Di solo amore - C'era una volta la Psicanalisi

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Edizioni Psiconline速 - 2011 - Tutti i diritti riservati - Riproduzione vietata - ISBN 9788889845523


Piero Priorini

C’era una volta la psicanalisi L’epopea di Maria e Mario Rossi

Edizioni Psiconline® - 2011 - Tutti i diritti riservati - Riproduzione vietata - ISBN 9788889845523


DI SOLO AMORE…

La giovane infermiera che era seduta sulla poltrona del mio studio sembrava non riuscire più a smettere di piangere e singhiozzare. Il medico con cui lei aveva una relazione da tre anni, nonostante lui fosse sposato e la moglie avesse da poco avuto un bambino, l’aveva appena lasciata. « Ti amo moltissimo - le aveva detto solo alcuni giorni prima - Sei il grande amore della mia vita ma… non posso abbandonare mia moglie e mio figlio. Non me la sento. E poi… i miei stessi genitori mi condannerebbero senza appello ».

Tre anni d’incontri clandestini, di rapporti rubati, di promesse mai mantenute – sempre le stesse. Quelle che quasi tutti gli uomini raccontano a tutte le donne con le quali instaurano rapporti extraconiugali, ma senza sentire poi la necessità di chiedersi: “Qual è il senso di quello che sto vivendo? E, soprattutto, che cosa me ne farò?” E allora inganni, sotterfugi, tradimenti, menzogne: alla propria moglie, all’amante e, soprattutto, a se stessi. Ora, non vorrei che qualcuno pensasse che sono un moralista o un rigido difensore del matrimonio come istituzione civile o religiosa. Nulla di tutto questo! Ho vissuto troppo, e troppo intensamente; e in trentacinque anni di professione ho ascoltato troppe storie come questa per fingere di non sapere che queste cose sono sempre accadute, accadono e continueranno ad accadere. Almeno fin tanto che non saremo divenuti tutti così pienamente coscienti e realizzati da saper riconoscere con certezza assoluta l’unico Altro (uomo o donna che sia) con il quale condividere l’esperienza dell’amore consacrato per sempre. Non sono un ingenuo romantico. Solo che mi piace credere nei Miti, nelle Fiabe e nelle Leggende; e sono perciò convinto che dietro l’incontro dell’Eroe con la Bella Principessa si nasconda molta più verità di quanto in genere si voglia credere. Certo! Le forme e i modi attraverso i quali Maschile e Femminile arriveranno un giorno

