Valsugana News n. 7/2020 Settembre

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Punto & a Capo di Waimer Perinelli

La guerra del Covid fra scuola e ballo Mi piacerebbe che questo giornale fosse letto oggi nelle scuole trentine, ma mentre scrivo non è ancora certo quante scuole saranno aperte e per quanto tempo lo resteranno. Non è facile amministrare in tempo di guerra ed è innegabile lo stato di necessità in cui si trova la nostra società.

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accontano i libri di storia e la memoria dei nostri padri e nonni, dei bombardamenti, dell’oscuramento delle case, dei coprifuoco durante il Secondo conflitto mondiale.....Oggi la difesa dal Covid 19, il nemico invisibile, subdolo, spietato, interclassista e non razzista, ci costringe a valutare ed adottare misure altrettanto drastiche. Gli economisti parlano di economia di guerra con massicci finanziamenti pubblici, investimenti. Tutte le guerre convenzionali hanno portato all’aumento delle fabbriche di armi con cui paradossalmente sono aumentate le risorse individuali. Questa guerra richiede in primo luogo investimenti nella ricerca e produzione di vaccini, ma e soprattutto, nelle infrastrutture per la società del futuro: trasporti, energie rinnovabili, digitalizzazione, alternative alimentari. Questa economia deve avere come obiettivo parallelo ma, come direbbe Giulio Andreotti, convergente, la lotta alla miseria, sia economica che morale. Come accade spesso nella storia, nei momenti peggiori si trovano le persone migliori, fortuna ha voluto, che, pur fra mille distinguo e piccoli egoismi, il Consiglio dell’Unione Europea presieduto da Angela Merkel, abbia varato misure economiche e finanziarie importanti. “ Dovremmo evitare di sollevare troppo spesso il tema dell’esistenza dell’Unione e limitarci a fare il nostro lavoro” ha

detto in Parlamento la cancelliera tedesca, alla presentazione del piano per la “solidarietà” o debito comune per i 27 paesi dell’Unione. L’ esperienza insegna che un buon accordo è quello in cui nessuno dei contraenti è pienamente soddisfatto. E così è accaduto a luglio in Europa dove tutti hanno ricevuto qualcosa, ma non tutto, e da poco più di un mese si è iniziato a lavorare, anche per chi ha smesso di lavorare. Aziende in crisi ma e soprattutto modelli sociali e comportamentali devastati. Come nel bel romanzo di Pinocchio i più colpiti sono quelli maggiormente frequentati: il paese dei balocchi e la scuola. Nel bel paese di Lucignolo si balla, si canta, si dialoga spalla a spalla. Nulla di male se si tengono le distanze isolando il virus ma se dovessi immaginare oggi una nuova danza la titolerei “Io ballo da solo”. A scuola, di cui Pinocchio farebbe volentieri a meno, non si può ballare da soli nemmeno davanti al computer al quale ci si può affidare per un tempo limitato come surroga dell’educazione. Perché scuola non significa solo apprendimento di nozioni, ma scambio di informazioni, confronto di idee, creatività, educazione civica. E se alle discoteche, fatti salvi i diritti dei lavoratori, si può rinunciare per qualche tempo, alla scuola no. Da sognatore immagino la nostra scuola dotata di due milioni di banchi individuali, di milioni di mascherine,

da cambiare ogni quattro ore, indossate dagli alunni e professori in caso di mancanza delle distanze di sicurezza; sogno la Scuola promessa quella che nemmeno Mosè potrebbe darci in così poco tempo dopo cento anni di riforme attese e disattese. Sogno che questo giornale possa essere letto in classe perché vorrebbe dire che pur nella sua precarietà ha trovato le scuole aperte e funzionanti, studenti felici di ritrovarsi, professori sani e poco ansiosi. Nell’attesa credo nel lavoro dei ricercatori, nel vaccino anti Covid che solo può portarci alla normalità. Mi auguro tuttavia una normalità diversa, più consapevole, più attenta ai bisogni della gente e della Terra. Spero infine che i sogni non muoiano all’alba e di risvegliarmi nel paese dove Collodi ha fatto convergere le vite parallele della scuola e del divertimento: il nuovo Pinocchio.

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SOMMARIO ANNO 7 - SETTEMBRE 2020 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Erica Zanghellini Katia Cont - Massimo Dalledonne - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Laura Mansini - Alice Rovati Giorgio Turrini - Laura Fratini - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover - Veronica Gianello Giampaolo Rizzonelli - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)

PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

Punto & a capo 3 Sommario 5 Qui USA – Le elezioni presidenziali 7 Giancarlo Siani 8 Attualità- Elezioni comunali 2020 15 Il personaggio: Enrico Malpaga 16 Movida fuori controllo? 18 Solidarietà e volontariato: il pesce Grazie 20 Musica e poesia: Flavio Conci 22 Società oggi: aborto, anatema e cività 25 Elezioni 20-21 settembre : Marco Nicolo’ Perinelli 26 In ricordo di una “Grande” – Franca Valeri 27 Elezioni 20-21 settembre : Giuseppe Facchini 28 Società oggi: nuovi alloggi per anziani a Borgo e Scurelle 30 Elezioni 20-21 settembre : Matteo Degaudenz 32 Attualità: orsi e cittadini trentini 33 A parere mio: abbiamo imparato 34 Riflessioni quotidiane 35 A parere mio: prima l’italiano 36 Barco di Levico: viaggio in Moravia 38 A Levico Terme…. si vola 39 Uomo e natura: corpo forestale e ASUC 47 “Ospitalia”, quando l’ospitalità è di casa 48 Una Messa “ garibaldina” 50 Borgo: qui passò Napoleone 51 Umana-mente: la coscienza dell’escursionista 53 Uomo e natura: insetti amici 55 Ieri avvenne: l’alluvione del 1882 in Valsugana 56 Levico Terme: la Masera, memorie di seta e tabacco 59 Ieri e oggi: pesca, mostra virtuale a Caldonazzo 62 Conosciamo il territorio: insediamenti umani in Valsugana 63 Conosciamo il territorio: la Madonna nera di Strigno 65 Medicina & Salute: la melatonina Medicina & Salute: il rapporto di coppia Benessere & Salute: utilizzo delle lenti a contatto

Hiroshima e Nagasaki Per non dimenticare Pagina 11

Uomini e sport Roberto Baggio Pagina 28

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Che tempo che fa: Levico Terme, 24 agosto da ricordare 72 Ieri avvenne: l’arrivo del mais in Trentino 74 Cose da mamma e …da papà: i detersivi 75 Tra poesia, pittura e prosa: Daiana Berloffa 76 Passatempo italiano: il puzzle 77 Giocherellando 78

Storie del passato Dalla Valsugana a Kennelbach Pagina 43

Alessandro Paleari presenta

LE VIGNETTE DI VALSUGANA NEWS

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Qui USA di Francesca Gottardi è la nostra corrispondente dagli USA

Donald Trump e Joe Biden

candidati alle elezioni presidenziali 2020 Sono giorni intensi negli USA. Si sono appena concluse le due Convention, quella democratica e quella repubblicana, che hanno ufficializzalo la candidatura di Trump e Biden alle elezioni presidenziali USA che si terranno il prossimo 3 novembre. Durante le Convention sono anche stati annunciati i candidati alla vicepresidenza, Mike Pence per i repubblicani e Kamala Harris per i democratici.

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a Convention per la nomina alle presidenziali degli Stati Uniti d’America è un congresso politico presenziato dai più rappresentativi esponenti di partito, che designa il candidato alle elezioni per il presidente degli Stati Uniti ed il relativo vicepresidente. Le Convention repubblicana (centro-destra) e democratica (centro-sinistra) si tiene ogni quattro anni a pochi mesi dalle elezioni presidenziali. Si tratta un vero e proprio show all’americana, dove i partiti presentano il loro programma elettorale ed i successi ottenuti nel corso dell’ultima legislatura.

che “Trump è il presidente sbagliato per gli Stati Uniti” e che “quello che succede nel Paese non è giusto.” A denunciare le ingiustizie razziali in USA è intervenuto anche il fratello di George Floyd, afroamericano morto per mano di un episodio di brutalità poliziesca lo scorso maggio. Altro intervento toccante quello di Kristin Urquizia, figlia di una vittima di COVID. Il padre, racconta Kristin, era un fervente sostenitore di Trump. Come il “suo” presidente, sosteneva che la pandemia fosse una semplice influenza. “Mio padre si fidava di Trump e sul letto di morte se n’è pentito” dice Kristin.

La Convention democratica Nessuna folla o pubblico, niente applausi entusiasti e clamore per la Convention democratica, tenutasi interamente in remoto. Joe Biden ha accettato la nomina di candidato per la presidenza democratica 2020-24. La sua Convention, dai toni relativamente sobri e pacati, è passata in sordina e pare non abbia inciso in modo significativo a migliorare la sua posizione presso l’opinione pubblica americana. Star della Convention è stata Michelle Obama, che ha aperto il congresso con un discorso dove ha denunciato le ingiustizie razziali ancora presenti in America, ed una cattiva gestione della crisi Coronavirus da parte dell’amministrazione Trump. La ex-first Lady ha esordito affermando

La Convention repubblicana Dal canto suo, Donald Trump ha organizzato una vera e propria produzione Hollywoodiana per la sua Convention, svoltasi in parte in remoto ed in parte in via presenziale. Il Presidente in carica Donald Trump ha aperto il congresso in pompa magna con una Convention durata quattro giorni, dove ha ufficialmente accettato la candidatura a futuro presidente repubblicano per il mandato 20202024. Negli Stati Uniti, dove ancora i casi di Coronavirus divampano, ha suscitato un certo scalpore la scelta Donald Trump del Presidente

in carica di svolgere parte della sua Convention in via presenziale. In netta minoranza i partecipanti che indossavano la mascherina, e quasi assente la distanza interpersonale tra gli oltre 1500 partecipanti. Tra i contributi di rilievo quello di Rudy Giuliani, ex sindaco di New York, e quello della figlia di Trump, Ivanka. Dopo aver decantato la performance dell’economia USA, Ivanka ha introdotto il padre. Il Presidente è quindi apparso, scendendo dalle scalinate della Casa Bianca tra le miriadi di bandiere americane, con la first-lady Melania in un abito verde acceso. Trump ha concluso il congresso promettendo milioni di posti di lavoro e denunciando Biden come un pericoloso socialista, “la scelta è tra sogno americano e socialismo”. Molto attesi sono ora i dibattiti presidenziali che avverranno nelle prossime settimane tra i due candidati. Chi sceglieranno gli americani tra il presidente in carica Donald Trump ed il democratico Joe Biden? Il mondo, e l’America, rimane con il fiato sospeso.

Joe Biden

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Ieri avvenne di Chiara Paoli

Il silenziatore della camorra Il 23 settembre del 1985 viene ammazzato Giancarlo Siani, giornalista napoletano. La sua colpa è stata quella di aver sollevato un polverone, che la camorra voleva sepolto sotto un tappeto. In quella fatidica giornata, sono le 20.50 circa quando viene colpito al suo rientro a casa in via Vincenzo Romaniello mentre è ancora in auto, nella sua Citroën Méhari, 10 colpi di pistola sparati da due Beretta 7.65mm, lo raggiunsero alla testa. Questi i fatti che 35 anni fa scuotono il quartiere napoletano dell’Arenella, ponendo prematuramente fine alla vita di Giancarlo Siani, appena ventiseienne. Giancarlo nasce a Napoli, in una famiglia della media borghesia, il 19 settembre del 1959 i suoi studi lo portano ad ottenere nel 1978 la maturità classica con il massimo dei voti. Dall’anno precedente è entrato a far parte dei movimenti studenteschi e dopo la maturità si iscrive a Sociologia all’Università degli Studi Federico II. In questo periodo hanno inizio anche le sue collaborazioni con alcuni periodici locali che lo portano ad interessarsi e scrivere soprattutto di problemi di emarginazione e di disagio sociale, dove la criminalità organizzata si insidiava e reperiva i suoi “tirapiedi”. Con Gildo De Stefano, Antonio Franchini e altri giovani giornalisti Giancarlo fonda il Movimento Demo-

Giancarlo Siani (da Napoli Post)

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cratico per il Diritto all’Informazione, di cui si fece ambasciatore nei convegni nazionali dedicati alla libertà di stampa. Seguono i primi articoli per il periodico mensile “Il lavoro nel Sud”, testata promossa dalla CISL e la collaborazione con il quotidiano di Napoli “Il Mattino”, per cui operava come corrispondente da Torre Annunziata. Nel suo lavoro giornalistico si interessa per lo più alla cronaca nera, parlando anche di camorra e dedicandosi ai rapporti tra le famiglie che controllavano la zona. Inizia quindi a collaborare anche con l’Osservatorio sulla Camorra, periodico che ha come direttore il sociologo Amato Lamberti. Il suo sogno era poter ottenere un contratto per fare il praticantato e sostenere così l’esame da giornalista professionista e nel giro di un anno, grazie al suo impegno sempre in prima linea, ci riesce. Tra le sue rivelazioni anche quel-

le relative ai favoreggiamenti che seguono al terremoto dell’Irpinia e legano alcuni politici locali al clan di Valentino Gionta, un tempo pescivendolo e poi dedito all’illegalità, dal contrabbando di sigarette al controllo del mercato della droga. Quello che però porta alla sua sentenza di morte è un articolo pubblicato il 10 giugno 1985, in questo scritto Giancarlo accusa il clan Nuvoletta di voler scalzare il boss Valentino Gionta, divenuto scomodo, denunciandolo alla polizia. Questa “soffiata” gli era arrivata da un amico carabiniere e si rivelerà vera, Gionta viene infatti arrestato proprio mentre si allontana dalla tenuta di Lorenzo Nuvoletta a Marano di Napoli. I Nuvoletta sono affiliati ai Corleonesi di Riina e al clan Bardellino, insieme costituiscono quella che è stata soprannominata la “Nuova Famiglia”. Gionta verrà rivelato in seguito fu il prezzo da pagare al clan Casalesi per stringere un accordo di pace. L’articolo scatena le ire dei fratelli Nuvoletta, diffamati nell’onore di uomini di mafia. A ferragosto la decisione di “eliminare” Siani è presa, si pensa inizialmente di ucciderlo al di fuori del circondario di Torre Annunziata per sviare così le indagini. I fatti andranno diversamente e si compiranno nella serata del 23 settembre. Dalla morte del giornalista passano ben 12 anni, prima che la giustizia faccia il suo corso. La sen-


Ieri avvenne

La Citroen Mehari su cui fu assassinato Giancarlo Siani il 23 settembre 1985

tenza di ergastolo per i mandanti, Lorenzo e Angelo Nuvoletta con Luigi Baccante e per gli assassini Ciro Cappuccio e Armando Del Core, viene pronunciata il 15 aprile del 1997. Tra i mandanti dell’omicidio presenzia anche Valentino Gionta, che condannato in Appello all’ergastolo, verrà poi scagionato in Cassazione. Tra i misteri

legati a questa scomparsa, la telefonata per chiedere un incontro faccia a faccia ad Amato Lamberti, direttore dell’Osservatorio sulla Camorra con cui aveva collaborato. Ignoto il tema del colloquio, ma secondo le testimonianze si sarebbe trattato di un argomento “scottante” di cui parlare a voce, forse Siani temeva per la propria

vita. Un libro-inchiesta pubblicato nel 2014 dal giornalista partenopeo Roberto Paolo, fa riemergere dubbi sulla sua morte, che hanno indotto Giovanni Melillo, coordinatore della Direzione antimafia della Procura di Napoli, a riaprire le indagini, affidate ai sostituti procuratori Enrica Parascandolo e Henry John Woodcock. Molte sono le scuole, le vie e le sale intitolate a Paolo Siani, oltre al cinema teatro di Marano di Napoli e a lui è dedicato il mensile “Narcomafie” del Gruppo Abele e Libera. Nel 2016 è stato svelato al pubblico un murales dedicato al giovane giornalista, l’opera compiuta dalla coppia di artisti italiani, noti come Orticanoodles è bicromatica, i colori sono: il verde della sua Citroën Mehari e il grigio seppia dell’inchiostro della Olivetti M80 con cui scriveva i suoi articoli.

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Accadde ieri di Armando Munao’

Hiroshima e Nagasaki… …per non dimenticare

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e bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki furono i due primi ‘ground zero’ (livello zero) della storia. Il mattino del 6 agosto 1945 alle 8,16, su ordine del presidente americano, Harry Truman ( succeduto al presidente Roosevelt deceduto improvvisamente il 12 aprile 1945) venne sganciata sulla città giapponese di Hiroshima la prima bomba atomica “Little Boy”- “ragazzino” (una bomba all’Uranio 235, lunga tre metri, larga 72 centimetri dal peso di 4,4 tonnellate) trasportata dall’aereo Enola Gay, un bombardiere B-29 con 12 persone di equipaggio al comando del Colonnello Paul Tibbets. I B-29, chiamati “Superfortezze”, avevano un’apertura alare di quasi cinquanta metri ed erano stati progettati per i bombardamenti strategici a grandi distanze. Potevano trasportare oltre 9 tonnellate di bombe a una velocità di circa 500 km/h per oltre 5mila km. Dopo tre giorni, il 9 agosto, ci fu il lancio della seconda atomica “Fat Man” “grassone” sulla città di Nagasaki. Una bomba al Plutonio 239, lunga 3,25 metri, larga 1,5 metri e pesava 4,65 tonnellate trasportata dal bombardiere B-29 “Bockscar” con tredici uomini di equipaggio al comando del pilota Maggiore Charles W. Sweeney. Inizialmente, come secondo bersaglio, era stata scelta la città di Kokura, le nubi, però, non permisero di individuare esattamente l’obiettivo, e dopo alcuni passaggi sopra la città, l’aereo, ormai a corto del carburante necessario per il viaggio di ritorno, fu dirottato sull’obiettivo secondario della missione, cioè Nagasaki, uno dei porti più importanti del Sud del Giappone. Per la cronaca, dopo lo sgancio della bomba, ore 11,02, il B-29, per carenza di carburante, non riuscì a tornare alla base di Tinian o di Iwo Jima e quindi il comandante fu costretto a un atterraggio di emergenza nell’isola di Okinawa. L’esplosione su Hiroshima si verificò a circa 600 metri dal suolo, con uno scoppio equivalente a circa sedici chilotoni (16mila tonnellate di tritolo) generando in dieci secondi un’onda d’urto impensabile e una tempesta rovente che avanzando a oltre 800 km l’ora, uccise all’istante tra le 70.000 e le 80.000 persone (alcuni testi scrivono di almeno 120mila giapponesi uccisi) e radendo al suolo un’area urbana di circa 11 km. quadrati e circa il 70% degli edifici. La temperatura al centro dell’esplosione fu di circa 3/4mila °C , più o

Hiroshima dopo lo scoppio (USA Affari Pubblici)

Nagasaki dopo lo scoppio (foto by George Silk)

Hiroshima - Archivio Nazionale USA

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Accadde ieri

Il Memoriale della Pace di Hiroshima Patrimonio dell’Umanità (Archivio Nazionale USA)

Il quotidiano eritreo 9 agosto 1945, effetti della bomba a Hiroshima

Il fungo atomico su Hiroshima (Archivio Nazionale USA)

meno, il triplo della lava durante un’eruzione vulcanica. La bomba sganciata su Nagasaki aveva una potenza di circa 21 kilotoni (21mila tonnellate di tritolo) scoppiò a circa 470 metri d’altezza, non esplose,però, nel centro della città, ma a quasi 4 km a nord-ovest da dove previsto, vicino alla fabbriche d’armi. Questo “sbaglio” salvò gran parte della città, protetta dalle colline circostanti, dato che la bomba cadde nella Valle di Urakami. Lo scoppio causò la morte immediata di oltre 60 mila persone. (Per la cronaca la potenza delle moderne bombe atomiche si misura in megatoni (un megatone sprigiona un’energia equivalente a quella liberata dall’esplosione di un milione di tonnellate di tritolo). Il numero delle vittime causate dal lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki fu enorme: si stima che vi furono oltre 250mila morti, quasi tutti civili. Oltre alla morte immediata di persone dovuto allo scoppio, infatti, le due bombe atomiche portarono a una serie di conseguenze terribili che, per lungo tempo, segnarono tutta l’area. E altre migliaia di persone, morirono entro un anno dal lancio della bomba atomica per colpa delle radiazioni e delle bruciature causate e altrettanti giapponesi sono morti negli anni successivi per il cancro o malformazioni alla nascita dovute proprio alle radiazioni atomiche. Perché gli USA decisero l’uso della bomba atomica? La Seconda Guerra Mondiale era quasi al termine perché la Germania si era arresa. Tuttavia solo il Giappone stava continuando la guerra. Gli Stati Uniti erano certi e convinti che l’Impero del Sol Levante fosse deciso più che mai a fronteggiare gli americani che erano prossimi allo sbarco e quindi all’invasione: si prevedeva che lo sbarco avrebbe causato migliaia di perdite all’esercito americano. E quindi, gli USA, per

La ricostruzione di Fat Man (Dipartimento della Difesa USA)

Il B29 “Enola Gay”

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Little Boy


Accadde ieri chiudere definitivamente l’evento bellico e scrivere la parola fine alla Seconda Guerra Mondiale, decisero di utilizzare la bomba atomica nata dal progetto Manhattan*. Il 6 agosto prima e il 9 agosto 1945 dopo, furono sganciate le due bombe su Hiroshima e Nagasaki. Il 15 agosto 1945 il Giappone accettò la resa incondizionata e segnò l’epilogo del conflitto mondiale.. I due attacchi atomici, ancora oggi, sono considerati fra gli episodi bellici più significativi e più drammatici dell’intera storia dell’umanità. Il progetto Manhattan Nel 1942, nel pieno della II Guerra Mondiale, il governo americano diede il via al progetto Manhattan, un programma di ricerche e sviluppo in ambito militare per creare in breve tempo laboratori in grado di produrre un’arma atomica prima che i nazisti, impegnati da anni in un programma nucleare, ne costruissero una loro. Il progetto fu gestito dal distretto dell’American Corps

Enrico Fermi

Robert Oppenheimer

di Manhattan a New York (da cui il nome Manhattan) e prese il via nella segretezza più totale. Al progetto parteciparono fisici di fama mondiale quali Fermi, Segrè. Groves, Fuchs e Szilard. La direzione del laboratorio di Los Alamos fu affidata al brillantissimo fisico teorico Robert Oppenheimer che in molti definiscono ancora il padre della bomba atomi-

Hiroshima prima e dopo lo scoppio (Archivio Nazionalel New York Contrasto)

ca. Dopo appena tre anni, esattamente la mattina del 16 luglio 1945, nel cuore del deserto della Jornada del Muerto, in New Mexico, un fungo atomico illuminò il cielo e un enorme boato infranse il silenzio: gli scienziati del progetto Manhattan avevano appena testato la potenza di Gadget (in italiano “l’arnese”), la prima bomba atomica della storia.

