I luoghi del Sé. Il Test del Villaggio

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Luca Bosco

I luoghi del Sé. Il Test del Villaggio Applicazione del metodo Evolutivo-Elementale dall’infanzia all’età adulta

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Prima Edizione: 2018 ISBN 9788899566104 © 2018 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di ottobre 2018 in Italia da Services4media Srl - Bari (BA) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)

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Indice

Prima Parte I. Introduzione I.1 Premessa I.2 Storia e attualità del test I.3 Aspetti procedurali I.3.A Il Test di posizionamento nello spazio I.4 Criteri per l’osservazione del processo di costruzione e per l’analisi del villaggio I.5 La rappresentazione dello spazio e la proiezione dell’immagine del corpo I.6 Nota sull’analisi quantitativa del villaggio II. Elementi teorico-metodologici per l’analisi qualitativa del villaggio II.1 Il tavolo di lavoro II.2 Il materiale per la costruzione del villaggio II.3 La teoria elementale e il rapporto tra Macroarea Genitoriale e Macroarea Sociale II.3.A Esemplificazione (parte prima) II.4 La spirale evolutiva, il rapporto Sé/Altro-daSé e le posizioni esistenziali II.4.A La spirale evolutiva II.4.B Il rapporto Sé/Altro-da-Sé

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II.4.C Le posizioni esistenziali II.5 Le componenti strutturali della personalità e le spinte vitali II.6 Il confine della struttura psichica III. Integrazione all’analisi topologico-topografica III.1 L’ausilio delle suddivisioni topografiche III.2 Schema dei rapporti dinamici per l’analisi topologica III.2.A Esemplificazione (parte seconda) III.3 Riflessioni su alcune costruzioni a forma circolare III.4 Una proposta topografica integrata III.5 Gli spazi vuoti III.6 Gli angoli (chiusura/fuga) e le “porte”

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Seconda Parte IV. Infanzia IV.1 Rimanere piccolo o diventare grande? IV.1.A Il villaggio di Dario (10 anni) IV.2 Il Falso Sé IV.2.A Il villaggio di Angela (8 anni) IV.2.B Il villaggio di Biagio (9 anni) IV.2.C Il villaggio di Sean (5 anni) IV.3 Un caso di mutismo selettivo IV.3.A I villaggi di Benedetta (6 anni) IV.4 Il villaggio “a isole” IV.4.A Il villaggio di Marzia (9 anni)

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V. Adolescenza

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V.1 Il dinamismo interno V.1.A Il villaggio di Simone (14 anni) V.2 L’arroccamento V.2.A Il villaggio di Oscar (14 anni) V.3 Bisogno di evadere V.3.A Il villaggio di Boris (18 anni) V.4. Il rientro nel nido familiare e la ripartenza verso nuovi luoghi-Sé V.4.A. Il villaggio di Claudia (17 anni)

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VI. Età adulta VI.1 Il ruolo delle immagini genitoriali VI.1.A Il villaggio di Tullio (45 anni) VI.1.B Il villaggio di Savino (39 anni) VI.2 I villaggi circolari o “mandalici” VI.2.A Il villaggio di Flora (48 anni) VI.2.B Il villaggio di Gloria (65 anni) VI.2.C Il villaggio di Valentina (41 anni) VI.3 I villaggi (o sottoinsiemi) uterini VI.3.A Il villaggio di Giada (38 anni) VI.3.B Il villaggio di Mina (36 anni) VI.4 La dissociazione tra famiglia d’origine e attuale o tra ambiente domestico e sociale VI.4.A Il villaggio di Carmen (26 anni) VI.4.B Il villaggio di Alice (42 anni)

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Riferimenti bibliografici

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Allegato: scheda di notazione

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Kit per il Test del Villaggio

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Foto

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I.3 Aspetti procedurali Il Villaggio è costituito da una serie di piccoli elementi di legno colorato, aventi significati simbolici (casette, persone, animali, alberi, un castello, una chiesa, negozi, strade, recinzioni ecc.), che il soggetto può disporre sulla superficie di un tavolo rettangolare12. Questo test, generalmente, viene affrontato con curiosità dall’adulto, come qualcosa di insolito, ma che può esaltare la sua creatività e richiamare alla memoria e nel vissuto l’infanzia e il gioco; mentre il bambino lo vive come un gioco di costruzioni con materiale conosciuto, che assomiglia ad un compito già svolto, in cui si sente competente; risulta, dunque, gradito e non troppo dispendioso sul piano cognitivo o emotivo. Con il soggetto adolescente può essere utile chiedergli di mettersi nei panni di un architetto che deve progettare una città (o un villaggio), in modo da scongiurare – per quanto possibile – nel ragazzo la sensazione svalutante che potrebbe procurargli il materiale ludico, proprio in una fase del ciclo di vita in cui egli sta tentando di emanciparsi dagli aspetti infantili. Con questo espediente, al contrario, lo invitiamo a “prendere sul serio” il lavoro che si presta a fare, a considerare importante ciò che fa e che dice, poiché il suo contributo è fondamentale (anche se, nella maggior parte dei casi, non hanno deciso loro – bensì i genitori – di rivolgersi allo psicologo). Il soggetto viene fatto posizionare davanti al tavolo, in posizione centrale rispetto ad uno dei lati lunghi, in modo che abbia il materiale ammucchiato alla destra del piano di lavoro. Nel farlo, possiamo dare una pre-consegna che fornisce al soggetto la libertà di scegliere se costruire da seduto o in piedi, se stare 12 Vedi oltre per una descrizione più dettagliata del piano di lavoro e della presentazione del materiale.

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fermo in una posizione o ruotare attorno al tavolo. Anche se durante la fase di costruzione il soggetto ruota attorno al tavolo, quando ha terminato lo si fa accomodare nella posizione iniziale e l’analisi viene effettuata da questa prospettiva13. L’operatore si siede alla destra del soggetto, in posizione leggermente arretrata, in modo da non essere troppo visibile o intralciare il suo movimento attorno al tavolo. Egli è una presenza silenziosa, non interviene durante la fase di costruzione e rimane seduto ad osservare e a prendere appunti14. Se il soggetto pone qualche domanda, ad esempio sul materiale, si risponde senza essere troppo suggestivi: “Puoi fare come vuoi”, “Fai come credi”. Questa situazione, profondamente, dovrebbe richiamare “l’esperienza di stare solo in presenza di una persona”, di cui parla Winnicott (1958), e ancor più specificatamente, la capacità del bambino di giocare da solo, in presenza della madre. L’operatore assiste e si astiene dall’intervenire, ma è lui che ha “pensato” e “progettato” la situazione che fa da “contenitore” al soggetto; è lui che offre lo spazio (fisico, attraverso il setting, e psichico) che permette a quest’ultimo di “pensarsi”, di rifletter-si, guardando dentro di sé e osservando la propria immagine sul tavolo. In fase di analisi può emergere qualcosa in proposito. Una soluzione tecnica interessante che potrebbe essere adot13 Soltanto nel caso in cui il soggetto, per qualche ragione, costruisca tutto il villaggio dalla parte opposta del tavolo (e in particolar modo se questo è completamente rivolto verso di sé), si può considerare di analizzarlo dalla prospettiva del costruttore, anziché da quella proposta durante la consegna. Si terrà comunque conto di tale peculiarità. 14 Per rendere più agevole il compito, possiamo utilizzare “segni convenzionali”, simboli, abbreviazioni, secondo le indicazioni di Arthus (1949), di Marchisa e Terenzio (1968), della Scuola di Rennes, del metodo Monod (v. Jacquet, 1999a), ecc., oppure possiamo produrne di personali, soprattutto se questi appunti non dovranno essere condivisi. Inoltre, possiamo segnare, attraverso delle frecce, le principali linee direttrici della costruzione, o fare dei semplici disegni in vari momenti del processo per fissare visivamente le fasi di costruzione del villaggio o di una parte di esso.

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tata, e che qualcuno già utilizza, è la videoripresa del processo di costruzione (ed eventualmente anche delle fasi successive). Questo permette all’operatore di rimanere “presente” alla costruzione, senza l’incombenza di prendere appunti, e al contempo consente di rivedere a posteriori il processo che ha portato al villaggio finale, con la possibilità di coglierne tutti i passaggi e analizzarne la sequenza, la dinamica e le altre caratteristiche. Inoltre, ciò permetterebbe agli operatori che ne facciano richiesta di far supervisionare la seduta da un collega più esperto. Nel libro precedente (Bosco, Grandi, 2014) affrontavamo una lunga disamina critica sulla consegna del test del Villaggio, che via via i vari autori e le varie Scuole avevano utilizzato. Ci era sembrato di pervenire ad una buona formulazione, sufficientemente sintetica, non eccessivamente suggestiva, linguisticamente semplice, in modo da adeguarla anche alla comprensione dei bambini. Qui c’è quello che serve per costruire un villaggio o una città. Lavora pure ed usa il materiale che vuoi.