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PUNTI DI VISTA ad incontrarsi e a ricongiungersi nel tempo profano della storia non sono quelli rappresentati nelle favole. È plausibile perciò che le infedeltà, i tradimenti, gli inganni, le doppiezze e le menzogne di ieri e di oggi facciano già parte di quella tensione verso la meta ultima cui le fiabe alludono. Rappresentino le “scorie” inevitabili che l’Opus Alchemico, nel suo realizzarsi, si lascia alle spalle. Perciò i tormenti d’amore, i dubbi, le incertezze, i tentativi falliti, il coraggio mancato, gli amori sprecati, non mi hanno mai scandalizzato più di tanto. Quello piuttosto che ancora mi stupisce e, in parte mi offende, è l’incapacità di uomini e donne di guardarsi negli occhi e di chiamare le cose con il proprio nome. È l’attitudine ad accontentarsi di vivere le esperienze mancando di farne un motivo d’interrogazione esistenziale e di presa di coscienza. In altre parole, mi indigna la perdita del bisogno imprescindibile e assoluto di dare un significato e uno scopo al proprio agire e, in ultima analisi, alla propria vita. So che di tutto questo ho già scritto nella prefazione di questa raccolta. Mi ripeto solo perché attribuisco a questa caduta coscienziale dei miei simili quel leggero cinismo con il quale, a volte, ascolto ed accolgo le storie che mi vengono raccontate: ne intuisco subito la falsità di fondo, la mancanza di spessore, la superficialità. Anche se, non per questo, causano meno strazio e meno dolore tra tutti quelli che si vi si trovano coinvolti. Insomma: la giovane infermiera, tra un singhiozzo e l’altro, mi chiede se voglia e possa aiutarla a farsi una ragione di questo ennesimo fallimento amoroso e a farle trovare quella gioia di vita che le sembra di non aver mai assaporato. Ci accordammo per incontrarci tra un giorno e l’altro dei suoi turni di lavoro. La storia di Maria era semplice e, tanto per cambiare, dolorosa. Prima figlia di una coppia di giovani sposi napoletani che, in seguito, avevano messo al mondo altri tre figli, la mia futura paziente era stata giudicata fin da piccolissima sufficientemente “grande”, responsabile e matura per crescere contando sulle proprie forze e, semmai, per aiutare la mamma ad allevare e educare i fratellini più piccoli. Maria era cresciuta così, nei sobborghi di Napoli, facendo finta di essere bastante a se stessa, assumendosi spesso responsabilità che non le sarebbero spettate ma per le quali, poi, nessuno l’avrebbe ringraziata. Crebbe in una profonda solitudine affettiva che, non essendo da lei esternata, nessuno si sognò mai di dover lenire. Fu un peccato, perché Maria era vitale, coraggiosa, determinata e, in un modo o nell’altro, portò avanti da sola la propria educazione scolastica. Nei rapporti amicali ed affettivi, però, era un disastro: o se ne stava in disparte, senza osare credere alla possibilità di stabilire rapporti significativi; oppure si attaccava con le unghie e con i denti a chiunque, amica o amico, le concedesse la pur minima attenzione. Solo che, proprio a causa di questo spasmodico bisogno, finiva per soffocare gli altri che, prima o poi, le giravano le spalle, la allontanavano o, peggio ancora, la tradivano. Inutile dire che crebbe sfiduciata, pessimista, bisognosa di un riscatto e di una promessa d’amore eterno

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C’ERA UNA VOLTA LA PSICANALISI... che nessuno, però, sembrava in grado di mantenere nei suoi confronti. Con coraggio e caparbietà, tuttavia, Maria si era diplomata, si era specializzata in infermieristica, aveva vinto un concorso pubblico e, oramai da qualche tempo, lavorava in ospedale mantenendosi da sola, a Roma, in un piccolo monolocale. Forzandomi a semplificare al massimo il suo problema, avrei detto che quella fame inappagata d’amore l’aveva lasciata come “incompiuta”: insicura sul piano relazionale, immatura a livello affettivo e, per quanto potesse sembrare assurdo dirlo, non autonoma e non indipendente. La sua autonomia di vita, infatti, era solo pragmatica. Certo: era in grado di lavorare, di badare a se stessa, di muoversi per il mondo; ma tutto questo per lei era pura sopravvivenza. In realtà non aveva altri progetti, non aveva altre aspirazioni se non quella di incontrare il grande amore della sua vita, sposarsi e avere tanti bambini. Devo ammettere che nella mia vita professionale avevo già incontrato tante persone, soprattutto donne, che vivevano investendo nella fantasia della “famiglia del Mulino Bianco” tutte le loro speranze. Come se questa dimensione di amore familiare potesse essere sufficiente a farle sentire realizzate in tutte le loro aspettative. Sì! Ne avevo incontrate molte, ma poche così integraliste e “talebane” come Maria. Sembrava non rendersi minimamente conto della pochezza contenutistica di tale sua fantasia, delle mille complessità e guerre e battaglie che sempre si sviluppano all’interno dei gruppi familiari, e della responsabilità, della fatica, delle ristrettezze, delle rinunce e degli sforzi che un uomo e una donna devono essere in grado di produrre per portare la loro unione ad una realizzazione significativa. Ed è vero, sì! che questa realizzazione è sempre il frutto di una collaborazione; di una complicità d’amore dove ognuno mette a disposizione le proprie risorse. Ma il fatto è che, affinché si realizzi una tale collaborazione, i due protagonisti, uomo e donna, dovrebbero potersi incontrare come individui compiuti, in sé pienamente realizzati, autonomi e indipendenti su tutti i piani dell’esistenza. Come ha ben scritto la mia collega, Jole Baldaro Verde, su un suo celebre libro intitolato: “Illusioni d’amore”: …da due persone che per oggetto d’amore hanno l’universo intero, attratti da ogni cosa nuova, arricchiti da ogni incontro, che non hanno bisogno di creare attorno a sé una prigione fatta di regole rigide dentro le quali si devono adattare. La loro sicurezza nasce, paradossalmente, dal’accettazione dell’insicurezza, l’ambivalenza, il rischio. Due persone per le quali la fedeltà non è un dovere […] ma una scelta rinnovata ogni giorno. Un libero dono che viene fatto ad un altro essere che risponde altrettanto liberamente.