Nagasaki prima e dopo lo scoppio della bomba (1945)

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Attualità di Cesare Scotoni *

Elezioni comunali 2020

Un’occasione per uscire dal prima Alla condanna a reiterare che è propria di una Politica incapace di rinnovare i propri schemi già sconfitti e gli uomini destinati ad interpretarla, sembra fare da riflesso l’impossibilità di una Comunità di accettare l’idea di un Dopo diverso da un Prima.

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el nostro Paese è prassi vivere nella Certezza di un Prima rieditato nel Dopo. Si ricorda una prosperità preunitaria pur smentita dai Dati e dalla Storia, come si rimpiange uno stare meglio quando si stava peggio. Si arriva perfino a giustificare la corruttela endemica che ha caratterizzato la nascita stessa dell’Unità d’Italia ed una Storia di scandali che hanno accompagnato il Paese fino l’esplodere del debito pubblico nei micidiali anni ’80. Tutto si fa nel nome di “Valori” la cui elasticità è l’Ammortizzatore dei contrasti di un Paese che NON ha ancora saputo approdare a quell’Unità Nazionale che non può fondarsi che su Equità ed Eguali Opportunità. Il senno di poi ed il bisogno di “adattare” il raccontare dei Fatti ad un interminabile Contesto Postbellico, in qualche modo immobile fino alla rottura del giugno 1992, però non bastano più in un Eterno Presente che si dilata ormai da un quarto di secolo. Dal 2011 l’Europa è cambiata, molto, le cosiddette due velocità sono nei fatti ed il Nostro Paese è in sosta sul binario lento. Se il Regno Unito, di

fronte alle pretese egemoniche di una Germania riunita, ha scelto la Fedeltà Atlantica nel mentre che il nostro Paese, “L’Arlecchino servo di due padroni” su cui si è costruita un’intera classe politica che da quel Prima non si sa uscire, prende legnate da tutti nell’attesa di capire a chi darà ragione la Storia. Che fare? Continuare a fingere che le rappresentazioni più consolidate, pur fallimentari, siano certezze? La ricerca di “figurine” dall’Albo di quella Politica che accompagnò il naufragio della Prima Repubblica è un Sintomo di quell’Incapacità della Politica di evolvere o il Segnale della Nostalgia per un Sistema condannato dalla Storia? L’incessante turbinio di marionette che si succedono nelle stesse mani in quel teatrino che ci viene offerto da troppo tempo con delle storie di cui tutti conoscono la trama non ha risposto e non risponde certo all’esigenza di un “cambio di paradigma” che deve basarsi innanzi tutto su una semantica diversa, che sappia offrire schemi nuovi. Una Comunità si costruisce “convergendo” nelle risposte a dei bisogni condivisi e non fingendo che alcuni bisogni abbiano diritto di cittadinanza ed altri non abbiano la dignità per meritare una discussione costruttiva. Non è negando l’evidenza di una relazione tra spaccio di droga, propensione a delinquere e rifiuto delle regole di ingresso e residenza nel nostro Paese che si affrontano quei problemi che affliggono oggi parti di ogni media e grande città o

neppure fingendo che il decoro urbano non rientri tra gli elementi che fanno la qualità della vita in ogni contesto che si fa il bene della Città. L’Urbanistica o interpreta concretamente un’idea di Futuro o è un mero esercizio accademico e merce di scambio in commerci meno nobili. Per troppo tempo l’esigenza di dire cose belle ha piegato gli eletti da cui ci saremmo attesi cose buone, a dinamiche diverse e slegate dalla concreta, ma non facile banalità dell’offrire alla cittadinanza scelte comprensibili e trasparenti. Una città è certo un sommarsi di interessi, ma sono le logiche che presidiano il soddisfarne alcuni ed il rigettarne altri che debbono essere l’oggetto del Dibattito Politico. Il geometra del Comune si occuperà sempre della larghezza del marciapiede o dell’illuminazione della strada, ma a decidere che la strada, il marciapiede e l’illuminazione debbono precedere e non seguire la nascita di un quartiere è un Dovere della Politica. Il saper progettare la Modernità anziché subirla ed il voler decidere dei contenuti qualitativi impliciti in ogni scelta è la scommessa che tutti dobbiamo ai nostri figli. Una Politica che gioisce dell’ordinaria Amministrazione rinuncia al proprio ruolo di immaginare gli Spazi di un’Evoluzione Sociale per la Comunità che la esprime ed i risultati sono ovunque e sotto gli occhi di tutti. * L’ingegner Cesare Scotoni è Consigliere di Amministrazione della Patrimonio Trentino spa

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Il Personaggio di Waimer Perinelli

Tenna, Enrico Malpaga 30 anni da capo Comune La lapide apposta dall’Amministrazione comunale, sulla casa di via Alberè 42 nel centro storico di Tenna, in occasione del 50° anno della realizzazione dell’acquedotto potabile, ricorda Malpaga Enrico quale capo del Comune di Tenna per trent’anni, dal 1895 al 1925, e mette in evidenza che:” è stato il “geniale realizzatore” dell’acquedotto, che ha risolto il gravissimo problema che derivava dalla totale mancanza di sorgenti potabili sulla collina.

“E

n mez ai laghi senza acqua, en mez ai boschi senza legna, pori diali quei de Tena”, recitava infatti un vecchio detto. Il paese di Tenna era fino agli inizi del secolo scorso, sprovvisto completamente di un acquedotto potabile, e le famiglie erano costrette ad attingere la preziosa e scarsa risorsa, dai vari pozzi situati in varie zone dell’abitato, con frequenti malattie e pellagra fra la popolazione. Come riportato nel libro scritto di proprio pugno dallo stesso Malpaga, vi erano alcuni pozzi nel paese (loc. Pozze, nelle Pellere, in fondo a

Enrico Malpaga a sinistra davanti l’acquedotto

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via Cavada, alla Valle sotto la Chiesa vecchia di San Clemente) che però non garantivano l’acqua necessaria per la comunità di 800 abitanti. “Nel 1902, scrive Enrico Malpaga, il sotto firmato prese l’ occhio su una sorgente d’acqua nella valle di Vignola, misurata in tempo di magra..” . Dopo numerose istanze ed appelli nei confronti della Dieta Tirolese di Innsbruck, il Capo Comune, unitamente alla Deputazione Comunale di Tenna, riusciva ad ottenere l’approvazione del progetto ed il finanziamento dell’opera. La “genialità”, tornando alla nostra

Enrico Malpaga

Attestato medaglia civile


Il Personaggio lapide commemorativa, faceva riferimento alla intuizione ed intelligenza di utilizzare la sorgente di Vignola, situata ad una altimetria di 750 metri s.l.m. superiore al paese di Tenna, che si trova a 568 metri s.l.m.; per il principio dei vasi comunicanti, l’acqua scorre nella condotta fino al fondovalle, in loc. Visintainer, per poi risalire dopo vari chilometri a Tenna, senza necessità di costosi sistemi di pompaggio. Per l’epoca, è stata una soluzione veramente geniale, che ha consentito di risolvere il gravissimo problema che assillava Tenna, e nel 1907 venne inaugurato l’acquedotto. Enrico Malpaga aveva 42 anni, era nato infatti il 6 luglio del 1865, e ricopriva la carica pubblica da 12 anni.

Di professione era agricoltore e in quei tempi la collina di Tenna era ricoperta di vigneti coltivati dalla sua famiglia. Il vino pavana della famiglia Malpaga era venduto in Tirolo. Lavorando quella vigna Enrico, potè mantenere la sua personale famiglia composta di sette figli. Senza mai trascurare l’incarico comunale. E non erano tempi facili perché l’amministrazione civile doveva convivere con quella militare, alla quale Enrico riuscì a strappare la

inaugurazione dell’acquedotto, via Roma

sospensione dei vincoli imposti dal forte austroungarico di inedificabilità assoluta per un raggio di 570 metri e di inedificabilità relativa di 1140 metri, per non ostacolare il tiro delle cannoniere. Tali vincoli avrebbero condizionato o addirittura compromesso lo sviluppo edilizio di una parte consistente dell’abitato verso sud, fino all’edificio destinato a scuola elementare. La sua capacità amministrativa venne premiata dall’Imperatore Francesco Giuseppe d’Austria con la medaglia civile al valore. “Con questa medaglia, ricorda il figlio Luigi, accolse i fascisti ch’erano andati ad arrestarlo e loro non ebbero il coraggio di portarlo in prigione”. Il suo impegno civile proseguì dopo la prima Guerra Mondiale fino al 1925. Poi, a 60 anni, si dedicò interamente alla famiglia ed alla vigna. Morirà nel 1942 a 77 anni.

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Giovani, contagi e vita notturna di Patrizia Rapposelli

Movida fuori controllo?

G

iovani nei guai. Le norme anti Covid-19 sembrano non riguardali. È movida fuori dalle regole e dall’inizio della pandemia i festaioli finiscono nel mirino. Infatti, la vita notturna torna ad essere al centro dell’occhio del ciclone. La polemica del divertimento irresponsabile è di vecchia data, ma tracciando un resoconto dell’estate 2020 lo stato di cose che ne emerge ha creato un polverone tra i misurati e i lascivi. Un numero importante di nuovi focolai sembra provenire da ambienti lavorativi e sanitari, ma le immagini impresse nella mente di chi ha visto, nel pubblico esercizio, nelle strade, sui social e nei report, raccontano bene come ora protagonista è l’incoscienza dei giovani in questa estate. L’epidemia è ripartita sulle gambe dei ragazzi, delle vacanze e della movida, lo conferma l’Organizzazione mondiale della sanità. I dati sono chiari. Nel primo momento di contagio l’età mediana dei positivi era di 60 anni, mentre nell’ultimo mese si è abbassata a 34 anni; il 15 per cento ha anche meno di 18 anni. Tra i 20-29 anni il 96 per cento non ha sintomi o ne ha di lievi, infine un 4 per cento riversa in condizioni severe. La voce semplice del Covid-19 che spesso si è

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sentita tra la gente, “è solo un problema degli anziani”, non è più convincente e l’estate sta finendo con un sentimento opposto. Naturale è stato additare i più giovani come colpevoli, ma forse sarebbe meglio parlare di concorso di colpe. Infatti, Il comportamento irresponsabile dei ragazzi è stato appoggiato dalla complicità dei locali, dei genitori e delle direttive politiche contrastanti tra loro. Emerge un non rispetto dei limiti imposti, l’idea che c’è un limite per tutto è un tema sociale antecedente al Covid-19 e anche la mancanza del senso di divieto per la nuova generazione. Lo sbandamento giovanile, come spiega il sociologo Ferrarotti, è da attribuire alla classe genitoriale; la società moderna è nota per la sua carenza di tempo formativo pedagogico e il retaggio della cultura degli anni precedenti ha fatto credere che il “vietato è vietare” corrisponda alla creatività. Ogni giorno i bersagli cambiano: generazione superficiale, esecutivo distratto, professionisti poco attenti e amministratori eccessivamente morbidi nelle riaperture. Appare chiara la decisione consapevole di far funzionare la vita notturna, coscienti che il distanziamento sociale non poteva essere gestibile per tutti

i locali. Questo è un fatto. Esempio eclatante sono le discoteche. Le loro riaperture hanno creato polemiche e la loro chiusura altrettanto, così il dopo Ferragosto s’infiamma. Gli amanti della discoteca rimangono delusi, i gestori infuriati e i contagiati non mancano all’appello. Le sale da ballo rappresentano l’industria di divertimento più significativa sotto l’aspetto finanziario e ora delle polemiche di contagio; ogni anno genera, secondo una ricerca Fipe, un volume d’affari di 4 miliardi di euro, questo rappresenta il 20 per cento del volume d’affari dell’intera economia della notte. Luogo di massima aggregazione e socialità non ha aiutato i giovani a comprendere e rispettare le norme anti Covid-19. Un noto Dj arriva a dire che il distanziamento sociale è l’opposto di quello che significa stare insieme quando si va a ballare; la regola è semplice, goditi l’attimo. Il suo consiglio. La dimensione del problema non è stata sottovalutata solo dal mondo puerile, come diversa per molti è stata la percezione del rischio da marzo ad oggi. La comunicazione è stata in questo arco di tempo discrepante da più versanti. Alla fine di questa estate resta un universo della notte sotto accusa, una poca responsabilità di più concorrenti e una fetta di nuova generazione ancora una volta poco ragionevole. Le polemiche sono molte ed emerge un quadro del rischio calcolato. Le scelte prese hanno dato respiro all’economia del divertimento, salvo poi sostenere questa posizione nel gioco vischioso della politica e degli impegni presi: aprire un po’ e poi chiudere, ma i responsabili sono molti. Vedremo come evolverà la situazione, ma ciò che è certo è che l’epidemia non si è mai fermata.


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Solidarietà e volontariato di Nicola Maschio

Maurizio Menestrina e il Pesce Grazie È stata un’idea, un vero e proprio lampo di genio, di Maurizio Menestrina a dare vita al Pesce Grazie. Un’idea nata da un acquario, che nel tempo, si è trasformato in un’iniziativa profonda, stimolante ed internazionale.

M

aurizio Menestrina (detto “Mene”), operatore storico di Anffas, nel 2007 ha ideato il modo per trovare e ringraziare benefattori. «Tutto è cominciato quando un mio amico, durante un trasloco, stava per buttare via un acquario da 250 litri – spiega Maurizio. - Personalmente seguo il “principio delle tre R”: recupero, riciclo e riutilizzo. Lavorando nel settore della disabilità ho subito pensato all’acquario come un’attività dinamica, che potesse aiutare i nostri ragazzi i quali, purtroppo, sono disabili anche a livello molto grave. Insomma, il pesce dava l’idea di movimento, ma anche di benessere, di tranquillità, rilassava e permetteva ai ragazzi di distrarsi e osservare incuriositi gli animali. Era il 2007 quando l’acquario arrivò nel Centro Socio-Educativo di via Gramsci, a Trento». Tredici anni fa l’idea comincia a pren-

Cagnotto e Dallapè

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Maurizio Menestrina con il Pesce Grazie

A sinitra il primo pesce del 2007 e a destra l'ultimo del 2020

dere vita. Maurizio nota che il pesce, all’interno dell’acquario, sembra attirare l’attenzione dei ragazzi, così comincia a pensare ad un modo per farlo “uscire dall’acqua”. Recupera del materiale di riciclo, legno, compensato e simili, grazie all’aiuto di persone e aziende nei dintorni che, sostenendolo, gli danno una mano. In breve tempo, dopo una serie di tentativi insieme ai ragazzi, inizia a prendere forma il Pesce Grazie: una piccola sagoma gialla sulla quale viene riportata la scritta “grazie di cuore”, con un colore sgargiante che sembra essere quello in grado di restare

maggiormente impresso nei ricordi degli ospiti del Centro. Il Pesce quindi comincia ad uscire dalle mura, per così dire, “domestiche”: prima di tutto viene consegnato a coloro che avevano fornito il materiale per realizzarlo, dando la possibilità ai ragazzi di conoscere ambienti nuovi, persone diverse e di fare, in sostanza, esperienze di vita mai provate prima. «Inizialmente i pesciolini erano una ventina – prosegue Maurizio, - poi l’idea ha preso piede in modo sempre maggiore. Nei mesi successivi e negli anni, fino a raggiungere i 15mila Pesci Grazie con il nome di Anffas Trentino inciso sopra». Ma l’idea di Maurizio non si è fermata al solo Trentino: in breve tempo infatti, si è reso conto che un simbolo così piccolo poteva comunque coprire distanze enormi. Mene comincia quindi a “pescizzare” personaggi famosi, realizzando per loro delle caricature particolari


Solidarietà e volontariato (quadri dei quali l’operatore di Anffas è molto esperto) e donando il Pesce Grazie. Cominciano ad arrivare le prime fotografie di celebrità con il Pesce Grazie in mano, i primi selfie, addirittura foto di gruppo da scuole in Libano o in Afghanistan. Il pesciolino di Anffas, insomma, in poco più di un decennio tocca tutti i cinque continenti del mondo. «L’idea era quella di capire quante persone effettivamente si sarebbero ricordate di noi, dopo averle “pescizzate” – ha concluso Maurizio. - Il riscontro è stato molto positivo, ci sono state persone come le tuffatrici Cagnotto e Dallapè che ci hanno mandato una foto il giorno prima di una gara olimpica. Nessun’altra associazione in Italia è riuscita a portare un proprio simbolo in tutto il mondo come abbiamo fatto noi. Certo, inevitabilmente il Pesce Grazie è destinato ad essere sostituito o a

Trentino Volley

perdersi nel tempo, ma fino ad oggi abbiamo raccolto più di 30mila immagini provenienti da ogni angolo della Terra. Per poco non riuscivamo a mandarlo anche in Antartide, sarebbe stato incredibile! Al Centro di via Gramsci abbiamo una cartina su cui indichiamo tutti i punti in cui il Pesce Grazie è arrivato, e sono davvero tantissimi. Il messaggio del Pesce è molto legato alla disabilità: queste persone finiscono spesso ai margini della società ma, esattamente come il materiale utilizzato per realiz-

zare il simbolo, possono rivelarsi utili, avere uno scopo e un futuro». Tra i nomi più illustri “pescizzati” da Maurizio, troviamo Claudio Bisio, il presidente Sergio Mattarella, Bebe Vio, Alex Zanardi, Papa Francesco, Dario Fo, Gianni Morandi, il rapper Fedez, l’atleta Giordano Benedetti, Fabio Volo, Jovanotti, Checco Zalone, Fiorello, Enrico Mentana, Fiorella Mannoia, il comico di Zelig Giuseppe Giacobazzi e le squadre dell’Aquila Basket e della Trentino Volley.

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Musica e poesia di Laura Mansini

Flavio Conci: Poeta Nato fra la musica, approdato alla poesia, alla scultura degli alberi, affascinato dalla cultura degli indiani d’America, si racconta in questo suo breve, divertente, diario.

“M

i chiamo Conci Flavio, ho 70 anni. Mi sono avvicinato alla poesia circa 15 anni fa, per comodità. Mi era più facile leggere una poesia alla sera (prima di dormire) che iniziare un libro. La poesia con poche parole ti dona la profondità del pensiero di chi la scrive. Con pochi versi abbraccia l’universo, descrive la situazione del momento. Parla d’amore, delle stagioni, di politica . Ogni poeta ha una propria personalità; un modo originale di raccontare, di pensare. Io ho iniziato scrivendo semplicemente i miei pensieri, senza conoscere la metrica, di come una poesia per essere considerata tale deve rispondere a certi canoni. Qui il mio pensiero va agli Indiani d’America, i quali senza frequentare la scuola sono stati capaci di tramandare per generazioni i loro canti, il loro modo di vivere a contatto con la natura, rispettandola e ringraziandola per tutto quello che offriva. Questo per me è poesia; scrivere il tuo pensiero,

Il complessino Prosdocimus alla festa dello Sfojò di Bosentino, da sinistra Paola Giusti al violino, Flavio Conci alla fisamonica, Roberto Murari mandolino e Saverio Sartori chitarra

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fare in modo che suoni bene e che sia compreso da tutti” Personaggio molto interessante Flavio, schivo, portato al sorriso, all’ironia non ama parlare troppo di sé, ma ricorda la mamma, Anna Tais, che aveva insegnato agli 8 figli ad essere indipendenti, a saper fare di tutto. ” Mio padre era troppo preso dalla sua musica per occuparsi delle cose banali, di casa” dice scherzosamente “ tanto che io, da bambino, non sopportavo la musica ”. Il padre, Guido Conci, infatti per moltissimi anni fu l’organista della Parrocchia di San Sisto di Caldonazzo, inoltre dava lezioni private di musica. Flavio invece non amava la musica, ma la musica lo ha catturato, ha imparato a suonare la fisarmonica piuttosto bene anche se afferma “ Non sono tanto bravo di suonare, mi ritengo en strimpelador, e va bene così, sono felice quando la sera suono “il mio valzer per me”. Tuttavia la sua musica ha accompagnato con leggerezza ed allegria il Gruppo di Danze

Flavio Conci davanti alla sua scultura Totem

popolari “La Corte”, verso la fine degli anni 90. Nel 2003, pur mantenendo sempre l’ottimo rapporto con “ La Corte”, Flavio con Roberto Murari, allora bibliotecario di Caldonazzo pensò di formare il gruppo musicale “Prosdocimus”dedito alle musiche etniche internazionali di ballo popolare. Un ottimo ensamble, salutato dal paese con molto entusiasmo, infatti ha regalato deliziosi spettacoli alle estati “Panizzare”. Con Flavio alla fisarmonica, Roberto al Mandolino, Paola Giusti violino, Francesco Pavani chitarra, Saverio Sartori prima al basso, ma ora causa impegni di Pavani molto spesso all’estero, Sartori suona anche la chitarra. Il gruppo deve il proprio nome alla famiglia Conci detta i Prosdocimi dal nome di uno degli antenati di Flavio. Flavio è entrato nella poesia con il medesimo impegno che lo contraddistingue in quello che fa, leggendo moltissimo, frequentando i corsi di poesia tenuti da Renzo Francescotti . Ama scrivere, e fra i suoi versi mi ha particolarmente interessato la bella composizione dedicata a Luciano De Carli, uno dei poeti più amati della nostra Valle:


Musica e poesia

Festa associazioni di Caldonazzo. Flavio Conci alla fisarmonica, Saverio Sartori chitarra, Paola Giusti violino

El Poèta El vegniva a passar le ferie en montagna, postà ala finestra dela baita. el vardava ‘l bosco el zifolava, entanto noi voltaven ‘l fen. I m’ha dito che l’ha scrito en libro de

poesie, “el poèta” (Core la Brenta) Ma cossa gavaral da dir su la Brenta? L’è en fiume come tuti: l’acqua la core e quando el piove el se ‘grossa e quando gh’è la sùta el se spicolisse.

