Il counseling in azienda e nei gruppi. Comunicazioni efficaci ed analisi delle relazioni

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Mariangela Ciceri

Il Counseling in azienda e nei gruppi Comunicazioni efficaci ed analisi delle relazioni

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Prima Edizione: 2017 ISBN 9788899566036 © 2017 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di luglio 2017 in Italia da Universal Book srl Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)

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INDICE

INTRODUZIONE

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CAPITOLO 1– IL GRUPPO E L’AZIENDA 1.1 Cos’è un gruppo 1.2 Il caso di Piero 1.3 Il gruppo nel lavoro

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CAPITOLO 2 – IL CONFLITTO 2.1 Comprendere e gestire il conflitto 2.2 Il Rahim Organizational Conflict Inventory 2.3 La persona, l’azienda, il gruppo, la leadership 2.4 I modelli di Bruce Tuckman e Forsyth per l’evoluzione del gruppo 2.5 Il caso: l’arrivo di Claudia 2.6 Gli stili di leadership e l’insorgenza del conflitto 2.7 Il caso: Alessia, Barbara e Claudio

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CAPITOLO 3 – LA COMUNICAZIONE 3.1 Spazi di intervento ed ‘educazione’ del lavoro di gruppo 3.2 La comunicazione efficace come strumento per la gestione del conflitto

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3.3 Il caso: il gruppo, l’obbiettivo condiviso e il conflitto 3.4 La mediazione nei conflitti aziendali

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CAPITOLO 4 – UOMINI E AZIENDE MALATE 4.1 La patologia e l’allessitimia nelle organizzazioni 4.2 Il caso: Ernesto 4.3 Kets De Vries e le tipologie di organizzazione

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CAPITOLO 5 – IL COUNSELOR È UTILE ALL’AZIENDA? 5.1 Il counselor come risorsa per gestire il conflitto in azienda?

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CAPITOLO 6 – IL MOBBING 6.1 Un pericoloso impedimento al benessere lavorativo 6.2 Le fasi del mobbing: dalle origini alle manifestazioni 6.3 L’azienda e il mobbing 6.4 Figure professionali e possibili soluzioni 6.5 Il caso. La storia di Mirko

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CONCLUSIONI

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BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Mi è capitato spesso sia per ragioni professionali, che personali di dover ascoltare lo sfogo dovuto a malesseri identificati come conseguenze di problemi sorti in ambito lavorativo. In alcuni casi, e per quanto riguarda la mia esperienza, molto raramente lo stress e/o la difficoltà a gestire vissuti emozionali sono effettivamente identificabili con situazioni meramente delimitate dalla sfera professionale, mentre i veri sicari sembravano essere le incoerenze, le credenze, la reiterazione di copioni. Le dinamiche emerse come possibile causa di relazioni conflittuali in contesti lavorativi prendono forma da una sostanziale disamina del significato di “gruppo di lavoro” (costituzione, crescita, conflitto, scioglimento) e dai “condizionamenti” dovuti a esperienze pregresse o vissuti dei singoli componenti. Per comprendere quanto utile possa essere un intervento di Counseling in azienda è bene partire dalla comprensione di chi sia il Counselor e quali le sue competenze. Al di là della pura dissertazione di termini e di utilizzo, ciò che è innegabile è che si tratti di una professione d’aiuto la quale, di fronte a una richiesta precisa ed in assenza di un disturbo di personalità e patologie che richiedano l’intervento di psicologi e psichiatri, consente di gestire con efficacia problemi legati all’autostima, alle emozioni, ai conflitti. 7

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Con esso, attraverso l’uso di tecniche, abilità e atteggiamenti si possono gestire ‘quei problemi che influiscono sulle prestazioni lavorative, sia che nascano nello stesso ambiente di lavoro, sia che abbiano origine da fatti più personali e poi si riflettano sul lavoro.’1 Il counseling promuove il benessere e nel benessere sono inclusi anche le relazioni e le problematiche che prendono vita e si manifestano nel proprio ambiente di lavoro. Capita dunque di assistere a situazioni innescate da frustrazioni, bassa autostima, difficoltà nella comunicazione, invidie, generalizzazioni e deformazioni con ripercussioni quotidiane nel mondo del lavoro che vanno ben oltre le difficoltà etichettate come “relazioni di lavoro”. L’ufficio, l’azienda, la scuola, la corsia, intesi in senso lato come luoghi dove la professionalità necessaria e richiesta per assolvere un dato lavoro è fondamentalmente basata su una buona e funzionale relazione, si trasformano in uno sito dai confini deformati dove il disagio emotivo trova terreno fertile e le persone, costrette a condividere spazi, emozioni, paure e aspettative, creano, distruggono e modificano le relazioni interpersonali instaurando con il disagio comunicativo una sofferenza che va dalle manifestazioni psicosomatiche, alla sensazione di inadeguata appartenenza a un gruppo e/o ad un contesto lavorativo, fino alla devianza. Cerchiamo allora di comprendere cosa sia un gruppo di lavoro, come nasca, come si sviluppi come e in quali occasioni chi lo compone si trovi a dover affrontare il conflitto, quali strategie di coping (modalità agite per adattarsi a situazioni di stress) vengo1 Micheal Reddy, Il counseling aziendale, Collana di Edoardo Giusti 1994, pp 20. 8

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no attivate, quali siano funzionali e quali no. Ma anche in quale modo un malessere, nato al di fuori dall’azienda, si ripercuota e condizioni la relazione con i colleghi, fino a diventare disfunzionale. Se da un lato affinché un’azienda funzioni (ma il discorso ovviamente è estensibile alla maggior parte delle situazioni lavorative) ha bisogno di avere nel proprio organico persone motivate, con uno stipendio o una posizione che riconosca e valorizzi la sua professionalità, dall’altro esse si rilevano del tutto insufficienti se alla base di uno scontento ritenuto ‘lavorativo’ si cela, e ad esso si ‘somma’, uno stato di malessere insito a livello personale, ma non consapevolizzato.

