M'aggio arzà e M'arzo

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Rovista

un passatempo dentro il cassonetto

M’aggio arzà e M’arzo.

Non apparteniamo a nessuno, se non al lampo di quella lampada ignota, inaccessibile, che tiene svegli il coraggio e il silenzio.

Né in Italia

Né in Albania

Né altrove

Tutti i CPR sono

Lager di Stato

I lager per senza documenti nel nostro paese nascono nel 1998 con l’ossimorica etichetta di CPT (Centri di Permanenza Temporanea) per mano del governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi, con la legge firmata da Livia Turco e Giorgio Napolitano – e il sostegno tra gli altri anche di Verdi e RifondazioneComunista.

La Legge Turco-Napolitano è la prima legge organica in ambito di immigrazione: prima di allora i governi avevano regolato la materia soprattutto tramite Decreti Legge. Gli ultimi in ordineditempo,icosiddettiDecretiDini, furono i primi ad aprire alla possibilità che il giudice potesse restringere la residenza di un migrante a una location in particolare, per finalità di identificazione ed espulsione, ponendo di fatto le basi per l’introduzione della detenzione amministrativa (che, tra l’altro, era tra le misure per combattere l’immigrazione “irregolare” incluse tra i requisiti d’ammissione all’area Schengen).

Macos’èladetenzioneamministrativa?

Unaformadiprigionia,legatanontanto a ciò che si è fatto quanto a ciò che si è: irregolare, perl’appunto. Sonosoggettia

il cpr è un lageril cpr è un lageril cpr è un lager

detenzione amministrativa i migranti i cui documenti non sono in regola. Sono gli indesiderati, stipati in un mattatoio in attesa di essere deportati (spesso neancheversoilloropaesediorigine).

I centri di trattenimento per senza documenti hanno cambiato denominazione(daCPTaCIEpoiCPR)e tempi massimi di detenzione svariate volte.

Ma non hanno mai cambiato la loro naturadilagerincuilepersonevengono sottoposteatorturadiStato.

Un processo di annientamento della persona 1312

alle trattenut nei CPR viene assegnato un numero identificativo con cui vengono chiamat al posto del loro nome

che ha inizio ben prima della prigionia nei CPR e che coincide con la mercificazione dei corpi migranti. Dal trasporto all’accoglienza, dalla detenzione alla deportazione, alla schiavitù del lavoro sommerso, alla tratta. I corpi monetizzati dei migranti imbandiscono le tavole addobbate a festa di aziende e governi. Secondo “l’Espresso” (25/10/23) sono 56 i milioni di euro previsti nel periodo 2021-2023 per affidare la gestione dei Cpr a soggetti privati.

Vermi e psicofarmaci nel cibo scaduto, medicine e cure mediche negate a chi ne ha bisogno, avvocati e mediatori inesistenti. Molti ricorrono ad atti di autolesionismo. Ci sono testimonianze di bocche cucite col fil di ferro per evitare la deportazione, strappato a mano, di forza, dagli sbirri. Pezzi di lamette mandati giù per uscire dal CPR. Impossibile avere contatti con l’esterno, dare notizie ai propri cari. Le mura di silenzio che circondano la vita dentro i CPR sono invalicabili. Il nulla totale del tempo che passa senza poter fare niente, letteralmente niente, circondati dall’abominio mentre si viene annientati.

Poi c’è chi non ce la fa. Come Ousmane Sylla, morto impiccato a 22 anni nel CPR di Ponte Galeria. Oppure il ragazzo malato di asma nel CPR di via Corelli a Milano, deportato con un “rimpatrio volontario” che di volontario non aveva proprio nulla.

Dietro a queste scelte c’è la disperazione.

Illustrazione di Ilaria Palleschi

Se pensiamo agli spostamenti umani notiamo che sono regolati con gli stessi parametri usati per il flusso dellemerci.Comeavvieneconlemerci,simuovonosu percorsi tracciati dalla condizione di legalità o illegalità, di regolarità o irregolarità. Così si fabbricano precise categorie di umanità in movimento: turisti, studenti, lavoratori stranieri regolari e, dall’altro lato, clandestini, migranti economici, richiedenti asilo, rifugiati. Gli individui vengono catalogati a seconda della domanda e dell’offerta del Capitale: funzionale o nonfunzionale,schiavodiriservaoeccedenza.

I migranti ritenuti meritevoli saranno integrati all’interno di quel sistema che è innanzitutto emblema della tutela dei diritti e della dignità umana. Gli altri saranno considerati, da quello stesso sistema, irregolari. Privi di documenti validi diventeranno schiavi di fatto intrappolati nelle maglie del lavoro sommerso. Oppure scarti umani su cui lucrare, rinchiusi nei CPR in attesa di essere deportati. Chi si trova in un CPR viene rimpatriato contro la sua volontà, attraverso l’uso di psicofarmaci e di altri metodicoercitivi,percuiiltermine“deportazione”èdi granlungapiùidoneodi“rimpatrio”.

