Panorama Bresciano Settembre 2012

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Anno 2 - SETTEMBRE 2012 nr 7

Magazine di Attualità Economia Finanza Cultura Storia Enogastronomia Territorio

SETTEMBRE 2012

€ 1,50

PANORAMA BRESCIANO AVVELENATI l’inquinamento ha superato il limite

Marino Ruzzenenti Francesco Patitucci Codisa Ambientebrescia I residenti di San Polo

e inoltre: la chiesetta dei congiurati, Maurizio Casasco, Stefano Ghisleri, danza, arti marziali, tecnologia, droghe, scienza, shopping



PANORAMA BRESCIANO Magazine di Economia Finanza Attualità Cultura Storia Enogastronomia Territorio

Editoriale 05 Polvere&Veleno 07 Un’estate da Draghi

SOMMARIO

Attualità 08 Brescia? Altro che Taranto 14 Niente amianto 16 Chiarezza sugli ultimi dati 18 Siamo sicuri che basti un cartello? 19 Salvare il territorio: missione possibile? 22 Polmoni d’acciaio 24 L’ambiente è un bene culturale 25 La favola della domenica 26 I disastri ambientali nel mondo

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Marino Ruzzenenti parla dell’inquinamento

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Francesco Patitucci dal consiglio regionale

Economia 30 Siamo la spina dorsale del Paese Storia & Cultura 28 La chiesetta dei congiurati 54 Lo sapevate che... Musica 33 La sonata dell’ingegner Pianista 34 Il linguaggio nascosto dell’anima Sport 36 Arti marziali: karate, aikido, tai chi chuan Salute 50 L’inattività fisica uccide Tu r i s m o 42 Leggendario Atlantis 44 Shopping eco-chic Scienza 48 Alghe mangia C02 49 I danni della marijuana Te c n o l o g i a 46 La guerra degli hacker

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Il Codisa e la sua battaglia

IN COPERTINA Anno 2 - SETTEMBRE 2012 nr 7

Magazine di Attualità Economia Finanza Cultura Storia Enogastronomia Territorio

SETTEMBRE 2012

€ 1,50

PANORAMA BRESCIANO AVVELENATI l’inquinamento ha superato il limite

Marino Ruzzenenti Francesco Patitucci Codisa Ambientebrescia I residenti di San Polo

e inoltre: la chiesetta dei congiurati, Maurizio Casasco, Stefano Ghisleri, danza, arti marziali, tecnologia, droghe, scienza, shopping

L’inquinamento è diventato un problema urgente da risolvere. In copertina un’immagine simbolica dell’inquinamento che caratterizza i tempi moderni. In questo numero abbiamo dato voce a chi segue il nostro territorio.

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Sanpolini dai polmoni d’acciaio

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editoriale

settembre 2012 POLVERE&VELENO

Il numero di questo mese è dedicato ai gravissimi casi di inquinamento presenti da anni nella nostra città. Situazioni da far accapponare la pelle e che pochi conoscono. Quelli che qualcosa sanno, non hanno tuttavia piena cognizione del problema, come se la cosa li toccasse solo marginalmente. Invece ne siamo dentro tutti, fino al collo. Polmoni, fegato e stomaco compresi. Caffaro, Baratti-Inselvini, inceneritore, acciaierie, cave, traffico, discariche di amianto. Pcb, diossine, cloruri, cromo, Pm10. E chi più ne ha più ne metta per un cocktail da sballo, ma velenosissimo, anzi mortale. Abbiamo affrontato il problema cercando di sviscerarlo in tutte le sue componenti: dalla politica, al sociale, dai dati dei servizi sanitari alle interviste raccolte per strada. Tutti hanno il diritto e perché no, anche il dovere in qualità di cittadini di farsi un’idea dell’entità del problema che per noi ha assunto i contorni di domande cui dare risposte. Una cosa è certa: noi siamo cresciuti negli anni Ottanta ci siamo presi tutto il “meglio” che il menu cancerogeno poteva offrire. Dai casi italiani a quelli stranieri (nucleari) come Cernobyl. Siamo sopravvissuti, ma non sappiamo se molte delle patologie, lievi o gravi, di cui soffriamo oggi siano per caso effetto di quelle contaminazioni. Il dubbio velenoso viene a galla. Noi che siamo cresciuti giocando nei parchi della città proprio negli anni in cui la Caffaro produceva a pieno regime e l’Alfa Acciai non aveva ancora posto barriere e filtri ai suoi impressionanti macchinari (a qualcuno sarà capitato di costeggiarla e vedere le incredibili colate di metallo fuso dai colori sgargianti). Noi che abbiamo bevuto a piene mani l’acqua delle fontanelle nei parchi pubblici e l’abbiamo fatto con quel profondo senso di gioia che pervade coloro i quali possono rifocillarsi dopo aver giocato e corso a perdifiato per tutto il pomeriggio. L’abbiamo fatto senza pensare che quell’acqua potesse essere contaminata. Abbiamo preso a calci un pallone per ore e ore sui prati come i calciatori, quelli “veri”, della serie A senza pensare che proprio quell’erba potesse essere contaminata. Noi siamo quelli che adesso non solo si chiedono se quella contaminazione ci ha presi o sfiorati, ma si domandano anche quale futuro devono offrire a figli e nipoti, e come li devono proteggere. Ci domandiamo inoltre se tutta questa crescita economica di cui Brescia ha beneficiato grazie alle imprese dei privati, alla luce del danno ambientale e alla salute delle persone, sia valsa la pena. Il dubbio velenoso torna a galla. Proviamo a ricacciarlo giù ma ogni volta che osserviamo i balconi ricoperti di polvere nera come il carbone e sentiamo strani odori nell’acqua del rubinetto e vediamo bambini che giocano sull’erba contaminata dei parchi pubblici sotto la “benedizione” di quei cartelli comunali che avvertono del pericolo, lo stomaco lo ributta su, quel pensiero velenoso. Paola Castriota