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CAPITOLO 1 IL GRUPPO E L’AZIENDA

1.1 Cos’è un gruppo? Kurt Lewin, grande studioso della dinamica di gruppo lo definì ‘come un insieme e come un clima in cui si determinano le condotte individuali’2. In pratica, in ogni ambiente di lavoro, si agiscono e si amplificano gli stessi comportamenti che appartengono alla vita di ogni giorno. E se non essere in pace con se stessi, nella famiglia, nelle relazioni sentimentali, può essere visto come un problema limitato alla persona, quando il conflitto viene riversato in ambito lavorativo e va a collidere con altri Sé, spesso genera incomprensioni, ansia, perdita di motivazioni e aggressività perché: ‘Le persone hanno più spesso bisogno di essere aiutate a mobilitare le loro energie, a chiarire i pensieri e a mettere in pratica le loro risorse.’3 2 3

Pino De Sario, Far funzionare i gruppi, Franco Angeli, 2019 pp 19. Micheal Reddy, Il counseling aziendale, Collana di Edoardo Giusti 11

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Ma metterle in grado di comprendere come il conflitto nasca e si alimenti dalle e nelle relazioni, significa offrire una nuova prospettiva di lettura, dare gli strumenti per vedere, nella competizione rispettosa di sé e dell’altro, una risorsa, un’opportunità di cambiare il proprio modo di stare nella relazione, nel gruppo, nell’azienda. Poiché è assolutamente irrealistico pensare alla nostra vita come ad un’esperienza del tutto esente da problemi, delusioni, sofferenze, ostacoli è facile immaginare come anche sul lavoro, ci si possa trovare di fronte a conflitti e problemi. Se per certi versi le difficoltà relazionali (immaginiamo un gruppo di lavoro nel quale le persone non si parlano, non si ascoltano, non si ‘vedono’) possono mettere a repentaglio la produttività dell’azienda, per altri il portare fuori (nella famiglia per esempio) quel malessere che non ha trovato espressione, può pericolosamente condizionare lo stato psichico ed emotivo di chi sente di non ‘avere avuto voce’. Tra le opzioni di cui dispone un’azienda per migliorare l’ambiente di lavoro e la relazione tra i dipendenti, vi è il Counseling che, fornendo tecniche e strumenti per una gestione positiva e feconda del conflitto, può sviluppare una comunicazione efficace, una consapevolezza individuale e dare visibilità e voce a quelle risorse umane utili ad accrescere stima, fiducia e coesione. Altre scelte (strumenti di consulenza e formativi) possono migliorare la situazione, ma agendo solo sul problema, non metteranno tra le loro modalità di intervento, l’aiuto delle persone in un momento di difficoltà. Per meglio analizzare come il malessere individuale si consolidi e trovi occasioni per essere agito all’interno di un gruppo 1994, pp 21. 12

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di lavoro e di un’azienda, vediamo cosa si intende per ‘conflitto’ sul luogo di lavoro. Nessuna esistenza per quanto sana ed equilibrata è priva di conflitti. Il conflitto nasce e si evolve con l’uomo e per sua natura non è classificabile in modo positivo o negativo, connotazione che invece meglio si adatta alla sua gestione e/o risoluzione. Le persone tendono a comportarsi e a relazionarsi con individui e problemi allo stesso modo, sia in ambito aziendale e lavorativo che nella famiglia e nella società, muovendosi tra due estremi decisionali e comportamentali mossi tra razionalità ed emozionalità. ‘In ambito lavorativo è frequente l’insoddisfazione e l’intrusione delle difficoltà relazionali nel lavoro e di quelle professionali nel privato.’4 Quest’ultima quando abbracciata in maniera assoluta può esacerbare le situazioni conflittuali paralizzando gli schemi di pensiero logici e funzionali, generando stress. Se una persona è abituata a reagire di fronte a un problema in maniera negativa, devastante, potenziando quegli aspetti della comunicazione, non assertivi ma aggressivi, ricchi di elementi verbali e non verbali che non facilitano il dialogo, è probabile che tenda ad andare verso la definitiva rottura di una relazione professionale, senza sviluppare alcuna strategia risolutiva nei confronti del problema e del conflitto ad esso collegato. Una persona invece che sappia fare della situazione conflittuale un strumento attivante la negoziazione, sarà in grado di usare una comunicazione impoverita da costrutti emozionali, ma ricca di pensieri creativi per il superamento del momento di crisi. 4 Spalletta, Germano, MicroCounseling e MicroCoach, (Hazan, Shaver, 1990), Collana Edoardo Giusti, Edizioni Sovera 2001, p 51 13

