculiare di Vedovamazzei. Le linee squadrate di questi oggetti/opere, evocando elettrodomestici contemporanei, dichiarano la loro magica funzione di “produrre” ogni giorno qualcosa di speciale, senza aver bisogno della corrente elettrica. Sono accompagnati infatti da precise istruzioni per poter avere il ricercato “uovo del Parisi”, fresco e irresistibile, ogni mattina.

Ma non solo: «Per noi l’arte deve generare qualcosa di indimenticabile alla portata di tutti, per questo non ci siamo fermati al pollaio!», racconta Nicolas Ballario, direttore artistico del progetto. Ai pollai si affiancano infatti tre prodotti — uova in gelatina, biscotti, maionese — proposti nella serie replicabile Emporio e in una serie ad edizione limitata di 100 pezzi. Realizzata col celebre uovo intero di Paolo Parisi, ad esempio, la maionese NEW EGG è leggera come una nuvola e sembra non finire mai. In direzione opposta ad un mondo che vuole i prodotti “facilmente lavabili”, Vedovamazzei ha lasciato sul barattolo di vetro una inaspettata traccia dipinta, sperando che la maionese duri per sempre. Le uova in gelatina, invece, sono uova di Parisi cotte e lasciate marinare in una salamoia, composta da sakè, alga Kombu e anice stellato. Le uova sono conservate in un barattolo che come tappo ha un portauova da tavola, un monumento al vuoto, alla mancanza. Il mito greco racconta che Sisifo fu condannato a spingere un masso su un monte per l’eternità, perché arrivato in cima questo rotolava a valle, ma se avesse fatto un buco… forse si sarebbe fermato!

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 86

“I colori sono serviti”, ovvero la celebrazione della diversità e ricchezza del gusto, dei sapori, è stato il tema e filo conduttore dell’edizione 2024 di Taste. Dal dolce al salato, passando per bevande, spirits, editoria e design per la tavola, il ricco percorso espositivo del salone fiorentino ha offerto ai visitatori un’esperienza sensoriale completa, dall’artigianato classico alle produzioni più innovative e hi-tech Tutte selezionatissime!

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 87

1) Caterina Falorni e lo staff dell’Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti (FI). 2) Dino Negrini, Pierluigi Porzi e Andrea Casolari portano a Taste le mortadelle e i salumi Bonfatti del Salumificio Gianni Negrini di Renazzo (FE): dalla Mortadella Classica Bonfatti Presidio Slow Food alla Mortadella Modella con il 20% di carne di prosciutto ed il 50% in meno di grassi, il salame rosa antica ricetta bolognese, la mortadella NeraMora con carne di Mora romagnola, il prosciutto cotto di Mora romagnola ed il prosciutto cotto Julius. 3) Culatelli ed altre bontà dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (PR) insieme a Benedetta Spigaroli e Francesco. 4) Allo stand di Aceto Balsamico del Duca, di San Vito di Spilamberto (MO), Mariangela Grosoli e la figlia Lucia. 5) Il principe dei panini gourmet Daniele Reponi nello spazio del Salumificio Pedrazzoli ha guidato i visitatori negli assaggi guidati di salumi della linea PrimaVera Bio.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 88

1) Foto di gruppo presso lo spazio del salumificio Simonini Vittorio di Langhirano (PR) tra splendidi prosciutti a marchio Benedicto.

2) Grande successo a Taste per Jamón Joselito. 3) Buonissime le tessere dolci e salate prodotte dall’azienda Biscotti Bizantini, guidata da un gruppo di giovani ravennati, che si sono ritrovati sulla nostra rivista. Che sorpresa! In foto, Jacopo Randi. 4) I torcetti di Lanzo, le paste di meliga, i grissini Rubatà e Stiratin e tante altre bontà firmate Mulin Barot della famiglia Barra.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 89

1) Mostarde di frutta, frutta candita e spiritosa, giardiniera, confetture: Fredo, azienda che produce artigianalmente a mano eccellenze sotto vetro. In foto allo stand, Massimiliano Belotti e Cristina Bovati. 2) Stefano Marcolin e lo staff della Gastronomia Marcolin di Padova, storica bottega del Sottosalone, il mercato coperto più antico d’Europa, a Taste con la linea di specialità gastronomiche gourmet in vasetto guidate dal baccalà mantecato. 3) Giulio Di Masso dell’abruzzese Pan dell’Orso. 4) Francesca Rivi di Roteglia 1848, opificio specializzato in liquori tipici di Sassuolo (MO), al Taste di Firenze per la prima volta.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 90

1) I prodotti Selezione Fragassi dell’omonima azienda agricola di Città S. Angelo (PE) tra passate, sughi, patè, sottoli, oli e pesto realizzati secondo altissimi standard qualitativi. 2) Una selezione di salumi del Salumificio Bazza di Terrassa padovana (PD). 3) Il team della modenese Carnofficina MeatLab in visita allo stand del Salumificio dei Castelli di Montecchio Maggiore (VI) della famiglia Fantin che ha portato a Firenze le sopresse e le altre specialità classiche oltre a due golose novità: il Salame all’aglio nero e Vespaiolo Doc Breganze e la Pancetta affumicata cotta alle mele. 4) La vasta gamma di prodotti firmati Acetaia Leonardi di Magreta (MO). 5) Bellissimi e buonissimi i prodotti della linea 4 Rotte di Armatore di Cetara (SA): il mare a Firenze!

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 91

1) Salsiccia passita di Cinta senese DOP sottolio della Macelleria agricola toscana Savigni di Sambuca Pistoiese (PT). 2) Formaggio blu ai mirtilli di Casa Madaio di Eboli (SA). 3) Sale, spezie e condimenti a Taste 2024. 4) I prodotti Salcis dell’omonimo salumificio di Monteriggioni (SI). 5) I formaggi di Tino Paolo di Monterosso Grana (CN). 6) La pasta all’uovo artigianale della marchigiana Filotea.

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Norcidella, la “mortadella” al contrario di Re Norcino

«C’è voluto un bel po’ di tempo perché arrivassimo a mettere a punto la ricetta finale, quando c’è tanto grasso l’impasto tende a bucarsi, ma ci siamo riusciti e la produciamo con grande soddisfazione oramai da 20 anni». Così mi dice a proposito della Norcidella Stefano Antognozzi, responsabile vendite di Re Norcino (fotografato allo stand di Taste 2024 con uno dei titolari dell’azienda marchigiana di San Ginesio, Macerata, Giuseppe Vitali).

«E se la mortadella classica nasce per recuperare gli scarti di altre lavorazioni, possiamo definire la nostra Norcidella una sorta di “mortadella al contrario”, in quanto la materia prima utilizzata per la sua realizzazione è composta per la quasi totalità la spalla di maiale con aggiunta di grasso, per la precisione spalla, pancetta e guanciale di suino. Nessun trippino, nessuno scarto di produzione, come cotenne o grasso al di fuori dei tagli anatomici oltre ai lardelli per intenderci». Che sono poi quei piccoli cubetti bianchi golosi che spiccano nella fetta rosa. La carne è quella dei maiali dell’allevamento di proprietà — dal 1957 — dell’azienda Re Norcino che si trova a Petritoli, in provincia di Fermo. Le carni fresche da macellazione, che avviene a Sarnano, arrivano al laboratorio di San Ginesio ogni lunedì. Gli altri ingredienti della Norcidella sono acqua, per addensare, sale, pistacchio, destrosio, saccarosio, aromi naturali, pepe nero, pepe bianco e spezie in proporzione variabile — «la miscela che utilizza Giampiero (Vitali, NdR), il norcino, resta però assolutamente segreta» — oltre a un po’ di additivi e conservanti (E301; E250). Per la lavorazione, i

pezzi anatomici sono tagliati a coltello quindi vengono macinati con il tritacarne con un solo passaggio, «così che la Norcidella resti un po’ granulosa all’assaggio» sottolinea Stefano Antognozzi. Successivamente, l’impasto viene lasciato riposare in cella a zero gradi per 24 ore, poi è insaccato nella vescica naturale (sempre quella dei suini di proprietà) che viene legata con lo spago e subito dopo cotta a vapore fino a 70 gradi al cuore; infine, è raffreddata in cella per 24 ore. Il profumo della Norcidella è aromatico, particolare, e il gusto tipico, delicato. La forma è rotonda – ovoidale, il peso intorno ai 3/4 kg. La scadenza è a 60 giorni. Essendo un prodotto cotto, va conservato ad una temperatura di 0/4 °C e, una volta aperta la confezione sottovuoto, va consumata nel giro di pochi giorni. «È una mortadella più “piaciona” rispetto all’originale se mi passi il termine. E anche nel nome ci piace certificarne la distanza».

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 93
>> Link: www.renorcino.it

IL PROSCIUTTO MONTANO DELLA VAL VIGEZZO

Dalla valle nota nei secoli passati per gli spazzacamini girovaghi per l’Italia e l’Europa nasce un Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Regione Piemonte

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 94 PRODOTTI TIPICI

In basso: la Valle Vigezzo è un corridoio naturale di origine glaciale tra la Val d’Ossola e il Canton Ticino, in Svizzera. La policromia dei colori del suo paesaggio, in ogni stagione dell’anno, le ha regalato la definizione di “Valle dei pittori”. A destra: il prosciutto tipico della Valle Vigezzo (photo © Cristian Bagnato).

La Valle Vigezzo è un altopiano di origine glaciale che si apre fra le Alpi Lepontine, a 800 metri sul livello del mare, tra la Val d’Ossola e il Canton Ticino contornata da ben sei cime oltre i 2.000 metri di altitudine, ed offre un paesaggio che è in parte simile mutatis mutandis ad altre valli trasversali delle Alpi, come la Valtellina e l’Engadina. La sua prosecuzione in territorio elvetico, denominata Centovalli, giunge sino a Locarno sulla sponda settentrionale del Lago Maggiore.

Percorrendo la strada che da Domodossola conduce alla valle, in un primo momento il paesaggio è stretto e angusto; appena si arriva a Gagnone però, le rupi scoscese lasciano spazio ad uno scenario ampio, tipicamente prealpino, caratterizzato da pinete estese e vaste praterie; i pendii dolci di alcuni rilievi montuosi contrastano con i profili rocciosi di cime come il Gridone, a est, riconoscibile dalla sua forma frastagliata, o la Pioda di Crana e la Scheggia, a nord.

La valle è percorsa da due torrenti principali, che scorrono in direzioni opposte: il Melezzo occidentale, che nasce dal Pizzo Ragno e si immette nel Toce a Masera dopo 13 km, e il Melezzo orientale, la cui sorgente si trova sulla Pioda di Crana e sfocia nel torrente Maggia, in Svizzera, percorrendo 40 km. Entrambi i torrenti ricevono le acque di diversi affluenti minori.

Questa valle è celebre anche per la sua tradizione nel duro mestiere dello spazzacamino: ogni anno vi si tiene uno dei raduni mondiali dei rappresentanti di questo lavoro provenienti da tutta Europa, USA e Giappone. A Santa Maria Maggiore, il centro abitato più famoso della valle che è stato designato bandiera arancione del Touring Club Italiano dal 20091, si trova anche un museo dedicato a questa antica professione2

Storia e legame col territorio

La ricetta è piuttosto antica, con testimonianze che risalgono al ‘700, in passato veniva prodotto in vari comuni, tra i quali Trontano all’imbocco della

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Prosciutto crudo della Val Vigezzo affumicato dell’azienda Castagna Srl di Ornavasso, provincia del Verbano-Cusio-Ossola (photo © www.castagnasrl.com).

valle. I produttori attuali sono due, entrambi ubicati nel comune di Santa Maria Maggiore.

Questo salume è iscritto tra i prodotti a base di carne presenti nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali stilato dalla Regione Piemonte e pertanto annoverato a tutti gli effetti anche dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali tra le eccellenze culinarie locali del Belpaese.

Descrizione del prodotto e tecnica di produzione

Il taglio carneo da cui trae origine questa specialità sono le cosce fresche di suino italiano selezionate e rifilate per la produzione di prosciutto crudo. Lavorate, massaggiate con aromi naturali, vengono poi affumicate con bacche di ginepro. Sono infine stagionate con cura all’aria della Val Vigezzo per 15 o 18 mesi.

IL PROFUMO ED IL GUSTO DEL PROSCIUTTO

CRUDO MONTANO VIGEZZINO SONO

INFLUENZATI DALLA CONCIA, DAL PROCESSO DI AFFUMICATURA E DALLE CONDIZIONI

CLIMATICHE DELL’ALTOPIANO, RICCO DI CONIFERE ED ATTRAVERSATO DA CORRENTI

D’ARIA PROVENIENTI DAL MONTE ROSA

La fase di salatura viene effettuata a secco con sale marino ed una miscela di spezie naturali tipici della Valle Vigezzo; la sosta sotto sale avviene in cella frigorifera a bassa temperatura per circa quattro settimane a cui segue il lavaggio.

L’affumicatura prevede l’utilizzo di ginepro. Segue la pre-stagionatura per circa 3 mesi, che termina con la sugnatura a circa 6 mesi dall’inizio del processo. Qui inizia la vera e propria stagionatura che termina con la marchiatura a fuoco intorno ai 12 mesi; i prosciutti vengono poi mantenuti a maturare tipicamente fino a 14-16 mesi di età e anche sino ai 18 mesi.

Esternamente la cotenna ha un colore nocciola con una scotennatura alta, si presenta al taglio da rosa salmone a rosso granato con grasso bianco-rosato. La pezzatura varia dai 9 agli 11 kg.

Modalità di consumo ed abbinamenti enologici

Si può gustare semplicemente in un tagliere misto di salumi locali come il lardo alle erbe aromatiche di montagna, la pancetta affumicata, la brisaula della Val d’Ossola, i salamini di capra, la mortadella di fegato e accompagnato da pane fragrante anche nella versione integrale di segale (pane nero della Valle Vigezzo) oppure dagli stinchétt, sottili sfoglie ottenute lavorando al punto giusto acqua e farina, che vengono poi cotte con maestria su roventi piastre in ferro e condite con burro d’alpeggio e un pizzico di sale. Insuperabile anche insieme ai formaggi nostrani come la ciambella della Val Vigezzo, curioso formaggio con il buco centrale, l’Ossolano DOP e i caprini d’alpeggio.

Il sapore del prosciutto è sapido ed equilibrato, dolce, con una nota affumicata non invadente.

Tra i vini sono consigliabili bianchi fermi secchi poco o moderatamente aromatici, come il Friuli Colli Orientali Friulano DOC, a base di uve Tocai friulano, l’elegante Erbaluce di Caluso DOCG e il Roero Arneis DOCG.

Note

1. santamariamaggiore.info/home/ ospitalita-a-santa-maria-maggiore/ bandiera-arancione-del-tci

2. www.museospazzacamino.it

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PECORINO ALLEATI

SULLE TAVOLE ABRUZZESI

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CHITARRA, AGNELLO E
di Chiara Papotti

A sinistra: Pietracamela, piccolo borgo medioevale in provincia di Teramo arroccato sulle pendici del Corno Piccolo. Dal 2008 fa parte del Club dei Borghi più belli d’Italia. In basso: chiamati semplicemente chitarra, spaghetti alla chitarra o maccheroni alla chitarra, sono una varietà di pasta all’uovo tipica della cucina abruzzese ma si trovano, con nomi diversi, anche in Puglia e in generale in tutto il Centro e Sud Italia.

Corre veloce e un po’ prepotente il mattarello, appiattendo l’anima elastica della sfoglia sui saldi fili d’acciaio della “chitarra” e creando una cascata di maccheroni sodi e profumati, dal colore dorato e la consistenza vellutata. È questo il momento culminante nella preparazione di uno dei piatti-simbolo della cucina abruzzese: i maccheroni alla chitarra, tradizionalmente accompagnati al sugo di agnello e una spolverata di pecorino. Nella provincia di Teramo l’abilità manuale e la fantasia in cucina ha radici lontane grazie, forse, anche all’influenza della raffinata cucina dei Borboni, che qui hanno regnarono fino all’Unità d’Italia nel 1861.

La preparazione di questa pasta fresca si tramanda di madre in figlia, insieme al caratteristico strumento da cucina utilizzato per la produzione. La “chitarra” altro non è che un telaio di forma rettangolare costruito con legno di faggio, sul quale sono tesi, a distanza molto ravvicinata, numerosi fili d’acciaio

che tagliano come lame la sfoglia in piccole strisce a sezione quadrata. La preparazione della sfoglia, nota come “pannella” sulle colline ai piedi del Gran Sasso, richiede esercizio ed una particolare abilità manuale. Con gesti sapienti e meticolosi, si amalgamano le uova fresche alla farina e se ne ricava una massa che, lavorata a lungo ed energicamente sulla spianata, viene poi trasformata in una sfoglia perfettamente uniforme ed elastica. Il suo spessore deve essere pari alla distanza che si trova tra un filo e l’altro della chitarra.

Ricchi per natura, come tutte le paste all’uovo, i maccheroni non mancano mai sulla tavola delle feste, nelle ricorrenze o in presenza di ospiti. La loro consistenza regge la cottura in acqua, e una volta cotti trovano un degno e fedele compagno nel ragù di agnello, come vuole il patrimonio gastronomico montano del Centro Italia.

L’agnello d’Abruzzo è oggi tutelato dal marchio collettivo “Buon Gusto

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In alto: pecorino di Farindola semistagionato. Il “formaggio dei vestini” era già citato da Plinio il Vecchio e, in maniera ancora più dettagliata, dall’autore Marziale che, nella sua opera “De Agricoltura”, fornisce una esauriente descrizione del modo di produzione e delle zone di origine, identificate nella parte sudorientale del Gran Sasso (photo © www.papilla.net). In basso: pappardelle con ragù di carne di Agnello del Centro Italia IGP (photo © agnellodelcentroitalia.it).

Agnello d’Abruzzo”, che ne valorizza la produzione e dall’Indicazione Geografica IGP “Agnello del Centro Italia”, che ne assicura la provenienza e le caratteristiche distintive1. Gli agnelli così tutelati sono nati e allevati nell’areale appenninico, in Abruzzo, Lazio, Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, sono di età inferiore ai 12 mesi e appartengono a diverse razze locali e loro incroci. La razza Merinizzata italiana è sicuramente la più conforme alle caratteristiche richieste per il prodotto abruzzese.