Còssa gaveral da dir sula Brenta? Passa ‘l tempo… No vago pù a voltar el fen en montagna e anca el Luciano nol zifola pù! Ma ho lèto i so libri de poesie e lezendoli ho capì perché el vardava ‘l bosco el zifolava: l’era ciapà, l’era stranì, el vedeva solo le rime che sfiorava le zime dei pezi, le parole encolade sule margherite del prà, e i punti e le virgole ‘ntel canto dei oseleti, E mi voltavo el fen… E no capivo… Ora si sta cimentando nella scultura su legno ispirandosi alle sculture indiane. La scultura può essere poesia, storia, tradizione, musica per gli occhi.

Come eravamo

Corso di ricamo 1925 a Strigno

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Società oggi di Waimer Perinelli

Aborto: anatema e civilta’ Sono passati 42 anni da quando il Parlamento ha approvato la legge 194 con la quale veniva legalizzato l’aborto volontario. Non è un successo per una società ammettere che l’ignoranza e la violenza possono portare alla soppressione di una possibile vita. Si usciva tuttavia, ma non si è ancora usciti, dalla violenza ancora più grave dell’ipocrisia, sulla decisione di tante possibili madri.

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ra l’inizio degli anni settanta quando nel civile trentino si scoprì che uno “stimato” ginecologo, contrario all’aborto, lo praticava nel suo studio a pagamento, compiendo due reati, uno contro la legge che proibiva l’intervento, l’altro contro la dignità delle donne. Donne che, non dimentichiamolo, sono sole davanti all’aborto ma non lo sono mai nel concepimento. L’aborto è sempre un evento drammatico, lacerante, fisicamente e psicologicamente. Quel medico fu giustamente condannato. Speravamo che l’ istruzione delle coppie e la lotta contro la violenza cancellasse l’aborto. Così non è stato. A mantenerlo sono maldestri rapporti sessuali, sentimenti confusi e stupri, e l’aborto esiste ancora, seppure i casi siano in calo. La legge 194 del 1978 lo legalizza e le interruzioni di gravidanza volontarie, pur diminuite , sono state nel 2018 ben 76.238 con un tasso di abortività sceso dal 6,2 al 6 per mille fra le donne di età compresa fra i 15 e i 49 anni. Oggi si torna a parlare in modo forte del problema perché all’intervento chirurgico si contrappone da tempo quello farmacologico con il Mifepristone già conosciuto come RU486. La contesa non verte sul farmaco bensì sulla ospedalizzazione o meno della donna. Le nuove linee guida, approvate dal Governo e dal Consiglio superiore della sanità, il 4 agosto scorso, in risposta all’interrogazione

della presidente della Regione Umbria, cancellano l’obbligo di ricovero e confermano l’uso della pillola fino al nono mese di gravidanza. In pratica l’aborto farmacologico può essere trattato in day hospital, dal mattino alla sera, come un normale intervento all’ernia inguinale. E cosa lo impedisce se il medico lo ritiene possibile? La sfida fra favorevoli e contrari anima la politica è c’è, fra coloro che condannano la rapidità dell’intervento, chi rilancia: “ mettiamo un limite al numero di aborti praticabili da una sola donna, dicono. Come se l’aborto fosse un gioco e non il fallimento della società e la sua ripetizione un divertimento e non la tragedia che dimostra solo l’incapacità di chi lo subisce di governare la propria vita culturale e sociale. La legge 194 tutela la donna obbligandola alla consapevolezza, ad essere istruita su ogni problema medico, alla conoscenza, le concede la gra-

tuità del trattamento se effettuato in strutture pubbliche o convenzionate, le garantisce la riservatezza. Tutela il nascituro che, se non desiderato, per qualche fortunato motivo, supera i 90 giorni dal concepimento, ha tutto il diritto di venire al mondo. Qualunque sia il mondo, anche quello come scrive Goethe, dove “meglio sarebbe se nulla al mondo venisse al mondo”. Tutela anche i medici con la libertà di coscienza. In Italia attualmente il 69 per cento dei ginecologi si è dichiarato obiettore e questo gli concede di non praticare alcun intervento abortivo. Il Molise occupa il primo posto nella classifica degli obiettori con il 90 per cento, mentre fra gli anestesisti obiettori la percentuale generale scende al 46,3 %. Tutti dottori praticanti di una propria libertà e che certamente condannano, con noi, quel medico trentino che come dice la Chiesa parlava bene e praticava male.

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ELEZIONI 20-21 SETTEMBRE 2020

SPAZIO ELETTORALE AUTOGESTITO

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MARCO NICOLĂ’ PERINELLI CANDIDATO SINDACO

Tenna per scelta Una scelta per Tenna

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COMMITTENTE RESPONSABILE: MARCO NICOLÒ PERINELLI Periodico gratuito d’informazione e cultura


In ricordo di una “Grande” di Katia Cont

Franca Valeri, signora della comicità italiana “Voglio proprio vedere cosa c’è dall’altra parte. Mi stanno aspettando i miei amici Luchino Visconti e Vittorio De Sica. Si staranno chiedendo: ma quando arriva questa?”

C

on queste parole Franca Valeri aveva parlato della morte proprio in una recente intervista concessa in occasione del suo centesimo compleanno, festeggiato lo scorso 31 luglio. Una morte che, appena pochi giorni dopo, se l’è però portata via per sempre. Riconosciuta come la signora della comicità italiana, Franca Valeri continuerà ad illuminare con la sua ironia e la sua intelligenza arguta il pubblico italiano, grazie ad una geniale comicità e ad una moderna osservazione della realtà rinchiuse in un’eredità artistica di enorme spessore, suggellata nel 2020 con il David di Donatello alla carriera. Donna di spessore, dotata di una creatività inesausta, Franca Valeri, pseudonimo di Franca Maria Norsa, nata a Milano il 31 luglio 1920 da famiglia ebraica, è stata una delle più grandi attrici italiane. Una donna dalle passioni forti e dalla vita ricca e straordinariamente viva come quella professionale. Figlia di un ebreo e di

una cristiana, vide la sua famiglia separarsi per sfuggire alle leggi razziali che portarono il padre e il fratello a fuggire in Svizzera, mentre lei si salvò solo grazie all’aiuto di un amico di famiglia che si prodigò per lei in quegli anni difficili e la nascose a Milano. La sua è stata una vita trascorsa nello spettacolo e nella cultura italiana, tra radio e cinema, teatro e televisione e persino l’opera lirica, di cui era grande appassionata fin da quando, bambina, vide Arturo Toscanini dirigere alla Scala. I suoi esordi teatrali risalgono al 1947 con il personaggio di “Lea Lebowitz”, un’ebrea innamorata del rabbino. A Franca Valeri si deve il merito di aver rivoluzionato la comicità e l’immagine femminile dal secondo dopoguerra con l’invenzione di personaggi simbolo come “La Signorina Snob”, “La Sora Cecioni”, e “Cesira la manicure”. Riassumere la sua opera sconfinata in un breve ritratto è un compito piuttosto arduo, ma vorrei ugualmente provare a sottolineare la vera e pura passione che legava Franca Valeri all’opera e alla musica in generale, un interesse antico e coltivato nel corso della sua vita e sconosciuto ai più: amica di Maria Callas, assidua frequentatrice delle stagioni

Scaligere e curatrice di molte Opere Liriche, la musica e l’opera finirono per costituire il suo nucleo familiare. Una passione che la portò alla separazione dal primo marito, il regista Vittorio Caprioli, dopo essersi perdutamente innamorata del direttore d’orchestra Maurizio Rinaldi. Fu sempre grazie alla musica che conobbe anche Stefania Bonfanelli, cantante lirica adottata dieci anni fa e conosciuta quando ne aveva solo diciassette, grazie al concorso musicale creato dalla stessa Franca assieme al marito Rinaldi. Una figlia che l’attrice amava definire come la sua “migliore amica”, e che le è stata accanto fino alla fine, soprattutto dopo la caduta che tre anni fa la costrinse sulla sedia rotelle e che ne limitò la sua “libertà”. «La vita per lei era scrittura, teatro, incontro con il pubblico e libertà di testa, di identità», così la descrive oggi l’amico, regista e autore Pino Strabioli durante un’intervista. Franca Valeri si è spenta il 9 agosto 2020 all’età di 100 anni, qui una delle sue riflessioni più belle ed emblematiche della sua personalità: «La giovinezza e la maturità sono età allo sbaraglio. La vecchiaia no, si può programmare. A parte la conclusione. Mi stupisco sempre nel vedere dei vecchi impreparati. Conosco la vita, l’ho vissuta, scritta, recitata. Le biografie non hanno particolare interesse, ci sono modi migliori per lasciare dei segni». E di segni, in effetti, Franca Valeri ne ha lasciati parecchi...

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Uomini e sport di Waimer Perinelli

Divin codino e piede d’oro Roberto Baggio 53 anni è un uomo dal piede e dal cuore d’oro. Così lo descrive nel libro “Divin codino” il giornalista Raffaele Nappi, e così lo ritrae la sceneggiatura di un film a lui dedicato. Un filmato interamente girato in Trentino.

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a in Veneto si chiedono: cosa centra Baggio con il Trentino? È nato in provincia di Vicenza, ha giocato in sette squadre di calcio, dal Vicenza alla Fiorentina, Juventus, Milan, Inter Bologna, Brescia, vive in Veneto e quando va in vacanza preferisce l’Argentina. Centra che la Trentino Film Commission, agenzia della Provincia di Trento, ha deciso di finanziare il film con soldi e logistica. Un manifesto comparso in questi ultimi mesi annuncia la campagna per la scelta di attori e comparse: “Cercasi persone con i seguenti requisiti: residenti in Trentino dal fisico atletico, privi di tatuaggi e di piercing...” È quel residenti in Trentino e l’annuncio che le riprese saranno girate interamente nella provincia di montagna, che ha fatto arrabbiare i veneti di Caldogno, comune con 11.250 abitanti, in aperta pianura, in provincia di Vicenza, dove Roberto è nato nel 1967. Qui è cresciuto sportivamente

Roberto Baggio - Lanerossi Vicenza

dicono in Veneto, ha dato i primi calci al pallone nel campetto dell’oratorio, è passato allo stadio Menti di Vicenza a 13 anni, acquistato dal Lanerossi, squadra di serie C1, a 13 anni, per 500 mila lire. Una carriera fulminante. Tra club, Nazionale maggiore e giovanile, Fifa world stars, Baggio ha giocato

Roberto Baggio e Stefano Borgonovo - AC Fiorentina (1988-89)

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706 partite segnando 323 reti. Nel 1990 ha trascinato la nazionale azzurra ai campionati mondiali e nel 1993 ha vinto il pallone d’oro. È una carriera importante ma simile a tante altre-Perché dunque dedicare un libro e un film a Robby? Perché scrive la produzione: Il film racconta la “Storia di un ragazzino prodigio, con 220 punti interni di sutura e un menisco perforato a 17 anni. La storia di chi davano tutti per spacciato, e si è ritrovato con un Pallone d’oro tra le mani.”Perché aggiunge la regista Letizia Lamartire, pugliese di 33 anni:“È la storia di un uomo umile con un talento smisurato, che con le sue giocate, ha cambiato il calcio italiano. (Nel film) Racconteremo anche il percorso di una persona che, attraverso le sofferenze personali, ha raggiunto grandi trionfi in campo”. Più laconico ma non meno significativo il commento della Trentino Film Commission : “Il film racconta la vita di Roberto Baggio, il calciatore più amato di sempre”.Ecco i molti motivi della

Roberto Baggio con la maglia del Milan


Uomini e sport

Roberto Baggio - Juventus - Pallone d'oro 1993

Roberto Baggio e Giacinto Facchetti - FC Inter 1998

SPAZIO ELETTORALE AUTOGESTITO

scelta.Nel racconto del giornalista, dello sceneggiatore, e della regista, Roberto Baggio, al piede d’oro unisce un cuore altrettanto dorato, con il quale ha saputo gestire la propria vita pubblica e privata. Oggi dopo una sofferta ma fortunata carriera calcistica, il campione è un uomo fortemente impegnato nel sociale grazie anche alla collaborazione attiva come ambasciatore della Fao (Organizzazione mondiale della Nazioni unite per l’agricoltura e l’alimentazione) ma e soprattutto, ha saputo ritrovare la quiete lontano dai riflettori degli stadi. Roberto vive la quotidianità in provincia di Vicenza, assieme alla moglie e i tre figli. Non fa vita mondana e si concede qualche viaggio da turista in particolare in Argentina, un paese dice che ama molto. La patria, forse non a caso, di un altro campione, Diego Maradona, al quale per classe, non ha nulla da invidiare. Ad interpre-

tare il campione è l’attore ventisettenne pescarese Andrea Arcangeli. Le riprese, assicurano, cominceranno presto. Covid permettendo.

Roberto Baggio - Bologna

Roberto Baggio - Bologna

ELEZIONI 20-21 SETTEMBRE 2020

SPAZIO ELETTORALE AUTOGESTITO

Committente Elettorale :Verdi del Trentino per la Lista Europa Verde Pergine

Fare la propria parte e farla bene, questo il senso di una presenza e di una candidatura. Io metto a disposizione la mia esperienza maturata nel campo istituzionale ed amministrativo, con l’unico interesse da perseguire quello pubblico e della comunità. Mi presento con una coalizione coesa, di persone affidabili e di grande competenza, per un progetto incentrato sulla persona, per la difesa dell’ambiente e del territorio, che guarda verso il futuro. Il nostro impegno è per una città più vivibile per tutti, una città in cui lavoro e ambiente, economia ed ecologia, sviluppo e qualità della vita, sappiano integrarsi e valorizzarsi reciprocamente. Governare e amministrare con intelligenza, cultura, onestà e coerenza e anche con il cuore. Non è uno slogan, ma un preciso impegno e la garanzia che da sempre ci contraddistingue e che continueremo a mantenere.

Giuseppe Facchini (Candidato Sindaco)

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Società oggi di Armando Munao’

Nuovi alloggi per anziani

a Borgo Valsugana e a Scurelle Un progetto, quello dei nuovi alloggi, appositamente pensato e disegnato per una vita autonoma e indipendente anche in età avanzata. “Un investimento totale di oltre 360mila euro che, come ha sottolineato il Presidente Mario Dalsasso, sono risorse proprie perché non abbiamo usufruito di alcun finanziamento pubblico”.

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l cambiamento demografico in atto, caratterizzato da un importante invecchiamento della popolazione, con conseguente aumento dei bisogni sociali, assistenziali e sanitari, aveva già determinato un segnale di allarme e richiamato alla necessità di immaginare e mettere in atto nuove forme di welfare territoriale. L’epidemia da Covid 19, ha amplificato questo fenomeno evidenziando le difficoltà operative delle grandi strutture e l’opportunità di offrire soluzioni, complementari alle classiche RSA, che sappiano privilegiare forme autonome e partecipative di vita in micro-comunità. Forse ancor più che nelle città, nelle valli emergono forme di fragilità di diversa natura, economica, sociale, sanitaria a cui la Casa di riposo, che da sempre rappresenta un riferimento assistenziale territoriale. A riprova dell’importanza dei territori e della capacità di questi essere propositivi e innovativi a difesa della propria comunità, l’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona di Borgo Valsugana ha abbracciato un percorso di rinnovamento delle proprie proposte di assistenza territoriale che partendo dall’esperienza ormai decennale della Casa Soggiorno Arcobaleno, ha portato a proporre una filiera di servizi appropriati e tarati per una fascia di popolazione, altrimenti sottovalutata, quale quella dei grandi anziani e della

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La casa di riposo di Borgo Valsugana

parziale autosufficienza. In questo disegno si inserisce la realizzazione di due unità abitative a Borgo Valsugana e l’avvio della ristrutturazione dell’ultimo piano del centro Toniolatti a Scurelle, messo a disposizione della APSP dal comune di Scurelle a titolo di comodato venticinquennale dove si realizzerà un modulo abitativo destinato ad ospitare un massimo di 8 residenti, attentamente pensato e disegnato per una vita autonoma e indipendente anche in età avanzata. Quello avviato, su stimolo del Presidente Mario Dalsasso, è un vero e proprio approccio innovativo di residenza assistita in cui alle logiche della condivisione dell’abitare (co-housing), si associa una progettazione attenta alle esigenze delle persone fragili e la dotazione di tecnologie

di assistenza che consentano soluzioni di vita autonoma, in sicurezza e indipendenza anche a persone con forme di handicap o specifici bisogni sanitari e assistenziali. Il tutto per superare le forme assistenziali più canoniche proponendo ai nuovi ospiti forme attive di partecipazione alla conduzione della casa, ma in un contesto protetto che si avvale delle tecnologie più avanzate di controllo remoto e teleassistenza. Il coordinamento operativo di questo progetto è stato affidato alla Direttrice Anna Gloria Corradini che si è avvalsa della collaborazione del gruppo di lavoro AUSILIA, un consorzio di Ricerca tra APSS e Università di Trento per lo sviluppo di nuove forme abitative per la vita autonoma e indipendente anche in condizioni di fragilità. Il progetto AUSILIA, grazie alle varie


Società oggi Amministrazione della APSP S. Lorenzo e S. Maria della Misericordia. “Un progetto appositamente pensato per rinnovare e dare maggiore dinamicità alle RSA, (le attuali case di riposo) che, nelle classiche forme, ha sottolineato, non sembrano essere in grado di dare una migliore e opportuna risposta alle crescenti esigenze degli anziani”. Un momento della presentazione

competenze ingegneristiche, propone nuovi concetti di progettazione edilizia che, integrando tecnologie avanzate e una attenta analisi dei bisogni degli individui, è in grado di realizzare “ambienti non ostili”, come ha sottolineato il prof. Antonio Frattari, uno degli ispiratori del progetto. E per identificare gli specifici bisogni a cui la residenza dovrà dare risposte e soluzioni abitative e tecnologiche, è stato costituito un gruppo di lavoro

composito con gli esperti di Ausilia, i referenti della APSP, la responsabile della Casa soggiorno Arcobaleno Mirta Bonecher, la consulenza tecnica dell’ Ing. Barbara Bauer, l’Arch. Tellone e il coordinamento del Prof. Giandomenico Nollo. Mario Dalsasso, nel suo intervento conclusivo, ha voluto ribadire che questa è una scommessa veramente importante, che ha visto convintamente coinvolto tutto il Consiglio di

Il Dr. Mario Dalsasso

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Fidati di

noi


Attualità di Nicola Maschio

Orsi e cittadini trentini.

Una convivenza difficile, ma non impossibile Certo, nel tempo i consigli e le buone pratiche da adottare, nel momento in cui ci si trovi faccia a faccia con un esemplare, hanno permesso a escursionisti e amanti della natura di continuare a svolgere le loro attività in sicurezza. Tuttavia, il grido d’allarme è giunto soprattutto dagli allevatori che, tra orsi e lupi, non dormono sicuramente sonni tranquilli pensando ai rischi che quotidianamente corrono i loro animali. Se dovessimo parlare di orsi “famosi”, i nomi principali sono due: M49 e JJ4.