E' lo stesso annientamento a favorire il processo di mercificazione. L’essere, di fronte al nostro essere, che non riconosciamo come individuo è già un oggetto. Il migrante (prima ancora di divenire uno schiavo o uno scarto umano) non è un individuo: è un oggetto. Gli oggetti si producono per produrre ricchezza: diventano merci e le merci non meritano empatia. L’individuo divenuto merce costa poco e produce ricchezza, direttamente, come schiavo, o indirettamente come numero su cui lucrare.

Ogni volta che un individuo esercita la sua forza su un altro, divenuto oggetto, lì avviene la Tortura.

Avviene nei reparti psichiatrici, negli istituti di cura, nelle carceri, nei centri di permanenza per il rimpatrio. Avviene attraverso la somministrazione coatta di sedativi, la contenzione meccanica, l’isolamento forzato e prolungato nel tempo, la negazione delle relazioni umane, soprattutto degli affetti, dell’agire. La negazione delle informazioni sulla propria vita, sul proprio futuro, sul proprio stato di salute. Avviene attraverso l’uso della violenza, dei manganelli, dello stupro. Avviene per mano dello Stato, attraverso le Forze di Polizia.

C’è un muro di silenzio che imperversa attorno ai CPR.

A livello mediatico si tende per lo più a mantenere nell’invisibilità la violenza quotidiana, sistemica, strutturale esercitata dallo Stato sulle soggettività migranti, nei territori della Democrazia. Tutto tace e deve tacere. Finché un singolo avvenimento, magari, il suicidio di un giovane di ventidue anni della Guinea, irrompe nella scena, attirando su di sé le luci sfavillanti della spettacolarizzazione. L’avvenimento viene reso un fatto eccezionale e l’eccezionalità nasconde ancora più a fondo la norma. Contemporaneamente, si innalza un simulacro sulla pubblica piazza, un monito per chi non è direttamente colpito: ricordate che anche questo è la Democrazia – ma non badateci troppo - finché il vostro nome è nella colonna dei “meritevoli”, non può succedervi nulla di male. Per chi è recluso in un CPR comunicare con l’esterno è reso quasi impossibile e chi prova a guardare all’interno non può che farlo dal buco della serratura.

In un testo divulgato durante il corteo del Brennero del 2016, un corteo che voleva impedire la costruzione di un muro anti-migranti annunciata, al tempo, dal governo austriaco, compariva questa riflessione: «Che significa affermare, in un’epoca in cui le parole sembrano aver perso ogni senso e ogni forza, che una cosa è inaccettabile? Quante volte si è accettato ciò che si dichiarava di non poter accettare?»

Le uniche volte in cui è stato chiuso un CPR è stato quando è stato reso inagibile dalle rivolte dei detenuti che hanno deciso di non accettare l’inaccettabile.

L’unica violenza legalizzata è quella dello Stato ed è l’inaccettabile che continuiamo ad accettare.

Migr Azioni intime

Salimah, raccontami dei tuoi colori, della farina incrostata sotto le unghie di nonna, di come, bambina, ti vestiva mamma o zio ti sgridava.

(Ti puntano a dito, lo vedo, non ti distrarre, racconta.)

Che cosa sanno i tuoi occhi che io non so? Le linee della vita sui palmi sono come le mie, eppure ancora non so come dividere il pane con te.

(Forse anche loro hanno tanta paura...)

Mi hanno detto fa' come Cristo comanda oppure

bisogna tornare bambini. Allora, facciamo una cosa: ecco una caraffa di tè, due mele, un biscotto.

Hai sete, Salimah? Hai fame?

Vuoi giocare con me?

RobinCorradini

Dare i numeri, Jerome vuole dare i numeri perché si sente un numero, uno di quelli in fondo. Jerome ama dire il suo numero, perché è così ritmico perché dà conforto, pensare sia unico.

Ma Jerome balbetta, e nel segnare il suo numero qualcosa la perdo, qualcosa la duplico. Ed ecco che Jerome si sdoppia, la testa gli scoppia perciò ora dà i numeri, sta dando i numeri.

Oh Jerome io piango, per te io piango, perché centri il problema ma non riesci a superarlo

Parole: Phren.etico

Nella pozza di bile argentata che hai rigettato ci hai visto specchiato il tuo numero - l'ultimo.

