Neuropsicologia e Disturbi di Personalità

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Sebastiano Lupo

Neuropsicologia e Disturbi di PersonalitĂ

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A mio padre A mia madre

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Prima Edizione: 2018

ISBN 9788899566128 © 2018 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di luglio 2018 in Italia da Services4media S.r.l. Bari (BA) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl) Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


INDICE

Introduzione

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Parte prima – I Disturbi di Personalità 1. Dal DSM IV-TR al DSM-5 2. Il profilo neurocognitivo nei disturbi di personalità 3. Il contributo della psicofisiologia 4 Il Disturbo Evitante di Personalità 5 Il Disturbo Borderline di Personalità

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Parte seconda – Studio di casi 6. Single case study 1 Disturbo Evitante di Personalità 6.1 Primo contatto 6.2 Primo colloquio 6.3 Assessment psicodiagnostico 6.4 Diagnosi in accordo con il DSM 5 6.5 Concettualizzazione del caso clinico 6.6 Formulazione del progetto terapeutico individualizzato 6.7 Intervento tattico 6.8 Intervento strategico 6.9 Che cosa è stato di terapeutico

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7 Single case study 2 Disturbo Borderline di Personalità 7.1 Primo contatto

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7.2 Primo colloquio 7.3 Assessment psicodiagnostico 7.4 Concettualizzazione del caso clinico 7.5 Diagnosi in accordo con il DSM 5 7.6 Formulazione del progetto terapeutico 7.7 Intervento 7.8 Che cosa è stato terapeutico Bibliografia

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INTRODUZIONE

L’approccio cognitivista e costruttivista, cornice epistemologica e metodologica all’interno della quale si situa il presente studio, fa suo il principio della complessità della fenomenologia del disagio psichico, sia sul versante della concettualizzazione eziopatogenetica, sia su quello del trattamento psicoterapico. Complessità vuol significare che non solo la patogenesi di un qualsiasi disagio mentale viene considerata di tipo multifattoriale, investendo fattori di ordine biologico e culturale e la loro reciproca interazione, ma che anche il trattamento psicoterapico va indirizzato al soggetto e all’insieme delle relazioni ambientali e sociali che ne caratterizzano l’esistenza e le specifiche forme di sofferenza, secondo un approccio sistemico-relazionale. Solo all’interno di questa cornice concettuale bio-psico-sociale complessa è possibile esaminare il contributo delle Neuroscienze e, in esse, specificatamente della Neuropsicologia clinica, allo sviluppo problematico e complesso della psicopatologia e psicoterapia di impianto cognitivista e costruttivista, senza correre il rischio di ricadere in quel riduzionismo biologista ancora oggi molto resistente, perché inossidabile ne è la matrice filosofica ed epistemologica: la concezione dualista delle sostanze. In questa direzione, cioè quella dell’integrazione delle neuroscienze nella psicologia clinica, ci arrivano importanti contributi da tre diversi autori, portatori di modelli diversi di concettualizzazione, ma accumunati da una medesima impostazione, quella cognitivista: Tullio Scrimali, Davide Liccione e Sebastiano

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Maurizio Alaimo. A Tullio Scrimali [2000, 2001, 2004, 2006, 2007, 2013] dobbiamo un lungo processo di riComplex flessione epistemologica e metodologica sugli Cognitive orientamenti cognitivisti in psicoterapia, che Therapy ha condotto l’autore alla loro revisione critica. Il risultato originale e importante è l’elaborazione di un nuovo e più fecondo modello di psicoterapia, che l’autore stesso ha definito con Complex Cognitive Therapy [Scrimali, 2006]. L’autore ha posto sotto la lente di ingrandimento i modelli psicoterapici di matrice cognitivista, individuandone, di volta in volta, i punti di forza da conservare e le debolezze da superare, contribuendo, in tal guisa, alla rielaborazione dei diversi paradigmi. Alla psicoterapia cognitiva standard, quale si è configurata soprattutto nei lavori di Aron Beck, Scrimali muove la critica che il modello, almeno nella sua versione originaria, disconosce il ruolo della teoria dell’attaccamento nella spiegazione dell’eziopatogenesi della malattia mentale. Altre critiche provengono dal versante costruttivista e riguardano specifiche come l’importanza delle emozioni, dei fattori sociali, della relazione terapeutica e delle componenti di non consapevolezza. Il modello costruttivista, che origina dal lavoro di Friedrich Hayek del 1952 The sensory order, si sostanzia di quattro costrutti epistemologici fondamentali: il primato della pro-azione rispetto alla reazione, ovvero le teorie della mente, i processi della mente sono anche taciti, l’esperienza umana è un processo in continuo divenire e tende all’automantenimento, il Sé è influenzato dai sistemi relazionali e sociali. Scrimali accoglie e sviluppa alcuni aspetti di tale modello, contribuendo al suo compimento in direzione della complessità. In particolare accoglie e sviluppa la lezione di Guidano e Liotti. I due autori in Cognitive processes ed emotional disorders [1983], rileggono in un’ottica evolutiva il rapporto tra cognizione e realtà e contribuiscono alla fondazione di un nuovo modello definito si10