Attualmente, soprattutto con i bambini, preferisco evitare di utilizzare il termine “lavora”, per non dare connotazioni di merito all’azione del costruire: perché non “gioca”, ad esempio, o il più generico “fai”? Il verbo “fare”, insieme a “costruire”, è ciò che qualifica il test del Villaggio rispetto ad altri metodi proiettivi. La maggior parte dei reattivi più comunemente utilizzati in psicodiagnostica (Rorschach, T.A.T, C.A.T, Patte Noir, Blacky Pictures, Rosenzweig) prevedono l’associazione fra stimolo visivo e risposta verbale. Altri, come il Wartegg e i “test carta e matita” (albero, casa, persona, famiglia, scarabocchio), introducono l’azione del “disegnare”, del “tracciare”, del “segnare” (lasciare un segno). Tutti gli strumenti citati prevedono un materiale bidimensionale e statico (un’immagine su un foglio), 29 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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che sollecita al massimo una ristrutturazione visiva e verbale (Nguyen, Jacquet, 1999), mentre il Villaggio, oltre a ciò, si dota della terza dimensione e del movimento, che è poi sia del materiale che del costruttore stesso (la manipolazione senso-motoria e il movimento attorno al tavolo). Attraverso la consegna “usa il materiale che vuoi” o “usa (solo) ciò che ti serve”, si sottolinea la possibilità, da parte del soggetto, di non utilizzare per forza tutto il materiale a disposizione, come è invece richiesto da altre metodiche. Ciò ha un senso perché a nostro avviso anche le omissioni sono significative, così come i rifiuti espliciti (ad esempio, con frasi come: “Questo pezzo non lo metto, perché mi inquieta”) o le sostituzioni e le rimozioni che rivelano ambivalenza (un pezzo già posizionato sul tavolo, viene in seguito eliminato). Inoltre, piuttosto che analizzare un tavolo forzatamente riempito di pezzi, preferiamo occuparci dei vuoti e della qualità di ciò che è stato scelto o omesso. Infine, non tutti sono interessati alle rifiniture e ai dettagli o abbisognano di tutte le categorie di pezzi proposti (ad esempio, qualcuno esclude completamente le assicelle, gli animali selvatici, ecc.). I bambini, in particolare, utilizzano generalmente meno pezzi rispetto all’adulto, specie quelli che hanno tempi di attenzione-concentrazione che tendono a decadere rapidamente. In questi ultimi casi, la costruzione può durare pochi minuti. Per personale esperienza, anche gli adulti – benché utilizzino spesso molta parte del materiale e impieghino anche diverse decine di minuti per la costruzione – posti di fronte alla possibilità di non utilizzare tutto il materiale, lasciano fuori alcuni pezzi. Diversi soggetti richiedono lumi rispetto al tempo a disposizione per la costruzione. Alcuni autori già in fase di consegna dicono che non ci sono limiti di tempo. Effettivamente, anche se in qualche caso (soprattutto per quanto riguarda i bambini) non vi è 30 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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una richiesta esplicita sul tempo a disposizione, il fornire questa indicazione potrebbe essere utile a completare le informazioni possibili in fase di consegna. Dunque, agli adulti possiamo dare questa consegna: Qui c’è quello che serve per costruire un villaggio o una città. Puoi usare il materiale che vuoi e impiegare il tempo di cui hai bisogno.

Ai bambini, invece, soprattutto con quelli più piccoli (4-7 anni), dopo aver richiamato la loro attenzione sul materiale con un “Guarda qui”, potrebbe essere proposta la seguente consegna, facilitata e sgravata da fronzoli non richiesti, e con la sostituzione della parola “elementi”, con “pezzi”15 (che è una parola che utilizzano già abitualmente per i giochi di costruzione o ricomposizione): no.

Costruisci un villaggio o una città, usando i pezzi che ti servo-

Al termine della costruzione, quando il soggetto ritiene di aver finito, l’operatore toglie dal tavolo il materiale non utilizzato e lo ripone nella scatola, non prima di aver avuto cura di annotarsi numerosità16 e tipologia. A questo punto, chiediamo al soggetto di raccontare una storia sul suo villaggio. I bambini introducono spesso elementi fantastici e ricorrono molto al “già sentito” delle favole o, per i più grandicelli, delle letture o dei film (ad esempio, di genere “fantasy”). Non è insolito, data 15 Per quanto si ritenga il termine “elementi” più appropriato per descrivere i singoli oggetti del kit di costruzione, tendenzialmente nel testo si utilizzerà il termine “pezzi” o “materiale”, al fine di non essere confusivi sovrapponendo il discorso sul materiale di costruzione a quello sulle quattro declinazioni della Teoria Elementale. 16 Se non si ha intenzione di fare una vera e propria analisi quantitativa, può essere anche fatta semplicemente una stima di massima delle categorie di pezzi non utilizzati.

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la presenza del “castello”, che raccontino storie di re e regine, cavalieri e sudditi. O che evochino maghi, streghe, fantasmi e supereroi. Qualche (pre)adolescente può riproporre scene e personaggi che solitamente conosce attraverso i videogames (cfr. Bosco, Dolcimascolo, 2010; Bosco, Grandi, 2014). Gli adulti sono più realistici o al limite raccontano il proprio ideale di villaggio. Ho constatato che molti adulti, posti di fronte alla richiesta di raccontare una storia, si trovano in imbarazzo, o in aperta difficoltà, arrivando a dichiarare di non essere in grado di farlo, di non avere fantasia, o semplicemente svicolando la consegna, iniziando a “descrivere” quanto hanno costruito. Tendenzialmente non forzo la richiesta e ascolto la descrizione che mi fanno, anche se è solo l’elenco dei pezzi che hanno inserito. Possiamo quindi sollecitare a raccontarci cosa avviene in quel villaggio in quel momento, che tipo di vita si fa, o se è un momento particolare per quel villaggio, oppure di descriverci una giornata-tipo del villaggio. Possiamo equiparare questa fase alla tecnica analitica delle libere associazioni su un sogno, in cui il soggetto si lascia guidare dalle immagini, dalle parole e dai vissuti. A sua volta, l’operatore si lascia condurre dalla situazione e dalla propria esperienza, passando in rassegna insieme al soggetto i vari sottoinsiemi di pezzi o “nuclei” che formano quelle che sembrano delle “aggregazioni significative” (uno zoo, un bosco, una fattoria, ecc.), semplicemente indicandole o chiedendo di raccontarci di cosa si tratta e le loro caratteristiche. Nel frattempo trascrive tutte le verbalizzazioni, proprie e del soggetto, e annota alcuni punti da sviluppare con il soggetto o a posteriori in fase di analisi. A questo integriamo la fase dell’inchiesta, in cui l’operatore può liberamente fluttuare, anche qui senza schematizzazioni rigide, né questionari preordinati. Ne La Tecnica del Villaggio 32 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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citavamo una serie di domande che gli autori classici erano soliti porre ai soggetti dopo la costruzione; altre ne proponevamo noi a mero titolo esemplificativo, al fine di cogliere quanto largo sia lo spazio che possiamo “investigare” attraverso delle domande mirate alla specifica situazione e a quel particolare individuo. I soggetti che fanno più fatica ad esprimersi attraverso il canale verbale (ansiosi, introversi, inibiti, depressi) possono essere aiutati attraverso domande via via più approfondite a fornirci ulteriori informazioni su quei pezzi o raggruppamenti che meritano maggiore attenzione. Tutto ciò, sempre evitando che l’inchiesta si trasformi in un interrogatorio, con una pioggia di domande a cui il soggetto risponde a monosillabi. Possiamo soffermarci sul primo o sui primi pezzi che sono stati collocati, chiedere perché siano stati scelti e se si aveva già una bozza di progetto in mente, al fine di verificare quale sia l’investimento su di essi e il collegamento con il resto della costruzione: da quel punto, magari defilato, parte una lunga costruzione che raggiunge l’altro capo del tavolo? È un nucleo che viene inglobato all’interno di una costruzione più ampia? Rimane isolato dal resto della costruzione? Possiamo chiedere al soggetto di pensare ad un nome per il villaggio, e il perché venga scelto quel nome. Possiamo chiedere se sia soddisfatto del proprio lavoro, se modificherebbe qualcosa, qual è la parte che gli piace di più, se ci sono dei pezzi che lo hanno infastidito, o altri di cui avrebbe avuto bisogno. Ci può interessare sapere se il soggetto viva nel villaggio e quale sia la sua casa (se lo stia decidendo in quel momento o se l’avesse già pensato durante la costruzione), in modo da valutare i processi proiettivi ed identificativi. Osserviamo se vi siano porte di ingresso e uscita per e dal villaggio; quale sia la direzione della circolazione stradale, se via siano villaggi confinanti; possiamo cogliere il grado di vitalità e dinamismo, piuttosto che la 33 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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staticità, all’interno del villaggio. Oltre a quelli già descritti, potremmo voler sapere se vi siano edifici con funzioni particolari (scuola, ospedale, luoghi di divertimento, municipio, stazione, prigione, ecc.). Infine, ci soffermiamo sulle omissioni, chiedendo al soggetto se si ricorda di qualche pezzo che era presente nel mucchio, ma che non ha utilizzato. Cerchiamo di distinguere tra i pezzi “non utilizzati” perché razionalmente non servivano per il progetto che il soggetto aveva in mente, da quelli “rifiutati” e “scartati”, consciamente o inconsciamente. Un volta che abbiamo raccolto una serie sufficiente di informazioni, scattiamo alcune fotografie del villaggio. Questo ci serve per poter analizzare a posteriori la costruzione, in particolar modo se si tratta di una psicodiagnosi o se ci si debba lavorare nelle sedute di psicoterapia. In teoria, non sarebbe necessaria, nelle cosiddette sedute lunghe, ovvero nel consulto in singola seduta, di cui ho parlato precedentemente, in cui il lavoro di analisi avviene nella fase immediatamente successiva a quella di costruzione e di inchiesta. Tuttavia, può essere comunque utile scattarla e tenerla in archivio (ovviamente con il loro consenso informato), nel caso il soggetto chiedesse un nuovo consulto o di iniziare una psicoterapia. Spesso i soggetti stessi, ormai tutti muniti di telefoni cellulari con fotocamera incorporata, richiedono di poter fare una fotografia. A questo punto, sulla scorta di quanto proposto anche da altri autori, possiamo – se riteniamo sia il caso – chiedere al soggetto se voglia effettuare alcuni cambiamenti o aggiungere/togliere dei pezzi al suo villaggio (ovviamente, di volta in volta documentiamo e fotografiamo le variazioni effettuate). Ciò serve per controllare le reazioni del soggetto alle pressioni sociali, la profondità della sua immedesimazione con il villaggio e l’eventuale presenza di uno schema interiore e anteriore alla costruzione 34 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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(Marchisa e Terenzio, 1968). Nell’ottica secondo cui il villaggio rifletterebbe la maniera tipica del soggetto di porsi di fronte ai problemi da risolvere (Nguyen, 1978), possiamo anche proporre alcune domande particolari che, se anche non prevedono una modifica della struttura della costruzione, possono portare ad una ristrutturazione del “pensato” e del “detto” sul villaggio, attraverso l’introduzione di elementi esterni “perturbatori” dell’omeostasi raggiunta al termine della costruzione. Questo consente di tastare il polso del soggetto rispetto alla sua capacità di porsi di fronte alle novità inattese, alle difficoltà impreviste, alle situazioni avverse. Si può, ad esempio, esortare il soggetto ad immaginare che cosa succederebbe se il villaggio venisse minacciato, attaccato o se subisse un incendio (Mucchielli, 1953; Jacquet, 1999a, Riard, 1999); come reagirebbe il villaggio? In quale stato lo troveremmo dopo l’evento? Da chi e come vengono ricostruite le eventuali parti danneggiate o distrutte? E se una personalità venisse in visita? Chi sarebbe e cosa succederebbe? Per saggiare come il soggetto si proietta nel futuro, possiamo chiedergli di immaginare il proprio villaggio a distanza di tempo (può scegliere l’intervallo che separa il villaggio dalla sua proiezione futura) ed effettuare eventuali modifiche alla costruzione (Ternoy, 1999). Un’ulteriore soluzione che possiamo adottare in qualche caso è proporre al soggetto, che eventualmente ha manifestato la mancanza di qualche pezzo o di una rappresentazione del contesto (la “scenografia”), di utilizzare del pongo, del cartoncino, dei colori, ecc. per produrre elementi propri da integrare al suo villaggio (ad esempio, un laghetto, un fiume, una collina, un prato, una strada, dei personaggi di fantasia, delle insegne, ecc.).

