Panorama Bresciano Ottobre 2012

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Anno 2 - OTTOBRE 2012 nr 8

Magazine di Attualità Economia Finanza Cultura Storia Enogastronomia Territorio

OTTOBRE 2012

€ 1,50

PANORAMA BRESCIANO A TUTTA BIRRA

alla scoperta dei birrifici artigianali bresciani

IL CASO MATISSE parla Rocco Vergani FÈR la vita in ferriera BRESCIA-MATERA 110 anni di fratellanza PAOLINA CALEGARI TORRI i salotti culturali del XIX secolo OSCAR TABONI fisarmonica d’autore



PANORAMA BRESCIANO Magazine di Economia Finanza Attualità Cultura Storia Enogastronomia Territorio

SOMMARIO Editoriale 05 La scoperta della birra 07 Ostriche&Champagne Attualità 08 L’innovatore venuto dall’Austria 10 Fratelli Trami 14 Birrificio Leonessa 16 Codice a Barre 20 Badef 22 Birralab 24 Brewery 26 Quella gran matassa di Matisse 31 Fèr

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I birrifici bresciani

Storia & Cultura 33 Luoghi di delizia 35 Brescia-Matera un legame di 110 anni Musica 37 Oscar Taboni Sport 46 Bugei: l’arte della guerra Salute 50 La dieta Dukan 51 La cucina mediorentale Tu r i s m o 54 Turisti dello spazio Scienza 36 Restauro da incubo Te c n o l o g i a 48 Copyright: Apple vs GooPhone

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Il caso Matisse

L’evento culturale Fèr

IN COPERTINA OTTOBRE 2012

€ 1,50

PANORAMA BRESCIANO A TUTTA BIRRA

alla scoperta dei birrifici artigianali bresciani

IL CASO MATISSE parla Rocco Vergani FÈR la vita in ferriera BRESCIA-MATERA 110 anni di fratellanza PAOLINA CALEGARI TORRI i salotti culturali del XIX secolo OSCAR TABONI fisarmonica d’autore

Bionde, scure, rosse. Ce n’è per tutti i gusti. Il Bresciano non è solo territorio di vino ma anche di birra. Spazio al caso Matisse - Artematica e a Fèr, l’evento culturale dedicato alla vita di ferriera.

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Luoghi di delizia

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editoriale

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La scoperta della birra

Andiamo a berci una birra e ci vediamo per un caffè sono frasi entrate ormai nel linguaggio comune come sinonimo di compagnia e chicchiere tra amici. In questo numero abbiamo deciso di approfondire la prima tra le due bevande votate ai sodalizi amicali di lunga o breve durata. Ebbene sì, Brescia non è solo terra di vino. Vanta anche una certa competenza in fatto di bionde, rosse e scure, più o meno alcoliche ma sicuramente originali e artigianali. Storie di amici, di mariti e mogli, di piccoli imprenditori che sono partiti dalla cantina di casa per dare vita al loro personale concetto di birra sana, gustosa, di qualità. La strada non è certo in discesa perchè si devono fare i conti con la crisi economica, gli inevitabili intoppi burocratici e la cultura italiana così tradizionalmente ancorata al vino. Dall’artigianato birraio all’arte. Il passo è ampio e la leggerezza si va a perdere perchè di mezzo ci sono soldi pubblici, numeri inesatti e responsabilità politiche. L’intervista a Rocco Vergani, esponente del Pd che ha sollevato il caso Matisse-Artematica, dà risposte precise a domande che nel corso di settembre si sono accavallate sui quotidiani arrivando fino in Procura. Un filo rosso che dall’arte in grande passa all’arte demandata all’iniziativa privata ci ha portato a dare spazio alla bellissima iniziativa Fèr. Non è stato facile cercare di rendere con immagini e parole l’intensità dell’esperienza culturale offerta dal trio Ranzanici-Cristiani-Tocchella nei locali recuperati in via Gioberti a Brescia. Le ricerche condotte da Mariella Annibale Marchina hanno poi fornito altri spunti di inediti approfondimenti sulle origini di Paolina Calegari Torri e sul sodalizio BresciaMatera rinsaldato in occasione dei 110 anni dalla visita di Giuseppe Zanardelli. Buona lettura. Paola Castriota

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OSTRICHE& champagne Lo scandalo della Regione Lazio è esploso con schegge di spaventosa arroganza: un altro tassello dell’antipolitica si è formato, ma essere ‘anti’ può voler dire anche essere a favore della politica senza essere contro tutto e tutti.

L di Danilo Stefani

L’antipolitica non nasce per caso. Come tutti gli anti che non sono casuali, serve complicità e dedizione. Si possono infatti sfasciare le Istituzioni sotto i colpi ciechi del perseverante modus operandi della classe politica italiana, che sembra fatta apposta per crearsi un’antitesi, un morbo che la uccida. E’ possibile distruggere il rapporto tra Stato e cittadino (cioè quel poco che ne rimane). La sfiducia di cui si nutre la politica è ormai ai massimi storici. Molto concorre alla disgregazione del sistema: la politica di governo ha abdicato al suo ruolo primario passando nelle mani tecniche del prof. Monti e, quindi, all’auto commissariamento; la sinistra non è stata pronta a cogliere il fallimento del centrodestra dimostrandosi ancora una volta un formicaio sperimentale di buone intenzioni e nessuna edificazione; i partiti a sostegno di Monti dovrebbero, per lo meno, trovare un accordo sulle riforme buone per tutti e invece non riescono a far di meglio delle liti tra bottegai, tutti uniti per perdere affidabilità e consenso. Nella crisi che dura e perdura (nonostante le luci nel tunnel viste da Monti) il cantiere dello scandalo è sempre aperto perché i Lusi, i Belsito e i Fiorito non danno tregua e l’indecente opera della distrazione dei fondi pubblici che diventano il flusso di un fiume in piena di denari fuggente sui conti privati e in feste principesche - cosa avranno poi da festeggiare, lo sa solo Dio - prosegue. Scopriamo ogni giorno che la sobrietà sta morendo; ma d’altra parte è mai esistita? Oppure era solo un sogno in cui ci cullavamo grazie al rollio di una politica in bianco e nero, quella pigra e sonnolenta trasmessa da un grigio canale Rai? La Storia d’Italia è disseminata di scandali ed è tutta “a colori” e con varie tinte, perciò tiriamoci via quell’aria da santerelline caste che rischiano la violazione della virtù più intima. L’Italia è l’Italia, signore e signori, prendere o lasciare. E’cambiata però l’arroganza della politica e la nostra consapevolezza. E’ mutata l’informazione. Ma la critica va esercita partendo dalla Storia e non dall’antistoria. Crearsi una verginità intrisa di demagogia e moralismo fanatico non ha senso e non aiuta a capire. L’antipolitica non ha bisogno d’incoraggiamenti fittizi, perché, come dicevamo, la politica italiana si autodistrugge.

Il menù di ostriche e champagne delle cene regionali romane non è affatto diverso dagli sperperi delle altre regioni. E’ solo più eclatante. Credevamo nella fine delle provincie, per risparmiare. Pensavamo che il magna - magna fosse focalizzato solo al livello del parlamento. Adesso scopriamo che ci fanno la festa e ci fanno fessi anche a livello locale. Decentramento, federalismo, tutte belle parole piene di voti e di vuoto. Intanto sentiamo dire che “Grillo è l’antipolitica”. Certo, ma è anti (questa) politica. Non è contro la politica in genere, come si vorrebbe far credere. Tanto è vero che fa politica anche lui, Grillo. E’ facile però fare politica quando si può spargere sale su innumerevoli ferite e si usa un linguaggio urlato sul malcontento. Il governo del Paese è un’altra storia. Per governare vorrebbe candidarsi un giovanotto di 37 anni che viene da Firenze: tale Matteo Renzi. Prima ha lo scoglio delle primarie del Pd, dove deve battere Pierluigi Bersani, il segretario. Renzi è (a prima vista) l’antipolitica al contrario, quella fattiva e rinnovatrice. Il malgoverno ha generato un personaggio finalmente nuovo. Può piacere o non piacere questo fiorentino sindaco di Firenze: ma tira stoccate terribili con garbo e rispetto per l’avversario e, udite udite, pone al centro delle sue idee la rottamazione della vecchia classe politica dirigente. Una classe dirigente che farà di tutto pur di non lasciarsi defenestrare; ma intanto tratta Renzi con rabbioso fastidio, e questo può essere un grave errore. Il giovanotto non sembra aver paura di tirare i calci di rigore. Potrebbero doversi impegnare a fondo quei marpioni storici del Pd per parare i suoi tiri. Non sappiamo se sia un socialdemocratico (come dice Berlusconi), un centravanti di sfondamento o un ala tornante: vediamo però un’azione fluida e una classe sudamericana condita con l’accento fiorentino; sarà difficile che non faccia almeno gol. Dovesse vincere la partita, sarebbe legittimato a festeggiare con ostriche e champagne; ma solo lui, Matteo Renzi, e per una volta sola.

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Chi avrebbe immaginato che, negli ultimi anni in terra bresciana, patria del vino Franciacorta, si moltiplicassero i birrifici artigianali. Eppure così è stato. Del resto la necessità aguzza l’ingegno e i giovani imprenditori locali hanno puntato su una nascente forma di economia artigianale. Ma il primo a crederci veramente è stato Francesco Saverio Wuhrer di Mariella Annibale Marchina archivio di Stato di Brescia

L’INNOVATORE VENUTO DALL’AUSTRIA 8

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Gli storici affermano che questa bevanda era nota sia in Mesopotamia che nell’antico Egitto. Nel Medioevo sappiamo che in Germania si fabbricava già da tempi lontanissimi. Con certezza sappiamo che nel 1275 i mastri birrai teutonici la resero migliore con l’introduzione del luppolo. Tra il XV e XVI secolo la produzione di birra, nella regione della Baviera, segnò il culmine della floridezza di questa industria. Durante le guerre e le pestilenze la produzione della bionda bevanda scemava. Dobbiamo aspettare il XVIII secolo per avere dei perfezionamenti tecnici nella produzione. I migliori mastri birrai furono i tedeschi Kaiser, i Lintner, i Knobloc. Bisogna precisare che la produzione di birra non fu solo una prerogativa della Germania perché si estese rapidamente in tutti i paesi europei e anche nelle Americhe. Italia, paese produttore di vino, fu soltanto importatore di birra. Bisognerà aspettare il XIX secolo, quando sotto la dominazione asburgica si impiantarono le prime piccole industrie. Brescia fu una delle prime città ad avere una produzione propria. Nel 1829 l’austriaco Francesco Saverio Wuhrer (1792-1870) creò la prima fabbrica in via Battaglie n. 12, nella zona della Pallata, Alcuni anni dopo si trasferì nel palazzo Sigismondi di corso Magenta. Poi dal 1838 si portò in contrada Santa Maria Calchera, odierna via Trieste. Visto che il consumo della bevanda aveva ricevuto un grande successo di pubblico e i guadagni ottenuti con l’esportazione nelle province vicine sorridevano al mastro birraio, le autorità gli permisero di acquistare nel 1852 quell’immobile grande in cui quattordici anni prima aveva trasferito il laboratorio, lo spaccio e la famiglia intera. Il laboratorio e la birreria, ubicati di fianco all’allora “Scuola Normale delle Allieve Maestre- Veronica Gambara” procurarono disturbo alle giovani fanciulle. Nel 1861 Francesco Wuhrer chiese alle autorità comunali di poter aprire finestre nella facciata di casa sua posta al civico 468, dove oltre all’abitazione aveva i laboratori di produzione. Nel disegno presentato dall’ingegner Piotti per ottenere l’autorizzazione, al n. 9 è collocata la fabbrica della birra. Visto il successo ottenuto da Francesco Wuhrer altri mastri vollero aprire tra il 1850-1865 fabbriche di birra. Un certo Bellini che aveva ottenuto in affitto una parte dell’ex convento dei Cappuccini nell’odierna via Callegari, chiese all’amministrazione comunale di poter alzare il tetto del portico per poter meglio disporre le sue attrezzature e di ingrandire il condotto dell’acqua. Di questa birreria si sono perse le tracce, così anche di altre nate e poi chiuse, mentre i Wuhrer che avevano conquistato il mercato, aprirono un altro punto di ristoro nei giardini di corso Magenta. Il locale, progettato dall’architetto Tagliaferri, venne chiamato Casino delle Rose. All’interno delle sue mura si poteva bere, mangiare e ascoltare della musica. Si può affermare senza dubbio che questa famiglia austriaca si sia integrata socialmente e politicamente nella società bresciana. I figli di Francesco, Pietro (1849-1912) e Giuseppe, parteciparono alla terza Guerra di indipendenza nel Corpo volontari italiani di Garibaldi, combattendo in Valsabbia. Saranno questi figli che nella seconda metà dell’Ottocento diversificheranno la produzione con l’acquisto di una fabbrica di gassose e di selz. All’inizio del Novecento si sarebbero trasferiti alla Bornata. I Wuhrer sono stati i primi a concepire una gestione moderna dei loro locali. Oltre a sorseggiare la birra, l’avventore poteva gustare anche la buona cucina, accompagnata da musica di qualità.

In copertina la locandina originale della pubblicità della birra Wuhrer con i consigli delle giuste dosi quotidiane. Sopra, il progetto dell’ingegner Piotti del 1861 e la richiesta alla giunta municipale della città di Brescia.