Pastorizia, transumanza, allevamento sono termini che fanno parte da sempre del vocabolario abruzzese. Allevato allo stato brado e semibrado, con ampia disponibilità di pascolo presente sul territorio, l’agnello d’Abruzzo si nutre esclusivamente di latte materno fino allo svezzamento, poi viene alimentato con essenze spontanee di prati e di pascoli, leguminose e graminacee tipiche dell’area, quali orzo, granturco e fave.

L’agnello deriva da razze da carne che conferiscono ottima conformazione e velocità di accrescimento e si distingue sia dagli agnelli più pesanti diffusi in Umbria e nelle Marche, sia dai soggetti molto leggeri derivanti da razze da latte; il suo peso infatti si aggira tra gli 11-13 kg e viene macellato all’età di 60-70 giorni.

A partire dalla metà del 1900, questi agnelli hanno cominciato ad acquisire ottima reputazione, soprattutto per le elevate qualità organolettiche. L’agnello d’Abruzzo, infatti, è richiesto dai consumatori perché, rievocando la salubrità degli ambienti in cui è allevato, si presta alla preparazione del sugo che accompagna i maccheroni alla chitarra.

La carne è rosa chiaro, tenera, con un contenuto di grasso molto basso e dalle elevate proprietà nutrizionali, tra le più ricche di ferro. Dal sapore e profumo inconfondibili, meno intensi rispetto a quelli di pecora, montone e castrato, assicura la presenza di aromi caratteristici del pascolo e un gusto delicato.

La preparazione dei Maccheroni alla chitarra al ragù di agnello è una storia commovente che appartiene alla storia d’Italia, alla nostra identità. Il battuto di agnello viene cotto insieme alla passata di pomodoro fresco, aglio, alloro e vino per ore a fiamma bassa. Il risultato è un

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Pastorizia, transumanza, allevamento sono termini che fanno parte da sempre del vocabolario abruzzese. E la carne di agnello d’Abruzzo, magra e tenera, dal sapore e profumo inconfondibili, assicura la presenza di aromi caratteristici del pascolo e un gusto delicato a tutte le preparazioni in cui è protagonista o attrice comprimaria

sugo robusto e sostanzioso, capace di avvolgere i maccheroni come vuole la classica ricetta teramana. L’ultimo tocco, a parte, e a completamento di un piatto che è quasi un’opera d’arte, è dato da una generosa spolverata di pecorino, che profuma di pascolo e di montagna.

In una ristretta area del versante orientale del massiccio del Gran Sasso, in gran parte all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, le donne preparano il Pecorino di Farindola2, un formaggio assolutamente originale perché si usa il caglio di maiale. Oggi si produce ancora in

quantità limitatissime, salvaguardato e rilanciato dopo essere divenuto un Presidio Slow Food.

Il latte è munto a mano da ovini allevati allo stato brado per buona parte dell’anno. La massa si ottiene cagliando il latte riscaldato a 35 °C e rompendo la cagliata in grani minuti. Quindi viene estratta dalla caldaia e posta nelle fiscelle di vimini, che disegnano sulla superficie le tipiche striature.

Dopo la salatura a secco, che avviene entro 48 ore, le forme sono poste a stagionare in vecchie madie di legno dove affinano da un minimo

di 40 giorni fino a oltre un anno. La crosta — periodicamente unta con una miscela di olio extravergine di oliva e aceto — col tempo diventa color zafferano o marroncino ed è striata per via dei cestini di giunco in cui è collocato nella fase di sgrondatura.

La pasta granulosa, giallo paglierina e leggermente umida è perfetta per i maccheroni con il sugo di agnello. L’umidità del pecorino conferisce profumi leggermente muschiati (fungo, muffa nobile, legna secca) e, in bocca, una straordinaria pastosità e un grande equilibrio tra sensazioni piccanti e un buon sapore di latte ovino. Un’esperienza culinaria unica al mondo, che celebra in tavola un vero incontro di gusto e cultura.

Note

1. www.slowfoodabruzzo.it/mappa-prodotti-e-comunita-abruzzo/ agnello-dabruzzo

2. www.fondazioneslowfood.com/ it/presidi-slow-food/pecorino-difarindola

INTERVISTA A CHIARA ASTESANA, PRESIDENTE DEL CONSORZIO DI TUTELA E PROMOZIONE DEL CRUDO DI CUNEO DOP

UNO SVILUPPO EUROPEO PER IL PROSCIUTTO CRUDO DI CUNEO

Il nostro Paese vanta ben 8 prosciutti a Denominazione di Origine Protetta, il riconoscimento europeo che identifica un prodotto originario di una specifica area geografica in cui si svolgono le fasi della sua produzione, ne determina la qualità e le caratteristiche. I prosciutti italiani DOP sono quello di Parma, quello di Modena, il San Daniele, il Prosciutto Veneto Berico-Euganeo, il Prosciutto Toscano, quello di Carpegna, il Jambon de Bosses e il Crudo di Cuneo. Ci concentriamo in particolare su quest’ultimo, un prodotto tradizionale della regione Piemonte, storico, al centro di una delle filiere più corte d’Italia. Per farlo, incontriamo Chiara Astesana, presidente del Consorzio che ne tutela la produzione e si occupa della promozione di prodotto.

Presidente Astesana, iniziamo dando qualche dato. Come è andata la produzione del Crudo di Cuneo nel 2023 rispetto all’anno precedente e quali sono le previsioni per l’anno in corso?

«La produzione del Prosciutto Crudo di Cuneo DOP ha registrato, nell’ultimo anno, un andamento stabile. Nel corso del 2023 sono state salate 17.311 cosce, contro le 17.377 del 2022. Anche l’inizio del 2024 segue l’andamento degli anni pregressi. I produttori ad oggi sono due: Carni Dock e Lurisia».

Ci può dire quali sono le caratteristiche del mercato del Crudo di Cuneo e se lo scorso anno si è modificato?

«Nel corso degli anni la politica commerciale portata avanti dai produttori è gradualmente cambiata. Si è passati da una distribuzione del prosciutto totalmente dedicata al normal trade ad una distribuzione che privilegia il negozio tradizionale, ma guarda con attenzione anche al sistema distributivo della GDO. Inizialmente la GDO è stata approcciata esclusivamente con l’affettato in vaschetta, per arrivare poi a proporlo anche al banco servito. La distribuzione tradizionale rappresenta attualmente i 2/3 del mercato, mentre il rimanente terzo è diviso tra affettato in vaschetta e prosciutto servito al banco in GDO».

Quali sono state le ultime iniziative del Consorzio per la promozione del prodotto e come sono andate?

«Per quanto riguarda il programma fieristico, il Consorzio ha partecipato a numerose manifestazioni sul territorio nazionale quali la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, Golosaria Milano, Fruttinfiore – Mostra mercato nazionale di frutticoltura di Lagnasco (CN) ed eventi collegati alle NITTO ATP Finals di tennis Torino. In relazione a queste partecipazioni, il Consorzio

ha predisposto e diffuso appositi comunicati stampa inviati alle riviste specialistiche di settore e ai quotidiani nazionali, che coprono in particolare la zona di distribuzione del prosciutto Crudo di Cuneo DOP, nonché ai giornali locali e alle testate on-line di riferimento. Inoltre, sono stati predisposti articoli e redazionali per la pubblicazione su riviste specializzate come PREMIATA SALUMERIA ITALIANA e su altre riviste quali IDEA e CUCINA ITALIANA, nonché sui quotidiani LA STAMPA, IL SECOLO XIX e su TUTTOSPORT. Relativamente ad alcune delle manifestazioni svolte sono stati realizzati redazionali TV mandati in onda sui canali regionali quali Primantenna, Telecupole e Telegranda

A supporto dell’attività promozionale sono stati realizzati diversi gadget personalizzati per i consumatori da distribuire presso i punti di vendita: borse frigo, shopper, buste salvafreschezza, oltre a brochure illustrative del prodotto. Sono stati creati anche materiali e gadget per i negozianti come morse stringiprosciutto, parananze personalizzate, coltelli per affettamento di prosciutti e vetrofanie.

Infine, il Consorzio organizza annualmente un corso per affettatori a mano di prosciutto in collaborazione con AGENFORM – Agenzia dei servizi formativi della provincia di Cuneo, che si

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MERCATI

Franco Biraghi, presidente dei tre Consorzi di tutela dei formaggi Bra, Raschera e Toma piemontese DOP, Chiara Astesana, presidente del Consorzio di tutela e promozione del Crudo di Cuneo DOP, e Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte, fotografati in occasione del workshop dal titolo “I prodotti DOP e IGP del Piemonte nella dieta degli sportivi” svoltosi presso il Salone incontri del Circolo della Stampa – Sporting di Torino.

occupa di corsi di specializzazione per la lavorazione delle carni post diploma rivolti ai giovani in cerca di un lavoro».

Quali sono le principali caratteristiche nutrizionali del Crudo di Cuneo?

«Il Prosciutto Crudo di Cuneo DOP appartiene senz’altro alla categoria dei salumi magri e con basso contenuto di sale. In particolare, la riduzione netta del contenuto di sale rispetto ad alcuni anni fa è frutto delle condizioni igieniche ottimali nelle quali vengono lavorate

le cosce e del rispetto della catena del freddo nelle prime settimane della lavorazione.

Il Crudo di Cuneo DOP ha un ottimo apporto proteico (29% circa) e può essere consumato anche da chi è a regime ipocalorico, poiché i grassi negli ultimi anni sono scesi al 3-8% circa. Inoltre, i grassi sono migliorati come qualità rispetto agli anni passati e contengono quantità maggiori di acidi grassi polinsaturi Omega-3, che prevengono l’eccesso di trigliceridi

nel sangue, mentre sono inesistenti i grassi trans, che aumentano il rischio cardiovascolare.

Grazie al contenuto proteico, al ridotto contenuto di sale e di colesterolo, nonché alla presenza di sali minerali quali calcio, ferro, fosforo e magnesio, il Crudo di Cuneo DOP è consigliabile a tutte le età e anche agli sportivi. Ha infine un alto coefficiente di digeribilità, attorno al 97%, quindi è leggero».

Quali saranno le prossime iniziative del Consorzio?

«Nel corso del 2024 ha avvio un importante progetto triennale di promozione cofinanziato dall’Unione Europea sulla base del Regolamento UE 1144/2014. Il progetto è realizzato in collaborazione con il Consorzio Garda DOC (capofila), il Consorzio di Tutela del formaggio Montasio e il Consorzio di tutela del Salame Varzi. La prima azione in programma è la partecipazione a Vinitaly (Verona, 14-17 aprile), seguiranno poi diverse manifestazioni nei Paesi del Centro Europa quali Germania e Austria.

Sulla base della programmazione regionale sono previste la partecipazione alla fiera Fruttinfiore e, nell’autunno, alla Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba. Svolgeremo inoltre un ampio progetto di comunicazione tramite l’ufficio stampa e la gestione della pagine social FB e Instagram».

>> Link: prosciuttocrudodicuneo.it

REGIONE

PIEMONTE

FEASR: L’Europa investe nelle zone rurali. PSR 2014-2020 – Sostegno per attività di informazione e promozione svolte da Associazioni di produttori nel mercato interno – Misura 3 Operazione 3.2.1 –Bando 1/2023_B

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OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA: CONTENUTO POLIFENOLICO, BLEND

E MONOCULTIVAR

L’informazione e l’educazione nei confronti di questo prodotto è ancora molto lacunosa. Iniziare a parlarne e a raccontarne potrebbe far bene a questo prodotto così diffuso, ma molto poco e intimamente conosciuto. Ecco alcune “indicazioni per l’uso”

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 104 IL BUONO SECONDO LARA
Photo © Matteo Zanardi

Vi sono infinite differenze tra i vari oli extravergini di oliva che troviamo sul mercato: che sia lo scaffale di un supermercato o la dispensa di una bottega specializzata. Ma se, ad esempio, per il mondo del vino la comunicazione e il suo racconto ne ha creato veri e propri miti dando alle persone informazioni (anche minime) per orientarsi nella scelta (e non solo il prezzo), nel mondo degli oli extravergini di oliva non è così. Le motivazioni sono diverse: spesso è considerato un mero grasso da cucina, da conservare vicino ai fornelli, pronto per l’utilizzo, fino alla poca informazione.

Come tutti i grassi, la sua corretta conservazione è un fattore determinante per la sua qualità, sia in termini gustativi che nutrizionali. Evitare la sua ossidazione e così l’irrancidimento diviene fondamentale. Ci sono oli più o meno delicati e la facilità con cui il grasso si ossida dipende dalla quantità di polifenoli presenti: più ce ne sono più resiste all’ossidazione, ma a discapito delle sue caratteristiche gustative. Proprio essi sono infatti responsabili della tipica piccantezza e amaricanza degli oli appena spremuti.

Una raccolta delle olive lievemente anticipata, soprattutto in alcune cultivar, caratterizza l’olio nell’avere un contenuto polifenolico maggiore. Per questo motivo, sarebbe bene utilizzare questa tipologia di oli per la cottura dei cibi che, ossidandosi a causa del calore, potrebbero davvero apportare un flavour positivo al piatto cucinato. Al contrario, oli che presentano pochi polifenoli (in relazione alle caratteristiche della cultivar o alla loro parziale ossidazione), ma di buona qualità, sono perfetti per il condimento di pietanze a crudo.

L’olio extravergine di oliva forse più del vino è in grado di esprimere al meglio il terroir: ecco che cultivar, terreno, microclima, intervento umano sono in grado di influenzare molto le caratteristiche delle olive e dell’olio che si andrà a produrre dalla loro spremitura.

Le esigenze dell’industria olearia non sono quelle di valorizzare un territorio e la sua produzione, bensì di produrre oli dal costo il più possibile contenuto e dalle caratteristiche standard, adatti per ogni utilizzo. Anche

se purtroppo la situazione è peggiore di quanto sembra: è difficile trovare sullo scaffale di un supermercato olio non irrancidito e il nostro olfatto si è abituato a questo, riconoscendo come “olio buono” il sentore di rancido.

Esistono però filiere particolari di produzione sia industriale che artigianale che hanno iniziato a valorizzare gli oli extravergini in modo migliore, grazie anche alle denominazioni di origine, ma non solo. Tra questi prodotti diviene fondamentale parlare di un alto interessante concetto tipico di questo mondo: la produzione di oli monocultivar o blend non proposti al fine di standardizzarne le caratteristiche ma al contrario di valorizzarle, un po’ come avviene nel mondo del vino, con i vini monovitigno e i tagli tra più varietà.

Gli oli monocultivar sono quei prodotti, a prescindere dall’eventuale denominazione di origine e applicazione di un Disciplinare che regolamenti la loro produzione, caratterizzati dalla spremitura di una sola varietà di olive. Sono oli extravergini che rappresentano al meglio un terroir. Vere e proprie leve per raccontare il territorio, da cui trarne valore aggiunto.

I blend possono essere fatti invece per creare oli unici, in genere prodotti con varietà che ben si bilanciano. Sono oli in cui l’apporto creativo e tecnico umano è davvero importante al fine di creare un olio extravergine dalle caratteristiche ideali: dai sentori aromatici avvolgenti, come l’erbaceo, ma anche il floreale, e caratteristiche tattili (piccante) e gustative (amaro) apprezzabili, che poi danno anche indicazione sulla sua resistenza all’ossidazione.

Insomma, il mondo dell’olio extravergine di oliva è per un certo verso molto simile a quello del vino, ma meno valorizzato, forse anche per l’aspetto meramente edonico che nel primo è decisamente meno importante. Conservarlo bene non basta, lo si deve anche saper scegliere. Un po’ come quando a un vino anonimo dal cartone o dal bottiglione preferiamo una buona bottiglia di cui possiamo sapere provenienza e caratteristiche. Anche l’olio extravergine di oliva merita attenzione: scegliere bene, per valorizzare i nostri pasti, curare la nostra salute e dar valore a territori, artigiani e agricoltori.

Lara Abrati

Il mio ERP. Così ho tutto sotto controllo.

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Premiata Salumeria Italiana, 2/24

NELLA VALLE DEI FIORI

Mieli, tisane, unguenti, creme e distillati a base di fiori prodotti nella Lesachtal, in Carinzia, considerata la valle più incontaminata d’Europa di Riccardo Lagorio

Tutte alla ricerca di fiori: le api di Josef Schmidhofer a Klammberg per procurare uno squisito miele di fiori di montagna o rododendro; le donne della Lesachtal per preparare unguenti, tisane, sali aromatizzati. Semplicemente un paradiso di colori e aromi fatto di corolle e petali che ben figurerebbe sugli scaffali di enoteche e negozi specializzati. Le spedizioni sono sempre possibili (ed efficienti, dall’Austria),

ma per l’acquisto chi vuole può anche percorrere la strada che da Untertilliach porta alla carinziana Hermagor lungo il fiume Gail. Un tragitto che sembra ritagliato appositamente per chi ama ammirare un paesaggio alpino tra i più romantici d’Europa, tra minuscoli masi e chiese lillipuziane che sanno di fieno e prati accarezzati dalla brezza e dal sole.

Josef possiede 200 alveari dispersi in 10 diversi luoghi della valle che qui

è ancora Tirolo. Nel maso dove raccoglie i telai per la smielatura, a quasi 1400 metri di altitudine, ci si arriva dopo infiniti tornanti: dal fondovalle può essere anche l’opportunità per una passeggiata in una natura selvaggia e primordiale.

«Le arnie sono posizionate solo durante la tarda primavera e l’estate ad altitudini variabili tra i 700 e i 1700 metri. Poiché non esistono campi coltivati le api devono avvicinarsi a tanti fiori diversi.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 106 TURISMO ENOGASTRONOMICO

La flora è assai variegata: dopo avere visitato le ripe dove fioriscono i lamponi le api si possono posare sull’aquilegia scura o sulla concordia».

Se un genere di pianta fiorisce in maniera abbondante, sarà facile individuare il colore e il gusto nel miele da parte di chi ha una certa conoscenza del tema. Così avviene per esempio per il rododendro, incolore e facilmente cristallizzabile, dal gusto delicato, una delle prelibatezze di Josef.

In alto: il produttore di miele Josef Schmidhofer. A sinistra: la Valle Lesachtal, in Austria, insieme alla Gailtal fa parte della prima zona turistica Slow Food Travel nel mondo. Qui tutto si svolge all’insegna del motto “concedersi il tempo per le cose buone e belle della vita, da gustare con consapevolezza”.