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I.3.A Il Test di posizionamento nello spazio

In qualche occasione ho sperimentato quello che può essere definito come Test di posizionamento nello spazio (TPS), e che considero una prova accessoria che può essere utilizzata prima o dopo la somministrazione del Test del Villaggio. Essa consiste nel fornire al soggetto un foglio di carta A4 raffigurante il perimetro di un rettangolo delle dimensioni corrispondenti ad un sesto rispetto a quelle del tavolo di lavoro (20 x 12,3 cm). La consegna è la seguente: In questo spazio (indicando il rettangolo vuoto), con la matita, individua un punto in cui collocarti attraverso un segno, un simbolo o un disegno.

Consigliamo, tuttavia, una versione meno mediata e più proiettiva, con la seguente consegna: Con questa matita segna un punto all’interno di questo spazio (indicando il rettangolo vuoto).

Abbiamo osservato che spesso il punto individuato corrisponde al punto in cui il soggetto inizia a costruire il suo villaggio sul tavolo. Questo potrebbe rivelare il posizionamento esistenziale dell’Io rispetto allo spazio del tavolo e favorire l’interpretazione secondo il modello che stiamo presentando (la spirale, i modi, la teoria elementale, la schematizzazione psicodinamica, gli assi, ecc.). Eventualmente una prova successiva – una volta che ha individuato il punto in cui collocarsi – può essere quella di chiedere al soggetto qual è lo spazio che pensa di occupare nel mondo esterno, ad esempio disegnando una figura geometrica (come un cerchio) o una forma qualsiasi di varie dimensioni, attorno al punto. La versione più proiettiva potrebbe semplicemente richiedere di disegnare una forma che comprenda al suo interno il punto individuato precedentemente. Questa, al pari delle di36 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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mensioni del villaggio sul tavolo, indicherebbe lo spazio che il soggetto sente di occupare nel mondo, nell’ambiente familiare e sociale in cui è immerso.

I.4 Criteri per l’osservazione del processo di costruzione e per l’analisi del villaggio Sono diversi i parametri che dobbiamo osservare durante quello che Mucchielli (1960) chiamava «film della costruzione» e che Marchisia e Terenzio (1968) distinguono in “statica” e “dinamica” del test. Prenderemo nota, durante la fase di costruzione, sia dell’approccio del soggetto al test che delle modalità e del processo che lo portano a dare forma al suo villaggio (“interpretazione”). L’analisi vera e propria del villaggio, una volta terminata la costruzione, è invece una combinazione delle riflessioni che possiamo compiere circa la sua forma (configurazione), la sua posizione (localizzazione) e il suo contenuto (organizzazione). Nella tabella 1 forniamo una sintesi. Fase del lavoro

Criterio

Osservazione/ Costruzione

Definizione

Parola chiave

Domanda

Reattivo

Osservazione del comportamento Approccio iniziale

Procedurale

Osservazione “Interpretazione”delle modalità di Attitudine generale costruzione

Strutturale

OrganizzazioneIntegrazione

FormaConfigurazione

TopologicoTopografico

LocalizzazionePosizione

Dove?

PsicodinamicoRelazionale

Organizzazione del contenuto

Cosa?

Analisi e i n t e r p r e t a - Dinamico zione Tematico

Come?

Tab. 1: Criteri per l’osservazione del processo di costruzione e per l’analisi del villaggio 37 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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II. Elementi teorico-metodologici per l’analisi qualitativa del villaggio

In questo capitolo mi propongo di illustrare le principali novità, rispetto a quanto già descritto ne La Tecnica del Villaggio nella psicoterapia infantile (Bosco, Grandi, 2014); in alcuni casi si tratta di semplici aggiornamenti che la pratica e l’esperienza hanno “imposto”, in altri sono frutto di riflessioni teoriche maturate negli ultimi anni che, a mio avviso, arricchiscono e affinano ancor di più gli strumenti a disposizione per l’analisi e l’interpretazione dei villaggi.

II.1 Il tavolo di lavoro Rifacendomi alla cosiddetta “Scuola di Torino”, ho sempre utilizzato il tavolo rettangolare per far costruire i villaggi, riprendendo le misure fornite da Arthus, ovvero 120 x 60 cm. Mi sembrava potesse avere un senso e un valore permettere al soggetto di dispiegare la propria costruzione anche in un senso diacronico, percorrendo il lato lungo del tavolo da sinistra a destra o viceversa21. Per quanto sia innegabile il forte valore proiettivo della forma quadrata del tavolo, utilizzata in Francia tra gli altri 21 Già Mabille (1960) faceva notare come il tavolo rettangolare favorisca un’espressione “storica” dell’esistenza del soggetto (passato a sinistra, presente in centro e futuro a destra), mentre il tavolo quadrato favorisca una rappresentazione della situazione attuale.

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da Mabille e Monod, essa sembra da un lato limitare il soggetto nel suo raccontarsi all’interno di una dimensione temporale, e dall’altro indurre o per lo meno favorire costruzioni chiuse e circolari (o “squadrate”, riprendendo il perimetro del tavolo). Mentre il tavolo rettangolare non impedisce, a chi lo desideri, di costruire un villaggio centrale, lasciando libere le aree sinistra e destra. L’esperienza mi ha portato a constatare che il tavolo rettangolare con le misure fornite da Arthus – con il lato corto che misura la metà del lato lungo – per quanto garantisca una lettura diacronica orizzontale, limita lo slancio e la dinamica verticale, comportando, al contrario, uno schiacciamento delle costruzioni, osservato spesso anche dagli stessi soggetti. In tal senso, mi è sembrato utile avviare una riflessione sulla possibilità di aumentare le misure del lato corto del tavolo, in prima battuta rifacendosi al rapporto delle misure di un foglio A4 (29 x 21,7 cm), data l’influenza che hanno avuto gli studiosi dei test carta e matita (e ancor prima i grafologi) nell’elaborare i criteri di lettura ed interpretazione dello spazio, in questo caso grafico. Le misure ridotte del lato verticale del tavolo rettangolare erano suggerite dalla posizione fissa del costruttore (adulto), seduto dinnanzi al centro del lato lungo. Misure superiori non avrebbero reso agevole il raggiungimento delle zone alte del tavolo. Per la stessa ragione, anche i tavoli quadrati dovevano limitare le proprie misure: 70 x 70 o 80 x 80 cm22; ciò comportava una ridotta area di costruzione (rispetto a quella di Arthus), che spesso però rischiava di risultare “intasata”, in particolare con quei metodi che prevedono l’utilizzo di tutto il materiale e un numero elevato di pezzi (più di 300). Siamo dell’idea che forzare un eccessivamente “pieno”, non lasci spazio a quei “vuoti” che tanto hanno da dirci sul sog22

Riard (1999) invece propone un tavolo che misura 100 x 100 cm.

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getto. Noi forniamo già in fase di consegna la libertà, non solo di utilizzare il materiale di cui il soggetto ha bisogno (quindi non necessariamente tutto), ma anche di lavorare come più egli preferisca, seduto o in piedi, in posizione statica nel punto iniziale (che è poi quello da cui, in ogni caso, effettuiamo l’analisi del villaggio) o in movimento attorno al tavolo. Proprio per questo motivo, idealmente, il tavolo non dovrebbe essere addossato alle pareti o ad altri mobili. Inoltre, mentre un tempo – come Arthus – veniva proposto al soggetto il “mucchio” di elementi rovesciato sul tavolo, in alto a destra; ora, utilizzando una sovratavola da appoggiare sopra il tavolo vero e proprio, possiamo permetterci di non investire il campo proiettivo del soggetto, che rimane quindi vuoto e completamente a disposizione (foto 1). Questo accorgimento, permette comunque di verificare l’atteggiamento del soggetto di fronte ad un compito di riorganizzazione del caos (il “mucchio” di pezzi), ma al contempo di osservarlo con maggior precisione di fronte al campo vuoto. Infatti, essendo il nostro tavolo di dimensioni maggiori rispetto alla piattaforma (plateau), possiamo presentare il materiale sul tavolo, a destra rispetto ad essa, ammonticchiato senza un ordine preciso (al massimo possiamo far scorgere leggermente i “pezzi grossi”, castello, chiesa, ecc.). Una ulteriore possibilità, che faciliterebbe i costruttori che si muovono molto intorno al tavolo, oppure i somministratori non dotati di un tavolo più grosso della piattaforma, sarebbe quella di dotarsi di un piccolo carrellino con rotelle, e collocare sul ripiano più alto (gli eventuali altri ripiani rimarrebbero vuoti) una scatola, preferibilmente di plastica trasparente, in modo che il materiale – posto dentro alla rinfusa – sia sempre tutto visibile. In questo caso, il costruttore potrebbe avere sempre molto vicino il materiale, in particolare 63 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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se si sofferma a lungo nella metà sinistra del tavolo. Riguardo alle misure della piattaforma, recentemente, si è imposto alla mente il cosiddetto rapporto aureo, che esalta ancor di più il senso di equilibrio fra le proporzioni. Per adeguare la proporzione tra i due lati del tavolo di lavoro, abbiamo stimato la lunghezza ideale del lato corto, tenendo fisso quello lungo, al fine di calcolare la sezione aurea utilizzando il numero Phi23. Così facendo, abbiamo ricavato le misure 120 x 74 cm. Operativamente, si consiglia di procurarsi una tavola di compensato con le misure indicate, e dallo spessore minimo di 1 cm (per evitare che con il tempo si imbarchi), con un colore neutro24, da appoggiare su qualsiasi tavolo siano dotati gli studi in cui si lavora. La tavola di compensato ci consente, inoltre, di collocarla a terra per favorire la costruzione nel caso di bambini al di sotto dei 7-8 anni oppure di corporatura minuta, che così possono raggiungere agevolmente tutte le zone girando attorno ad essa, ma anche per giocare insieme al bambino utilizzando il materiale del vil23 La sezione aurea o rapporto aureo (o anche proporzione divina) indica il rapporto fra due lunghezze disuguali, in cui il rapporto fra il lato maggiore e il lato minore A/B è identico a quello fra il lato minore e il segmento ottenuto sottraendo quest’ultimo dal lato maggiore B/(A–B), il che implica che entrambi i rapporti siano φ 1,618. Il “numero Phi” è il rapporto tra due valori Xi e Xi+1, di una sequenza infinita di numeri in cui Xi+1 è la somma dei due precedenti numeri Xi + Xi-1: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144… La media geometrica dei rapporti Xi+1/Xi è un numero irrazionale, approssimativamente 1,6180339887… (Livio, 2003). Quindi, il rapporto tra i due lati del tavolo dovrebbe essere (data come base fissa di calcolo il lato maggiore di 120 cm): 120/1,6180339887=74,16407865227436. 24 Consigliamo il color legno chiaro, ad esempio “pino”. La tavola non dovrebbe essere bianca o troppo chiara, per evitare che in fase di costruzione o nelle foto si confondano i molti pezzi bianchi del villaggio, rendendo poco agevole l’analisi della costruzione in itinere o a posteriori. D’altra parte, non dovrebbe essere nera o troppo scura per evitare che la tavola si “imponga” troppo e inibisca o interferisca con i processi proiettivi del soggetto. Sotto la tavola consigliamo di mettere un telo di colore uniforme e neutro (ad es. azzurro), per permettere ad essa di distinguersi dallo sfondo (soprattutto se il tavolo sottostante ha un colore simile alla tavola).

