Psicologia dell'informazione e del giornalismo

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Stefano Paolillo

Psicologia dell’informazione e del giornalismo

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Prima Edizione: 2017 ISBN 9788899566180 © 2017 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di ottobre 2017 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)

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Indice

Capitolo 1 - Il nostro rapporto col giornalismo

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1.1 L’importanza delle informazioni 1.2 La nostra infosfera 1.2.1 La comunicazione 1.2.2 I nostri sensi, le porte delle informazioni 1.2.3 Le informazioni e la ricerca dei nessi nel nostro cervello 1.2.4 Le conferme di ciò che sappiamo: feedback e società 1.2.5 Le bufale della nostra mente, ovvero del pensiero euristico

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1.3 La comprensione e la fruibilità delle notizie 1.3.1 Codici e linguaggi 1.3.2 I contesti fanno la comprensione 1.3.3 Pragmatica dell’informazione: usare ciò che sappiamo e non solo accumulare

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1.4 Le (dimenticate) premesse del giornalismo 1.4.1 Il giornalismo: definizioni dall’interno 1.4.2 Le distorsioni del giornalismo secondo i giornalisti 1.4.3 La critica dalla società

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1.5 La comprensione e la sfruttabilità delle informazioni

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Capitolo 2 - L’informazione tra giornalismo e psicologia

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2.1 Storia (psicologica) del giornalismo 2.1.1 La storia cronologica 2.1.2 Storia del giornalismo con gli occhi dello psicologo 2.1.3 La differenza tra chi fa informazione e chi fa il giornalista 2.1.4 I fruitori, tra informazioni e notizie

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2.2 – Funzioni e linguaggi giornalistici 2.2.1 Tra pubblico ed editore/direttore 2.2.2 Quante occupazioni diverse racchiuse nella parola “giornalista” 2.2.3 Criteri di notiziabilità 2.2.4 Linguaggi e media vettori 2.2.5 Gerarchie delle notizie 2.2.6 La forma della comunicazione e dell’informazione

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2.3 Giornalismo e tecnologia: dalla carta stampata agli smartphone

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2.4 L’user-generated content, il web journalism, il citizen journalism

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2.5 Una psicologia per l’informazione, ovvero la persona al centro della funzione della notizia 2.5.1 Fame cognitiva: la conoscenza ed i progetti, ovvero, quando servono le informazioni 2.5.2 Dimensioni psicologiche personali: bisogno e motivazione, curiosità, gratificazione e stupore, frustrazione, paura, pensiero euristico, empatia e narcisismo 2.5.3 Dimensioni psicologiche dei gruppi: gerarchie, potere, confronto, compromessi, affiliazione, accumulo, memoria collettiva, opinione pubblica, persuasione, infotainment e spinning 2.5.4 L’appartenenza: identità del Sé, comportamenti prosociali, adesione alle ideologie, i linguaggi, vergogna e senso di colpa 2.5.5 La variante della globalizzazione sui corsi e ricorsi della storia (del giornalismo) Capitolo 3 - Giornalismo psicologico 3.1 La visione psicologica delle notizie e lo psicologo informatore 3.1.1 Cosa differenzia uno psicologo da un giornalista 3.1.2 Criteri psicologici della notiziabilità e nuova classificazione 3.1.3 Come analizzare una notizia da psicologo 3.1.4 Come “trattare” una notizia da psicologo 3.1.5 Relazionarsi in cerca di notizie: dalle interviste alla prossemica

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3.2 Primo esempio di psicologia dell’informazione: “Altre Visioni” 3.2.1 Le migliori interpretazioni psicologiche delle notizie apparse nella rubrica del Tg3

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3.3 Il secondo esempio di psicologia dell’informazione: il Premio d’Informazione “Articolo 11” 3.3.1 Il primo anno del Premio

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Capitolo 4 - Qualche considerazione finale

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Ringraziamenti

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Bibliografia ampliata

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Articoli, post e video dal web