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49, soprannominato Papillon dopo la sua prima fuga dal Parco del Casteller, ha già dato prova più volte della propria abilità evasiva. La sua storia infatti è alquanto particolare: comincia lo scorso luglio 2019, con l’ordinanza del presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, che ne prevede la cattura; operazione che va a buon fine il 14 luglio, quando M49 viene catturato con una trappola a tubo ma, incredibilmente, in poco meno di un’ora fugge dal recinto elettrificato del Centro faunistico Casteller (scavalcando un muro di 4 metri!). La fuga prosegue senza sosta nel mese successivo, quando M49 entra anche in contatto con alcuni turisti, rendendo necessario l’intervento del Corpo Forestale. Passano i mesi e l’orso non si trova: o meglio, i movimenti vengono seguiti eppure, con il passare del tempo, risulta sempre più difficile catturarlo una seconda volta. Il vero problema, evidenziano le Autorità, è che l’esemplare in questione non è di quelli pacifici e tranquilli, ma tende ad essere un vero e proprio predatore creando non pochi allarmismi agli allevatori delle diverse zone in cui ne viene segnalata la presenza. Tuttavia, dopo una fuga di circa nove mesi, Papillon viene catturato nuovamente il 30 aprile 2020, ancora una volta grazie ad una

trappola a tubo. Passano i giorni e le settimane, ma sembra che finalmente M49 abbia deciso di adattarsi al Parco del Casteller, subendo tra l’altro una castrazione chimica al fine di evitare avvicinamenti all’orsa DJ4, sua “compagna di stanza”. Ma poi, il 27 luglio, un altro colpo di scena: M49, dopo aver scavalcato nuovamente le recinzioni elettrificate, riesce a rompere la rete in ferro e a scappare verso la libertà (questa volta però munito di radiocollare). Ancora uno colpo di scena il 22 agosto: M49 si libera anche del collare e le sue ricerche proseguono solo su avvistamenti. Le giornate successive sono molto frenetiche, con gli uomini della Forestale impegnati nel tracciare i movimenti dell’orso che, per qualche giorno, si stanzia nei pressi della Marzola. Nel frattempo si rincorrono ancora oggi le teorie sul fatto che qualcuno possa aver agevolato la fuga del plantigrado, oppure che effettivamente la voglia di libertà abbia prevalso una seconda volta. La storia di JJ4 è un po’ diversa, seppure altrettanto ricca di aneddoti: comincia tutto lo scorso 22 giugno, quando l’esemplare (forse per difendere i

propri cuccioli) aggredisce un padre e suo figlio nei boschi di Trento. In un primo momento l’ordine è quello di abbatterla, ma successivamente il Tar di Trento, impugnata l’ordinanza del Presidente Fugatti che ne prevedeva appunto la soppressione, impone un dietrofront. Infine, nella giornata del 30 luglio, la stessa JJ4 viene catturata e rilasciata dal Corpo Forestale dopo un rapido controllo. Insomma, la convivenza tra orsi e cittadini nel nostro territorio è possibile? Probabilmente sì, ma con le dovute accortezze. Il rispetto di poche e semplici regole, come ad esempio seguire i percorsi tracciati in montagna, possono permetterci di vivere serenamente una passeggiata nella natura. Ricordandoci sempre però che, addentrandoci in questa stessa natura, diamo inizio ad una convivenza con coloro i quali la abitano da sempre.

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A parere mio

di Katia Cont

Abbiamo imparato…

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urante una camminata estiva in città, non ho potuto fare a meno di notare come i normali comportamenti delle persone che incontri passeggiando fossero improvvisamente cambiati, modificati da una situazione sanitaria complessa, confusa e instabile. Gli atteggiamenti delle persone sono ora diversi, è innegabile, a volte addirittura contrastanti: chi ha sempre la mascherina, chi la mette solo se costretto, chi invece la mascherina si trova a doverla sempre cercare in fondo ad una borsa colma di oggetti. Quando però, ad un certo punto, mi sono soffermata davanti al parco giochi ed ho visto i sorrisi dei bambini nascosti da una mascherina, ho capito che ormai qualcosa non sarebbe stato più lo stesso. La felicità traspariva dai loro occhi rimasti scoperti, ma la diffidenza e la mancanza di un contatto fisico tra di loro, erano altrettanto evidenti. Sono aspetti difficili da dimenticare, e che purtroppo segneranno il nostro futuro modo di approcciarci al tutto. Ho capito che ognuno ha interpretato questa situazione a modo suo, filtrando paure e timori dal proprio vissuto. Non ci siamo mai sentiti così soli. “Abbandonati” a noi stessi, abbiamo dovuto scavare dentro di noi per capire di chi e di cosa fidarci. Abbiamo ascoltato tutti e abbiamo dovuto

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decidere da soli, nostro malgrado, chi ci diceva il vero e chi il falso. Abbiamo dovuto prendere coscienza con i mezzi che avevamo e le conoscenze diverse che ognuno di noi possedeva. Abbiamo sperato passasse, ne aravamo certi tanto da chiedere ai nostri figli di imprimere questa certezza su fogli e lenzuola appese ai balconi. Abbiamo sperato si tornasse a vivere come prima, ma non è bastato. Le abitudini sono inevitabilmente cambiate: ora si aspetta il proprio turno per varcare la soglia di un negozio, andiamo al cinema e a teatro con mascherine e gel igienizzante, abbiamo chiamato amici lontani che non sentivamo da anni perché ci siamo sentiti tutti parte dello stesso problema. Lavoriamo lontano dai nostri colleghi, perdendo così il rapporto umano e il confronto. Incontriamo persone che lavorano ogni giorno otto ore rinchiusi in una stanza di plexiglass, coperti da una mascherina. Abbiamo imparato nuove abitudini, nuovi ritmi, li abbiamo accettati senza compromessi, senza grandi periodi di transizione. Sì, è vero, ci sono stati imposti, ma li abbiamo accettati di buon grado, nella disperazione dell’incertezza, nella paura dell’ignoto, della morte, della malattia. Ogni giorno che passava la paura si concretizzava maggiormente vicino a noi, tra parenti amici e conoscenti. Abbiamo visto amici perdere la famiglia

e altri scherzarci sopra, ci siamo trovati nel mezzo, nel vortice. Abbiamo imparato a salutarci da lontano e abbiamo capito l’importanza di quella stretta di mano che spesso ci diceva con chi avevamo a che fare. Le videochiamate sono diventate il nostro quotidiano, mentre prima non le usavamo anche per comodità. Abbiamo perso il significato dei silenzi, delle pause di riflessione in una discussione. Nel paradosso del lockdown siamo diventati più trasparenti, senza segreti. Abbiamo aperto virtualmente le nostre case agli amici, ai colleghi di lavoro, ci siamo inventati passatempi che non avremmo potuto non condividere. Ora siamo ancora soli, accompagnati da un’informazione imbizzarrita e galoppante verso l’ignoto, priva di ogni fiducia e scricchiolante di reale competenza. Abbiamo avuto il via libera! Ognuno con le rispettive idee e visioni. È valso tutto a quanto pare, tranne il buonsenso, il senso civico, il rispetto di chi non c’è più. Ora ne paghiamo le conseguenze. Le scuole, le aziende, la struttura di questo paese galleggia in attesa di un cenno di speranza che ancora non si è capito da dove potrà arrivare. Viviamo nel caos della conoscenza e della razionalità, siamo soli, mai come ora.


Riflessioni quotidiane di Annamaria D’Onghia

Il distanziamento dei mondi: la fortuna di nascere in Occidente Come Occidente e terzo mondo reagiscono all’emergenza Covid 19 in corso: il divario tra la sanità dei paesi ricchi e di quelli poveri.

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ei confronti della pandemia, la sanità occidentale o dei paesi ricchi utilizza un approccio orientato alla prevenzione. Si cerca di limitare al massimo la diffusione del virus attraverso il distanziamento sociale, il lavaggio delle mani assieme all’utilizzo di mascherine e guanti, la sanificazione dell’ambiente e con test per la diagnosi precoce, in modo da isolare i pazienti. L’Occidente mira a vaccinare tutta la popolazione, ma ci saranno le risorse

per farlo anche con i paesi più poveri? Nei paesi a bassissimo reddito e con condizioni economiche, sociali e politiche particolarmente gravi, il distanziamento sociale è considerato un lusso. Infatti, migliaia di persone vivono in baraccopoli talmente ammassate che la protezione dal droplet dei vicini di baracca è impraticabile. In questi paesi manca anche l’assistenza sanitaria più elementare e addirittura risorse come acqua incontaminata o cibo ben conservato non

sono da dare per scontate. I loro abitanti non hanno quindi altro da fare che sottomettersi al virus. Purtroppo, anche di fronte ad un’emergenza umanitaria come la pandemia da Covid 19, nascere in Occidente rispetto che in un paese sottosviluppato vuol dire avere la possibilità di curarsi o meno. A questo spesso non pensiamo, ma non possiamo far sì che la distribuzione così iniqua delle risorse passi inosservata anche oggi.

L’ARCO E IL CANCRO In Spagna si sta sviluppando una nuova terapia dedicata alle donne operate di tumore al seno: il tiro con l’arco. Alle donne con un tumore al seno in stadio avanzato vengono spesso rimossi i linfonodi ascellari perché c’è il rischio che le cellule tumorali, attraverso i vasi linfatici, arrivino fin lì, con possibili metastasi in altri organi. La linfa, che dovrebbe essere filtrata dai linfonodi, tende così ad accumularsi nei tessuti del braccio, provocando un gonfiore invalidante e dolore. Per trovare sollievo, queste donne sono quindi costrette ad utilizzare una fascia elastica che favorisce il drenaggio dei liquidi. Due medici spagnoli amanti del tiro con l’arco hanno pensato di utilizzare questo sport per sollevare l’umore nelle loro pazienti oncologiche. Con grande sorpresa, le pazienti che avevano subito mastectomia con l’asportazione dei linfonodi hanno riscontrato non solo un beneficio psicologico, ma anche una notevole riduzione dell’edema (gonfiore) e dei sintomi associati. La reazione è dovuta alle vibrazioni prodotte dallo scoccare della freccia, che fungono da massaggio drenante. La cosa interessante è che proprio questo effetto collaterale che si verifica a seguito del rilascio della corda è nemico dei tiratori di alto livello, che cercano di eliminarlo il più possibile. In Spagna, i risultati sono così incoraggianti che l’Associazione spagnola contro il cancro (AECC) ha incentivato i centri sportivi di tiro con l’arco a promuovere questo sport alle donne con una storia di tumore al seno. Annamaria D’Onghia

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A parere mio di Francesco Zadra

PRIMA L’ITALIANO? «Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani» affermava il conte di Cavour fin dai primi istanti di vita dell’impresa dei Mille. Non c’è dubbio, infatti, che la lingua faccia parte dell’identità di un popolo e sia un forte collante di unità nazionale. Lo sapeva bene anche Hitler con la sua utopia della “grande Germania” che nel corso del Novecento insanguinò l’Europa per tentare di cucire in un’unica “Heimat” le popolazioni teutoniche e dominare tutte le altre. Ma del potere unificatore della lingua comune era convinto, con ben altri scopi, anche Alberto Manzi, il celebre maestro che nei primi anni 60 impartiva lezioni via etere nel programma Rai “Non è mai troppo tardi”.

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on era sicuramente troppo tardi per le milioni di persone che in età avanzata tentavano, grazie a questa DAD ante litteram, di imparare quella che da poco più un secolo si fregiava del titolo di lingua nazionale. Oggi ci troviamo davanti a un vero e proprio analfabetismo di ritorno, soprattutto tra le giovani generazioni (anche i cinquantenni in rete non scherzano) che tra un “se io avrei” e un anglicismo all’ultimo grido, causano infarti quotidiani a centinaia di insegnanti di lettere, categoria ormai sottoposta all’egida del WWF come specie a rischio. Resisterà dunque la lingua di Dante e di Manzoni all’assalto della modernità e all’invasione dei vocaboli “british style”? Sapremo mantenere la nostra identità o siamo condannati a essere travolti dalla globalizzazione fino a diventare una colonia al servizio di Sua Maestà? Tutti gli opinionisti del Belpaese sono concordi, chi con entusiasmo e chi con ostracismo, sul fatto che stiamo subendo una vera e propria invasione di vocaboli ed espressioni anglofone nel nostro parlato quotidiano. C’è chi è preso dai propri “meeting” lavorativi e chi, al contrario, passa le giornate nel “relax” più totale. Senza nemmeno accorgercene stiamo subendo delle

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Dante Elighieri


A parere mio

Alberto Manzi

trasfusioni lessicali che rischiano di far cadere in disuso, pardon “far diventare out”, espressioni secolari della nostra lingua. Ma qual è la soluzione? Dobbiamo accogliere nelle nostre conversazioni qualsivoglia parola straniera per sentirci “cittadini del mondo”? O ci dobbiamo trincerare dietro a pile di “Zingarelli” al grido di “prima l’Italiano”? L’invasione d’oltremanica non è l’unica minaccia cui è esposto il nostro idioma: oggigiorno ci si “tagga” nelle foto di gruppo, si dispensano “like” a destra e manca e i manager dei più importanti tour operator si confrontano sul livello di “instagrammabilità” di una destinazione turistica. Insomma: sembra che l’italiano non sia immune nemmeno a quella che Manfred Spitzer, nel suo famoso saggio, definisce senza mezzi termini “demenza digitale”. Si parla sempre più spesso di “Italia” ma sarebbe più corretto parlare di “Italie” in quanto nella nostra penisola, forgiata nel corso dei secoli da contrade, rioni, città-stato, campanili e repubbliche marinare, esiste una piccola Italia a sè stante in ciascuna provincia. È quindi naturale che siano nati centinaia di dialetti, proverbi e accenti che hanno dato poi frutto

a quella che viene considerata la più musicale e ricca delle lingue. Basta infatti valicare l’antica frontiera austro-ungarica che il trentinissimo “bolognino” assume un’aura mistica e viene canonizzato in “sanpietrino”. Non c’è poi da stupirsi dell’alto grado d’ignoranza diffusa tra i nostri connazionali quando abbiamo più di cinquanta diverse espressioni per dire che abbiamo “bigiato” o “marinato” la scuola. Coincidenze? Io non credo. Il dialetto dovrebbe essere considerato una ricchezza poichè senza di esso non avremmo l’Italiano. Eppure frotte di pedagoghi e blogger improvvisati insistono nel ritenerlo una minaccia per il corretto apprendimento della lingua in tenera età, se non addirittura uno stigma di ignoranza e provincialismo. Mi permetto di dissentire! Per quanto poco o nulla possa valere, a fini statistici, la mia esperienza personale vuole che abbia appreso i rudimenti della lingua tricolore solo dopo i quattro anni di vita, grazie a una “full immersion” (a proposito di inglesizzazione...) dovuta alla scuola materna. Prima di allora il dialetto era il mio pane quotidiano e non mi pare che ciò mi abbia svantaggiato a livello linguistico. Anzi, la realtà dei fatti ci mostra come l’apprendimento

del dialetto possa contribuire alla creazione di sinapsi nei bambini, nonché sia un potente strumento di integrazione nelle nostre comunità. Come dimenticare il video, divenuto virale, dell’ambulante magrebino che, sotto gli sguardi attoniti e divertiti dei passanti, declamava panegirici in lingua trevigiana circa la qualità della sua merce? Per cui, a mio parere, gli illustri filologi da tastiera, laureati all’università della vita, possono benissimo, per usare un’espressione tanto cara alla gente trentina, “nar a farse onzer”. Insomma, che ci piaccia o no, la “lingua pura” non esiste e le influenze straniere ci sono sempre state: pensiamo alle nonne valsuganotte che ordinano un “plateau” di mele al mercato o ai contadini mocheni che “müss per forza” ogni mattina si alzano per arare i campi. Per questo trovo ridicolo vagliare col setaccio ogni espressione che non abbia il “pedigree”. Sono sicuro che, se sapremo valorizzare la nostra cultura e tenerci stretti i nostri “fatidici vati”, potremo assumere vocaboli d’oltre confine a piccole dosi senza che questi avvelenino le nostre conversazioni (Mitridate docet) e soprattutto senza che ci sia bisogno di andare con gli amici a una “dinner” o, peggio, a vedere un “filmo”.

Alessandro Manzoni

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Barco di Levico di Mario Pacher

Viaggio in Moravia

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razie ad una lettera ancora ben conservata datata 25 aprile 1918, scritta alla moglie Teresa da Giovanni Deipradi di Barco di Levico, militarizzato vicino a Vienna, è stato possibile a Romano Negriolli, uno dei 52 partecipanti alla trasferta di qualche anno fa in Moravia nei luoghi dove i nostri nonni trovarono accoglienza come profughi nei duri anni del primo conflitto mondiale, scoprire nella città di Vsetìn, la casa, la scuola e i campi dove avevano vissuto l’esilio la nonna, la mamma e i suoi zii. Con lui, interessati nella ricerca, c’erano anche gli amici Giuliano Erla e Francesca Mosele di Quaere di Levico che, assieme, hanno trovato con grande sorpresa al civico 147 della via Horni Jasentra, la casa nella quale Teresa, nonna di Romano, aveva vissuto per tutto il periodo dell’esilio con sua figlia Maria (mamma di Romano) e gli altri otto fratellini e sorelline. E questo viaggio ha fatto venire alla mente di Romano anche un altro emozionante fatto, la storia di un vecchio fornello a legna che permise ai suoi avi di sopravvivere e tornare a casa. Ecco quanto ci racconta. “Era un inverno molto freddo quello del 1918/19, che vedeva centinaia di Valsuganotti raggruppati lungo i binari della ferrovia nei vari paesi della Moravia, in attesa di salire sui treni destinati a trasportarli a casa, dopo quasi quattro anni di lontananza. Erano stati trasportati in Moravia, una regione della Cechia (già Cecoslovacchia) allo scoppio delle ostilità belliche tra Italia ed Impero austro-ungarico, su ordine del governo imperiale, perchè la vicinanza alla linea del fronte e dei reciproci colpi di artiglieria tra i due eserciti, metteva a rischio

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le loro vite. Tra le famiglie valsuganotgenerosità ed umanità di quell’ufte in trepidante attesa del treno del ficiale ed alla Divina Provvidenza, ritorno in patria, alla stazione della come diceva sempre nonna Teresa. cittadina di Vsetìn, c’era anche quella Ebbero modo di portare a casa anche di Teresa Deipradi di Barco con i suoi quella provvidenziale stufa che finì in nove figli, tutti infreddoliti e con soffitta a Barco di Levico e lì rimase l’animo pieno di paura per il lungo per lunghi decenni fino a quando il viaggio che li aspettava. “Che ne sarà nipote Romano Negriolli, quasi un della nostra casa a Barco, pensavano, secolo dopo, la trovò e con tanta ci sarà ancora o sarà stata distrutta cura la ripulì dalle antiche ceneri e dai bombardamenti?” Ad un certo dei legnetti bruciacchiati che ancora punto, un ufficiale austro-ungarico conteneva. Con ogni probabilità, affiancato da due soldati, si avvicinò conclude Romano, senza quella stufa a quella numerosa nidiata di bimbi su quel treno che ha permesso la e chiese a Teresa se avesse qualcosopravvivenza dei miei avi, né io né sa per scaldarsi quando sarebbero i miei fratelli saremmo potuti venire stati nel vagone-merci gelido, in un al mondo. Anche a questo pensavo viaggio che sarebbe durato diverse durante quel viaggio dei ricordi nella settimane. La risposta fu negativa. città di Vsetìn”. Allora l’ufficiale ordinò ai soldati di cercare e requisire una stufa e di sistemarla, completa di tubo, nel vagone del treno. E così fu fatto, con l’aggiunta anche di un po’ di legna e di qualche fiammifero per accendere il fuoco e un tubo che portava fuori il fumo attraverso un buco in una delle pareti. Quel caldo tiepido fece sì che nessun figlio di Teresa si ammalasse di polmonite per il grande freddo a differenza di tanti altri passeggeri, bambini e vecchi, che si ammalarono e morirono. Anche se affamati, tutti dieci tornarono a casa sani e salvi e poterono riprendere la loro nuova vita a fianco anche del papà, pure lui tornato dalla guerra, sia pur malato a causa dei gas tossici respirati al fronte. La vita aveva comunque Il provvidenziale fornello trionfato sulla desolazione e e Romano Negriolli sulla morte, anche grazie alla


Aeromodellismo in Valsugana di Franco Zadra

A Levico Terme... si vola

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l campo di volo del Gruppo Aeromodellistico Valsugana di Quaere ha ripreso le sue attività già da metà giugno, «nel rispetto delle norme anti Covid», come tengono a precisare gli organizzatori, che avevano messo in discussione il programmato raduno annuale, dedicato alle riproduzioni, trovando subito la generosa disponibilità dei numerosi collaboratori. Così quella che è l’abituale sede della Scuola di Avviamento al Volo Radiocomandato del presidente Umberto Marchesoni, ha ospitato l’evento più atteso dagli appassionati che si sono volentieri sottoposti a un controllo della temperatura all’entrata al campo volo, sul quale erano predisposti vari punti con l’apposito disinfettante per le mani e per attrezzatura fissa sul campo, dovendo tenere all’esterno del campo il numeroso pubblico convenuto, che ha comunque potuto godere dello spettacolo aereo. Già dalle prime ore della mattinata erano presenti una trentina di piloti accompagnati dai presidenti dei Gruppi provenienti da Friuli, Veneto, e da tutta la regione Trentino Alto Adige, con anche un pilota olandese e due dall’Austria, ospiti nei vicini

Foto di Giuseppe Brida

campeggi. «Siamo stati omaggiati – ha detto Marchesoni - da una giornata stupenda, anche quest’anno in corrispondenza con la festa del Santo Foto di Giuseppe Brida Patrono di Levico, da un’organizzazione impeccabile nel rispettare le norme anti Covid e quelle di volo, indicate nel briefing prima di aprire le “danze” delle acrobazie». Le varie categorie rappresentaFoto di Giuseppe Brida te, inerenti le riproduzioni, sono state, alianti a traino, moto alianti, aerei sportivi, acrobatici, aerei da guerra, ed elicotteri. Presenti anche tre giovanissimi piloti, due veneti (11 e 12 anni) e uno trentino (14), il socio allievo Federico Bortolotti di Pinè, con voli acrobatici di alta qualità. Dopo il pranzo, il presidente ha rivolto ai presenti un caloroso saluto procedendo alla

consegna delle coppe ai tre piloti vincitori, per la fedeltà nella riproduzione del modello, per la sicurezza e la padronanza in volo, a per il comportamento, la sportività e altruismo dimostrati. Ringraziamenti dovuti poi ai molti che hanno lavorato per l’organizzazione, la preparazione del campo e le attrezzature, e a chi si è speso per la preparazione del pranzo offerto dal Gavs. Ha concluso la manifestazione il volo di Lino Dalmaso, presente con uno SVA, fedelissima riproduzione della prima guerra, con la sua ormai mitica “Strega pirotecnica”.