La discesa porta con rapidità a Maria Luggau. Nel giardino del convento barocco, luogo di pellegrinaggio di migliaia di persone durante la bella stagione, è stato ricostruito un hortus sanitatis su iniziativa dell’ufficio federale e del Comune di Lesachtal. Se ne prende cura dall’inaugurazione di una dozzina d’anni fa Simone Matouch. «I giardini dei monasteri sono sempre stati adibiti a orto, giardino di piante medicinali oltre che luoghi di contemplazione spirituale»

racconta la botanica. «A seconda della stagione si contano fino a 120 diverse piante aromatiche e medicinali, che si possono apprezzare per la loro bellezza curativa, aromatica e cromatica».

La sua arte di trasformare fiori e piante essiccando o macerandole in alcol si rifà alla storia della medicina medievale: una moderna Ildegarda di Bingen, la badessa benedettina ed erborista le cui conoscenze hanno influito sulla medicina naturale sino in epoca

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 107

moderna. Nella sua vita la Matouch ha raccolto decine di testimonianze di donne locali che a loro volta avevano sentito parlare delle proprietà delle erbe le loro madri e le loro ave. «Negli anni Cinquanta le erbe medicinali riconosciute tali sull’arco alpino erano una cinquantina; oggi se ne usano solo 3: in due generazioni si è praticamente perso il saper fare immagazzinato in migliaia di anni, dalla medicina greca o anche prima» dice.

Un modo per estrarre la quintessenza da certe piante, specie per uso cosmetico, avviene grazie all’olio d’oliva, ma «le tisane di calendula si sono dimostrate risolutive per problemi epatici o della pelle, mentre i rizomi sradicati in autunno possono servire ad attutire il dolore delle ossa» continua. Gli esempi potrebbero continuare tra le proprietà dell’issopo e dell’achillea, antibiotico naturale. Con angelica, lavanda, timo,

erba cipollina, levistico e altre piante ancora compone una ventina di insaporitori che di fatto rendono superfluo l’uso del sale in cucina. E conclude che «i germogli di abete rosso, se raccolti all’inizio primavera e opportunamente lavorati, sono impareggiabili per il mal di gola».

Edeltraud Kanzian iniziò a lavorare con le erbe più di 35 anni fa e ora metà delle essenze vengono coltivate, metà raccolte nei prati o sui pendii delle Alpi Carniche. «Le donne che nei decenni addietro raccoglievano le erbe venivano definite “guaritrici”, ma purtroppo furono spesso ignorate dai testi ufficiali. Eppure il loro sapere ha permesso a intere generazioni di sopravvivere. Come per l’erica, che deve essere raccolta solo con la luna piena, quando esprime le sue proprietà di rimedio diuretico e utile per il trattamento dei disturbi renali». Figli e nipoti (e i numerosi clienti) si sono curati

gli arrossamenti oculari con estratti di eufrasia e le infiammazioni della gola con tisane di calendula. Lo stupore incalza davanti a questa conoscenza del mondo che riporta gli esseri umani all’armonia con la natura e con il creato.

Come insegna anche Sonja Ströbl nel villaggio di Obergail, sin da bambina affascinata dal mondo delle erbe e dei fiori, «ma indirizzata e erudita dagli insegnamenti delle suocera». Nel suo giardino si coltivano 29 varietà di fiori ed erbe, ma molte di più si raccolgono nei boschi, specie le foglie di fragole e mirtilli, «dove si trovano le sostanze che possono aiutare il sistema immunitario, la digestione o alleviare i disturbi renali e legati alle dermatiti».

La raccolta avviene tra maggio e ottobre e ciascun fiore o erba ha bisogno di un periodo stabilito per essiccare, di norma all’ombra. Le sue sei tipologie di tisana sono un’accurata selezione di

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A sinistra: Simone Matouch. A destra: Edeltraud Kanzian.

erbe e fiori atte a vigilare sul sonno, la digestione, gli stati febbrili (a base di fiordaliso), il relax (a base di melissa) e tante altre condizioni d’animo e di salute. O semplicemente per regalare un momento di distensione.

In questo speciale angolo alpino c’è un’altra donna che preserva la cultura della raccolta delle erbe per farne decotti, balsami e panacee dalle varie qualità benefiche, Klara Obernosterer Intuizioni e conoscenze sorprendenti delle piante permettono di scegliere il periodo dell’anno utile per ottenere determinati vantaggi e le varietà di piante che si difendono a vicenda, come la melissa limonina e la santoreggia. «Suggerisco la tisana di monarda e malva come rimedio per bronchite e raffreddore, l’oenothera per la tosse e quella con fiordaliso per varie patologie della pelle». Klara raccoglie anche bacche come rosa canina, biancospino

o sambuco così che si trasformano in sciroppi o creme spalmabili, «un modo per utilizzare al meglio la natura senza danneggiarla»; erbe selvatiche, funghi e fiori per comporre miscele di sale o pesto all’olio di girasole, che si consuma con crostini o sulla pasta. Raccoglie resine, aghi, radici ed erbe con l’obiettivo di produrre liquori e prodotti stagionali come il miele aromatizzato. Allo scopo di migliorare le attività circolatorie gemme e cortecce di alberi. È persino disponibile ad organizzare visite guidate ai boschi pur di diffondere il patrimonio di saperi che risulta libero e gratuito da marchi e brevetti delle multinazionali del gusto e del farmaco.

Così, grazie alla ricchezza e varietà di erbe spontanee e coltivate, chiunque dotato di una certa dose di creatività non faticherebbe a decretare questa come la Valle delle donne di fiori Riccardo Lagorio

Josef Schmidhofer

Klammberg 40, Untertilliach, Austria

Telefono: +43 65 03600459

Simone Matouch

Liesing 37, Lesachtal, Austria

Telefono: +43 65 08830657

Sonja Ströbl

Obergail 9, Lesachtal, Austria

Telefono: +43 65 09250217

Edeltraud Kanzian

Monsell 2, Dellach, Austria

Telefono: +43 68 05541299

Klara Obernosterer

St. Lorenzen 71, Lesachtal, Austria

Telefono: +43 65 05558369

>> Link: www.lesachtal.com

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A sinistra: Sonja Ströbl. A destra: Klara Obernosterer.

I SAPORI DELLA DEHESA

Testi e foto di Massimiliano Rella

Fra ottobre e febbraio branchi di suini grigi scorrazzano in libertà, cibandosi di erbe, radici e ghiande in una vasta distesa pianeggiante e di basse colline tappezzate di lecci, sugheri e macchia mediterranea, la Dehesa. L’ambientazione della Dehesa è spettacolare: una

distesa boscosa attraversata qua è là da lunghi muretti a secco, dove i branchi di maiali si allontanano di corsa al nostro arrivo, mentre altri poco distratti continuano a sgranocchiare a muso basso tra le ghiande. Qua e là ci osservano vacche dalle corna lunghe e bellissimi cavalli bianchi e dal mantello color

castagna. Ci troviamo in Estremadura, comunità autonoma della Spagna sudoccidentale, al confine col Portogallo. Qui, fra i colori dell’autunno e il gelo dell’inverno, i maialini di razza Ibérica — taglia piccola e mantello grigio — completano il loro ciclo alimentare prima della macellazione e della lunga

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In alto: maiali iberici al pascolo nella tipica Dehesa. A destra: degustazione di prosciutto iberico dell’azienda Arizar nella cantina dello stadio delle corride di Almendralejo.

In basso: ghiande nella Dehesa.

fase di produzione del prosciutto dei prosciutti: lo Jamón Ibérico de Bellota, cioè di ghianda. In passato i suini iberici venivano erroneamente chiamati Patanegra per il colore scuro degli “zoccoli”, ma esistono anche sottotipi con “unghie” di colore diverso, alcuni con pigmentazione.

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A contare, dunque, sono altri valori: la razza, l’età, il peso, l’alimentazione. I prosciutti Iberici de Bellota sono ottenuti da cosci di suini che si cibano prevalentemente di ghiande, all’ombra di lecci e querce della Dehesa. Nel periodo di “finissaggio” in campo aperto devono guadagnare in minimo 60 giorni un peso di 45 kg. «E per guadagnare 1 kg di carne — ci spiegano durante una degustazione — il suino deve mangiare almeno 12 kg di ghiande e 3 kg di erbe e radici».

Degustazione, fra l’altro, promossa dal comune di Almendralejo in una cantina decisamente singolare — non più in produzione — ricavata nei meandri delle gradinate della Plaza de Toros, lo stadio delle corride… Qui, negli anni ‘50, il produttore Alfonso Iglesias, allora proprietario, ma più interessato al vino che ai tori, vi collocò 29 vasche da 25.000 litri ciascuna, in uno spazio costantemente fresco e ventilato. Anni dopo vendette la Plaza de Toros, ma gli “ovuli” di cemento sono rimasti lì: si visitano, si ascolta la spiegazione di un maestro cortador e si assaggia un

Ibérico di qualità tagliato a lama di coltello, a piccole fette e scaglie, velate di un grasso che si scioglie in bocca, tra aromi intensi di carne matura e note selvatiche di macchia e ghianda.

Tornando all’alimentazione dei suini Iberici, questi si nutrono allo stato brado d’erba, radici e ghiande a partire dai 12 mesi d’età, per almeno 60 giorni, normalmente per 3-5 mesi precedenti alla macellazione. Un altro aspetto è la razza. Non tutti i suini Iberici però sono puri al 100%. Per valorizzare la qualità dell’Ibérico de Bellota le norme prevedono targhette di colore diverso: rossa se il suino è incrociato con razza Iberica al 50-75% (di solito per linea materna), nera se è in purezza, e in tal caso il prezzo sale, fino a migliaia d’euro a coscia.

Oltre ai cibi naturali e alla razza conta anche l’attività fisica outdoor, un continuo vagare di spuntino in spuntino che rafforza muscoli e tessuti e migliora la parte grassa delle carni. Nel cuore dell’Estremadura, terra a bassa antropizzazione, troviamo tanti parchi naturali dove i maialini grigi

Carmen Carbonell Solís, allevatrice, nella sua azienda agricola

Las Corchuelas, nel Parco Nazionale di Monfragüe. Carmen dispone anche di 6 camere d’epoca per l’alloggio turistico e offre la possibilità di degustare qualche piatto tipico preparato da lei.

grufolano addirittura in una Riserva della Biosfera UNESCO, nel Parco Nazionale di Monfragüe. Qui c’è l’allevamento ovino e suino Las Corchuelas (www.lascorchuelas.com), azienda agricola con 6 camere d’epoca in una casa rurale, recuperata anni fa da una ex insegnante, Carmen Carbonell Solís, che ha deciso di dedicarsi a tempo pieno alla sua vocazione di campesina: coltivare ortaggi, allevare animali (Iberici, oche, pecore, cavalli), accogliere gli ospiti e cucinare loro qualche piatto tipico, ad esempio squisite zuppe di pomodoro ed erbette e il tenerissimo agnellino al forno con patate, tutto a km 0.

«Alla prova del gusto i suini Iberici se si muovono sono diversi e infatti è importante farli stare in attività, anche con piccoli accorgimenti come creare una lunga distanza tra la stalla e le fonti d’acqua», ci spiega la signora Carmen, forte ormai di una lunga esperienza de piccola allevatrice: 120 pecore e appena 6 suini (quanto basta per l’agriturismo). Alla prova del gusto, le crediamo, eccome.

Massimiliano Rella

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Riconoscere la qualità, realizzarla e portarla sulla tavola di tutti

SUINCOM S.p.a. Strada Comunale del Cristo 12/14 - 41014 Solignano di Castelvetro (Mo) - Italy tel. +39 059 748711 - fax +39 059 532038 - info@suincomgroup.it - www.suincomgroup.it

Slow Wine Fair: il terreno è fertile

E nel 2025 si andrà in scena in contemporanea con il SANA

12.000 ingressi, un +25% di espositori rispetto al 2023 e il tema per la prossima edizione già nell’aria, che andrà in scena con una grossa novità: la presenza dell’agroalimentare del SANA, Il Salone Internazionale del Biologico e del Naturale di BolognaFiere. Si è chiusa così Slow Wine Fair 2024, la manifestazione dedicata al vino buono, pulito e giusto che si è svolta dal 25 al 27 febbraio scorsi a Bologna con la direzione artistica di Slow Food.

Un successo per gli organizzatori che fa ben sperare rispetto all’obiettivo principale che la rassegna si è data ovvero cambiare l’approccio all’agri-

coltura, partendo da un fronte cruciale, la viticoltura, e mettendo al centro la fertilità del suolo.

«Siamo molto soddisfatti di questa edizione» ha dichiarato Gianpiero Calzolari, presidente di BolognaFiere. «L’aumento di espositori, di visitatori professionali e di appassionati va di pari passo con l’aumento dei consumi di vino biologico e sostenibile nel canale HO RE CA. in tutta Europa. Il prossimo anno la manifestazione sarà ulteriormente arricchita dalla presenza dell’agroalimentare di SANA, diventando così ancora più attrattiva per i buyer».

Soddisfazione anche da parte di Giancarlo Gariglio, coordinatore della

Slow Wine Coalition e curatore della guida Slow Wine: «Questa terza edizione voleva far discutere, ragionare e riflettere sull’importanza della fertilità del suolo nel contrasto alla crisi climatica e nella produzione di un vino buono, espressione del terroir . Ci riempie d’orgoglio il fatto che i produttori, i consumatori e i professionisti che hanno riempito gli stand di BolognaFiere abbiano colto l’importanza del messaggio per un’agricoltura sostenibile, amica della salute e dell’ambiente.

Per il futuro, non abbandoniamo questa tematica, ma vogliamo allargare gli orizzonti della manifestazione con nuovi spunti: abbiamo infatti già matu-

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RASSEGNE

rato il tema della prossima edizione, analizzando l’intera filiera del vino oltre l’aspetto agricolo, e coinvolgendo tutte le professionalità che interagiscono con il mondo vitivinicolo».

Diamo i numeri!

Dei 12.000 ingressi registrati in questa edizione, il 70% è rappresentato da operatori del settore che hanno potuto conoscere e degustare una selezione unica nel panorama fieristico legato al mondo del vino. Proposte che rispondevano ai requisiti richiesti dal Manifesto del vino buono, pulito e giusto e dalla commissione di assaggio italiana e internazionale di Slow Food. Migliaia gli appuntamenti professionali tra cantine e operatori del settore e tanti contatti informali con 200 buyer internazionali, selezionati anche grazie alla collaborazione di Italian Trade Agency (ICE) e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI),

e alla piattaforma B2Match, che ha permesso ai professionisti di profilare in maniera dettagliata le aziende e le etichette corrispondenti ai loro interessi.

Slow Wine Fair 2024 ha accolto circa 1.000 cantine, oltre 300 in più rispetto all’edizione 2023, più di 500 delle quali certificate biologiche, biodinamiche o in conversione, provenienti da tutte le regioni italiane e da 27 Paesi. Oltre 170 gli espositori internazionali, tra i quali hanno debuttato cantine da Giappone, Australia, Sudafrica, Svezia e Messico. Oltre 5.000 le etichette del banco d’assaggio tra le quali il pubblico di appassionati, distributori, ristoratori, enotecari, sommelier e buyer ha potuto scegliere in questi tre giorni.

Sempre più variegata la presenza della Fiera dell’Amaro d’Italia, con un’area dedicata, dove 23 produttori d’eccellenza selezionati da Amaroteca e dall’Associazione Nazionale Amaro d’Italia hanno esposto i propri amari.

Tra le novità di questa edizione The Slow Bar, uno spazio di incontri e degustazioni dedicato al mondo degli spirits, valorizzati nei cocktail preparati dai bartender di Drink Factory utilizzando i soft drinks S. Bernardo.

Grande la partecipazione alle 16 Masterclass in programma, alle presentazioni in Casa Slow Food, agli incontri nella Demeter Arena e nello Spazio Reale Mutua, entrambi partner della manifestazione. Partecipate anche le degustazioni realizzate negli spazi istituzionali, tra i quali Regione Lazio – Arsial, Agenzia Laore Sardegna, Comune di Roma, Città Metropolitana di Reggio Calabria e Repubblica di San Marino. Senza dimenticare il forte legame con il territorio dell’Emilia-Romagna, consolidato dalla presenza di 71 produttori, oltre 40 dei quali dell’Enoteca regionale, e di numerosi appuntamenti che hanno avuto per protagoniste le referenze regionali.

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1) Slow Wine Fair 2024 ha accolto circa 1.000 cantine. 2) Angela Sini, AD di Cantina della Volta di Bomporto (MO). 3) Lo stand del Liquorificio Artigianale Ensiana, di Lugo di Grezzana (VR). 4) Scuppoz Liquori di Piceno Aprutina (TE).

Viticoltura: un modello di sostenibilità ambientale

L’attenzione al suolo, al centro di questa edizione, è stato un tema approfondito anche dal racconto di viticoltrici e viticoltori che a Slow Wine Fair hanno condiviso con appassionati e professionisti le loro istanze legate al settore agricolo: non solo sfide e soluzioni sperimentate in vigna e in cantina, ma soprattutto la forza e l’entusiasmo di chi è consapevole e fiero di contribuire a rendere la viticoltura un modello di sostenibilità ambientale, culturale e sociale. «Il suolo è fondamentale, perché contiene i microelementi che danno personalità e unicità al prodotto finale» precisa Antonio Barraco dell’omonima azienda di Marsala, in Sicilia. «È fondamentale valorizzare i microterritori e le loro caratteristiche, che ci hanno permesso di distinguerci nel mondo. Non dobbiamo rincorrere la quantità a ogni costo, perché ne usciremo sconfitti, ma cercare la qualità e la sostenibilità e lavorare per farci riconoscere la giusta remunerazione».

Gli fa eco Edoardo Dottori, giovane produttore dell’areale dei Castelli di Jesi, nelle Marche: «Fare un prodotto naturale senza uso di chimica richiede maggiore lavoro e maggiore conoscenza della terra e della vite: non si può improvvisare». «Produrre secondo metodi biologici è importante per seguire le inclinazioni del terreno. Ogni terra ha una sua vocazione per questo credo sia importante mettere al centro la peculiarità del suolo» conclude Marianna Annio di Agricole Pietraventosa, Puglia.