Questi presupposti potranno sembrare esagerati, ne convengo. E margini d’incompiutezza nelle varie funzioni dovremmo pur sempre cercare di accettarli e tollerarli. In noi stessi e nell’Altro. Resta tuttavia un fatto: che quando tali pre-

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PUNTI DI VISTA supposti non sono almeno in massima parte rispettati, gli incontri d’amore rivelano la loro natura “fantasmatica e illusoria”, le relazioni falliscono e le famiglie “scoppiano” lasciando sul campo morti e feriti. Spesso innocenti. Quando iniziai il mio lavoro con Maria dovetti occuparmi subito, e con urgenza, di sostenerla e motivarla nel lutto che stava vivendo. Dovevo impedirle di rimanere incantata di fronte alle supposte potenzialità amorose di quella sua ultima storia e fare in modo che non tentasse in tutti i modi di riportarla in vita, accontentandosi di “briciole d’amore” sempre più piccole. « Maria - le chiesi un giorno - vorrei che scrivessi su un foglio tutti i perché e i per come questa tua ultima storia non avrebbe mai potuto funzionare. Vorrei che elaborassi i motivi d’incompatibilità tra te e lui che abbiamo esaminato insieme… quelle distanze progettuali, quelle discordanze d’interessi e tutti quei disaccordi interiori sospetti che comunque avevi già osservato. Vorrai farlo? ». « Va bene ci proverò ».

Maria fu diligente e fin troppo scrupolosa: mi portò quattro pagine di quaderno in cui aveva annotato tutti i dubbi, le paure e i contrasti che aveva accumulato in quei tre anni di storia clandestina. Le chiesi di leggermi quei fogli ad alta voce. Volevo costringerla a prendere atto di cose che lei già sapeva. « Posso darti un consiglio? - le chiesi di nuovo, dopo che ebbe terminato la lettura - Vorrei che mettessi questi fogli sul tuo comodino e tutte le sere li leggessi di nuovo. Lo so che ti sembrerà ripetitivo e forse poco interessante… ma tu fallo! Dormici sopra ».

Ancora una volta Maria fu coscienziosa e scrupolosa. Per più di un mese mandò giù la medicina. Tra momenti di sconforto, giorni di pianto, fantasie pessimistiche sul proprio futuro di donna… brevi schiarite, temporali improvvisi e poi ancora giornate di cielo sereno, l’ultima storia d’amore di Maria si concluse definitivamente e passò nel suo magazzino privato dove già abbondavano illusioni deluse, aspettative naufragate e mille speranze infrante. Tuttavia, se volevo evitarle nuovi e continui fallimenti, il lavoro era ancora tutto da svolgere. Trentadue anni, infermiera specializzata. Alta, bionda, occhi color del miele. Viso regolare, corpo decisamente attraente. Maria avrebbe potuto interessare e far girare la testa a qualunque uomo. Ma… C’era un “ma”. « Quando non lavori - le chiesi un giorno, conoscendo già in anticipo la risposta cosa fai di bello, Maria? O cosa ti piacerebbe fare? ». « Mah! Nulla d’interessante, credo ». « Qualcosa farai pure… ».