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Ciò, contrariamente a chi non riesce a trovare soluzioni ai conflitti e alle ostilità relazionali, determinerà una sostanziale crescita di stima, fiducia e consapevolezza verso le risorse interne attivabili, utili sia alla crescita personale che aziendale. Se ne deduce che i conflitti personali aumentano proporzionalmente la possibilità di generare conflitti anche nella relazione con gli altri. ‘Se una persona non è accordata dentro, fa crescere la possibilità dei disaccordi interattivi’5 La presenza in un contesto lavorativo di persone del primo caso, rispetto al secondo, è potenzialmente indice di difficoltà nella relazione e probabile generatrice di conflitto. Un’azienda nell’approccio sistemico, così come il “tutto” nella visione Gestaltica, è più dell’insieme delle parti. Gli individui che ne fanno parte non sono esseri a se stanti, ma persone che interagiscono tra loro con modalità a volte disfunzionali capaci di condizionare fortemente l’ambiente e i rapporti. Poiché le relazioni sia umane che professionali possono differenziarsi per natura e complessità, la prevenzione ed il contenimento del ‘problema-conflitto’ diventano una priorità utile ad arginare uno stato di malessere che dal singolo, dalla coppia di colleghi, dal gruppo di lavoro, potrebbe ripercuotersi ed attivare malesseri inespressi, fino a diventare, perché mal governata, una complicazione di difficile risoluzione. Un conflitto inespresso è un conflitto destinato a non esaurirsi. Nel migliore dei casi, potrebbe essere rimosso, pronto a riemergere quando la situazione lo richiede, inoltre più esso perdura nel tempo, più si riducono le possibilità di una rapida soluzione. Dare voce al conflitto non è però una cosa facile e la complessità, più ancora che per il contenuto, è condizionata dal nume5

Paolo La Cagnina, www.comunicazione.it, gennaio 2012

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ro delle persone coinvolte (è più facile mediare tra due persone piuttosto che tra dieci) e dal loro personale comportamento di fronte alle ostilità. Nell’affrontarlo è importante mantenere l’attenzione delle persone coinvolte sul problema di oggi, sul qui ed ora del conflitto. Assicurare una comunicazione efficace ed assertiva, sviluppare l’ascolto attivo, l’accettazione di feedback soprattutto per quanto riguarda la comunicazione non verbale. Garantire l’esposizione, senza interruzioni, aggressioni o giudizi in merito ai contenuti del messaggio. Nel momento in cui si è riusciti a costruire un setting aziendale (persone in cerchio, in modo che nessuno, almeno nella posizione fisica, possa prevale sull’altro, possibilità per tutti di essere visti e di vedere gli altri, un luogo ‘sicuro’ ove sia garantita la discrezionalità di quanto verrà detto) occorre mettere in scena il conflitto e vedere come gli attori lo interpreteranno. Secondo Marco Matera esistono diversi possibili tipi di relazione: un accordo sui contenuti e una buona relazione, un disaccordo sui contenuti ed una buona relazione (situazione che consentirà una discreta manovra di negoziazione rispetto al conflitto dichiarato), un accordo sui contenuti, ma una cattiva relazione. In questa situazione difficilmente si riuscirà a lavorare insieme evitando il conflitto, un disaccordo sul contenuto ed una cattiva relazione con conseguenze complesse che riduco il margine di patteggiamento.6 Ciò che emerge da questa classificazione è che il ‘conflitto trova le sue radici in un problema di relazione.’7 Anche di fronte alla consapevolezza che la relazione più importante è quella che 6

AIF Learning News Aprile 2008, anno II, n.4.

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AIF Learning News Aprile 2008, anno II, n.4. 15

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abbiamo con noi stessi, ciò che riesce difficile accettare è che l’altro, il collega, il rivale, colui che è causa diretta o indiretta del conflitto, ci rimandi parti in ombra di noi, aspetti del nostro carattere che non ci è facile accettare ma soprattutto vedere e riconoscere in un contesto lavorativo dove le sovrastrutture protettive spesso hanno una consistenza elevata. Nel lavoro, avere un problema, vivere una situazione di conflitto significa essere immersi in una situazione in cui non è facile stabilire confini, quelli propri e quelli degli altri. Proviamo a vederlo con un esempio.

1.2 Il caso di Piero Piero è un uomo di 59 anni con un diploma in ragioneria. Sposato, padre di un figlio di 19 anni, lavora in un’agenzia di assicurazioni con mansioni che prevedono responsabilità diretta nei confronti di altri collaboratori. Si occupa della gestione di nuovi clienti. Dall’inizio della sua attività lavorativa ad oggi ha cambiato un considerevole numero di uffici motivando gli spostamenti come soddisfacimento di richieste personali (meglio compatibili con il ruolo di padre e marito) ma anche come conseguenza di decisioni dirigenziali atte a punirlo. Invitato a elencare le ragioni per cui nella sua azienda gli impiegati vengono trasferiti in altre sedi o uffici, dice che la decisione è dovuta: a incomprensioni con il capo reparto, per sostituire qualcuno che ha trovato un lavoro migliore, per il rientro di qualcuno dalla maternità, perché il proprio inquadramento professionale non trova spazio nell’ufficio assegnato. Nel suo caso i trasferimenti però, sono sempre stati una punizione per le difficili relazioni con superiori e colleghi, specie con questi ultimi che mal sopporta e che incolpa di lavorare in modo 16