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UN’ESTATE DA Draghi

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di Danilo Stefani

Finita l’estate rovente, viriamo verso la frescura d’autunno. Abbiamo vagato storditi, per i colpi subiti dai vari Scipione, Caronte, Lucifero, Minosse, Ulisse, Nerone, Caligola. Non avendo uragani, qualcuno ha pensato bene di imporre un nome di battesimo agli anticicloni africani. L’estate oltre che torrida è stata anche ansiosa perché colma di preoccupazioni per la spirale politico – economica, e allora quei nomi sembravano pesarci sulla pelle come timbri di tortura. Volevamo una semplice vacanza per i nostri spazi di relax; magari con la compagnia di un libro alternato ai Giochi Olimpici di Londra. Tuttavia, tra una pagina, una medaglia e un colpo do calore, ecco le dichiarazioni di Mario Draghi, quelle di Mario Monti, e della politica in castigo che aspetta il suo turno di governo e spara qualche bordata nell’attesa. I sussulti di quel nuovo padrone horror della nostra vita chiamato spread sono stati il corollario e il pretesto per pronunciamenti importanti: lo start e l’arrivo di tanti politici di spicco. Con la precisione del tiro al piattello e dei colpi di scherma, dalle aule parlamentari (dove la scure dei tagli non infieriva), dalla stampa, dai blog e dalle Tv, uscivano frasi memorabili. Citiamo solo alcune di queste performance paroliere, perché ci manca spazio e tempo per tenere una rotta costante nel fluire del mare magnum della politica italiana. Cominciamo dal trio dell’ABC politico: Alfano, Bersani e Casini. Il segretario del Pdl, Alfano, nel ruolo di un singolare cardinale Camerlengo che aspetta sempre lo stesso Papa (Berlusconi) ed è comunque felice come una Pasqua, propone la tiritera dell’abolizione dell’Ici sulla prima casa. Secondo l’Angelino Alfano basta vendere una parte del patrimonio dello Stato, quella non necessaria. Evviva, e perché non farlo negli anni precedenti? Eppure qualche ‘lieve’ segnale di recessione economica si avvertiva; mica solo scandali sessuali, conflitti d’interessi e gaffe internazionali. Ma questo ‘sfuggiva’ anche ai media, oltre che ai politici; parlare dell’ex premier e delle sue vicissitudini ingrassava la stampa e la Tv. Si mulinava intorno alle faccende di letto e di anticamera invece che a quelle dello spread: perché più accattivanti, pruriginose e utili alla caduta del Berlusca. Il leader dell’Udc, Casini, dice: “Andiamo alle elezioni da soli, poi, forse, faremo un accordo con il Pd”. Il devoto montiano Casini, grande mestierante, sembra volere i voti da prete per entrare in conclave da cardinale. Dal fronte del Pd, Bersani ha definito “agghiacciante” l’ipotesi del ritorno berlusconiano. Quello del segretario del Pd è stato il termine più “fresco” dell’estate. Bersani si trova nella posizione di chi parla spesso, ma non si

Non esistono più i grandi scandali estivi dei vip. Messo in fresca Berlusconi, l’estate torrida ci ha messo in ginocchio insieme alle parole degli altri politici: ma che dicevano? Ecco un piccolo campionario di prodezze al “caldo”.