Ora sei stella, e in questo mi illumino posso chiamarti, non più darti un numero.

nell'indovinello è celato l'inganno

Immagini: Agenzia di Viaggi Interplanetaria
La posta della libertà
Lo Sguardo dalla Torre, Gunther Anders, 1934

Quando il marinaio Dil abbandonò il porto del suo paese natale per attraversare in dieci anni tutti i mari del mondo, promise all’anziana madre che le avrebbe inviato da ogni luogo, per sperduto che fosse, un segno di vita.

Per due anni la madre fu raggiunta ogni mese da una cartolina; e a seconda della stagione il suo figliolo la esortava a catramare la barca, a ridipingere la cancellata del giardino, o a potare il pero.

Durante questi due anni la madre fu raggiunta puntualmente dai suoi messaggi e per lei fu come se il figlio le fosse accanto: poi Dil si ammalò in un porto lontano e si accorse che per lui si stava avvicinando la fine.

“Cosa dovrei dire a mia madre della mia fine, sempre più vicina?”, chiese al suo capitano. E si fece portare un pacco di cartoline con il francobollo già stampato e cominciò, nelle ore che ancora gli rimanevano, a scrivere quelle cartoline che sua madre avrebbe dovuto ricevere nei successivi otto anni.

Su ciascuna era indicata una data diversa, su ciascuna un diverso nome del porto, e su ciascuna il marinaio scriveva di come andasse a meraviglia, che aveva ricevuto le sue cartoline, e che lei, a seconda della stagione, doveva catramare la barca, o potare il pero.

Quando concluse la corrispondenza dei successivi otto anni, Dil consegnò il pacco al capitano, lo pregò di spedire una cartolina al mese finché non fossero finite, e morì.

Per tre anni la madre ricevette puntualmente i messaggi del suo figliolo. Era felice che il tempo della sua assenza si stesse accorciando, era orgogliosa di lui e trovava la forza di vivere di cartolina in cartolina. Dopo cinque anni dalla partenza del figlio, si stese nel letto, e anch’ella morì.

Il capitano tuttavia non immaginava che la madre del marinaio morto fosse morta, e tenne fede al suo impegno con assoluta regolarità.

E ogni mese inviava la posta del figlio, morto da tempo, alla madre morta.

Così i messaggi continuarono a viaggiare da nessuno a nessuno.

Le barche continuarono a dover essere catramate e il pero a dover essere potato. Ma nessuno catramava. E nessuno potava.

Weekend Martyr – Gastrin (cdr, Cruel Records – Gigiabooking, 2024) - Livorno
https://acquanonpotabile.wordpress.com/

“Non possiamo permetterci di rimanere in silenzio”

Intervista a un anarchico israeliano.

02/01/2024 DI INVICTA PALESTINA

Di seguito viene riportato un estratto dell’intervista apparsa sul sito invictapalestina.org (/archives/50196) ad un anarchico israeliano.

Come sei diventato anarchico?

La risposta breve è punk. La risposta più lunga è ovviamente un po’ più difficile. Crescendo come colono sotto un regime coloniale di apartheid, sul lato “giusto” del muro, definito ebreo dallo stato, naturalmente non ci si aspetta che ti ribelli e che non diventi una guardia carceraria come gli altri. Cresci circondato da immagini militariste, indottrinamento sionista a scuola, con eventi storici come l’olocausto e la religione ebraica utilizzati come armi per aumentare il patriottismo e la propaganda nazionalista. La versione del giudaismo che viene insegnata qui è che noi siamo il popolo eletto, questa terra ci appartiene per decreto divino, Dio è un agente immobiliare che può essere utilizzato in qualsiasi disputa fondiaria, e tutti gli altri sono destinati a essere cittadini di seconda classe al massimo.

È davvero difficile spiegare ai compagni all’estero quanto sia collettivo il progetto sionista. Israele non ha una vera società civile. Tutto è accettabile, purché entro confini molto limitati e predefiniti. Puoi essere di sinistra, gay, freek, qualunque cosa tu voglia – siamo liberali illuminati e c’è posto per tutti – ma sii sionista, presta servizio nell’esercito, sii un cittadino leale e non insistere. Se puoi, sii anche bianco e ricco. Qualsiasi passo al di fuori del consenso nazionale fa di te un traditore illegittimo.

La visione ristretta o ribellione all’interno del panorama sionista può essere dimostrata, ad esempio, nel movimento di protesta di massa per “salvare la democrazia israeliana” durante i pochi mesi (attualmente in sospeso a causa della guerra) contro la riforma giudiziaria.