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troppo competitivo. La sua critica e mancanza di fiducia è indirizzata e riversata sui colleghi più giovani che possedendo, nella maggior parte dei casi, un titolo di studio superiore al suo, sono convinti di saperne più di lui che ha alle spalle, anni di lavoro ed esperienza. Piero pur avendo un titolo di scuola superiore si sente penalizzato dal non aver potuto proseguire gli studi. Avrebbe voluto studiare musica ma i genitori, convinti che i musicisti non trovino facilmente lavoro, avevano condizionato le sue scelte e lo avevano spinto ad accettare, subito dopo il diploma, la proposta d’assunzione da parte dell’azienda nella quale lavora attualmente. Accontentati i genitori Piero ha cercato di coltivare la sua passione dedicandosi alla musicologia, passione che lo ha portato a visitare teatri, biblioteche e musei. La sua idea di vacanza è quella di visitare luoghi significativi per la musica e l’arte in generale dai quali però torna sempre a casa non completamente soddisfatto perché anche tra le persone con cui condivide la sua passione, c’è troppa ignoranza. Quando il figlio Alberto dopo il diploma di scuola superiore, si iscrive al DAMS - Corso di laurea in Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo - il suo umore peggiora e la relazione con i colleghi già ridotta ai minimi termini scompare. Considerandoli inesperti e superficiali, pronti a fare tutto quello che viene chiesto loro di fare, senza etica, deontologia, morale, si allontana ulteriormente dal “gruppo” e nel tentativo di compensare la sua “trasparenza” cerca l’approvazione dei nuovi clienti rendendosi sempre disponibile ma evitando ogni competizione professionale, alla ricerca di un surrogato di autostima che gli permetta di dare un senso alle relazioni senza tentare nulla per individuare strategie migliori ad appagare il suo inconsapevole bisogno di appartenenza. 17

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Quando Piero dice di avere dei problemi sul lavoro, di non andare d’accordo con persone superficiali in realtà ignora che uno dei punti cardini del suo conflitto in azienda nasce dalle sue difficoltà personali.

1.3 Il gruppo nel lavoro Facciamo o abbiamo fatto parte, di una famiglia, di un gruppo di amici, di una coppia, di un team lavorativo. In ognuna di queste situazioni consciamente o inconsciamente ci muoviamo per confermare il nostro essere parte di qualcosa. Ma mentre in certi contesti, come quelli famigliari e di coppia, i confini sono facilmente definibili, quelli lavorativi vengono spesso, erroneamente, collegati a quello che l’azienda si aspetta venga fatto. Senza confini non è facile avere identità. Difenderli, significa anche difendere il proprio Sé. Questo meccanismo è quello che fa sì che un consulente, per quanto empatico, professionale e ricco di doti comunicative, sia sempre visto e vissuto come qualcosa di esterno, a meno che non si riesca a dilatare il confine. Ciò richiede un cambiamento di registro mentale e di prospettiva (detta anche footing) una capacità molto difficile da attuare per via dei circuiti neurali di routine che si instaurano dentro ognuno di noi e per una specie di conformismo che scatta nel gruppo.8 Sociologia e psicologia, si pongono diversamente di fronte al

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Pino De Sario, Far funzionare i gruppi, Franco Angeli, 2019, p 20

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conflitto e alla relazione che lo genera. Buber pone un forte accento sul pensiero relazionale, sul riconoscimento di sé stesso nell’altro per un incontro serio e trasformante. Al centro delle sue ricerche vi è la teoria del ‘tra’, quel transito fra due soggetti, che permette di rendere piena ragione del rapporto io-tu, costruendo con l’altro una sfera comune basata sul principio dialogico: riconoscimento dell’altro, apertura, ascolto, espressione. Cheli crea un’ottima sintesi tra comunicazione, relazione, emozione, dimensioni compresenti ed interdipendenti di ogni scambio interpersonale. Questo incrocio integrato, olistico, apre su una quarta dimensione, la consapevolezza che origina dallo sviluppo personale: la ricerca costante di connessioni tra piani diversi comunicativo-relazionale, finora separati e contemporaneamente la cura dello scambio con l’altro. La psicologia, con il Modello sistemico-relazionale di Batens che ha ispirato la scuola di Palo Alto e di Watzlawick, sommo divulgatore sulla comunicazione umana, attribuisce a 5 assiomi, un ruolo chiave all’aspetto non verbale nella relazione. Secondo Rogers, esponente della psicologia Umanistica, la predisposizione naturale dell’uomo a conseguire, attraverso la tendenza attualizzante, la realizzazione delle proprie potenzialità va curata e facilitata attraverso una esplorazione interpersonale, tesa alla creazione di un clima di accettazione totale autentico.9 Quando sul lavoro qualcosa non funziona come vorremmo, è importante valutare quanto la carenza di ascolto attivo e di una comunicazione efficace predispongano alla costruzione di relazioni capaci di accogliere e gestire pensieri diversi dai nostri. Fuori e dentro le aziende la competitività, l’assenza di rassicurazioni sul futuro lavorativo, la rapidità con cui la tecnica 9