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Capitolo 1

Il nostro rapporto col giornalismo

Noi che viviamo nel mondo che ci ha lasciato il Novecento abbiamo la sensazione di essere ormai oberati di informazioni. Tale è la quantità di informazioni e notizie che ci arrivano attraverso tutti i dispositivi elettronici, che i vecchi media giornali, libri, radio e tv – sembrano lenti ed obsoleti. Il Novecento, appunto, ha avuto tra le sue caratteristiche peculiari l’esplosione dell’Informazione. Gli inizi del secolo scorso erano punteggiati ancora dal ticchettìo del telegrafo che, finalmente, accorciava il mondo. Le macchine di stampa diventavano sempre più efficienti, sfornando migliaia di copie di quotidiani e riviste che scatenavano dibattiti politici ed etici, come anche pettegolezzi e volgari diffamazioni. Ma il Novecento ha visto anche guerre e dittature che addomesticavano le informazioni o, al contrario, le nascondevano. Ha visto l’affermazione in Europa delle democrazie che – come nel caso dell’Italia – si sono a volte trasformate in telecrazie. Nugoli di parole hanno avvolto tutto, hanno offuscato ciò che poteva essere chiaro, imponendoci un’idea del mondo assimilabile ad una marca, ad un brand. In questo tumultuoso percorso, i giornalisti di tutto il mondo hanno provato a dare informazioni, o almeno questa era l’intenzione di partenza. A volte riuscivano nell’intento, altre volte non erano efficaci: altre volte ancora si prestavano all’addomesticamento da parte del Potere. Alcuni di loro, rigorosi fino all’in9

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corruttibilità, erano incarcerati, torturati, uccisi. Altri ancora si ritrovavano stretti tra l’etica e “la pagnotta”. In questo tumultuoso secolo, quindi, abbiamo lentamente acquisito la convinzione che l’informazione sia un diritto, al pari della libertà di opinione. Lo testimonia la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e dei cittadini” dell’Onu: Art. 19: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. O come scritto già nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (1789) scritta durante la Rivoluzione Francese, fino a quella varie dichiarazioni redatte all’Onu, si è fatta strada nella cultura planetaria la convinzione che (innanzitutto) l’Informazione esiste e (poi) che dovrebbe essere un diritto.

1.1 L’importanza delle informazioni L’infosfera globale è fatta dell’insieme delle informazioni producibili e interpretabili. Definire cosa è un’informazione è impegno non facile e molte teorie vi hanno provato, siano esse psicologiche, sociologiche, semiologiche, storiche o altre ancora. Una delle possibili definizioni è che un’informazione è tale se è segno di qualcosa. Una striscia scura sull’asfalto può essere segno di una frenata, quindi ci fornisce un’informazione su quel tratto di strada utile a formulare un’ipotesi: in quel tratto le auto corrono. La formulazione delle ipotesi è un’attività della parte più evoluta della nostra corteccia cerebrale e, più esattamente, è quel processo di pensiero che ci consente di migliorare i nostri comportamenti: esso è alla base dell’apprendimento. Più informazioni usiamo nella formulazione della nostra ipotesi, più 10

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avremo possibilità di avere un’adeguata risposta, una reazione comportamentale efficace. Un paio di esempi. Sul tratto di strada a cui accennavo prima, quella con i segni degli pneumatici, posso osservare se la carreggiata è larga, con quale frequenza e velocità passano le auto, quanta visibilità c’è e se avverto rumori particolari: a quel punto decido se attraversare. Oppure, poniamo il caso che devo pianificare l’acquisto di una nuova auto. Cercherò informazioni sulle varie caratteristiche tecniche, sui consumi, sulla reperibilità e sui costi; ma anche tenendo conto delle informazioni che già ho, terrò in considerazione l’uso che voglio farne, la durata auspicata, le possibilità di parcheggio dove abito, quante persone conto di portarci e così via. Le informazioni, già da quelle più elementari, ci sono indispensabili, ma a patto di comprenderle: se una persona mi dice qualcosa ed io non lo capisco, non ci sarà stata un’acquisizione completa di informazioni; al limite avrò capito che quella persona voleva comunicarmi qualcosa, che non capisco la sua lingua e, soprattutto, che mi mancano delle informazioni. Esiste un aspetto ancora che va considerato nel caso in cui vi sia una trasmissione delle informazioni, ovvero che esse saranno tanto più utili quanto più saranno esatte, corrispondenti alla realtà. Nella nostra vita le informazioni passano a migliaia ogni giorno. La maggior parte di esse le lasciamo andare perché non ci interessa trattenerle, memorizzarle. Il nostro cervello lavora seguendo ferreamente il principio di economia, per cui cerca di ottenere il massimo col minimo sforzo. Tutte le informazioni, semplici o complesse che siano, passano attraverso una sorta di filtro che ne valuta l’importanza. Nell’attimo in cui stiamo attraversando la strada di prima, con le tracce degli pneumatici, tutte le informazioni che i nostri sensi recepiscono vanno a 11