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Trami: i fratelli prodigio Prezzi calmierati, raffinatezza formale e quella semplicità di stile che ricorda le birre belghe e anglosassoni senza dimenticare l’amore per l’armonia che invece è tutto italiano. Cosa c’è di bresciano nelle loro creazioni? Molto a cominciare dai nomi delle diverse tipologie di birre, dedicati allo sport locale. Quale? Non vi resta che leggere per scoprire la filosofia dei fratelli Trami che ha permesso loro di ricevere anche importanti riconoscimenti.

di Gaia Cutrera «Quando, nella primavera del 2009, mio fratello Luca iniziò a punzecchiarmi con questo progetto io gli risposi con una risata e un semplice ma tu sei matto: se ci ripenso oggi, dopo poco più di due anni, due premi nazionali vinti e un fatturato incrementato del 40% sorrido per ben altri motivi» racconta orgoglioso Nicola Trami, l’anima commerciale del duo. Provengono da due settori completamente diversi, la metalmeccanica (Luca) e l’edilizia (Nicola), ma tante passioni li hanno accomunati nel corso degli anni: in primis lo sci («l’unica a giocarsela quasi alla pari») e la birra. Tanta esperienza alle spalle come home brewer poi il salto: il 18 dicembre 2010, dopo un anno passato in attesa di licenze e altre amenità burocratiche, vede la luce il birrificio Fratelli Trami. Tutto è curato fin da subito nei minimi dettagli, a partire dal logo: «Uno stemma araldico che racchiude il nostro passato, rappresentato dai simboli delle nostre precedenti professioni, e il nostro presente, un bouquet di luppolo e malto, accompagnati dall’effige della nostra città, Brescia, che non poteva mancare». Ma al centro di tutto c’è la birra, anzi le birre: una selezione di sei qualità, dalle diverse gradazioni e miscele.

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Ed ecco tornare in gioco lo sci: «Ogni birra ha il nome di una pista che possiede per noi una valenza importante, oltre che un legame stretto con la qualità a cui fa riferimento: abbiamo quindi, tra le altre, la Col De Serf, la prima pista con cui ci siamo mai cimentati, la tipica da principianti, che dà il nome alla Weiss, la birra di frumento ad alta fermentazione dalla quale passa, in genere, l’iniziazione alla bevanda. Oppure, esempio opposto, la Saslong, pista nera che non poteva non sposarsi con una Porter, scura tipicamente inglese dall’aroma intenso e tostato». La nascita del birrificio, che si trova sulla strada principale di Capriano del Colle, ha anticipato di poco il boom, registrato in tutta Italia, della birra artigianale: «Non vogliamo dire di esser stati i precursori di questa tendenza, ma quando abbiamo registrato la società la nostra matricola era la 281esima: ora, ad ottobre 2012, abbiamo toccato quota 450 birrifici artigianali sparsi per il territorio». I due fratelli non si sono affatto buttati allo sbaraglio, ma hanno valutato attentamente, tramite un’indagine di mercato, le possibilità di inserimento nel Bresciano, e si sono affidati all’esperienza di un birraio di fama internazionale che ha dispensato loro consigli preziosi («ma niente sarebbe stato possibile senza la bravura di mio fratello Luca» ci tiene a precisare Nicola). Innovazione è forse la parola d’ordine che più


si sposa con la filosofia di casa Trami: già a partire dai prezzi, decisamente calmierati: «La nostra politica in fatto di prezzi è dettata da una volontà di diffondere la cultura della birra artigianale: abbiamo creato un prodotto che si presenta raffinato nella forma e nell’etichetta, ma che possa essere accessibile a tutte le tasche». La raffinatezza formale è un altro punto vincente che ha permesso a Luca e Nicola d’intercettare un fenomeno in crescita costante: accanto alla distribuzione nei pub e nelle pizzerie, le birre Trami sono molto richieste per catering e matrimoni, come valida alternativa al vino. Nell’ambiente i due gnari originari di Roncadelle sono conosciuti come gli enfant prodige della birra, etichetta che deriva dal successo straordinario ottenuto al “Con-

corso Birra dell’anno 2011” quando, a soli tre mesi dall’apertura, due loro creazioni appena nate accedono alla finalissima: «Nessuno ci conosceva, anche gli stessi organizzatori si son detti stupiti del livello di qualità raggiunto in così poco tempo. Il fatto divertente è che eravamo noi stessi i primi ad esserlo!». L’exploit si ripete, con ancor più successo nel 2012, quando il birrificio ottiene una medaglia d’argento con la Triple (la 3-Tre) e una di bronzo con la Brune (la Grosté). Viene da chiedersi quale sia il segreto della birra Trami: per Luca e Nicola forse risiede «nella semplicità degli stili, che richiamano sì la tradizione belga e anglosassone, ma a cui non può mancare un tocco d’italianità!».

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Segale camuna acqua di Botticino ispirazione inglese

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di Gaia Cutrera

Passa un decennio, durante il quale Nicola affina la sua tecnica collaborando prima con uno stabilimento del bresciano per poi sconfinare nel mantovano: «tutte esperienze che mi hanno permesso di affinare la tecnica, insegnandomi a lavorare sugli impianti e a prendere sempre più confidenza con i procedimenti». Il 2010 è l’anno della svolta, arrivata anche a seguito di una riflessione sull’andamento del mercato italiano del settore: «La cultura della birra, specialmente artigianale, non esisteva in Italia fino a dieci, quindici anni fa: a farla da padrone le 2-3 marche a produzione industriale che si potevano trovare nei supermercati, il che appiattiva di certo l’offerta. Nel bresciano poi a farla da padrone era, ed è tutt’ora, ovviamente il vino, quindi ricavarci una fetta di mercato rappresentava una sfida davvero interessante!» Dalla stesura del progetto sulla carta alla sua concreta realizzazione trascorre un altro anno: si arriva così all’estate del 2011, in cui la macchina organizzativa si mette in moto; si affinano le ricette, si raccolgono i fondi

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e si attendono le licenze dell’agenzia dell’Entrate, necessarie per ottenere l’agognato via libera. «Tutto è definitivamente pronto nel gennaio del 2012, il Birrificio Leonessa (il cui logo è, coerentemente, una leonessa stilizzata, realizzato da un grafico amico di famiglia) è pronto per lanciare sul mercato le sue 3 qualità di birra, tutte d’ispirazione anglo-americana: «La nostra tecnica produttiva si basa sulla semplicità dei malti e su una buona luppolatura; i nomi delle birre si legano all’altra grande passione di famiglia, la musica: la Rising Sun è una rossa da 6.5 gradi dal gusto caramellato e morbido; la Bubamara è una birra chiara da 5,6, secca ed estremamente luppolata, infine l’American Rye è la più leggera 4,6 gradi- ad alta fermentazione, prodotta con malto Pale e la segale che arriva direttamente dalla Valcamonica». Il legame diretto con il territorio è uno dei fattori che sta più a cuore ai coniugi Zanella: «Il nostro obiettivo primario è quello di allargare la rete di distributori in tutta la provincia, crediamo che Brescia rappresenti un


Un sogno cullato da ben dodici anni: corre infatti l’anno 2000 quando i coniugi Nicola e Caterina Zanella si lanciano in una sfida molto particolare, la produzione di birra fatta in casa. Un’idea che ronzava loro in testa da un bel po’. Fatali in questo senso furono i viaggi in Inghilterra, paese in cui non esiste una reale cesura tra birra artigianale e produzione industriale, anzi, i piccoli birrifici sono ben radicati nel territorio, ognuno con le sue specificità. Questo e molto altro ci ha raccontato Nicola, rievocando i soggiorni londinesi di metà anni ‘90.

Nicola Zanella stringe al petto un paio di bottiglie della sua produzione. Il birrificio si trova a Botticino, in via Garibaldi. Il titolare insieme alla moglie Caterina usa ingredienti locali ma l’ispirazione per le ricette originali proviene dall’Inghilterra, patria della birra e terra di grandi amatori.

terreno fertile, fondamentale diventa in questo caso la collaborazione con i gestori dei locali. Inoltre tutte le nostre birre sono prodotte con l’acqua di Botticino». Già, la distribuzione: la vera sfida di ogni piccolo imprenditore locale: «Per il momento stiamo andando molto bene in città, ci potete trovare presso il Fermento e la Taverna di Paola. Poi, sorprendentemente, abbiamo ricevuto numerose richieste dalla zona del lago di Como e della Brianza, grazie ad alcuni contatti locali». La distribuzione in pub e birrerie non è cosa immediata, anche a causa di una particolare condizione: «Molti pub non hanno un impianto per la birra a spina di proprietà, ma è concesso loro in comodato d’uso da parte dei principali marchi produttori. I due locali che han voluto scommettere su di noi possiedono invece un impianto proprio, e questo ha fatto la differenza».

Ad oggi, ottobre 2012, il Birrificio Leonessa possiede una capienza di 600 litri, e la produzione in bottiglie da 33cl è ben avviata; il processo produttivo si svolge in 3 fasi, con una durata complessiva di un mese e mezzo. La fermentazione dura 10 giorni, seguita dal trasferimento nelle botti di maturazione, della stessa medesima durata; l’ultimo step è l’imbottigliamento e la rifermentazione. Et voilà, la Birra Leonessa è pronta per arrivare sui tavoli dei tanti appassionati birrofili del Bresciano: «Grazie alla partecipazione ad eventi come il Festival del Paesaggio Terre di Brescia e a varie fiere del settore stiamo iniziando a farci conoscere sempre di più: la nostra speranza è di allargare man mano la rete dei distributori, riuscendo al contempo a stabilizzare la produzione.» Citando la filosofia del birrificio che campeggia sul sito internet: «Le nostre birre sono birre semplici ma con forte carattere, fatte per essere bevute senza troppi pensieri ma che alla fine lascino un’emozione nel palato e nel cuore».

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PRIMI PER METODO

di Marco Gornetti

Avevate un’idea precisa su come produrre birra? Da dove nasce l’idea di aprire un birrificio? L’idea è nata da Giuseppe Gatta, i cui genitori sono tito- Certo. Ci siamo resi conto che, nella produzione artigialari dell’agricola Gatta. Eravamo compagni di classe alla nale di birra (senza cioè un trattamento fisico o chimico) Pastori, poi ci siamo ritrovati all’università di Enologia a c’era una costante da eliminare, a nostro avviso. Le bottiMilano e per gioco abbiamo deciso d’intraprendere que- glie presentavano sempre un fondo che dava un retrogusta avventura. Giuseppe conosceva bene il mon- sto anomalo, non facendo assaporare appieno l’essenza do vinicolo ma anche lui, come me, partiva da della bevanda. zero in quello brassicolo. Così presero il via le Trovandoci in una terra, la Franciacorta, rinomata per il prime rudimentali sperimentazioni. Ricordo, vino ci è venuta l’idea di applicare il metodo classico alla ad esempio, birra. A seguito della Vino e birra, incompatibili dal punto di vista della facevamo cuorifermentazione, nelle contaminazione batteriologica, a volte possono stringere nostre cantine, viene cere la birra nei alleanze fruttuose. Così la pensano al Codice a Barre di pentoloni. La tolto il fondo, ovvianCellatica dove hanno applicato alla birra una tecnica passione crebbe do al problema iniziale e iniziammo a con una tecnica tutta diffusa nella produzione di vino. Il risultato è che ad oggi documentar- Giuseppe Gatta, figlio dei titolari dell’omonima agricola, e naturale. Eliminiamo ci leggendo il deposito di lieviti il mastro birraio Massimo Meneghetti, possono vantare di libri sull’araddossati sul tappo e essere i primi in Italia ad aver foggiato una birra gomento. rabbocchiamo con la a metodo classico. stessa birra. Il prodotto è comunque artigiana-

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le (non c’è filtrazione o pastorizzazione) perché risultante dal processo di sboccatura. Abbiamo perfezionato il sistema e, ad oggi, possiamo vantarci di essere i primi in Italia ad aver foggiato una birra a metodo classico. Da quanto siete sul mercato? Da circa un anno e qui gradirei aprire una parentesi. Una birra normale impiega circa un mese per arrivare al consumatore, tra l’estrazione delle materie prime alla messa in vendita. Rifacendoci al metodo classico le nostre bottiglie trascorrono circa sei mesi in birrificio, considerando produzione e sosta sui lieviti. Perciò abbiamo cominciato molto prima di essere sul mercato a trattare la bevanda. Quanti tipi di birra create? All’attivo abbiamo tre tipologie ma ne stiamo sperimentando altre che, entro quest’anno, saranno già disponibili.

Dove distribuite? Giuseppe, essendo direttore commerciale e primo enologo dell’azienda di famiglia, ha propeso per la distribuzione tramite agenti in tutto lo Stivale dove ritiene più opportuno. In linea di massima siamo presenti in tutta Italia. Ci potete trovare negli alberghi, nei ristoranti e nelle enoteche ma non nei supermercati. Preciso che la nostra birra ha un costo elevato perché di estrema qualità. Lo ribadisco: siamo i primi italiani ad averla trattata con metodo classico e i secondi in Europa, dopo un’azienda belga che ne produce una ad undici gradi alcolici. A tal proposito noi riteniamo opportuno abbassare i gradi poiché convinti debba essere assaporata e non semplicemente bevuta. Motivo in più che ha spinto Beppe a curare minuziosa-

Massimo Meneghetti mastro birraio di Codice a Barre, azienda di Cellatica che produce sia vino che birra.