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stemico processuale e post-razionalista [Guidano, 1992]. Il focus del nuovo modello cognitivista è il processo esperire-spiegare, che fa riferimento ai processi di conoscenza nella loro dualità di conoscenza esplicita e conoscenza tacita. D’altra parte Liotti [1992, 1993, 1994] prova a integrare la visione evoluzionistica ed etologica della teoria dell’attaccamento nel modello sistemico-processuale e ci consegna il costrutto dei Sistemi Motivazionali Interpersonali e le topiche delle correlazioni tra pattern di attaccamento e psicopatologia, in particolare tra dissociazione e attaccamento disorganizzato. La rielaborazione critica del suo background formativo di psicologo clinico e di neuroscienziato porta Scrimali a un’integrazione critica dei modelli cognitivisti nella logica moderna della complessità, secondo due direttrici: la ricerca sui processi della mente studiati, sperimentalmente mediante le metodologie della psicofisiologia e neurofisiologia e la psicoterapia cognitiva della schizofrenia, quest’ultima codificata in un corposo trattato Entropia della mente ed entropia negativa. Nuove prospettive, cognitiviste e complesse per la schizofrenia e la sua terapia [2006]. Scrimali, in un lungo e ultra-ventennale lavoro di ricerca e sperimentazione clinica, ci consegna un corpo di conoscenze teoriche e un set di metodologie applicative di psicofisiologia clinica, che ci consentono di rendere più complessa e scientifica la diagnosi del disagio mentale. La psicodiagnostica strumentale [Scrimali, 2007] ben si adatta a un impianto psicodiagnostico di tipo funzionale e processuale, quale sta emergendo anche con il DSM-5, nell’ambito di un assessment finalizzato allo sviluppo del processo terapeutico e riabilitativo. In quest’ambito i contributi più esplicativi di Scrimali riguardano alcune specifiche aree: la diagnosi psicologica complessa con NeuroLab Set, con MindLab Set, la Neurobiologia dei processi relazionali, attaccamento, reciprocità e Familiy Strange Situation. Nell’ambito della psicoterapia ricordiamo le applicazioni come il Biofeedback basato sulla misurazione dell’attività elettrodermica. È l’atto di nascita ufficiale di un nuovo paradigma, sempre Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata

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all’interno della famiglia cognitivista, modello che ha i fondamenti teorici nei modelli endoscientifici e filosofici della teoria della complessità ed è ispirato alla logica dei sistemi lontani dall’equilibrio: Complex Cognitive Therapy. L’apporto filosofico, meglio epistemologico, è dato dall’epistemologia della complessità, attraverso la personale riflessione sulla rivoluzione epistemologica del secondo Novecento. I modelli epistemologici endoscientifici che contribuiscono a modificare il concetto stesso del reale, provengono dalla fisica, dalla cibernetica e dalla biologia. In fisica i contributi più significativi arrivano dalla meccanica quantistica, dalla teoria della relatività, dal principio di indeterminazione di Heisenberg e dalla nuova termodinamica dei sistemi complessi che introduce il concetto di struttura dissipativa di Ilya Prigogine. Dalla cibernetica e dalla biologia arrivano i contributi di riflessione sulla vita e sul vivente, a partire dai principi di omeostasi e di ricorsione, fino alla concettualizzazione del vivente come sistema dotato di auto-eco-organizzazione. A coronamento sta la teoria complessa dell’informazione [Watson e Crick], declinata nei tre principi del patrimonio genetico, del principio organizzatore e di quello riproduttore. Ciò che emerge dalla rivoluzione epistemologica, ben esplicata dal punto di vista filosofico-epistemologico dal lungo lavoro di Edgar Morin, che avrà un’influenza decisiva nella svolta epistemologica anche in psicoterapia, è il concetto di vita. Possiamo riassumere il concetto di vita come un processo polimacchinale di tipo biologico, autopoietico e ricorsivo, ecodipendente, in cui il vivente emerge come coscienza di sé e del mondo, con fini di esistenza e di sopravvivenza che nascono nel vortice ricorsivo del processo vitale stesso. Il processo evolve verso un’organizzazione che è anch’essa ricorsiva e generativa, a spese dell’entropia dell’ambiente, verso una neghentropia che si nutre di informazione [Lupo, 2002]. È una nuova teoria della natura umana, definita bio-psicosociale-complessa, una nozione migratrice, per usare il linguaggio di Morin, che ha finito per transitare anche nel campo antropo12