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comporre il quadro di valutazione per formulare l’ipotesi sul nostro attraversamento. Nella nostra mente simuliamo l’azione e, se soddisfatti, andiamo. Tutte le informazioni che abbiamo usato non servono più e, quindi, non vengono immagazzinate. Forse tratterremo solo quella dei segni degli pneumatici perché sono il segnale di un pericolo che c’è stato. Nella nostra mente immaginiamo il momento della frenata e lo stridìo degli pneumatici. Immaginiamo addirittura lo spavento che avremmo provato in quel momento. Proprio quest’ultimo è il processo più importante per fissare in memoria le informazioni: legandole ad un’emozione. Tanto più forte sarà l’emozione legata ad un’informazione, tanto maggiore sarà la forza con cui si fisserà nella nostra memoria. Quanto più forte sarà fissata questa informazione, tanto più facile sarà farcela tornare in mente al momento opportuno. Tutte le informazioni che noi immagazziniamo non vengono buttate a caso, come fosse roba vecchia in cantina, ma vengono tutte fornite di link così che tra loro vi siano dei nessi che le colleghino reciprocamente. In questo modo – come spesso ci capita di sperimentare – una volta recuperato il ricordo di un’informazione ci tornano in mente tutte quelle che abbiano un nesso con la prima. Se devo cucinare la pasta alla carbonara, la prima cosa che mi verrà in mente sarà sapere per quante persone dovrò farla. Poi ripescherò dalla memoria le informazioni relative agli ingredienti e, dopo aver verificato quali di questi ho già e quali andranno comprati, mi troverò di fronte ad alcune decisioni da prendere: pancetta o guanciale, parmigiano o pecorino? Richiamo altre informazioni sulle opinioni dei miei ospiti in proposito oppure sulle dispute tra chi professa una cucina rigorosa della tradizione e, quindi, propendo per guanciale e pecorino. Per andare a comprare questi ingredienti dovrò recuperare tutte le informazioni sui negozi in cui acquistare, il traffico a quell’o12

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ra, i prezzi abituali di quegli ingredienti. Tornato a casa dovrò ricordare quante persone verranno, a che ora e come sistemarle al tavolo (teniamo lontani quei due che non si sopportano) così da poter pianificare i tempi di realizzazione e far sì che sia tutto pronto al momento giusto. Per finire, vista la nostra passione tutta italiana di parlare a tavola di cibo, potrò comunicare a tutti le informazioni usate per la mia carbonara: ma anche tutte quelle che mi verranno in mente che sono collegate, per poter scambiare impressioni e commenti (altre informazioni) con i miei amici. Le informazioni, quindi, vengono immagazzinate per poter essere recuperate al momento giusto. Non solo. Quando dobbiamo valutare qualcosa, allarghiamo l’ampiezza del recupero per avere a disposizione quante più informazioni possibili. Se il quadro complessivo che ne viene fuori ci soddisfa, tiriamo la nostra conclusione, prendiamo la nostra decisione, procediamo all’azione. Se, invece, avvertiamo che le nostre conoscenze non sono sufficienti, allora andiamo a cercarle. Tutto questo lavoro di riconoscimento e sistemazione delle informazioni mi porta ad elaborare nella mia mente una sorta di mappa; anzi più mappe. Le mappe cognitive – appunto – sono un sistema che si forma nella nostra mente in grado di acquisire informazioni relative all’ambiente circostante e di integrarle in una rappresentazione neuronale per la costruzione di una mappa mentale costantemente aggiornata. Su queste mappe ci muoviamo abitualmente per stabilire come muoverci nel mondo, come risolvere i problemi e migliorare la nostra vita.