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mente l’immagine della bottiglia. Avete mai ricevuto critiche? Sì, molte. Soprattutto in merito al fatto che adoperiamo il vetro trasparente. Una scelta presa con coscienza di causa: lo scopo era esaltare il prodotto e a giudicare dall’estetica invidiabile, direi ci siamo riusciti. Partecipate ad eventi in Italia e all’estero? Siamo sempre molto favorevoli a partecipare ad eventi e manifestazioni. Teniamo in particolar modo a comunicare e diffondere la birra del Codice a Barre, trasmettendo la passione con cui lavoriamo. Non abbiamo ancora varcato i confini del Paese, ma abbiamo diversi progetti in cantiere per l’Europa e il mondo. E pensare che al Vinitaly di quest’anno una commerciante giapponese era molto interessata alle nostre bottiglie! D’altro canto esportarne all’estero è una spesa non indifferente e ancora proibitiva. Come vi sentite a distribuire birra in una terra conosciuta soprattutto per il vino? Fare birra a Brescia è stata una scommessa. Abbiamo tuttavia mantenuto fede alla tradizione, seguendo il metodo enologico, ossia la spumantizzazione, anche in questo settore. Siamo arrivati ad un livello medio alto senza incontrare le difficoltà tipiche di chi cerca di un vino di elaborare qualità elevata. Senza nulla togliere agli ostacoli riscontrabili nel mondo brassicolo. Producete anche vino oltre che birra? Eccome! Chiaramente teniamo i comparti di birra e vino distanti tra loro per ragioni batteriche. Non vanno molto d’accordo tra loro, sfruttiamo così lo spazio a nostra disposizione (cosa che non ci manca) per separarli senza contaminazioni. Il progetto più prossimo? Non ne abbiamo uno in particolare, cerchiamo di arrivare preparati a dicembre, il mese più importante per il nostro mercato.

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LA PRIMA

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Dal momento che il gasolio costa più della birra, non guidare, bevi. Questa massima è stampata su un bel cartello d’epoca e affissa all’ingresso del birrificio Badef. Accogliente, leggermente frizzante e dorata. Proprio come piace a loro. Proprio com’è lei, la loro creatura. Giordano Manessi e Sergio Assoni da anni si dilettavano nella produzione domestica di birra. Poi è arrivato il gran giorno, uno di quelli che non si scordano facilmente. «Siamo aperti da un anno: settembre 2011» racconta Giordano «ma la prima birra è uscita in vendita l’8 novembre» precisa Sergio che ancora oggi sprizza orgoglio e soddisfazione nel ricordare quel fatidico momento. La scelta di buttarsi in questa avventura ha contorni simili ma non uguali per i due amici. Giordano prima si occupava di metalmeccanica. Addetto alla manutenzione di grandi macchinari industriali, lavoro che lo impegnava molto sia fisicamente che mentalmente. «Nel 2008 ho preso 56 voli» ci racconta. «Ero molto stressato perché il tipo di lavoro richiedeva responsabilità impegnative, ero sempre all’estero e trascuravo la famiglia. Quando ho saputo che l’azienda era in fase di chiusura, mi sono

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confrontato con Sergio e insieme abbiamo preso questa decisione». L’assist al compagno di avventura è perfetto: «aprire un birrificio in piena Franciacorta è da matti!» dice sorridendo «ma noi lo siamo». Un bel cambiamento di vita. «Nel mio caso sì, molto» risponde Giordano «adesso lavoro dodici ore al giorno ma sono gratificato. Non mi pesa.» Sergio invece viene dal settore plastico: addetto alla qualità. Ma lui per ora ha mantenuto questo lavoro per non buttarsi proprio senza paracadute. La scelta di rimettersi in discussione e intraprendere questa nuova avventura ha portato con sé paura e dubbi. Solo dopo una lunga serie di confronti su numeri, cifre, scorte e macchinari, i due hanno deciso di presentarsi in banca per spiegare il progetto. Ovviamente di primo acchito gli operatori bancari hanno strabuzzato gli occhi ma alla fine si sono convinti che sì, l’idea di Giordano e Sergio era buona. I numeri nel corso del primo anno di vita (31 mila litri prodotti) hanno dato ragione al birrificio Badef che si è fatto conoscere soprattutto grazie alle feste popolari


TO BEER OR NOT TO BEER? Questa è la storia di due amici che hanno fatto tre scelte coraggiose. Iniziare una nuova attività lavorativa in tempo di grandi difficoltà economiche nazionali. Produrre birra in un Paese per tradizione legato al vino. Collocare l’attività nel cuore della produzione vinicola brescia: la Franciacorta. A Passirano da un anno esiste Badef, birrificio artigianale fondato da Giordano e Sergio.

di Paola Castriota

estive e al passaparola dei clienti. «Alle sagre di paese abbiamo raccolto un grande successo» precisa Giordano. «Gli organizzatori» aggiunge Sergio erano molto soddisfatti perché la gente beveva di più ed era contenta della qualità. Questo per noi è sta-

to davvero importante». La richiesta di birra è stata così elevata la scorsa estate da mettere in difficoltà la produzione. Del resto Badef è solo al primo anno di vita ed è normale che si debbano prendere le misure. «Il problema è che ti chiamano il venerdì per avere la birra il lunedì» dice sorridendo Giordano «ma i tempi di produzione di una birra sono di tre mesi». Badef predilige la birra a bassa fermentazione, in stile bavarese, non troppo impegnativa: NiRa (dai nomi delle mogli), Scarlatta (perché è rossa), Ghèba (perché è torbida e ricorda la nebbia bresciana), Arlisa (dai nomi delle figlie di Sergio), Bianca (birra chiarissima di frumento crudo non maltato), Vilara (dal nome della figlia di Giordano), Petra (dal nome del figlio di Giordano riadattato al femminile), D’Ora (perché è dorata). Ce n’è una nuova che uscirà per Natale. Sarà ai cinque cereali, sette e mezzo di gradazione alcolica, perfetta per accompagnare i dolci delle feste. Il nome è ancora da scegliere. Chi è tra i due il mastro birraio? «Giordano» ammette subito Sergio «è lui che inventa le ricette». Il mastro ci

spiega che alcune le cova in testa da tempo, altre nascono in modo estemporaneo, ma dietro ci sono sempre lunghe riflessioni e prove. Capita di ricevere richieste su misura? «Sì, adesso per esempio stiamo collaborando con più realtà tra cui un’azienda che fa solo biologico. Diciamo che in genere ci rifacciamo sempre al nostro territorio» precisa. Contrariamente a quanto si possa pensare, i clienti tipo non sono soltanto uomini che hanno certe possibilità economiche o un background da veri amatori. Molti sono ragazzi giovani che preferiscono la birra artigianale rispetto a quella della grande distribuzione. Prezzi? Al mezzolitro 3,60 euro. Oltre alla fetta di clientela privata (50-60%) ci sono anche bar, pizzerie e ristoranti locali che vanno direttamente al birrificio e prendono ciò che occorre, senza mediazioni. L’offerta di Giordano e Sergio ha preso piede anche sul mercato estero: sono in consegna bottiglie personalizzate in Inghilterra e a Montecarlo. Tutto bellissimo, se non ci fossero i soliti intoppi burocratici che si mettono in mezzo e dove non bloccano, tolgono il sonno la notte. Se passate da Passirano, in via fratelli Rosselli troverete Giordano e Sergio ad accogliervi per degustare una delle loro birre. Nel birrificio artigianale c’è infatti il banco aperto al pubblico. Tutti i giorni tranne la domenica. E se dovete scegliere, meglio bersi un boccale in compagnia che guidare. È anche più economico.

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RIGOROSAMENTE ARTIGIANALE

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Se cercate birra artigianale non frugate tra gli scaffali dei supermercati. Lì non la troverete. Andate in via Bazzini a Brescia e cercate BirraLab. Lì sì che troverete una vasta scelta di birre provenienti da tutto il nord Italia e troverete anche un simpatico ragazzo che certamente avrà voglia di condividere con voi alcuni dei tanti segreti delle bionde, delle brune e delle rosse.

di Paola Gregorio

Bere una birra gelata? Giammai, peccato gravissimo. Va gustata a temperatura ambiente. E poi versata con calma: lasciate che la schiuma si distenda nel bicchiere, è una barriera protettiva. Se lo dice Pierpaolo Abate, bisogna credergli. È un vero cultore della birra. Ha cominciato qualche anno fa a prepararla in casa. Poi ha pensato: «Perché non aprire un beer shop?». Detto fatto: fra poco il suo Birralab, in via Bazzini 11, in città - è facile trovarlo, è una via che sfocia su viale Piave - spegnerà la seconda candelina. Il beer shop è la versione dell’enoteca per gli amanti della birra. All’estero, soprattutto nei paesi anglosassoni è piuttosto diffuso. Un po’ meno da noi. A Brescia e provincia c’è solo quello di Pierpaolo e un altro di un collega a Darfo Boario. Cosa trovi se varchi la soglia di un beer shop: innanzitutto birre italiane rigorosamente artigianali. Per rifornirsi, Pierpaolo gira per i birrifici, soprattutto micro trattandosi di birre «hand made», quasi tutti nel Nord Italia. «Come li scelgo? Faccio un po’ di ricerca. Oppure funziona il passaparola. Mi prendo la mattinata libera e vado a cercarli. L’esplosione dei birrifici artigianali c’è stata negli ultimi tre/quattro anni. È un settore in espansione». La vendita, in bottiglia - quasi tutte

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sono da vino, studiate nei dettagli perché l’estetica è importante - rappresenta il 90% del giro d’affari. «Sto perfezionando il sistema della birra sfusa racconta Pierpaolo - riempio al momento bottiglie da consumare nell’arco di ventiquattro ore». Oltre al consumo più a lungo termine e a quello last minute, da Birralab trovi le attrezzature per fare la birra tra le mura domestiche. Gli ingredienti? Sul sito di www.birralab.com c’è un mini dizionario della birra: luppolo, lievito, acqua, malto e orzo. Chi è il cliente tipo? «Vanno dai 25 ai 45 anni. Spesso sono professionisti cultori della birra». La produzione della birra artigianale ha i suoi riti: tra fermentazione e maturazione ci vuole all’incirca un mese e mezzo. Poi ci sono le birre «barricate»: per noi profani, sono quelle che fermentano nelle botti, come il vino. Allora le cose cambiano: ci può volere anche un anno. Quanto può costare una birra artigianale? «In media si va dai 3 euro circa delle bottiglie più piccole a un massimo di 10 - 11 euro. Poi c’è pure qualche articolo più caro», risponde Pierpaolo che non si limita a partecipare a fiere del settore ma le organizza: la scorsa primavera ha allestito a Cascina Maggia la prima edizione di Madre Birra. «La ripeterò anche nel periodo invernale


e in primavera. L’idea è di farne tre edizioni all’anno». Un sogno nel cassetto ce l’ha. «Penso a un’evoluzione di Birralab che sia anche bar. Dove hai la possibilità di fare anche somministrazione» confida. Sul sito di Birralab trovate pure le «Cronache di birra», la newsletter, informazioni su cosa dice la legislazione italiana in tema birra. E ricette: volete prepararvi gli asparagi in birra? O il pane alla birra? Se avete il kit del birraio provetto potete mettervi alla prova con la bière blanche belga, la British Ales e l’American Pale Ale. Ci sono birre per ogni stagione. «D’inverno sono più strong, d’estate più leggere», precisa Pierpaolo. Quando lo potete scovare in negozio, se siete curiosi di conoscere Birralab? Il lunedì dalle 15 alle 19.30, da martedì a venerdì dalle 10 alle 20.30 e il sabato dalle 10 alle 19.30.

Pierpaolo Abate titolare di BirraLab posa con alcune bottiglie di birra artigianale che provengono dal nord Italia.

BIRRALAB IL SALOTTO DELLA BIRRA

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È laureato in Economia, ma una volta conseguito il titolo, non è andato a lavorare in banca. Ha preso lo zaino ed è partito per l’Inghilterra dove si è specializzato in chimica, biologia e birrificazione. Per nulla pago dell’esperienza inglese, si è trasferito in Germania dove ha studiato (Berlino) e lavorato (Baviera). Alla fine ha deciso di tornare a casa e proporre le sue originali ricette per l’azienda Avanzi di Manerba.

P Alfredo Riva mastro birraio della Brewery azienda del gruppo Avanzi, produttore di olio, vino e birra.

LA CHIMICA DEL DIVERTIMENTO di Marco Gornetti

Parlaci un po’ di te. Professione e formazione. Sono Alfredo Riva e spero di potermi ritenere, a seguito di una buona preparazione teorica e pratica, mastro birraio. Forse non il più bravo ma con una solida competenza conseguita fuori porta. A ventiquattro anni mi sono laureato in Economia qui in Italia, dopodichè zaino in spalla è cominciata la mia grande avventura. Ho studiato chimica e biologia nei college inglesi, ho sostenuto esami in birrificazioni e, a coronamento del lungo iter, conseguito a Berlino il diploma di Brew master . Non solo. Ho lavorato sei anni al birrificio Meantime di Londra e quasi quattro anni allo Schonram in Baviera ricoperto da fiumi di birra. Ricordo con molta emozione quest’ultima tappa, poiché ho conosciuto birre pluripremiate di cui tanto si sente parlare nel mondo.