Anche quando gli israeliani scendessero in strada a centinaia di migliaia ogni fine settimana contro quello che è chiaramente un tentativo di colpo di stato di estrema destra, farebbero comunque tutto il possibile per non menzionare l’apartheid e

Jo Fenz

l’occupazione dei palestinesi, e combatterebbero per salvare la “Democrazia ebraica”, vale a dire, un regime di superiorità etnica riservato solo a loro, lo status quo. I due lati di questo movimento caratterizzano un conflitto interno su come gestire meglio l’apartheid, l’approccio liberale contro l’approccio fascista. Ovviamente, chiunque vinca, le popolazioni non ebraiche di questa terra, in primis i palestinesi, perderanno sempre.

Quindi, dato questo contesto, la “sinistra israeliana” non è attraente per chi cerchi una vera giustizia per questo luogo. Data la natura della situazione, noi coloni di buona volontà che cerchiamo di unirci alla resistenza anticoloniale, unico movimento rivoluzionario nella regione e in prima linea in qualsiasi cambiamento radicale, non possiamo farlo come israeliani, dall’interno, ricercando modi per riformarla e migliorarla. Al contrario, dobbiamo liberarci di ogni identità coloniale e sviluppare strumenti e risorse per un efficace tradimento razziale. Dobbiamo sviluppare una politica anti-israeliana, rivoltarci contro la nostra società e unirci agli oppressi e ai colonizzati, sotto le loro condizioni e la loro leadership. L’anarchismo mi dà sia il linguaggio che gli strumenti per immaginare questa politica. Per me, non esiste una “società anarchica” per cui lottare, poiché questo non è un obiettivo finale.

Vedo l’anarchismo come un movimento di resistenza, un arsenale di strumenti per gli oppressi di tutto il mondo per combattere l’attuale distopia, e questo è principalmente ciò che mi attira in esso.

Veronika Beccabunga

Chamberlain Cyan

V.

Il Generale V si fermò di fronte allo specchio. Alzò le spalle, gonfiò il petto e sistemò le mostrine sulla giacca. Incurvò le labbra verso l’alto e scoprì i denti in un sorriso smagliante. “Congratulazioni Generale, la nazione è nelle sue mani”.

L’immagine che vedeva di fronte a sé era quella di un grande uomo destinato a grandi imprese. Un uomo nelle cui vene scorreva il sangue di Giulio Cesare. Un uomo che aveva lavorato duramente per arrivare fino a lì, superando montagne di insidie, scalando gerarchie e catene di comando, calpestando i corpi dei deboli che avevano osato mettersi sul suo cammino.

I suoi nemici l’avevano ostacolato con ogni mezzo: gli intellettuali avevano lanciato le loro invettive, la stampa aveva provato a ridicolizzarlo, orde di studenti perdigiorno avevano infestato le piazze, per non parlare della persecuzione giudiziaria. Lui era sempre rimasto in piedi, fiero, determinato, sprezzante del pericolo.

E i suoi nemici ora erano in esilio o marcivano in galera o bruciavano all’inferno. Aveva vinto.

Allora perchè si sentiva così? Cos’era quel vuoto incolmabile dentro di lui? Quel silenzio assordante che lo teneva sveglio tutte le notti?

La guerra era finita ed un nuovo ordine era alle porte. Il Generale era lì, a rappresentare la nazione, durante la storica stretta di mano fra il presidente russo e quello americano. Un solo impero, unito nel nome di Dio. L’occidente bianco, ultimo baluardo della civiltà contro la barbarie, che tornava a rivendicare la propria supremazia sul mondo. Le sue amicizie a Mosca avevano permesso al Generale di ritagliarsi un ruolo di spicco nelle trattative diplomatiche. Agli occhi del mondo intero era diventato l’uomo del dialogo, colui che aveva posto fine alla guerra. Le masse acclamavano il suo nome.

La gente aveva soltanto voglia di lasciarsi alle spalle gli orrori del conflitto e lui era l’uomo forte al comando, l’unico che aveva la capacità e la determinazione di guidare il paese in questo delicato periodo di transizione, verso una nuova era di ordine e stabilità.

L’unico in grado di raddrizzare la nazione, di eradicare quelle storture ideologiche che erano state la causa del nostro declino. La normalità, il buon senso comune, i sani valori di una volta tornavano finalmente a vincere sulla perversione imposta dalla dittatura delle minoranze. Tutto grazie a lui.

E allora perché sua moglie non riusciva più a guardarlo negli occhi? Perché sua figlia era diventata quella cosa aliena e indecifrabile che gli faceva tanta paura? Cos’era quell’abisso oscuro dentro di lui che sentiva crescere giorno dopo giorno? Perché non riusciva più a dormire?