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1.2 La nostra infosfera 1.2.1 La comunicazione

Intorno al termine “comunicazione” si aprono delle praterie di significati. Comunicare è un’azione talmente importante nella nostra vita che assume delle valenze in virtù degli ambiti, delle occasioni e delle modalità che affrontiamo. Il termine deriva dal latino “communicare” ossia mettere in comune ed a sua volta è generato dal termine “commune” (cum=insieme e minis=ufficio/incarico/dovere/funzione: perciò potremmo riassumere in un “compiere il proprio dovere con gli altri”). Per la comunicazione, quindi, è necessaria la nostra relazione con altri e implica una motivazione nel caso in cui essa sia un atto volontario, un’azione consapevole e deliberata. Ma si può comunicare anche senza esserne coscienti perché la comunicazione è un atto interpretativo. I “segni” in senso semiologico sono elementi della realtà a cui è possibile attribuire dei significati. Mettendo insieme la sequenza dei segni si può “interpretare” le azioni di chi li emette e, quindi, accumulare le informazioni che passano da una parte all’altra. Anche se chi emette dei segni non ne è consapevole. Nella nostra concezione abituale, però, tendiamo a confondere e sovrapporre linguaggio e comunicazione, ma essi non sono esattamente la stessa cosa. Come descrive dettagliatamente Michela Balconi, “la capacità di produrre un atto comunicativo comporta precise assunzioni sulle proprietà simboliche della comunicazione, a partire dall’abilità di operare su unità complesse piuttosto che su singoli elementi, di elaborare e comprendere piani inferenziali, nonché di sviluppare un sistema di regole condivise per gestire lo scambio comunicativo. In particolare, 14

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è indispensabile programmare l’atto comunicativo, avendo cura di organizzare gli elementi informativi in un discorso articolato, nonché di tenere conto dei contesti (specifico e generale) in cui l’interazione ha luogo. L’analisi delle competenze comunicative deve altresì prevedere e spiegare l’acquisizione delle funzioni pragmatiche della comunicazione, la capacità di organizzare sistemi di segnalazione verbali e non-verbali, così come la loro reciproca integrazione. Inoltre, è indispensabile includere nel processo complessivo le specifiche competenze cognitive richieste al parlante, tra cui le funzioni di comprensione dei processi di pensiero (meta cognizione), di cognizione sociale, nonché gli aspetti più complessi dei processi di intenzionalizzazione” [Balconi; 2008]. Il linguaggio è, quindi, solo una parte della comunicazione. Comunicare, nelle vite degli essere umani, è sempre stata la misura del livello di evoluzione di una cultura. Le informazioni sono sempre state scarse e le fonti di queste erano merce pregiata. Questa è stata la motivazione che ha fatto nascere il mestiere del giornalismo. La nascita di un ceto borghese, che usciva dalla rigida divisione tra ceti ricchi e poveri subalterni, ha reso necessario il rifornimento di quante più informazioni possibili, vere e attendibili. La comunicazione delle informazioni tra le persone è diventato il perno nella gestione del Potere. Le nostre democrazie occidentali hanno acquisito in massima parte questa centralità della comunicazione delle informazioni nella vita di una società. 1.2.2 I nostri sensi, le porte delle informazioni

Proviamo ad immaginare. In una grande città, all’alba, quando cominciano ad affluire le auto dei pendolari. Prima lentamente, poi sempre più velocemente. Grandi treni arrivano nelle va15