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Quali novità hai portato qui a Manerba? Quando sono arrivato al birrificio di Manerba la proposta iniziale era di cinque birre classiche ma nella pratica sono diventate dieci, non sempre dal gusto tradizionale. Ho proposto al pubblico bresciano dei sapori poco conosciuti, unendo al classico un pizzico di originalità e personalità. Nonostante le influenze estere, sono molto attento a non snaturare l’essenza di un prodotto che deve per forza rimanere legato a certi standard, senza subire eccessive personalizzazioni. Direi inoltre che quando lavoro cerco sempre di divertirmi e divertire le persone che berranno birra. Quali tipologie di birra avete? Abbiamo dieci birre rappresentanti dieci stili diversi. Per la maggiore sono di stampo tedesco, eccezion fatta per un’americana e alcune belghe. Questo per quanto riguarda la


Brewery, produciamo anche per conto terzi e qui il numero diventa importante perché include altre sette/otto ricette. Preciso che, a livello mentale, è impegnativo produrre tante birre in quanto non vi è un’unica filiera di produzione bensì molteplici che s’intrecciano. Insomma, ci vuole un’attenzione tutta particolare. Dove distribuite? Distribuiamo solo in Italia, soprattutto in Lombardia. Quando sono arrivato tre anni fa vendevamo solo in minima parte a terzi, mentre l’anno scorso il 70% della birra è stata venduta in questo modo. Una fase di espansione molto rapida certo, ma supportata da solide basi. Non dimentichiamo che l’azienda è stata fondata nel 1931, muovendo i primi passi con la produzione di vino e introducendo l’olio nel 1995. Negli anni Settanta, quando si raggiunse l’apice, i numeri erano più che soddisfacenti soprattutto se pensiamo a qualcosa come ventimila ettolitri di vino. Ricordo che un equivalente in termini di birra li ho prodotti solo in Inghilterra; in Germania sono arrivato fino ai settantamila. L’azienda Avanzi produce vino, olio e birra. Riuscite a mantenere alta la qualità di tutti e tre? Ovvio che sì. Il segreto è delegare. L’azienda è a gestione familiare e diretta, attualmente, dalla terza generazione. Il fondatore ha due fratelli, ognuno dei quali ha due figli in ditta ciascuno con un ruolo specifico. L’enologo, il rappresentante, chi si concentra su birreria e birrificio, chi si occupa dell’olio e chi fa lavoro d’ufficio. Il figlio che sta in birreria e in birrificio, ad esempio, delega un

responsabile per il primo e un responsabile per il secondo comparto. Allo sesso modo il figlio enologo si avvale di altri collaboratori che seguono le varie fasi di imbottigliamento e gestione del vino. I genitori sono il nucleo coordinatore di questo ampio sistema, controllando così ogni variabile. Suonerà scontato ma ciò che conta è assumere persone fidate che lavorino con passione. Partecipate ad eventi o manifestazioni? Per ora il tempo e le risorse l’hanno sempre impedito. Considerata la mole di lavoro, da Maggio 2012 mi sta affiancando il birraio Riccardo Redaelli, perciò qualche spazio si sta aprendo. A fine mese saremo a Torino presso il Salone Internazionale del Gusto, a febbraio parteciperemo al Pianeta Birra di Rimini e non finisce qui. Abbiamo selezionato altri eventi in linea con il budget a nostra disposizione. In Italia esistono molte situazioni di questo tipo e, ahinoi, bisogna fare una scrematura. Scendiamo nel personale. Fai solo questo nella vita? Nella vita faccio solo questo, sto vicino alla persona che amo.

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QUELLA GRAN MATASSA di MATISSE

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A fine agosto Rocco Vergani ha sollevato tramite Facebook la questione del numero di visitatori presenti alla mostra di Matisse organizzata dalla società di Treviso Artematica. Al 12 giugno 2011, prima data prevista per la chiusura della mostra poi prorogata fino al 26 giugno, i visitatori risultavano essere stati 257.329 secondo i dati presentati dall’ad di Artematica, Andrea Brunello. Ma una matrice fornita da un visitatore ha scoperchiato un vaso di Pandora culminato con la pubblicazione dei dati effettivi della Siae. I conti non sono tornati. E adesso il Comune chiede 550 mila euro.

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di Paola Castriota

Facciamo chiarezza nella cronologia degli eventi. Il 23 agosto di quest’anno ho pubblicato un post su Facebook con due domande molto semplici. La prima era: come era possibile che, avendo io una matrice numerata 127.055, in venti giorni avessero raggiunto 248 mila visitatori? La seconda era: quali controlli aveva fatto Brescia Musei? Qualche giorno dopo ha risposto Arcai (Andrea, assessore alla cultura del comune di Brescia ndr) dicendo che quella non era una matrice bensì un biglietto interno di Artematica per il controllo degli ingressi giornalieri e chi aveva presentato quel tagliando ne avrebbe risposto di conseguenza. Io ero tranquillamente pronto a prendermi le mie responsabilità. Il giorno dopo la stampa ha iniziato a sollevare qualche dubbio, qualcuno è andato a controllare il contratto e sono sorte alcune domande cui sono state date risposte equivoche oltre a elementi riferiti alla Siae che non stavano né in cielo né in terra dal punto di vista fiscale e legislativo. Il Comune di Brescia ha chiesto i dati alla Siae che glieli ha resi. E allora mi domando: come glieli ha dati adesso poteva benissimo darglieli un anno fa alla chiusura della mostra, solo che probabilmente nessuno glieli aveva chiesti. I dati della Siae erano in assoluta controtendenza rispetto al numero presente sulla mia matrice.

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Perché hai deciso di esporti? Brescia è piccola. Era da un po’ di tempo che sentivo in giro voci, sentori che non ci fosse stata così tanta gente alla mostra. Un cittadino mi ha fornito questa matrice e io mi sono preso la responsabilità di andare a verificare e poi pubblicare. Ma prima mi sono informato sulla natura di quel tagliando e contrariamente a quanto diceva l’assessore, quella era una matrice. Parliamo del contratto tra Brescia Musei e Artematica. Sicuramente c’è un elemento equivoco nel contratto perché prima compare la dicitura visitatori paganti e poi visitatori e di certo non ci sono elementi sufficienti a garantire i controlli. Il contratto prevedeva un bonus di 300 mila euro al raggiungimento dei 230 mila visitatori: termine molto generico. Sarebbe bastato inserire una royalty da dare al Comune per cui al raggiungimento dei 230 mila visitatori Artematica avrebbe restituito al Comune ad esempio 2 euro per ogni biglietto. In questo modo non sei portato a gonfiare i numeri. È un metodo diffuso in diverse realtà. Quello che dico è che il Comune avrebbe dovuto avere tutti i consulenti tecnici interni ed esterni per valutare un contratto. Pensi ci sia stata malafede? Non mi piacciono le dietrologie. La malafede deve essere provata. Quello che vedo io è un’assoluta mancanza di controllo sia in merito alla stesura del contratto sia successivamente, e una assoluta ignoranza della materia perché non puoi raccontare che la mostra è stata un successo quando hai fatto 124 mila visitatori. Certo, non è detto che il successo di una mostra dipenda dal numero di visitatori. Ci sono altri indicatori come l’analisi di costi-benefici che ad esempio per Goldin venne pubblicato su Economia della cultura. Questo non è avvenuto con le mostre di Artematica? Mancanza di cultura generale negli enti locali.

La discussione si è poi spostata sulla definizione di matrice ma il problema era un altro. Gli elementi da controllare erano: le verifiche fatte da Brescia Musei, l’effettivo procedimento con cui venivano pubblicati i biglietti ma soprattutto a un anno dalla chiusura della mostra, nessuna analisi di costi-benefici.

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Perché non sono stati fatti controlli? C’è stata sicuramente un’inadempienza. I dati Siae sono documenti fiscali. Se fossi stato il direttore di Brescia Musei a fine mostra avrei chiesto un colloquio con Andrea Brunello alla Siae per valutare i numeri. Non è stato fatto. Qualcuno dice che in molte manifestazioni ci si accontenta dei moduli forniti, ma bisogna cambiare logica. Il direttore di Brescia Musei, Faustino Lechi, ha dichiarato che alcuni dubbi li aveva. Mi chiedo come li avesse fugati. Ci sono responsabilità politiche in pri-


Nell’immagine di copertina Rocco Vergani passeggia vicino all’entrata di Santa Giulia, sede delle mostre bresciane negli ultimi anni. L’esponente del Pd, classe ‘78, ha sollevato la questione dei visitatori alla mostra di Matisse, tramite la pubblicazione su Facebook della matrice del giugno 2011 (nella pagina a fianco). A seguito dell’interpellanza presentata dal gruppo consiliare del Pd, la questione è arrivata prima sul tavolo del sindaco Adriano Paroli e poi su quello della Procura. Il Tribunale ha emesso il decreto ingiuntivo per la restituzione di bonus e mancata penale, e ha disposto un’ ipoteca giudiziale su un immobile di Treviso di proprietà di Artematica. A “ballare” sarebbero 550 mila euro che il comune di Brescia rivorrebbe indietro da Artematica, società organizzatrice. In basso la locandina della mostra di Matisse. Qui di fianco Vergani posa davanti al tempio Capitolino, luogo da inserire, secondo l’esponente del Pd, in un circuito che coinvolga più realtà culturali locali secondo il concetto di Urban center e Smart city. Una tematica che, secondo Vergani, peserà molto alle prossime amministrative.

I NUMERI

Dati di Artematica: 257.329 visitatori Dati della Siae:124.184 visitatori (111.162 biglietti, 1.807 abbonamenti paganti, 11.215 ingressi gratuiti)

I SOLDI RICHIESTI DAL COMUNE

250 mila euro di penale e 300 mila euro di bonus per il mancato superamento della soglia dei 230 mila visitatori

mis del sindaco che ha continuato a manifestare la speranza di continuare a collaborare con Artematica senza sapere che questa nel frattempo era già stata messa in liquidazione. Ti fidi di una realtà che non conosci assolutamente. Chiedere scusa alla cittadinanza sarebbe stato il minimo e invece con arroganza è venuto a chiedere a me il numero della mia matrice. Francamente mi sarei aspettato maggiore profondità e analisi anche sulle responsabilità politiche interne della Giunta. Del resto da uno che ha votato in Parlamento che Ruby Rubacuori era la nipote di Mubarak non mi posso aspettare molto di più. Brunello, l’ad di Artematica messa in liquidazione lo scorso settembre, ha dichiarato che in virtù di un contratto ancora in essere, vuole chiedere dai 2 ai 3 milioni di euro al Comune di Brescia per le mostre di Renoir e Maya che sono saltate. Non sono arrivati i fondi dal ministero dei Beni culturali, condizione senza la quale non sarebbe stato possibile fare un altro ciclo di mostre. Brescia Musei aveva dichiarato che non voleva firmare un altro ciclo di mostre. Il mondo degli affari funziona sulla base dei contratti. Brunello dichiara di aver ricevuto rassicurazioni, ma allora bisognerebbe verificare chi e a che titolo gliele avrebbe fatte. Cosa pensi delle dimissioni di Arcai in relazione ai musei

civici e a Santa Giulia? Era il minimo del minimo. Arcai ha rimesso le deleghe, il sindaco le ha recepite ma non gli è stato tolto l’assessorato. La risposta della Giunta è meno del minimo perché in realtà non ha dato risposte. Arcai avrebbe dovuto controllare: la partita politica era sua e secondo me sul suo tavolo non aveva dati effettivi e comprovati. Mettiamo a confronto l’era Goldin e quella di Artematica. Goldin andava a recuperare sponsorizzazioni esterne quindi l’interesse ad accrescere il numero di visitatori si basava su un circuito economico ampio e largo che permetteva di recuperare risorse sotto molti aspetti. Chi parla male di Goldin diceva che utilizzava il contenitore preziosissimo di Santa Giulia per fare sulla cultura e sull’arte un business. Goldin si definiva un curatore, Brunello un imprenditore: ho l’impressione che con Brunello si diminuiscano gli sponsor privati e il giro di affari e molto si faccia leva sull’elemento pubblico. Responsabilità? Adesso c’è una posizione amministrativa e penale a carico di Brunello. Su Brescia Musei c’è una posizione amministrativa e sul Comune amministrativa e politica. Anche per Brescia Musei si prospetta in futuro una sovrintendenza in stile Angelini del Teatro Grande. Sicuramente ci vuole una figura direzionale dei musei che abbia la capacità di valorizzare tutto il tesaurus. Le strutture: abbiamo un teatro dietro Santa Giulia da risistemare, un complesso museale da costruire, l’indicazione Unesco che è un po’ di serie B perché non sono stati dati finanziamenti. È necessaria una valorizzazione del complesso museale che dal mio punto di vista deve aver un’identità ben marcata riconoscibile nel mondo, non per Matisse o per il

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Foppa ma per la sua natura di sito longobardo. Poi c’è il concetto del sistema museale urbano con una serie di realtà che devono mettersi in rete tramite un’agenda e obiettivi comuni per realizzare cultura. Poi ci sarebbero lo Urban center e i workshop per valorizzare realtà e luoghi del territorio. Detto in soldoni: chi pagherà per quanto accaduto con Artematica? Dobbiamo attendere gli esiti della magistratura. Ma ho la sensazione che alla fine paghi pantalone. Non penso che cadranno teste meno coronate, non parliamo neppure di quella del sindaco. Ma credo che i cittadini in questo senso una risposta la daranno. Pensi che i cittadini bresciani siano sensibili a questa vicenda? Questo è un puzzle che si è costruito di fronte gli occhi di tutti grazie anche all’importante lavoro svolto dalla stampa locale. Potrei fare altri esempi: c’è la dubbia valutazione sull’iniziativa di Brescia Sviluppo sulla quale è in corso l’analisi della Corte dei conti. Acquisizioni di immobili a mio modo di vedere, disinvolte per importi molto superiori, però questo è passato all’opinione pubblica come qualcosa di cui non si capisce nulla perché uno dice una cosa, uno un’altra. Nelle attività di un’amministrazione le questioni sono tante. Saranno le elezioni a dare un giudizio sull’operato. Ma c’è qualcosa che va al di là della scelta degli elettori e della scelta di essere amministratori ed è l’etica pubblica e personale. Quando ti rendi conto di aver fatto degli errori quantomeno devi chiedere scusa alla città. Insomma, se mi saltassero sotto gli occhi 550 mila euro e me ne accorgo e mi rendo conto che me l’hanno fatta sotto il naso oggettivamente ne rispondo.