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Conosciamo il nostro passato di Massimo Dalledonne

Dalla Valsugana a Kennelbach Storie di dolore e riscatto Ermete Berlanda, originario da Strigno. Josef Purin da Spera. Johann Wariska (Varsica) e Andrea Debortoli, originari da Telve. Sono i primi operai che, con le loro famiglie, nell’autunno del 1873, partendo dalla Valsugana, raggiunsero la cittadina austriaca di Kennelbach, nel Voralberg, per lavorare in fabbrica. Fino al 1900 furono ben 701 i cognomi trentini registrati presso l’anagrafe comunale: 414 erano uomini, il resto donne in cerca di occupazione. Un legame, quello tra la cittadina del Voralberg e la Bassa Valsugana, che, negli anni, si è via via intensificato fino al gemellaggio, da tempo in essere, con il comune di Scurelle.

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na storia raccontata anche nel libro di Egon Sinz “Kennelbach 1871-1900 – L’immigrazione”. Dalla Valsugana si partiva in cerca di occupazione. Soprattutto in fabbrica ma anche nelle cave o come minatori e muratori. Partiamo dai dati. In meno di 30 anni ci furono 273 immigrati della Bassa Valsugana che andarono a vivere a Kennelbach: altri 209 dal Primiero e Vanoi e 50 dall’Alta Valsugana. Tante famiglie emigravano dal Trentino nel Voralberg per ricostruirsi una vita. Dalla Bassa Valsugana ben 74 persone arrivarono da Strigno, 73 da Borgo Valsugana, 25 da Spera, 22 da Bieno, 20 da Samone, 16 da Telve. Diversi altri anche da Casteluovo, Olle, Ospedaletto e Scurelle. Da quest’ultimo comune, gemellato con Kennelbach, tra il 1871 al 1900, arrivarono nel paesino del Voralberg due donne (Angela Micheli e Magdalena Fieta) ed un uomo (Angelo Fieta, marito di Magdalena). Come si legge nel libro, “Da Borgo, il centro principale della Bassa Valsugana arrivarono a Kennelbach i Polla, Maccani, Santifoler, Lorenzi, Dalvai ma anche i Tomio, Casagrande e Campestrini. Da Olle emigrarono Carlo Tomio, da Roncegno la famiglia Dollere, da Samone i Battisti, Lenzi e Mengarda. Telve era il comune di origine di Simone Moser, Domenico Campestrin e Andrea Debortoli. Da Spera provenivano i vari Purin e Ropelato mentre a Strigno risiedevano, prima di partire per il Voralberg, le famiglie Berlanda, Voltolini, Tomaselli, Jobstreibizer oltre a Zenone e Leone Busarello e Adone Bernardon”. In 19 famiglie arrivarono a Kennelbach anche da Castello Tesino. Tra loro Pietro Stefani, Maria Stefani ma anche Celestino Adamo, Michele e Luigi. Tutti con lo stesso cognome: Stefani. Non solo nomi e cognomi originari della Bassa

Copertina del libro di Egon Sinz

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Conosciamo il nostro passato

La fabbrica di sopra di Kennelbach

Valsugana. Presso gli uffici comunali di Kennelbach vennero registrati anche 17 immigrati da Caldonazzo, 13 da Vigolo Vattaro (Tamanini e Dallabrida) oltre ai Rosanelli originari da Tenna. Nel 1871 il cotonificio di Kennelbach viene messo all’asta ed i nuovi proprietari cercano manodopera. Complice la diffusione della malattia dei bachi, in quegli anni l’industria serica trentina e valsuganotta andò in crisi e per sfuggire alla miseria, per tante famiglie non restò che fare una scelta tra due soluzioni obbligate: andare in America o trasferirsi in altre regioni della monarchia. Non bastò la crisi. Agli inizi del 1880 forti inondazioni distrussero le coltivazioni anche in Valsugana. Il Voralberg divenne così la terra della speranza. Non solo Kennelbach ma anche Bludenz e Bregenz dove molti arrivarono con gli ultimi risparmi. Tante storie di gente alla ricerca di lavoro e di alloggi dove soggiornare e vivere. Locande in cui abitare quando le fabbriche non avevano alloggi a suf-

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ficienza per i loro operai. In fabbrica si lavorava fino a 12 ore al giorno, poche ore a disposizione per il tempo libero con le associazioni che diventavano i luoghi di incontro. Bande musicali, cori e complessi ma anche piccole compa-

La sala lavaggio in filanda a Kennelbach

gnie teatrali per allietare le domeniche pomeriggio dei loro connazionali. Si passavano le ore libere anche nelle osterie e nelle locande e le spese venivano fatte nelle cooperative di consumo. Tra il 1871 ed il 1900 a Ken-


Conosciamo il nostro passato nelbach ci furono 271 cognomi trentini. Ne rimasero 124 all’inizio del secolo. Di questi solo 11 compaiono ancora nella cittadina: Busarello, Cecco, Lohs, Micheli, Oberosler, Orsingher, Purin, Stefani, Steffani, Tomaselli e Tomasini. Nel libro di Egon Sinz trovano posto tantissimi nomi e cognomi, di tutti coloro che, per circa tre decenni, ed anche oltre, lavorarono e vissero a Kennelbach. Si parla anche di matrimoni, nascite e morti. Con due storie davvero particolari. Altrettanti destini vissute da due ragazze della Valsugana. Teresina Romagna era originaria di Scurelle. Il 1 settembre del 1902 arriva in paese con la sorella di 14 anni, Anna. Trovano sistemazione nella casa di Angelo Purin, originario di Spera. Vi rimase per due anni per tornarvi, però, nel 1906. Un mese dopo è raggiunta da Joseph Romagna, il papa che morirà a Kennelbach nel 1918 all’età di 64 anni. Con la sorella Maria Assunta lavora in fabbrica, assieme al papà. Tutti e tre, però, morirono di tubercolosi polmonare, a causa del lavoro malsano che c’era in fabbrica: di inverno, nelle sale di filature, faceva freddo, d’estate l’aria era soffocante e odorava di sudore, cotone e olio. Maria Assunta

Donne emigrate a Kennelbach

muore 22enne il 23 gennaio del 1917, la sorella Teresina il 20 novembre dell’anno successivo all’eta di 32 anni. La storia di Augusta Mengarda di Samone è quella di un tragico destino. Muore nel 1909 dopo che, una volta arrivata in paese, si era innamorata di quello che sembrava un brav’uomo. Diceva di chiamarsi Nicola Vittoria, originario del Veneto, all’epoca vice-presidente dell’Associazione Cristiana

Operai in filanda a Kennelbach

italiana di Wolfurt e Kennelbach. Augusta era una ragazza parsimoniosa e, quando Nicola finse di aver comprato una casa nel suo paese natio, dove andare a vivere insieme, Augusta non esitò a dargli le 800 corone. Erano i risparmi, tutto ciò che aveva messo da parte dopo 20 anni di duro lavoro in fabbrica. Ma, come scrive Sinz nel suo libro, i soldi ancora non bastavano. Si rivolse anche a Pietro Stefani, presidente dell’Associazione Cattolica di Wolfurt, per finire di costruire il suo nido d’amore a Vigolo Vattaro. Ma, una volta partito, Nicola Vittoria divenne uccel di bosco. Pietro Stefani se ne fece una ragione, Augusta no. Già godeva di scarsa salute e, una volta ricoverata in ospedale, morì in capo a pochi giorni. “Di destini simili – conclude Egon Sinz – o uguali ce ne devono essere stati parecchi altri. Tante storie di giovani e ragazze emigrati da soli e senza nessuna protezione in paesi stranieri”. Qualcuno è riuscito a tornare a casa e raccontare i pericoli vissuti, molti altri no. La prima grande migrazione dal Trentino e dalla Valsugana è stata, purtroppo, anche questo. Dolore nel dolore.

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Uomo e natura di Alessandro Veneri

Corpo forestale e ASUC: il bosco bene comune Nel blog di Vaia (www.vaiawood.eu) mi sono occupato del progressivo abbandono delle Carte di regola, anticamente mezzo per la salvaguardia dei beni comuni boschivi nelle Alpi trentine. A testimonianza del vuoto che quelle antiche istituzioni hanno lasciato, i periodi immediatamente seguenti alla loro abolizione, così come dopo le due guerre mondiali, hanno visto un impoverimento dei boschi provinciali senza precedenti. Benché dovuto perlopiù a legittime esigenze sociali, tale fenomeno ha di fatto destrutturato le principali caratteristiche di un corretto equilibrio ecosistemico, andando a ridurre le masse legnose, lo strato umifero, la componente faunistica, e la varietà botanica. Per quanto eccezionale sia stata la distruzione portata dalle due Guerre, quell’equilibrio mantenuto nel corso dei secoli è così venuto a mancare, dopo il decadimento di quelle semplici ma efficaci regole. Sono due le realtà che hanno acquisito rilevanza dal secondo dopoguerra in poi per la gestione dei patrimoni boschivi del Trentino: le cosiddette Amministrazioni Separate di Uso Civico (ASUC) e il Corpo Forestale Provinciale.

dato particolare spazio nel territorio provinciale: va segnalato ad esempio il Centro studi sui demani civici dell’Università di Trento, che per la prossima Riunione scientifica annuale ha in programma un interessantissimo affondo sull’impatto dei cambiamenti climatici in ambito rurale. Ciascuna amministrazione ha le proprie specificità; qui osserveremo più da vicino il funzionamento dell’ASUC di Pergine Valsugana, con la quale Vaia collabora attivamente per completare la ripiantumazione di ripristino nelle aree colpite dalla tempesta del 2018. L’importanza locale delle ASUC: il caso di Pergine L’ASUC di Pergine ha in gestione una superficie boschiva di oltre 380 ettari, occupandosi prevalentemente del taglio e dell’utilizzo del legname, oltre che di piccole migliorie manutentive. Il taglio segue un piano decennale approvato dal Servizio Foreste e fauna della Provincia Autonoma di Trento (che opera territorialmente attraverso il Corpo forestale provinciale), e prevede la vendita del legname con un accantonamento del 10% o più

dei ricavi, per completare interventi strutturali in accordo con la Forestale stessa. A seguito della tempesta, che ha abbattuto un numero consistente di alberi, non si possono eseguire tagli consistenti del soprassuolo forestale, dovendosi limitare – in molti casi – alle necessarie cure colturali e al prelievo dell’uso civico. Ciò, unito a un concomitante drastico calo nel prezzo del legname, sta mettendo alla prova la capacità di ASUC di generare ricavi in questo particolare frangente. L’attività di taglio ed esbosco viene appaltata a ditte del luogo, contribuendo come Vaia allo sviluppo dell’economia locale. Una funzione che richiama maggiormente le antiche usanze è l’assegnazione del diritto di legnatico: ogni 3 anni, ciascuna famiglia residente nel comune catastale di Pergine ha diritto a richiedere l’assegnazione di una quota disponibile di legname, combustibile o da costruzione. L’ASUC di Pergine riveste un’importante funzione di supporto alle realtà locali elargendo donazioni liberali, curando eventi culturali che hanno a tema la cura del territorio alpino e promuovendo progetti didattici nelle scuole.

L’avvento delle Amministrazioni Separate di Uso Civico Secondo Mauro Nequirito, studioso delle comunità rurali trentine attivo fino a pochi anni fa presso la Soprintendenza provinciale trentina per i Beni culturali, le amministrazioni degli usi civici introdotte nel 1952 possono essere considerate i veri e propri eredi degli antichi diritti esercitati attraverso le Carte. Si tratta di un tema cui viene

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Attualità in Valsugana

“Ospitalia”

quando l’ ospitalità è’ di casa

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n Trentino è data molta importanza al tema dell’ospitalità, perché questo aspetto del nostro vivere è considerato come un bene “collettivo” e prezioso. Un aspetto che contraddistingue le attività quotidiane di noi gente di montagna. In particolare, qui in Valsugana dove si sta interpretando l’ospitalità in maniera nuova, al fine di rendere questo tema il motore di sviluppo dei nostri territori. Proprio per questo è nato alcuni anni fa il brand “Ospitalia”, con lo scopo di sensibilizzare tutti in merito alle infinite opportunità che si ricollegano a questo argomento. A tal proposito e per saperne di più abbiamo aperto un dialogo con il dr. Federico Samaden, dirigente dell’ Istituto formazione professionale alberghiero di Rovereto e Levico Terme Come si declina il tema dell’ospitalità nella formazione? L’ospitalità trova forma nelle azioni formative e didattiche che sono messe in atto negli Istituti presenti sul territorio, in particolare la scuola Alberghiera di Levico Terme, l’istituto Barelli di Levico Terme e l’Istituto De Carneri di Civezzano. Questi tre centri formativi compongono il “Polo dell’Ospitalità”, nato con l’intento di promuovere sinergie tra questi percorsi formativi investendo energie e risorse nella formazione di capitale umano. Il tutto con l’obiettivo di innalzare il livello dell’offerta turistica del territorio riportando al centro dell’attenzione il tema della sostenibilità, anche in ambito turistico. Ed è proprio in questo contesto che si inserisce

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poi un ulteriore percorso di specializzazione che viene svolto presso la sede di Roncegno Terme. Ci parli appunto di questo percorso formativo. L’Alta formazione in Management di Ospitalità è un percorso biennale post diploma (aperto quest’anno anche agli studenti che hanno svolto il quarto anno degli istituti professionali). È un percorso formativo che si basa sul sistema “duale” tanto caro ai sistemi scolastici del Nord Europa e del vicino Alto Adige. Vuol dire che da noi gli studenti svolgono 1500 ore di teoria e 1500 ore di pratica, con la possibilità unica di operare in un albergo scuola (l’Hotel Villa Waiz di Roncegno) per mettere in pratica ciò che si è acquisito durante lo studio in classe. Al termine dell’esperienza i nostri studenti hanno la possibilità di proseguire il loro percorso formativo in Svizzera, grazie ad una partnership (siamo gli unici in Italia a poterla garantire) con l’Università di Swiss Education Group. Questo corso è arricchito dalla grande professionalità ed esperienza dei docenti, conoscitori del mondo lavorativo, e dalle tre esperienze di tirocinio che vengono svolte in grandi aziende nazionali e internazionali. Ci sono altre novità in arrivo? Con l’Istituto di Formazione Alberghiera stiamo strutturando un corso serale per adulti rivolto al settore della gastronomia e arte bianca. Un ulteriore tassello per la formazione di professionisti che sappiano operare con dedizione e competenza all’interno della filiera ristorativa e ricettiva.

Federico Samaden

Sta nascendo inoltre, attraverso una partnership con l’Università di Città Studi di Biella e alcuni importanti brand nazionali, la prima Academy in Italia che si occupa di ospitalità: “Ospitalia Academy”, un percorso di studi che pone come al centro la bellezza e lo stile italiano dell’ospitalità come motore di sviluppo per i territori. Questo è solo il primo tassello di un progetto nazionale che ha lo scopo di promuovere il tema dell’ospitalità e della formazione di professionisti che sappiano operare all’interno della filiera di attività legate a questo importantissimo tema. Sempre di più, in futuro, dovremmo essere capaci di puntare sui valori che contraddistinguono la “bellezza”, intesa come un patrimonio collettivo in grado di generare benessere e sviluppo. Con l’augurio che i nostri giovani ragazzi possano valorizzare al meglio quanto la nostra bellissima terra ha saputo offrirci. Per le iscrizioni al percorso c’è tempo fino al 5 ottobre, e per ogni informazione basterà consultare il sito ospitalia-academy.com


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Borgo Valsugana... correva l’anno di Massimo Dalledonne

Una Messa “garibaldina” Celebrata nella chiesetta di Madonna d’Onea, lontano da occhi indiscreti e, soprattutto, dai gendarmi austriaci.

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orreva l’anno 1866. Esattamente il 26 giugno, durante la Terza Guerra d’Indipendenza, si svolse la famosa battaglia di Custoza. Come riportato nei mesi scorsi sul bollettino parrocchiale Voci Amiche da don Armando Costa “l’evento venne ricordato, su ordine del governo austriaco, in tutte le chiese dell’impero con un solenne rito funebre. Messe a ricordo dei caduti austriaci. Successe così anche a Borgo dove, però, erano presenti diversi partitanti italiani. Uno di questi era Carlo Belotti che riuscì a far celebrare una Messa nella piccola cappella alla periferia del paese. Tra il pubblico anche “un garibaldino ritornato da quella battaglia con la camicia rossa”. Si chiamava Pietro Ferrai, deto Moller, di Borgo Valsugana. L’evento non venne scoperto subito. Passarono mesi prima che i gendarmi austriaci riuscissero a scoprire l’accaduto. Le indagini, come ricorda lo stesso don Costa, furono condotte dal pretore

Chiesa di Onea Borgo

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di Borgo dell’epoca Tommaso De Menghin. Fu nominata una commissione. Come primo risultato vennero individuati i religiosi che celebrarono ed organizzarono, su commissione, la Messa: il padre guardiano del convento di Borgo Giampio Dalvit, padre Cirillo Larcher e fra Lodovico Gasperi. “Il 24 ottobre, alla porta del convento arrivò una persona che, consegnando due fiorini austriachi, chiese di celebrare, alle 7.30 della giornata seguente, una Messa presso la chiesetta della Madonna di Onea. Solo dopo qualche giorno – dichiarò all’epoca il padre guardiano ai gendarmi austriaci – parlando con Giuseppe Fiorentini venni a sapere che quel rito religioso era una dimostrazione politica. Nessuno ne diede sentore anche perché in questi giorni capita ogni giorno che a questo convento venga richiesto di celebrare delle Messe nella stessa chiesetta”. La deposizione del padre guardiano venne confermata dagli altri religiosi e dal sacrestano di Onea Nicolò Paolati. Quanto successo venne confermato pure dal barone Antonio Ceschi di Santa Croce allo stesso pretore. Nella stessa giornata, quel 25 ottobre del 1866, a Borgo si celebrarono due Messe: quella ufficiale, voluta dal governo austriaco, alle 9.30 nella chiesa parrocchiale. Due ore prima, un divino ufficio “garibaldino” nella chiesetta di Onea alla quale vi fu un gran concorso di quelli che in paese favoriscono il partito italiano. Il giorno prima – si legge nella dichiarazione resta dallo

La battaglia di Custoza (1866)

stesso barone – Carlo Belotti girava per il paese invitando la gente a partecipare. L’elemosina al convento venne portata da una donna di Rovereto ed alla Messa assistette anche la famiglia del negoziante Candido Zeni”. Altri particolari furono resi noti dal sacrestano di Onea. “Alla Messa assistettero le sorelle Piva, Sartorelli, le monache ospitaliere con le orfane – si legge nell’articolo di don Costa – i fratelli Mentore ed Ermete Fezzi, Giovanni Battista Capraro della Mosca e Pietro Ferrai detto Moller che teneva allacciato al collo un fazzoletto color scarlatto. Non ci fu nessuna manifestazione pubblica, tantomeno preghiere insolite da parte dell’officiante e dei devoti presenti in chiesa”. Dalle indagini del pretore risultò che le due monache presenti erano suor Placida Biraghi e suor Giovanna Renzanigo”. Tutto successe 154 anni fa. Ancora don Armando Costa. “Due brevi considerazioni. L’iniziativa dei partitanti italiani dimostra che la propria idea può essere manifestata senza clamori e in maniera civile; e che, nell’altro mondo, hanno beneficiato della pietas Cristiana tanto i caduti austriaci che quelli italiani”.


Il passato in cronaca di Massimo Dalledonne

Borgo: qui passò Napoleone In paese Napoleone Bonaparte rimase due giorni. E per due mesi i francesi occuparono Borgo Valsugana.

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orreva l’anno 1796. Esattamente 224 anni fa. La prima campagna napoleonica stava segnando la fine del secolo. Da poco tempo si era conclusa la rivoluzione francese (1789-1795) con Napoleone pronto a mettere in campo il suo esercito e dare vita alle operazioni militari per sconfiggere gli austriaci. Con quale obiettivo? Superare la catena delle Alpi. Gli avversari erano stati cacciati nella pianura e, all’inizio del mese di settembre, i francesi arrivarono in Trentino. Dopo aver conquistato Ala e Rovereto, le truppe napoleoniche sconfissero gli austriaci nella battaglia di Calliano. La strada verso Trento era oramai sgombra ma l’esercito austriaco non aveva ancora alzato bandiera bianca. Il 4 settembre, infatti, alla testa di ben 25 mila uomini, il generale Wurmser decise di risalire la Valsugana. L’obiettivo era quello di liberare Trento, conquistata il 5 settembre dalle truppe napoleoniche. Gli austriaci passarono per Borgo, una mossa che costrinse i francesi a dividere in due le forze e dirottare in Valsugana diverse truppe. Dopo la conquista di Lavis e la nomina a Trento di un governo provvisorio, responsabile di fronte alla repubblica francese dei territori conquistati, Napoleone decise di mettersi alla caccia degli austriaci portati dal generale Wurmser in Valsugana. Il primo ad arrivare a Borgo fu il generale francese Augereau, seguito poco dopo da Bona-

parte. Il futuro imperatore arrivò in paese verso sera fermandosi presso l’abitazione del dottore Prospero Zanetti. La casa si trovava nei pressi del fiume Brenta, a poche decine di metri dalla chiesa arcipretale. In quella che oggi viene conosciuta come via Padri Morizzo. Da Borgo Napoleone Bonaparte se ne andò alle prime luci dell’alba del 7 settembre. Destinazione Bassano dove, alla guida di circa 15 mila uomini, il giorno dopo riuscì a sconfiggere gli austriaci. Napoleone restò a Borgo due giorni. C’è un piccolo aneddoto che merita di essere raccontato. Nel suo libro “Ausugum. Appunti per una storia del Borgo della Valsugana” don Armando Costa ricorda come “a Napoleone Bonaparte piaceva sedersi sul sasso in

testa al ponte grande del Borgo o sul sasso che fa cantone fra la via Imperiale e sotto i portici quasi in testa dall’altra parte del ponte e là, contornato dai suoi comandanti con le mani piene di carta dava ordini e sue disposizioni. Per questo motivo quei sassi furono chiamati sasso de Napolion”. I francesi rimasero a Borgo per ben due mesi. Fino al 31 ottobre in paese soggiornò una guarnigione di 250 soldati. Vi rimasero fino a quando furono scacciati da diversi bersaglieri, calati in Valsugana dalla Val di Fiemme e dal Primiero, dai soldati austriaci del reggimento Latterman e da 25 usseri. I francesi fuggirono in direzione Levico dove rimasero per alcuni giorni. Il 3 novembre nessun soldato francese era rimasto in Valsugana.