Pino De Sario, Far funzionare i gruppi, Franco Angeli, 2019, p 53-54 19

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modifica e impone nuove metodiche non sempre facili da apprendere assieme alla scarsità di risolse sia economiche che motivazionali, determinano in molte persone uno stato persistente di ansia, scarsa autostima e precarietà per il futuro. Le richieste professionali sembrano puntare sempre più verso conseguimenti di obbiettivi numerosi in tempi brevi e veloci a discapito, laddove il disagio trovi un terreno fertile, della relazione, dello stress e dell’ansia. Quando il conflitto assume connotazioni negative e disfunzionali, legati alla cattiva relazione, al malinteso, alle difficoltà legate alla comunicazione, si generano evitamento, passività ed aggressività. Esplorare il problema, collocarlo in un contesto, stabilirne i confini, esplorane la consistenza, accoglierlo, contenerlo, elaborarne le conseguenze, dare voce alle emozioni e ai comportamenti, ad esso legati, consente di dare corpo e volume qualcosa di indefinito. Affrontare la situazione da prospettive diverse, favorire le relazioni, fare in modo che i protagonisti del conflitto elaborino possibili soluzioni può far sperimentare una posizione attiva e produttiva ed aprire le porte ad un reinterpretazione del conflitto stesso. L’intervento del Counselor allora, può essere articolato su due piani: 1. mettere in luce a fornire mezzi di esplorazione per problematiche che riguardano il privato 2. intervenire sulle questioni lavorative. Tenendo presente che essendo impossibile determinare una separazione netta ed efficace tra lavoro e vita privata i due aspetti andranno analizzati considerando sia l’influenza dell’una sull’altra, sia il bisogno che vengano tratte in modo distinto. 20

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CAPITOLO 2 IL CONFLITTO

2.1 Comprendere e gestire il conflitto Kurt Lewin disse: ‘il conflitto è quella situazione che si determina tutte le volte che su un individuo agiscono contemporaneamente due forze psichiche di entità più o meno uguale, ma di opposta direzione.’10 Partendo da questa definizione è facile dedurre che tra gli obbiettivi perseguibili al fine di arginare tutto ciò che lo genera, vi sia la negoziazione che includa, quando non è possibile individuare nuove scelte, quella tra le istanze in opposizione. Quando siamo in disaccordo con qualcuno e/o con noi stessi proviamo ansia e la persistenza del conflitto può avere come conseguenze l’instaurarsi di una progressiva degenerazione della comunicazione, la difficoltà nel creare e mantenere relazioni fiduciose, assenteismo, disturbi psicosomatici ed incapacità della soluzione del problema. Secondo la psicologia sociale, di cui Lewin, sostenitore del10

www.centrodiascolto.org 21

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la psicologia della Gestalt, fu pioniere, esistono 4 tipologie di conflitto. 1. doppiamente adiente (o tra due tendenze appetitive) situazione in cui una persona ha la possibilità di scegliere tra due obbiettivi, entrambi meritevoli, ma deve per forza optare per uno soltanto. Un esempio potrebbe essere quello di un impiegato a cui viene chiesto se preferisce fare carriera restando lontano dal luogo di residenza, oppure non ottenere riconoscimenti professionali, ma avere l’opportunità di lavorare nella città in cui risiede. È considerato il conflitto più ‘semplice’ ma spesso una volta effettuata la scelta si ha una spinta di interesse verso l’opzione esclusa, oppure una iper-esaltazione di quella effettuata, o ancora una incapacità di orientarsi in una direzione o nell’altra. 2. attrazione-avversione (o tra tendenza appetitiva e avversativa) situazione in cui esistono varianti positive e negative su entrambe le scelte di consistenza tale da rendere difficile operare una scelta. Un esempio è la proposta di cambiare tipologia di lavoro sapendo che la vecchia posizione professionale offre un certo tipo di garanzia (posizione sicura, senza rischio di licenziamento) e quella nuova ha caratteristiche molto attraenti (avanzamento di carriera, più guadagno...). Può capitare che anche dopo un’attenta valutazione dei pro e dei contro, l’individuo non sia in grado di stabilire verso cosa orientarsi nella decisione e questo stato di incapacità decisionale, genera un conflitto. 3. doppio evitamento ( tra due tendenze avversative) in questo caso la persona è di fronte a due scelte che percepisce 22

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entrambe negative per sé. È la situazione in cui la scelta potrebbe cadere tra l’essere licenziati o perdere il proprio ruolo di prestigio all’interno di un’azienda. Si tratta di un evento che può avere grosse ripercussioni sulla sfera emotiva e in soggetti predisposti causare disturbi del comportamento. 4. doppio avvicinamento ed evitamento (tra tendenze sia appettive che avversative). È il caso in cui ad un manager viene proposto un nuovo lavoro mentre riveste un ruolo all’interno di un’azienda con caratteristiche sia positive che negative. La nuova opportunità professionale, proprio come la vecchia, ha peculiarità tanto interessanti quanto insoddisfacenti. Ognuno di questi conflitti genera due possibili reazioni: se è adiente verso l’oggetto, se evitante il sottrarsi all’incontro con l’oggetto.