capisce per chi (o per cosa) lo faccia. I rapporti con Vendola e Renzi, il Di Pietro fuori, Casini che rimane in aspettativa, la relazione “amorosa” con la Cgil, i temi etici: la giostra di sinistra (o sinistra centro) si è messa a girare con tutti i suoi dubbi. Sembra di vedere il trailer di un film già visto: quello con la regia di Romano Prodi, titolo “L’imbarcata”. Eccoci al Presidente del Consiglio, il prof. Mario Monti. Quest’uomo sobrio, dall’aria borghese perbenista, con l’aspetto del monaco distinto e inflessibile; è un riformatore con le mani libere e le forbici affilate sempre in tasca. Non sarà Martin Lutero ma le riforme le fa, eccome. Monti dimentica l’economia reale, quella dell’uomo qualunque, perché deve “salvare l’Italia dal baratro”. Pazienza poi se nel frattempo non si salvano gli italiani. “Un politico bada alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”, dice da Mosca, citando De Gasperi e aprendo un ciclo estivo di dichiarazioni illuminanti. Tutti pensano che voglia darsi una statura da statista, ma il giorno successivo si corregge: “Non sono un politico né uno statista”. Già, questo lo sospettavamo. In un’intervista a Der Spiegel, il secondo lampo montiano: “Auspico per i governi una certa autonomia dai parlamenti”. Apriti cielo: soprattutto quello sopra Berlino ha fatto tuoni e fulmini. La stoccata finale in un’intervista al Wall Street Journal: “ Se ci fosse ancora Berlusconi, lo spread sarebbe a 1200 o qualcosa di simile”, facendo così infuriare le truppe in dormiveglia del Cavaliere, fino alla richiesta, esaudita, di scuse riparatrici. In Italia, si sa, tutto si scusa e si smentisce: dalle banalità alle cose serie. Chiudiamo con Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea: “Faremo tutto il possibile per salvare l’euro”. E le borse schizzano in alto. Sembra che la banalità sia la nostra ancora di salvezza dalla tempesta europea. Ammesso che i “sagaci calcoli” degli ammiragli della Bundesbank tedesca non ci facciano affondare (tutti) prima.

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Dall’alto: la stratificazione dell’inquinamento dell’aria sopra la nostra città; i camini del teleriscaldamento; uno scarico nel fiume Mella all’altezza di Villa Carcina; tubature inserite in un giardino chiuso al pubblico situato in zona limitrofa alla Caffaro.

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attualità

BRESCIA? ALTRO CHE TARANTO

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L’aria, l’acqua e il terreno della nostra città sono centinaia di volte più intrisi di sostanze tossiche. La gamma è vasta: Pcb, diossine, cromo, Pm10, tetracloruri, tricloruri, triclorometano e altre formule chimiche difficilmente pronunciabili ma altamente nocive. A spiegarlo è Marino Ruzzenenti che da decenni si batte per portare alla luce i casi di violenza ambientale e di danno alle persone, e fermare politiche energetiche che non guardano al futuro ma a un secolo – quello scorso – votato alla logica del petrolio e del carbon fossile. Intanto Report, il programma di inchieste condotto da Milena Gabanelli, l’ha contattato per una puntata che verrà dedicata proprio all’inquinamento delle falde acquifere di Brescia.

di Paola Castriota

Recentemente si è molto parlato di A2A e dell’intenzione di costruire un impianto di lavorazione delle polveri leggere prodotte dall’inceneritore. Cosa ne pensa? L’impianto non è necessario. La discussione non è dove metterlo, ma se ha senso un impianto di questo genere. Il problema nasce dall’inceneritore da 800mila tonnellate che bruciando i rifiuti produce le ceneri leggere, 42mila tonnellate all’anno, che vengono trattenute dai filtri e sono piene di sostanze tossiche soprattutto metalli pesanti, Pcb, diossine. Lo smaltimento di queste ceneri in discarica rappresenta un costo elevato per A2A che invece vorrebbe costruire un impianto per lavarle e cementificarle producendo dunque materiale per l’edilizia. Ma il punto è che se a Brescia venisse rispettata la legge che impone per il 2012 il 65 per cento una raccolta differenziata, avremmo 160 mila tonnellate di rifiuti l’anno per un totale di 9000 tonnellate di ceneri e non portare i rifiuti da fuori provincia che è una cosa demenziale. Siamo la terza città d’Europa con l’aria più inquinata secondo uno studio dell’Unione europea. Un impianto nuovo dovrebbe lavorare trent’anni per avere un ritorno, ma l’Unione europea in due recenti delibere pubblicate da due commissioni diverse

sede medioevale del consiglio cittadino Settembre 2012

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Perché a differenza delle capitali europee, Brescia non punta tutto sulla differenziata? Perché a suo tempo sono state fatte scelte sbagliate che ora sono clamorosamente sbagliate. A2A non ha una strategia per il futuro. Anni fa voleva costruire una centrale termoelettrica, autorizzata dal Comune. Noi ci eravamo opposti, vincendo. Oggi buona parte delle centrali termoelettriche vanno al 40/50/60 per cento. Ma il fermo impianto ha un costo pazzesco sulle nostre bollette. Inoltre produrre energia elettrica attraverso centrali di questo tipo costa l’ira di dio perché serve gas metano. A2A è stata fondata dal buon Renzo Capra, allievo di Enrico Mattei, figlio di quella cultura del petrolio a basso costo. Anche il teleriscaldamento è una tecnologia superata: in estate anche quando arriviamo a 40 gradi di temperatura, teleriscaldiamo la città facendo passare acqua calda nei tubi sottoterra, rilasciando calore. L’acqua calda la fai con il sole, l’energia elettrica con il fotovoltaico e riscaldamento con sole e geotermico. Così si fa oggi. Queste sono le tecnologie nuove.

CHI È MARINO RUZZENENTI Classe ’48, originario di Medole, maestro, sindacalista, promotore di iniziative ambientali e autore di libri-inchieste in cui mostra tutti i dati dell’avvelenamento di persone e natura. Attualmente lavora per la fondazione Micheletti di Brescia centro di ricerca sull’età contemporanea. Tra le sue numerose pubblicazioni: Il movimento operaio bresciano nella Resistenza; Un secolo di cloro e …Pcb; Storia delle industrie Caffaro di Brescia; L’Italia sotto i rifiuti; Il mito dell’inceneritore, pardon termoutilizzatore, Asm di Brescia.