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I luoghi del Sé. Il Test del Villaggio

laggio come strumento ludico-simbolico attraverso le tecniche definite Comune e Gioco del Villaggio25.

II.2 Il materiale per la costruzione del villaggio Il kit del materiale di costruzione mantiene sostanzialmente la stessa identità di quello descritto nel libro precedente, salvo alcuni aggiornamenti nella numerosità di particolari categorie di pezzi e la possibilità di fornire al soggetto – laddove ne venga ravvisata la necessità – alcuni pezzi supplementari. Alcuni soggetti non desiderano più modificare la costruzione una volta terminata; altri, giunti alla fine, si sentono più liberi e allentano il controllo, per cui si aprono a nuove idee attraverso i pezzi supplementari e attraverso un’inchiesta mirata su di essi. In Allegato forniamo la Tabella di Notazione che può essere fotocopiata ed utilizzata per raccogliere la numerosità dei pezzi utilizzati dal soggetto per costruire il suo villaggio. Qui di seguito forniamo in tabella un riepilogo della numerosità del materiale contenuto nei kit di costruzione, suddiviso per categorie, in modo che sia comparabile con il kit utilizzato originariamente dalla Scuola di Torino e da Arthus (tab. 5). Modello Evolutivo-Elementale

Scuola di Torino

Test del Villaggio di Arthus

Castello

1

1

1

Torri

2

2

2

Chiesa

1

1

1

Tipologia

Campanile Case (+ negozi)

1

1

1

32 (+ 3)

27 (+ 3)

27

25 Per una spiegazione più dettagliata dell’utilizzo del villaggio come strumento ludo-terapeutico, si consiglia la lettura de La tecnica del Villaggio nella psicoterapia infantile (Op. Cit).

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I luoghi del Sé. Il Test del Villaggio Fase del ciclo di vita

Posizioni esistenziali

Caratteristiche e compiti della fase Elementi di vita

Primi mesi di Cieco vita

Totale dipendenza dall’altro. Non integrazione

Primo anno di Visceralevita passionale

Attaccamento, fusionalità, invischiamento

Prima infanzia

Onnipotenza. Esplorazione, sperimentazione

Efferato

Terra

Seconda infan- Ribelle zia

Ribellione, separazione-individuazione

Preadolescen- Eroico-Esteta za

Scoperta del proprio potenziale. Controdipendenza

Adolescenza

Bisogno di far parte di un gruppo, di conformarsi, di essere riconosciuto. Emancipazione Aria Autonomizzazione, indipendenza, realizzazione sociale, integrazione

Laico

Prima età adul- Terapeuticota Didattico Età adulta

Zelante

Maturità, interdipendenza, cooperazione, interconnessione

Vecchiaia

VirtuosoAscetico

Bilancio. Distacco. Uscita

Fuoco

Acqua

Tab. 10: Sintesi delle caratteristiche e dei compiti delle fasi del ciclo di vita.

II.5 Le componenti strutturali della personalità e le spinte vitali Ad ogni elemento facciamo corrispondere un’emozione e un “istinto” o “reazione” (fig. 9): • Terra: paura > fuga • Fuoco: rabbia > attacco • Aria: gioia > stare, essere grati • Acqua: tristezza > patire, ripulsa

131 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


Strumenti Fuoco

Rabbia

Terra

Paura

(Attacco)

(Fuga)

Gioia

(Stare, Essere grati)

Tristezza

Aria

Acqua

(Patire, ripulsa)

Fig. 9: Emozioni prevalenti e “istinti” (o “reazioni”)

Oltre alla dinamica tra atteggiamenti di attacco (F) vs fuga (T) e tra la capacità di stare nelle situazioni (A) vs l’essere costretti/costringersi a subirle (H), questo schema ci permette di rilevare anche l’articolazione delle diagonali: • tra F e H, la cronica impossibilità o limitazione nell’espressione della rabbia, porta ad accumulare molta energia e a convogliare dentro di sé le spinte, che diventano quindi un più o meno diretto autoattacco; in questo caso, il soggetto sbilanciato verso H può sviluppare una vera e propria depressione. All’opposto, quando le spinte pulsionali non ricevono un adeguato contenimento e non tengono conto dell’Altro-da-sé osserveremo uno sbilanciamento verso F, con possibili episodi o fasi più o meno lunghe di maniacalità. • tra T e A, rileviamo la possibilità che il soggetto riesca a trovare un equilibrio tra i propri progetti, le proprie idee o gli ideali (A) e l’essere sufficientemente radicato, pratico e concreto (T). Un soggetto sbilanciato verso A, sarà molto creativo, spesso geniale, sarà uno spirito libero e molto portato per l’eloquio e le idee, ma tendenzialmente poco portato a realizzare i propri progetti in maniera fattuale. 132 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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All’opposto, un soggetto sbilanciato verso T sarà ben radicato, concreto, tendenzialmente stanziale e corporeo, ma di solito poco propenso a ricercare soluzioni creative e alternative in situazioni di stallo, giacché preda di ansie e paure del nuovo e dell’ignoto. Riprendiamo il modello di Iracà (2004) per illustrare la disposizione generale che il soggetto assume, direttamente o indirettamente (attraverso la mediazione di norme e valori), nei confronti degli altri. Distinguiamo una dimensione sociale e una dimensione nomica o legale. Per quanto riguarda la prima, illustriamo il continuum del senso sociale (fig. 10), che riflette gli atteggiamenti che gli individui sviluppano nei confronti degli altri. Si va da un massimo grado di autoversione (in cui il soggetto esclude gli altri nel processo di auto-definizione) ad un massimo grado di eteroversione (in cui il soggetto si definisce in rapporto agli altri), passando per un centro il cui il soggetto non si distingue dagli altri, né li imita intenzionalmente (anonimo). Eteroverso

Soggetto:

Altruista

Autoverso

Anonimo

Egoista

Fig. 10: Continuum della dimensione sociale

Rispetto alla seconda dimensione individuata (fig. 11), osserviamo come gli individui tendano a sviluppare una certa attitudine rispetto alle norme e si collochino lungo un continuum che va dalla “ribellione” alle regole date (soggetto antinomico) allo “zelo”, la massima osservanza delle regole (soggetto ipernomi133 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


Strumenti

co), passando per un centro in cui troviamo il soggetto anomico, in cui non vi è conoscenza delle regole, ed è come se queste non esistessero. Ribellione

Soggetto:

Antinomico

Zelo

Anomico

Ipernomico

Fig. 11: Continuum della dimensione nomica (o legale)

Iracà (2004) ha ricavato il proprio modello dei nove tipi (fig. 12), incrociando tra loro questi due assi di derivazione sociologica, articolandoli con le tre forze (gunas) che secondo le teorie induiste governano la vita materiale (ignoranza, passionalità e virtù). Precedentemente abbiamo descritto i nove tipi come “posizioni esistenziali”, in quanto nel nostro modello hanno assunto un carattere “diacronico”, giacché intesi in senso “evolutivo” rispetto agli aspetti emozionali-caratteriologici, ed inseriti lungo il percorso di una spirale. Qui, invece, facciamo una disamina degli aspetti strutturali, evidenziandone il carattere “sincronico”. Il modello originario di Iracà, effettivamente, prendeva in considerazione nove “modi incarnazionali” che non prevedevano un assunto di tipo progressivo. Nel considerare il modello ermeneutico della spirale, dunque, occorre tenere presente un certo bias derivato dal considerare un determinato modus più evoluto di un altro. In ogni caso, questa distorsione può essere limitata se si evita di considerare l’età adulta come “migliore” dell’età infantile. Ogni età della vita va vissuta con le caratteristiche che le sono proprie; ed è chiaro che, soltanto nella misura in cui ciò non avviene nel singolo soggetto, possiamo andare a chiarire i termini di un suo movimento sulla spirale, non sincro134 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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nizzato con la fase di vita che sta vivendo e con le caratteristiche psicologico-emozionali tipiche della stessa (come, ad esempio, avviene nel caso di un bambino precocemente adultizzato, che perde la spontaneità e si irrigidisce; di un adolescente che si isola dal mondo, non riuscendo a cogliere il compito socializzante e di scoperta della sua età; o di un adulto che ha vissuto un processo di separazione-individuazione travagliato ed ora interpreta con incertezza il suo ruolo, rimanendo dipendente, non in grado di assumersi responsabilità e di vivere con autonomia e libertà la sua età). Del resto anche il passaggio attraverso i quadranti elementali non assume in assoluto valore positivo/evoluto, piuttosto che negativo/involuto. Come abbiamo cercato di spiegare e come risulterà dal prosieguo del testo, è l’armonia tra le parti ed un buon equilibrio fra le dinamiche che risulta fondamentale; quindi ogni singolo elemento va letto in rapporto agli altri e tenendo presente il modello generale. antinomico