Il Generale era convinto che fosse opera dei suoi nemici. Quello che era successo a sua figlia ne era la dimostrazione più lampante. Non sapeva come ci fossero riusciti, ma in qualche modo la loro orrenda depravazione aveva infettato la sua famiglia. Era l’effetto di qualche tecnologia segreta? O si trattava forse di magia nera? Cominciò ad essere ossessionato da quell’idea al punto di non riuscire a pensare ad altro.

La moglie lo invitò a parlarne con uno psicologo e con grande riluttanza V acconsentì. Non fu una buona idea. Il Generale odiava andare lì. Le cose che quell’uomo gli diceva lo facevano sentire piccolo, debole, insicuro. Così lo picchiò selvaggiamente con tutta la forza che aveva in corpo e poi lo spedì a finire i suoi giorni in un campo di rieducazione. Paradossalmente quell’esperienza fu molto più terapeutica di tutte le precedenti sedute. Mentre sentiva le ossa spezzarsi sotto i suoi pugni e vedeva il sangue sgorgare copioso sulla moquette, il Generale sentì l’Abisso dentro di sé ridere e gridare di gioia e diabolica soddisfazione.

Non aveva bisogno di uno psicologo. Non era pazzo. Quel vuoto che sentiva dentro non era una maledizione, era la sua grande forza. E grazie ad esso sarebbe riuscito a schiacciare tutti i suoi nemici, ad estirpare dal mondo ogni traccia di anormalità. Così prese l’abitudine di passare le notti insonni nel suo studio, in piedi davanti allo specchio, guardandosi fisso negli occhi, senza distogliere mai lo sguardo da quei profondi occhi neri.

Finché l’oscurità rompeva gli argini delle sue pupille e scorreva fuori, libera, riempiendo la stanza e avvolgendolo in un gelido abbraccio. Ed erano soli, lui e l’Abisso. E il Vuoto gli parlava, gli sussurrava cose indicibili, gli rivelava segreti. Si convinse che quella cosa con cui stava parlando fosse Dio.

Decise di non dirlo a nessuno, l’avrebbero preso per pazzo. Lui era stato scelto. Nessuno poteva capire. Cominciò ad isolarsi, a passare sempre più tempo solo con l’Abisso, a consultarlo prima di ogni decisione. Il grande Vuoto gli suggeriva nuovi modi per torturare i suoi nemici, per annientare i loro corpi e le loro menti, nuove vie per imporre l’ordine sul caos strisciante dell’anormalità. Divenne il suo primo consigliere, il Generale cominciò a seguire alla lettera ogni sua indicazione, ad eseguire ogni suo volere. Sembrava avere la soluzione per ogni problema.

Le Guerre Climatiche erano la sfida più grande per l’Occidente bianco.

Era questo il nuovo termine in uso per riferirsi al fenomeno migratorio. Le guerre del clima. Enormi masse di migranti che si riversavano sulle coste della nazione, che fuggivano da aree del mondo desertificate dove non era più possibile vivere. Quando al Generale veniva chiesto da qualche giornalista impertinente se non ci fossero dei modi più umani di affrontare la questione, lui tirava sempre fuori una storia che gli aveva raccontato l’Abisso.

“Immaginate che il nostro paese sia una barca in un mare in tempesta. È una barca solida, che resiste alle intemperie, che è in grado di tenerci tutti a galla fino alla fine della tormenta. Ora, immaginate che ci siano milioni di naufraghi che provano a salire sulla nostra barca, sono così tanti che l’imbarcazione non può reggerne il peso. Affonderebbe sicuramente. Quale sarebbe dunque la scelta moralmente più corretta? Lasciare che salgano e condannare tutti a morte certa? O piuttosto impedirlo con qualsiasi mezzo, anche a costo di aprire il fuoco sui naufraghi, in modo da salvare la vita dell’equipaggio? Quale delle due scelte è più di buon senso, nell’ottica della difesa della vita umana?”.

Il più delle volte i giornalisti non sapevano bene cosa rispondere.

V era riuscito ad imporre questa narrazione nel dibattito pubblico, a farla diventare normale.

Certo, c’erano ancora delle sporadiche sacche di resistenza, gruppi terroristici di traditori della patria che lottavano per la causa migrazionista. Ma quella storia si era insinuata nella mente delle persone e con essa vi era entrato anche l’Abisso. Poteva sentirlo crescere, infettare le loro anime. Non era pazzo. Tutto stava andando secondo i piani. Bastava avere sempre una buona storia da raccontare e qualsiasi azione poteva essere giustificata agli occhi dell’opinione pubblica.

I Centri di permanenza per il rimpatrio divennero di fatto dei campi di sterminio.

Il Generale amava farvi visita, come se fossero i suoi personali zoo umani.

