Amore sacro e amore profano - C'era una volta la psicanalisi

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Piero Priorini

C’era una volta la psicanalisi L’epopea di Maria e Mario Rossi

Edizioni Psiconline® - 2011 - Tutti i diritti riservati - Riproduzione vietata - ISBN 9788889845523


AMORE SACRO E AMOR PROFANO

Aveva appena compiuto due anni, Mario, quando la madre morì all’improvviso. Lui, di lei, non ricordava nulla, anche se, quando era cresciuto, aveva più volte tentato di ricostruire quei primissimi tempi sulla scorta delle poche fotografie che il padre aveva conservato. Dopo la morte della madre, buio assoluto: sapeva di essere stato affidato ad una qualche lontana parente mentre il padre, giovane imprenditore rampante dell’Italia dei miracoli, si industriava a costruire un impero economico. Tuttavia, quando alcuni anni più tardi si risposò, pretese dalla nuova moglie di accogliere in famiglia il piccolo Mario e di crescerlo come se fosse il fratellino più grande dei due figli che avevano già messo al mondo e di quello che stava per nascere. I ricordi di Mario, più o meno confusi, cominciano qui, intorno ai suoi sette o otto anni. Gracilino, nervoso, con una sensibilità esasperata, non dovette essere stato facile per lui farsi accogliere e ben volere da un insieme di persone per le quali, in definitiva, era un perfetto estraneo. Tuttavia, sopravvisse. Adattandosi. Era il più buono, il più disponibile, il più generoso. Quello meno aggressivo e turbolento. Della madre adottiva non ricordava granché ma, già questo, la diceva lunga sul modo in cui dovette essere accolto. Del padre invece conservava l’immagine di un uomo affettuoso nei suoi confronti ma, comunque, forte, sicuro di sé, autoritario, capo indiscusso della famiglia così come della grande società finanziaria che aveva creato. Per dirla nei termini della psicologia del profondo, un Grande Padre ingombrante e scomodo. Difficile non solo da “superare” ma anche da emulare. Le strategie psicodinamiche di Mario lo portarono perciò a cercare la propria

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PUNTI DI VISTA affermazione di uomo lontano dagli ambienti nei quali il Grande Padre si era affermato. Lettere e filosofia, anziché economia e commercio; la ricerca spirituale anziché l’ateismo sfrontato; il mondo della poesia e dell’arte in genere anziché i campi da gioco, come il rugby o il calcio, che il padre e i suoi fratelli prediligevano. In realtà anche Mario – come ebbi modo di scoprire nel prosieguo della sua analisi – avrebbe potuto contare su notevoli doti di coraggio, forza e determinazione, ma egli preferì raccontare a stesso di essere una persona debole, insicura e un po’ pasticciona. Tutt’oggi rimango convinto che Mario adottò questa tattica per evitare il conflitto diretto con le immagini troppo potenti del padre e dei suoi fratelli, anche se è indubbio che la sua spiccata sensibilità fosse naturale e che avesse un animo raffinato ed elegante. Ma non era così fragile e debole e insicuro come a lui piaceva considerare se stesso; e se avesse espresso più determinazione nella scelta dei propri obiettivi esistenziali, è lecito supporre che li avrebbe raggiunti. Fallì invece il dottorato all’università degli studi di Roma e dopo un periodo in cui tentò di affermarsi come autore nell’ambiente teatrale della New York anni settanta (tentativo che, per altro, avrebbe fallito chiunque), tornò infine in Italia e ripiegò prima come insegnante in una scuola privata per poi confluire come amministratore fiduciario nella grande società familiare nella quale anche tutti gli altri suoi fratelli erano confluiti. In realtà, all’interno della società paterna, Mario svolse per tutta la vita il ruolo fondamentale di moderatore, di conservatore oculato del patrimonio societario e di coordinatore delle forze – a volte opposte e contrarie – espresse dai propri fratelli. Sui tempi lunghi, dopo la morte del padre, fu lui a risultare il pilastro portante della società e a proteggerla dagli investimenti sconsiderati proposti dagli altri soci e dalla potenziale dissipazione del patrimonio. Tuttavia a Mario, se da una parte non faceva difetto la consapevolezza chiara e precisa del ruolo da lui giocato, né tanto meno della bravura e della forza che gli erano necessarie per svolgerlo, dall’altra piaceva considerarsi un perdente, un uomo debole e insicuro che non aveva saputo far di meglio che quanto appunto aveva fatto. Insomma: quello che come terapeuta registravo in Mario era un’immagine di sé che, nello stesso tempo, era eroica e soccombente, forte e debole, coraggiosa e pavida. Era incredibile. Non avevo mai incontrato alcuna persona che si auto-commiserasse e si auto-compiacesse così come lui faceva, nello stesso medesimo istante, su un unico tratto della propria personalità. Era come se dicesse: «Eh… Quanta forza ho dovuto esercitare per portare avanti la mia debolezza!»