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sociale, vivificando, attualizzando e globalizzando la ricerca disciplinare in questi settori. Scrimali, nella sua più che ventennale ricerca, riesce a cogliere e a trasferire criticamente i costrutti fondamentali dell’epistemologia della complessità e dà una nuova direzione, già feconda di risultati, alla concettualizzazione del disagio psichico e della stessa psicoterapia. Alla base del sistema vivente lontano dall’equilibrio vi sono tre processi tra loro connessi: l’entropia o indeterminazione, la determinazione e l’organizzazione o neghentropia. La somma dei tre tassi rimane sempre uguale a uno. Se si incrementa il livello di indeterminazione (quindi l’entropia intesa in senso informazionale, come incertezza), si registrerà una proporzionale diminuzione dei tassi di determinazione e di organizzazione (quindi di entropia negativa). Ciò è quanto accade nel disagio psichico, mentre la psicoterapia realizza il processo inverso. In definitiva, nel paziente che esibisce uno scompenso clinico, assistiamo ad un episodio critico, caratterizzato da un incremento dell’entropia il quale costituisce però la transizione in corso di una lunga storia, iniziata molti anni prima [Scrimali, 2006]. Dalla teorizzazione alla clinica il passaggio è conseguenziale e obbligato: l’abbandono del modello medico, riduzionistico e a causalità lineare, a favore di un nuovo, articolato e complesso, di tipo multifattoriale, cui si dà l’etichetta di modello bio-psico-sociale complesso. Il sistema di conoscenza idiosincratico dei disturbi psichici è, dunque, la risultante della circolarità complessa tra vulnerabilità biologica, basata su fattori genetici, e dell’interazione del genotipo e dei fattori ambientali, cioè il parenting, le condizioni sociali, economiche e culturali. Le teorizzazioni di Scrimali hanno avuto come conseguenza anche l’elaborazione di nuovi modelli di psicodiagnostica. La concettualizzazione della condizione clinica di un paziente si avvale oggi di strumenti che consentono di andare oltre la dimensione puramente nosografica, verso una concettualizzazione di Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata

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tipo funzionale e processuale che, a differenza della prima, ci consente di rappresentare in modo semplice e preciso, la ricchezza e la complessità del sistema di conoscenza, dei suoi processi, dell’articolarsi degli schemi e funzioni mentali del paziente e il contestuale suo rapportarsi con l’ambiente che lo condiziona e dal quale è condizionato [Scrimali, 2006]. All’interno di questo modello un nuovo ruolo assume la neuropsicologia. Scrimali l’assume come strumento tra gli strumenti per l’assessment e per la riabilitazione, altri autori ne operano una concettualizzazione di carattere più generale. A Davide Liccione dobbiamo la teorizzazione di una nuova lettura del rapporto tra psicopatologia e Neuroscienze, soprattutto sul versante della neuropsicologia clinica. In un articolo del 1996 Psicoterapia cognitiva con pazienti traumatizzati cranici, che è l’atto di nascita di un nuovo modello interpretativo ed esplicativo dei fatti psichici, il paradigma ispirato alla psicoterapia cognitiva neuropsicologica, sempre all’interno della famiglia del cognitivismo clinico, sostiene che tutte le patologie sono da considerare neuropsicologiche, assumendo come criterio differenziale il ruolo giocato dalla consapevolezza e dall’identità narrativa del soggetto nell’innescare la modificazione neurostrutturale [Liccione, 1996]. L’uomo è un sistema biologico, evolutivo complesso e non può esistere un accadimento mentale che non sia correlato a modificazioni nei processi di riorganizzazione strutturale e neurofisiologica del cervello. Ne è logica conseguenza che qualsiasi evento interno (intrapsichico) o esterno (ambientale) va considerato un evento neuropsicologico che coinvolge strutture e comportamenti. Sia eventi di tipo neurologico (un trauma cranico, un ictus), sia altri di origine intrapsichica (una perdita, un lutto, ecc.), causano perturbazioni e un nuovo equilibrio omeostatico nella micro-struttura e nella biochimica cerebrali. Su questa base Liccione distingue tra eventi perturbatori di tipo storico e di tipo non storico. La storicità fa riferimento alla narrativa personale del soggetto, è la costruzione di significato a determinare i cam14