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A2A è un punto centrale perché fa scuola per tutti. Dovrebbe essere l’avanguardia, non la retroguardia.

L’inceneritore non è l’unico La centralina che rilevava le PM10 a Buffalora è problema. stata chiusa perché sparava valori allucinanti. A che punto siamo con la bonifica dei danni prodotti dalla Caffaro? Siamo al punto in cui eravamo undici anni fa. È uno scandalo inaudito. Ho presentato ricorso alla Comunità europea. Ci sono 25 mila abitanti sottoposti a un’ordinanza di emergenza che sarebbe dovuta durare solo sei mesi, per sua stessa natura, e invece è stata di volta in volta rinnovata. La prima ordinanza è del febbraio 2002 e vietava agli abitanti della zona di via Milano Brescia è una città super inquinata ma i bresciani di andare nei parchi, coltivare orti, camminare nel giardino di non se ne rendono conto. Dati alla mano la nostra casa, allevare animali. Una ordinanza del genere poteva anche città è molto più inquinata di Taranto sia il suolo, durare al massimo un anno, ma se si continua a reiterarla, non l’acqua e la contaminazione delle persone. Non ha più senso e gli abitanti sono tornati al coltivare l’orto e i esiste in Italia città più inquinata. Che qualcuno mi bambini a giocare nei parchi contaminati. smentisca, compresa l’Arpa. Non si è fatto nulla per la bonifica. Abbiamo ottenuto sei

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(quella per l’ambiente e quella per le attività produttive) ha stabilito che entro la fine di questo decennio vada superata la tecnologia di incenerimento dei rifiuti, una tecnologia dello spreco, del secolo scorso. È un impianto che guarda al passato, non al futuro e uno dei motivi per cui A2A è in crisi finanziaria è proprio questo. Non siamo più nel Novecento, adesso siamo nell’era del recupero del materiale e delle energie rinnovabili. Noi facciamo fatica a stare in Europa perché la nostra tecnologia è ferma, superata.

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L’impianto per le ceneri è un accanimento terapeutico per tenere in vita un inceneritore che sta morendo. Se si costruisce un impianto per le ceneri questo deve funzionare a pieno regime per almeno trent’anni e di conseguenza anche l’inceneritore dovrà dare senso a quell’impianto continuando a perseguire una strada sbagliata.


MAPPA DEL CONO “CAFFARO”

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CHIESANUOVA

QUARTIERE NOCE

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E il processo penale? Abbiamo presentato un esposto alla magistratura per il superamento del limite dei 35 giorni imposto Il processo penale è stato dalla legge in tema di Pm10. Le targhe alterne non archiviato perché non è stato servono a nulla. Il parcheggio sotto al Castello è possibile provare il nesso di un controsenso. Bisogna intervenire sul traffico causalità tra l’inquinamento e attraverso sistemi trasportistici che non richiedono le morti per tumore e dunque combustione. Autobus elettrici o filobus che in la responsabilità personale passato c’erano. del reato. Pcb e diossine sono sostanze inquinanti chiamate totopotenti: possono causare molti tumori e non uno specifico. L’Asl di Brescia poi è molto reticente, prudente. Dunque come si fa a dimostrare il nesso di causalità e dunque la responsabilità personale? Per il reato di disastro ambientale è intervenuta la prescrizione. Sapete in Italia funziona così.

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milioni di euro non ancora utilizzati, ma sono una miseria, non servono a nulla. Taranto ha fatto un casino e si sono portati a casa 340 milioni di euro dal Governo per la bonifica. Ripeto, Brescia è centinaia di volte più inquinata. Sembra che i bresciani siano disposti a convivere con tutto questo.

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Abbiamo bisogno di una strategia a medio periodo di fuoruscita dai combustibili fossili, dal modello del Novecento che ha prodotto un disastro.

Parliamo di un caso relativamente recente: la BarattiInselvini di via Padova. I titolari sono stati condannati lo scorso ottobre a un anno e due mesi di reclusione che non sconteranno in carcere per via della condizionale. La falda di Brescia è molto inquinata. Sono presenti agenti come cromo esavalente e solventi clorurati tra cui per la Caffaro il tetracloruro di carbonio e il cloroformio. Il cromo esavalente impiegato nelle cromature è arrivato sia dalla Valtrompia, giù dal Gobbia dentro il Mella, sia da industrie come la Baratti-Inselvini. Il quartiere Tamburi di Il nostro è un terreno Taranto presenta la stessa alluvionale fatto di quantità di benzopirene che c’è a Brescia perà ghiaia e sabbia, non là un magistrato ha avuto il coraggio di fare una è impermeabile. rivoluzione: ha chiesto e ottenuto la chiusura di un Una parte di acqua impianto peraltro vitale per la comunità. Qui non inquinata se ne va siamo in grado nemmeno di mettere in discussione con i fiumi, ma una un inceneritore che non serve a nulla.