Locandine del Pd affisse nelle bacheche cittadine lamentano quei 600 mila euro che “ballano” a seguito dello scandalo Artematica-Matisse.

Il giardino mediterraneo in festa raccolta delle olive il 17 novembre in contrada del Carmine Il Giardino Mediterraneo, creato a fianco alla chiesa del Carmine nel 2009 da Antonio De Martino, è pronto a offrire i suoi frutti alla città. Il vecchio ulivo piantato per scommessa come simbolo della mediterraneità ha esteso le sue radici in questo luogo urbano. Tutti quanti potranno partecipare alla raccolta delle olive. Sarà un’occasione per brindare assieme, per esprimerci e fare festa e, perché no, ballare e fare musica ognuno alla sua maniera, come si faceva un tempo in queste circostanze di felicità collettiva di fronte ai frutti della terra. La seppur piccola raccolta ci darà modo di produrre

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come testimonianza ed opera una o più bottigliette dell’olio come simbolo di pace e coabitazione da poter esporr in varie parti del mondo. Il giardino si inserisce nel ProgettoUtopia che vuole dare forma e sostanza all’idea della “estetica dell’emergenza” con una valenza sociale di comunicazione per gli abitanti del quartiere e per i passanti.


FÈR

Un’esperienza culturale nel senso più pieno del termine quella dedicata alla vita di ferriera nei forni, nei laminatoi, alle prese con i serpenti di metallo incandescente, billette e tondini. Negli spazi recuperati di via Gioberti a Brescia l’evento Fèr ha condotto per mano attraverso momenti, immagini, oggetti che appartengono alla nostra tradizione e raccontano da dove veniamo. di Paola Castriota

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Rosso come il ferro che diventa incandescente. Nero come il ferro freddo. Una sirena che chiama al lavoro in un sibilo crescente e poi calante. Voci che ci ricordano com’era la fatica davanti ai forni della ferriera o nei laminatoi nel Dopoguerra. Tute blu utilizzate come telo per proiettare immagini di un passato nemmeno troppo lontano dai giorni nostri in cui lavorare il ferro era un lavoro da bestie con quelle temperature insopportabili, le roboanti colate di metallo fuso, la polvere sottile che si impregnava nel tessuto spugnoso dei polmoni colorandolo di nero. Un lavoro da bestie sì, ma fatto da uomini veri che dentro alla ferriera del paese passavano anche dodici ore al giorno per dare alle loro famiglie di che vivere. Contribuivano alla crescita del Paese - quello con la p maiuscola - fornendo la struttura metallica per le grandi autostrade che avrebbero accorciato le distanze in una nazione lunga, troppo lunga, per via di quella sua bizzarra forma a stivale. Una nobile causa. Una magra consolazione davanti a quelle mani callose, deformate, a quelle bruciature che arrivano all’osso, a quella tosse che non passava più e tormentava il respiro ogni sacrosanto giorno concesso dal Signore. Questa è l’esperienza vera e intensa regalata da Fèr, un evento culturale organizzato dal trio Enrico Ranzanici - Piera Cristiani - Francesca Tocchella. Installazioni con videoproiezioni e fotografie hanno accompagnato il visitatore nei locali recuperati di Gioberti a Brescia. Un percorso di conoscenza di un modo di vivere stremante, ma accettato nonostante tutto con dignità e riconoscenza. Incredibile la sensazione riprodotta nella stanza del forno, magica quella della saletta pausa con mani che giocano a carte e sfogliano il giornale. Idea geniale. Bellissimo poi lo spettacolo teatrale interpretato dall’attore e drammaturgo Enrico Re capace di emozionare in un monologo recitato completamente in dialetto bresciano. Assolutamente intonato l’accompagnamento musicale con i suoni dei metalli strofinati, percossi, accarezzati. Le attese sono state rispettate. Fèr è stato un evento artistico, un appuntamento emozionale, conoscitivo, culturale. Un’esperienza preziosa per la nostra città, che segna il cammino da percorrere per dare finalmente vita a quell’idea di Urban center moderno, in linea con le capitali della cultura in Italia e in Europa. Nella foto in alto un momento della rappresentazione teatrale interpretata dall’attore e drammaturgo Enrico Re. Un particolare della struttura di via Gioberti 16 a Brescia che ha ospitato l’evento Fèr. Uno dei locali interni in cui i videoproiettori hanno portato il visitatore dentro l’atmosfera della ferriera. La magica stanza della pausa con mani che giocano a carte e sfogliano il giornale. Sotto gli autori dell’evento: da sinistra la produttrice esecutiva Francesca Tocchella, la sceneggiatrice Piera Cristiani ed Enrico Ranzanici, videomaker e sceneggiatore.

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Documenti inediti sulle origini di Paolina Calegari Torri promotrice dei convivi culturali nella Franciacorta del XIX secolo

LUOGHI DI DELIZIA

La villa Richiedei a Gussago e il palazzo Torri a Nigoline furono salotti culturali e artistici in cui si confrontarono personaggi illustri come il poeta Aleardi, i pittori Basiletti e Inganni, il miniaturista Gian Battista Gigola e poi ancora Antonio Fogazzaro, Giosué Carducci, Giovanni Pascoli, Giuseppe Giacosa, i musicisti Adele Bignami Mazzucchelli e Paolo Chimeri. Anche lo statista bresciano Giuseppe Zanardelli fu ospite di questi ritrovi mondani.

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di Mariella Annibale Marchina archivio di Stato di Brescia

Luoghi di delizia, come avrebbe detto l’agronomo rinascimentale Agostino Gallo, ma anche centri di convivi di pittori, poeti, letterati, architetti e di semplici amici. Così a Gussago Paolo Richiedei (1795-1869) accolse nella sua villa il poeta Aleardi, i pittori Basiletti e Inganni, il miniaturista Gian Battista Gigola, suo vicino in quanto nel 1823 aveva acquistato all’asta la Santissima, antica dimora estiva dei padri Domenicani di Brescia. Su incarico del Gigola, questa residenza sarà poi ristrutturata dall’amico e architetto Rodolfo Vantini, per cui divenne un castelletto neogotico. Sarà la prima opera di questo nuovo genere creata dall’illustre e creativo professionista. Villa che poi il pittore Angelo Inganni (1807-1880) ha immortalato in una celebre opera. Nella Villa di Gussago erano ospiti assidui, oltre agli artisti famosi, anche amici fraterni come Giovan Battista Torri, medico condotto a Castrezzato, il cui figlio Alessandro, nato nel 1844, fu tenuto a battesimo dal Richiedei. Forse frequentando la villa di Gussago negli anni seguenti avvenne la conoscenza di Paolina Calegari (1856-1931) figlia di Paolo e di Elisabetta Peschiera, con radici gussaghesi, il cui nonno era Giovanni Battista, fu Maffio, da cui aveva ereditato, nella frazione Casaglio, una casa di villeggiatura detta il Castello. Dai documenti rintracciati, Paolina non discendeva dalla casata degli scultori Calligari, Santo detto il Vecchio o di Santo detto il Giovine o di Antonio, come certi studiosi hanno fino ad ora sostenuto, ma da un altro ramo di commercianti cioè da Giovan Battista fu Maffio. Questi nella polizza d’estimo del 1685 (ASBs, ASC, Polizze b. 32), all’età di 40 anni dichiarava di: “essere cittadino di Brescia et habitante in contrata

dell’Hospital Maggiore, olim contrada di san Domenico (l’odierna via Moretto), servendo per huomo di bottega in spicciaria (farmacia) e di aver beni in Casaglio territorio di Gussago con tre corpi terranei e due soli abitati con un piò di terra attaccato alla casa chiamato il Castello… Il figlio Giovan Maffio nel 1722 aveva 47 anni, dichiarava gli stessi beni posseduti dal padre, ma il suo esercizio è di far il mercante in ferrarezze, il fratello Giuseppe di anni 34 era reverendo per cui non appartenevano ai Callegari scultori. Lo scultore Antonio, che aveva la bottega sotto i portici e l’abitazione ai piani superiori di quel palazzo in Piazza Nuova o di santa Maria del Lino, progettato nel XVI secolo dall’architetto municipale Ludovico Beretta. Vicini di bottega e di casa degli scultori Callegari vi erano i fratelli Carboni, anch’essi artisti famosi, per cui non residenti nella Prima quadra di Sant’Alessandro, come gli avi di Paolina, ma nella Prima quadra di San Giovanni. (M. Annibale Marchina, Quaderni gussaghesi. 1.2, p.8) Il 26 agosto 1873, a soli 17 anni Paolina Calegari, sposava l’avvocato Alessandro Torri. Nel 1880 Paolina Calegari Torri, seguendo l’esempio di Paolo Richiedei, che aveva fondato l’ospedale e il ricovero di Gussago, donò i suoi beni, posti nella frazione Casaglio, a questo nuovo nosocomio. Il cenacolo culturale di Gussago del resto era finito nel 1869 con la morte di Paolo Richiedei, mentre quello a Nigoline sarà presto creato dalla sensibilità di Paolina Calegari e dall’appoggio del marito Alessandro Torri (1844-1917) che pur essendo un ottimo avvocato aveva lasciato la pratica forense per intraprendere viaggi in tutta Europa in compagnia della Ottobre 2012

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giovane consorte.Visitarono città, musei, senza tralasciare di curare, oltre che la mente, anche il corpo, frequentando vari centri termali di moda alla fine dell’Ottocento sia in Italia che in Germania, Austria, Francia. Le terme erano luoghi di cura, ma anche luoghi per socializzare facilmente con i frequentatori più assidui, come i nobili, i ricchi imprenditori, gli artisti e gli intellettuali. Grazie alla loro predisposizione e alla loro sensibilità verso l’arte, si avvicinarono e consolidarono rapporti con artisti, scrittori, musicisti famosi, ma nello stesso tempo cercando di favorire anche i giovani talenti. Oltre ad essere dei mecenati furono anche dei filantropi, aiutando i poveri e i bisognosi che a loro si rivolgevano per lenire le loro disgrazie. Il palazzo di Nigoline, divenne un punto di ritrovo e di soggiorno molto animato, sia da ospiti illustri che da umili persone. Questo palazzo era stato ereditato da Alessandro Torri, dalla madre la nobildonna Antonia Peroni. Dopo i vari lavori di restauro, iniziati nel lontano 1869 el Palass, così familiarmente veniva soprannominata la villa di Nigoline, fu in grado di ospitare i giovani coniugi, e nei decenni tra il 1880 e il 1931, i loro amici scrittori, poeti, pittori, scultori, musicisti, politici, religiosi, conosciuti nei loro viaggi. Interessante ricordare alcuni personaggi come Antonio Fogazzaro, Giosué Carducci, Giovanni Pascoli, Giuseppe Giacosa, musicisti come Adele Bignami Mazzucchelli e Paolo Chimeri, tutti furono ospiti di Alessandro e Paolina. Nella villa di Nigoline era solito trascorre le vacanze sue estive come ospite, il vescovo di Cremona Geremia Bonomelli, illustre prelato franciacortino. Nei convivi non mancarono di essere ospitati gli uomini politici del tempo. Spesso ebbero modo di incontrarsi il vescovo Geremia Bonomelli e lo statista Giuseppe Zanardelli (1826-1903). Quest’ultimo ritenuto un anticlericale, intrattenne invece col vescovo Bonomelli, una lunga e solidale amicizia. Sarà in questa dimora che nell’agosto del 1914, porrà fine alla sua intensa vita di sensibile e moderno pastore d’anime, il vescovo Bonomelli. Se Paolina prediligeva fare salotto con artisti e poeti, Alessandro interloquiva preferibilmente con uomini del calibro di Giuseppe Zanardelli, con cui aveva collaborato alla stesura del Codice Civile, o con personaggi interessati ai problemi sociali. Questi due luoghi, Gussago e Nigoline, furono salotti culturali creati da personaggi sensibili e generosi filantropi vissuti tra il XIX e XX secolo. Il primo cessò di esserne protagonista con la morte del suo creatore Paolo Richiedei e divenne “Ospedale e casa di riposo” per i poveri gussaghesi, mentre il secondo, Nigoline, continua dal 1995 ad essere un salotto di incontri artistici, culturali e anche luogo per festeggiare ricorrenze e matrimoni grazie alla collaborazione tra i nuovi proprietari e la Fondazione Culturale Cortefranca. Nella pagina precedente, ritratto di Paolina Calegari Torri eseguito dal pittore Paolo Venturi nel 1880. Veduta aerea di palazzo Torri a Nigoline dove spesso erano ospiti Fogazzaro, Carducci, lo statista Giuseppe Zanardelli. Il vescovo Geremia Bonomelli, vi morì il 14 agosto 1914. In questa pagina dall’alto, un dipinto di Angelo Inganni che raffigura Villa Richiedei a Gussago. Rappresentazione di come il nobile Paolo Richiedei accoglieva i suoi ospiti. (Brescia, Civici Musei di Storia ed Arte). Particolare della polizza presentata nel 1722 da Giovan Maffio fu Giovan Battista Calegari, fu Cristoforo, in cui elenca i componenti della famiglia: dalla moglie Lucia di 39 anni, ai figli Fortunato di anni 18, Annunciata di anni 14, Francesco Maria anni 11, Giuseppe anni 5, Domenica Elena anni 4, Domenico mesi 3. Particolare della polizza presentata nel 1687 da Giovan Battista Calegaro, avo di Paolina.