Napoleone Bonaparte

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Umana-mente di Chiara Paoli

La coscienza dell’escursionista La montagna è una passione, intraprendere escursioni per ammirare i suoi paesaggi un privilegio e un’opportunità che però non va presa sottogamba. Ogni estate è purtroppo costellata di tragici eventi e la montagna si trasforma in un bollettino di guerra, anche senza bisogno di fucili e cannoni. Questa estate 2020 non è da meno ed è recente la scomparsa della trentina Giulia Tita, che a soli 29 anni ha perso la vita nella giornata di Ferragosto nel tentativo di raggiungere Cima delle Anime in val Passiria.

M

a questo è solo uno dei tanti casi in cui la montagna si è rivelata fatale. I monti ci proteggono, rassicurano e ci fanno sentire a casa, ci accolgono al rientro dalle vacanze al mare e ci inducono ad alzare lo sguardo verso le vette nutrendoci di speranze. La montagna però ha anche un’altra faccia della medaglia, è fatta di fatica, duro lavoro per i suoi abitanti, inverni freddi, estati assolate e pericoli imminenti. I rischi sono molteplici e vanno preventivati, possono essere valanghe o smottamenti, ma anche più semplicemente una distrazione, un piede messo in fallo, una caduta che risucchia nel vuoto. In montagna bisogna essere preparati, soprattutto ad alta quota e dove le vie e i passaggi risultano esposti. I montanari doc sanno che prima di partire il tragitto va pianificato, vanno controllate le previsioni meteo, preparata l’attrezzatura e soprattutto bisogna verificare di essere fisicamente allenati ad affrontare percorsi impegnativi e con forti dislivelli. Improvvisarsi alpinisti rischia di costare caro, perché mettere in moto la macchina del Soccorso Alpino non è uno scherzo e se l’intervento richiesto non è neces-

sario o è dovuto alla superficialità dell’escursionista, bisogna tenere conto che il prezzo da pagare sarà elevato, nell’ordine di diverse migliaia di euro. Con le cime non si scherza e quando si decide di dedicarsi al trekking bisogna acquistare l’attrezzatura adatta, per quanto le ciabatte infradito siano bellissime in spiaggia, stridono alquanto con i sentieri di montagna, si frantumano in tempo zero ed espongono il piede a torture inimmaginabili. Una felpa è sempre necessaria, il tempo cambia velocemente e dopo una “sudata” salita è sempre meglio coprirsi quando ci si ferma, per non rischiare di prendersi un raffreddore. Una ventina o giacca antipioggia, trova spazio quando il tempo è incerto e si rischia di incappare nella pioggia. I bastoncini possono essere utili stru-

menti di appoggio e soprattutto non deve mai mancare una bottiglietta d’acqua o in caso di giornate molto calde, qualche bevanda contenente sali minerali. In assenza di rifugi aperti ovviamente bisogna portarsi dietro anche i panini o altro cibo per la giornata. La montagna va vissuta con occhi spalancati in contemplazione delle sue bellezze, pronti ad incontri con animali selvatici che abitano questi luoghi e rispettosi della natura e della flora che ci circonda. L’immondizia si riporta a valle e si smaltisce negli appositi contenitori; troppo spesso le persone si rivelano irrispettose e abbandonano i propri rifiuti deturpando questi nostri splendidi paesaggi. Questi splendidi pinnacoli naturali non sono adatti a tutti e soprattutto non si possono predisporre per chi vorrebbe tutte le comodità a portata di mano. Chi non ha voglia di faticare per guadagnare la vetta, può accontentarsi delle mete a bassa quota e osservare da lontano le cime. La natura è bella perché è tale, perché è selvaggia e ricca di verde e non va rovinata costruendo ovunque strade asfaltate, mega parcheggi e aree camper attrezzate.

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Insetti amici se rispettati A contatto con la natura, ma con la massima attenzione. Soprattutto durante passeggiate nei boschi, escursioni in montagna o giornate in compagnia tra i parchi del Trentino. Api, vespe e calabroni possono rappresentare un pericolo ben più grande della loro piccola dimensione, che spesso può portarci a pensare che una puntura crei poco più di un leggero fastidio.

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ebbene infatti il numero di decessi legato a shock anafilattici sia veramente molto basso in tutto il nostro Paese, le punture di vespe o calabroni possono ugualmente rivelarsi molto dolorose. «Da quasi vent’anni in Italia la media di persone decedute a causa di punture di vespe non supera le quattro unità – ha spiegato Paolo Fontana, entomologo e apidologo, nonché ricercatore presso il Centro di Trasferimento Tecnologico della Fondazione Edmund Mach di Trento. – Questo però non ci deve far abbassare la guardia, soprattutto negli spazi aperti. Le api sono impollinatori, fondamentali per l’agricoltura e l’ecosistema in cui si stabiliscono, ma vespe e calabroni sono predatori di altri insetti e possono essere più aggressivi. In più, attualmente sono favoriti dall’innalzamento delle temperature e dal forte utilizzo di pesticidi». Al fine di evitare spiacevoli situazioni, occorre dunque fare un riepilogo di quelle che sono le buone pratiche per evitare di incappare in dolorose punture: guardarsi sempre attorno quando si camminaa in spazi aperti, ricordandosi di prestare anche la massima attenzione quando si spostano oggetti come cataste di legno o simili, perché le bestiole potrebbero posarsi su di esse. Ancora, indossare guanti robusti e da lavoro, evitare di attraversare boschi o prati in infradito ma scegliere invece sempre scarpe protettive e adeguate al contesto in cui ci si trova. Questo perché le vespe di terra, percependo in modo più acuto le vibrazioni pro-

dotte dai nostri passi, potrebbero essere maggiormente inclini ad attaccare se disturbate eccessivamente. Infine, nel caso in cui una puntura dovesse produrre un eccessivo prurito o dolore, oppure gonfiarsi in modo innaturale, vanno svolte quanto prima le dovute analisi, per scongiurare eventuali allergie. «La situazione in Trentino e in Italia è sotto controllo – ha concluso Fontana. - Nella nostra realtà ci sono circa 15 mila apicoltori che quotidianamente sono esposti a situazioni di potenziale pericolo, ma come detto i numeri sono veramente molto bassi e, per quanto coloro che vengono a mancare per queste situazioni lascino un vuoto enorme nella loro famiglia, dobbiamo ricordarci che i casi sono davvero molto rari. A contatto con la natura siamo noi ad essere a casa loro, dunque occorre sempre prestare la massima attenzione». Un occhio di riguardo va infine rivolto

alla vespa asiatica, che in Toscana, Liguria e Piemonte sta causando più qualche problema agli agricoltori, ma che fortunatamente in Trentino non è ancora riuscita ad insediarsi. Un plauso in questo senso i ricercatori e gli esperti lo fanno alla cittadinanza, sempre molto attenta nel monitorare situazioni sospette: tante infatti le foto che, per esempio, arrivano con regolarità alla fondazione Mach, la quale le prende in consegna, le esamina e, fino ad ora, ha sempre scartato l’ipotesi che si trattasse di una vespa diversa da quelle autoctone. Meglio comunque avere una foto in più che una in meno, ha chiarito il dottor Fontana, così da essere sempre sicuri. Nessun impatto sulle vespe nostrane ha invece avuto il rilascio della vespa samurai, antagonista della cimice asiatica, che al momento convive con la sua simile nel nostro territorio senza alcun problema.

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Ieri avvenne di Massimo Dalledonne

L’alluvione del 1882 in Valsugana

Quando l’acqua uccide D opo la tempesta Vaia, che dal 27 al 29 ottobre 2018, mettendo a terra in media 273,8 millimetri di pioggia, ha colpito anche la Valsugana, l’alluvione del 1882 è stata sicuramente la più devastante. Tra il 15 e il 17 settembre caddero in media 232,6 millimetri di pioggia. Le eccezionali condizioni metereologiche si verificarono in una precaria situazione per il grande dissesto idrogeologico e forestale causato da un esasperato sfruttamento della foresta. Secondo le stazioni metereologiche del tempo “sulla parte italiana della Provincia”, nel mese di settembre di 138 anni fa caddero 4.200 metri cubi (420 millimetri) per ciascun ettaro. Gli ettari considerati sono stati 635.757 per un totale di 2.670.179.400 di metri cubi di acqua piovana. Parliamo di così tanta acqua da riempire un bacino lungo 9 chilometri e largo tre per una profondità di 100 metri.(Maggiore dei due laghi di Caldonazzo e Levico uniti). Gravi preoccupazioni destarono il fiume Adige e il torrente Fersina. I due villaggi di Moena, in Val di Fiemme, e Grigno, in Valsugana, rimasero quasi per intero subissati dalla furia irresistibile dei loro torrenti. Grigno dovette la salvezza della sua popolazione ad un falso allarme che, provvidenzialmente, prevenne il vero pericolo, avendo poche ore dopo l’omonimo torrente invaso il paese atterrando una trentina di case, seppellendo sotto la congerie le rimanenti fino agli ultimi piani e trasportando fuori del cimitero le bare scoperchiate dei morti. Come scrive

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anche don Armando Costa nel suo di tutta la costiera fertile e abitata libro “La terra del Borgo” quei giorni in sinistra del Brenta ne fu colpita. drammatici furono preceduti da altri Grigno venne completamente invaso piovosi che inzupparono talmente la dalle acque e dal fango. A Pianello, a terra “che dalle chine dei monti e dei fianco della Superstrada della Valsucolli cominciarono a precipitare frane gana, uno scheletrico rudere, con il ovunque in modo che stando in basprimo piano trasformato in cantiere, so, nei vigneti di Borgo e di Torcegno, è rimasto ancora a documentare la se ne potevano numerare oltre un quantità di fango e detriti che invasecentinaio più o meno estese”. ro la piana valsuganotta. A Borgo, quel sabato mattina, il corso Ancora don Venanzio Facchini. “Borgo Ausugum era invaso da 50 centimetri era invaso dal Brenta, cresciuto in di acqua. Come riporta nella testimomodo che il pelo delle acque era nianza dell’epoca l’arciprete Venanzio sotto il livello della chiesa e aveva alFacchini “Castelnuovo fu invaso nella lagato il paese. Il Boale di Soravigo, se parte verso mattina perché il torrente avesse rotto sulla riva sinistra, poteva Maso, sotto Carzano, atterrò i muracoprirlo di ghiaia fino alla piazza delle glioni di riparo di ambo le sponde Poste. Il Ceggio muggiva così forte rovesciandosi nei prati che coperse di e aveva già sconvolto la strada della ghiaia, sabbia e tronchi di alberi, scavando e gustando fino al paese”. Scurelle fu salvato dal muraglione che sembrava inutile da anni. “Presso la cartara di Scurelle – prosegue l’arciprete Facchini – sopra un grande masso là condotto dalle passate alluvioni erasi eretta una edicola”. In Valsugana tutti i corsi d’acqua in destra Brenta (Grigno, Ceggio, Maso, Larganza, Chieppena) rovesciarono ingenti quantità di materiale, nel loro breve quanto veloce corso dalla catena del Lagorai al fondovalle. La conformazione La difesa dalle alluvioni morfologica alluvionale


Ieri avvenne

Il paese di Grigno

Starnova che lo costeggia. Faceva paura e, come se non bastasse, l’acqua aveva formato un torrente che scendeva a occidente del castello di Borgo (il Telvana) rovinando i vigneti e coprendo di ghiaia il Prà del Mercà”. La strada della Fossa portava così tanta acqua che diverse persone rischiarono di annegare. “Le campane suonavano a stormo e gli abitanti del-

le case sottoposti al borro di Soravigo venne fatte scappare”. Per qualche ora il cielo si aprì ma il 17 tornò il diluvio. Anche il Moggio ruppe gli argini ed i borri a sera del Borgo avevano fatto ghiaioni delle belle campagne lungo la via vecchia per Roncegno”. Quello che accadde 138 anni fa anche in Valsugana fece emergere come causa preponderante il cattivo uso del suolo

e del bosco fino ad allora praticato. L’esasperato taglio dei boschi per trarvi legname d’opera e da commercio, legna da fuoco per uso domestico e per alimentare le fornaci da calce e da laterizi, diradò in maniera vistosa il patrimonio forestale. La distruzione del novellame, il trasporto del legname per trascinamento e la trasformazione di colture su versanti ripidi furono altre motivazioni di instabilità del territorio. Nel 1882 il sistema ambientale e forestale era labile e grandemente a rischio. I danni, le vittime e di pericoli corsi nell’occasione dell’alluvione di quel mese di settembre in Valsugana ed in Trentino misero in chiara evidenza l’instabilità e la cattiva gestione del territorio, rilevando la necessità di eseguire gli interventi di sistemazione dei torrenti e dei fiumi in modo più sistematico e specializzato. Ed è quello che si iniziò a fare.

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Levico Terme

“Masera: memorie di seta e tabacco a Levico Terme”

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l progetto, finanziato dalla Fondazione Caritro, tramite il “bando per progetti di valorizzazione della memoria delle comunità” è stato presentato dall’Associazione capofila “Levico in famiglia” con la compartecipazione del Comune di Levico Terme e della Cassa Rurale di Levico (ora Cassa Rurale Alta Valsugana) ha visto il coinvolgimento attivo di diverse associazioni di volontariato presenti nel comune quali Gruppo Pensionati Levico Terme, Associazione culturale Chiarentana, Associazione Mondo Giovani e Centro Don Ziglio. L’obiettivo del progetto è stato quello di portare alla conoscenza e alla divulgazione ad un pubblico vasto ed eterogeneo della storia dell’edificio storico -in fase attuale di abbandono. Sono state raccolte testimonianze orali di chi, in fase di attività dell’edificio come Macera di tabacco o setificio ne abbia vissuto o sentito raccontare la vita e gli aneddoti all’interno dello stesso, come anche le ricadute economiche/sociali all’interno del paese. Tramite la ricerca di documenti, immagini storiche, disegni e altro materiale

è stata coinvolta l’intera cittadinanza del comune. Ogni interessato è stato invitato a contribuire con la sua memoria storica. I documenti e le testimonianze raccolte sono state poi riportate in un testo divulgativo adatto a diverse fasce di età mettendo in correlazione passato-presente (e forse anche futuro) dell’edificio, delle attività lì svolte, delle persone coinvolte e la trasformazione geografica e sociale del paese ad esso collegate. Il libro prodotto, in formato quasi tascabile, è stato interamente illustrato con una minuziosa ricostruzione nei diversi periodi e nei diversi usi, con uno stile che è risultato interessante per un pubblico eterogeneo (dai bambini agli adulti, dai cittadini ai turisti...). Il prodotto finito è stato oggetto di presentazione e uso in ambiti diversi: per informazione storica nelle scuole, come strumento per i giovani nella conoscenza del tabagismo, come memoria storica e anche come promozione turistica. Sono stati fatti vari laboratori didattici appositamente preparati per i ragazzi dell’Istituto Comprensivo di Levico T. Ideazione per Levico in Famiglia di Tizia-

na Margoni e Licia Zuppardi Ricerca, interviste e scrittura a cura di Tiziana Margoni. Progetto grafico e illustrazione di Licia Zuppardi. È possibile ritirare il libro, con un piccolo contributo, contattando direttamente l’associazione all’indirizzo mail:levicoinfamiglia@gmail.com oppure presso le seguenti rivendite giornali e tabacchi: Edicola Passerini via G. Marconi 2 a Levico T. Edicola Eta Beta Corso Centrale 38 a Levico T. Rivendita giornali e Tabacchi di Frattin A. viale Stazione 14 a Caldonazzo Edicola Pola E. Piazza Municipio 7 a Caldonazzo.

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Ieri e oggi di Elisa Corni

Pesca: una mostra (virtuale) sul lago di Caldonazzo

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piani n≤on erano decisamente questi, ma saper fare di necessità virtù è un’arte. Questa storia comincia più di due anni fa quando il pescatore dilettante di Caldonazzo Adriano Bortolini e l’avvocato di Pergine Roberto d’Amato si incontrano con Nirvana Martinelli, autrice tra le altre cose nel 2008 di una ricca ricerca storica e di un bel volume sul lago di Caldonazzo tra diritti di pesca e fotografie originali. Oggetto dell’incontro: unire le ricerche storiche della volontaria dell’Associazione Culturale Forte delle Benne con quella di immagini, antiche e recenti, attorno al tema della pesca dall’inizio del Novecento in poi. I materiali raccolti erano davvero tanti, tra cartoline e immagini storiche pescate negli archivi privati di collezionisti appassionati, fotografie scattate oggi per raccontare indelebili tradizioni del passato e materiali d’archivio in grado di delineare la situazione storico-economica e quella giurisdizionale. Così tanto materiale che la prima

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ipotesi per tradurre tutto ciò in un prodotto per il pubblico è stata quella di creare una mostra diffusa in tutti i comuni rivieraschi: numerose e diverse esposizioni in luoghi pubblici, all’aperto, in sale comunali per invitare i visitatori a esplorarne e scoprirne altre. La proposta è piaciuta soprattutto al Comune di Pergine Valsugana, che ha aderito immediatamente all’iniziativa in vista di una mostra che toccasse diversi punti del proprio territorio. Purtroppo il Covid-19 è entrato prepotentemente nelle nostre vite, e il DPCM dell’8 marzo scorso ha fatto sì che fossero sospese tutte le attività culturali. Con la fine dell’emergenza e il lento ritorno alla normalità, però, è stato chiaro che la mostra non poteva avere luogo in spazi chiusi come da programma. E così gli autori si sono trovati a un bivio: annullare la manifestazione o cercare una soluzione alternativa e creativa. La prima opzione era sicuramente la più semplice: si trattava di rimandare il tutto a un momento

meno funesto. Ma ciò non avrebbe permesso di rendere omaggio a molti che hanno reso possibile tutto ciò: alle famiglie di pescatori che vivevano grazie alle reti e alla bava; ai collezionisti che avevano messo a disposizione il loro materiale; a chi aveva vissuto momenti importanti di formazione e di crescita grazie a ciò. Ma anche, e soprattutto, al grande lavoro di ricerca degli autori. E così la creatività ha avuto la meglio, e la tecnologia digitale è venuta incontro alle necessità di chi voleva raccontare una storia. La mostra è riuscita a trovare una location: si tratta di un luogo accessibile a tutti, grande, dove diversi linguaggi possono trovare la corretta collocazione. Quella sulla pesca sarà la prima mostra virtuale della Valsugana. I pannelli che la compongono, infatti, troveranno presto posto nelle pagine del sito www. fortedellebenne.it e potranno essere esplorati liberamente da tutti. Anche da chi lo vorrà fare dalle rive del lago, per le quali la mostra era inizialmente pensata. Saranno infatti posizionati una serie di QR code, simili ai codici a barre, leggibili attraverso smartphone o tablet. Inquadrando questi disegni in bianco e nero, si sarà reindirizzati direttamente alla mostra. Oltre alla mostra virtuale è stato realizzato un catalogo cartaceo per la collana “Quaderni del Forte” nel quale trovano collocazione molti dei materiali della mostra accompagnati dall’interessante ricerca storica. Si tratta di un ulteriore tassello per la narrazione della nostra storia di comunità, una comunità che fino a qualche tempo fa la pesca la praticava e spesso ci viveva.


Conosciamo il territorio di Elisa Corni

Insediamenti umani in Valsugana e dintorni nell’Età del bronzo Nel Bronzo Medio, quel periodo della preistoria che va dal sedicesimo al quattordicesimo secolo a.C. la Valsugana conobbe una graduale occupazione delle sue vaste e assolate aree collinari. In tutta Europa quest’epoca vide fiorire alcune culture e civiltà, soprattutto nel Mar Egeo e nelle isole britanniche, che divennero culle di civiltà complesse e articolate, nelle quali fiorivano il commercio e gli scambi. Anche l’Europa continentale vide il crescere costante di società sempre più complesse; ciò accadde anche in Trentino.