2.2 Il Rahim Organizational Conflict Inventory Il Rahim Organizational Conflict Inventory è uno strumento per la valutazione quantitativa del conflitto organizzativo. Secondo Alzalur Rahim (1995) nelle organizzazioni esisterebbero tre tipi di conflitto 1. intrapersonale – che appartiene all’individuo e alle sue aspettative in termini professionali e di relazione. Esso si viene a creare quando non vi è corrispondenza tra le previsione fatte, tenendo conto di competenze, valori, interessi, e compiti assegnati. È causato da incapacità ad assolvere compiti assegnati, sensazione che non vi sia mediazione 23

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tra il bisogno dalla persona e l’obbiettivo dell’azienda, richieste eccessive e ripetute da parte dell’organizzazione rispetto alle capacità della persona. 2. intragruppo – dovuto all’instaurarsi tra uno o più individui all’interno dello stesso gruppo di lavoro sia per motivi professionali che personali. La cause sono da ricercarsi in una leadership autoritaria, in assegnazione di compiti difficili, nella strutturazione di gruppi di lavoro numerosi con pochi valori ed interessi comuni, una elevata competitività. 3. intergruppi – causato da conflitti tra gruppi di lavoro che possono essere diversi per obbiettivi professionali, ma con punti in comune. Tra le cause c’è una differenziazione elevata tra i gruppi, scarsa comunicazione, poche risorse. Il ROCI-I è stato creato per misurare tre dimensioni indipendenti di possibile conflitto all’interno delle organizzazioni: Intrapersonale (IP), Intragruppo (IG) e Intergruppo (NG). Il Rahim Organizational Conflict Inventory II (ROCI-II) è invece stato ideato per misurare cinque dimensioni indipendenti che rappresentano altrettanti modi di affrontare il conflitto interpersonale: Integrazione (7N), Sottomissione (SO), Dominio (DO), Evitamento (EV) e Compromesso (CO). Questo strumento si può utilizzare per diagnosi organizzative (meglio se affiancato da un questionario sul clima organizzativo), nei programmi di formazione per dirigenti (misura della variazione degli stili di approccio al conflitto prima e dopo un management training programs, oppure per valutare l’entità del conflitto in una organizzazione, in un suo reparto/funzione, ed 24

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eventuali modificazioni nel tempo in seguito a programmi di formazione. La versione italiana, curata da Majer (1995), è corredata da norme tratte da un ampio campione rappresentativo del contesto organizzativo italiano. Il campione è composto da n° 1710 soggetti. Si possono confrontare i risultati ottenuti per anzianità di servizio, per categorie d’inquadramento e per settore di attività.11 Al di là delle definizioni scelte per descrivere il conflitto aziendale, ciò che non si può fare a meno di rilevare è la duplice componente della manifestazione. Se da un lato è naturale e inevitabile, proprio perché legata all’uomo, quando riconosciuta, consapevolizzata e ben gestita, essa diventa potenzialmente produttiva. In presenza di una situazione disfunzionale ed ansiogena il pensiero è stimolato a trovare soluzioni adattive o risolutive. Modificare le prospettive riguardo alle situazioni individuali e di gruppo, fa sperimentare nuove decisioni, aiuta a prendere coscienza che il disaccordo è uno degli aspetti inevitabili delle dinamiche di gruppo, al punto che se ben usato può trasformarsi in fattore chiave per il raggiungimento di obbiettivi comuni e condivisi. Affinché questo avvenga è necessario insegnare ed apprendere la cooperazione. L’ascolto attento e attivo diviene un mezzo per apprendere le 11 www.psyjob.it - psicologia del lavoro on-line, Rahim, M.A., (1995). ROCI. Rahim Organizational Conflict Inventory. Manuale. Organizzazioni Speciali, Firenze.Majer, V., (1995). Il conflitto: teorie e modelli. In Rahim, M.A., (1995). ROCI. Rahim Organizational Conflict Inventory. Manuale. Organizzazioni Speciali, Firenze.Novara, F., Rozzi, R.A., Sarchielli, G., (1983). Psicologia e lavoro. Il Mulino, Bologna. 25

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idee degli altri, per metterne in evidenza positività e zone d’ombra e per dare a tutti l’occasione di esprimersi. È la posizione esistenziale sana di Berne che induce ad un comportamento assertivo. È il mezzo attraverso il quale prestare attenzione ai contenuti della comunicazione piuttosto che agli aspetti caratteriali di chi comunica. È la relazione che punta alla promozione del benessere, valorizzando l’individualità e indirizzando le energie verso la risoluzione delle difficoltà. Quando in un ufficio o in qualunque altro contesto lavorativo, la convivenza tra impiegati è impossibile, quando condividere un progetto è percepito come faticoso, quando non esistono più coesione di squadra/gruppo ma ognuno lavora per sé, affiorano rapidamente le difficoltà motivazionali che quando non vengono riconosciute, accolte, e comprese generano il conflitto distruttivo. Esso ha come sua pericolosa manifestazione l’interferire con i risultati del lavoro assegnato e con il clima aziendale oltre al peggioramento della percezione di sé in ambiti extra lavorativi dovuti alla mancanza di comunicazione che da assertiva diviene competitiva e inefficace. Più che ascoltare l’altro l’individuo è concentrato nel cercare di influenzare il gruppo affinché accetti e appoggi le sue idee. Si innesca quindi un comportamento aggressivo (io OK, tu non sei OK) in cui c’è un vincitore ed un perdente (win-lose). Il gruppo sceglie il vincente e gli attribuisce il diritto di decidere anche per lui, accettandone pensieri e punti di vista. Ciò conduce ad un deterioramento del rapporto collaborativo e del clima aziendale. Il gruppo tenderà a limitare le proprie espressioni di idee (per altro spesso non richieste e poco motivate) nel 26