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Dal Brasile arriva Naiana Argenta, dell’azienda Valparaiso, parte della Slow Wine Coalition, la rete che riunisce piccoli produttori di vino buono, pulito e giusto e che trovano a Bologna il luogo perfetto per confrontarsi. «Nel 2006 mio padre ha acquistato un’antica proprietà nella regione che produce il 90% del vino in Brasile. La zona è molto umida, quindi si propagano facilmente le malattie fungine. Ma mentre tutti le combattono con l’agrochimica, mio padre è stato tra i primi a introdurre la copertura delle vigne con metodi di prevenzione e biocontrollo. È difficile lavorare così, ma è grazie a occasioni di scambio come questa in cui entriamo in contatto con altri produttori che non ci sentiamo soli. Ci rendiamo conto di avere tutti gli stessi problemi, anche dall’altra parte del mondo».

Fabio Borgianni, importatore di vino in Norvegia per Lamarc Wines: «È la prima volta che partecipo a Slow Wine Fair ed è stata un’esperienza molto positiva. L’azienda che rappresento è presente in fiera con dieci produttori che lavorano con il canale HO RE CA., ma stiamo ampliando il nostro portafoglio. Sono venuto a Slow Wine Fair con l’obiettivo di trovare vini per il monopolio del mercato norvegese, l’azienda statale che decide quali vini immettere nei negozi, e la mia ricerca è stata proficua: ho instaurato circa un centinaio di contatti in tre giorni.

Ho trovato la fiera molto interessante soprattutto sotto alcuni aspetti: il file rouge creato tra le cantine attraverso l’omogeneità degli spazi loro assegnati e della quantità di prodotti presentati da ciascuna azienda, poi l’ottima organizzazione degli ambienti e la qualità dell’aria nei padiglioni, un fattore non trascurabile nelle attività di degustazione. A Slow Wine Fair ho potuto incontrare e conoscere tantissime realtà di piccole e medie dimensioni che fanno prodotti di qualità e che senza questa fiera non avrebbero occasioni di visibilità e di business in Norvegia».

Slow Wine Fair 2025

L’appuntamento per l’anno prossimo è quindi già segnato: dal 23 al 25 febbraio sempre a BolognaFiere.

>> Link: slowinefair.slowfood.it

Non è Slow Wine Fair senza Masterclass!

Approfondire il metodo della vinificazione a grappolo, esplorare i princìpi della viticoltura biodinamica, raccontare gli oltre 600 vitigni che arricchiscono la varietà ampelografica italiana e le eccellenze più iconiche dell’EmiliaRomagna: sono solo alcuni dei temi al centro delle Masterclass della Slow Wine Fair. Sono state 16 le esperienze di degustazione che hanno spaziato dal panorama vitivinicolo italiano a quello internazionale, mostrando come in ogni vino proposto il legame con un suolo fertile e sano sia un elemento imprescindibile. Numerosi appuntamenti hanno avuto per protagoniste le referenze regionali dell’Emilia Romagna, a dimostrazione del forte legame con il territorio e consolidato dalla presenza di 71 produttori. Un legame suggellato inoltre dall’istituzione da parte della regione, prima in Italia, dell’Albo delle vigne storiche ed eroiche, uno strumento tangibile che consente di tutelare territori difficili e riconoscere il ruolo paesaggistico e produttivo dell’agricoltura. Di questo aspetto in particolare si è parlato in occasione della Mastercalass “Le vigne storiche ed eroiche dell’EmiliaRomagna”, una degustazione di otto vini che hanno accompagnato palato e naso in un viaggio attraverso il Piacentino, le terre del Lambrusco, per poi passare sulle colline bolognesi e arrivare infine alla Romagna. Attraverso l’assaggio di otto etichette, i produttori hanno raccontato il loro ruolo di custodi del territorio e il loro impegno volto alla conservazione della biodiversità e dei metodi tradizionali di coltivazione della vite. L’interessante testimonianza di valorizzazione di un territorio montano caratterizzato da boschi, vigne in grande pendenza e suoli sciolti, figli della marnosa arenacea, è stata portata nel bicchiere dalla Mastercalass “Il Modigliana bianco: la nuova stella dell’Appennino”. Il vino ha debuttato con la vendemmia del 2022. In questo terroir una piccola comunità di vignaioli sta lavorando su suoli difficili ma affascinanti. Oggi sono diventati una testimonianza straordinaria, oltre che una sottozona della DOC Romagna, non solo per il Sangiovese, ma anche per vini bianchi a base Trebbiano che dimostrano di possedere caratteristiche originali e per il momento poco conosciute.

Giorgio Melandri e i suoi vini a Slow Wine Fair 2024. Storico comunicatore del vino, Giorgio è passato “dall’altra parte”, fondando l’azienda vitivinicola Mutiliana a Modigliana (FC). Insieme ad altri produttori del piccolo borgo romagnolo fa parte dell’Associazione Stella dell’Appennino, che ha l’obiettivo di promuovere territorialità e artigianalità. Recentissima la pubblicazione da parte dell’associazione del libro fotografico “Modigliana. Storie di gente, Appennino, vini”. All’interno una collezione di ritratti di produttori scritta dai più importanti giornalisti italiani del vino.

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CIBUS 2024

BATTE TUTTI I RECORD: IL CIBO MADE IN ITALY SI PRESENTA AL MONDO

Tutto esaurito a Cibus 2024 (Parma, 7-10 maggio) , la manifestazione di riferimento per il settore agroalimentare made in Italy, frutto della consolidata collaborazione tra FIERE DI PARMA e FEDERALIMENTARE. Una 22a edizione che supererà ogni altra per numero di espositori (oltre 3.000 brand e una lista di attesa di 600

aziende) e per la presenza di buyer della Grande Distribuzione italiana e internazionale — ad oggi più di 1.000 già registrati — provenienti da Stati Uniti, Germania, Spagna, Francia, UK e Medio Oriente. Il 2024 sarà inoltre l’anno dei Paesi dell’area Asean, col ritorno della Cina, la grande assente durante la pandemia, e un’importante

delegazione dal Giappone. Un salone sempre più simbolo dell’agroalimentare italiano, che si dimostra attivo anche sullo scenario mondiale, con una strategia che punta a creare quella che Antonio Cellie, AD di Fiere di Parma, definisce «un sistema di alleanze nazionali e internazionali che consolidi l’agroalimentare italiano ed europeo

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come riferimento per un consumo consapevole e sostenibile a livello globale. I nostri eventi garantiscono un percorso non solo fieristico ma esperienziale pensato per accompagnare i mercati, anche lontani, verso il nostro modello alimentare. La fi nalizzazione della partnership con Koelnmesse rientra in questa strategia».

Un accordo, quello recentemente siglato con KOELNMESSE, in virtù del quale il gruppo tedesco, uno dei principali attori del mercato fieristico nel mondo, si occuperà dello sviluppo internazionale sia di Cibus sia di Tuttofood, la cui gestione è passata in capo a Parma alla luce dell’accordo stretto nel 2023 con Fiera Milano. In particolare l’accordo con Colonia porterà visitatori internazionali a Cibus ed espositori dall’estero per Tuttofood. «Col supporto di Koelnmesse, le due manifestazioni potranno contare su più visitatori ed espositori internazionali, anche grazie ad una riprogrammazione dei calendari che armonizzerà Cibus, Tuttofood e Anuga», commenta Cellie.

Il format

Cibus — 120.000 m2 di superficie espositiva distribuita su 8 padiglioni — offrirà uno spaccato completo del settore alimentare italiano, presentando in fiera tutto il meglio dei principali settori dell’agroalimentare made in Italy: prodotti freschi, carni, salumi, dairy, piatti pronti e surgelati, oltre alla sezione grocery, con pasta, conserve e condimenti.

A Parma, grazie alla collaborazione con Agenzia ICE, saranno presenti buyer, category manager e responsabili acquisti delle più importanti catene di supermercati, tra cui hanno già aderito Loblow e Metro Canada, Albertsons, Central Market, H-E-B, Hy-Vee, Walmart, Whole Foods Market USA (dal Nord America); Grupo Pao de Açucar, Alkosto, Tottus e Cencosud (dal Sud America); Billa, Rewe, Spar, Colruyt, Metro, Iki, Maxima, Hanos, Jumbo Supermarkten, Auchan Retail, Sonae, Eroski, Manor, Migros, Marks & Spencer, Ocado, Waitrose (dall’Europa); Aeon, Itochu, Kato Sangyo, Ok Corporation, City Super Shanghai, Hyundai Green Food, Lotte Mart, Nongshim (dall’Asia); Lulu Group, Shufersal (dal Medio Oriente), Pick n Pay, Woolworths, Coles da

Sudafrica e Australia. Saranno altresì presenti le realtà di riferimento a livello internazionale per l’HO.RE.CA., così come gli importatori e i distributori chiave per il made in Italy nel mondo e tra questi Kehe Distributors, US Food, Baldor, Atalanta, Sysco, Bidfood, Angliss, Classic Fine Food, Sodexo, Winterbotham Darby, AMS Sourcing, Dagab, Haugen Gruppen, Coop Trading, Sligro, Transmed, Choitrams, Truebell, Ali bin Ali, Bright View, COFCO, Emporium Corporation, Giraud Restaurant System, Monte Bussan Global Pacific Victory, Gourmet Partner, Food Gallery Limited, Jagota. Tantissimi i top buyer che potranno vivere l’esperienza immersiva dei Cibus Destination, un programma di retail e technical tour organizzati nel territorio e all’interno delle aziende della Food Valley. Previsti anche tour on site tra gli stand della fiera, con visite e degustazioni dedicate alle richieste ed esigenze specifiche dei top buyer italiani ed esteri.

Novità sarà l’area “Cibus delle idee”: lo spazio, collocato strategicamente all’ingresso del padiglione 7 (ingresso Ovest), ospiterà alcune aree di successo di Cibus, come l’Innovation Corner, la vetrina espositiva delle novità di prodotto presentate in fiera dagli espositori, e la Startup Area nata in collaborazione con Le Village di Crédit Agricole. Per la prima volta a Cibus T-OWN: un progetto che, in modo originale, presenterà le idee e le iniziative messe in campo dalle aziende agroalimentari per informare i consumatori delle caratteristiche sociali, energetiche e nutrizionali dei singoli prodotti. Una call for ideas progettata dallo spin off T_OOL patrocinato dall’Università di Parma. Non mancherà un ricco programma di convegni e iniziative dedicato all’Authentic Italian Food & Beverage. Il focus interesserà tre grandi filoni: i nuovi equilibri tra distribuzione e industria di marca, esplorando le ricadute sulla filiera dopo i recenti patti anti-inflazione; la protezione e valorizzazione del patrimonio gastronomico tradizionale attraverso il confronto delle diverse esperienze e best practice dei consorzi nazionali ed esteri; i percorsi tematici negli spazi di Cibus dedicati agli operatori dell’HO RE CA

>> Link: www.cibus.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/24

IN ORIGINE FU IL BURRO

La storia e i formaggi di Beppino Occelli

Testi e foto di Massimiliano Rella

In origine fu il burro. Burro “impastato” in zangola con la panna fresca, trasformato in panetti grazie a piccoli calchi di legno; alla vecchia maniera, come una volta, lentamente, panetto dopo panetto, senza la frenesia dei macchinari moderni.

Poi arrivarono i formaggi e la buona reputazione conquistata si consolidò, confermando il successo di Beppino Occelli, un marchio oggi con un bel ventaglio di prodotti: ad esempio, il Cusiè da latte di pecora e vacca o capra e vacca, stagionato almeno 4 mesi; o il mitico Valcasotto, 3-5 mesi di stagionatura, forma quadrata e latte vaccino. E ancora: da latte di pecora e vacca l’Occelli® al Barolo, formaggio a pasta dura affinato in vinacce arricchite da vino Barolo DOCG e stagionato per alcuni mesi su assi di legno; o quello affinato in foglie di castagno, dopo aver maturato per circa un anno e mezzo.

Dietro tanta varietà, c’è soprattutto una bella storia imprenditoriale, quella di chi all’azienda ha dato nome e cognome, Beppino Occelli, un signore d’altri tempi, sobrio, pacato, gentile, mai sopra le righe nonostante il successo. Incontrarlo per farsela raccontare ha il gusto di un piccolo privilegio.

I suoi formaggi, invece, hanno quel sapore così ricco di sfumature che nasce soltanto da un mestiere esercitato con cura, passione certosina, attenzione alla qualità e scrupolo elevato al minimo

dettaglio. Occelli li produce a Farigliano ma li affina a Valcasotto — entrambi in provincia di Cuneo —, in un piccolissimo borgo quasi disabitato, tra i monti del basso Piemonte verso la Liguria. Un paesino isolato, lontano dai centri urbani, immerso nella natura, senza inquinamento: poche e vecchie abitazioni, una buona trattoria e una “Casa del Grano”, voluta dallo stesso Occelli, che adesso vorrebbe far rinascere anche un forno sociale per la cottura del pane, utile alla comunità.

Qui a Valcasotto i tanti formaggi di Occelli maturano in un reticolo di grotte scavate nella pancia del borgo, a riposo su lunghe assi di legno. Anzi, legni diversi e locali, a seconda delle forme e delle necessità. Il legno più pregiato è quello da piante da frutto, pruni, albicocchi, ecc…, alberi con venature più grandi, “autostrade” che fanno maturare meglio il carattere del latte crudo, lasciando il marcatore del frutto stesso.

Forme curate, massaggiate, spazzolate, girate e spostate a mano da esperti affinatori. Poi si risale e, al piano stradale, si trova lo spaccio pieno di bontà.

Valcasotto è dunque un piccolo regno del formaggio, ma è anche il nome di una specialità nata da una ricetta antica, recuperata e reinterpretata; detto il “formaggio del Re” per la “Grangia Reale” di Valcasotto, ex casa di caccia dei Savoia, che all’epoca concedevano ai contadini l’usufrutto

di alpeggi e pascoli estivi. E questi, in segno di gratitudine, contraccambiavano omaggiando la famiglia reale con l’ottimo Valcasotto.

A storia segue storia. Quella lavorativa di Beppino Occelli comincia negli anni ‘70, quando, dopo gli studi di elettronica, settore presto abbandonato, va a lavorare da due cugine che avevano una gastronomia a Torino, in via Garibaldi, occupandosi delle consegne agli ambulanti. «Avevo 22 anni — racconta — all’epoca ci fu un’improvvisa carenza di burro ed ebbi l’idea d’imparare a farlo. Feci un apprendistato a pagamento, perché così funzionava, in un’azienda casearia di proprietà svizzera, a Fossano. Pagavo 30.000 lire al mese per imparare, l’equivalente del mio stipendio.

Per due anni mi sono diviso fra la bottega delle cugine e il caseificio. Il primo anno lo trascorsi a raschiare la zangola, la botte di legno in cui si metteva il burro. L’anno dopo imparai a miscelare la panna, a misurare l’acidità, a far maturare il burro…».

Finito l’apprendistato cominciò dunque l’avventura imprenditoriale: Occelli comprava burro, lo re-impastava a caldo, faceva i panetti e lo andava a vendere.

All’epoca il papà era macellaio, la mamma insegnante e non giravano tanti soldi in casa, ma una zia farmacista aiutò il giovane Beppino a comprarsi un furgone Fiat per le consegne.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 120 FORMAGGIO
Salumeria Italiana, 2/24 121
Premiata
Beppino Occelli, fondatore dell’omonima azienda casearia.

A Valcasotto i formaggi di Occelli maturano in un reticolo di grotte scavate nella pancia del borgo, a riposo su lunghe assi di legno. Si usano legni diversi, che possono variare a seconda delle forme e delle necessità. Forme curate, massaggiate, spazzolate e girate a mano da esperti affinatori, fino alla loro marchiatura a fuoco.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 122

Le cose, però, ancora non ingranavano, perché il prodotto era considerato caro… «Compresi allora la differenza fra caro e costoso» sottolinea Beppino. «Capii che il costoso implicava un livello di qualità tale da giustificarne il prezzo. Il mio obiettivo, dunque, divenne di far percepire il burro costoso, ma non caro».

La prima trovata fu di puntare sulla panna fresca e così Occelli selezionò i caseifici dove, pagando un “premio”, si faceva scremare più latte per avere la panna da aggiungere al burro. Un giorno, poi, arrivò un rappresentante a proporgli una macchina che sminuzzava e impacchettava il prodotto, ma il prezzo era alto e Beppino decise di tornare ad utilizzare i calchi in legno, caduti in abbandono dopo la seconda guerra mondiale. A Torino, individuò un signore che conservava dei calchi nella sua bottega e che glieli cedette con la raccomandazione di farli bollire in acqua e sale per non far attaccare il burro e poi di bollirli di nuovo a fine giornata, per ripulirli.

Dopo la panna fresca, dopo la lavorazione in zangola e dopo i calchi

di legno qualcosa ancora non tornava, perché il burro continuava a esser considerato caro…

«Ebbi così l’idea — sorride il signor Beppino — di indicare il prezzo su ogni panetto di burro e di far guadagnare di più anche il rivenditore, che in tal modo era motivato a spiegare ai clienti le caratteristiche del prodotto. Ogni panetto da 2,50 etti costava 1.050 lire e ogni cassetta ne conteneva 20. Fu un gran successo!».

Dopo il consolidamento e la notorietà acquisita con il burro, all’inizio degli anni Duemila Occelli decise di diversificare la produzione sui formaggi, i tomini freschi e la ricotta. Si faceva fare il formaggio dai contadini, raccoglieva le loro ricette e valutava i prodotti: tume di alta e bassa Langa, tume da latte di capra o di pecora, con differenze anche tra tume dei ricchi e tume dei poveri, le prime da latte di pecora con cagliate a 35-36 °C; le seconde ottenute da cagliate mescolate, del mattino e della sera, a temperatura di 13,5-14 °C, formaggi tipo la robiola da latte di capra.

L’Occelli® in foglie di castagno è un formaggio a pasta dura che viene posto a maturare per circa un anno e mezzo. Le forme sono poi affinate in foglie di castagno che le trasformano e le arricchiscono di un gusto marcato. Si accompagna bene con i grandi vini di Langa o con una buona birra scura artigianale.