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biamenti neurostrutturali e le evidenze emotivo-comportamentali. Ad esempio la sofferenza e il disagio depressivo sono una funzione del significato che il soggetto attribuisce all’evento di lutto o di perdita e ha una ben chiara correlazione anatomo-funzionale. Nel secondo caso le modificazioni neurostrutturali ed emotivo-comportamentali sono innescate da un evento patogeno di tipo non storico, ovvero fisico e organico, senza la mediazione della narrativa personale. Sulla base di queste considerazioni Liccione considera tutte le patologie come neuropsicologiche inquadrabili in modo duale in neuropsicopatologie di tipo storico e di tipo non storico, in cui il criterio differenziale che ci permette di differenziare le une dalle altre è dato dal ruolo giocato dall’identità narrativa, dalla coscienza tematica del soggetto nell’innescare la modificazione neurostrutturale. Da qui l’emergere in psicoterapia di un nuovo paradigma la Psicoterapia cognitiva neuropsicologica [Liccione, 2011]. Sulla base di queste convinzioni Liccione Psicoterapia individua nella neuropsicopatologia l’incognitiva sieme dei modi delle alterazioni emotivoneuropsicologica comportamentali, che si dispiega all’interno di un continuum i cui estremi sono le patologie non storiche e quelle storiche. L’arco neuropsicologico ci spiega come i modi esistenziali della sofferenza neuropsicopatologica si dispiegano lungo il continuum patologie non storiche e patologie storiche in modi dell’ipseità, modi dell’identità personale e modi della progettualità.

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Fig. 1 Esempio di arco neuropsicopatologico per la dislessia evolutiva [Lupo, 2015].

I modi dell’ipseità configurano un’eziopatogenesi a monte della riconfigurazione narrativa e di formazione dell’identità personale e sono la condizione basica delle possibilità di riconfigurare l’esperienza. Le fratture e le alterazioni dell’identità personale, per erronea configurazione e/o mancata appropriazione, operano attraverso la riconfigurazione narrativa, come avviene nell’ipocondriaco che racconta sensazioni fisiche in termini di malattia e non della risposta emotiva al distress. I modi della progettualità (si pensi al ritardo mentale) precludono il funzionamento normale, con evidenti ricadute a livello personale, lavorativo o sociale. Si può condividere o no il nuovo paradigma nato pur sempre nell’ambito della famiglia del cognitivismo clinico; non si può però disconoscere il contributo di Davide Liccione alla costruzione di una concettualizzazione più oggettiva e completa delle varie forme di disagio psichico, il suo contributo ci sembra indiscutibile e prezioso. A Maurizio Sebastiano Alaimo [2007, 2009, 2013] siamo debitori di una lunga e perfezionata riflessione sul ruolo del test 16