Senza dubbio alcuno Mario era una delle persone più sconcertanti e interessanti che mi fosse capitato di incontrare nella mia attività professionale quotidiana. Il problema per il quale mi aveva consultato, tuttavia, non riguardava quella

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C’ERA UNA VOLTA LA PSICANALISI... sua ambiguità, anche se, dalla stessa, derivava in maniera diretta. Il problema era rappresentato invece dalle sue aspettative sessuali che – a sentir lui – non erano mai state pienamente soddisfatte. Da ragazzo aveva molto desiderato le proprie compagne di studi ma, la costituzione gracile e l’instabilità nervosa (che lui si attribuiva) non lo facevano sentire in grado di scendere in competizione con rivali che, sempre secondo lui, erano ben più dotati di fascino e strafottenza. La sua vita erotica, perciò, iniziò tardi, all’università, dove, sempre a suo dire, più che altro si accontentò di alcune ragazze che “ci stavano” e di quei “castigati giochi erotici” che gli permisero. Povera cosa se confrontati con le sue fantasie. Solo due volte, nel periodo di New York – guarda caso lontano dalla famiglia e dai modelli ingombranti che in essa operavano – corteggiò due donne che davvero lo attiravano e fu così audace e sicuro di sé da realizzare con loro tutte quelle “capriole” che aveva sempre sognato. Poi il ritorno in patria, il ripiego deludente nell’insegnamento, un matrimonio che sapeva tanto di arrangement, un figlio, l’impiego nella società paterna, un secondo figlio e poi il graduale assopimento della libido all’interno di una quotidianità priva di stimoli significativi. Quando la moglie morì, quindici anni dopo, Mario si concentrò sul lavoro e sui due figli, investendo tutta l’energia che possedeva sulla propria integerrima responsabilità di capo famiglia. Nessun’altra donna sfondò le sue difese. Nessuna scappatella, tanto meno quelle prezzolate. Il tempo però scorre inesorabile: i figli crebbero e, divenuti adulti, si allontanarono per la propria strada. Mario restò relativamente solo. E la sua libido, accantonata, sopita, ma già mai soddisfatta, tornò a farsi sentire: con il rimpianto struggente delle occasioni perdute e tutta l’urgenza dell’ultima occasione. Sviluppò una leggera depressione. «Forse potrebbe aiutarmi ad accantonare questi folli desideri e a farmene una ragione – mi chiese al primo incontro – potrebbe aiutarmi a ritirarmi in me stesso e a ritenermi soddisfatto dei risultati raggiunti ».

Ma i suoi occhi erano troppo “furbi” perché io prestassi ascolto alle sue razionalizzazioni. Mario era un uomo colto e intelligente, perciò non dovetti faticare molto per convincerlo della legittimità delle sue pulsioni. Cercando di farlo restare in equilibrio, lo indussi a camminare sulla fune sospesa tra i gratuiti sensi di colpa, condizionati dalla cultura cattolica sessuofobica nella quale era pur sempre cresciuto, e i vantaggi secondari (autocelebrativi) che aveva realizzato recitando sempre la parte del “buono e del giusto”. La lettura del celebre romanzo: “Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hide” di Stevenson, mi permise di introdurlo nel tema dell’Ombra tanto caro a noi junghiani. “Fu quindi piuttosto la qualità e il carattere esigente delle mie aspirazioni – con-