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Brescia-Matera un legame lungo 110 anni

Un filo sottile unisce ancora Brescia a Matera. Due città distanti ma che in comune hanno un legame di riconoscenza verso Giuseppe Zanardelli (1826-1903). Per Brescia lo statista rappresenta un esempio unico di cittadino liberale del XIX secolo, un patriota, un uomo politico, un giurista. Per gli abitanti di Matera invece fu il primo politico, dopo l’Unità d’Italia, siamo nel settembre del 1902, ad interessarsi personalmente del problema sociale della Lucania e delle regioni meridionali Popolazioni escluse dallo sviluppo delle infrastrutture che erano state invece incrementate nelle regioni settentrionali. Fece parte di quel gruppo di politici risorgimentali che favorì e traghettò l’Italia dal 1860 al 1903, anno della sua morte, verso nuove mete liberali e sociali. Memorabile fu il suo viaggio, intrapreso alla bella età di 76 anni nei luoghi che i suoi compagni di partito gli avevano sollecitato per vedere e giudicare le condizioni in cui vivevano le popolazioni di certe zone del Sud. Provò sulla sua pelle i disagi causati dalla mancanza di ferrovie e di strade facilmente transitabili. Per deficienza di queste fu costretto ad usare, lungo diversi tratti, carri trainati da buoi oppure sul dorso di mulo. La Basilicata deteneva alla fine dell’Ottocento la più alta percentuale di emigranti, analfabeti e malarici. Davvero in questa regione si può dire che Cristo si era fermato. Il viaggio era stato programmato già nell’aprile del 1902, ma si effettuò solo nel mese si settembre. Toccò Napoli, la Costiera amalfitana, Capri, Sorrento. Sarà proprio un compositore di Sorrento che in occasione della sua visita comporrà la celeberrima canzone Torna a Surriento. La dedica fu al nostro statista non ad una donna come erroneamente creduto. A Matera Zanardelli giunse il 23 settembre. Percorse l’ultimo tratto del viaggio comodamente seduto in carrozza, accolto in modo trionfante dalla popolazione e dai notabili. Fu ospitato nel palazzo del conte Pietro Gattini, deputato e storico, che quarant’anni prima era stato testimone dell’omicidio di suo padre il conte Francesco. Il fatto delittuoso, ricordato ancora dalle guide turistiche, fu la risposta dei contadini al suo modo sprezzante di trattarli. Questi inferociti dal comportamento arrogante del padrone, assaltarono il palazzo, dopo un breve inseguimento lo raggiunsero e lo uccisero con un rudimentale forcone. Le campagne erano ancora in mano a pochi latifondisti che non si preoccupavano delle condizioni disumane in cui vivevano i loro braccianti e le loro famiglie, stipati in tuguri ricavati nella roccia, che avevano dato origine ad un paesaggio unico e particolare i Sassi. I Sassi sono state dimore prima rupestri e poi urbane, susseguitesi nei vari secoli. Vi convivevano in modo promiscuo famiglie, animali e attività artigianali. Zanardelli impressionato dalla realtà di Matera e della Basilicata, si attivò affinché si costruissero strade, scuole, case, ferrovie, ospedali. Le infrastrutture e le

leggi, iniziate nel lontano 1902 si possono dire attuate solo alla fine della seconda metà del Novecento, quando gli ultimi abitanti lasciarono i sassi, per occupare case che rispondessero in modo adeguato alle esigenze moderne. Quando con l’attuazione della legge del 1952 i Sassi furono abbandonati, ci si rese conto che bisognava salvarli dal degrado. Gli uomini avevano impiegato secoli a scavare nella roccia per realizzare le loro umili dimore. Sarebbero bastati solo pochi decenni a distruggere questo sito di incomparabile fascino e bellezza. Per questo problema venne in soccorso l’Unesco proclamando Matera patrimonio dell’Umanità. Per non far abbandonare definitivamente i Sassi, la Comunità europea ha progettato di creare un grande laboratorio artistico internazionale. Per favorire le ristrutturazioni e l’arrivo di artisti, ha creato particolari convenzioni finanziarie. Le risposte di questi non si sono fatte attendere. Artisti americani, inglesi, ma soprattutto italiani hanno partecipato, ristrutturando i vecchi Sassi e trasformandoli in studi con attrezzature moderne. In una grande cavea si è ricavato un teatro atto a ospitare convegni, concerti, mostre. Per ricordare i 110 anni del viaggio zanardelliano un gruppo di socie del Soroptimis club di Iseo ha organizzato il viaggio a Matera, per rinsaldare in modo concreto quel legame Matera-Brescia che ora è tenuto vivo dalla nostra artista e concittadina, Margherita Serra, che ha creato il suo atelier nel Sasso Caveoso. La nostra concittadina, artista scultricepittrice, nonché architetto, ha mantenuto e mantiene saldo quel filo zanardelliano gettato 110 anni fa. Il gruppo bresciano ha soggiornato nello stesso palazzo Gattini, divenuto ora un moderno resort. m.a.m.

In alto, targa commemorativa che ricorda il viaggio di Giuseppe Zanardelli, posta sotto un volto del palazzo Gattini Presepe. Sotto, fotografia di Matera al tramonto. Gruppo del Soroptimist Club di Iseo, davanti all’atelier di Margherita Serra, quarta da sinistra, la prima a destra è la presidente del club, Maria Luisa Lazzari Majolini. Zanardelli entra in carrozza salutato dalla popolazione. Era il 24 settembre 1902.

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Il restauro che ha fatto impazzire il web Nel 2012 può succedere che una notizia di cronaca locale dai contorni pittoreschi faccia il giro del web e dia il via a parodie e pagine Facebook in suo onore: la vicenda è l’ormai celebre restauro “fai da te” realizzato dall’ottantenne Cecilia Gimenez nel Santuario della Misericordia di Borja, non lontano da Saragozza. L’opera in questione era un ritratto di un Cristo, chiamato “”Ecce Homo”, realizzato nel 1910 dall’artista Elias Garcia Martinez, risultato di due ore di devozione alla “Vergine della Misericordia” a cui è dedicato il santuario. Dopo più di cent’anni dalla realizzazione il dipinto appariva notevolmente danneggiato dall’umidità:la tela era scrostata in più punti e il viso del Cristo non era quasi più riconoscibile.

Dato il valore dell’opera il Ministero dei Beni Culturali spagnolo aveva in progetto di stanziare i fondi per il restauro, ma al momento dell’entrata in scena della signora Gimenez questi non erano ancora stati erogati: l’anziana, abituale frequentatrice del santuario, si è così offerta di provvedere personalmente al restauro del dipinto. Il risultato?un vero e proprio sfregio: il volto del Cristo ne è uscito completamente sfigurato, non conservando nulla dei tratti somatici delineati dal Martinez, ma apparendo anzi molto stilizzato ed elementare. Le immagini della “nuova versione” dell’opera sono rimbalzate sui media di ogni angolo del mondo, trasformandolo in un’icona: una piccola rivincita per l’ottantenne artista, che ci tiene a sottolineare di aver ricevuto il via libera da parte del sacerdote del santuario, non accettando quindi le critiche ora avanzatele dalla comunità parrocchiale. Chiunque-sostiene- avrebbe potuto fermarla vedendola armeggiare con pennelli e colori sul dipinto, ma non l’ha fatto. Ora che il danno è ben visibile sarà necessario l’intervento di veri professionisti: un gruppo di restauratori è stato chiamato in causa per verificare la possibilità di riportare il dipinto alle sue condizioni originali.

Malati al lavoro: il presenzialismo è improduttivo E’ fenomeno sempre più diffuso sia Oltremanica che in Italia; sarà il posto di lavoro sempre più traballante a causa dei tagli; sarà “il logorio della vita moderna” per cui chi si ferma e perduto, sarà la convinzione, ormai radicata, che i moderni Stakanov vengano sempre ripagati: la notizia è che sempre più lavoratori si recano in azienda in evidente stato di malattia, anche con la febbre alta. La tendenza è emersa da una ricerca del Chartered Institute of Personnel and Development: su 670 datori di lavoro interpellati, ben un terzo ha rilevato un calo delle assenze da parte dei propri dipendenti, di quasi un giorno in media (da 7,7 a 6,8 nel settore pubblico e da 6,5 a 5,8 in quello privato). Meno assenteismo uguale aumento della produttività? tutto il contrario, perché andare al lavoro malati rappresenterebbe la punta dell’iceberg di una patologia ansiosa che non permette di staccare la spina neanche in stato di indisposizione; questo atteggiamento influisce negativamente sulle capacità produttive

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del lavoratore, che è più esposto all’errore a causa della mancanza di concentrazione; aumenta inoltre la possibilità di una ricaduta con recidiva della malattia, che fa allungare i tempi di guarigione. In poche parole non conviene né al dipendente né all’azienda, per non parlare del rischio di contagiare i colleghi! Ovviamente c’è qualche datore di lavoro che plaude a tale “presidenzialismo malato”, credendo che dietro alle assenze per malattia ci sia scarso impegno o ipocondria, oltre che considerarlo un ottimo metro di giudizio della costanza e dell’attaccamento al proprio posto di lavoro: d’altronde, altro dato significativo di questa tendenza, in alcune aziende ben il 45% dell’organico non si assenta mai durante l’anno lavorativo. L’altra faccia della medaglia è che sia proprio la paura di rimanere disoccupati a far prendere questa direzione ai dipendenti, sempre più spaventati dalla prospettiva di rientrare dal periodo di malattia e ritrovarsi sulla scrivania una quanto mai spiacevole lettera di licenziamento.


Dolce malinconia Oscar Taboni è nato in Svizzera nel 1967 ma fin da bambino risiede a Malonno. Una passione grande ce l’ha, ed è la fisarmonica, lo strumento di cui si è innamorato a dieci anni e che da allora ha iniziato a studiare sotto la guida del compositore bergamasco Renzo Chigioni. Presto ha iniziato una carriera concertistica in Italia e all’estero, vincendo anche numerosi concorsi. Responsabile artistico dell’Associazione Verdi per le attività musicali dell’Alta Valle Camonica, è ospite e conduttore di programmi televisivi anche nazionali come Tutta un’altra musica e Tradizioni Lombarde diffuse su rete interregionale. Oggi guida una classe propedeutica di fisarmonica con una serie di giovanissimi allievi alla sezione di Darfo Boario Terme del nostro Conservatorio Luca Marenzio: un punto d’arrivo ma nello stesso tempo anche un punto di partenza per l’avvenire di questo strumento musicale nella nostra provincia.

di Luigi Fertonani Come è avvenuto l’incontro fatale con questo strumento? È molto semplice. La fisarmonica è un vero proprio mezzo di aggregazione: anche quand’ero bambino in un momento di festa non mancava mai qualcuno che suonasse la fisarmonica e questo strumento mi colpì in modo particolare. Ma non avevo ancora l’età per cimentarmi con tastiera e mantice, e partii quindi dalla melodica che i bambini suonano a scuola e che aveva sì la tastiera, ma certo era tutt’altra cosa. Ma ebbi la fortuna di poter proseguire lo studio presso l’Accademia Vivaldi di Darfo e poi presso il Conservatorio Verdi di Milano sotto la guida di Sergio Scappini. Che è una figura veramente leggendaria nel campo della fisarmonica, della quale è stato anche campione mondiale. E lì, al Conservatorio di Milano, ho potuto studiare in modo completo la musica, non solo lo strumento in sé, e questo è stato veramente un passo fondamentale per la mia vita successiva in campo musicale. Oggi com’è messa, diciamo così, la fisarmonica nel Bresciano? Non benissimo, direi. A parte il fatto che nella nostra regione è presente in modo stabile solo nei Conservatori di Milano e di Mantova, neppure nelle scuole medie a indirizzo musicale, che sono una dozzina nel Bresciano la fisarmonica è entrata, e solo dopo molti sforzi, nell’Ungaretti di Darfo. E comunque il fatto che il Conservatorio di Brescia abbia attuato questa esperienza di una classe propedeutica di questo strumento è un grandissimo passo avanti per la fisarmonica.