Si aggirava fra le gabbie sorridendo come un bambino, a volte chiedeva di farne sedare qualcuno per vederli da vicino. Gli ricordava di quando da piccolo toccava la pelle degli stranieri per strada per vedere quanto fosse diversa dalla sua. “Io non vi odio - diceva - io devo combattervi perché siete il mio contrario. Fa parte del grande ordine delle cose.” E il Vuoto dentro di lui rideva.

“Bisogna compiere il male per raggiungere il bene” gli sussurrava. Non potevano capirlo i suoi oppositori, gli studenti che si facevano massacrare in piazza, i fanatici che combattevano dalla parte dei clandestini, gli intellettuali in esilio che lo chiamavano “assassino”. Quei luoghi di dolore e morte erano un male necessario per un bene più grande. V non sapeva esattamente in cosa consistesse questo bene, la sua mente non riusciva a razionalizzarlo, ma l’Abisso gli aveva mostrato l’unico futuro possibile: quello in cui la civiltà occidentale era la sola a sopravvivere all’apocalisse. Stava guidando l’umanità verso il suo destino. La comunità internazionale cominciava ad accettare tacitamente i suoi metodi e diversi leader mondiali stavano seguendo il suo esempio. I suoi alleati crescevano di numero, il potere della sua influenza aumentava. Pensò che presto avrebbe controllato il pianeta intero.

Avrebbe regnato sulla Terra nel nome dell’Abisso e il suo impero non avrebbe mai avuto fine. E allora finalmente il mondo avrebbe visto chi era. Quando il piano sarebbe stato compiuto tutti avrebbero compreso la sua grandezza. E anche i suoi nemici si sarebbero inginocchiati a lui e l’avrebbero riconosciuto come salvatore dell’umanità. Ed ogni difformità sarebbe stata cancellata e finalmente tutto il mondo sarebbe stato normale, come lui. E sua moglie avrebbe ricominciato a parlargli e sua figlia sarebbe tornata a casa guarita e si sarebbero sentiti di nuovo una famiglia e sarebbero stati felici. “Quando sarà il momento? Quando regnerò sul mondo in tuo nome, oh Dio? Quando sorgerà il mio Impero?”. L’Abisso non rispondeva mai direttamente a quella domanda. Quello che faceva era provocargli delle visioni. Le immagini che travolgevano la sua mente erano soltanto una minuscola frazione del suo grande piano, qualcosa di così maestoso e terribile da sfuggire alla comprensione umana. E il Generale gridava e piangeva e rideva di orrore e sublime follia e macchiava

di urina la divisa nuova. “Non c’è gloria più grande di partecipare alla costruzione di una piramide” gli mormorava l’Abisso, e V si abbandonava all’oscurità e scacciava via tutti i pensieri e le preoccupazioni e lasciava che ci fosse solo il Vuoto a riempirlo.

Tutto ciò che contava era l’esecuzione del piano. Non importava più nulla se sua moglie se n’era andata, se sua figlia l’aveva sempre odiato, se non si era mai sentito amato in vita sua. Non provava niente quando il mercoledì andava a trovarla alla “Clinica per le deviazioni di genere”, nessuna emozione quando la vedeva uscire da quella porta, un’ombra che non assomigliava per niente a sua figlia, un fantasma. “Sua figlia è una stronza, Generale” ringhiava la suora che la teneva stretta al guinzaglio come un animale. “Ma la raddrizzeremo noi, nel nome di Dio!”. Non gli facevano alcun effetto i suoi lividi, quegli occhi spenti dai quali era stata strappata via ogni traccia di vita. “È per il suo bene”, pensava. Ogni deviazione va estirpata. Per il bene più grande. A qualunque costo. La strada verso la gloria eterna è lastricata di sacrifici.

“Io non vi odio, io devo distruggervi perché siete il mio contrario, perché la vostra stessa esistenza nega la mia. Perché io sono l’ordine e voi il disordine. Io servo il Vuoto e voi servite il Caos.” V continuava a ripeterlo come un mantra dietro ai vetri antiproiettili della sua auto blu, mentre quella brulicante melma arcobaleno tentava di avanzare verso di lui. Saranno stati un migliaio, poteva sentirli gridare come furie, mentre maledivano il suo nome facendo piovere sassi e fumogeni. Nessuno si aspettava di trovarli lì quel giorno, quello doveva essere un incontro riservato.