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timore di ricevere critiche, giudizi ed opinioni svalutanti fino ad arrivare ad un atteggiamento passivo e indifferente. Una buona parte di responsabilità dunque, nella genesi e nella persistenza del conflitto aziendale, spetta alla comunicazione nella quale sono sempre presenti due componenti: una di relazione ed una di contenuto. Se due persone hanno condividono in accordo il contenuto ed hanno una buona relazione è difficile che si instauri un conflitto. Allo stesso modo una buona relazione anche in presenza di un disaccordo, nel contenuto, consente un buono spazio per la discussione e il confronto, spazio in cui secondo Marco Meterea si possono inserire quei conflitti ‘benefici’ ai risultati aziendali. In presenza di una cattiva relazione, invece, possono verificarsi due diverse situazioni. 1. Nonostante ci sia accordo sul contenuto, una cattiva relazione tra i due interlocutori non permette loro di lavorare assieme in modo produttivo poiché al minimo disaccordo è facile scivolare e contestare il contenuto. 2. Nella situazione in cui ci siano sostanziali e insormontabili divergenze sia sul contenuto che sulla relazione, il conflitto trova il suo nutrimento e le radici per sviluppare un problema di relazione.12 Interessanti contributi per la gestione del conflitto aziendale vengono forniti dall’approccio sistemico e dal lavoro focalizzato alle soluzioni sviluppato da Steve de Shazer. L’approccio sistemico - Bert Hellinger con l’ideazione e lo studio delle costellazioni, intravvede delle analogie nelle dina12 Marco Matera, I conflitti in azienda, una rilettura sistemica mirata alle soluzioni, AIF Learning News, Aprile 2008, anno II - N.4 27

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miche famigliari (costituite da persone che entrano in relazione emotiva tra loro) ed aziendali (e coinvolte in processi per il raggiungimento di obbiettivi comuni). Come abbiamo già visto l’uomo ha bisogno di appartenenza e se nell’ambito famigliare questa necessità viene in parte almeno appagata in modo naturale e per tutta la vita, nell’ambiente di lavoro ciò è subordinato alla durata di assunzione, dalle funzioni assegnate, alla visibilità e al riconoscimento del ruolo. Questo pone l’individuo nella condizione di determinare, conquistare e consolidare il suo bisogno di essere parte di qualcosa. L’essere visto, riconosciuto, stimato, accettato, ascoltato, però, richiede anche la definizione di confini. Uno spazio in cui muoversi, agire, entrare in relazione con l’altro. Serge Ginger scrive: ‘ogni esperienza segue allo stesso modo un ciclo: si manifesta, si sviluppa, si esaurisce.’13 Quando due o più individui si relazionano tra loro operano un’esperienza di contatto dove le interruzioni (resistenze) funzionano come ‘meccanismi di difesa, ossia come reazioni momentanee di salvaguardia, che spesso però risultano eccessivi, inopportuni e superati: così l’armatura che avrebbe dovuto proteggermi è diventata a poco a poco ingombrante e più fastidiosa che utile.’14 In contesti aziendali, e conseguentemente le interruzioni-difese, le definizioni e percezioni di confine sono legate sia all’ambiente di riferimento, sia all’obbiettivo assegnato o progettato. Un ufficio (e le sue relative competenze) hanno un confine definito. La richiesta di collaborazione con altri uffici, allarga e mo13 Serge Ginger, Iniziazione alla Gestalt, l’arte del contatto, Edizioni Mediterranee, 2005, p 51. 14 ibidem 28

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difica la visione-percezione del confine primario i quali a loro volta non possono ignorare il confine-azienda. E se da un lato l’allargamento del confine, con l’inclusione e la considerazione dei singoli reparti-uffici, amplia e potenzia il valore di appartenenza, può non essere utile per contenere, consapevolizzare e risolvere un conflitto. Confluenza, introiezione, proiezione, retroflessione, deflessione e, secondo alcuni autori, proflessione, egotismo e invalidazione, divengono limiti al conseguimento non solo di obiettivi professionali, ma anche di una sana relazione con se stessi e con gli altri. Chi vive un senso di inadeguatezza, di disistima tende ad oscillare tra il movimento e l’immobilismo, il bisogno di contatto e il ritiro difensivo e ciò acuisce la sua insicurezza e la rinforza. Le relazioni conseguenti vanno dall’evitamento dell’esperienza (per non incappare nel confronto con la propria autocritica patologica), alla focalizzazione sui propri fallimenti, alla tendenza invalidante di ogni nuova apertura verso l’esterno, alla deflessione difensiva che immobilizza nell’attesa del momento giusto.15 Ristabilire i confini diventa allora un percorso fondamentale per garantire l’identità del e nel gruppo. Alla luce di queste riflessioni non è difficile intuire quanto gli elementi ‘fuori confine’, che non fanno parte del dentro, ma neppure del fuori, siano minacciosi per un equilibrio del gruppo di lavoro. Ogni ingresso ed ogni uscita, danno vita ad una relazione. I processi di integrazione, come quelli di abbandono sono 15 Enrichetta Spalletta, Flavia Germano, MicroCounseling e MicroCoaching, Collana Edorado Giusti - Sovera - 2001, p 123 29