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C’ERA UNA VOLTA LA PSICANALISI... « Bèh… vado al cinema, qualche volta. Incontro alcune amiche. Vado a trovare i miei genitori ». « E poi? ». « E poi nulla! Non saprei - faceva spallucce Maria - quello che capita... ». « Ma cosa vorresti realizzare Maria? - insistevo caparbio - Un successo professionale? Poter fare grandi viaggi? Capire meglio gli altri… oppure la vita? Diventare ricca, che so? Ti piace la musica? Oppure la pittura? Ti piacerebbe fare uno sport, magari all’aria aperta? Oppure ancora, imparare a cucinare? A fare belle foto? Aiutare i poveri? Fare politica? Ricercare Dio? ». « Mah… si! Di tutto un po’. Non saprei… ». « Dai, Maria… in fondo in fondo al cassetto segreto dei sogni cosa c’è… che vorresti? Facciamo così: immaginiamo che io fossi un Grande Mago, avessi una bacchetta magica e ti dicessi che realizzerò il primo grande desiderio che esprimerai? ». « Oh… lo sai. Vorrei un uomo che mi amasse, con il quale potermi sposare e magari fare dei figli ».

C’era caduta! La trappola che le avevo teso stava funzionando alla perfezione. « … un uomo che mi amasse - recitai, facendole il verso - Perché non un uomo da amare? ». « Volevo dire… anche quello ». « Ma hai detto un’altra cosa. Hai detto: un uomo che mi amasse! Vieni qua da troppo tempo oramai per non sapere che le prime cose che diciamo sono quelle che vogliamo effettivamente dire ». « Bèh, si! Va bene... e allora? Vorrei essere amata. C’è qualcosa di male?».

Dovevo rischiare. Il nostro rapporto di transfert era solido ed io sapevo che come uomo mi apprezzava. Qualche volta con lei ero stato vagamente seduttivo, aspettando il momento buono per trarne un vantaggio terapeutico. Il momento era arrivato. Dovevo rischiare. « Facciamo così, giochiamo ancora con la fantasia. Tu ed io ci incontriamo una sera, a una festa, in casa di amici comuni. Tu sei molto graziosa, hai gli occhi ridenti. E, diciamo… che io come uomo sono passabile. Ci piacciamo. Flirtiamo un po’, nasce una storia… finiamo a letto per qualche mese. E poi? ». « Come: “E poi?” - mi guarda con un misto di vergogna e spudoratezza - che vuoi dire? ». « Che mi porti incontro, Maria? ».

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PUNTI DI VISTA « …? ».

La lascio cuocere per un po’ nel suo brodo. « Si! - incalzo - che mi porti incontro? Io ho le mie ricerche, i miei libri, l’alpinismo, il volo, i miei viaggi. Io sono innamorato della vita. Sono innamorato del nostro pianeta, delle piante, degli animali e degli uomini che lo abitano. Amandoti, ti porto tutto questo in dono. Tu cosa mi porti?».

Un silenzio greve, denso e pesante s’insinuò tra di noi. Sperai di non aver esagerato. Sperai che non si sentisse svalutata, criticata o, cosa peggiore, offesa. Non era questo che avevo in animo. Addolcii la voce e corressi il tiro: « Ma non importa che io sia io. A letto con te c’è uno sportivo, che stravede per i propri risultati che tenta sempre di migliorare. Oppure un poeta, che ti immortala nei suoi versi. O ancora un cuoco in erba che, quando torna dal ministero dove lavora, cucina per te. Oppure ancora un lettore accanito di gialli, un cinefilo che sa dirti tutto sulla nascita del cinema muto, un pescatore che ti parlerà della trota e della “mosca” necessaria per farla abboccare, un militare che è tornato dalla Bosnia o dall’Afganistan e ha visto la morte negli occhi, un ballerino di tango che conosce le complesse radici metafisiche di quella danza o, infine, un militante di Greenpeace che sputa fuoco e fiamme contro tutti coloro che attentano al sistema ecologico del pianeta. Chiunque esso sia ti parlerà delle sue speranze, dei suoi sogni, dei suoi progetti… che gli porterai incontro, Maria? ». « La… la mia comprensione - fece lei, tentennando - la voglia di condividere con lui… ». « Condividere… - la interruppi io - sì! Certo. Posso immaginarlo, voglio crederlo, ma… ti apparterrebbero queste passioni? Sii sincera… ».