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PUNTI DI VISTA fessa Henry Jekyll nel romanzo di Stevenson - e non uno specifico genere di difetto, che fece di me quello che ero e, tracciando un confine molto più preciso e deciso di quanto non avvenisse nella maggior parte degli uomini, disgiunse in me quelle due zone del bene e del male la cui fusione costituisce l’aspetto duplice della natura umana. […] Per quanto vivessi una duplice esistenza e giocassi su due fronti non ero assolutamente un’ipocrita. Tutte e due le mie parti facevano dannatamente sul serio: ero sempre me stesso, sia quando, persa ogni forma di controllo, mi abbandonavo a pratiche vergognose, sia quando, alla luce del giorno, mi applicavo al progresso della scienza e mi dedicavo alla sofferenza altrui”.

Non fu facile fargli riconoscere l’esistenza della componente Ombra nell’uomo e rassicurarlo sul fatto che, una misurata integrazione, avrebbe avuto come effetto un maggior equilibrio interiore. Qualche velata allusione, il racconto di alcune storie di altri miei pazienti che, come lui, avevano affrontato e risolto lo stesso problema, qualche “battutaccia tra uomini”… e Mario, anche se titubante, riconobbe dignità ad alcune sue componenti oscure e accettò di rimettersi “in caccia”. Dopo neanche due settimane mi confidò di essersi imbattuto in una giovane extra-comunitaria in chiare difficoltà economiche che non aveva disdegnato regalargli un po’ di felicità in cambio di una minima protezione e qualche aiuto economico. Con il risultato immediato che la leggera condizione depressiva andò dissipandosi permettendo al suo umore di migliorare. D’accordo! Era una relazione mercenaria. Ma non poi così vergognosa o immorale come potrebbe apparire al perbenismo borghese della nostra coscienza collettiva. Le donne dell’Est, infatti, spesso – anche se non sempre – sono nate e cresciute in un ambiente maschilista della peggior specie e sono abituate ad essere trattate, dai loro connazionali, in maniera offensiva e violenta. Ora… Non voglio assolutamente fare di tutta un’erba un fascio, per carità, ma è usuale ascoltare da loro storie di soprusi e violenze domestiche. Questo è il motivo per cui molte ragazze e donne slave, venendo in Italia, e incontrando uomini più educati, meno aggressivi e violenti, a volte addirittura gentili e comprensivi nei loro confronti, finiscono per affezionarsi e, qualche volta, a instaurare con loro rapporti basati su una certa autenticità. Non era il caso di Mario, d’accordo. La distanza d’età (ventinove anni lei, sessantadue lui) non avrebbe potuto permettere l’instaurarsi di nessuna relazione amorosa, tuttavia mi permetto di sostenere – anche sulla base di alcune confidenze fattemi negli anni da alcune ucraine e rumene che mi hanno consultato – che il loro rapporto non fosse così squallido come forse sarebbe stato se Mario si fosse rivolto ad una prostituta di professione. So bene che quello che sto per scrivere scatenerà un vespaio, ma il fatto è che le donne dell’Est, in genere, hanno un rapporto molto diverso con la sessualità da quello espresso dalle occidentali. Oserei dire che è più semplice, più naturale, non contaminato da quell’alone di peccaminosità che la tradizione religiosa occidentale ha invece contribuito

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C’ERA UNA VOLTA LA PSICANALISI... a consolidare. Così che tra una escort di lusso nostrana, che richiede cifre da capogiro, e una extra-comunitaria che si concede, spesso anche affettivamente, in cambio di protezione e un po’ di benessere, non è difficile immaginare a quale delle due io conceda tutte le attenuanti possibili. Lasciamo tuttavia cadere la questione, che meriterebbe ben altre argomentazioni. Resta il fatto che Mario stabilì questa occasionale relazione e che, a seguito di ciò, la sua condizione interiore migliorò considerevolmente. «Tutto qui? » mi chiesi sospettoso.