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psicometrico in psicodiagnostica. La pratica del testing è stata oggetto di critiche e riserve in rapporto ai paradigmi in uso. Tuttavia il secolo ventesimo ha visto affermarsi definitivamente la pratica testologica in quasi tutti gli ambiti della psicologia clinica. Il test psicometrico ha di certo un ruolo centrale e fondamentale nel processo diagnostico ma, sostiene l’autore, svolge anche e soprattutto un ruolo cruciale e propedeutico in psicoterapia, poiché consente di progettare un percorso terapeutico specifico [Alaimo, 2007]. L’autore ha contribuito con ricerche e adattamenti sugli strumenti testisti, soprattutto nel settore dei disturbi di personalità (MMPI-2, Rorschach, YSQ-3, I Vincoli della Mente), a concettualizzare una pratica psicometrica fondata scientificamente, non sul test (non esistono buoni o cattivi test tra quelli validati e standardizzati), bensì sulle capacità degli operatori di saper tradurre in pratica clinica le informazioni provenienti dallo scoring. E in questa direzione ci ha consegnato un protocollo di investigazione psicometrica che, opportunamente integrato con gli altri strumenti di assessment (colloquio clinico, osservazione, valutazione ecologica) ci consente di fondare più oggettivamente l’intervento psicoterapico. Nella sua più recente attività di ricerca ci consegna, anche, un test sulla metacognizione, l’MFSS-30 che ci è stato parecchio utile nella concettualizzazione dei due casi clinici presentati nel presente lavoro. In definitiva il contributo dei tre ricercatori ci consegna un assunto di assoluta valenza scientifica: sul versante della psicodiagnostica si afferma, in via pressoché definitiva, la necessità di estendere la valutazione agli ambiti neuropsicologici di base, non come corollario ai normali processi di assessment, ma per il valore esplicativo che l’esame neuropsicologico apporta in termini di correlazioni tra cause e disturbi. Nell’ambito della psicoterapia, invece, il trattamento neuropsicologico entra di pieno diritto nella strategia di recupero funzionale e psicologico delle moderne psicoterapie cognitivo comportamentali. Prima della presentazione dei casi clinici viene discusso, su di un piano generale e sulla base della letteratura corrente, il conEdizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata

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tributo della neuropsicologia alla concettualizzazione e al trattamento dei disturbi di personalità. I due casi clinici che presentiamo nel lavoro: il Disturbo Evitante di Personalità di un ragazzo di 23 anni studente universitario e il Disturbo Borderline di Personalità di una ragazza nella tarda adolescenza, vengono concettualizzati ricorrendo ai costrutti della Complex Cognitive Therapy, integrata dalla dimensione neuropsicologica, sullo sfondo di un approccio fenomenologico ed ermeneutico.

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PARTE PRIMA I DISTURBI DI PERSONALITÀ

1. Dal DSM IV-TR al DSM-5 Una delle più importanti innovazioni contenute nel nuovo Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, giunto alla sua quinta revisione, il DSM 5, è proprio la problematica della diagnosi dei disturbi di personalità. La decisione dell’APA (American Psychiatric Association) di includere l’attuale di tipo categoriale e un nuovo modello di tipo dimensionale e a tratto specifico, risponde all’esigenza di mantenere la continuità con la pratica clinica corrente, ma permette, nel contempo, un nuovo approccio in grado di affrontare le carenze di quello attuale. L’approccio psicopatologico di tipo processuale e quello dimensionale e funzionale nell’ambito dell’assessment [Scrimali, 2007], ci inducono a privilegiare, sia pure con occhio critico, l’uso del nuovo modello contenuto nella Sezione III del DSM 5. Descriveremo, perciò, le innovazioni e il percorso metodologico della nuova diagnosi dimensionale in esso contenuta, per poi applicarla ai due casi clinici che sono oggetto del presente lavoro. La personalità, al pari di qualsiasi altra espressione delle attitudini dell’uomo, si dePersonalità clina lungo un continuum che non ammette discontinuità. Sul modello dell’arco neuropsicopatologico possiamo dire che all’estremo di sinistra si situa l’adattamento funzionale, all’estremo opposto la condizione Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata

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neuropsicopatologica, e il passaggio dall’uno all’altra è continuo e progressivo, e la differenza sta nel grado o livello di funzionamento che determina condizioni di adattamento funzionale o disfunzionale. Così all’estremo di sinistra avremo soggetti che possiedono un mondo psicologico complesso, articolato, elaborato e ben integrato, un’identità sicura, positiva, volitiva e adattiva, una vita emozionale ricca, regolata e composita non legata alle sole emozioni negative, comportamenti funzionali che rendono le relazioni sociali reciproche e appaganti. All’estremità di destra esistono le polarità opposte: un mondo interiore impoverito, disorganizzato e conflittuale, un concetto di sé negativo, labile e disadattivo, una tendenza alle emozioni negative e disregolate, una scarsa capacità adattiva con comportamenti disfunzionali. Il compito che attende i clinici che intendano usare il nuovo modello dimensionale proposto nella Sezione III del DSM 5 si fa più articolato. Dovranno attenersi a un protocollo di valutazione che prevede due decisioni in successione: prima la valutazione del grado di compromissione del funzionamento della personalità del soggetto, necessaria a soddisfare il criterio A; poi, a seguire, la valutazione dei tratti di personalità patologica che, invece, è richiesta per il criterio B. Il Modello alternativo del DSM 5 generale per i disturbi di personalità richiede il soddisfacimento dei seguenti criteri: Criterio A