Ancora un lungo silenzio, denso, pesante, opprimente. « Tu pensi… tu pensi che pur di essere amata accetterei qualunque cosa, vero? ».

Lascio passare ancora qualche secondo. « Uhu-umm - asserisco - ma non è questo il problema, perché potrebbe anche essere bello per molti sentirsi appoggiati, o sostenuti, o apprezzati con discrezione. Il problema vero è che tu, in cambio, vuoi solo “essere amata” ». « Cosa c’è di così disdicevole? » quasi urlò Maria. « Nulla… in apparenza ». « Quale sarebbe la differenza se io avessi degli interessi tutti miei? ». « Solo quella che c’è tra un corpo celeste che brilla di luce propria e uno che brilla invece di luce riflessa. Ma sostituisci alla parola “luce” la parola “amore”. La differenza che ne risulterà, allora, sarà quella che c’è tra chi ha amore da dare e chi ha “solo” bisogno di riceverlo ».

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C’ERA UNA VOLTA LA PSICANALISI... Il silenzio nel quale caddero le mie parole divenne sonoro. Sembrava che lo spazio tra noi vibrasse di vita propria. « Tu non hai colpa, Maria - dovevo alleggerire la tensione. Dovevo assolverla da ciò che non aveva commesso - tu non sei stata amata. Si impara ad amare attraverso l’amore che ci viene donato quando siamo piccoli. Dopo, allora, si può amare qualunque cosa e qualunque cosa si ami va bene. La vita è come un lungo processo, attraverso il quale alla fine si restituisce ciò che ci è stato donato all’inizio. So bene che non per tutti è così. Ma quando non è così, la vita è un tormento! Sia per chi non ha ricevuto, perché non sa ridare. Sia per chi invece ha ricevuto, ma vuole tenere tutto per sé ». « … ».

La densità emotiva del silenzio tra noi divenne tangibile. Maria cominciò a piangere e a tirare su con il naso. « Che cosa dovrei fare, allora? ». « Stare per un po’ da sola! Passare un po’ di tempo sola con te stessa. Volerti un po’ di bene ».. «…? ». « Non è una cosa difficilissima. Sembra… ma non lo è. È solo che non ci sei abituata. Nessuno c’è abituato. Un tempo, forse… ma oggi! Sembra come se tutti fuggano da se stessi, disperdendosi in mille superficiali attività. In mille incontri. Per non rimanere soli… e incontrare il Grande Vuoto ». « Il Grande Vuoto? ». « Uhu-umm - confermo - il Grande Vuoto! ». « Non ti capisco… ». « Si! Immagino. Vedi Maria, tutti noi siamo creature misteriose… sconosciute a noi stessi. Se ci pensi bene, tutta la nostra esistenza ruota intorno ad un centro che chiamiamo Io. Giusto? ». « Giusto… ». « Ma cos’è questo Io? Anzi… chi è? ». « …? ». « Noi psicologi, così come anche gli psichiatri o i filosofi, abbiamo mille “teorie dell’Io”, lo sapevi? Sono tutte teorie bellissime, interessantissime… ah! Sembrano proprio vere quando le studi ». « E invece non lo sono? ».