Ma qual è la durata del corso, oggi? Sono dieci anni, divisi in varie tappe, come per tutti gli altri strumenti musicali. C’è un corso quinquennale cui segue un corso pre-accademico di tre anni. Il biennio finale, accademico, corrisponde al corso di laurea. Ma al di là della lunghezza del corso, difficoltà peraltro comune agli altri strumenti, io mi sentirei di consigliare gli studenti d’impegnarsi per l’oggi, per migliorare il proprio bagaglio culturale. Ci sarà poi il tempo per pensare alla propria vita professionale, che non può arrivare se non con un forte impegno personale. Certo, la situazione economica del nostro paese non è particolarmente florida attualmente, ma sono fermamente convinto che un musicista, in questo caso un fisarmonicista, bravo e preparato troverà il suo spazio. Non è che la fisarmonica sia ancor oggi guardata con una certa sufficienza da parte del mondo musicale “ufficiale”? Credo di sì, anche se le cose stanno cambiando abbastanza rapidamente, cosa che è avvenuta ad esempio con altri strumenti musicali come la chitarra e il mandolino, che sono entrati oggi a pieno titolo in Conservatorio. Quello che occorre è che questo strumento sia preso in considerazione dai nuovi compositori, in modo che possa ampliare il suo repertorio andando oltre la produzione di carattere popolare.

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L’universo Zani Ranzenigo si mette in mostra di Gaia Cutrera

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Si è appena conclusa, con grande successo di pubblico e visitatori, la seconda edizione della mostra-convegno Zani Ranzenigo Expo, una tre giorni dedicata all’universo di distributori, tecnici, produttori e architetti che trova nell’azienda di Collebeato il punto di congiunzione. Si sono messi in mostra e si è parlato di settori “caldi” come il fotovoltaico, la domotica, la climatizzazione, tutte realtà verso le quali Zani Ranzenigo ha voluto allargare il proprio raggio d’azione e di produzione, sempre tenendo al centro l’illuminazione di design, suo vero e proprio core business fin dagli inizi. Inizi che risalgono a ben 45 anni fa, a quel 1967 che ha visto venire alla luce, in tutti sensi, una realtà produttiva ed espositiva unica nella provincia. La volontà di evolvere costantemente ha portato l’iniziale struttura di commercio all’ingrosso e al dettaglio di materiale elettrico a trasformarsi in uno showroom in cui il design diventa la parola d’ordine: il cambio di look porta anche un ampliamento degli interlocutori principali; accanto ad installatori e impiantisti elettrici iniziano a

Il presidente Gianbattista Ranzenigo continua a mettere innovazione, sostenibilità e sperimentazione alla base di ogni progetto commerciale e tecnologico. Questa è la ricetta per preservare la sua realtà imprenditoriale dai tentacoli della crisi economica. I numeri - fatturato di 30 milioni di euro registrato a fine 2011 - gli danno ragione. Ottobre 2012

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comparire sempre più frequentemente architetti, arredatori d’interni e d’esterni, progettisti ed enti pubblici, figure che oggi, nel 2012, rappresentano stabilmente la clientela, sia privata che professionale, di riferimento. E’ proprio per creare un luogo d’incontro ideale per tutti gli operatori del settore elettrico che nel 2010 nasce Zani Ranzenigo Expo, come spiega l’amministratore delegato Roberto Cirillo: “L’obiettivo era quello di fornire uno strumento d’aggiornamento per tutti gli addetti ai lavori, che vengono messi al corrente delle ultime novità grazie al confronto con produttori e collaboratori”; inoltre la manifestazione ha messo in calendario una fitta offerta di convegni, dedicati a tematiche estremamente attuali come il fotovoltaico e la mobilità elettrica nei centri urbani. Uno strumento per i tecnici del settore e i numerosi partner che gravitano intorno a Zani Ranzenigo, ma anche una vetrina per le eccellenze bresciane

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del settore, che han potuto entrare in contatto con il cliente finale, il cittadino, invitato a partecipare alla mostra nelle vesti di visitatore. Nel percorso espositivo cinque box sono stati riservati alle rispettive filiali dell’azienda, nate tutti in periodi diversi e testimoni della crescita costante del marchio: accanto alla sede di Collebeato, che festeggia quest’anno il trentennale, nel 1998 è nato il punto vendita di Montichiari, a cui faranno seguito quelli di Breno, Salò e Rovato, per una copertura pressoché totale del territorio della provincia. Ma lo spettro d’azione di Zani Ranzenigo non si ferma alla sola provincia bresciana: dal 2008 l’azienda è entrata a far parte in pianta stabile del Gruppo Selectra, con sede a Bolzano, potendo contare quindi su un bacino d’utenza che abbraccia il Trentino Alto Adige e il Mantovano. Con un fatturato di 30 milioni di euro registrato a fine 2011, la continua innovazione e sperimentazione alla base di ogni progetto commerciale e tecnologico stanno dando i loro frutti, preservando la realtà imprenditoriale, guidata dal presidente Gianbattista Ranzenigo, dai lunghi tentacoli della crisi economica.

In queste immagini alcuni particolari dell’esposizione Zani Ranzenigo alla Fiera di Brescia. Le macchine aziendali, gli stand con gli operatori dei punti vendita locali, le sponsorizzazioni sugli autobus del comune di Brescia e i prodotti della ditta bresciana che si distingue per l’eccellenza tecnologica e qualitativa nel settore dell’illuminazione.L’azienda è molto sensibile alle tematiche ambientali: fotovoltaico e mobilità elettrica nei centri urbani saranno oggetto di una serie di convegni promossi dall’azienda bresciana e dedicati ai tecnici del settore. Nella foto di copertina e nella pagina a lato l’amministratore delegato Roberto Cirillo.

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Odontoiatria minimamente invasiva a Brescia

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Parola d'ordine prevenzione presso lo Studio Dentistico COI

Troppo spesso i pazienti a cui sono state in passato praticate terapie odontoiatriche, anche lunghe e costose, non raggiungono comunque risultati ottimali: quali sono i principali fattori che incidono negativamente sulla riuscita di un trattamento? La risposta è semplice, e si riassume nel concetto di “manutenzione”: ogni terapia non supportata da un buon programma di sedute di igiene programmate e dall’insegnamento corretto delle principali manovre di igiene “domiciliare” è destinato a fallire. Una serie di studi e indagini hanno restituito dati molto significativi al riguardo: una persona normale, quindi non affetta da particolari patologie, spende nel corso della sua vita dai 30 ai 50 mila euro per le cure dentali: proprio per fronteggiare le esigenze del paziente, agendo sulla prevenzione e sulla qualità dei trattamenti, è nata l’odontoiatria minimamente invasi-

va, praticata con successo presso lo Studio Dentistico COI (Compagnia Odontoiatrica Italiana): l’obiettivo di tale tecnica risiede proprio nella diagnosi precoce delle patologie orali in atto, prevenendo la formazione di ulteriori carie (“scoperte” e curate quando sono ancora al livello delle cosiddette “White” o “Brown” spots, ovvero lo stadio iniziale di demineralizzazione dello smalto). Grazie ad un sistema integrato di prevenzione ed informazione del paziente in cura si riducono inoltre i costi delle terapie odontoiatriche. La formula innovativa dell’odontoiatria minimamente invasiva si avvale delle nuove tecnologie che l’industria del settore ha messo in commercio negli ultimi anni: in questo modo l’operatore può intervenire in modo mirato e selettivo sui soli tessuti cariosi del dente. Tra i numerosi vantaggi connessi a questa tipologia di trattamento si può sottolineare la modalità

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completamente indolore in cui avviene la terapia: tramite controlli periodici e sedute di igiene ravvicinate sia negli adulti che nei pazienti più piccoli si possono così prevenire stress, ansia e paura che sono spesso correlati alla figura del dentista e radicati fin dall’infanzia: in questo caso, invece, nella maggior parte dei casi gli interventi non richiedono nemmeno l’uso di anestetici locali. Questo perché si tratta di agire molto precocemente su lesioni minime, tenendo sotto controllo il procedere di eventuali patologie, evitando sul nascere l’insorgere di problematiche più gravi che possono portare a terapie invasive quali devitalizzazioni o, peggio, estrazioni con conseguente trattamento protesico ed implantologico. Entra qui in scena l’importanza di materiali e tecnologie avanzati, grazie ai quali si registra una perdita minima di sostanza del dente, mirando alla sua conservazione più prolungata possibile nell’arco della vita del paziente: più la lesione è piccola più l’otturazione è duratura. La Compagnia Odontoiatrica Italiana srl è in grado di rispondere ad ogni esigenza del paziente, eccellendo nella qualità e mantenendo contenuti i costi grazie ad accordi diretti con le aziende produttrici dei materiali: lavora inoltre a stretta collaborazione con i più avanzati laboratori odontotecnici italiani, che si avvalgono di tecnologie di ultima generazione.

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Vanta infine convenzioni con CISL Brescia, Previmedical e Day Medical, sempre nell’ottica di fornire il servizio più vantaggioso e completo possibile al paziente. Abbinati all’applicazione dell’odontoiatria minimamente invasiva, presso lo studio dentistico si effettuano una lunga serie di trattamenti mirati, attraverso la fluoro profilassi, l’igiene orale professionale, le sigillature dei solchi ed altre metodologie volte a mantenere il dente in salute in modo duraturo. Per i più piccoli, dai 6 ai 14 anni, lo studio offre il Programma “Carie Zero”, un apposito protocollo di prevenzione svolto in studio con sedute di igiene assolutamente indolore, per permettere al bambino di prendere la giusta confidenza con lo specialista e allo stesso tempo consentire allo staff medico di intervenire precocemente su eventuali patologie. Presso la COI opera la Dottoressa, specializzata in odontoiatria pediatrica, Elisabetta Caprari, a coordinamento di un team di professionisti con competenze diversificate. Carta vincente dello studio, che ad oggi si è completamente rinnovato, è l’impiego di un unico referente impegnato a seguire il paziente per tutto il piano di cure proposto, evitando così dispersioni e intoppi durante lo stesso. Lo studio COI risiede a Brescia in Via Antonio Gramsci 28, e attualmente si avvale di una struttura satellite- lo studio dentistico Aurora- sita in Castel Mella in Via Santuario 6.

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BUGEI LE ARTI DI GUERRA

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Il vocabolo nipponico Bugei non ha un corrispettivo in Italiano. Potremmo avvicinarci al suo significato originario traducendolo con “Arti di guerra”. Il termine raggruppa in sé un insieme di discipline marziali, quindi militari, risalente all’epoca feudale giapponese tra il 1125 e il 1625 d.C. circa. Indica collettivamente le Arti Marziali, disarmate o più spesso armate, che almeno fino al periodo della restaurazione del Giappone in epoca Meiji (1868 d.C.) furono competenza della classe militare. Spesso definito con la variante Bujutsu, in riferimento alle antiche pratiche di guerra, va distinto dal Budo contemporaneo, sua rielaborazione, fondata su sistemi educativi più moderni. Il Bujutsu, rispetto ad altri esercizi era più organico perché applicabile ad ambiti vari (dallo scontro sul campo all’etica). L’origine delle arti marziali giapponesi può ritrovarsi nella tradizione guerriera dei samurai e del sistema di caste che limitava l’uso delle armi ai membri delle classi guerriere, vietandone l’uso alla popolazione. In origine, i samurai dovevano essere perfettamente in grado di lottare con e senza armi, in modo da sviluppare l’assoluta maestria nelle capacità di combattimento volte alla glorificazione personale e del signore. Nel tempo, questo scopo diventa la base della filosofia che persegue un’integrità spirituale tramite il perfezionamento delle qualità marziali. Per capirne l’evoluzione fino ai giorni nostri, incontriamo il Maestro Sandro Savoldelli, responsabile nazionale della scuola di Bugei. Cosa rimane del Bugei oggi? Ritengo molto lontana la cultura delle arti marziali dall’idea “sportiva” che nel Novecento si è andata formando. Le esigenze olimpiche del dopoguerra spinsero il maestro Jigoro Kano a creare il Judo, una nuova disciplina che, dal punto

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TANI NO DOJO

direttore tecnico M. VALLE 5° Dan Aikikai Tokyo

E’ un mondo a parte fatto di Cultura (con la C maiuscola!), aneddoti, ricerca storica, studi antropologici ed emozioni. Sono sempre stato convinto che ogni vero “marzialista” appassionato, dopo anni di allenamento, possa sentire la mancanza di un Maestro (con la M maiuscola!) che racconti in maniera meno tecnica, ma molto più affascinante, l’universo che si cela dietro ai comportamenti, alla scrittura in ideogrammi, alla pittura e alle molte altre forme d’arti orientali classiche. Solo così arriverà a conoscere il perché dell’utilizzo di un tipo di arma invece che un’altra, il periodo storico, le necessità adottate per la battaglia in certe situazioni, nonché il valore enorme della scrittura ideogrammatica o pittografica ai fini della comprensione di un concetto tecnico. Le Arti Marziali sono un patrimonio storico non solo per i paesi di origine ma anche per la comprensione di genti e culture diametralmente opposte. In questo senso, qual è stato il suo percorso? Sono passato dal solo Jujutsu alle discipline Bugei, seguendo la scuola tradizionale Kaze No Ryu Bugei-Ogawa Ha. Ho approfondito le materie tipiche del periodo delle grandi guerre come il Kenjutsu, Kyūjutsu, Shurikenjutsu e tante altre. Non ho trascurato le arti spirituali come la meditazione, la cerimonia giapponese del Tè, la pittura Sumi-e, la disposizione dei fiori e lo Shodo, attività che, unitamente alla preparazione per la battaglia, garantivano al Samurai un tenace equilibrio interiore per sopportare i devastanti avvenimenti quotidiani dell’epoca. Si ringrazia il Maestro Shibu-Cho Sandro Savoldelli KAZE NO RYU BUGEI / OGAWA HA Italy Bugei Renmei - Shibu Gakko www.italy.bugei.eu www.bugei.eu www.bugei.com.br

Corsi di AIKIDO e ARMI ( spada bastone coltello )

pausa pranzo e sera

Corsi di JU-JUTSU

adulti e bimbi e AUTODIFESA PERSONALE maestro SAVOLDELLI SANDRO 5° DAN JUJUTSU

Corsi di IAIDO

arte di estrazione rapida della spada

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di vista educativo e formativo, contenesse i valori universalmente noti di rispetto, rigore, sincerità e lealtà che ben si allineavano al codice marziale del Samurai (il Bushido). Proporre al pubblico olimpico moderno un’arte marziale che per secoli caratterizzò il Giappone nelle vicissitudini scaturenti nella formazione di un governo stabile sarebbe stato anacronistico. Gli stili erano rudi, quasi barbari e non potevano certo adattarsi ad un tipo di lotta che non prevedesse danni o decessi. La stessa visione dei maestri si è progressivamente modificata in senso inverso. Da una pratica volta al risultato e al confronto in gara per stabilire quale fosse la tecnica migliore per una competizione, è venuto materializzandosi il senso di vuoto culturale che questa disciplina lascia dopo molti anni. Cosa si nasconde dietro alle arti marziali?