Dopo tanto tempo il Generale si trovò a provare la sensazione ormai dimenticata di una sorpresa inattesa. Non l’avevano previsto nemmeno i suoi servizi di sicurezza, a giudicare dallo sparuto gruppo di forze dell’ordine che provavano ad arginare la protesta. Avrebbe voluto scendere dall’auto ed affrontarli personalmente, avrebbe fatto vedere a quelle bestie come ci si batteva. Ma aveva cose più importanti da fare quel giorno. L’Abisso l’aveva portato lì per una ragione. Ufficialmente era un incontro d’affari: banchieri, imprenditori, oligarchi, Ceo della Silicon Valley, tycoon dei media. Un gruppo esclusivo di investitori internazionali che avevano manifestato interesse per il partito del Generale. Ma V sapeva che quello era un tassello fondamentale nel grande mosaico, quell’incontro avrebbe influenzato radicalmente il corso degli eventi. In qualche modo dovevano averlo percepito anche le forze del Caos. Gli agenti eseguirono una carica di alleggerimento per sgombrare il piazzale. Il sangue bagnò i sampietrini e il Vuoto emise un gemito di piacere. Non c’era rituale migliore per celebrare quell’evento.

I manifestanti arretrarono e le guardie del corpo scortarono il Generale fino all’entrata. Mentre saliva le lunghe scale di marmo quel poco di umano che c’era rimasto in lui provò un briciolo di emozione. “È giunta l’ora? - chiese all’Abisso - Sta per sorgere il mio impero?” Aprì la porta e li vide, stretti nelle loro giacche scomode, seduti attorno a quel tavolo ovale. “Benvenuto Generale, la stavamo aspettando”. Alzarono tutti lo sguardo e lo scrutarono con quei loro occhi neri come la notte. “Gloria al Vuoto!” recitarono in coro.

“Sei a casa ora” sussurrò l’Abisso. E il Generale capì perché il Vuoto l’aveva portato lì e per la prima volta lo vide com’era davvero, qualcosa di inesprimibile attraverso il linguaggio, un’entità che abita dimensioni non percepibili dai nostri sensi, che attraversa lo spazio-tempo come un corpo che si immerge in un liquido. E vide i suoi filamenti di oscurità avvolgere il mondo e penetrare nelle menti degli uomini, fino a renderli gusci vuoti, puri esecutori della sua volontà. “Il tempo è giunto! Che il Grande Piano sia rivelato” dissero in coro, ma nulla di umano c’era nelle loro voci. Era il Vuoto a parlare. E V sentì la sua testa riempirsi di cose che nessuno avrebbe mai voluto vedere, di segreti cosmici e orrori inenarrabili. “Il Vuoto deve consumare! Il Vuoto deve consumare!” ripetevano ossessivamente mentre ogni tassello prendeva la giusta posizione nella mente del Generale. Il Vuoto deve consumare.

Come un demone ha posseduto l’anima del mondo, l’essenza di tutte le nostre idee, di tutti i nostri sogni, la storia che contiene tutte le storie. E si è sostituito ad essa, fino a diventare l’unica storia possibile. Ha avuto molti nomi. Prima è venuto come un redentore, promettendo agli uomini la libertà, e loro l’hanno chiamato liberalismo, capitalismo, democrazia. Poi ha mostrato il volto di un dio violento e spietato, offrendo forza, sicurezza, purezza, e ha preso il nome di fascismo, conservatorismo, autoritarismo. Due entità apparentemente separate e in opposizione, due aspetti di un solo Dio. E così ha ingannato per secoli l’umanità, fagocitando ogni narrazione, conquistando le menti e manipolando le idee.

Il Vuoto deve consumare. È il suo unico scopo. L’unico grande bene superiore. È un parassita cosmico che si nutre della nostra realtà. Ci ha allevati come bestiame al solo scopo di far proliferare sul pianeta la società neoliberista, la manifestazione fisica dell’Abisso, un mostro che cresce a dismisura fino a distruggere il pianeta, fino ad eradicare ogni forma di vita. Finché non resta nient’altro che il Vuoto. Questo è il Grande Piano.

Il Generale chinò la testa e vomitò sulla scrivania. Nessuno dei presenti ebbe la minima reazione. Attesero che si rialzasse ansimante, poi uno di loro fece un grottesco sorriso innaturale. “Siamo alla fase finale, Generale. La grande mietitura è iniziata. Il Vuoto deve consumare. Nei prossimi 100 anni la vita sulla Terra sarà completamente estinta. Il nostro compito è addestrare un’elite di prescelti che lasceranno il pianeta e andranno a colonizzare lo spazio, così che il Vuoto possa consumare ancora e ancora, per l’eternità. Il suo compito invece, Generale, è quello di accompagnare il suo popolo verso il proprio destino, essere il volto paterno e autoritario che dirà loro che va tutto bene, che è tutto sotto controllo, mentre la temperatura continua a salire, le loro città vengono sommerse, i loro boschi bruciano.” Il Generale non parlava. Tutto quello a cui riusciva a pensare era quella domanda a cui l’Abisso non aveva mai dato alcuna risposta: “Quando sarà il momento? Quando regnerò sul mondo in tuo nome? Quando sorgerà il mio impero?”.