Ribelle

Epico-eroico

altruista

Laico

Terapeutico-didattico

Efferato

Cieco-ignorante anonimo anomico

Zelante

egoista

Passionale-viscerale

Virtuoso-ascetico

ipernomico

Fig. 12: Il modello dei “Modi incarnazionali” costruito sugli assi “nomico” e “sociale” (Iracà, 2004) 135 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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Possiamo osservare come il modello originale di Iracà, benché (in questa raffigurazione) speculare rispetto al nostro, sia perfettamente sovrapponibile. A partire dai due assi già descritti nel precedente libro (Bosco, Grandi, 2014): Me/Io/Tu e Es/Io/ Super Io, che a mio avviso comprendono rispettivamente le dimensioni sociale e nomica, ricaviamo il seguente schema (fig. 13). Ipernomico SUPER IO

Egoista ME

IO

TU

Altruista

ES Antinomico

Fig. 13: Schema sintetico

È probabile che il soggetto sbilanciato sul versante antinomico risulti fortemente agito dalle spinte pulsionali dell’Es; mentre il soggetto ipernomico pare più probabilmente adeguarsi alla legge superegoica, formatasi a partire dall’introiezione delle istanze parentali e dei valori culturali dominanti. Ricordiamo, inoltre, che il Me indica qui l’Individuo, mentre il Tu indica l’Altro da sé/Ambiente, in un’ottica di minore/maggiore salute psichica e benessere, a seconda della distanza/vici136 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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nanza dell’Io dal Tu. In questo caso, il Me49, distanziandosi dagli Altri, riflette un blocco evolutivo (fissazione) o un ripiegamento narcisistico su se stesso (regressione, involuzione), e a volte una condizione patologica (nevrosi, psicosi); mentre una buona articolazione tra Io e Tu sarebbe indicativa di un buon sentimento sociale e della capacità del soggetto di compartecipare e di viversi nel mondo. Il Me è un Sé senza Tu, ma a volte anche senza l’Io, inteso come identità non ancora strutturata, come nel caso del bambino piccolo, o destrutturata, come nei casi di gravi patologie (“Io senza gli altri”/”Gli altri per me”). In altri casi, il Me è un Io ipertrofico ed onnipotente, che non può articolarsi in maniera efficace e dialogica con un Tu (“Io più degli altri”). L’Io è la nostra rappresentazione nel mondo, in quella articolazione tra Essere e Ambiente al “confine di contatto”, dove si crea un Noi, che è diverso dalla somma delle parti (Io + Tu), ma rappresenta una conquista evolutiva per l’essere umano (e per la Società). Dunque, l’Io presuppone un Tu, altrimenti scivola nel Me. Nella figura che segue (fig. 14) abbiamo tentato una sintesi tra la suddivisione elementale, le posizioni esistenziali e le strutture di personalità (“poli strutturali”). Ovviamente, non ci sono abbastanza assi nella categorizzazione bidimensionale per riuscire a ricomprendere tutti gli assi della struttura classificatoria 49 Nel precedente libro (Bosco, Grandi, 2014), descrivevamo questa posizione con “Sé”, che ovviamente già allora non era il Sé junghiano, che è, al contrario, posto al termine di un percorso di “individuazione”, di realizzazione della propria personalità attraverso l’unificazione di tutti gli aspetti consci e inconsci del soggetto. In questa sede, tuttavia preferiamo utilizzare “Me”, per evitare equivoci, in particolare per l’impiego che ho fatto della definizione di “luogo-Sé”, o di “Confine del Sé”, dove il Sé rappresenta la soggettività nel suo complesso. Anche quando nel testo facciamo riferimento all’asse Sé/Altro da Sé, non ci riferiamo necessariamente a quanto ora abbiamo definito “Me”, che riflette invece gli aspetti più primitivi e “deteriori” della soggettività prevalentemente o esclusivamente egoriferita.

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dei disturbi e delle derive comportamentali, ma riteniamo possa essere utile seguire la seguente schematizzazione: Polo Maniacale

Polo Narcisistico

F Ribelle

Esteta-Eroico

A Laico

Terapeutico-Didattico Polo Sadico

Polo Fobicoparanoide

Efferato

Viscerale-Passionale

T

Cieco

Virtuoso-Ascetico Polo Istrionico/ Ossessivo

Zelante

H

Polo Ansioso

Polo Masochistico

Polo Depressivo

Fig. 14: Il posizionamento dei “poli strutturali” sullo schema complessivo

Osserviamo come le spinte delle varie strutture di personalità raggiungano il quadrante simbolicamente associato all’emozione prevalente e caratterizzante il quadro clinico. Ad esempio, il soggetto depresso si posizionerà in quella che simbolicamente viene indicata come una via di fuga (angolo in basso a destra), nel quadrante Acqua, corrispondente all’emozione “Tristezza”. Anche i grafologi interpretano la scrittura che tende a virare verso il basso, come riferibile a soggetti depressi. Il soggetto fobico si ritirerà nella zona della chiusura (in basso a sinistra), perché dominato dalla paura, emozione legata all’elemento Terra. Metaforicamente il soggetto rimane impantanato nelle sabbie mobili della paura e non può più muoversi. I soggetti con disturbi d’ansia li collochiamo sul continuum 138 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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T-A, dalle angosce più profonde (di separazione, di castrazione, di annichilimento, di frammentazione, persecutoria), agli attacchi di panico e alle varie fobie, che costringono il soggetto ad un ritiro dalla vita sociale (quadrante Terra), fino ai sintomi ansiosi meno invalidanti, che non impediscono il contatto sociale (Quadrante Aria), come ad esempio l’ansia da prestazione o da anticipazione (Zona dei Progetti). Anche i sintomi a livello respiratorio ed espressivo (balbuzie, mutacismo) si inseriscono nell’ambito Aria (o più propriamente, nella dinamica tra A e T, spesso in articolazione con F50). Il soggetto sadico e il soggetto maniacale spingeranno la propria carica vitale all’eccesso del quadrante Fuoco, il primo attraverso atteggiamenti dominanti e di prevaricazione (modus Efferato, “Io senza gli altri”), il secondo in un’esaltazione sregolata di sé, della propria forza e grandezza (modus Ribelle, “Io più degli altri”). Questi soggetti si collocano nel settore compreso tra l’Egoista e l’Antinomico. Il soggetto masochista, è completamente dedito agli altri (modus Terapeutico-Didattico), anche a costo di dimenticare se stesso (si colloca tra l’Altruista e l’Ipernomico). L’asse narcisistico-istrionico è situato non a caso nella fascia centrale dello schema-tavolo, dato che descrive soggetti con personalità centrate sul proprio ego, ovvero l’Asse dei Disturbi Narcisistici di Personalità. Il polo narcisista si sviluppa tra F e A, all’imbocco della Macroarea Sociale in cui collochiamo la fase adolescenziale; infatti il soggetto narcisista si struttura attorno ad un bisogno di ricorrenti conferme esterne circa la propria importanza e il proprio valore, fino a sviluppare una “personalità come se” (Deutsch, 1942; PDM: Aa. Vv., 2006). Questo soggetto è come se tentasse di inserirsi nella zona che definiamo “Io come 50

Cfr.Villaggi di Benedetta, cap. IV.3.

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gli altri”, risentendo – qualora ottenga le conferme richieste – di quegli aspetti Fuoco (“Io più degli altri”) caratterizzati da euforia, comportamento grandioso, disprezzo. In caso di mancata conferma, il soggetto potrà sentirsi svuotato e depresso, e provare vergogna e invidia per coloro che ottengono ciò che egli non ha. Il modus Virtuoso-Ascetico raccoglie sia istanze narcisistiche depressive (simili a quelle del modus Zelante, virate però verso il disturbo mitomaniacale), sia istanze fobico-ossessive del modus Viscerale (ma virate più in un’accezione schizo-paranoide, compulsiva). Il modus Cieco può caratterizzare soggetti con condizioni psicofisiche patologiche (autismo, ritardo mentale, psicosi, malattie fisiche, genetiche o neurologiche invalidanti) che rendono problematica l’uscita dal “ricciolo primigenio” della spirale, spesso costretti in una condizione di dipendenza, confinati in un Me che non riesce ad incontrare il Tu (siamo nell’area denominata dell’“Io senza gli altri”/”L’Altro per me”, dell’Essere impotente o in-potenza) o che lo vede, ma in maniera sfuocata, confusa, intermittente, e che vive come estensione del proprio sé. Forse non è superfluo sottolineare che, circoscrivendo alla zona d’Origine, nell’Area Materna, il modus Cieco o varie condizioni psicopatologiche più o meno gravi, non intendiamo collocarvi l’eziopatogenesi dei disturbi, e indicarne necessariamente la causa nel rapporto primario (ad esempio, nel caso dell’autismo, sono superate le vecchie teorie che andavano in quella direzione, mentre attualmente la ricerca propende per un’origine multifattoriale del disturbo), quanto piuttosto cogliere quegli aspetti fenomenologici ed “esistenziali” del soggetto, le cui caratteristiche sono la traslazione, in un’altra fase del ciclo di vita (infanzia, adolescenza, età adulta, vecchiaia), di una condizione originaria tipica del neonato, ovvero di estrema vulnerabilità, di scarsa integrazione e organizzazione interna, di dipendenza, di bisogno, di chiusu140 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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ra, di primato delle funzioni fisiologiche e corporee, di scarso o mancato accesso al piano simbolico. Infine, passiamo a sintetizzare in tabella tutti gli elementi descritti in questo paragrafo, in modo da presentare in maniera schematica gli aspetti strutturali della personalità, così come essi vengono intesi nel presente modello ermeneutico (tab.11, adattamento da: Iracà, 2004). Linee direttrici

Elementi e Strutture di “modi Personalità incarnazionali” Asse delle spinte H (Zelante) ↔ F Polo Depressivo “umorali/affet- (Ribelle) ↔ Polo Maniative” cale Asse delle spinte T (VisceraPolo Fobico ↔ “fobico/ansio- le-Passionale) ↔ Polo Ansioso se” A (Laico) Asse delle spinte TF (Efferato) ↔ Polo Sadico ↔ “eterodirette” AH (TerapeutiPolo Masochico-Didattico) stico Asse delle spinte HT (Virtuoso-A- Polo Istrionico/ “autodirette” scetico) ↔ FA Ossessivo-Com(Esteta-Eroico) pulsivo ↔ Polo Narcisistico Assi delle spinte vitali