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sempre delicati e necessitano di attenzione. Dare il modo di esprimerli può evitare l’insorse di un conflitto. Il collega che lascia il gruppo volontariamente può essere percepito, anche se non da tutti, in modo doloroso specie se, per motivi caratteriali, aveva creato delle alleanze emotive. Allo stesso modo l’allontanamento di un collega ‘scomodo’ spocchioso, irritante, può minare un equilibrio. Michel Reddy in ‘Il manager come counselor’ individua tre fasi intervento: 1. il problema è insolubile perché definito tale o perché soltanto qualcun altro lo può risolvere, o per uno stato di confusione. È allora necessario che il problema sia chiarito. (...) 2. alcuni nuovi elementi o nuove prospettive cambiano il quadro complessivo, e permettono di ottenere un risultato. Bisogna ridefinire il problema. (...) 3. la persona comincia a guardare come potrebbe raggiungere il risultato, considera le alternative, verifica le risorse. Il problema può essere gestito.16 Il counselor che si proponga o sia richiesto in un’azienda è un professionista, che non usa solo tecniche, ma è coinvolto nel processo anche come persona il cui ‘scopo è quello di aiutare le persone nei momenti in cui hanno dei problemi che influiscono sul loro lavoro in termini di soddisfazione e di prestazioni.17 Tra i primi compiti del counselor, accanto all’empatia e all’a16 Micheal Reddy, Il counseling aziendale, Collana di Edoardo Giusti Sovera -1994, p 29, pp19 17 ibidem, p 49, 57, 80 30

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scolto attivo, vi è il comprendere. La comprensione consente di dare una forma ed un nome al problema del gruppo e/o del singolo nel gruppo. L’abilità dell’ascolto attivo è quella di far raccontare tutta la storia18, senza valutare, indagare, sostenere, proporre soluzioni, interpretare. È l’approccio che dice ‘sentiamo il racconto e vediamo se possiamo dargli un senso.’19 Perché ogni tentativo di capire la storia a modo mio, rallenterebbe il processo.20 Sebbene lo studio delle dinamiche relazionali all’interno di un contesto di gruppo, rilevino delle costanti nell’insorgenza di una situazione conflittuale, credo sia assolutamente insufficiente ed inefficace fornire ai soggetti interessati e vittime o artefici del conflitto soluzioni pronte, mentre ritengono proficuo e con una risposta molto più a lungo termine, favorire tra i gli interessati un percorso di consapevolezza che li aiuti ad individuare, con chiarezza, i propri bisogni e desideri, inducendoli ad attivare risorse, sostenendo il cambiamento, favorendo l’individuazione e lo sviluppo delle risorse e capacità al fine di raggiungere uno stadio di benessere. In quest’ottica trova spazio la proposta di percorsi di empowerment come strumento per, una volta identificato un obbiettivo, operare trasformazioni, creare un clima di fiducia, incoraggiare l’autonomia, favorire una crescita professionale responsabile con una modalità di ‘potere’ integrativa di gruppo. Attraverso l’empowerment la persona, potrebbe vedere sotto 18 19 20

ibidem, p 49, 57, 80 ibidem p 49, 57, 80 ibidem, p 49, 57, 80 31

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una nuova forma sia i propri bisogni di crescita e realizzazione professionale, sia la migliore gestione dello stress generato per conseguirli, riducendo la frustrazione, gli stati d’ansia i sentimenti di impotenza che accompagnano il conflitto. Riassumendo sebbene ogni conflitto sia una storia a sé, è possibile suggerire un percorso, una serie di spunti utili per raggiungere un’accettabile soluzione.21 • Riconoscere la presenza del conflitto, (...) accettare realisticamente situazione e scegliere di intervenire • Passare da avversari ad alleati: scindere il problema dalle persone rappresenta il primo passo. È necessario focalizzare l’attenzione sulle problematiche e non sui singoli membri o sulle loro relazioni. Possiamo immaginare di collocare il problema da una parte e tutti noi dall’altra. • Far esprimere a turno i contendenti: dare modo ad ognuna della parti di presentare sinteticamente le proprie argomentazioni, chiedendo di definire i propri bisogni, invece della propria posizione. Questo approccio di fondamentale importanza permette di centrare l’attenzione sugli interessi reali (problemi) invece che sulle posizioni (soluzioni). • Sviluppare più alternative: esistono, con tutta probabilità, diverse modalità di giungere al soddisfacimento del bisogno delle parti. Un ottimo sistema è dato dal pensare insieme. • Costruire un progetto comune: le informazioni condivise, arricchite dalle prospettive generate insieme, rappresentano il materiale grezzo da cui partire per costruire, congiuntamente, una soluzione comune. 21 53,54

Giovanni Lucarelli, Il gruppo al lavoro, ed. Franco Angeli, 2010, p

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Realizzare l’accordo: una volta delineata una soluzione integrativa, soddisfacente, è possibile dedicarsi alla sua realizzazione.

2.3 La persona, l’azienda, il gruppo, la leadership I soggetti che interagiscono a dimostrazione di come il benessere personale e lavorativo siano su uno stesso piano, e che a volte collidono, sono quattro: 1. la persona 2. l’azienda 3. il gruppo 4. la leadership Dell’individuo e di come un intervento di counseling possa facilitare l’accettazione e la risoluzione di situazioni conflittuali sia è già parlato. Vediamo adesso i vari contesti in cui in conflitto può divenire un limite per il benessere dei singoli e i programmi dell’azienda. All’interno di un ambiente di lavoro il gruppo viene costituito affinché i membri che lo compongono raggiungano uno o più obbiettivi specifici. Contrariamente ad altri luoghi è raro che gli individui possano scegliere con chi condividere il percorso lavorativo richiesto, pertanto, le persone possono essere estremamente diverse tra loro non solo per competenze, ma anche e soprattutto per esperienze e vissuti pregressi facilmente condizionabili la relazione tra colleghi. Se nella fase iniziale di conoscenza la tensione è un elemento 33

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