Il grigio uomo d’affari si avvicinò a V con uno scatto repentino e gli poggiò una mano sulla spalla. “Darà loro qualcuno da odiare, una tradizione da difendere, un mito in cui credere e nessuno si accorgerà del mondo che muore sotto i loro occhi. Non è un compito semplice, le forze del Caos si opporranno. Proveranno a contrastarla in tutti i modi, proveranno a sopravvivere. Ma confidiamo in lei, Generale. Ha dimostrato di essere capace, votato al sacrificio. Un fedele servo dell’Abisso.”

V si schiarì la voce ed esitò un istante. Poi con un filo di voce chiese: “Quando comanderò sul mondo? Quando sorgerà il mio impero?”. Scoppiarono tutti in una fragorosa risata e il Generale sentì anche il Vuoto ridere dentro di sé. Ridere di lui, di quanto era stato sciocco a credere di essere l’unico, ad avere la presunzione di essere un Messia, un prescelto, mentre era solo una pedina di secondo piano di un gioco molto più grande di lui, manovrato come una marionetta da un’entità che lo percepiva allo stesso modo in cui noi percepiamo un microbo. Quanto era stato stupido a pensare di essere speciale, a sognare un futuro in cui tutte le sue nefandezze, tutte le mostruosità che aveva compiuto avrebbero improvvisamente acquistato senso, a desiderare che ci fosse davvero un grande bene superiore che giustificasse quell’orrore. Quanto era stato ingenuo.

E mentre tutti ridevano del Generale, anche lui iniziò a ridere. A ridere di gusto, fino a perdere il fiato, mentre qualcosa dentro di lui si rompeva e nella sua testa risuonava una voce nuova, una voce mai sentita prima che diceva che nulla è vero e tutto è permesso e l’unica legge è: fa ciò che vuoi. E per la prima volta nella sua vita fece davvero ciò che voleva, quello che desiderava di più in quel preciso istante. Prese la sua semiautomatica e sparò in faccia all’uomo che aveva davanti e poi aprì il fuoco all’impazzata su tutti i presenti. Senza mai smettere di ridere.

E il Vuoto urlò di dolore e tutti coloro che nel mondo erano sotto la sua influenza gridarono all’unisono fino a farsi sanguinare le corde vocali. V cominciò a correre verso l’uscita mentre sentiva l’Abisso crescere dentro di lui, presto avrebbe perso il controllo e sarebbe stato suo per sempre. E allora decise di compiere l’ultima grande impresa della sua vita, un gesto che sarebbe entrato nella storia e che avrebbe segnato simbolicamente la fine di un’era. Irruppe fuori dall’edificio facendo fuoco contro il cordone di polizia di contenimento. Gli agenti corsero in ogni direzione in preda al panico e in un attimo i manifestanti furono addosso al Generale. Mentre veniva linciato dalla folla V si chiese se quest’ultima sua scelta, finalmente libera, non fosse invece anch’essa parte delle macchinazioni di altre entità, se non fosse di nuovo un’inconsapevole pedina di una guerra fra entità cosmiche. Pensò che in fondo poi non importava così tanto e lo pensò giusto in tempo, un istante prima che un sasso gli spaccasse la testa. E il Vuoto gridò di disperazione mentre sentiva affievolirsi il suo controllo sulla realtà e vedeva allontanarsi il futuro in cui avrebbe divorato il mondo. E il Caos rise perché era stata una risata a seppellire i suoi nemici. Perché i suoi figli avevano vinto una battaglia. E la guerra era ancora lunga, ma la voglia di ridere era ancora tanta.

Larga la foglia

stretta la via

il disegno a pag. 6 è di Silvia Cane a pag. 20-21 e 34-35 sono di Elisetta.

Rovista è autoprodotta e antifascista

Se vuoi partecipare puoi mandare un contributo a edizionimandarino@gmail.com

Edizioni Mandarino ringrazia

El panin coa cotoetta* Gaveva perso na scarpetta

E ora pensa a na roba matta De anda a comprare na savatta

*cotoetta in veneto vuol dire gonnellina

“Ricchi e Poveri confusi e malmenati dalla Carrà”

ATTENZIONE! contiene dialetto veneto, spagnolo sbagliato e francese sbagliatissimo

Bonus Album Estate 2024

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Io ti noto

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Stessa nota

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Autunno
2021
Tutti i disegni a mano, rigorosamente sovrappensiero, sono di Nino

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