Studiò anche gli stampini notando che i diversi drenaggi (dati dalle dimensioni e dalla forma dei fori di fuoriuscita del siero) davano formaggi diversi a partire dallo stesso ammasso di cagliata, utilizzato come base e rivestito da una tela, in attesa del passaggio finale in forma. Nacque in questo modo il Cusiè (dal dialettale “quello che c’è”), una cagliata di base che assorbe i profumi di ciò che le viene messo attorno e, grazie all’acidità, un formaggio senza caglio che caglia naturalmente.

Il tipo Cusiè è la base per gli Occelli® a latte vaccino o misto vaccino e ovino o misto vaccino e caprino prodotti in varie versioni: come già detto, al Barolo o affinato nelle foglie di castagno, o nel fieno primaverile maggengo, al malto d’orzo e whisky, al pepe nero e bacche rosa e al gin.

Beppino Occelli Agrinatura Srl

Valcasotto – Stagionatura e spaccio

Via Santa Libera 14a 12087 Pamparato (CN)

Web: www.occelli.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 123

PECORINO:

ISMEA fa il punto

La produzione nazionale: struttura e valore

Pur rappresentando poco più dell’1% del valore della produzione agricola nazionale, il settore continua ad assumere un ruolo economicamente rilevante nelle aree maggiormente vocate, in virtù della forte concentrazione territoriale delle greggi. In particolare, circa il 60% del valore complessivo del settore latte è generato nelle Isole e in sole tre regioni — Sardegna, Toscana e Lazio — si realizza ben il 78% della produzione

Inoltre, la presenza degli allevamenti ovicaprini si conferma determinante per la funzione ambientale, sociale e culturale di mantenimento e presidio di aree marginali in cui non sarebbero possibili altre attività produttive.

Nel 2022 l’allevamento ovicaprino ha generato un valore di circa 814 milioni di euro a prezzi correnti, 630 milioni dei quali derivanti dal segmento latte, con un aumento rispetto all’anno precedente che ha sfiorato il 10% da attribuire esclusivamente alla straordinaria spinta dei prezzi alla stalla.

Secondo il censimento annuale dell’ Anagrafe Nazionale Zootecnica, nel 2023 oltre l’80% dei capi in allevamento (esclusi quelli destinati all’autoconsumo) risulta orientato alla produzione di latte oppure ad un indirizzo produttivo misto, per un patrimonio di 6,9 milioni di capi ovini e caprini distribuito in oltre 48.000 unità. Il settore evidenzia un ulteriore ridimensionamento, poiché in un solo anno sono scomparsi oltre 2.000 allevamenti specializzati (–4%), ma la contrazione proporzionale delle consi-

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 124
Pochi formaggi al mondo vantano origini così antiche come il Pecorino Romano

stenze lascia intendere che il processo di concentrazione si stia esaurendo anche in considerazione dei limiti in termini di strutture e pascoli. In complesso, gli allevamenti ovicaprini di grandi dimensioni (>300 capi) incidono solo per il 12% sul totale, ma rappresentano ben il 55% dei capi complessivamente destinati alla produzione di latte e mista latte-carne.

Dal punto di vista territoriale, in Sardegna si localizza il 57% del patrimonio ovicaprino nazionale e oltre un terzo del totale nazionale degli allevamenti a orientamento latte e misto. Per importanza del patrimonio, seguono la Sicilia col 10% dei capi (e il 6% delle aziende), Lazio e Toscana rispettivamente col 9% e il 4%. In altre aree — in particolare Trentino Alto Adige, Calabria e Basilicata — si rileva altresì una elevata numerosità di allevamenti, che però presentano una dimensione ancora mediamente troppo ridotta (meno di 50 capi per gregge).

Il mercato nazionale

Nel 2022 la produzione di latte ovicaprino è rimasta sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente, con 450.000 tonnellate di latte di pecora e 42.000 tonnellate di latte di capra,

senza tuttavia recuperare i livelli del 2018-19 principalmente a causa di costi di produzione ancora assestati su livelli elevati e condizioni climatiche che non hanno favorito il pascolo.

La disponibilità di materia prima ha condizionato l’attività di trasformazione e anche per i formaggi si è registrata una certa stagnazione produttiva, più evidente per i pecorini. In particolare, nell’annata casearia 2021/2022 che va da ottobre a luglio, la produzione di Pecorino Romano DOP si era ridotta del 5% attestandosi a 32,6 mila tonnellate in base ai dati dell’organismo di controllo. Nella successiva campagna, conclusasi a luglio 2023, gli elevati prezzi all’ingrosso hanno spinto i caseifici a indirizzare la materia prima disponibile verso la produzione di Romano, oltrepassando il livello record di 36,6 mila tonnellate (il più alto degli ultimi dieci anni), registrando un +12,4% rispetto all’annata precedente.

Dopo i picchi già evidenziati nel 2022, i prezzi del Pecorino Romano DOP hanno raggiunto nuovi livelli record nella prima parte del 2023, arrivando a superare i 14 €/kg nel mese di giugno (+27% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente). All’esordio della

nuova campagna casearia, tuttavia, i listini hanno manifestato i primi segnali di inversione di tendenza: in particolare, nel mese di ottobre i prezzi del Pecorino Romano si sono mediamente assestati su 13,32 €/kg, con 60 cent/kg in meno rispetto alla quotazione del mese di luglio, che ha segnato la fine dell’annata 2022/2023. Ad influenzare la frenata dei prezzi, da un lato, la buona disponibilità di prodotto, dall’altro, l’ulteriore cedimento della domanda estera che rappresenta la destinazione prevalente del Romano.

La dinamica crescente ha caratterizzato anche il mercato del Pecorino Toscano DOP, con prezzi ancora in salita e assestati nel mese di ottobre 2023 su un valore di 11,30 €/kg per il “tenero”, pari al +15% rispetto alle quotazioni di un anno fa. Il mercato del Romano, che strutturalmente regola gli equilibri dell’intera filiera, ha influenzato i prezzi del latte all’ovile soprattutto con riferimento all’areale sardo. Nella prima parte del 2023 il prezzo pagato ai pastori dall’industria — che raccoglie circa il 40% del latte della Sardegna — si è attestato a circa 130 €/100 litri IVA inclusa e si è confermato anche nel mese di ottobre, che rappresenta l’esordio

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Pecorino Toscano, formaggio italiano DOP fin dal 1996.

della campagna 2023/2024. Stabile nel mese di ottobre il prezzo del latte ovino anche nel Lazio (137 €/100 litri), mentre si registra un ulteriore aumento in Toscana arrivando a 157,5 €/100 litri.

Anche i costi di produzione continuano a restare su livelli ancora elevati, con riferimento ai prezzi dei mangimi la cui integrazione si è resa necessarie a causa delle condizioni insoddisfacenti del pascolo; secondo l’indice ISMEA dei prezzi dei mezzi correnti nei primi nove mesi del 2023, i mangimi per gli allevamenti ovini da latte sono risultati ancora in aumento del 6,6% dopo il +20% registrato su base annua nel 2022.

Le esportazioni

L’export costituisce una variabile strategica per l’equilibrio e la performance economica dell’intera filiera poiché circa il 70% del Pecorino è destinato al mercato estero (per gli altri formaggi DOP la propensione all’export si aggira intorno al 40-45%). Nel 2022 è stato realizzato un fatturato record di 247 milioni di euro, in aumento del 17,8% rispetto al 2021, ma gli elevati livelli di prezzo da un lato e la minore disponibilità dall’altro hanno frenato i volumi in uscita (–6,9% rispetto al 2021) verso tutte le principali destinazioni.

L’elevato livello dei prezzi ha continuato a spingere il fatturato realizzato all’estero dal pecorino anche nel 2023, con un aumento del 20,3% nei primi otto mesi, seppure a fronte di volumi in ulteriore contrazione (–3,3%) soprattutto a causa del cedimento della domanda statunitense (–4,7% nel periodo gennaio-agosto 2023). A controbilanciare, si segnalano la crescita a due cifre del mercato tedesco e la ripresa di quello britannico. Focalizzando l’analisi sul mercato USA dei pecorini di importazione, che nel 2022 ha riguardato 24 milioni di tonnellate, si evidenzia una contrazione della domanda per il segmento merceologico del prodotto da grattugia nei primi otto mesi del 2023 (–9% in volume). Si conferma la leadership dell’Italia con una quota in volume del 55% ma, dopo la diminuzione dello scorso anno, si evidenzia nel 2023 un ulteriore calo a due cifre (–15% nei primi otto mesi) con conseguente perdita di quote di mercato.

La Spagna rappresenta il principale competitor dell’Italia con circa 1/5

del mercato, ma anche per il prodotto iberico si evidenzia una flessione delle richieste USA. In forte crescita — con tassi a doppia cifra — gli acquisti dalla Francia e dalla Turchia, caratterizzati da una maggiore convenienza.

La domanda domestica

Per quanto riguarda la domanda nazionale, la forte spinta inflazionistica che ha interessato tutto il comparto dei beni alimentari ha significativamente impattato sulle scelte di consumo delle famiglie italiane che hanno reagito, in generale, con una riduzione delle quantità nel carrello. In particolare, per quanto riguarda i formaggi pecorini, nei primi nove mesi del 2023 le vendite sono risultate in contrazione dell’8% in volume, a fronte di una decisa spinta sui prezzi (+23%). Tali dinamiche sono state un po’ più accentuate rispetto al totale del comparto formaggi, in particolare trainate dal Pecorino Romano DOP (che rappresenta il 15% sia in volume che in valore sul totale pecorino), le cui vendite sono risultate in calo del 8,7% in quantità in corrispondenza di un aumento dei prezzi più consistente rispetto al totale dei formaggi pecorini (+29%). Ciò ha determinato anche un allargamento della forbice tra il Romano DOP e gli altri pecorini, considerando che per questi ultimi i prezzi medi di vendita al dettaglio sono cresciuti di meno (+21,6%).

Per quanto riguarda i canali distributivi, la contrazione delle vendite in volume di Pecorino Romano non è stata generalizzata presso la distribuzione moderna: la variazione negativa più evidente si è registrata nei super piccoli e i liberi servizi (–12% in volume), mentre è risultata più contenuta nei super grandi (–3,5%) e in controtendenza negli iper (+1,9%). Il discount è il format in cui si è registrato il calo più importante delle vendite in volume (–20,2%) a fronte di un aumento medio dei prezzi superiore al 28%.

Prospettive

Il settore sembra proiettato verso una situazione di stabilità, dopo quello che è stato definito dagli stessi operatori un vero e proprio “momento d’oro”, soprattutto grazie al rafforzamento dei prezzi dei prodotti più rappresentativi che hanno consentito una soddisfacente

ripartizione del valore lungo tutta la filiera e hanno innescato un processo di innovazione sotto diversi punti di vista. Importanti risultati sono stati raggiunti grazie ai numerosi progetti internazionali promossi sui più importanti mercati mondiali, dall’America all’Asia. Altri risultati importanti sono attesi dalle recenti scelte di diversificazione del prodotto sostenute dal Consorzio del Pecorino Romano per incrementare il consumo del formaggio in purezza (e non solo come ingrediente), riducendo i quantitativi di sale e introducendo tipologie in grado di soddisfare differenti gusti, come il prodotto di montagna o stagionature più elevate.

Notevoli anche gli sforzi in termini di comunicazione, come ad esempio il progetto europeo “Gusto” a cui partecipa il Pecorino Toscano con altre tre eccellenze agroalimentari toscane o il progetto “Cheese Sorriso di Sardegna” promosso dal Pecorino Sardo attraverso la diffusione di itinerari turistici che coinvolgono luoghi di produzione, siti archeologici, centri d’arte e cultura, musei, sagre tradizionali.

Una spinta ulteriore all’affermazione dei prodotti tradizionali verrà anche dalla definitiva entrata in vigore del nuovo regolamento proposto della Commissione europea, che mira a rafforzare la tutela dei prodotti a Indicazione Geografiche e il ruolo dei Consorzi anche nella promozione, e che per il settore lattiero caseario ovicaprino nazionale potrebbe avere un impatto positivo su ben 18 prodotti denominazioni, per 83.000 tonnellate certificate e un valore alla produzione stimato in quasi 450 milioni di euro. Infine, in una prospettiva di lungo periodo, in cui il sostegno della PAC post 2027 potrebbe sempre più essere indirizzato verso produzioni sostenibili, l’allevamento ovicaprino potrebbe diventare un settore fondamentale di una strategia nazionale — e soprattutto regionale — indirizzata alla tutela del paesaggio e delle produzioni tipiche, del presidio del territorio e del benessere animale, e finalizzata anche a scongiurare il rischio di ulteriore abbandono dell’attività pastorizia con conseguente ricaduta negativa sull’attività di caseificazione e relativo indotto occupazionale (fonte: Tendenze e dinamiche recenti Latte ovino, Novembre 2023, Ismea, www.ismea.it).

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 126

a una data di scadenza è stata data una speranza

È stato calcolato che il valore annuale del cibo sprecato in Italia è di 15,6 miliardi di euro* e questo rende ancora più insopportabile il dato che registra oltre 2 milioni di famiglie italiane in povertà assoluta, di cui quasi 200.000 sono in Lombardia*.

Ed è qui che siamo impegnati ogni giorno per contrastare l’insicurezza alimentare, distribuendo 1.200.000 kit di spesa ogni anno e sostenendo ogni giorno quasi 5.000 persone in di ff icoltà che passano dai nostri centri, senza fare distinzioni di nessun tipo, grazie ai nostri 250 volontari, ai privati e alle aziende che sostengono la nostra associazione Pane Quotidiano ONLUS.

Ma il numero di ospiti giornaliero è raddoppiato negli ultimi 5 anni e adesso abbiamo bisogno anche di voi.

Ci servono le vostre eccedenze di produzione: siamo organizzati per ritirare anche i prodotti freschi e in scadenza in tempi rapidi, con una piani ficazione digitalizzata che considera anche la catena del freddo. Con il dono di prodotti in surplus, oltre a contribuire a un importante impegno sociale, potete anche bene ficiare di vantaggi economici, fiscali e logistici.

Un grande aiuto per chi ha bisogno, e una scelta di sostenibilità per la vostra azienda.

eccedenze@panequotidiano.eu *fonti: Waste Watcher International Observatory 2023, Istat
bit.ly/eccedenze
Insieme per l’emergenza alimentare

I NON MISTERI DELLA FETA

Un formaggio che non ha niente da nascondere di Giorgia Fieni

Una delle passioni che ho sono i misteri. Leggo libri gialli, guardo trasmissioni di true crime. Perché adoro scoprire cosa accade in realtà dietro gli eventi e davanti a ciò che mi capita uso spesso una delle frasi pronunciate da SHERLOCK HOLMES, il celebre detective inglese creato dalla penna di ARTHUR

CONAN DOYLE: “Eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile sia, deve essere la verità” (da “Il segno dei quattro”, 1890).

Sembra assurdo, ma a volte applico questi principi anche al mondo dell’alimentazione. Perché è colmo di misteri su come certi prodotti siano stati scoperti e su come certe ricette siano

nate per caso (ma forse non del tutto a caso). Ce ne sono però alcuni su cui proprio non c’è nulla! Li assaggio, leggo informazioni su di loro, eppure… niente! Uno di questi è la feta

Il primo non mistero riguarda il nome: “feta” significa “fetta”, perché è così che questo formaggio viene venduto. Il secondo riguarda la provenienza:

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è un prodotto che “urla” Grecia al solo sentirlo nominare. E, siccome siamo in Penisola ellenica, è facile intuire che il latte sia di capra e di pecora.

Il terzo riguarda la conformazione: pasta semidura e molto compatta, niente crosta, colore bianco (cosa c’è di meno misterioso di un oggetto

bianco?) e conservazione in salamoia. Il quarto riguarda come arrivare a questo risultato, ma ce lo spiega molto bene YOTAM OTTOLENGHI: “La ragione per cui il sapore di un buon formaggio sembra letteralmente riempire la bocca sono gli enzimi di latte e caglio e i microrganismi. Questi scompongono

La feta è un formaggio tradizionale greco a pasta semidura friabile, a base di latte di capra e pecora. Riconosciuta come DOP dall’Unione Europea, si usa davvero ad ogni pasto, dalla colazione alla cena, passando per l’aperitivo. È protagonista dell’iconica insalata greca, regina delle tavole estive mediterranee

le proteine e il grasso del formaggio in un ampio ventaglio di componenti di sapore. Più è diversificato l’insieme degli enzimi di invecchiamento e più complesso sarà il risultato e più ricco il sapore. Il motivo per cui una feta stagionata in botte ha un sapore più ricco e complesso di una feta semplice è perché gli enzimi hanno avuto più tempo per maturare (servono 6 mesi per poterle chiamare ‘stagionate’, invece dei soliti 2) e sono più diversificati grazie alle botti di faggio in cui ha luogo la stagionatura”

A questo punto la domanda è: ci sarà un mistero da scoprire almeno nelle ricette? Direi di no, perché l’ho vista usare ad ogni pasto. A colazione e merenda, fresca o grigliata e cosparsa di miele e sesamo. A pranzo e cena,

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Pasta con feta e asparagi.

nell’insalatone: si abbina praticamente con ogni tipo di verdura, carne e pesce. E, cosa ve lo dico a fare, con pomodori, cetrioli, cipolla rossa, olive Kalamata, sale e olio, la feta è proprio a casa sua!

Potete anche metterla in forno come farcia dei peperoni o dei pomodori o delle zucchine o delle melanzane. Negli spiedini. Nella pasta: con asparagi e pinoli tostati, per esempio, nel pesto con pomodori secchi e noci o anche fredda (farfalle e melone, con origano e pepe, e senti già il profumo di spiaggia). Sull’uovo fritto, aggiungendo dei capperi. In un minestrone, con pesce e riso. Nelle polpette: okay la versione classica, ma che ne dite di farle con cous cous allo zafferano, bacche di crispino sciroppate e yogurt (per la ricetta, consultate il già citato YOTAM OTTOLENGHI).

Durante l’aperitivo, la feta è la protagonista della Tyropita: una torta salata di pasta fillo dove il formaggio è ammorbidito dallo yogurt (presuppongo che a questo punto sappiate quale tra i tanti dovete scegliere) e aromatizzato dall’aneto. O viene congelata, pastella-

ta e fritta. Messa su una bruschetta con pomodorini, peperoncino e acciughe sottolio.

Usata come ingrediente per il pane o per una focaccia che profuma di lavanda e limone. Marinata con erbe e olio d’oliva e presentata infilzata sugli stuzzicadenti.