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PUNTI DI VISTA « Lo sono, lo sono… ma sai una cosa? Sono mentali! Astratte! Sono conoscenze teoriche! Cerebrali! ». « E invece? » la curiosità di Maria sembrava autentica e l’aveva distratta dal proprio dolore. « Sai, quando una mamma e un papà guardano negli occhi il proprio bambino, lo abbracciano, lo baciano… e poi più tardi lo ascoltano con attenzione rispondendo alle sue curiosità, lo incoraggiano nei momenti difficili, lo confermano nelle sue scelte… bèh, sai… tutte quelle cose lì. Allora è come se gliene offrissero un’esperienza diretta: “Questo sei Tu!”, “Tu sei questo… e ci piaci così! Tu vai bene così!”. Bene… In questo modo, indiretto, nel bambino si realizza invece un’esperienza emotiva diretta: “Questo sono Io!”, “Io sono Io” e le persone grandi mi vogliono bene per ciò che sono. È un processo lento, graduale, ma di fondamentale importanza: l’esperienza diretta dell’Io… della quale tutte le nostre teorie sono solo una misera e povera e astratta indicazione ».

Maria aveva ricominciato ad avere gli occhi umidi di pianto e a tirare su con il naso. Intuiva dove stavo andando a parare. « E la solitudine? Perché la solitudine? ». « Già… la solitudine. Lo sapevi che le civiltà del passato, quelle che noi chiamiamo primitive, avevano una coscienza intuitiva molto più precisa e corretta dei processi dell’anima? ».

Maria fa segno di no, con la testa. Mi guarda ancora curiosa, come aspettando un gran finale al racconto che le sto facendo. « Bèh… in quasi tutte le culture primitive, ad un certo punto, dopo che nei bambini si sono compiuti tutta una serie di processi interiori che li hanno guidati fino alla fine dell’adolescenza, nel momento preciso in cui dovrebbero divenire giovani uomini o giovani donne… bèh, in quelle antiche culture esistevano dei rituali di passaggio, appunto, che sancivano l’avvenuta maturazione ». « E la solitudine… cosa c’entra? ». « Sai in cosa consistevano quei rituali? Quelle prove di passaggio? ». « No! ». « É curioso… ma sai, nell’antica India così come in Africa, tra gli Indios Amazzonici come anche tra gli Indiani d’America, e in forme attenuate e simboliche anche presso i Greci, i Romani e gli Arabi… insomma, ovunque nel mondo antico il rituale che sanciva il passaggio del neofita al mondo adulto si imperniava sulla “prova della solitudine”. In una capanna, in una grotta, nella foresta, in mezzo al deserto…non importa dove, purché il ragazzo o la ragazza sperimentassero tutto il Vuoto della propria esistenza. E, all’interno di quel Vuoto, sperimentassero il punto saldo e luminoso del proprio Io. Al centro del Vuoto l’esperienza dell’Io. Nel

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C’ERA UNA VOLTA LA PSICANALISI... buio più assoluto, la Luce. Oltre la paura, oltre la solitudine, oltre la morte… Io sono Io! ».