Tab. 11: Schema sintetico degli aspetti strutturali della personalità

Al fine di integrare quanto descritto in precedenza, proponiamo una breve descrizione di quelle attitudini profonde, che Iracà (2004) chiama “modi incarnazionali”, non prima di aver sottolineato come questi descrivano i tratti caratteriali, il tipo di reazione all’ambiente e gli automatismi preferiti dei sogget141 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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ti, ma raramente permettono di individuare dei tipi “puri”. Più facilmente possiamo trovare dei tipi “intermedi” tra un modus e quello adiacente, o dei tipi “espansi” verso i due adiacenti. I modi non sono da intendere come fissi e definitivi; nel corso della vita è possibile passare da un modus ad un altro (tendenzialmente muovendosi verso quelli adiacenti). Quelle che chiamo “posizioni esistenziali” rappresentano una distribuzione lungo una linea evolutiva (la spirale), dunque un adattamento diacronico, dei “modi incarnazionali” individuati da Iracà, integrati con le caratteristiche proprie di ogni fase del ciclo di vita, con gli aspetti psicodinamici descritti nello schema topologico e, in generale, col modello teorico che sto presentando in questo libro. Il modello di Iracà, è sincronico e dunque non legge i modi secondo un principio evolutivo. Inoltre, è evidente il taglio sociologico, in quanto, come già detto, si va ad integrare l’asse etico-normativo (ipernomico/antinomico) con l’asse Sé/Altro da Sé (egoista/altruista). • Modus Cieco(-Ignorante51): indifferente a tutto, cieco non solo metaforicamente (spesso i soggetti con gravi condizioni patologiche della psiche e del corpo rientrano in questa categoria) è incapace di tenere in considerazione aspetti rilevanti come le regole e gli altri. Le regole non vengono rispettate perché per questo soggetto non ci sono, sono irriconoscibili (non conoscibili, non visibili). Gli altri e se stessi sono tutti sullo stesso piano, perché non c’è possibilità di “vederne” le differenze. • Modus Passionale-Viscerale: chi vive solo per sé, dentro l’effervescenza interiore, da un punto di vista emozionale e pulsionale. Dal punto di vista regolativo, non riscontra 51 Il primo modus è assimilabile all’azione della guna chiamata avidia (dall’ind. ‘ignoranza’): per tale parallelismo si rifà alla concezione cosmologica delle teorie indù.

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una grande adesione alle regole, che sono subordinate al perseguimento dell’appagamento delle proprie pulsioni. Soggetto tendenzialmente antinomico. • Modus Efferato: chi persegue in modo assoluto e totalizzante le proprie iniziative, in modo assolutamente chiuso e autoreferenziale. Tendenzialmente resistenti a qualsiasi trattamento, a qualsiasi forma di dialogo; completamente chiusi agli altri, che utilizzano come meri strumenti per il perseguimento dei propri obiettivi. Possono anche essere estremamente solitari, ma il più delle volte trascinano le folle in ambiziosi progetti che portano intere collettività al di là dei margini delle norme statuite. • Modus Ribelle: il soggetto è spinto a sovvertire l’ordine costituito, che ritiene sbagliato, ma non è interessato a costituirne un altro. Riconosce a se stesso il proprio ordine. È autoritario e tende a diventare sovversivo. Può diventare un capo-popolo e, all’estremo, un “duce”, un “dittatore”. • Esteta-Eroico (o Epico-Eroico): è sensibile in termini sovversivi alle regole, può arrivare a morire per esse. Tendenzialmente l’esaltazione dei valori e dei principi normativi non avviene nell’applicazione canonica della regola, quanto piuttosto nella ricerca di un’interpretazione elettiva ed epica. Connota le proprie scelte con la tendenza al “superamento” del limite prescritto dalla norma, a favore di una perfezione al di fuori della norma. È la ricerca di un’applicazione più ampia possibile della norma, una sua definizione più astratta e generale. È sempre proteso verso il raggiungimento di qualche principio regolativo (molto astratto, e quindi “alto”, irraggiungibile) non tanto al soddisfacimento di una qualche pulsione “na143 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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turale” (interna), come il “viscerale”. • Modus Laico: si adegua alle regole senza portarsi a nessun limite (superiore), sempre volto alla ricerca dell’equità e dell’equilibrio – intesi come centratura rispetto ai limiti segnati dall’atteggiamento e dalle propensioni altrui (mentre al contrario gli altri modi sono estremi). È un modus fortemente determinato dal milieu socio-culturale in cui viene a trovarsi, è quindi il più sensibile alla variazione storico-culturale, all’interno della quale il soggetto ricerca il massimo grado d’invisibilità e adeguamento alle norme, senza il perseguimento di una perfezione paradigmatica, bensì nella definizione più neutra (e deconnotata) possibile di sé, in continuo rapporto-confronto con gli altri soggetti che lo circondano. • Modus Terapeutico-Didattico: coloro che scelgono di accompagnare e condurre gli altri, verso il bene o il male non ha importanza, legandosi inscindibilmente al destino altrui. Può avere dei punti apicali di abnegazione di tipo eroico (mai individualistico e/o proteso all’esaltazione di sé), volti sempre al supporto e all’integrazione del proprio vivere con quello degli altri. Vivono solo per gli altri, e li considerano al di sopra delle regole. • Modus Zelante: totalmente rivolto all’applicazione delle regole (è ipernomico), vive in funzione dei codici normativi di riferimento (che sono culturalmente e storicamente determinati): vive per la regola; non esce dalla norma, al di fuori di essa si blocca. Tende ad essere equamente “altruistico” (non nel senso banale di ‘antropofilo’, ma per la tendenza a rivolgersi all’esterno, agli altri, poiché le norme provengono dall’ambiente socio-culturale) ed “egoistico”: non si preoccupa molto delle persone, degli esseri 144 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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umani, ma soprattutto della propria adeguatezza rispetto alle norme. • Modus Virtuoso-Ascetico: totalmente rivolto all’applicazione delle regole (è ipernomico), non in quanto manifestazione della dedizione alle regole e alla loro custodia in sé, ma come effetto del perseguimento della perfezione (intesa in termini normativi, ossia come adeguamento rigoroso al canone prescrittivo). Può dedicarsi anche alla persecuzione (talora violenta) di coloro che le infrangono, ovvero all’oppressione degli altri affinché vi si adeguino.

II.6 Il confine della struttura psichica Le teorie di Anzieu (1985, 1992) sui concetti di “involucro psichico” e “Io-pelle”, si sono rivelate fondamentali per avviare una riflessione sul tipo di confine, di involucro, di contenitore, che il soggetto dona al suo villaggio. Infatti, oltre ad analizzare i contenuti della costruzione, occorre dedicare tempo ad un’analisi del “contenitore”, giacché – come l’autore – riteniamo che risulterebbero inefficaci le interpretazioni del contenuto, quando il contenitore contiene male o non funziona. Occorre, allora, procedere ad un lavoro di analisi sulla configurazione strutturale dell’involucro. Saraceni e Ruggeri (1981) nel loro lavoro sulle risposte “Barriera” e “Penetrazione” al Test di Rorschach, hanno individuato il cosiddetto «vissuto del confine», inteso come limite (tra Sé e Non-Sé), filtro (regolazione dell’entità e della qualità degli scambi e interazione tra mondo interno e mondo esterno), trama (compartimentazione interna e regolazione dei rapporti tra le parti costitutive dell’apparato psichico). A partire da questi lavori, Sapora (2012) ha elaborato uno 145 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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IV. Infanzia

Ci sono persone rotonde, (...) ci sono bambini a forma, diciamo, di triangolo, perché no, e ci sono (...) bambini a zigzag! (David Grossman, Ci sono bambini a zigzag)

In questo e nei capitoli che seguiranno, presenterò un campionario di villaggi che nel corso degli anni ho somministrato a bambini, adolescenti e adulti, maschi e femmine, scelti fra quelli che potevano essere più significativi dal punto di vista della comprensione del modello ermeneutico. In alcuni casi, mi soffermerò in una descrizione dettagliata del villaggio, fornendo alcune informazioni provenienti dell’anamnesi del soggetto (e/o dei genitori), da altri test psicodiagnostici o estrapolati dalle sedute psicoterapeutiche. Potrò fornire, altresì, la trascrizione completa del processo di costruzione, dell’inchiesta, della storia, al fine di utilizzare il materiale per effettuare una analisi dettagliata del villaggio. In altri casi, procederò in maniera più sintetica, fornendo solo alcune informazioni essenziali, utili a far emergere un particolare aspetto. In questo modo, proverò ad evidenziare delle tematiche che possano in qualche modo accomunare due o più villaggi o soggetti.

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IV.1 Rimanere piccolo o diventare grande? IV.1.A Il villaggio di Dario (10 anni)

Dario ha 10 anni. Ha un fratello maggiore (16 anni) che tenta di prendere a modello, ma dal quale è ignorato o vessato. I genitori e le insegnanti rilevano difficoltà scolastiche, problemi di attenzione e concentrazione. Non è autonomo nello svolgimento dei compiti, che quindi vengono svolti con i genitori, i quali però spesso si arrabbiano e non riescono ad aiutarlo (foto 3 e 4). Approccio

Guarda a lungo i pezzi prima di iniziare a costruire. “Questo è il maialino?” “Questo è il ponte?” Costruzione

1° pezzo: Arco sul bordo in Medio-Dx. File di conifere, strade e camion (Medio-Centro/Dx). Negozio di alimentari. Due strade si dividono: su una c’è il camion, sull’altra un’auto. Alberi latifogli all’interno della biforcazione. Punto centrale: scuola con parcheggio dietro e a lato il giardino. Con le assi costruisce una strada che va verso l’alto, dove posiziona il castello (“Un museo, una torre... una torre vecchia”). Attorno mette delle conifere. Chiesa tra negozio di alimentari e castello. Strada dalla scuola verso Basso-Sx, costeggiata da case piccole. La strada si dirama: una verso l’arco (Basso-Sx), l’altra compie un semicerchio con rotazione oraria che torna verso il centro. All’interno dispone diverse case di varie misure, molto ravvicinate tra loro. In alto a Sx (a metà tra centro e angolo), in zona F, pone il parallelepipedo grande, con davanti diversi alberi 202 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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latifogli. Alcune conifere in Alto-Dx e un orso. Alcune auto sulle strade. Ancora strade che si diramano dal centro: una si ricollega con quella che dal basso torna verso il centro; l’altra va verso Alto-Sx. Negozio di armi. Altre case assiepate. Toglie una casetta dal nucleo in basso per fare spazio ad un albero. La casetta la pone più in alto. Pone un altro arco accanto a quello iniziale (a Dx) con una strada che lo collega alla strada già costruita. Inserisce alcune persone, la fontana e il negozio di giocattoli (in centro). Usa tutti gli alberi. Sistema la posizione degli alberi a Dx e in Alto-Sx. Il villaggio appare compresso nella fascia mediana del tavolo, con un andamento da Dx a Sx; è tutto ristretto, le case assiepate le une alle altre. Toglie le assi dal parcheggio dietro alla scuola e pone altre case. Guarda spesso verso l’operatore (sensazione di essere controllato, timore del giudizio?). Effettua ancora delle modifiche. Toglie alcuni alberi nella zona Dx e prova ad inserire delle assi. Non è soddisfatto. Toglie le assi e ripone un albero. Un altro albero lo sposta in Basso-Sx. Prova a collocare il coniglio in diverse posizioni, poi lo lascia nel boschetto in Alto-Dx. Dopo aver dichiarato di aver concluso, effettua ulteriori modifiche: toglie il negozio di armi, sposta alcuni alberi. Anche durante l’inchiesta sposta delle assi a Dx. Il negozio di armi lo ha tolto perché “é nell’altra città”. Omissioni: 23 assi, 8 par. piccoli, 8 tetti, case (2 grosse, 5 piccole – tra cui il negozio di armi, 1 media), 2 archi, cubo, pilastro, locomotiva, 1 auto, 2 persone (adulti M e F), 15 animali. Tempo di costruzione: 25 minuti.