Con finocchi e melassa di melagrana in una piadina (il mio testimone in questo caso è GORDON RAMSAY, che si “giustifica” così: “La nota salata della feta si associa benissimo a quella dolceacidula della melassa di melagrana e alla croccantezza venata di anice che caratterizza il finocchio”).

Nel mio interrogatorio sui misteri della feta ho letto anche di NIGELLA LAWSON che prepara una stranissima Old Rag Pie (letteralmente “Pie vecchi stracci”): “Non è il nome più glamour per qualcosa che, pur essendo incredibilmente facile da fare, manderà in estasi te e chiunque lo mangi. Il nome è la traduzione del greco Patsavouropita, ricetta ideata dai panettieri per utilizzare i ritagli avanzati di pasta fillo: i ‘vecchi stracci’ del titolo. Semplicemente passavano per i loro

tavoli da lavoro, recuperavano tutti gli avanzi e li trasformavano in questa pie. In Grecia ne esistono due varianti, una dolce e una salata, ma questa versione è il frutto dell’ingegno del mio amico Alex Andreou (che è di Mykonos ed è il mio guru e genius loci di cucina greca, se posso concedermi un po’ di latino). Lui le fonde insieme, aggiungendo il miele alla feta salata, per creare una cosa che mi sembra si possa descrivere al meglio (in termini gustativi) come una cheesecake greca”

Credevo che dopo questo non ci fosse altro e invece ho visto la feta su una pizza con la zucca o con porri e patate o con crema di piselli, cipollotto e uovo sodo. Anche arrotolata dentro il roastbeef. Nei muffin e nei plumcake. Nella pasta ripiena. In un mac’n’cheese (maccheroni al formaggio). E nella polenta!

Dopo aver esaminato tutte le prove posso dunque dire che la feta davvero non ha misteri. O che ne ha uno nascosto così bene che è difficilissimo trovarlo. Mi aiutate a scoprirlo?

Fieni

Hai detto Coratina?

NON SOLO PICCANTE E AMARO di Fabrizio Bertucci

La Puglia produce il 50% dell’olio nazionale. La varietà Coratina è una delle più diffuse, antiche e longeve. Se ne trova traccia scritta dalla fine dal ‘700, sotto il nome di “olivo a racioppe (grappoli)”, citato da GIOVANNI PRESTA, noto medico ed agronomo dell’epoca in Memoria dei sessantadue saggi diversi di olio presentati alla maestà di Federico IV, re delle Due Sicilie del 1786. Ma il suo olio extravergine non sempre ha avuto vita facile, a detta degli stessi pugliesi, a causa della sua forte personalità dalla spiccata nota polifenolica di piccante e amaro prepotente, non sempre apprezzata, e, permettetemi, non sempre interpretata al massimo dai produttori del passato. Oggi ne parlo con Maria Rosa Arbore e Luigi Malcangi, ospite della loro Azienda Agricola Lamacupa (lamacupa.it), proprio a Corato, provincia di Bari (da cui deriva il nome di questa meravigliosa varietà).

Maria Rosa, come posso distinguere le caratteristiche della Coratina?

«L’olio che se ne ottiene offre all’olfatto un profumo fruttato intenso, fresco; in bocca mostra il carattere che la rende unica tra le varietà italiane, in virtù di quelle note di piccante e amaro dovute alla grande carica fenolica e ai valori antiossidanti che la rendono straordinaria, anche sotto il profilo nutraceutico. Queste caratteristiche gustative che rendono unico l’olio di Coratina però vanno conservate vive nel tempo in maniera adeguata: al riparo da luce, aria e calore. Intesi?».

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 132 LO CHEF DELL’OLIO
Olio extravergine Coratina LuMa Selezione Lamacupa.

Il consumatore attento deve sempre essere alla ricerca di un buon amaro e piccante in un extravergine?

«I fruitori di questo bene prezioso dovrebbero sapere che l’olio non è tutto uguale. Purtroppo, ancora oggi molti attribuiscono alla nota piccante e amara un difetto, l’acidità, valore negativo che in realtà non è percepibile al gusto, ma solo e soltanto ad analisi di laboratorio. Nostro compito è educare a riconoscere la qualità reale di un olio e l’origine di queste differenze, dando valore a tutto quello che accade lungo la filiera, dal campo al frantoio».

Come nasce l’azienda Lamacupa?

«Siamo olivicoltori da generazioni e solo pochi anni fa noi abbiamo deciso di andare oltre la produzione e la commercializzazione delle nostre olive. E così l’Azienda Agricola Lamacupa ha cominciato a pensare alla fase successiva, all’olio. Io mi sono dedicata a sviluppare questo aspetto, mentre mio marito continua ad occuparsi quotidianamente dei nostri uliveti. Il nostro è un progetto semplice ma ambizioso. Vogliamo dare all’olio il ruolo di promozione e valorizzazione del nostro territorio. Per fare questo, al primo posto abbiamo messo la qualità lungo tutto il processo, senza compromessi e senza cedere nulla alle consuetudini di famiglia che troppo spesso, ancora oggi, accompagnano e condizionano chi fa questo lavoro».

Ma come è possibile ottenere un prodotto così?

«L’esito finale non è l’unico obiettivo. La qualità come la intendiamo noi deve essere alimentata e ricercata ogni giorno dell’anno. Noi siamo in mezzo ai nostri ulivi tutti i giorni: sappiamo che l’albero non produce olio e che questo preziosissimo nettare è contenuto nei suoi frutti. Questi frutti — le olive — quanto più sono perfette tanto più offrono ad un frantoiano attento e capace la possibilità di estrarre un grande olio. Per fare questo dobbiamo vivere in simbiosi con le nostre piante, non possiamo limitarci ad osservarle da lontano, bensì curarle, dando acqua quando ne hanno bisogno, prevenendo attacchi parassitari, perché soltanto attraverso la prevenzione si riescono ad evitare rimedi drastici, aiutandole

nei momenti giusti, frequenti durante la stagione. Se facciamo questo e la natura ce lo consente, al tempo andremo a raccogliere frutti straordinari, con i quali quell’albero compenserà le nostre attenzioni. Poi c’è l’estrazione. Ma questo è un altro lavoro».

Perché è un altro lavoro quello del frantoiano?

«Secondo me il frantoiano migliore è quello che rovina di meno l’olio contenuto nelle olive (io sorrido e le dico che penso la stessa cosa dei cuochi in rapporto alle materie prime…, NdA). Noi olivicoltori ci preoccupiamo che le nostre olive siano sane e perfette, e stabiliamo il momento della raccolta, perché ad ogni livello di maturazione corrisponderà un olio. Poi entra in scena la tecnologia, con la quale oggi si può fare di tutto, potendo intervenire su una infinità di dettagli. Ergo, l’olivicoltore ed il frantoiano vivono in sinergia, basta solo studiare».

E arrivano i riconoscimenti per il vostro impegno…

«Sì, siamo contenti. Siamo finalisti al Leone d’Oro International, presenti in Flos Olei, la più importante guida mondiale, senza dimenticare il GAMBERO ROSSO, BIBENDA, SLOW FOOD, DER FEINSCHMECKER. Risultati, questi, che compensano il sacrificio e la passione che

mettiamo in campo quotidianamente, anche se queste li riteniamo esclusivamente straordinarie occasioni di confronto con gli altri produttori. Per troppo tempo nella nostra terra siamo rimasti chiusi su di noi, vittime dell’abbiamo sempre fatto così. Il mondo dell’extravergine ha fatto passi da gigante e la Coratina oramai è riconosciuta a livello mondiale».

Infine un progetto articolato: il vostro e l’olio è spesso occasione di incontro…

«In azienda organizziamo passeggiate, degustazioni e anche eventi, grazie ai quali riusciamo a coinvolgere molti appassionati, dove non solo l’extravergine è protagonista, ma anche altre eccellenze che caratterizzano il nostro territorio. È un’azienda familiare con altri progetti nel cassetto, ma vi garantisco che un piccolo passo dopo l’altro li realizzeremo tutti. A proposito, Fabri, tieni, assaggia. Com’è quest’anno?».

Concludo con l’assaggio di LuMa Selezione, il loro extravergine di punta, monovarietale Coratina dalle note olfattive erbacee, di carciofo e foglia di pomodoro, e dalla spiccata nota fenolica che lo caratterizza al palato. Da apprezzare l’eleganza e la pulizia finali. Avanti così!

Ah, LuMa sta per Luigi e Maria Rosa! Fabrizio Bertucci

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 133
Luigi Malcangi e Maria Rosa Arbore di Azienda Agricola Lamacupa, Corato (BA).

VINO ALLA SCOPERTA DI CANTINA DI VENOSA

ALLE PENDICI DEL VULTURE, DAI TERRENI D’ORIGINE

VULCANICA ALLE TECNOLOGIE DI ULTIMA GENERAZIONE

PRESERVANDO LA SALUTE AMBIENTALE E DEL CONSUMATORE

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Nel 2023 l’azienda cooperativa del Vulture ha registrato un aumento a due cifre di fatturato e bottiglie vendute, in linea con un trend di crescita costante all’insegna della sostenibilità, certificata da tanti progetti, tra cui il Codice Etico per dipendenti e fornitori.

“B

eviamoci insieme una tazza colma di vino! / che all’ilare tempo della sera / s’acquieti il nostro vento disperato”. Così scriveva il poeta e autore lucano ROCCO SCOTELLARO nella sua poesia “Sempre nuova è l’alba”. Un uomo — celebrato lo scorso anno per i cent’anni dalla sua nascita — che seppe dare voce alla “libertà contadina” e alla sua terra con grande sensibilità.

In Basilicata la produzione vitivinicola è molto più di un’attività economica; è una passione e un legame profondo con la terra e le sue radici. I vigneti, disseminati in tutto il territorio regionale, rappresentano un patrimonio tramandato di generazione in generazione.

Qui, la viticoltura è una forma d’arte, dove il rispetto per la terra e le tradizioni si fondono con l’innovazione. Lo sa bene Cantina di Venosa, l’unica cooperativa vitivinicola della Basilicata e fra le più importanti del Sud Italia,

premiata da anni nei principali concorsi enologici internazionali. Una cantina di 350 soci e 800 ettari di vigne coltivate ad Aglianico, Malvasia di Basilicata, Moscato bianco, Merlot; una cantina moderna, radicata nel territorio, attenta alle innovazioni, composta da oltre il 50% da giovani, eredi di una generazione di piccoli vignaioli che si rinnova e si aggiorna con idee, energie, competenze, visioni.

Tra nuovi progetti di sostenibilità, vigne sorvegliate dal satellite, vini affinati sotto il mare e strutture all’avanguardia per l’efficienza aziendale, Cantina di Venosa è riconosciuta come un’azienda modello della cooperazione: una comunità di piccoli vignaioli fondata nel ‘57 e cresciuta costantemente nei numeri e nella qualità dei suoi vini; dal Carato Venusio Superiore, un Aglianico del Vulture DOCG, potente, strutturato, elegante, al Matematico, il grande rosso delle migliori vendemmie, da un taglio bordolese di uve Merlot e Aglianico, af-

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 135

A sinistra: vigne a riposo per il periodo invernale. Al momento la cantina possiede 150 ettari di vigneti. A destra: l’enologo Donato Gentile e il direttore della cantina Antonio Teora.

finato 6 mesi in barrique francese. E poi bianchi da uve Malvasia di Basilicata, rosato da Aglianico in purezza, bollicine Metodo Classico e, ultimo arrivato, un Aglianico del Vulture che riposa per 6 mesi a 50 metri sotto il mare.

Sono queste le espressioni enologiche di una cantina ubicata in un luogo ricco di storia e cultura: Venosa, in provincia di Potenza, culla di ORAZIO e del madrigalista CARLO GESUALDO. Ma anche uno dei Borghi più belli d’Italia, all’ombra del castello Angioino e del vulcano Vulture.

Una crescita a due cifre +11% di bottiglie vendute, +17% di fatturato: è la crescita registrata dalla cantina nel 2023 sull’anno precedente, un dato che conferma il trend economico positivo della cooperativa. Qualche cifra: 1,9 milioni di bottiglie nel 2023 contro gli 1,7 milioni vendute nel 2022; circa 7,4 milioni di euro fatturati nel 2023 a fronte dei circa 6,3 milioni di euro del 2022. Una tendenza ancor più significativa se calcolata sul quinquennio: rispetto al 2019, circa 30% in più in valore e 72% in volume.

L’uva e il vino sono sempre stati un elemento fortemente caratterizzante per l’area del Vulture e per la Basilicata in generale. Non a caso i Romani concessero alla colonia di Venosa (Venusia in epoca romana) di coniare una moneta in bronzo raffigurante Dioniso, una divinità fortemente legata alla terra e alla vite, poi assorbita dal culto di Bacco

«Sono numeri importanti che segnano un percorso di sviluppo su cui ci stiamo impegnando da anni con tanti progetti su più fronti» ha commentato il presidente di Cantina di Venosa Francesco Perillo. «Abbiamo ad esempio rivoluzionato di recente la nostra organizzazione logistica per mettere in efficienza il magazzino e la gestione degli ordini, avvalendoci di macchinari robotizzati. E già da anni stiamo crescendo con un approccio di sostenibilità, un tema questo su cui siamo impegnati con tanti progetti.

Abbiamo promosso anche un Codice Etico per i dipendenti, i fornitori e i clienti; abbiamo adottato un insieme di norme volontarie e certificazioni che assicurano ulteriormente la salubrità dei vini. Nel 2022 è nato il Bilancio di Sostenibilità e l’anno scorso è arrivata la certificazione Equalitas sulla sostenibilità ambientale. Infine, presto completeremo i lavori di un grande progetto di riqualificazione della nostra cantina, con un progetto di architettura sostenibile».

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A sinistra: uno scatto all’interno dello stabilimento di produzione. A destra: Verbo è un Aglianico del Vulture DOP perfetto per accompagnare arrosti, primi piatti tipici della cucina mediterranea, cacciagione e formaggi stagionati.

Il Codice Etico di Cantina di Venosa è un documento che stabilisce i principi generali e le azioni ispirate ai valori di sviluppo sostenibile (economico, ambientale e sociale) e compatibile con obiettivi di crescita aziendale e con la difesa del territorio e delle produzioni tradizionali, in linea con l’art. 1 della legge n. 238 del 12 dicembre 2016 (Testo Unico della Vite e del Vino), il quale considera il vino “Patrimonio culturale nazionale. Il vino, prodotto della vite, la vite e i territori viticoli, quali frutto del lavoro, dell’insieme delle

competenze, delle conoscenze, delle pratiche e delle tradizioni, costituiscono un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale”

Focus sulla sicurezza alimentare

Per la sicurezza alimentare Cantina di Venosa fa molto di più di quanto previsto dalle norme di legge. Ha infatti adottato un insieme di norme volontarie e certificazioni che assicurano ulteriormente

Cantina di Venosa nel 2023 ha venduto 1,9 milioni di bottiglie per un ricavo di 7,4 milioni di euro.

Fondata nel 1957 da 27 soci, la cooperativa oggi conta 350 viticoltori (oltre il 50% dei quali giovani) e 800 ettari di vigne, con una resa di 50.000 quintali d’uva (90% Aglianico del Vulture) e 35.000 ettolitri di vino. Nel complesso produce quasi 2 milioni di bottiglie

il consumatore sulla salubrità dei vini. Tra queste, un sistema di gestione dei processi produttivi conforme alla ISO 22005:2008 (integrato agli standard BRCG versione 9 e IFS versione 7), che garantisce requisiti di sicurezza alimentare anche per prodotti a marchio del cliente e per tutti quelli destinati alla grande distribuzione.

Vigne e satelliti e profondità marine

Nel 2022 Cantina di Venosa ha ricevuto l’Oscar Green di COLDIRETTI per il progetto di mappatura satellitare dei vigneti, curato dall’enologo Donato Gentile

Un progetto avviato nel 2018, che prevede la scansione settimanale delle vigne su una superficie di 150 ettari tramite il satellite Sentinel 2. Attraverso il software Oenoview le immagini sono “colorate” dal rosso al verde chiaro, per esprimere il grado di contenuto idrico: forte carenza versus buona dotazione. Il sistema ha permesso di registrare l’indice di vegetazione del vigneto e intervenire in modo mirato. Escludendo

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Una cantina innovativa, funzionale e – presto – enoturistica

Nella sede di Cantina di Venosa è in corso un piano di riorganizzazione degli spazi, con obiettivi di efficienza logistica e produttiva, accoglienza ed enoturismo. I lavori si concluderanno nel 2025 e prevedono nuovi spazi e la riorganizzazione e il riutilizzo di quelli esistenti, rivestiti da materiali moderni. Il progetto architettonico della “nuova” Cantina di Venosa rappresenta una scommessa sul futuro per un’azienda cooperativa, l’unica nella Basilicata del vino e una fra le più importanti nel Sud Italia che punta adesso a sviluppare anche l’enoturismo. Venosa è la città del poeta romano Orazio e del madrigalista Carlo Gesualdo. È nella rete dei Borghi più belli d’Italia; tra i suoi gioielli il castello angioino e l’Incompiuta, un’abbazia del XII secolo mai completata.

Concepita su due livelli, di cui uno interrato, la nuova cantina avrà un’area accoglienza di 320 m2, un punto vendita, una grande sala degustazione, la cucina, i servizi e 4 colonnine di ricarica per le auto elettriche. Al piano interrato è prevista una sala convegni da 250 posti con bottaia a vista. La copertura in materiali riciclabili ecosostenibili e travi di legno sarà integrata da pannelli fotovoltaici e includerà una terrazza eventi di 500 m2, compreso il corridoio di salita. La nuova cantina sarà pronta entro il 2025.