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DIOSSINE

PCB

Brescia Caffaro 3.332 ng/kg Brescia Caffaro 6.300 mg/kg Taranto Ilva 10,3 ng/kg Taranto Ilva 458,41 mg/kg limite di legge 10 ng/kg limite di legge 60 mg/kg

legenda: ng = nanogrammi mg = microgrammi

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fonte ambientebrescia.it


parte entra nel terreno fino a raggiungere la falda profonda. A2A deve impiegare come filtro i carboni attivi per depurare l’acqua destinata all’utilizzo umano, ma anche questo rappresenta un costo per la società così come lo smaltimento successivo di questi carboni attivi impregnati di agenti inquinanti e dunque rifiuti pericolosi. Nel nostro acquedotto pur al di sotto dei limiti di legge, sono presenti agenti inquinanti. Un altro snodo è l’Alfa Acciai di San Polo. Il problema dell’Alfa Acciai è che si trova in mezzo a un quartiere altamente popolato, ma sia a livello impiantistico sia occupazionale non c’entra nulla con il caso Ilva di Taranto. Il fatto è che bisogna avere il coraggio di affrontare il problema. A Brescia i giorni di superamento dei limiti delle Pm10 sono 110. I limiti di legge prevedono esuberi non superiori ai 35 giorni. A Taranto si sono strappati le vesti per un superamento di 45 giorni. I forni delle acciaierie bresciane funzionano al 60 per cento per via della crisi. Perché non consorziare i forni? Perché non averne sei che funzionano al 100 per cento al posto che averne dieci che vanno parialmente? Perché non convogliare verso la Duferco di San Zeno che non è al centro di un quartiere? A Trieste stanno discutendo apertamente tutti i partiti di chiudere un impianto come quello dell’Alfa Acciai. Il Co.di S.A. sta discutendo questo problema. Non puoi mettere un tappo su una ciminiera. Qualcosa esce sempre.

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Il problema delle statistiche è che sono realizzate su adulti di sessanta chili di media e prendono in considerazione una singola sostanza inquinante per volta. Ma come si può far bere l’acqua del rubinetto, in cui ci sono più agenti inquinanti, a un bambino di trenta chili? Per precauzione ai nostri bambini, soprattutto a quelli della zona Sud, non la farei bere.

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La prossima amministrazione dovrà affrontare il problema dell’inquinamento ambientale.

I CASI

LA CAFFARO di via Milano La Caffaro per cinquant’anni a partire dal 1932 ha prodotto Pcb (policlorobifenili), materiale utilizzato in varie applicazioni: fluidi dielettrici per condensatori e trasformatori, fluidi per scambio termico, fluidi per circuiti idraulici, lubrificanti e oli da taglio, nonché additivi in vernici, pesticidi, carte copiative, adesivi, sigillanti, ritardanti di fiamma e fissanti per microscopia. La nostra città rappresenta uno dei maggiori casi a livello mondiale di contaminazione da Pcb nelle acque e nel suolo, in termini di quantità di sostanza tossica dispersa, estensione del territorio contaminato, entità di popolazione coinvolta e durata della produzione. I valori rilevati dalla Asl bresciana sono 5000 volte al di sopra dei limiti fissati dal DM 471/1999 (livelli per area residenziale, 0.001 mg/kg). A seguito di numerose indagini, a giugno 2001 venne presentata una denuncia di disastro ambientale alla Procura della Repubblica di Brescia. Altre indagini a campione sulla popolazione bresciana adulta hanno evidenziato che i residenti di alcune aree urbane presentano valori di Pcb superiori anche di 10-20 volte a quelli di riferimento. BARATTI-INSELVINI di via Padova L’azienda galvanica per anni ha rilasciato nel terreno, centinaia di metri cubi di bagni di cromo penetrati oltre la prima falda. L’Arpa (agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) ha trovato valori 40mila volte superiori ai limiti di legge. L’inquinamento da cromo esavalente ha colpito la zona sud di Brescia da via Orzinuovi fino a Folzano e Fornaci. Alberto e Ottaviano Inselvini sono stati condannati per disastro colposo e violazione delle norme a tutela dell’ambiente, a una pena detentiva pari a un anno e due mesi che tuttavia non sconteranno in carcere per via della condizionale concessa dalla legge per pene sotto i due anni. Stessa condanna per il padre Giovanni. ALFA ACCIAI di San Polo Viene citata per antonomasia quando si parla di inquinamento dell’aria per esalazioni da processi di lavorazione dell’acciaio. È attiva da cinquant’anni nel settore siderurgico. La sua produzione è basata sulla tecnologia di rifusione del rottame ferroso al forno elettrico per la fabbricazione di billette mediante colata continua e di lingotti mediante colata in sorgente. L’industria di San Polo si trova in mezzo a un quartiere densamente popolato. Nonostante i filtri apposti per evitare fuoriuscite di fumi tossici, gli abitanti del quartiere continuano a lamentare con frequenza sempre maggiore disturbi alle vie respiratorie. Il quartiere a sud di Brescia resta quello a più alto tasso di mortalità e di malattie infantili. Il parroco di San Polo tempo fa disse di celebrare più funerali che battesimi.