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Inchiesta

È un villaggio di montagna. A Dx (fuori dal tavolo) c’è una montagna con due gallerie (archi), una che entra e una che esce. Nel bosco (a Dx) c’è un coniglio vicino alla chiesa e un orso che lo ha visto e lo vuole sbranare. Il negozio di alimentari è un supermercato che serve per le famiglie che vanno in vacanza e fanno una sosta. Nel castello c’è un museo. In alto a Sx c’è una galera con un bosco fitto per non far vedere la strada per andare via. C’erano due evasi che si stanno sparando all’ultimo sangue, fino alla morte, quello che sopravvive può scappare. Scuole: elementari (casa grande in Basso-Centro, davanti a sé), asilo (casa grande con finestre magenta, dietro scuola elementare), medie (casa grande con finestre azzurre), superiori (casa grande in Basso-Sx). C’è un negozio di giocattoli e un’edicola. Un ponte per andare nell’altra città. Lui dice di non abitare nel villaggio, ma se dovesse abitarci sceglierebbe la casa vicino all’edicola, così può subito comprare i giochi. Storia

Dalla prigione erano evasi due uomini e volevano fare una battaglia all’ultimo sangue con i coltelli. L’uomo a destra è morto e quello a sinistra è scappato. I carabinieri ricercano l’evaso. L’evaso si era nascosto in questa fitta boscaglia. I carabinieri entrano nel bosco e il detenuto è fuggito nell’altra città, dove ci sono le armi. Poi è tornato nella prigione. Ha ammazzato le tre guardie e ha fatto scappare i suoi amici. Sono andati nella città a comprare delle armi. Quando stavano per rientrare dal ponte, vennero arrestati dai carabinieri che si erano nascosti lì e li stavano aspettando. 204 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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Analisi del villaggio