Pur riconoscendo le singolari capacità elaborative e la “grinta” di Mario, possibile che una decina di sedute abbiano fatto il miracolo? Non era possibile! E, infatti, un paio di sedute dopo: «Che vuole dottore… il rapporto con Olga è cambiato. Ha cominciato a raccontarmi di sé, della sua vita, delle difficoltà che ha sempre dovuto affrontare e superare. A me ha fatto piacere ascoltarla. Significa che mi ha trovato disponibile e attento… ma questo, come dire… ha un po’ cambiato il nostro rapporto fisico. Non me la sento più di richiederle quello che all’inizio mi sono sforzato di vedere naturale. Adesso mi sembrerebbe di approfittarmene. Ora c’è più amicizia tra noi…»

Tombola! Eccolo il nodo centrale dello psichismo di Mario. Lo feci parlare un altro po’ e, come mi aspettavo, si tradì da solo, rivelandomi – pur senza rendersi conto dell’assurdità della cosa – come, nella sua visione del mondo, ci fosse una sessualità spirituale, sentimentale, romantica e, perciò stesso pulita, nobile, decorosa e virtuosa; e una sessualità profana e, dunque, come tale, selvaggia, sconcia, impudica e volgare. Ancora questa distinzione? Alle soglie del nuovo millennio ancora la distinzione tra amore sacro e amore profano? Tra sessualità lecita e illecita? Tra desideri permessi e altri proibiti? Questa volta – lo sapevo – sarebbe stata dura. Mario aveva superato i sessant’anni e, per tutta la vita, aveva convissuto con questi falsi principi. I suoi pensieri – nel tempo – si erano fatti carne e sangue e avevano condizionato i suoi gesti, ogni suo movimento, ogni parola e ogni sospiro. Di sicuro avevano inibito il turpiloquio e trattenuto le urla, colpevolizzando la fantasia che imperterrita, anche se non manifestata, avrà continuato ad evocare sconcezze. Mentre prendevo nota del problema da affrontare mi vennero alla mente alcune delle più belle pagine di: “La donna giusta” di Sandor Marai, nelle quali lo scrittore mette in bocca a Peter, il protagonista maschile del romanzo, parole di questa portata: “Dopo una certa età si pretende la verità in ogni cosa, quindi anche a letto, nella dimensione più fisica e oscura dell’amore. La verità… è riuscire ad essere spontanei, a sorprendere noi stessi con il dono meraviglioso del piacere e, nello stesso tempo, nonostante il nostro egoismo e la nostra avidità, essere capaci di dare gioia

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PUNTI DI VISTA con pari generosità, senza alcun calcolo, senza secondi fini, con leggerezza, quasi inavvertitamente… Ecco qual è la verità a letto. Il letto è un luogo selvaggio, una foresta vergine fitta di sorprese ed imprevisti, un ambiente torrido, carico di effluvi micidiali di fiori stranissimi, un groviglio inestricabile di liane, pieno di belve dagli occhi fiammeggianti che strisciano nell’ombra, le fiere del desiderio e della passione sempre pronte a balzare sulla preda. Questo è il letto. È una giungla. È penombra. Strani suoni giungono da lontano e tu non sai se è il grido di un essere umano azzannato alla gola da una bestia feroce presso una sorgente o se ad urlare è stata la natura stessa, che è al contempo umana, animale, e disumana…”