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NIENTE AMIANTO

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di Paola Gregorio

I comitati ambientalisti e dei cittadini lamentano da anni il pesante inquinamento dei quartieri di Buffalora e San Polo. Non ne vogliono più sapere di cave trasformate in discariche. Puntano il dito, tra le varie emergenze, sull’ex cava Piccinelli, in cui si trova un deposito di Cesio 137 e sul progetto della discarica di via Brocchi. Del progetto di una nuova discarica di amianto in via Brocchi mi interesso dal 2008. A maggio i comitati sono stati ascoltati dalla sesta commissione in Regione. Così pure Arpa, Asl, Comune e Provincia. Nel frattempo, mentre si attende la pronuncia del Consiglio di Stato sul ricorso pendente, la Regione ha rilasciato una nuova Valutazione di impatto ambientale. In Consiglio comunale, come Idv, avevamo presentato una mozione ad hoc, poi è confluita in quella comune firmata da tutti i consiglieri. Che impegna sostanzialmente il sindaco a fare tutto il possibile affinché non venga realizzata. Ad oggi però ancora nulla è stato fatto. E se il Consiglio di Stato dovesse tardare a pronunciarsi, per come stanno oggi le cose, in sostanza i proprietari del sito potranno procedere con il progetto. Sull’ex cava Piccinelli, a febbraio ho depositato una diffida in Procura. In precedenza avevo chiesto chiarimenti anche a Asl e Arpa. L’Azienda sanitaria locale ha confermato i miei timori sull’inquinamento del sito. Si discute parecchio anche di termovalorizzatore e dei suoi effetti sull’aria che respiriamo. In questi giorni si parla del progetto, firmato A2A, di costruzione di un impianto di trattamento delle ceneri del termovalorizzatore. Sull’ubicazione, sembra per ora tramontata l’ipotesi Buffalora. Certo, A2A dice che l’inceneritore non inquina. Ma A2A è una società per azioni e cura i suoi interessi. L’impianto per il trattamento delle ceneri, in prima battuta, doveva essere realizzato a Milano. Ma a Milano non lo volevano e tramontata questa ipotesi si è pensato a Buffalora. Archiviato anche que-

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Francesco Patitucci siede nel Consiglio regionale lombardo per l’Italia dei Valori. Le battaglie per la salvaguardia dell’ambiente contraddistinguono da tempo il suo impegno in politica. Per questo abbiamo voluto parlare con lui delle emergenze ambientali che a Brescia e provincia sono, purtroppo, più di una.

sto scenario, ora si parla dell’area via Codignole – Villaggio Sereno. Che non sta molto meglio dei quartieri di Buffalora e San Polo. Questo impianto a Brescia non andrebbe fatto. Dovrebbe funzionare in via sperimentale per ventiquattro mesi, ma ad oggi non si sa quali potrebbero essere gli eventuali rischi sul fronte dell’inquinamento e per la salute dei cittadini. Quando venne approvata la terza linea del termoutilizzatore doveva essere usata solo per le biomasse. Poi venne fuori che in caso di emergenza potevano essere bruciati anche rifiuti solidi urbani. La nostra proposta sullo smaltimento dei rifiuti è che sia comunque a chilometro zero. Ovvero ciascun Comune smaltisca i propri. Capitolo Pcb: la bonifica del sito di interesse nazionale Caffaro tarda a partire e pare sostanzialmente in una fase di impasse. I fondi sono arrivati ma per ora non ci sono passi avanti. Ho già invitato due volte il presidente Formigoni a stanziare fondi regionali a favore dei Comuni dove si trovano siti inquinati. Lo scorso anno è stato approvato un ordine del giorno, da me presentato, in cui si impegnava la Regione all’aumento dei fondi per i controlli. Secondo Legambiente neppure i nostri laghi stanno benissimo: il Garda, in particolare sulla sponda bresciana, presenterebbe livelli di inquinamento preoccupanti, il lago d’Iseo, in alcuni punti critici, non ha superato a pieni voti i test dei tecnici della Goletta dei laghi. Sul lago di Garda, da due anni, sono vietati la pesca, la commercializzazione e il consumo di anguille. Sul lago d’Iseo, per un mancato accordo tra comando regionale dei Carabinieri e Regione, l’Arma non si occupa più della vigilanza lacustre. Rimane solo quella delle Province di Bergamo e Brescia, nei fine settimana.


RE U T T U R T S O REALIZZIAM E XLAM O I A L E T A I CON SISTEM

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CHIAREZZA SUGLI ULTIMI DATI

d di Clara Pasotti

Riqualificare e migliorare ciò che già esiste, salvaguardando la salute dei cittadini, mettendo in secondo piano l’interesse privato. Senza dire “no” ma esigendo il rispetto della legge, di standard stabiliti a garanzia del benessere sociale. È con questi obiettivi che il Codisa (Comitato difesa salute e ambiente) opera dal 2002 sul territorio di San Polo, zona critica all’interno di una città critica,terza in Europa in quanto a inquinamento. Abbiamo parlato della situazione con la presidente del Comitato, Angelamaria Paparazzo, per farci spiegare ad oggi lo stato delle cose.