Il villaggio di Dario è compresso nella parte mediana del tavolo, forse ad indicare una difficoltà ad espandersi nello spazio e ad allargare il proprio raggio d’azione. Non si concede di incontrare le parti istintuali, né quelle astratte-ideali; né di propendere verso – o ancor meglio integrare e armonizzare – l’alto e il basso, il pensare/progettare e il fare/realizzare, rimanendo quindi in una condizione di stallo, di inazione e scarsa evoluzione degli aspetti metacognitivi. Rimane nel limbo del presente soggettivo, dell’età di mezzo tra infanzia e adolescenza, assumendo però spesso atteggiamenti da bambino più piccolo, a conferma dei rimproveri dei genitori circa la sua immaturità. La fascia all’estrema sinistra del tavolo è lasciata vuota; un arco in zona Tc porta ad un’altra città, ad un passato che non gli appartiene più, o che vuole disconoscere, ma che tuttavia lo richiama ed obbliga a ritornare in quei luoghi-Sé che vorrebbe abbandonare. È una condizione paradossale, quella di non riconoscere le proprie parti infantili, o la propria dipendenza, dovuta alla continua rincorsa verso una identificazione col fratello maggiore. Questo però comporta grosse frustrazioni, perché sotto nessun aspetto sembra potersi avvicinare alle caratteristiche e alle performance (scolastiche, sportive, ecc.) del fratello. L’adolescenza sembra ancora lontana; fisicamente, psicologicamente ed emotivamente, Dario è ancora un bambino, più che un preadolescente. La sua costruzione parte dall’estrema destra, con un arco posizionato in zona Hb, prospettando – al di fuori del villaggio e dopo una galleria che corre sotto una montagna – un futuro non ben definito, che lo alletta, ma forse lo spaventa, e rimane per ora inconoscibile. La scelta del primo pezzo, un arco (la galleria), pare anch’esso rappresentare una “via di mezzo”, una 205 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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condizione di passaggio, l’importanza di uno snodo esistenziale che permetta di andare altrove, di passare oltre. La posizione del primo pezzo corrisponde a quella che chiamo “Porta della città” (che richiama, a sua volta, il “Luogo dell’avventura” di cui parla Quaglia), per indicare l’accesso al mondo sociale, al mondo adulto, delle relazioni mature, come possibilità data dallo svincolarsi dalla sfera di influenza genitoriale; ma anche – come in questo caso – la fuga verso un mondo altro ideale, per scartare il mondo reale pieno di problemi (scuola) e di pericoli (gli evasi che lottano, il coniglietto sbranato). L’inizio della costruzione di Dario è un proiettarsi oltre la realtà attuale, oltre quella galleria sotto la montagna, che porta in un altrove sconosciuto (e quindi anch’esso ansiogeno), ma altresì agognato. Oltre quella montagna c’è il suo riscatto, il raggiungimento e forse il superamento del fratello. Questo inizio potrebbe anche rivelare un tentativo mascherato di rifiuto del test, di fuga dalla consegna di costruire sul tavolo. Infatti, ha avuto un tempo di latenza molto lungo, prima di iniziare a costruire. Tuttavia, ad un certo punto, non gli rimane che procedere, ma forzatamente all’inverso. Non è possibile la fuga, non si permette di uscire dal tavolo o, al limite, rifiutare il test, e quindi retrocede costruendo un bosco. Il posizionamento degli alberi come elementi iniziali sembrerebbe indicarci un ulteriore tentativo di occultare ciò che sta al di qua, impedire di arrivare al proprio centro. A costruzione ultimata, e quindi osservando il bosco come zona che precede la via di uscita (la galleria), esso sembra rappresentare un’ulteriore prova da superare, un’immersione in una zona oscura (la propria Ombra?) prima di arrivare all’individuazione. Ma non è un percorso facile; egli probabilmente si identifica con il coniglietto (l’animale più piccolo e indifeso del kit del Villaggio) che sta per essere sbranato da un orso. Questi sono gli unici due animali 206 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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inseriti nella costruzione; non pare un caso osservare la diversità di stazza e forza fra i due, così come c’è tra Dario e il fratello. Incominciare la costruzione con pezzi “interlocutori” (archi) e non strutturati (alberi), ci può dare indicazioni sulla sensibilità e sulla timidezza del soggetto, che resta sulla soglia (tempo di latenza lungo, arco come primo pezzo) e si camuffa un po’, si nasconde (nella boscaglia, da cui può guardare senza essere visto), prima di immergersi nel villaggio e dichiarare qualcosa di sé. Si riscontrano peraltro forti elementi di insicurezza e scarsa autostima, laddove in fase di costruzione (in particolare nella fase finale e finanche durante l’inchiesta) Dario effettua diverse modifiche, sposta molti pezzi già posizionati, li ricolloca in un’altra posizione, li elimina. Inoltre, sostiene di non abitare nel villaggio, come ulteriore elemento di presa di distanza dalla sua produzione (successivamente, dopo esplicita domanda, dirà che potrebbe abitare in una casa vicino al negozio di giocattoli). La costruzione, dunque, procede da Dx verso Sx, soffermandosi a lungo nella parte centrale, nella zona dell’Io e del presente; giacché se il passato vuole essere abbandonato e il futuro non è conosciuto, e forse proprio per queste ragioni, occorre fare i conti con il presente immediato, risolvere le questioni lasciate aperte, che impediscono o rendono difficoltosi il dinamismo interno e la spinta evolutiva. Nel Test di Posizionamento nello Spazio (TPS) Dario indica, con un punto ben marcato, proprio il centro esatto del foglio. Dario, dunque, rimane confinato entro se stesso, compresso tra una prigione (Alto-Sx) e una montagna (Dx), tra l’essere considerato un bambino piccolo e incapace (insicuro, dipendente, distruttivo), e il dover affrontare il mondo dei grandi, per dimostrare di essere cresciuto e competente. La costruzione scorre da Dx a Sx, attraversando un Centro 207 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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(presente) fatto di scuole (ce ne sono quattro, di ogni ordine e grado), di prove, di giudizi, di compiti e frustrazioni. La sua casa è nel quadrante T, vicino al negozio di giocattoli, segno che il richiamo ad un’infanzia spensierata e giocosa è ancora forte, e che l’Area Materna rappresenta un rifugio nel quale sono accolti (e forse un po’ congelati in una fase precedente alla sua età attuale) i suoi bisogni e la sua dipendenza. Omette tutti gli animali, e all’ultimo elimina anche il negozio di armi. Le parti istintuali, pulsionali ed aggressive non possono essere manipolate, concretamente disposte sul tavolo. Salvo poi essere raccontate nella storia e all’inchiesta, grazie ad una maggiore presa di distanza (i protagonisti sono altri): l’orso sbrana il coniglio, i due evasi lottano e uno ammazza l’altro, tre guardie vengono uccise. È un mondo che viene raccontato attraverso una storia di evasione da una prigione (evidentemente con un antecedente implicito di reclusione, in seguito ad un reato, ad una colpa), di fuga e cattura, di omicidi e sbranamenti. È un mondo con un numero di scuole, in proporzione al resto, decisamente elevato, indice della centralità (ansiogena) per Dario di questa tematica. Egli vive con angoscia il momento delle valutazioni e dei compiti a casa, nonché il prossimo ingresso alla scuola secondaria di primo grado. Il posizionamento del bosco sembra indicare un senso di indeterminatezza circa le modalità e i risultati del suo proiettarsi nel futuro. Le domande profonde che Dario sembra porsi potrebbero essere: Come sarò nel futuro? E il futuro stesso come sarà? E cosa si deve fare per diventare grandi? Sarà tutto faticoso e incerto come è adesso? L’ambivalenza nei confronti del fratello maggiore sembra emergere da alcuni elementi anche nei disegni. Nel Disegno della Persona, Dario raffigura suo fratello al centro del foglio, con 208 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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tratto leggero, di dimensioni ridotte, con capelli spigolosi e anneriti e pupille omesse. Poi verbalizza che il fratello gli rompe sempre le scatole, ma lui rimedia sparando con una pistola a pallini. Nel Disegno della Famiglia, rappresenta un papà e una mamma al centro e due figli, un maschio e una femmina, uno per lato. I figli hanno la stessa età (4 anni). Omette quindi di rappresentare la sua famiglia reale, e in particolare la differenza di età fra lui e il fratello. Anche il sesso diverso dei bambini rimarca la distanza con la famiglia reale. Il posizionamento dei due bambini, inframezzati dalla coppia genitoriale, sottolinea la distanza fra loro, e forse un ruolo degli stessi genitori nel mantenere tale gap, a causa della tendenza ad esaltare le qualità del fratello e a svalutare Dario. Nel villaggio, possiamo osservare questi aspetti nel posizionamento del conflitto fra i due evasi nell’area paterna (il fratello, come sostituto paterno, è oggetto di identificazione), nel conflitto che porta ad uccidere tre guardie (rappresentanti della Legge, come estensione delle norme genitoriali) e nella scena dell’orso che vuole sbranare il coniglio. Appare dunque congruente il racconto efferato che ruota attorno all’evasione dal carcere e agli omicidi, con le caratteristiche del quadrante F, nella Zona dei Conflitti, ove ribollono l’emozione Rabbia e le spinte aggressive e di ribellione. Questi aspetti richiamati dalla storia, vengono giocati nella zona del modus Ribelle; tuttavia, Dario posiziona i primi pezzi, e il villaggio nel suo complesso, nella zona esattamente opposta: quella che sta a cavallo tra il modus Terapeutico-Didattico e il modus Zelante. Quella cioè dove il coniglietto sta per essere sbranato dall’orso (dove quindi l’aggressività, anziché essere esteriorizzata, gli si rivolge contro). Tutto ciò potrebbe indicarci una repressione delle spinte aggressive nei confronti del fratello (e per estensione, dei genitori), e 209 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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un adeguamento passivo alle norme statuite, anche a costo di subire soprusi e sperimentare sconfitte (Polo Masochistico → Polo Depressivo), per continuare a guardare ai modelli, nel vano tentativo di diventare come loro, di essere equiparato ad essi, di introiettare quelle caratteristiche che li rendono migliori di lui. Il villaggio, nella sua parte più strutturata, è ordinato e compreso all’interno di una cinta di assicelle (la strada), ad indicarci che vi è in Dario una certa organizzazione interna. Certamente, il villaggio appare molto compresso, e così probabilmente si deve sentire Dario alle prese con tutti gli aspetti che abbiamo sviscerato. La cinta esterna, se da un lato rappresenta una strada che permette di uscire dal villaggio, per raggiungere zone limitrofe, d’altro lato sembra un po’ costringere, comprimere al suo interno, rendendo difficoltosa l’espansione e la reale espressione delle potenzialità. Per questi motivi, potremmo richiamare le caratteristiche della configurazione Corteccia al test del Confine del Sé, perché, per quanto il villaggio preveda delle vie d’uscita e di entrata, e dunque non sia perfettamente chiuso, esse paiono più potenziali, che di uso abituale. Inoltre, i luoghi di approdo sono anch’essi poco definiti, posti oltre dei simbolici archi: uno termina in una zona vuota del tavolo (Basso-Sx), l’altro addirittura fuori dal tavolo (→ Dx). In sintesi, questo “villaggio di montagna”, circondato da vuoto, boscaglia e altre montagne, di dimensioni ridotte e compresso dentro mura difensive, pare vivere una condizione di “isolamento”, che è proprio la dimensione caratteristica della configurazione Corteccia. Le case sono tutte rivolte verso il costruttore (che non si è mai mosso dalla posizione centrale iniziale), ad ulteriore conferma della fase di autocentratura (narcisistico-infantile) e/o di congelamento sulle posizioni di un “Io presente” che non vuole o non può rappresentarsi nel passato e ancora non può afferrare 210 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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il futuro. La Macroarea Genitoriale (metà Sx del tavolo) ha molti vuoti, ma anche una parte di villaggio decisamente strutturata. Qui sono stati posti il carcere, quattro edifici scolastici, diverse abitazioni, tra cui quella di Dario, vicino al negozio di giocattoli presso cui può rifornirsi; e il tutto è inserito all’interno di una cinta di assicelle che descrive un ellisse che fa da contenitore al villaggio. Siamo nel quadrante T, nell’Area Materna, nella Zona dei Bisogni: qui Dario può esprimere il bisogno di essere contenuto e protetto, di vivere la propria infanzia giocosa e spensierata, di rimanere piccolo e dipendente, di tenere all’esterno, nascosti da un fitto bosco, gli aspetti negativi e forse di confronto e faticosa identificazione con la parte maschile e paterna (in questo caso, comprendiamo nel Polo con funzioni paterne, anche il fratello). Con un’interpretazione un po’ ardita, ma che restituisce un’immagine efficace, possiamo considerare l’auto ferma nel parcheggio, in pieno modus Cieco, all’interno di un contenitore dalla forma tondeggiante, alla stregua del suo sostare in una dimensione uterina, di una sua mancata uscita dalla “placenta psichica” materna (Quaglia, 1995), e quindi di un mancato avvio del processo di separazione-individuazione. È per questo che l’accesso all’area Paterna e il confronto con essa avviene solo in forma fantasmatica, poiché non c’è stata una reale fase di sperimentazione (Mahler, 1975), con un riuscito passaggio da una fase di dipendenza ad una di autonomia. Più probabilmente, essa ha avuto avvio, ma si è quasi subito fermata a causa dell’impari confronto col fratello maggiore e di un mancato incoraggiamento genitoriale, se non addirittura di una palese svalutazione, che ha comportato in Dario l’impossibilità di integrare le caratteristiche F (coraggio, spinta vitale, volontà di potenza) per accedere con gli strumenti giusti, prima alla fase esplorativa e di costru211 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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zione dell’identità, tipica della prima e della seconda infanzia, e poi allo snodo preadolescenziale, nonché per preparare il terreno per un equilibrato accesso alla macroarea Sociale. La metà Dx del tavolo è occupata in parte da una zona costruita e strutturata e da un bosco che separa il villaggio dalla montagna (idealmente posta fuori dal tavolo). Qui troviamo anche il castello e la chiesa, che però nel racconto di Dario non sembrano rivestire ruoli fondamentali. Il castello è in realtà un museo, e può rappresentare l’idealizzazione del fratello, come mito da raggiungere ed eguagliare (siamo nello spicchio del modus Laico e della fase adolescenziale, quella che sta attraversando il fratello). La chiesa viene citata nella scena del coniglietto che sta per essere sbranato dall’orso. Questo pezzo viene posto qui, dove si sta giocando una parte del lavoro profondo di Dario nei confronti del fratello, probabilmente come elemento di protezione, come simbolo materno/genitoriale in grado di contenere la sua paura. Andando più in profondità, possiamo pensare che la chiesa sia un’estensione del contenimento uterino in area T (la cui emozione prevalente è la paura); la strada è il “cordone ombelicale” che lega la coppia madre-bambino, simboleggiata dalla chiesa, che permette di visitare il mondo esterno, senza perdersi, di rimanere collegato (sicuro, protetto), ma anche, purtroppo, legato (dipendente, infantile). La centralità della domanda rispetto al futuro appare, infine, pregnante nel posizionamento dell’edificio delle scuola media, in perfetta corrispondenza con il TPS, nel centro esatto del tavolo. Effettivamente, dopo le vacanze estive, inizierà la scuola secondaria di primo grado, e ciò non può che essere al centro dei suoi pensieri. La scuola superiore è posta da Dario addirittura nel sacco uterino, poiché – mentre il fratello frequenta con successo il liceo – a lui il solo pensiero probabilmente genera molta 212 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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paura e non può essere contenuto nel suo solo spazio mentale, ma deve essere condiviso con quello materno/genitoriale.

IV.2 Il Falso Sé Quando il bambino si trova a dover rispondere a comportamenti ambigui da parte della figura di riferimento primaria, quando vi è un ambiente affettivo inadeguato, o quando si crea una cornice ambientale tale per cui al bambino non viene offerta la possibilità e la sicurezza di creare e giocare, ma anche di aggredire e distruggere, si può sviluppare quello che Winnicott (1965) chiamava Falso Sé. Esso riflette l’adattamento compiacente all’ambiente, in luogo del vero Sé. Si tratta di un meccanismo di difesa assai complesso, che garantisce al bambino la sopravvivenza psicofisica, in un momento in cui è ancora estremamente vulnerabile e dipendente, ma che lo costringe ad adattarsi in modo passivo all’ambiente, per non perdere il suo oggetto d’amore. Mentre il vero Sé è la sede più profonda, intima e autentica di bisogni e affetti, il Falso Sé ha una collocazione in superficie nella struttura di personalità. I Villaggi costruiti attorno ai bordi del tavolo possono essere definiti “villaggi del Falso Sé”, dal momento che sembra sia il piano di lavoro offerto al soggetto a sostenere la costruzione, piuttosto che la sua creatività interiore, messa a disposizione dal movimento di proiezione. La zona centrale del tavolo, la cosiddetta “zona dell’Io”, si ritrova vuota; ciò sembra rivelare la fragilità strutturale di un Io incapace di giocare il suo ruolo di mediatore con il mondo esterno, ma anzi è da esso modificato. Di qui, i frequenti sentimenti di vuoto interno ed esterno, di artificiosità, di inautenticità, di distacco dalla realtà, delle organizzazioni in Falso Sé (Jacquet, 1999a; Bosco, Grandi, 2014). 213 Edizioni Psiconline © 2018 - Riproduzione vietata


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