L’azienda, intanto, ha realizzato un magazzino automatizzato che contiene fino a 200.000 bottiglie, gestito da un robot e un software che lo comanda a distanza per spostare i pancali e le merci, governabile dagli uffici attraverso codici di ordine. Il sistema ha permesso di velocizzare i movimenti e razionalizzare gli spazi. Qualche anno fa era già stata modernizzata la linea di imbottigliamento — macchinari da 5.000 bottiglie/ora — un sistema che utilizza azoto puro al 99,5% nel processo di riempimento e tappatura, consentendo d’abbattere alcuni costi e aumentare l’efficienza e la competitività (in foto, il Castello aragonese di Venosa).

i casi di cielo nuvoloso, permette infatti di ottenere, di settimana in settimana, la fotografia dell’intero ciclo vegetativo per individuare, ad esempio, dove c’è stress idrico o dove si verificano i rischi di malattie patogene. In questo modo la cantina può prevedere condizioni di stress idrico, avere uno storico tematico,

individuare i rischi di malattie patogene, ecc…, tutto validato da visite dirette in vigna. Al salone veronese Vinitaly dello scorso anno, invece, Donato Gentile e il direttore commerciale della cantina Antonio Teora avevano presentato il progetto Underwater Wines, che riguarda l’immersione subacquea delle

bottiglie di alcune annate del vino di punta (l’Aglianico del Vulture Superiore Carato Venusto) a circa 50 metri di profondità nel mare di Portofino per sei mesi, ad una temperatura stabile di circa 13-14 gradi.

>> Link: cantinadivenosa.it

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Un Master sull’aceto balsamico di Modena? C’è! Grazie a Consorzio di tutela e AIS Toscana e si è appena svolto tra Firenze

e Modena

Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena e AIS Toscana Delegazione di Firenze, un binomio ad alti livelli per un’esperienza che rappresenta un’anteprima nazionale assoluta nel suo genere. Un Master in due giornate, tenutesi a Firenze (la prima) e a Modena (la seconda), sul tema Aceto Balsamico di Modena. La prima parte a Firenze, dedicata alla presentazione teorica del prodotto attraverso un seminario, è stata guidata dal direttore del Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena Federico Desimoni, insieme al responsabile marketing del medesimo Consorzio, Andrea Mancuso Morini, e da Massimo Castellani, delegato AIS di Firenze. Oltre 70 i corsisti, che hanno percorso un viaggio ideale attraverso la storia e la tradizione di uno dei prodotti più iconici del made in Italy agroalimentare, nonché appreso le peculiarità che hanno portato l’Aceto Balsamico di Modena IGP ad essere il primo prodotto in termini di esportazioni nel mondo, con oltre il 92% della produzione che raggiunge oltre 120 Paesi dei cinque continenti. «Quello organizzato in collaborazione con la delegazione di Firenze dell’Associazione Italiana Sommelier — ha detto Federico Desimoni – è stata la prima esperienza del genere e potrebbe rappresentare il test pilota di un nuovo format rivolto ai sommelier per approfondire la conoscenza del nostro prodotto e per ampliare la gamma di iniziative mirate alla valorizzazione e promozione dell’Aceto Balsamico di Modena».

La prima tappa, svoltasi Firenze, è stata l’occasione per introdurre le nozioni base sul metodo produttivo, il territorio, il prodotto, le tecniche di degustazione e di abbinamento, ma non è stata solo una lezione frontale perché i contenuti sono stati arricchiti da dinamiche di gaming, da esercizi pratici e da proposte che hanno attivato e messo in gioco tutti i partecipanti. Oltre a degustazioni della gamma di prodotti in purezza, sono stati proposti abbinamenti con verdure, formaggi, frutti di bosco e, infine, con il cioccolato Amedei di Pontedera (PI). La serata si è conclusa con la degustazione di un panettone all’Aceto Balsamico di Modena accompagnato da due cocktail classici rivisitati attraverso l’utilizzo dell’oro nero di Modena preparati e presentati da Andrea Balleri, Miglior Sommelier d’Italia 2013 e già Campione del mondo barman. La seconda parte del seminario si è tenuta a Modena, con una visita guidata ad una storica acetaia (in foto), dove i sommelier sono stati condotti alla scoperta del ciclo di produzione dell’Aceto Balsamico, dal vigneto fino alla bottaia e accompagnati in nuovi percorsi degustativi e di abbinamento. L’esperienza si è conclusa con la consegna degli attestati di partecipazione ai sommelier partecipanti all’intera proposta formativa.

>> Link: consorziobalsamico.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 140

Piemonte

Freisa, uno, nessuno, centomila

Il Freisa è un rosso del Piemonte poco conosciuto fuori regione, ma un tempo era una presenza blasonata sulla tavola dei Savoia, insieme a Barbera e Grignolino, e il cui vitigno — la Freisa, declinazione al femminile — fu citato già nel lontanissimo 1517 nella bolla doganale di Pancalieri, un municipio a sud delle colline torinesi. Nel 2019 è nata l’associazione Più Freisa, che attualmente aggrega 21 cantine dislocate in più province piemontesi, soprattutto nell’Astigiano, fondata per promuovere questo rosso particolare e oggi un po’ dimenticato (www.piufreisa.it).

Autoctona, poliedrica, ricca di tannini, la varietà Freisa ha carattere rustico, un po’ spigoloso, un’uva tradizionalmente relegata nelle vigne più basse e di fondovalle, che condivide con

il Nebbiolo — il più noto vitigno piemontese — gran parte del patrimonio genetico, circa l’85%. La Freisa è una varietà che si adatta ai terreni più bassi della collina, perché ha un germogliamento più tardivo del Nebbiolo ed è poco sensibile alle malattie della vite legate all’umido (Peronospora, Botrytis cinerea e altri marciumi del grappolo).

Troviamo sul mercato diverse interpretazioni enologiche di questo vitigno: la tipologia tradizionale frizzante, ad esempio, più diffusa nelle zone più a nord dell’Astigiano e a Chieri (TO), e le versioni fermo e, da qualche anno, superiore, con affinamento in legno, più diffuse invece nel Tortonese, nelle Langhe e nel sud del Monferrato. Complessivamente in Piemonte è rivendicato in 7 DOC (Freisa d’Asti, Freisa di Chieri, Langhe Freisa, Monferrato Freisa, Colli

Tortonesi Freisa, Pinerolese Freisa, Piemonte Freisa) e in 14 IGT. Questo per il consumatore meno esperto può generare confusione sull’identità del vino. Qual è il Freisa? Uno, nessuno e centomila? Semplificando, è un vino con almeno tre identità, ovvero vivace, fermo e superiore.

Per la tipologia vivace ci è piaciuto il Freisa d’Asti DOC dell’azienda agricola Garrone Evasio & Figli, un rosso giovane che fa solo acciaio, con una piacevole e leggerissima “effervescenza” di sottofondo ottenuta con breve fermentazione in autoclave e imbottigliamento a freddo. Di colore granato con riflessi rubini, ha un naso in cui spiccano note di rosa e sentori di viola e geranio, al palato un bel fruttato (ciliegia, mora, mirtillo) e note vegetali, dal timo ai chiodi di garofano. www.vinigarrone.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 142 GLI ASSAGGI DI MAX RELLA
Freisa d’Asti DOC Az. Agr. Garrone, Sanpedra Freisa d’Asti Erede di Chiappone Armando, Nizza DOCG Riserva Sanluis Torchio 1953.

Un ventaglio d’espressioni sul Freisa ce lo propone la cantina cooperativa Terre dei Santi, fondata nel ‘53 a Castiglione Don Bosco (AT), il paese di Don Bosco, dello zio San Giuseppe Cafasso e di altri devoti. Nata come Cantina Sociale del Freisa, l’azienda ne produce ancora il 60% dei volumi complessivi e ben 9 etichette su 32 totali. Fra queste il Freisa di Asti DOC frizzante, da lunga rifermentazione in autoclave, ha colore rubino intenso, naso con un bel floreale e fruttato (lampone e rosa) e un palato vivace, asciutto e dal finale piacevolmente amarognolo. Il Freisa di Chieri DOC La Torrigiana è ottenuto invece con macerazione degli acini per 8 giorni a 26 °C e separazione dei vinaccioli per ottenere un tannino morbido ed elegante. È affinato 12 mesi in tonneaux di rovere francese di primo e secondo passaggio e 6 mesi in bottiglia. Naso fine con sentori di piccoli frutti rossi e floreali di viola, al palato asciutto, caldo e con lungo finale ammandorlato. www.terredeisanti.it

La Cantina Erede di Chiappone Armando, di Nizza Monferrato (AT), ha scommesso esclusivamente su un Freisa fermo con lungo affinamento in legno: 4 anni fra tonneaux e barrique e altri 2 di legno, in commercio dunque dopo minimo 6 anni dalla vendemmia. Appena 3.000 bottiglie e 1 ettaro

dedicato, un vino di nicchia che può accompagnare carni rosse e formaggi non troppo stagionati. Di colore granata e riflessi rubino, al naso ti stuzzica con note di prugna rossa e ciliegia marasca, seguite da uno speziato di pepe nero, timo e origano. In bocca è avvolgente e complesso, dalla frutta matura che torna, fino al pepe e ai sentori di cuoio. www.facebook.com/erede.armando

Nizza, Grignolino e Barbaresco Arriviamo a Isola d’Asti per una giovane cantina: Torchio 1953, una piccola vigna di famiglia che il produttore ANDREA TORCHIO ha cominciato a valorizzare da qualche anno con una produzione di nicchia, tra cui uno spumante brut Metodo Charmat, una Barbera d’Asti Superiore DOCG e, vino di punta, il Nizza DOCG Riserva Sanluis, da uve Barbera in purezza coltivate ad Agliano Terme, bucce macerate in vinificatori d’acciaio a temperatura controllata, con rimontaggi e ossigenazioni fino alla completa fermentazione. Rosso rubino dai riflessi violacei, al naso è avvolgente, con sentori di vaniglia, cacao e sottobosco. Il palato è vellutato, armonico, profondo. Un vino che sfida il tempo, ottimo con bolliti della tradizione piemontese e formaggi di lungo affinamento. www.torchio1953.com

Ancora a Isola d’Asti la giovane azienda di una produttrice russa trasferitasi in Monferrato, OLGA SEMENCHA: Tenuta Foresta Winery, 4 ettari e un’interpretazione classica dei rossi piemontesi. Fra le curiosità il Piemonte

DOC Grignolino, da uve Grignolino, un rosso leggero anche nel colore, fresco, piacevole, dalle note fruttate e sentori di pepe bianco. Il secondo è il Piemonte DOC Albarossa, che unisce eleganza, freschezza e bevibilità, dal bouquet fruttato e floreale, con sottile speziatura. www.tenutaforesta.com

Finiamo nelle Langhe, a Barbaresco (CN), il paese che dà il nome al rosso DOCG dal lungo affinamento in legno, ottenuto con uve Nebbiolo. De Forville è una storica cantina fondata nel 1860, passata di generazione in generazione in mano ai fratelli PAOLO e VALTER ANFOSSO, appassionati produttori con vigne anche a Castagnole Lanze, in Monferrato, per la produzione di Barbera d’Asti, Moscato e Chardonnay. Per il Barbaresco vinificano le uve dei cru Ovello, Loreto e Cavanna. Ultimo in commercio, Barbaresco 2020 è un rosso strutturato color rubino e riflessi granati, al naso etereo e ampio, con sentori di viola, in bocca elegante ma potente. Accompagna nobilmente piatti di selvaggina e formaggi importanti. www.deforville.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 143
Piemonte DOC Grignolino e Piemonte DOC Albarossa Tenuta Foresta, Barbaresco 2020 De Forville.

Bicerin, il caffè di Torino dal 1763

di Nunzia Manicardi

Non si può andare a Torino e non bere un, almeno un bicerin, la calda bevanda al caffè che da più di 250 anni è uno dei simboli della città che fu capitale d’Italia. Conquistò fin da allora anche i visitatori italiani e stranieri che ne hanno lasciato commenti entusiastici, come nel caso del celebre scrittore francese

ALEXANDRE DUMAS. E, tra gli estimatori più illustri, come non ricordare il torinese CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR, che fu uno dei più importanti tra i “padri fondatori” dell’Italia unitaria?

La bevanda nacque nello storico “Caffè Al Bicerin”, che acquisì il medesimo nome dopo il successo della bevanda e che ancora oggi, dopo oltre due secoli e mezzo, lo conserva con immutato successo. Era infatti il 1763 quando Giuseppe Dentis aprì la sua bottega davanti all’ingresso del Santuario della Consolata, posizione strategica che portò grande fortuna tanto al locale quanto al bicerin, instaurando così un legame indissolubile con la chiesa che i torinesi chiamano semplicemente “Consola”. La nuova miscela, come si legge nel sito del Caffè (bicerin.it), diventò presto il sostegno ideale per i fedeli che, usciti da messa dopo il digiuno per la comunione, trovavano nel bicerin un dolce ed energetico conforto. Lo stesso valeva nel periodo di Quaresima perché, non essendo la cioccolata calda considerata “cibo”, poteva essere assunta senza indugi anche durante il digiuno prescritto. Inoltre non contiene alcol.

Dal caffè davanti alla Consolata la bevanda si diffuse anche negli altri locali della città, diventando addirittura uno dei simboli di Torino, tanto che nel

2001 la Regione Piemonte l’ha inserita nell’Elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali del Piemonte, riconoscendola come bevanda tradizionale piemontese; da lì è entrata poi nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) italiani. Viene servita in un piccolo bicchiere di vetro trasparente, appoggiato sul classico piattino da caffè, da cui prende il nome che in piemontese significa appunto “bicchierino”.

Anche se gli ingredienti sono soltanto tre, ogni locale ha la sua ricetta segreta. Segreta, in particolare, è quella della crema di latte, particolarmente dolce, densa e gustosa. Ma il vero segreto per assaporarlo al meglio è non mescolarlo, lasciando che le sue varie componenti si fondano tra di loro direttamente sul palato, con le loro differenti densità, temperature e sapori. Per ottenere un buon bicerin, però, non è sufficiente unire i tre ingredienti base che, ripetiamo, sono caffè, cioccolata e crema di latte, ma “ci vogliono le migliori materie prime e tanta pazienza”, leggiamo ancora dal sito del Caffè Al Bicerin. “La nostra cioccolata — preparata con cacao selezionati di agricoltura sostenibile di Costa d’Avorio, Ghana, Camerun, Brasile e Indonesia — cuoce lentamente per ore in particolari pentole di rame per avere un basso punto di acidità e aromi integri. Anche il caffè è speciale: per rispettare la ricetta originale è necessario che abbia quella certa liquidità (un tempo non esistevano le macchine per l’espresso) che si ottiene solo con miscele leggere ed aromatiche”. La ricetta originale i titolari del locale invece non la vanno certamente a pubblicare: se la tramandano di generazione in generazione, in totale riservatezza.

Il bicerin, tuttavia, non è nato dal nulla ma come evoluzione della settecentesca bavareisa, una bevanda allora di gran moda che veniva servita in grossi bicchieri e che era fatta di caffè, cioccolato, latte e sciroppo.

Il rituale del bicerin prevedeva all’inizio che i tre ingredienti fossero serviti separatamente, ma già nell’Ottocento furono riuniti nel piccolo bicchiere senza manico in cui poi veniva servito e gustato. Inizialmente era proposto in tre varianti: pur e fiur (simile all’odierno cappuccino), pur e barba (caffè e cioccolato),’n poc ’d tut (“un po’ di tutto”, con tutti e tre gli ingredienti). Quest’ultima formula fu quella di maggiore successo e finì per prevalere sulle altre, arrivando integra ed originale ai nostri giorni e prendendo il nome dal bicerin stesso, consegnandoci una bevanda diventata storica anche perché unisce tre invidiabili capacità: resistere al freddo, al sonno e alla sottile malinconia che, soprattutto negli inverni più freddi e nebbiosi, pervade la bella città.

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 144 BEVANDE

ANTICA CORTE PALLAVICINA

Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO”

43010 Polesine Parmense (PR)

Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416

www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.

Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.

CSB-System: ERP specifico per le aziende di lavorazione carne

Quali funzionalità sono davvero importanti e perché scegliere un ERP specifico di settore?

1. Acquisizione flessibile ed integrata dei dati nel punto in cui si opera Grazie alla raccolta dei dati lungo la filiera proprio là dove questi sono generati, l’ERP CSB-System aiuta a strutturare i processi e ottimizzare i flussi di lavoro, così da massimizzare l’efficienza della produzione, del magazzino e della logistica. Nell’industria della carne, indipendentemente dal tipo di lavorazione, l’hardware destinato all’acquisizione dei dati deve far fronte a condizioni particolari come la bassa temperatura dei locali, l’umidità o gli spruzzi d’acqua. I PC industriali CSB Rack sono stati progettati proprio per operare in queste condizioni e vengono solitamente

posizionati nelle aree di ricevimento merci, macellazione, sezionamento, produzione e confezionamento.

Per quanto riguarda invece il magazzino e la logistica, l’ERP CSB-System supporta qualsiasi tipo di dispositivo mobile di raccolta dati, dalla scansione dell’auricolare del capo vivo fino alla registrazione del prodotto in uscita. Vale a dire che i dati raccolti da questi dispositivi confluiscono direttamente nel CSB-System senza interruzioni nel processo, eliminando ritardi e potenziali errori causati dai doppi inserimenti manuali per garantire una rintracciabilità senza lacune.

2. Chiara pianificazione della produzione

La pianificazione della produzione è un elemento cruciale per le aziende del settore carne perché è parte della gestione operativa. Già la pianificazione

dell’acquisto di animali vivi tiene conto delle capacità della linea di macellazione: tutte le informazioni inserite a partire dall’arrivo dei capi vivi e proseguendo con abbattimento, esame veterinario, classificazione fino al carico a magazzino, sono completamente integrate nel sistema, riducendo così al minimo la documentazione cartacea. Lo stesso vale per il processo di sezionamento: la sua pianificazione è supportata in maniera completa dal CSB-System con l’obiettivo di una maggiore trasparenza nel confronto tra preventivo e consuntivo. Gli ordini di produzione sono visualizzati graficamente su diversi orizzonti temporali (ad esempio, visualizzazioni giornaliere e settimanali).

Grazie al drag and drop, possono essere riprogrammati su altre macchine e ottimizzati automaticamente, tenendo conto delle sequenze di produzione definite (prima i prodotti biologici, poi i convenzionali e alla fine gli allergeni). A seconda del tipo di animale (pollame, suino, bovino, ovino, caprino, equino), tutti i costi risultanti e gli esami veterinari effettuati sono orientati alla partita o associati al singolo animale, in modo tale che questi possano essere contabilizzati, visualizzati ed analizzati. Inoltre, la gestione allevamenti fornisce tutte le informazioni riguardanti l’ingrasso dei capi allevati e la registrazione di tutti i provvedimenti adottati con i relativi costi di allevamento.