Sandor Marai scrisse il romanzo nel 1941 e Peter, il protagonista maschile, è un perfetto esempio del perbenismo di stampo vittoriano dell’alta borghesia ungherese di quegli anni. Eppure egli sa che nel letto d’amore tutto è giungla e urla e sospiri… Noi siamo arrivati alle soglie del terzo millennio eppure, ancora oggi, donne e uomini come Maria e Mario credono giusto distinguere tra amore romantico (e dunque sacro) e sesso profano, come se S. Freud, W. Reich, A. Lowen, D. Laing e poi ancora H. Miller, C. Bukowskj, D. H. Lawrence, e chissà quanti altri non fossero mai esistiti. Come se ignorassero del tutto che la corrente dell’Eros è una, una sola, e che solo “cavalcandola” e lasciandosi portare da essa oltre ogni confine formale, oltre ogni soglia e ben oltre se stessi, è possibile afferrare un lembo della sua natura spirituale. Le religioni (o filosofie) orientali dei primordi, quelle cinesi e giapponesi, così come quelle andine e centro-americane, già conoscevano questo segreto. Noi, illuminati uomini tecnologici, ne abbiamo perduto anche il più pallido ricordo. È probabile che un insieme complesso di circostanze ed elementi di varia natura siano responsabili di questa moderna ottusità collettiva, ma se dovessi indicarne almeno uno, credo che punterei il dito su quanto di peggio ha prodotto il pensiero medievale europeo. Credo, infatti, che la rottura della percezione unitaria del mondo sia iniziata nel momento preciso in cui il dogmatismo religioso divulgò e diffuse la scissione tra il mondo spirituale e quello materiale, tra il cielo e la terra, tra il regno di Dio e il regno del Demonio. E attribuì al primo il bene, la luce, la purezza, il candore, la virtù; e al secondo il male, l’oscurità, la sporcizia, la volgarità, la sconcezza e l’immoralità. Non poteva essere congegnato un piano migliore per allontanare l’uomo dalla verità. Più tardi questa stessa arbitraria separazione del Bene dal Male fu nobilitata dall’allora nascente pensiero scientifico: la res cogitans e la res extensa di Descartes – nel suo “Discorso sul Metodo” – ratificarono, infatti, e una volta per tutte, la medioevale scissione. Il pensiero moderno, anche se non sembra, ne è ancora impregnato. Nelle fantasie sessuali e nella sessualità agìta dell’uomo e della donna moderni questa frattura si rivela (e per questo la psicologia del profondo l’osserva con tanta cura). Come

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C’ERA UNA VOLTA LA PSICANALISI... risultato di quella antica scissione accade allora che molti si schierano dalla parte dell’amore romantico che, come tale, risulta tendenzialmente morigerato, quasi casto e scarsamente fantasioso; altri invece si schierano dalla parte dell’amore edonistico il quale, come tale, si rivela perciò scatenato, sfacciato, lussurioso, spesso osceno. Tra i due uno iato che nessuno si sogna di voler superare perché, soprattutto, nessuno crede che vada superato. So bene che può sembrare un’esagerazione da parte mia, ma non credo di allontanarmi molto dalla realtà affermando che un numero impressionante di uomini e donne moderni, ancora oggi vivono così, con una scissione interna che non soltanto mancano di registrare ma che addirittura, se per caso affiora, apprezzano e giustificano. Mario aveva vissuto così, innalzando ad eroismo prima l’edulcorazione e la mortificazione della propria libido, e infine la sua totale inibizione. Oggi, superata la soglia dei sessant’anni, veniva sfidato a rivalutare le sue precedenti considerazioni e, come conseguenza, tutta la vita vissuta fino a quel momento. In tutta onestà, non sapevo fin dove mi sarei potuto spingere. Ma ero convinto, come lo sono tutt’ora, che se anche solo con l’ultimo respiro l’essere umano dovesse riuscire a scorgere un lembo della propria verità eterna… béh, allora, comunque, il suo patire avrebbe trovato un senso. Mi impegnai con tutto me stesso e Mario mi seguì, con altrettanto coraggio. In alcune occasioni, stando a quello che lui stesso mi raccontò, superò se stesso rasentando quella pienezza di soddisfazione che la sua fantasia aveva sempre preconizzato. Credo di poter dire oggi, a distanza di anni, che se realizzammo solo una parzialità di risultati, ciò fu dovuto ai limiti psicologici che tanti anni di condizionamento avevano comunque scavato in lui, e a quelli fisici di cui solo l’età e una serie inevitabile di “acciacchi” erano responsabili.

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Prima Edizione: 2011 ISBN 9788889845523 © 2011 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Giugno 2011 in Italia da Arti Grafiche Picene Srl - Maltignano (AP) per conto di Edizioni Psiconline (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)

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