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rie stazioni e i passeggeri si riversano lungo le banchine prima di sciamare nei punti più disparati della città. Anche al porto i traghetti stanno lasciando sbarcare i camion pieni di merci che servono per approvvigionare tutti gli abitanti. All’aeroporto, infine, atterrano gli aerei che provengono da lontano. Manager, professionisti, turisti e viaggiatori in generale: tutti entrano nella città. Ognuno di questi ingressi in città aiuta al funzionamento di tutto. C’è chi fa manutenzione, chi fa assistenza, chi fa dei progetti, chi gestisce il funzionamento delle strutture vitali. Ecco, i nostri sensi funzionano così. Le informazioni che percepiamo dal mondo che ci circonda entrano e vanno a sostenere tutti i processi decisionali. Fa freddo o fa caldo? Il maglione che indossiamo ha la lana che pizzica? Che consistenza ha la frutta che sto scegliendo? Il tatto ci invia tutte le informazioni su queste ed altre cose. Il rumore che sento che viene dal cofano della mia auto è preoccupante? Una bella musica di Mozart mi rinfranca? Chi mi sta chiamando dall’altra parte della strada? L’udito ci aiuta nello spazio, ci segnala dei pericoli e ci consente di ricevere anche le informazioni “simboliche” del linguaggio. E la torta che abbiamo messo in forno, non starà bruciando dato che si sente questo odoraccio per tutta la casa? Il profumo di questo detersivo è meglio di quello della settimana scorsa? A naso, direi che l’olfatto ci aiuta nelle scelte, anche in modo impercettibile, sotto il livello della nostra consapevolezza. Ma lo sguardo del nostro bambino, dopo che lo abbiamo sgridato per un guaio che ha combinato, ci entra dritto nel cuore. Anche il video che sto girando mi permette di apprezzare la splendida luce di un tramonto. La vista è il senso preminente in noi umani, dei mammiferi “visivi”. Il prevalente, ma non necessariamente il più potente. E si finisce sempre a parlare di cibo, con noi italiani: quanto era saporita quella amatriciana fat16

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ta col guanciale. Come con il cioccolato che non riesco a smettere di mangiare quando comincio. Troppo buono. Un gusto tutto da assaporare, sempre e comunque. I nostri sensi sono i nostri organi di informazione, dalla nascita alla morte. Attraverso le porte dei nostri sensi entrano tutte le informazioni, elementari e complesse, che ci occorrono nella nostra vita. Un’informazione sensata. 1.2.3 Le informazioni e la ricerca dei nessi nel nostro cervello

Così come avviene nel lavoro della redazione di un giornale nel corso della sua impaginazione, tutte le informazioni che sono arrivate dalle varie fonti (i nostri sensi) devono essere “digerite”. Perché questa notizia è importante? Perché questa ne ricorda un’altra che abbiamo pubblicato un mese fa? Quante altre ne abbiamo avute sullo stesso fatto e di quante abbiamo deciso di non tenerne conto? È importante averne ancora su questo argomento o possiamo lasciarlo perdere? E se ne vogliamo ancora, cosa dobbiamo fare per aumentare il flusso di queste informazioni e – magari – quanto ci costa? Ecco che squillano i telefoni, i redattori si alzano vanno a parlare ora col caporedattore oppure col collega di scrivania. Le idee vengono confrontate, soppesate, a volte verificate. Solo alla fine di un complesso – e spesso frenetico – lavoro si decide qualcosa e si fa. Il nostro cervello fa lo stesso lavoro con tutte le informazioni che provengono dai nostri sensi. Attraverso i canali di comunicazione gli stimoli sensoriali giungono in alcune zone del cervello che sono dette zone primarie. Queste sono una specie di schermo su cui le informazioni vengono proiettate. Spetta alle zone secondarie (associative) “ricostruire” lo stimolo e dargli senso. Mentre vengono fatti questi due passaggi, le informazioni si colorano con le emozioni e vengono confrontate con quanto 17

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la memoria mette a disposizione, a seconda del tipo di stimolo. Mi perdonino i neuropsicologi, questo paragone è una sintesi grossolana, ma serve solo per capire che la gestione delle informazioni – sia nel caso della mente di un singolo individuo, sia per un’intera società – non cambia sostanzialmente le modalità di lavoro. Tutto questo flusso continuo di informazioni ci consente di reagire all’ambiente che ci circonda con il comportamento e, tanto più saranno esatte le informazioni che ci mandano i nostri sensi: più il nostro cervello avrà nelle varie memorie le giuste esperienze per i confronti, tanto più adeguato sarà il nostro comportamento. E se il comportamento si rivela efficace, tanto più saremo soddisfatti. 1.2.4 Le conferme di ciò che sappiamo: feedback e società