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siti più importanti di questo periodo nell’area della Valsugana sono i Montesei di Serso e i Dossi di Vigolo Vattaro dove alcuni abitati sorsero e si svilupparono su terrazzi, anche artificiali, posti sui versanti soleggiati di piccole alture. La vita di queste comunità aveva infatti bisogno di questo tipo di posizione, dato che la loro economia era basata sull’allevamento a transumanza a breve raggio, e sulla coltivazione e raccolta di prodotti vegetali come testimoniano i semi di orzo, frumento, mela e corniolo ritrovati ad esempio a Vigolo Vattaro durante alcuni scavi archeologici. Il passaggio all’epoca successiva, quella del Bronzo Recente (XIV-XIII sec. a.C.), è segnato dall’espansione di insediamenti in fondovalle, mentre l’inizio del Bronzo Finale (XII-X sec. a.C.) coincide con il diffondersi della “cultura di Luco”. Nota anche come cultura di Luco-Meluno dalla località di Meluno nei pressi di Bressanone dove, nel 1927, un archeologo trovò i primi resti di una brocca, è una cultura di origine trentino-altoatesina che si espanse in tutto il Tirolo e in Engadina, ed è caratterizzata dalla produzione di boccali molto particolari dalla

tipica forma rostrata. Particolarmente pugnale di Civezzano, gli spilloni di bello è il boccale dei Montesei, ritroLevico, l’ascia di Tenna, il falcetto di vato in frammenti e successivamente Borgo-San Pietro e gli oggetti del ricostruito. Ed è nel Bronzo Finale che ripostiglio di Strigno. le attività estrattive e metallurgiche Il sito di Acqua Fredda al passo del Redebus è raggiungibile in automobile riprendono intensamente non solo ed è aperto al pubblico tutto l’anno; è ai Montesei, ma anche nel pinetano, corredato da pannelli esplicativi che nella Valle dei Mocheni e nel Tesino: illustrano il funzionamento dei forni e aree fusorie sono state individuate la vita delle popolazioni dell’epoca. sulle sponde del lago delle Piazze a Bedollo, fonderie per l’estrazione del rame alla Malga ComSito archeologico Montesei di Serso Pergine (dal libro pergine visioni d'autore - archivio Apt Valsugana) brancoi, nove forni ad Acqua Fredda al passo del Redebus, scorie e materiali macinati in val Scura-Val dei Zotta e nei prati di Fradea a Castel Tesino, una discarica mineraria a Vetriolo. Di questi periodi i reperti più interessanti ritrovati in Valsugana sono oggetti in metallo, armi o attrezzi che suggeriMontesei di Serso (Apt Valsugana) scono una fase di benessere economico ricca di relazioni con i mondi circonvicini. In questo senso vanno letti gli schinieri (parte dell’armatura che proteggeva le gambe) dei Masetti di Pergine, le spade della palude Pudro di Pergine e di Villa Agnedo, l’ascia e il

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Conosciamo il territorio di Chiara Paoli

La Madonna nera di Strigno La cappella della Beata Maria Vergine di Loreto, nota anche come chiesa di Santa Maria di Loreto venne costruita nel borgo di Strigno intorno alla metà del XVII secolo. Un primo documento legato a questo luogo mariano è datato 1632, si tratta di una supplica diretta a Giovanni Paolo Savio, vescovo di Feltre e recante la firma di Giuseppe Bertagnoni, proprietario del fondo che chiede di poter dare avvio ai lavori per un tempio dedicato alla Madonna Nera.

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na volta procurata l’autorizzazione, i lavori hanno inizio, con il consueto orientamento della facciata ad est e come modello di riferimento per la costruzione, quello della Santa Casa che si colloca all’interno della balisica di Loreto. I lavori vengono seguiti dal parroco di Strigno, don Gaspare di Castelrotto, membro di una nobile famiglia valsuganotta, come ricorda il Bertondelli nel suo “Ristretto della Valsugana”. In questo testo si fa riferimento alla grande devozione del Castelrotto per la Vergine e si legge che esso “prese assonto con semplicissime elemosine di far fabricare in quella sua Parochia la Capella Lauretana à tutta similitudine alla vera ove il Verbo Divino s’incarnò; perfettionata che l’ebbe a 7 di maggio dell’anno 1645 con grandi apparati & Strigno Chiesa della Madonna di Loreto

con processione solenissima in quella collocò la Sacra Imagine Lauretana.” Nel 1645 risultano quindi portati a termine i lavori in muratura e la statua della Madonna Nera, particolarmente venerata dopo il Concilio Tridentino, viene collocata sull’altare maggiore. Continuano per altri due anni i lavori all’interno della chiesa, per completare la decorazione ad affresco delle pareti, opera attribuita alla bottega dei Fiorentini già da Nicolò Rasmo nel 1983 e secondo Vittorio Fabris, si tratterebbe più precisamente delle mani di Giacomo e Francesco, figli di Lorenzo senior. Molto probabilmente lo stesso parroco, don Gaspare di Castelrotto aveva visitato il santuario Mariano di Loreto e aveva voluto che la Santa Casa fosse riprodotta fin nei minimi particolari, offrendoci quella che ancora oggi appare come una esemplare riproduzione. Il luogo di culto si erge poco distante dal centro abitato e si trova in posizione elevata sulla destra del torrente Chieppena. Dal 1786, come le altre chiese della Valsugana cambia giurisdizione ecclesiastica, lasciando Feltre per entrare a far parte della diocesi di Trento. Nel 1828 iniziano i lavori per il cimitero che ancora oggi circonda la chiesetta e che viene consacrato con una solenne messa nel 1840. L’alluvione del novembre 1966 induce gli abitanti a spostare la statua, ritenuta miracolosa, per collocarla all’interno della chiesa parrocchiale intitolata alla Vergine Immacolata, affinché potesse

proteggere la popolazione in questo difficile momento. La piena del vicino torrente Chieppena provoca però purtroppo ingenti danni, causando la distruzione di parte del Campo Santo, il crollo di alcune case e di conseguenza la morte di tre persone. Nel decennio successivo si susseguono gli interventi di restauro conservativo e viene disposta una nuova pavimentazione. Curiosa caratteristica di questa chiesetta è che la facciata principale è finestrata, ma non è presente alcun ingresso, gli accessi si collocano invece sui prospetti pareti laterali. Sulle pareti esterne sono murate alcune lastre tombali, tra cui quelle dei sacerdoti di Strigno Mons. Antonio Coradello, Mons. Pasquale Bortolini e il Decano don Remo Pioner. Statua Madonna Nera

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Medicina & Salute di Armando Munao’

La melatonina La melatonina è un ormone naturale prodotto dalla nostra epifisi che è una piccolissima ghiandola del cervello che influenza il rapporto sonno-sveglia ovvero aiuta il sonno favorendo un riposo tranquillo e di qualità. Indicata per chi soffre d’insonnia o ha problemi nell’addormentarsi. La sua insufficienza può causare disturbi al sonno leggeri o gravi come la tanto temuta insonnia. Da qui la necessità di integrarla con prodotti da banco venduti in farmacia o nelle erboristerie.

S

econdo la scienza medica più di un terzo della popolazione ha problemi di sonno dovuti a molteplici cause siano esse di origine patologica che motivate da stress, abuso di farmaci, preoccupazioni del quotidiano, menopausa, stile di vita condotto e non ultimo tutto ciò che determina disordini nel riposo notturno quali obesità, sindrome metabolica, alcune patologie cardiovascolari e le fastidiosissime cefalee. Secondo quanto indicato dall’Associazione Italiana di medicina del sonno l’assunzione di 1 mg di melatonina, meglio se potenziata con estratti vegetali specifici, non solo contribuisce alla riduzione del tempo richiesto per prendere sonno, ma aiuta un buon e rilassante riposo. Importante è anche il fatto che la melatonina non provoca assuefazione nè effetti collaterali e non origina quella stanchezza mattutina tipica di chi assume farmaci ipnotici o sonniferi di varia natura. La melatonina è indicata per combattere i disturbi di addormentamento, i risvegli notturni e il sonno “agitato”. È bene anche sapere che la melatonina deve essere assunta almeno mezz’ora prima di coricarsi (meglio

1 ora) in quanto la concentrazione dell’ormone necessita di tempo affinchè possa raggiungere la giusta concentrazione nel sangue e quindi il sonno può ritardare in quanto l’organismo non ha avuto il giusto tempo per assimilare la sostanza. In merito alla sua somministrazione è bene precisare che essendo prodotti da banco, ovvero che si possono trovare in moltissimi negozi (anche via internet) bisogna fare attenzione a dove si acquistano. Bene ed opportuno è presso le farmacie, le erboristerie o i supermercati autorizzati. Non solo, ma la melatonina, affinchè mantenga le sue prerogative deve essere pura e

quindi è necessario stare attenti alle melatonine in commercio in quanto non sono tutte uguali sia per il processo produttivo che per gli eccipienti usati. Ed è necessario anche sapere che in commercio esistono diverse formulazioni indicate ed adatte ai vari tipi di sonno e sebbene per l’acquisto non sia necessaria la ricetta è consigliabile rivolgersi al proprio medico sia per il tipo, sia per il dosaggio che per il tempo d’uso, specialmente se quest’ultimo è o deve essere prolungato. Come è bene chiedere consiglio al proprio medico se si hanno particolari patologie quali quelle renali, epatiche o autoimmuni.

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Medicina & Salute

di Erica Zanghellini *

Il rapporto di coppia Il rapporto di coppia è una delle relazioni più desiderate ma, anche quella che più può metterci alla prova. All’inizio nella fase di innamoramento tutto sembra perfetto, il partner ci sembra il migliore, non sembra aver nessun tipo di difetto, ma è una gran illusione, nessuno è impeccabile, per cui qualunque sia il vostro partner anche lui/lei avrà delle mancanze, o farà delle cose che vi daranno fastidio. Solo le coppie che riusciranno a resistere a questo disincanto, inizieranno una storia duratura.

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on può essere tutto “rosa e fiori”, le storie sono fatte anche di momenti difficili, e non per questo devono essere visti come avvenimenti negativi, anzi, sono delle occasioni per crescere assieme, per capirsi di più. Ma, quali sono gli “errori ” più comuni che invece, potrebbero causare o consolidare i momenti di crisi e che inevitabilmente potrebbero far chiudere la relazione? Il primo, forse il più frequente, è quello di cercare di modificare il partner. Alcune volte non si è nemmeno consapevoli di cercare di cambiarlo,

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ma se continuiamo a litigare sempre su alcuni comportamenti, o la mancanza di alcuni condotte che noi desideriamo siamo entrati in questa trappola. Dobbiamo cercare di ricordarci che la perfezione non esiste e accettare il fatto che possa comportarsi in modo diverso da quello che desideriamo. Solo questo passaggio ci libererà da questo tranello. D’altro canto proviamo a metterci nei panni di chi dovrebbe cambiare, continui litigi, continui malumori e magari sensi di colpa per non riuscire, di certo non sono dei buoni presupposti per vivere una storia d’amore serena.

Logicamente sto parlando comunque di comportamenti comunemente accettabili, se si è vittima di condotte violente il discorso cambia. Il secondo errore in cui si può incappare è il non riuscire a comunicare apertamente. La comunicazione è una delle fondamenta di qualsiasi relazione, figuriamoci in quella di coppia. Riuscire adesprimere pensieri, paure e desideri è l’unica maniera per farsi conoscere e far in modo che l’altro ci capisca. Se la nostra storia sta affrontando un periodo complicato, il tenersi dentro quello che pensiamo e i nostri bisogni non farà altro che


Medicina & Salute aumentare la possibilità che ad un certo punto la persona riversi tutto d’un tratto quanto trattenuto. E la conseguenza diretta, non sarà altro che sconvolgere ancora di più le dinamiche. Sempre all’interno di problemi comunicativi rientrano la tendenza a nascondere le cose o ancora non ammettere di essere in torto oppure esprimersi in modo brusco. Questi sono tutti esempi di atteggiamenti che potranno mettere ancora più squilibrio. Anche se non è semplice, soprattutto all’inizio è importante cambiare rotta, appena si diventa consapevoli di queste dinamiche per far si, che il rapporto cresca in un contesto sano e costruttivo. Il terzo errore è avere delle aspettative irrealistiche: aver riposto troppe aspettative non farà altro che farvi vedere il vostro rapporto sempre mancante di qualcosa. Il “..e vissero felici e contenti” fa parte solo delle storie fantastiche, non esiste una rapporto perfetto. Le storie vere, sono fatte anche di incombenze o fasi di vita, come per esempio quando nasce un figlio che matematicamente desta-

bilizzano la coppia. È inevitabile, e ci vuote tanta costanza e impegno per riuscire a costruire un nuovo bilanciamento e andare avanti. D’altra parte prima si era in due e poi in tre, per cui cambiano i compiti, le priorità ecc ecc.. non può essere più come prima, per forza la coppia deve cambiare e così di nuovo se dovesse arrivare un ulteriore pargolo. E ancora.. essere continuamente criticati può far mettere in crisi il rapporto. La fase di innamoramento, come accennato prima è la periodo in cui si idealizza il partner, da fuori può addirittura sembrare un “delirio”, vengono attribuite qualità anche non per forza veritiere. Il problema viene dopo, finito questo momento, può emergere invece un lato ipercritico di uno dei due e questo può portare irrimediabilmente alla fine dell’amore. Soprattutto le critiche mirate sulla persona e non sul comportamento che ci da fastidio fanno arrivare all’altro senso di inadeguatezza, il pensiero di essere sbagliato o addirittura cattivo. Ed infine: cedere alla monotonia. All’inizio è tutto facile, si vuole fare mille

cose con l’altro, ma basta il passare di un po’ di anni che tutto quell’entusiasmo finisce. È difficile, ma è necessario trovare ogni tot qualche attività che rianimi il rapporto. Logico non deve essere una forzatura, ma l’obiettivo da perseguire sarà trovare delle attività divertenti o accattivanti da condividere. Cerchiamo di non pianificare tutto, di dare spazio alle sfumature, ai dettagli. Risulta essere importante anche prendersi cura di se, per se stessi ma anche per l’altro. Cerchiamo di tenere sempre attiva l’intimità e cerchiamo di condividere con l’altro i nostri pensieri, le nostre paure e i nostri desideri. Le relazioni sono come le piante, hanno bisogno di continua cura altrimenti un giorno potremmo essere travolti da qualcosa di più grande di noi. Come si dice, l’amore da solo non è sufficiente per tenere legate due persone per la vita, ci vuole impegno e determinazione. * Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel. 388 4828675

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BENESSERE&SALUTE

Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo

di Rolando Z

ambelli

Corretto utilizzo delle lenti a contatto morbide Le lenti a contatto (LaC), in base ai materiali con cui vengono prodotte, si possono suddividere in due categorie: lenti a contatto rigide gaspermeabili e lenti a contatto morbide. Le LaC morbide si dividono in due grandi famiglie a seconda dei materiali (polimeri) con cui vengono costruite, LaC in Idrogel e LaC in Silicone Idrogel. Si possono suddividere anche in base alla tipologia di porto: monouso o a ricambio frequente (settimanali, quindicinali, mensili, trimestrali, semestrali e annuali). È importante seguire le indicazioni che il contattologo in sede di applicazione spiega, il portatore deve attenersi a queste regole di igiene e manutenzione per ottenere il meglio dalle LaC usandole in modo efficace e sicuro. Metodologia per un utilizzo efficace e sicuro delle LaC morbide ● Prima di applicare la LaC DEVI lavarti ed asciugarti accuratamente le mani ● NON usare l’acqua per pulire le LaC

Per le LaC a ricambio frequente, dopo ogni utilizzo, pulisci (strofinando la lente con la soluzione unica consigliata dal contattologo sul palmo della mano), disinfetta, risciacqua e conserva nella soluzione consigliata ● Le LaC monouso (o giornaliera) dopo ogni utilizzo DEVONO essere gettate. ● Richiudere sempre il flacone della soluzione conservante ● Dopo ogni utilizzo il portalenti deve essere svuotato (non lasciare la soluzione e riutilizzarla), dev’essere pulito (NON con l’acqua, ma con la soluzione di manutenzione delle LaC) e poi asciugato. ● Il contenitore DEVE essere sostituito una volta al mese ● Utilizza le LaC per il tempo per cui sono indicate (una settimana, 15 giorni, un mese, . . . ) e per il tempo che il contattologo consiglia (es: solo qualche ora al giorno) ● Applica le LaC prima di truccarti e

rimuovile prima di struccarti NON usare le LaC nel mare o in piscina (oppure indossa gli occhialini da nuoto e poi getta via le lenti) ● NON dormire con le LaC, a meno che non siano lenti apposite ● Le LaC e le soluzione di manutenzioni sono state scelte appositamente per te: non cambiare tipo senza aver prima consultato il tuo applicatore. ● In caso di fastidio, arrossamento o altri disturbi NON applicare le LaC, contatta immediatamente il tuo contattologo e/o rivolgiti al medico oculista. È importante che il portatore verifichi periodicamente con il contattologo che la soluzione di manutenzione e le lenti stesse continuino ad essere le più idonee, vanno quindi effettuate visite di controllo periodiche per evitare qualunque possibile complicanza. ●

Fonti: SOPTI (Società Optometrica Italiana) Assottica

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Che tempo che fa

di Giampaolo Rizzonelli Meteo Levico Terme

Levico Terme, 24 agosto 2020 Una giornata “meteo memorabile”

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l giorno 24 agosto si può dire che ha posto la parola “fine” all’estate meteorologica (che è terminata il 31 agosto), certo avremo ancora belle giornate con temperature miti, ma difficilmente (sperando di non essere smentito) rivedremo ondate di caldo afoso di provenienza nord africana, con massime abbondantemente al di sopra dei 30°C, come è avvenuto per 9 giorni nel corso del mese di agosto 2020 (meno

Fig. 1 - Nebbia sopra Levico 24/08/20

Ma la giornata di lunedì 24 agosto non era ancora terminata, nel pomeriggio è transitata una linea di instabilità che unita alla forte convezione pomeridiana ha portato al formarsi di un temporale molto intenso che ha colpito in particolar modo la città di Levico Terme, dove nel giro di circa due ore (tra le 20.00 e le 22.00) ha scaricato su Levico ben 40 mm di pioggia (dati della stazione dell’Osservatorio Meteorologico www.meteolevicoterme.it), pari al 6,67% della pioggia caduta

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che in altre estati fortunatamente) con un picco di +35,8°C registrato il primo giorno del mese. Cosa ha avuto di particolare la giornata del 24 agosto a Levico Terme? Innanzitutto la mattina ci siamo svegliati con una nebbia che ad agosto è fenomeno piuttosto raro, generata dal contrasto termico da un lato tra l’aria raffreddata da correnti umide, fresche ed instabili di origine atlantica e dall’altro dal terreno e soprattutto

l’acqua dei laghi ancora molto calda (l’acqua di superficie del lago di Levico il giorno 22 agosto misurava ancora +27,7°C). La nebbia è ben documentata da due immagini, la prima, vista da sotto (fig. 1) dalla webcam del sito www.meteolevicoterme. it, e la seconda vista da sopra (fig. 2) dalla Kaiserjargerstrasse a quota 770 metri sotto forma di “mare di nubi”, lo spessore dello stato di nebbia era di circa 200 metri.

Fig. 2 - Nebbia sopra Levico vista dalla Kaiserjagerstrasse

da inizio anno sulla città termale e pari a circa il 40% della pioggia che cade normalmente nell’intero mese di agosto (ricordo che un mm di pioggia per metro quadrato equivale ad un litro). L’immagine del radar in fig. 3 delle ore 21.15 nel momento in cui le precipitazioni erano più intense, mostra un colore “fondo scala” con un’intensità pari ad oltre 100 mm/h (cosiddetto “rain rate”).

Fig- 3 - Radar (fonte Meteotrentino) intensità precipitazioni ore 21.15


Che tempo che fa Numerosi sono stati i fulmini rilevati durante il temporale dei quali si ha una indicazione dalla fig. 4 e dalla relativa legenda, da notare la particolare “concentrazione” degli stessi sopra Levico Terme. L’episodio temporalesco ha portato ad un brusco calo della temperatura che nel giro di poche ore è passata da una massima di +24,4°C e da una temperatura ad inizio temporale di circa +19°C a +14°C a fine evento, facendo registrare la minima del giorno in tarda serata, ritoccando la temperatura della mattina (vedi Fig. 5) Il calo della temperatura si è ripercosso anche sull’acqua del lago di Levico, che nella mattina del 25 agosto era già scesa a +24,4°C (3°C in meno rispetto al weekend precedente il peggioramento).