Chi di copyright ferisce...

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Settembre è stato il mese del lancio del tanto atteso Iphone 5, accompagnato dalle ormai consuete file chilometriche all’ingresso degli Apple Store di tutte le città italiane e non. L’evento era ovviamente atteso da mesi in ogni angolo del mondo, e seguiva di poco il verdetto della causa milionaria contro Samsung, favorevole alla casa di Cupertino. Forse sulla scia di tali polemiche c’è chi si è preparato in modo molto particolare all’uscita dell’ultimo gioiellino Apple: si parla della GooPhone, una società cinese che ha sviluppato uno smartphone con a bordo il sistema operativo Android, introdotto sul mercato con il nome di i5. Fin qui nulla di strano, se non il fatto che l’azienda cinese aveva già messo le mani avanti: nel momento in cui Iphone 5 uscirà in Cina, la GooPhone citerà in giudizio, senza pensarci due volte, la Apple!L’accusa è stata mossa con assoluta, o almeno così sembrerebbe, cognizione di causa: questo perchè GooPhone sosteneva di possedere “diritti di proprietà intellettuale e brevetti sul telefono”, il che farà scattare automaticamente l’accusa di plagio contro il colosso americano una volta toccato il mercato asiatico. In sostanza l’i5 si presenta come un Iphone 4s, solo di dimensioni maggiori: i ben informati sostengono che sia stato progettato, specialmente a livello di design esterno, raccogliendo la grande quantità di rumors e di immagini “in anteprima”, scovate nel web, relative al nuovo modello della Apple. Il tutto appositamente per poi dare il via, in un secondo momento, alla battaglia legale. Nonostante la vicenda sembri paradossale, il pericolo per l’Apple è concreto, anche sotto il profilo delle vendite: il GooPhone i5 è attualmente sul mercato cinese a 299 dollari, molto al di sotto del prezzo dell’Iphone 5 (qui in Italia venduto ad una cifra che oscilla tra i 729 e i 949 euro), il che farà partire con un ipotetico svantaggio la distribuzione dello smartphone a stelle e strisce in Asia. Ma c’è chi tranquillizza la casa della Mela: è impossibile che il prodotto cinese sia completamente identico a livello di specifiche tecniche all’ultimo nato in casa Apple.

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Fine di un’Era? Non si parla di moviola in campo, di cartellini arancioni o di tagli agli ingaggi, ma quella che si profila all’orizzonte potrebbe essere comunque una svolta epocale per tutti gli appassionati e i collezionisti che legano il marchio Panini alle celebri figurine che ci hanno accompagnato nel corso dell’infanzia e non solo. Questo perchè dalla prossima stagione potrebbe non essere più l’azienda di Modena a produrre il celeberrimo album. La Lega di serie A e l’Assocalciatori, hanno siglato una convenzione promo-pubblicitaria per lo sfruttamento nei prossimi cinque anni dell’immagine dei giocatori. «Non è scontato» però che a produrre l’album sia Panini, come accade ormai da decenni, ha spiegato il vicepresidente dell’Aic Umberto Calcagno: «Si valuteranno le offerte dei vari licenziatari, alcuni hanno già manifestato interesse». «Puntiamo a rispettare i tempi tradizionali dell’album, attorno alla metà di dicembre. In queste settimane - ha rivelato il presidente della Lega di serie A Maurizio Beretta - abbiamo ricevuto una serie di missive dalla società internazionale Topps», che negli Stati Uniti produce gli album di football e baseball e in Inghilterra della Premier League. «Le nuove forme di utilizzo delle immagini dei giocatori sono tutte da esplorare - ha sottolineato Calcagno -. Si parla soprattutto dell’album di figurine, più tangibile nell’immaginario collettivo, ma ci sono anche i videogiochi e le applicazioni per internet e le card.» Secondo a quanto riportato nell’accordo «l’Aic ha conferito i diritti di immagine dei giocatori alla Lega di serie A, che era già titolare di quelli sui marchi, i colori e le maglie delle squadre - ha spiegato Beretta - La Lega ha il mandato di trattare con i licenziatari e i ricavi saranno divisi al 50% con l’Aic. L’obiettivo è massimizzare i risultati, è un buon accordo ed esprime forte collaborazione». Saranno quindi le nuove tecnologie, la ricerca dell’innovazione e lo sfruttamento dei nuovi media a far tramontare l’era delle storiche “figu”? La risposta si avrà a dicembre.


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La dieta Dukan è dannosa?

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30 milioni di persone al mondo ci hanno creduto, le vip ne hanno fatto il loro mantra personale, sbandierandola come soluzione definitiva al problema dei chili di troppo: ora la dieta del dottor Pierre Dukan, autore del best seller “La dieta Dukan per scolpire la propria linea” è sotto accusa: dopo essersi auto-radiato dall’ordine dei medici francesi per potersi liberare dell’accusa di esercitare la professione per meri fini commerciali, il “guru” della linea dovrà anche difendersi dalle testimonianze, raccolte da un pool di nutrizionisti, dietologi ed endocrinologi, che riportano dati non proprio edificanti sui pazienti in regime post-Dukan. La dieta faceva leva su un’alimentazione iperproteica, ipocalorica e senza carboidrati: grazie soprattutto ad una massiccia campagna di marketing nel giro di dodici mesi è esplosa con un vero e proprio boom in tutto il mondo. Ma con quali risultati? Il primo problema riscontrato in questo particolare regime alimentare è l’inefficacia a lungo termine: i dati elaborati in Francia riportano che sono tra l’80 e il 95% le persone che riacquistano peso entro un anno dall’inizio della dieta Dukan. Il calo radicale di peso nella fase iniziale è dovuto ad alcuni semplici fattori, come spiega il direttore del Centro di studio e ricerca dull’obesità dell’università di Milano Michele Carruba: «La dieta iperproteica fa perdere peso perché produce un accumulo di corpi chetonici che provocano nausea e riducono l’appetito. Le persone a questo punto non mangiano perché hanno disgusto del cibo, ma i corpi chetonici sono dannosi per i reni e alla lunga possono procurare danni permanenti. Questo regime favorisce un rapido calo di peso ma non educa a una dieta corretta». Accanto a quelle di natura medica, altre raccomandazioni arrivano anche dall’associazione Altroconsumo, che ricorda di non seguire diete senza aver precedentemente consultato uno specialista: «Il regime alimentare ideato da Dukan non convince, anzi spaventa. Secondo molti medici è una dieta sbilanciata nei nutrienti e dunque pericolosa, soprattutto per ipertesi, cardiopatici e persone che bevono poco. È inoltre dimostrata la correlazione tra un’eccessiva assunzione di carne e l’aumento di rischio del cancro al colon retto».

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direttore Edoardo Beccalossi redazione Paola Castriota, Claretta Pasotti, Paola Gregorio, Magda Biglia, Luigi Fertonani, Igor Frassine, Leonardo Wesendorf, Osvaldo Mairani, Cristina Salfa, contributi speciali Mariella Annibale Marchina Danilo Stefani fotografia Remio Maifredi, Edophoto, Mauro Brunelli impaginazione Francesca Vezzoli

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pubblicità info@panoramabresciano.it 030.2191305 / 334.3575976 segreteria info@panoramabresciano.it stampa Megaprinter - Venezia Chiuso in redazione il 11-10-2012 alle 18,00 Autorizzazione del Tribunale di Brescia Edizioni Le Amazzoni via Genova 8 Brescia www.panoramabresciano.it info@panoramabresciano.it Ogni riproduzione realizzata sia con mezzi meccanici che elettronici è vietata senza autorizzazione scritta dell’editore


LA RICETTA EGIZIANA

kamouneia Gli ingredienti

Polpa di vitellone 600 gr. 1 spicchio d’aglio Sedano Carota Cipolla Brodo vegetale Cumino Prezzemolo fresco Olio extra vergine di oliva Sale q.b. Pepe q.b.

Preparazione

Per prima cosa mettete a scaldare del brodo vegetale. Intanto prendete una padella larga e mettete a rosolare il sedano, la carota e la cipolla precedentemente tritati finissimi e lo spicchio d’aglio in camicia. Aggiungetecilacarneprecedentemente tagli-

ata a cubetti piccoli e fate rosolare il tutto assieme ad una bella manciata di cumino e sale. Quando l’esterno dei bocconcini di carne si sarà ben dorato, aggiungeteci tre o quattro mestoli di brodo bollente, coprite con un coperchio e lasciate cuocere a fuoco lento. La carne sarà pronta quando il sugo si sarà rappreso (andando a creare una salsetta densa) e la carne, premendola con una forchetta, si sfalderà, segno che è diventata tenerissima. Nel caso in cui il sughetto si sia rappreso, ma la carne non sia morbida al punto giusto, aggiungete ulteriore brodo (con parsimonia) e lasciate proseguire la cottura lentamente. Più o meno ci vogliono dai 45 minuti in poi per una buona riuscita della cottura. Terminate con una spolverata di pepe ed aggiungete il prezzemolo tritato. Il segreto di questo piatto è la morbidezza della carne che, cuocendo lentamente nel brodo, ma, essendo stata sigillata dalla rosolatura iniziale, non disperde i propri succhi nutritivi, conferendo un sapore unico arricchito dal cumino, una spezia meravigliosa che rievoca magnifiche serate sotto il cielo egiziano. Il piatto andrebbe servito su una base di riso bianco in questo caso è servito su una purea di pepe e carote.

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Dal 2012 i turisti dello spazio alloggeranno al Galactic Suite

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Si chiama Galactic Suite il primo albergo situato a 450 chilometri dalla Terra che dal 2012 ospiterà turisti dello spazio. Per ultimare la costruzione dell’ hotel nello spazio, che potrà ospitare fino a 400 persone, verranno spesi circa 15 mila miliardi di lire. Una vacanza da 3 milioni di euro per 400 persone adeguatamente preparate alla permanenza nello spazio.38 sono i futuri clienti dell’albergo galattico che hanno già prenotato una stanza: come Xavier Claramunt, progettatore del Galactic Suite insieme allo scienziato Gene Meyers, ha rivelato al quotidiano spagnolo El Mundo, si tratta di quattro spagnoli, undici americani , sette arabi, sei cinesi, cinque russi e cinque australiani. A scortarli fino all’albergo sarà una speciale nave spaziale che trasporterà 4 turisti per volta. I viaggiatori sborseranno la cifra di ben 3 milioni di euro che include, oltre

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al pernottamento nel Galactic Suite, la permanenza di circa 4 mesi su un’ isola caraibica dove i futuri ospiti dell’hotel galattico seguiranno un training di preparazione all’insolita esperienza. Dovranno infatti essere pronti alla vacanza in assenza di gravità: il Galactic Suite effettuerà 15 orbite giornaliere, ruotando intorno alla Terra alla velocità di 30.000 Km/h.Indispensabili alcuni accorgimenti, come i muri delle stanze ricoperti di velcro, per poter dare ai turisti la possibilità di “appigliarsi” con gli abiti, e la stanza piena di vapore acqueo al posto della doccia. La Galactic Suite Limited, la società esistente a Barcellona da circa 2 anni che ha progettato la Galactic Suite, sta già pensando a creare una catena di hotel spaziali accessibili a tutti.Per tutte le informazioni, c’è il sito ufficiale.


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Il massaggio si avvale di tecniche connettivali eseguite con manovre alternate veloci, medie e delicate, che hanno come finalità la riattivazione della microcircolazione sanguigna e linfatica e l’ossigenazione dei tessuti superficiali con conseguente miglioramento della tonicità.

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È caratterizzato da una particolare tecnica che prevede l’utilizzo di braccio, avambraccio e mano dell’operatore che, tramite lenti ed avvolgenti movimenti, esercita una pressione media ma decisa. Questo massaggio, piuttosto che focalizzarsi su specifiche zone, coinvolge l’intero corpo della persona, dai piedi fino alla testa, creando così una lunga e profonda sensazione di perfetta armonia.

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Antica tecnica di massaggio che si avvale dell’utilizzo delle pietre laviche calde del Mar Mediterraneo. Con l’utilizzo delle pietre calde e fredde posizionate nei punti energetici del corpo, viene ristabilito l’equilibrio muscolare e mentale. Con le stesse viene dolcemente massaggiato tutto il corpo.

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