Le informazioni non bastano. Nella vita di ciascuno di noi, come in quella di una grande società, avere informazioni non è sufficiente per garantire la migliore condotta possibile. In primo luogo è necessario che queste informazioni vengano condivise perché la conoscenza di più persone della stessa informazione aumenta la consapevolezza generale. In secondo luogo, le informazioni sono utili se sono vere, quindi è necessario un lavoro di verifica. Se nel villaggio torna un membro che annuncia che a qualche chilometro ha scoperto una nuova sorgente, la notizia non è vera in sé: è necessario che qualcuno vada a controllare e confermare. Questo lavoro di verifica, teoricamente, andrebbe fatto sempre ma – è facile intuirlo – sarebbe molto dispendioso metterlo in atto per ogni informazione che circola nella comunità. Per questa ragione si usa un “metodo fiduciario”, ovvero ci si fida di chi ha comunicato l’in18

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formazione perché l’esperienza ha mostrato a tutti che le informazioni date da lui si sono sempre rivelate esatte. Per questa ragione, dall’assioma “informazione non vera fino alla verifica” si passa all’assioma “informazione vera fino alla smentita”, come anche teorizzato da Karl Popper nei suoi studi epistemologici. Il metodo fiduciario è alla base del giornalismo, ma anche alla base del livello di maturazione generale di una società. Il patto fiduciario tra giornalisti e utenti è ciò che sorregge l’equilibrio di una società democratica e moderna, ma è anche alla base del complesso equilibrio dei Poteri. Proprio per l’importanza che riveste, nella nostra vita riceviamo in continuazione delle smentite e delle conferme sull’efficacia del lavoro svolto di professionisti dell’informazione: esattamente come nella nostra vita privata abbiamo bisogno del meccanismo dinamico delle smentite/conferme, per cui abbiamo bisogno di sapere se il gommista vicino casa ha ancora degli ottimi prezzi come in passato o se nostro figlio ha un percorso scolastico proficuo. La nostra infosfera, quindi, non è un fenomeno statico, bensì molto dinamico, osmotico in permanenza perché anche noi, a nostra volta, siamo emittenti di informazioni: dalla chiacchierata con un collega di lavoro, al blog che curiamo su internet. 1.2.5 Le bufale della nostra mente, ovvero il pensiero euristico

Mai come negli ultimi anni, soprattutto grazie alla “circolazione per imitazione” dei social media – che abitualmente chiamiamo condivisione – la quantità di notizie false che circola è aumentata notevolmente: se non altro perché è aumentato a dismisura il traffico di informazioni. Il meccanismo della condivisione, però, viene alimentato in modo notevole dalla suggestione dello stereotipo. Adottare uno stereotipo per comprendere rapidamente il mondo intorno a noi è comodo e poco faticoso. Il 19

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problema è che ragionare per stereotipi porta molto di frequente a delle conclusioni errate. Proviamo a fare un esempio. Stereotipo 1: In Italia si mangia bene; stereotipo 2: I ristoratori in Italia sono italiani. Il sillogismo “facile” risultante è che, in qualsiasi ristorante trovi del personale italiano mangerò bene. La nostra mente, dunque, è propensa alla bufala. Se l’informazione che ci arriva è compatibile con il disegno che ci eravamo fatti del mondo, di una situazione o di una persona, allora la crederemo “vera fino a smentita”. Tutto il nostro modo di pensare si fonda su questi tipi di ragionamenti che sono frutto di una strategia della nostra mente che, non avendo risorse infinite (di energie, di attenzione, di memoria...), mette in atto delle soluzione per risparmiare. Il principio di economia spinge la mente a cercare di arrivare ad una “conclusione verosimile” dinanzi ad un problema. Ottenere il massimo col minimo impegno di energie, dunque. Il nostro cervello non lavora per algoritmi, ovvero per quel procedimento di calcolo che si basa sull’applicazione di un numero finito di regole che determinano in modo meccanico tutti i singoli passi del procedimento (come fa un computer): usiamo, invece, un tipo di procedimento di pensiero detto euristico, cioè un pensiero basato su un numero limitato di alternative, selezionate in quanto ritenute più promettenti, così da ridurre il tempo necessario alla valutazione per poter arrivare a una decisione. Il pensiero euristico è approssimativo – una sorta di calcolo delle probabilità – e fa ampio ricorso a “schemi di pensiero” preconfezionati, elaborati da noi stessi o presi da altri. Per esempio, si valuta la probabilità di un evento (questa domenica piove?) in base alla facilità con cui vengono in mente esempi pertinenti (Uffa! Piove tutte le domeniche d’inverno). Oppure, dovendo inserire un evento o una persona in una categoria, si confronta con due eventi simili non uguali. 20