Fig. 5 - Temperatura dell’aria Levico Terme 24/08/20 www.meteolevicoterme.it

Fig. 4 - Fulmini temporale 24/08/20 ore 21.50 (fonte Meteotrentino)

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Ieri avvenne di Mario Pacher

L’arrivo del mais in Trentino

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a polenta in Trentino è sempre stata considerata un cibo prelibato. Nei trascorsi decenni le tavole dei nostri antenati, soprattutto di quelli che si dedicavano alla coltivazione della terra, erano sempre imbandite di polenta che bene si accostava con qualsiasi tipo di companatico. Durante i mesi invernali, in particolare, il piatto comune era polenta con crauti, lucaniche e cotechini. Ma quando ebbe inizio da noi la coltivazione del granoturco? Ricerche di studiosi testimoniano che in Trentino il mais è arrivato nel XVII secolo, sicuramente dal Veneto. Infatti Francesco Ambrosi scrive che “nel Trentino fu conosciuto fin verso il 1647. La sua introduzione fu dapprima lenta, attesa la ripugnanza che sentiva il popolo di cibarsi della farina di questo grano”. Possiamo allora dire che la comparsa di questa novità, destinata ad avere ampia fortuna, non è facilmente databile. Giancrisostomo Tovazzi lo registra sul mercato di Trento già nei primi decenni del 1600, ma non si sa se di importazione o se prodotto in loco, o una presenza del tutto occasionale. Nella seconda metà del Seicento invece, il mais risulta nominato in diversi documenti relativi alle decime. Nel corso del secolo la sua presenza è tuttavia ancora minoritaria rispetto agli altri cereali, quali frumento, segale, avena, miglio e, fra le ragioni vi è certamente anche la lentezza delle modificazioni delle abitudini alimentari. Sicuramente l’espansione del mais è tutta settecentesca e nella seconda metà del secolo, complice anche una serie di crisi degli altri cereali, può dirsi affermata la sua supremazia. Come scrive sempre Ambrosi, “Nel 1752 si coltivava

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quasi dappertutto ed era diventato il cibo ordinario della gente di montagna. Il granoturco, o semplicemente “sorgo” o giallo come molti amano ancora oggi chiamarlo, è coltivato su una grande estensione di terreno dalle basse valli a circa 800 metri di altitudine, e fra i cereali è quello che ha avuto maggiore diffusione, in quanto alimento abituale della classe povera della nostra popolazione”. La grande diffusione del mais è documentata anche dalle indagini commissionate da Filippo Re per gli “Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia”, relative agli inizi dell’Ottocento, anche se questo cereale non risulta fra quelli riportati dal corrispondente Riccabona per l’agricoltura di Cavalese. Il mais, affermava anche lo studioso Agostino Perini a metà dell’Ottocento, “è fra i cereali la pianta più diffusamente coltivata nelle basse valli del Trentino e si estende oltre la regione della vite e del gelso, come lo dimostra la valle di Primiero, ove i campi sono quasi esclu-

sivamente tenuti a granoturco, mentre vi manca del tutto la vite, e vi sono rare le piante di gelso”. Riguardo alle superfici interessate dalla coltura del mais e alle produzioni, sono disponibili anche per quel periodo molti dati, per la verità non sempre concordanti fra loro. Indicativamente e con una certa approssimazione, si può parlare, per l’Ottocento, di 12-13 mila ettari coltivati a mais in Trentino. Le produzioni erano nella metà dell’Ottocento, sempre secondo Perini, circa 702.000 staia, pari a 315 mila quintali. La Valsugana presenta delle interessanti potenzialità per la coltivazione di varietà tradizionali e per la produzione di farina da polenta. Alcuni anni fa a Roncegno e a Caldonazzo fu ripresa, dopo decenni, la coltivazione di una qualità di mais chiamato “Spin” che si era perduta nel tempo ma poi i chicchi, come sementi, furono ritrovati, casualmente, presso il Museo di San Michele.


Cose da mamme… e da papà di Elisa Corni

I detersivi ecocompatibili fai da te

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ul web e anche nel mondo reale il modo di vivere la maternità e la paternità sta profondamente cambiando. Tra autosvezzamento, babywearing e pannolini lavabili i genitori mostrano sempre maggiore interesse e curiosità per modelli non convenzionali per crescere i loro figli. Uno degli aspetti che sta suscitando maggior dibattito è legato a detersivi, saponi e prodotti per la pulizia e l’igiene. Infatti, numerose inchieste a livello internazionale hanno evidenziato come troppo spesso i prodotti che troviamo nei supermercati non la raccontano tutta giusta. Uno studio norvegese dell’aprile 2018, a esempio, evidenziava come i detergenti per le pulizie sono dannosi per i nostri polmoni come e quanto il fumo di sigaretta. E così sempre più genitori si domandano: “con cosa metto a contatto il mio bambino tutti i giorni”? Crescendo il senso critico aumentano le domande e si cercano quindi risposte che possano soddisfare necessità e richieste collegate alla salute nostra e dei nostri bambini. Così, un po’ alla volta sono nati, soprattutto nell’immensità del web, gruppi, blog, chat dedicati all’autoproduzione di detersivi e detergenti. Prodotti che spesso sono anche associati a una visione “green”, a una certa attenzione per il pianeta e l’ambiente. Sì, perché questi prodotti, dall’anticalcare al detersivo per pavimenti, sono realizzati utilizzando prodotti come bicarbonato, percarbonato o acido citrico, tutti a basso impatto ambientale. Inoltre in questo modo si riduce moltissimo anche la produzione di rifiuti: addio a imballaggi usa e getta se ci si produce il proprio detersivo. Se a

questo si aggiunge che tutto ciò costa decisamente poco, ecco la ricetta perfetta per una moda che può avere un grande successo. Ma bisogna fare attenzione, perché non è tutto oro ciò che luccica. Bisogna verificare le fonti e la loro preparazione. Soprattutto sui social compaiono post che decantano, a esempio, le proprietà pulenti dell’aceto come sgrassatore, detersivo, ammorbidente (pare che faccia anche il caffé). Sappiate che non è così. Innanzitutto l’aceto è altamente dannoso per la flora e la fauna acquatica; l’acqua degli scarichi, della lavatrice e del WC alla fine, seppur depurata, finisce dove pesci e alghe vivono. Scaricare una bottiglia di aceto nel bidet può provocare danni ambientali non da poco. Oppure utilizzare una soluzione di bicarbonato (basico) e aceto (acido) non ha nessun effetto anticalcare, dato che le due basi, come ci insegna la chimica, si annullano. Più efficace e soprattutto ecologico è l’acido citrico, facilmente

reperibile. Altro mito da sfatare: sciogliere il sapone di Marsiglia e aggiungervi il bicarbonato non vi farà avere un buon detersivo per la lavatrice! Ce lo dice Sara Alberghini, laureata in chimica e autrice di un seguitissimo blog di autoproduzione. “Nell’acqua, specie quella dura, sono presenti ioni di calcio e magnesio che vanno a legarsi al sapone formando sali insolubili che precipitano sui tessuti indurendone le fibre e ingrigendole.” Sì, perché autori come Sara (al secolo Mamma Chimica) non danno solo consigli e ricette, ma spiegano i principi scientifici alla base di determinate ricette. Nel suo blog, come in molti altri, scienziati ed esperti di chimica possono fornire buone indicazioni e ricette per produrre detergenti e detersivi a basso impatto ambientale, senza profumi o sostanze dannose (come i parabeni o i petrolati), per mamme e papà volenterosi - e con un po’ di tempo libero.

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Tra poesia, pittura e prosa

La mia amica d’infanzia Voglio ringraziarti amica mia, lo voglio fare pubblicamente perchè mi hai sempre tenuto la mano percorrendo con me le strade impervie della mia infanzia, per poi stringermi ancora piu forte quando ho intrapreso il buio della mia adolescenza . Voglio ringraziarti amica mia perchè dentro a quel buio c’erano sempre i tuoi occhi che mi rassicuravano e non si spegnevano mai. Voglio ringraziarti amica mia perchè assistevi soffrendo alle costrizioni e alle violenze che il destino mi riservava per mano di chi avrebbe dovuto amarmi di piu. Voglio ringraziarti amica mia perchè le tue parole oggi mi aiutano a riscoprire il passato, guardandolo in faccia con la sfida e il coraggio di una donna che non ha piu paura del buio e che ha graffiato la roccia pur di arrampicarsi e conquistare la liberta’. Voglio ringraziarti amica mia perchè sei stata sorella quando credevo all’inganno. Al di la’ di quelle tapparelle abbassate percorrevi la strada ascoltando la mia sofferenza. Da lontano condividevi con me la reclusione e la solitudine, sapevi che dietro a quella finestra aprivano ferite sul mio corpo indifeso, e da lontano mi sostenevi quando la paura attanagliava il coraggio di ribellarmi. Mi hai amata quando nessuno mi amava, mi hai considerata quando elemosinavo attenzioni da coloro che mi rifiutavano. Mi elevavi quando mi denigravano. Sei stata il sorriso piu bello del mio passato e oggi continui a sorridermi come allora. Oggi mi accorgo della tua mano ancora stretta alla mia che mi aiuta a guardare avanti costruendo un destino piu bello,

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che stiamo percorrendo ancora insieme come una Daiana Berloffa volta. Oggi grazie a te posso guardare da lontano quella bambina che piange e le mie labbra possono dimenticare quei nomi che troppe volte ho ingenuamente invocato. Mi hai fatto comprendere il motivo di tutto. La mia diversita’ era la causa di ogni rifiuto, una diversita’ meravigliosa che ha costruito nel bene, trasformando in amore ogni maceria di vita. Ti sei curata in silenzio della mia terra, hai risollevato il mio stelo piegato, per restituirmi la dignita’. Voglio ringraziarti, amica mia, perche quella tua mano sempre vigile e attenta mi stringe con forza ogni volta che sto per cadere in rimpianti che non esistono. Dedicata, con infinito bene, alla mia amica e sorella Michela Carner. di Daiana Berloffa


Passatempo italiano di Elisa Corni

puzzle La storia del

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er passare il tempo in quarantena alcuni di voi avranno sicuramente tirato fuori da soffitte polverose e armadi dimenticati scatole e scatole di puzzle. In effetti i produttori e i negozi confermano quanto sia aumentata la richiesta di questi giochi di pazienza in grado di occupare ore e ore della nostra vita alla ricerca di quel benedetto pezzettino mancante… Pensate che la Ravensburger, la più grande produttrice di puzzle del mondo, ha dovuto fronteggiare un aumento delle vendite del 370%, con cifre simili al periodo natalizio. Ma vi siete mai chiesti quale sia la storia che si nasconde dietro a uno dei passatempi più amati della storia? Compagni di giochi per grandi e piccini ebbero la loro età dell’oro in un altro grande momento di crisi dell’età contemporanea: si diffusero capillarmente negli Stati Uniti proprio durante la Grande Depressione. Ma la loro storia ha radici molto più profonde. Non si sa bene chi li abbia inventati, ma si sa quando e dove. Era il diciottesimo secolo e nel Regno Unito le classi abbienti compravano le “mappe sezionate”, ovvero mappe geografiche disegnate su tavolette di legno intagliate in pezzi che dovevano essere incastrati tra loro. I primi puzzle avevano dunque una funzio-

ne prettamente didattica: i bambini potevano così studiare la geografia e memorizzare continenti e paesi di tutto il mondo. Leggenda vuole che il primo a realizzarli fosse un intagliatore e incisore della scuola del geografo di Giorgio III, tal John Spilsbury, che nel corso degli anni Sessanta del Settecento cominciò a produrle. Una di queste “mappe sezionate”, con cinque

pezzi mancanti, è ancora esposta alla British Library. L’altra ipotesi è che a pensarle fosse un’istruttrice di origini francesi, Jeanne-Marie Le Prince de Beaumont, che le avrebbe usate un decennio prima per insegnare ai suoi allievi la geografia. Per la diffusione di massa, a costi più bassi, si dovette aspettare la seconda metà dell’Ottocento grazie all’utilizzo di litografie e sistemi di stampa ed incisione più economici. Ai soggetti

geografici, piano piano, si accostarono immagini storiche o bibliche, mantenendo così lo scopo didattico-educativo di questi strani oggetti. Ma poi, con la diffusione anche nelle classi meno abbienti di questi strumenti di diletto, le immagini iniziarono a ritrarre filastrocche, canzoncine, storie, fiabe e favole della tradizione. Nel corso dei primi decenni del Novecento tutta una serie di innovazioni fecero avvicinare questi divertenti rompicapi a ciò che conosciamo oggi: la stampa su cartone, soggetti dedicati anche agli adulti con paesaggi e immagini differenti rispetto al passato, l’immagine sulla scatola per sapere cosa si doveva ricostruire, sempre più pezzi. Ma è solo dopo la seconda guerra mondiale che i puzzle diventano ciò che conosciamo: nel 1977 la Ravensbuger realizza il primo puzzle da 5.000 pezzi. Allora, come oggi, la ditta tedesca però fa realizzare a mano il disegno, che poi è stampato su carta adesiva, incollato sul cartoncino e infine tagliato con una pressa. Oggi molti sono pezzi da collezione, in formato 3D, rappresentano monumenti ed edifici, hanno difficoltà notevoli, sono realizzati nei materiali più disparati e presentano difficoltà sempre nuove. Quello che rimane immutabile nel tempo è la soddisfazione una volta finito il rompicapo!

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E' ORA DI CAMBIARE!

Cristini io iz r u a M a cura di

CRUCI...TRENTINO

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Il cambio di una sola lettera di ciascuna parola, ne genera un'altra di diverso significato. Se avrete trovato le giuste lettere, leggendole di seguito otterrete il nome di un bel Parco nella zona del Tesino. Per meglio chiarire e facilitare il gioco, viene riportata la soluzione della prima parola proposta.

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ONORARE - ................................................................................................................... = .................... A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome del forte austro-ungarico eretto

ACCESSO - ................................................................................................................... = ....................

presso Vigolo Vattaro a difesa di Trento nel primo conflitto mondiale. A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà ORIZZONTALI: Un animale come M 49 - 5. Ricevono le riviste per Vattaro Posta - 10. a Avviare l'attività del negozio il nome del forte 1.austro-ungarico eretto presso Vigolo difesa di Trento neldopo il periodo di quarantena COVID - 12. Sigla da treni Inter City - 13. La prima parola del "5 Maggio" - 14. A volte si primo mondiale. desta conflitto quella generale - 18. Un piccolo e simpatico roditore molto diffuso nei boschi trentini - 20. L'esclamazione di

SPRAZZO - ................................................................................................................... = ....................

Archimede - 21. Vive nella garzaia - 23. La Terra nei prefissi - 24. Gruppo Sportivo - 26. Messina - 27. Attributo per... killer - 29. Comando che arresta - 30. Fa accendere ... una lampadina! - 32. Fu la più nota diva sex symbol francese

SOVENTE - ................................................................................................................... = ....................

ORIZZONTALI: Un animale come- 36. M Era 49 inutile - 5. Ricevono le riviste perdiPosta 10. (iniz.) - 33. Sacrilego1. - 35. L'articolo di Cordobes portarne a Samo! - 37. L'inizio un'aria -- 38. Vende gioie e preziosi - 40.del Si formano sulla pelle in seguito a irritazione o a punture di insetti - 41. La- troppa confidenza Avviare l’attività negozio dopo il periodo di quarantena COVID 12. Sigla da non le giova! - 43. I confini dell'...Uganda - 44. Il più famoso eresiarca - 45. Spesso si cita con l'uno - 48. Quello di treni IntereraCity - 13. La- 49. prima parola - vocali 14. A- 52.volte quella Guinizelli "dolce e novo" Bagnati fino alledel ossa “5 - 51.Maggio” Le prime tre Cima si del desta Lagorai nella zona del Vanoi. - 18. Un piccolo e simpatico roditore molto diffuso nei boschi trentini generale 1. L'artedi giapponese del creare oggetti piegando fogli di carta --2.23. Inoltrare una domanda - 3. Salerno 20.VERTICALI: L’esclamazione Archimede - 21. Vive nella garzaia La Terra nei prefissi 4. Alacre, affaccendata - 5. Si ripetono negli animali - 6. Un candido e tenero formaggio francese - 7. Pregiata varietà di - 24. Gruppo Sportivo - 26. Messina - 27. Attributo per... killer - 29. Comando che caviale - 8. Il nome del Rocco che allenò il Milan - 9. Il peccato capitale... più breve! - 11. Un nucleo di abitazioni come il "Furo" di Levico Terme - 15. Vi appassiscono le uve Nosiola-destinate del diva Vin Santo - 16. Il arresta - 30. Fa accendere ... una lampadina! 32. Fuallalaproduzione più nota sexTrentino symbol cuore di Mike - 17. Le porte resistenti agli incendi, caratterizzate da un "numero REI" - 19. Trasformano molto in mirto! francese (iniz.) - 33. Sacrilego - 35. L’articolo Cordobes - 36. Era inutile - 22. Il tipico sentore olfattivo che caratterizza i vini Merlotdi e Cabernet - 25. Materia scolastica con portarne tante date - 28. Il più famoso drammaturgo - 29. -La38. provincia più agioie sud nelle Marche (sigla) - 31. Si Alta, svettante - sulla 34. Ne' tuo a Samo! - 37. L’inizionorvegese di un’aria Vende e preziosi - 40. formano ne' suo - 36. Maschi, gagliardi - 39. Non si vede l'ora che arrivino! - 40. Vi parte il traghetto per La Maddalena - 42. La pelle o adeipunture insettiruscelletti - 41. La troppa confidenza non cittàin delseguito Maraschinoa- irritazione 46. Le consonanti Tudor - 47.di Minuscoli - 49. Cantava Tutto il resto è noia (iniz.) 50. Articolo per bimbo. le giova! - 43. I confini dell’...Uganda - 44. Il più famoso eresiarca - 45. Spesso si cita con l’uno - 48. Quello di Guinizelli era “dolce e novo” - 49. Bagnati fino alle ossa - 51. Le prime tre vocali - 52. Cima del Lagorai nella zona del Vanoi.

PADRINI - ................................................................................................................... = .................... CORROSO - ................................................................................................................... = .................... BOMBOLA - ................................................................................................................... = ....................

SOLUZIONI NR. DI LUGLIO 2020 CRUCI...TRENTINO: CASCATA DEL VALIMPACH CRUCI... TRENTINO

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VERTICALI: 1. L’arte giapponese del creare oggetti piegando fogli di carta - 2. Inoltrare una domanda - 3. Salerno - 4. Alacre, affaccendata - 5. Si ripetono negli animali - 6. Un candido e tenero formaggio francese - 7. Pregiata varietà di caviale - 8. Il nome del Rocco che allenò il Milan - 9. Il peccato capitale... più breve! - 11. Un nucleo di abitazioni come il “Furo” di Levico Terme - 15. Vi appassiscono le uve Nosiola destinate alla produzione del Vin Santo Trentino - 16. Il cuore di Mike - 17. Le porte resistenti agli incendi, caratterizzate da un “numero REI” - 19. Trasformano molto in mirto! - 22. Il tipico sentore olfattivo che caratterizza i vini Merlot e Cabernet - 25. Materia scolastica con tante date - 28. Il più famoso drammaturgo norvegese - 29. La provincia più a sud nelle Marche (sigla) - 31. Alta, svettante - 34. Nè tuo nè suo - 36. Maschi, gagliardi - 39. Non si vede l’ora che arrivino! 40. Vi parte il traghetto per La Maddalena - 42. La città del Maraschino - 46. Le consonanti dei Tudor - 47. Minuscoli ruscelletti - 49. Cantava Tutto il resto è noia (iniz.) - 50. Articolo per bimbo.

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QUESITO A SCHEMA

A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome del più noto salto idrico presente lungo la Valle del torrente Centa. (CASCATA DEL VALIMPACH)

QUESITO A SCHEMA: IL CALCIATORE

QUESITO A SCHEMA IO

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VERTICALI: 1. Ha una sorella o un fratello maggiore di lui - 2. Principio, metodo adottato nell'agire - 3. La Nilde, 6 R e rossi E - 5. In quel L posto - 6. Il primo I eletta alla S Presidenza I della Camera V dei O prima donna Deputati - P 4. Serve bianchi sfortunato volatore - 7. Articolo per scolaro - 8. Sono pari nel pianto - 9. Hanno tutte almeno un'ancora - 10. Diletta o 7 città ai piedi del Conero - 16. Aumenta giorno dopo giorno! - 17. appassionaI chi si reca P A R A L Ea Celado,Vnel TesinoO- 14. La Un particolare monopattino a ruote parallele - 19. Donna di Trento o di Oslo - 20. Piccolo laghetto in alta Val dei Mocheni - 24. Filosofo greco considerato Si beve con i pasticcini - 29. A inizio e fine E matematica N - 27. E Z I U M E 8 Vil padre della dell'epidemia - 35. Terra liquida bollente - 40. Non esiste solo la Sugana! - 42. Temuta malattia della vite - 44. Asti - 45. Testa e coda di topo 9 - 48. Ne' tua ne' sua - 50. Quel di Carota è famoso - 52. Sigla dell'Associazione internazionale che 9 P dal bereE- 53. La targa... T etneaR- 54. SiglaOdella Svizzera. L I F Adipendenza aiuta chi ha

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ORIZZONTALI: 1. Gioco di parole non facilmente pronunciabili - 11. Il Ramazzotti cantante - 12. Un'immaginetta sul desktop - 13. Esteso insediamento urbano - 15. Il West per gli italiani - 18. Acquisire, procurarsi - 21. Il cammino 1 della pratica Batte in petto si perde2 inB un pagliaio, E - 22. SulVviso, alcuni O sono vezzosi C - 23. A R - 25. SeE Anon lo 1si trova più! 26. Un dottore in breve - 27. Prendere... a Roncegno! - 28. Tante sono le "z" in Caldonazzo - 30. La prima e l'ultima di Wilson - 31. Si ripetono nei noiosi - 32. Vale acetone se letta da destra a sinistra - 33. La targa di Aosta - 34. Palla in 3 G Mille e E N - 38.UGrande attore F italo-francese che I di S. Benedetto N rete! - 36.C La provincia delOTronto - 37. cinquanta romani sposò Simone Signoret (iniz.) - 39. Targa del Capoluogo irpino - 41. Mitico, valoroso - 43. Quella centrale porta all'altare L maggiore -E 46. CuoreSdi goldenS- 47. Situata - 49. G più profonda I OLo SvevoVscrittore - 50. Il più A nella4 parte famoso Edgar Allan - 51. Preposizione semplice - 52. Si ripetono nell'arsenale - 53. Dopo di lui iniziano le riprese e si 5 gira - 55. A Stazione diN fermata ferroviaria dismessa Strigno e Grigno. I N C O T fraT I

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ba, bo, ca, ci, ci, cri, do, e, e, fe, fe, fles, ge, gio, i, in, li, lie, lu, me, ne, no, no, not, nu, pa, pe, po, pre, ra, re, ro, sa, si, sia, spez, ti, ti, tro, va, ve, vo, vo, vo, za, zia.

Trovate le parole rispondenti alle definizioni date, aiutandovi con le sillabe qui elencate alla rinfusa. Le lettere nelle colonne a

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Il numero di settembre di Valsugana News è stato chiuso in redazione il 3 settembre 2020


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