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Dare un’occhiata alla cartina che ci avete gentilmente fornito non lascia molto tranquilli… Quali sono i dati emersi dall’indagine Asl sulla zona, divulgata nel mese di giugno? Purtroppo l’indagine rispetto a quella compiuta nel 2010 è volutamente poco chiara, forse ci sono state pressioni da parte di qualcuno per portare la gente a pensare che la situazione fosse stabile. Mancano diagrammi, tabelle di raffronto, i parametri di riferimento scelti sono alti (compare spesso il Villaggio Sereno, perché non via Cantore?). Si comprende in ogni caso l’alta presenza di aldeidi (composti chimici irritanti), di idrocarburi policiclici aromatici e benzo[a]pirene (superiori al valore limite medio annuale fissato dalla legge, dato paradossalmente sminuito precisando che questo si verifica anche in altre città lombarde), di metalli come nichel, arsenico e piombo, di PM10 e PM2,5. La situazione di per sé è allarmante, non servono ulteriori studi e approfondimenti ma un immediato risanamento della zona, perfettamente fattibile se qualcuno avesse una visione generale delle criticità e un progetto reale per la città. Noi cittadini non sia-

mo disposti a cedere, a far sì che la nostra vita e quella dei nostri figli terminino prima o in malo modo solo perché è più facile non perseguire un’ottica di profitto sociale. A fronte di tutto questo, ci sono attività che potrebbero essere prossimamente avviate e che aumenterebbero l’inquinamento della zona. Sì, il nuovo bitumificio Gaburri per esempio, che ha ricevuto la licenza da parte del Comune per essere costruito nell’Ate 25, in zona Buffalora. Noi non diciamo, così per tutti gli altri siti, di non realizzarlo, ma di farlo lontano dal centro abitato e dotandolo di tutte le più moderne tecnologie. Lo stesso vale per la discarica di amianto Profacta di Faustini, oggetto da oltre un anno di vari ricorsi sempre vinti e che al momento deve alzare di ulteriori 5 cm il livello del terreno a salvaguardia della falda. Anche in questo caso riteniamo sia importante che il lavoro venga svolto in piena regola, con l’inertizzazione dell’amianto e il successivo posizionamento in vasche di cemento, seppellite e segnalate.


Altre attività potrebbero però essere evitate. Siamo allineati con la Circoscrizione Sud nel dire “no” all’impianto sperimentale di riciclo ceneri voluto da A2A, né a Buffalora né all’interno dell’inceneritore. Brescia è già fortemente inquinata, l’impianto lavorerebbe con ceneri leggere contenenti particelle cancerogene e trattandosi di un impianto sperimentale non ne possiamo prevedere l’impatto. La vera questione da affrontare se non vogliamo essere anacronistici è come diminuire la quantità di ceneri. La tecnologia deve servire per migliorare la qualità della vita. Vale lo stesso principio per la discarica di rifiuti putrescibili La Castella tra Rezzato e Buffalora, per la quale è stata chiesta autorizzazione lo scorso anno da Garda Uno e Gaburri e che andrebbe a smaltire rifiuti della zona lago di Garda, con 800 passaggi di camion al giorno. All’interno vorrebbero realizzare un impianto di biogas che emetterebbe metano e gas inquinanti 365 giorni all’anno. Si potrebbe parlare ancora del polo Italgros, dell’inquinamento legato a tangenziale Sud e autostrada A4, di Bonomi me-

talli, Ecoservizi, del deposito GPL Pialorsi-Sivengas, del percolato nella discarica chiusa Ve Part o del Cesio 137 rinvenuto della cava Piccinelli. Ma ci sono anche collaborazioni positivamente avviate, giusto? Nel caso dell’Alfa Acciai il rapporto con i cittadini è molto cambiato rispetto a qualche anno fa, abbiamo instaurato una collaborazione con la dirigenza attraverso la creazione dell’Osservatorio e del Tavolo con la Consulta per l’ambiente. In anticipo di sei mesi rispetto alla normativa l’azienda si è dotata recentemente di un filtro per ridurre l’emissione di inquinanti e si sta muovendo per la costruzione di un capannone in cemento per le scorie contaminate. Certo i disagi per i cittadini non sono completamente cancellati, il rumore su via Cadizzoni, è molesto, così come gli odori dovuti allo sporco legato alla movimentazione del materiale e alle polveri, a norma ma comunque presenti sempre nell’area di via Cadizzoni. Qualcosa comunque si può fare, non si chiede di distruggere ma di migliorare. Esatto, in questo senso possiamo dire che

il Codisa fa politica, se significa ragionare sul futuro della città partendo dalla qualità della vita dei cittadini, prendendo come punto di riferimento il bene pubblico e non solo il bene privato. Le soluzioni ci sono, basta avere una visione del quadro generale nel momento in cui bisogna prendere delle decisioni. Per concludere, ricordiamo il vostro impegno nella realizzazione del Parco delle Cave. Proprio a questo proposito c’è stato un incontro a fine luglio con l’agronomo Rebecchi. Nel maggio 2011 il sindaco Paroli si è impegnato con noi per una collaborazione fattiva e costruttiva nella realizzazione del Parco. Creare verde è molto importante per attutire l’inquinamento di una zona della città finora eccessivamente depredata. Esigiamo che ultimata l’escavazione vi sia il rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni e che le cave non vengano trasformate in discariche. Dopo 30 anni il territorio deve tornare ad essere goduto dai cittadini.