3. Accesso mobile ovunque Durante la pandemia, l’industria della carne si è trovata di fronte ad una nuova sfida: l’home office e l’accesso all’ERP aziendale lontano dalla sede operativa. CSB-System archivia in cloud in tempo reale i dati, indipendentemente dal luogo in cui questi sono generati, e

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 146 TECNOLOGIE
Fase di produzione al CSB Rack.

anche i documenti archiviati possono essere consultati ovunque e in qualsiasi momento. Ogni dipendente, sia in sede che da casa, può accedere ai dati relativi agli acquisti, alle vendite agli articoli, ai clienti e ai fornitori.

4. Collegamento alle macchine tramite sistemi MES

A prescindere dal prodotto finale, i processi di produzione dell’industria della carne sono fortemente orientati alle macchine e agli impianti. Con l’avvento dell’Industria 4.0, la quantità di dati proveniente da questi impianti è diventata enorme. I sistemi di esecuzione e controllo della produzione (MES) sono diventati indispensabili. Il MES è parte integrante dell’ERP CSB-System: visualizza i dati della macchina, l’acquisizione dei dati di produzione e la pianificazione delle risorse e, sulla base di queste informazioni, consente il controllo ed il monitoraggio dei processi produttivi in tempo reale. Questo consente alle aziende di intervenire tempestivamente in caso di problemi per evitare tempi di inattività non pianificati. I dati chiave mappati da un sistema MES che indicano la disponibilità e l’efficacia complessiva degli impianti sono noti come OEE.

5. Manutenzione predittiva per non avere intoppi

I produttori di impianti sono impegnati nell’ampliamento dell’automazione

dell’industria alimentare. Oltre all’interfaccia OPC UA si stanno sviluppando interfacce standardizzate che armonizzano ulteriormente l’elaborazione dei dati precedentemente eterogenea. Queste interfacce forniscono anche la trasparenza necessaria e il trasferimento automatizzato dei dati ai sistemi ERP. Il collegamento in rete e la presentazione dei KPI nel CSB-System consente una manutenzione predittiva e orientata al processo produttivo. Obiettivi come la riduzione delle riparazioni non pianificate e dei tempi di riparazione diventano facilmente raggiungibili.

6. Ottimizzazione basata su statistiche e cifre chiave L’ERP CSB-System consente di creare statistiche e report liberamente definibili in qualsiasi area aziendale. Basti pensare al valore aggiunto di poter incrociare i costi di acquisto (costi di allevamento e ingrasso, oppure prezzo del vivo, provvigioni intermediari, trasporto vivo, e così via), i dati di macellazione (cali peso, rese di macellazione, classificazione, costi dei macchinari, costi di smaltimento, capacità della catena di macellazione), e i dati di produzione (valorizzazione delle distinte di taglio, rese di lavorazione, costi dei macchinari, personale, tempi e tipi di lavorazione) con i dati derivanti dalla contabilità industriale (ammortamenti macchinari, costi reparto acquisti, costi reparto com-

merciale, costi di magazzino, logistica e amministrazione), tenendo sempre conto anche di tutte le condizioni dirette applicate (ad esempio, sconti e abbuoni) nella vendita a terzi o nella fatturazione del servizio di macellazione conto terzi. Lo sforzo di produzione può essere così ridotto e la qualità del prodotto migliorata; i costi si diminuiscono e il servizio al cliente aumenta.

Il risultato ottenuto sarà che in qualsiasi momento si sarà in grado di stabilire rapidamente e con assoluta precisione il prezzo reale delle materie prime, il prezzo industriale, il punto di pareggio e il prezzo minimo di vendita consigliato. Si potranno, inoltre, impostare statistiche personalizzate, che costituiranno la base per la valutazione dei fornitori, degli animali da macello e della produttività dell’azienda.

Il CSB-System possiede il know-how di settore

Ultimo ma non meno importante, il CSBSystem è tagliato su misura per il settore carne. Oltre ai requisiti e alle specifiche legali, il CSB-System registra i dati in modo trasparente e flessibile lungo la catena di approvvigionamento; gestisce aree della filiera come gli allevamenti, la macellazione, il sezionamento e la produzione, l’imballaggio e il picking, e la spedizione. Dispone della gestione integrata della qualità, della manutenzione ed include numerose altre funzioni che supportano tutte le sfide specifiche del settore. Ecco perché è importante avere un partner IT con il giusto knowhow di settore.

Referente:

• Dott. A. MUEHLBERGER

CSB-System Srl

Via del Commercio 3-5

37012 Bussolengo (VR)

Telefono: 045 8905593

Fax: 045 8905586

E-mail: info.it@csb.com

Web: www.csb.com

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Ottimizzazione impiego materie prime e risorse umane grazie all’ERP CSB-System.

CON TRACK ALIMENTI

UN’INTERA FILIERA RACCHIUSA IN UN UNICO FLUSSO DI INFORMAZIONI

DAL CHICCO DI GRANO ALLA CONFEZIONE DI PASTA

Track Alimenti è una soluzione software verticale che l’azienda Zuffellato Technologies ha creato per soddisfare tutte le esigenze che riguardano la tracciabilità delle operazioni di trasformazione e commercializzazione di prodotti alimentari.

Track Alimenti è perfettamente integrabile con i sistemi ERP aziendali, inclusi quelli per la gestione della contabilità. Il software permette di gestire l’intero flusso delle informazioni tramite ricette, in cui si tiene traccia di tutti i passaggi dall’arrivo della merce alle fasi di lavorazione fino alla vendita.

Permette quindi di ottimizzare i processi di supply chain, riducendo gli sprechi e migliorando la sostenibilità di tutto il processo produttivo.

I benefici per l’ottimizzazione dei fattori produttivi ottenuti dai software di tracciabilità sono molteplici: * riduzione dell’utilizzo di input;

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 148

* riduzione del tempo di impiego dei macchinari;

* riduzione delle ore di lavoro, sia manuale che intellettuale;

* minore variabilità della produzione e conseguente aumento dello stesso miglioramento nelle caratteristiche del prodotto, visibili e non valorizzazione commerciale dei dati raccolti.

Tutto questo viene raggiunto anche grazie all’esperto di tracciabilità che Zuffellato Technologies può mettere a disposizione dei suoi clienti.

«Le aziende alimentari — come spiega Enrico Zuffellato, CEO di Zuffellato Technologies — hanno bisogno di dialogare con qualcuno che parli la loro lingua, che è diversa da quella del settore metalmeccanico o da quello della moda. Zuffellato Technologies parla quella lingua da 20 anni, perché da decenni ormai lavora in questo ambito.

Un esperto di tracciabilità si rapporta con il cliente, ascolta le sue esigenze ed è in grado di rispondere alle sue richieste. Da sempre particolarmente attenta alle evoluzioni tecnologiche, con Track Alimenti Zuffellato Technologies porta questa esperienza all’interno del settore alimentare, anche in quelle realtà più di nicchia che hanno esigenze particolari. I software normali non possono rispondere con così tanta precisione e attenzione alle necessità dei clienti. Gli esperti di tracciabilità possono plasmare il software Track Alimenti, in altre parole cucirlo addosso ai bisogni del cliente, possono aiutare ad imparare ad usare al meglio questo strumento per controllare la tracciabilità e renderla a prova di controllo».

Le aziende hanno l’obbligo di legge di fornire la rintracciabilità, perché questo assicura che in caso di problemi con un prodotto sia sempre possibile risalire alla sua provenienza.

Track Alimenti può essere utilizzato proprio per la tracciabilità di componenti e ingredienti impiegati nella lavorazione di pasta, dolci, piatti pronti. In particolare, è adatto a mulini, pastifici, biscottifici, produttori di mangimi, industrie alimentari. Prendiamo ad esempio il suo utilizzo all’interno di un mulino: con il software si riesce a gestire l’arrivo della materia prima, ovvero del grano, identificando anche da quale campo arriva e poi

in quale silos viene stoccato. E poi si monitorano i suoi spostamenti futuri: dal momento in cui esce da quel silos e viene spedito alla lavorazione viene sempre controllato, in ogni passaggio, dalla lavorazione per la produzione della farina fino al pastificio, per arrivare alla confezione di pasta. Con Track Alimenti si può tenere traccia di tutto, partendo dal campo, fornendo così garanzia assoluta di qualità

In un panorama caratterizzato da una costante evoluzione tecnologica, Zuffellato Technologies si conferma come punto di riferimento nel settore agrifood, proiettando la propria visione verso il futuro. Il software Track si evolve continuamente sulla spinta delle più innovative soluzioni software presenti sul mercato, tra cui spiccano l’intelligenza artificiale e il full cloud.

Ciò che contraddistingue questo prodotto è la sua straordinaria accessibilità, che supera ogni limitazione legata ai dispositivi e alle loro capacità, aprendo le porte a un vasto pubblico di utenti.

Zuffellato Technologies è sempre in evoluzione come il mondo che la circonda e anche il software Track Alimenti sta andando incontro al futuro

>> Link: www.trackanyfood.com

>> Link: www.zuffellato.com

Zuffellato Technologies

Via Bela Bartok 12

44124 Ferrara

Telefono: 0532 904711

E-mail: info@zuffellato.com

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 149
Track Alimenti può essere utilizzato proprio per la tracciabilità di componenti e ingredienti impiegati nella lavorazione di pasta, dolci, piatti pronti. In particolare, è adatto a mulini, pastifici, biscottifici, mangimifici e industrie alimentari.

FB ENGINEERING: E SONO 25!

Fondata nel 1999, oggi la società carpigiana consolida esperienza e raccoglie i frutti di anni di lavoro con il riconoscimento di una professionalità fondata sulla creazione di un valore aggiunto che rafforza processi e business di Elena Benedetti È

un bel traguardo quello dei 25 anni di attività per un’azienda caratterizzata da un tasso di crescita a doppia cifra, con all’attivo 30 dipendenti, un prodotto di core business — il software gestionale Sussidiario — customizzato “su misura” del cliente e già implementato in centinaia di medie e grandi aziende dell’industria alimentare.

Era il 1999 quando Fabio Bulgarelli e Cristina Veneri fondarono FB Engineering a Carpi, Modena. Un territorio da sempre vocato a produrre innovazione e soluzioni sempre più smart in ambito di meccanica, motoristica e di processi automatizzati. «In questi anni abbiamo consolidato un’esperienza importante e aiutato centinaia di aziende a mettere a punto soluzioni integrate nei loro processi produttivi» mi dice Fabio Bulgarelli. «Questo sicuramente grazie alla competenza sviluppata nel settore, quello del comparto alimentare; grazie anche alla flessibilità del nostro prodotto e, sicuramente del nostro approccio empatico nel cercare di comprendere le esigenze del cliente, la sua visione dei processi e la sua attitudine al cambiamento che può differire parecchio tra realtà e realtà. E, non ultimo, parametrizzando il sistema per soddisfare le sue richieste e portare risultati. La nostra mission è sempre stata chiara: mantenere una visione e un approccio totalmente flessibili per adeguare il prodotto alle esigenze del cliente» precisa.

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Il core business di FB Engineering è Sussidiario, software gestionale destinato a medie e grandi aziende del Food & Beverage. Un prodotto che aiuta le aziende a sviluppare soluzioni progettuali “su misura” totalmente integrate all’interno della produzione tra vari processi e strumentazioni esistenti (in foto, la sede di Carpi e, in basso, Fabio e Giacomo Bulgarelli con Cristina Veneri).

Il tutto, aggiungo io, in un contesto di continua crescita ed evoluzione dell’azienda

Oggi infatti in sede incontro anche il figlio Giacomo Bulgarelli, 28 anni, una laurea in Economia aziendale e Management in Bocconi e tre anni di esperienza in ingegneria dei processi in un’altra realtà e in FB Engineering dalla scorsa estate. «I clienti hanno colto questo processo di continuità aziendale come un valore aggiunto» sottolinea Fabio Bulgarelli.

Si sa, le aziende familiari spesso si trovano di fronte alla sfida di integrare esperienza e nuove tecnologie. Il passaggio generazionale permette di trasmettere non solo conoscenze e competenze consolidate nel tempo, ma anche di introdurre nuove idee e approcci innovativi.

Questa combinazione può risultare cruciale per garantire la continuità e la competitività dell’azienda nel contesto attuale.

Inoltre, il coinvolgimento delle nuove generazioni può portare ad una maggiore apertura al cambiamento e alla sperimentazione, elementi fondamentali nell’arena sempre più dinamica del mercato globale.

Il dialogo tra le generazioni può favorire lo sviluppo di nuove strategie e modelli di business, consentendo all’azienda di adattarsi ai rapidi cambiamenti del panorama economico e tecnologico.

«L’idea è quella di costruire una realtà che non dipenda più interamente dai soci fondatori.

Nel corso di questi anni abbiamo cresciuto figure che oggi hanno ruoli importanti. Adesso abbiamo tanti giovani, forze e idee nuove» aggiunge Cristina Veneri.

«Il nostro obiettivo è mantenere un trend di crescita allargandoci ad altre realtà del mondo agroalimentare» sottolinea Fabio Bulgarelli. «Il core business oggi è nel comparto delle carni e dei salumi, ma operiamo in quello di formaggi, pasta, piatti pronti, seguendo l’evoluzione del mercato».

«In particolare, nel mondo della salumeria ci siamo focalizzati molto su aspetti qualitativi gestiti in maniera informatica. Oggi i controlli legati al mondo della qualità (analisi, salubrità, certificazioni, materie prime, ecc…) sono integrati nella produzione. In altre parole, abbiamo integrato nel nostro software la parte qualitativa» precisa Giacomo Bulgarelli.

È una bella sfida quella che attende FB Engineering per il prossimo futuro. D’altra parte, per una società che investe il 20% delle entrate in Ricerca & Sviluppo e nella formazione dei propri dipendenti l’approccio non può che essere quello giusto.

«In Italia la cultura aziendale nel comparto agroalimentare può differire parecchio da un’azienda all’altra. Il problema è modulare il prodotto e ren-

derlo flessibile adeguandolo alla realtà di ogni cliente, accompagnandolo nel suo percorso di crescita.

Col nostro lavoro, che entra nel cuore dei processi dei vari business, siamo in grado di supportare e di dare consigli importanti» sottolinea Cristina Veneri.

«Siamo un’azienda squisitamente italiana e capitalizziamo su un approccio aziendale che ha alla base creatività e flessibilità. Insomma, siamo molto italiani!» aggiunge Giacomo Bulgarelli «È una bella sfida. Non c’è che dire!» conclude con un sorriso Fabio Bulgarelli.

FB Engineering Srl

Via Cattani Sud 67

41012 Carpi (MO)

Telefono: 059 643680

E-mail: info@fb-engineering.it

Web: www.fb-engineering.it

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STÉPHANE REYNAUD

ù e dei piatti da lucidare

Guido Tommasi Editore

Collana: Illustrati

480 pp. – € 45,00

ANGELO PERETTI

Esercizi spirituali per bevitori di vino

Edizioni: Ampelos

288 pp. – € 25,00

TRISTAN SICARD

Atlante dei formaggi

Origini, territori e abbinamenti

Guido Tommasi Editore

Collana: Illustrati

272 pp. – € 28,50

Bistrotier è un libro generoso con i ricordi, strabordante di ricette, di immagini dall’aspetto rustico e rincuorante, denso di suggerimenti per scegliere i vini che esaltano i piatti proposti. Tra le sue pagine sentirete vibrare la tradizione, quella fatta di cucina viva, di piatti gustosi e di facile esecuzione, a base di carne e di verdure, ma senza dimenticare la poesia dei frutti di mare che, come un ponte tra le vacanze dimenticate dell’estate appena trascorsa e quelle sognate della prossima, vi farà desiderare di rimanere a tavola il più a lungo possibile.

È cucina da osteria, da ristorante, da tavola calda, da enoteca o da caffetteria? In Bistrotier troverete un po’ di tutto questo, condito dalla consapevolezza che il cibo preparato per una clientela che non si aspetta e non desidera troppi fronzoli saprà mettere a proprio agio ogni tipo di commensale. È per questo che il bistrot rimane un luogo fuori dal tempo, dove si brinda con caffè e vino insieme già alle sette di mattina, un luogo di scambio dove ognuno può esistere e trovare il proprio posto e da dove è difficile andar via o sentirsi esclusi.

Generalmente, il vino è oggetto di manuali tecnici e di guide alla degustazione. È invece raro che costituisca la prospettiva lungo la quale interpretare i pensieri, le azioni degli esseri umani e le necessità dei loro corpi, delle anime e delle menti. La riscoperta dei contenuti emozionali e intellettuali — ossia “spirituali” — del bere e del vivere è l’obiettivo che ANGELO PERETTI propone al lettore attraverso 90 brevi “esercizi” mentali a cavallo tra narrativa e saggistica. Con logica e ironia, l’autore aiuta a riconoscere e sfatare i luoghi comuni che si sono stratificati a tal punto da inibire il godimento libero, immediato e spontaneo del vino. In particolare, le regole da iniziati e le pose ostentate da quei sedicenti intenditori che si ergono a sacerdoti dell’enologia vengono smantellate una ad una restituendo al bevitore il piacere di un gesto naturale come il condividere un bicchiere di vino con le persone care. E per chi poi volesse approfondire le proprie “esercitazioni” attraverso il calice, Peretti suggerisce per ciascun capitolo due vini, uno italiano e uno estero, coerenti col contenuto narrato.

Perché il Camembert della Normandia è bianco? Da dove viene “l’odore di formaggio”? Perché l’Emmental ha i buchi? Finalmente le risposte a tutte le domande possibili e immaginabili riguardo al mondo dei formaggi. Interamente illustrata e commentata, quest’opera descrive oltre 450 varietà internazionali di formaggio, scendendo nel dettaglio delle origini, dei territori di provenienza e degli accompagnamenti a tavola. Un atlante completo per approfondire le proprie conoscenze sulle razze bovine da latte, riconoscere i differenti tipi di formaggio (fresco, a crosta naturale, a pasta pressata, a pasta molle), scoprire le varie denominazioni (DOC, DOP, IGP) e, grazie ad un’accurata cartografia, scovare i produttori migliori, conoscendone la storia, le curiosità e i segreti. Il mondo del formaggio come non l’avete mai visto

Premiata Salumeria Italiana, 2/24 152 TRE LIBRI
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