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Purtroppo, proprio per le sue caratteristiche, il pensiero euristico lavora anche con gli stereotipi che, a loro volta, contengono una percentuale di falsità notevole. Ovviamente, chi è a conoscenza di questi meccanismi del nostro pensiero e vuole “usare” la comunicazione per farci arrivare ad una certa idea del mondo, usa disinvoltamente il nostro pensiero euristico. Il nostro cervello, quindi, è un fabbricante di bufale che accetta le bufale altrui.

1.3 La comprensione e la fruibilità delle notizie 1.3.1 Codici e linguaggi

Per continuare lungo il percorso per comprendere il fenomeno dell’informazione in primis, del giornalismo successivamente, è necessario focalizzare degli altri concetti. Dicevamo sopra che un requisito indispensabile per la sfruttabilità di informazioni e notizie è la loro comprensione. Diventa quindi necessario, comprendere alcuni concetti su cui si fondano i due fenomeni. Il primo è quello di “segno” che possiamo intendere come qualcosa che rinvia a qualcos’altro. Per spiegarlo vi propongo un breve brano tratto da “Il nome della rosa” di Umberto Eco. “Il cavallo è passato di qua e si è diretto per il sentiero di destra. Non potrà andar molto lontano perché, arrivato al deposito dello strame, dovrà fermarsi. È troppo intelligente per buttarsi lungo il terreno scosceso...” “Quando lo avete visto?” domandò il cellario. “Non l’abbiamo visto affatto, non è vero Adso?” disse Guglielmo volgendosi verso di me con aria divertita. (...) “Al trivio, sulla neve ancora fresca, si disegnavano con molta chiarezza le impronte degli zoccoli di un cavallo, che puntavano verso il sentiero alla nostra sinistra. A bella e uguale 21

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distanza l’uno dall’altro, quei segni dicevano che lo zoccolo era piccolo e rotondo, e il galoppo di grande regolarità, così che ne dedussi la natura del cavallo, e il fatto che esso non correva disordinatamente come fa un animale imbizzarrito. Là dove i pini formavano come una tettoia naturale, alcuni rami erano stati spezzati di fresco giusto all’altezza di cinque piedi. Uno dei cespugli di more, là dove l’animale deve aver girato per infilare il sentiero alla sua destra, mentre fieramente scuoteva la sua bella coda, tratteneva ancora tra gli spini dei lunghi crini nerissimi... Non mi dirai infine che non sai che quel sentiero conduce al deposito dello strame, perché salendo per il tornante inferiore abbiamo visto la bava dei detriti scendere a strapiombo ai piedi del torrione meridionale, bruttando la neve; e così come il trivio era disposto, il sentiero non poteva che condurre in quella direzione.” Segni, appunto. Appena dopo il segno, che non necessariamente contiene elementi di volontarietà da parte dell’autore, si può identificare il “segnale”. Questo diventa tale proprio quando è un segno usato deliberatamente e in mondo convenzionale. Se di traverso ad un cancello, per esempio, pongo una fettuccia di plastica bianca e rossa probabilmente sto segnalando una situazione di pericolo. Un segnale può assolvere la funzione di avviso per varie situazioni: da quelle di pericolo (la fettuccia del cancello) a quelle di invito (la freccia per i percorsi), a quelle regolazione del comportamento (come un semaforo). Altro concetto che è utile mettere a fuoco è quello di “simbolo”. Molte teorie assimilano il simbolo al segno ma forse potrebbe essere più corretto intendere il simbolo come dotato di potere evocativo. Facciamo un esempio. Una bandiera può essere un segnale di un punto di riferimento come un luogo di ritrovo o 22