L’attenzione di Maria era totale e assoluta. Tra noi l’intensità emotiva era tale che avrebbe potuto essere toccata con mano e misurata. Entrambi respiravamo quasi a fatica. « Io sono Io - sottolineai a voce alta - ma non come esperienza intellettuale, astratta, cerebrale… No! Come esperienza diretta, emotiva, pregna di vita. Un’esperienza realizzata in modo definitivo e che niente potrà mai più mettere in discussione. Io sono Io! Adesso e per sempre! Io sono… ». « Dove la trovo una grotta? » mi sorride Maria, ma la domanda è seria. « Non ne hai bisogno. È una prova interiore. Puoi continuare a vivere la tua vita come se nulla fosse, a vedere gente ma… non fuggire più il tuo Vuoto. Resta raccolta su te stessa. Guardalo. Assaporalo. Annusalo. Mangialo. Amalo… oh lo so, questo ti è difficile anche immaginarlo, vero? ». « Direi… ». « Eppure dovresti provarci Maria, e potresti riuscirci. Ho visto farcela tanti uomini e tante donne nel corso di tutti questi anni, anche persone sulle quali non avrei scommesso più di tanto. E invece ce l’hanno fatta, ne sono usciti vittoriosi ». « E allora? ». « E allora, dopo, nulla più ti spaventerà, nulla più ti farà sentire perduta solo perché qualcuno si è allontanato da te. Dopo, sarai padrona della tua vita. Del tuo destino. Che continuerà ad essere sempre lo stesso, fai attenzione… il bene, il male… la fortuna, la sfortuna… momenti di gioia, momenti di dolore… tutto uguale, all’apparenza. Ma sarai tu ad essere diversa. Tu… signora di te stessa, in mezzo al caos degli eventi più ordinari ». « Non sembra facile ». « Non è facile, lo ammetto. Tuttavia non è impossibile. Dipende da te! Credo che tu abbia le potenzialità, le forze e lo spirito giusto per farcela - ora dovevo sostenerla, sostituirmi ai genitori che non aveva avuto – sarei pronto a scommettere su di te! ».

Mi guardò fiduciosa. « Ma comunque dipenderà da te! Da te e nessun altro ».

Quell’ora di analisi finì così. Nel corso dei mesi successivi, ogni volta che Maria me ne dette l’occasione, tornai sul tema della “prova della solitudine”. Le prestai un libro sull’argomento, continuammo a parlarne, ma non riuscimmo più a ritrovare l’alta carica emotiva di quella prima volta. Credo tuttavia che fu sufficiente. Lentamente Maria ritrovò se stessa (forse dovrei dire: trovò se

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PUNTI DI VISTA stessa per la prima volta). Mi raccontava di pomeriggi passati a casa, seduta sulla poltrona, al buio, ascoltando musica… della voglia iniziale di alzarsi, di telefonare a un’amica, di uscire… e, invece, forzarsi a rimanere seduta, sempre al buio… a lasciarsi penetrare dalla musica e, a volte, scoprire di stare bene così, di non avere bisogno di nulla… e sentire, sentire davvero che il malessere oscuro intorno a lei si squarciava per lasciare il posto ad un benessere caldo e soffuso dal quale si sentiva avvolta. Finì che ci prese gusto. Quando la vedevo era sempre più sorridente. Scoprì la danza moderna, come surrogato più che accettabile di un sogno che aveva avuto da bambina ma al quale nessuno aveva prestato né attenzione né ascolto. Scoprì che era bravina. Scoprì che quando ballava era in grado di esprimere una sensualità travolgente. Scoprì che molti ragazzi le chiedevano “la grazia” di uscire con loro. Scoprì che era facile dire: “No, mi dispiace… non posso… sono occupata”, anche quando non era vero. Scoprì che dire di no, quando non era interessata, era il modo migliore per dire di sì a se stessa. Scoprì, infine, quanto era bello invece dire: sì! quando qualcuno la incuriosiva davvero, lasciandosi però sempre il tempo e la possibilità di verificare dove l’incontro l’avrebbe potuta portare. Quando mi salutò, definitivamente, sulla porta dello studio mi disse: « Sai… ho capito una cosa. Di solo amore non si vive! ».

La salutai sorridendo e facendole l’occhiolino. La realtà era esattamente il contrario di quello che aveva appena affermato. Il fatto era che solo ora Maria viveva nell’Amore. Tuttavia non mi sembrò il caso di farle alcuna lezioncina. L’avrebbe scoperto da sola. E se anche non lo avesse fatto, la cosa importante era che ci vivesse.

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Prima Edizione: 2011 ISBN 9788889845523 © 2011 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Giugno 2011 in Italia da Arti Grafiche Picene Srl - Maltignano (AP) per conto di Edizioni Psiconline (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)

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