Livello di funzionamento della personalità Identità Esperienza unitaria del del Sè Autodirezionalità Interpersonale

Empatia Intimità

La valutazione va fatta ricorrendo alla Scala del Funzionamento dei livelli di personalità. Articolata in cinque gradi da 0 a 4, per ciascun livello contiene la descrizione della compromissione dei quattro elementi (sé, autodirezionalità, empatia ed 20

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intimità), che permette di definire il grado di funzionamento. Per la diagnosi è richiesto un malfunzionamento di grado almeno moderato. I tratti patologici di personalità sono organizzati su base empirica e in cinque domini, con 25 trait facets (sfaccettaure di tratto). Per la diagnosi al criterio B è richiesta la presenza di uno o più tratti specifici della patologia. I criteri C e D richiedono la pervasività e stabilità. Cioè i tratti devono essere pervasivi, cioè presentarsi in una varietà di contesti ambientali e relazionali, così come devono essere stabili nel tempo, con esordio nell’adolescenza o nella prima adultità. Criterio B

Tratti di personalità Domini Traits facets (sfaccettature di tratto) Affettività negativa Labilità emotiva Ansia Angoscia da separazione Sottomissione Ostilità Perseverazione Depressività Sospettosità Affettività ridotta Distacco Ritiro Evitamento dell’intimità Anedonia Depressività Affettività ridotta Sospettosità

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STRUMENTI B

Antagonismo Manipolatorietà Inganno Grandiosità Ricerca di attenzione Insensibilità Ostilità Disinibizione Irresponsabilità Impulsività Distraibilità Tendenza a correre rischi Perfezionismo Psicoticismo Convinzioni ed esperienze inusuali Eccentricità Disregolazione cognitiva e percettiva

I criteri E, F e G sono i cosiddetti escludendi, cioè è necessario escludere che i tratti patologici siano la conseguenza di un altro disturbo mentale (E), siano dovuti unicamente agli effetti fisiologici di una sostanza o di condizione medica (F) e, in ultimo, possano essere considerati normali per la fase di sviluppo e per l’ambiente socio-culturale di provenienza del soggetto (G). A supportare il processo diagnostico del clinico, il DSM 5 mette a disposizione due scale, per ciascuna delle fasi della valutazione: la Scala del livello di funzionamento della personalità e le Definizioni dei domini e delle sfaccettature del tratto, di cui la tabella precedente è uno stralcio. Il nuovo modello comprende solo sei degli originari disturbi di personalità: • antisociale, • evitante, 22

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• • • •

borderline, narcisistico, ossessivo-compulsivo, schizotipico

e viene introdotto un nuovo quadro nosografico il disturbo di personalità tratto-specifico o DP-TS. Quest’ultimo rappresenta una forma mista o atipica e si applica tutte le volte che i criteri A e B si presentano sottosoglia o quando il soggetto presenta caratteristiche non inquadrabili integralmente in uno dei sei disturbi. Il sistema si ispira al modello di personalità noto e ampiamente validato come Big Five o anche Five Factor Model.

2. Il profilo neurocognitivo nei disturbi di personalità La neuropsicologia, fin dal suo apparire con gli studi di Broca [1861, 1863, 1865] sul linguaggio, si è appalesata come scienza eminentemente interdisciplinare, e ad essa concorrono la neurologia, la neuroanatomia, la neurofisiologia, la neurochimica, la psicologia soprattutto cognitivista, la linguistica e l’intelligenza artificiale. Ma fin dal suo apparire ha limitato l’oggetto di studio ai deficit cognitivi ed emotivo-motivazionali causati da lesioni o disfunzioni del sistema nervoso centrale, in particolare della corteccia dei due emisferi cerebrali, delle strutture sottocorticali (tra le quali il talamo, i gangli della base, l’ipotalamo e l’amigdala) e dei fasci di sostanza bianca che collegano le diverse aree corticali fra loro e con le strutture corticali [Vallar, 2007]. L’oggetto di studio era ed è tutt’ora la correlazione tra lesioni e malfunzionamenti di specifiche aree cerebrali e deficit cognitivi e comportamentali conseguenti. Siamo pur sempre all’interno dello sfondo dualista delle due

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