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come di un’azione nel caso di quella a scacchi di una corsa. La bandiera di una nazione, invece, ha il potere di evocare una storia, un popolo, un territorio, dei valori di una società. Un simbolo che evoca un’intera e mutevole dimensione culturale. L’ultimo costrutto che voglio acquisire per spiegare nelle pagine successive informazione e giornalismo è il “codice”. Questo possiamo definirlo come l’insieme delle regole e convenzioni che permette di legare segni e significati. Il linguaggio, naturalmente, è la massima espressione di codice, ma anche l’alfabeto Morse o la lingua italiana dei segni (LIS). Il codice consente di ridurre il più possibile i travisamenti nella comunicazione fatta attraverso i segni. Se diciamo “sedia” tutti siamo d’accordo che con quel segno/parola viene indicato un oggetto che serve per sedersi. Tutto ciò in teoria, perché poi anche i segni possono avere più significati per cui la comunicazione fatta attraverso i codici non è perfetta e necessita di sequenze più o meno complesse di segni per poter ridurre al minimo gli errori di comprensione. L’eloquenza è proprio l’abilità di essere chiari, di comunicare col minimo errore e con la massima ricchezza di significati. 1.3.2 I contesti fanno la comprensione

Il linguaggio, come tutti i codici, non è significativo ed efficiente a prescindere da tutto. Facciamo un esempio banale. Possiamo avere una padronanza dell’italiano eccelsa, avere una cultura sontuosa e, quindi, avere anche la capacità di arricchire il discorso con citazioni e teorie filosofiche, ma se dobbiamo comunicare ad un operaio alle presse di passarci un paio di cuffie antirumore sarà meglio fare una serie di gesti per “illustrare” la nostra richiesta: così avremo la possibilità di essere compresi più efficacemente. 23

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Punti di Vista

La comunicazione, che i codici e i linguaggi veicolano, dipende strettamente dal contesto. Non solo per le modalità di trasmissione, come nel caso delle presse, ma anche per i significati in grado di veicolare. Scrivere un articolo di denuncia sul giornalino scolastico ha degli effetti ben diversi che scriverlo sul sito web della Caritas. La comunicazione – informazione e giornalismo ne fanno parte – è fatta per adeguare la vita delle persone alle condizioni in continua evoluzione dell’ambiente che le contiene, quindi il contesto in cui avviene la modula, potenziandola, attenuandola o rendendola vana. Al tempo stesso, c’è un’altra variabile che modula l’efficacia della comunicazione, ovvero la competenza comunicazionale delle persone. Tanto più sarò competente del codice-lingua con cui viene fatta la comunicazione, tanto più sarò in grado di comprendere le informazioni contenute in essa; tanto più sarò maturo nella mia sensibilità sociale [Goleman; 2006] e nella mia cultura, tanto maggiori saranno i nessi che riuscirò a trarre nella stessa comunicazione. Non solo, se sono anche sensibile e competente dei meccanismi emozionali che si possono realizzare in uno scritto [Carli-Paniccia; 2002], tanto maggiormente complessa e accurata potrà essere la mia comprensione delle implicazioni comportamentali alla comunicazione scritta. In virtù di tutto ciò, è facile immaginare che siano molte le variabili che incidono sulla possibilità di sfruttare le notizie, di utilizzare le informazioni che vi sono contenute. Ciò è valido tanto per il pubblico che ne fruisce, quanto per chi informa. Una comprensione del fenomeno dell’Informazione, allora, passa necessariamente dalla comprensione di quanto agisce e modula l’azione di chi fa informazione e di chi ne ha bisogno. Infine, non secondario, esiste un ultimo aspetto fondamentale legato al fenomeno dell’Informazione. Accade che un certo 24

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