In copertina: l’area in cui dovrebbe sorgere la discarica di amianto Profacta. I lavori sono attualmente sospesi per pendente ricorso al Tar; sotto Angelamaria Paparazzo presidente del Codisa. Sopra la mappa di tutti i siti di rifiuti tossici; qui a lato il pannello affisso alla rete arancione in cui sono descritti i lavori del cantiere Profacta di via Brocchi tra San Polo e Buffalora. Qui di fianco all’inizio di via Brocchi, la cartellonistica avvisa della presenza della discarica manifestando disagio verso l’amministrazione comunale accusata di fare come “gli struzzi”.

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SIAMO SICURI CHE BASTI UN CARTELLO? di Paola Castriota

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Prima di entrare nei giardini pubblici di via Fura nel quartiere di Chiesanuova ci guardiamo intorno. Sappiamo quello che cerchiamo e lo troviamo. Lì a a quasi tre metri di altezza c’è un cartello con disegni dai colori vivaci. Sembrano simpatici fumetti e se non li cerchi apposta, non ci fai tanto caso. Poi ti avvicini e sei sicuro: ecco l’avvertimento. Ordinanza sindacale...zona inquinata...comportamenti da evitare...comportamenti consigliati. Nonostante ci siano quasi trenta gradi di temperatura abbiamo la pelle d’oca perchè a poche centinaia di passi ci sono bambini che giocano nell’erba, attività tra quelle vietate perchè a rischio contaminazione. I giardini si trovano nel “cono Caffaro”. La domanda che ci siamo fatti è banale: basta un cartello per essere sicuri di aver fatto tutto il possibile per salvaguardare la salute dei cittadini?

A sinistra dall’alto: l’ordinanza sindacale, i giardini cintati di via Nullo, i giardini di via Fura angolo via Genova, la circoscrizione Ovest di via Villa Glori, altri giardini di via Fura e il logo della Caffaro di via Milano. A destra un adesivo avverte gli avventori dei parchi pubblici soggetti a contaminazione.

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Salvare il territorio: missione possibile? La sentenza è di quelle senza appello: Brescia è l’ottava provincia più inquinata d’Italia, anche più di Taranto nell’occhio del ciclone per il caso Ilva. I dati parlano chiaro e le situazioni critiche sono molteplici, dislocate in focolai che toccano, per una sorta di amara “par condicio”, punti diversi e distanti del territorio, dalle caratteristiche morfo-geologiche più disparate. Dal Sebino al Benaco, passando per il centro città e la Bassa, i campanelli d’allarme sono equamente distribuiti e destano le medesime preoccupazioni. Ne abbiamo parlato con Dario Balotta, presidente del circolo Legambiente basso Sebino, e Imma Lascialfari, presidentessa del Coordinamento Comitati Ambiente Lombardia.

di Gaia Cutrera

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il SEBINO

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l’assenza di regole mette tutti a rischio

L’ultimo rapporto stilato dalla Goletta dei Laghi di Legambiente non rassicura chi ha a cuore le sorti del lago d’Iseo: su 7 punti campionati, 5 sono risultati “fortemente inquinati” (ovvero con un valore di enterococchi intestinali maggiore di 1000 UFC/100ml e/o escherichia coli maggiore di 2000 UFC/100ml) e uno “inquinato” (qui i livelli sono maggiori di 500 UFC/100ml per gli enterococchi intestinali e superiori ai 1000 UFC/100ml per gli escherichia coli). Situazione più che allarmante, generata dall’assenza di un progetto di bonifica a lungo termine e da vedute ristrette da parte delle amministrazioni locali, come sottolinea Balotta: «I depuratori da anni promessi non sono ancora stati installati: il paradosso è che le amministrazioni rischiano di sborsare di più per le multe inflitte per la mancata installazione che per l’installazione stessa!». Le rilevazioni di Goletta Laghi sono state effettuate al termine della stagione estiva, compito che «andrebbe esteso anche ad Arpa e Asl locali» e tengono conto del forte impatto del turismo sulle rive del lago: la popolazione passa in pochi mesi da 300.000 a 600.000 abitanti, i campeggi fanno il pieno di utenze e raddoppiano gli sca-

richi e le acque lacustri, senza un’appropriata regolamentazione, soffrono lo stress di un tale incremento; non potendo - e volendo - assolutamente rinunciare ad una risorsa preziosa per tutta la provincia e in particolar modo per i comuni che si affacciano sul lago qual è il turismo, la soluzione va ovviamente trovata a monte: «Anche perché il rischio batteriologico è specialmente per i bagnanti», conferma Balotta, che aggiunge: «una soluzione può risiedere in una rivoluzione culturale, un cambio di mentalità come può essere la promozione di un turismo sostenibile, che si faccia promotore delle qualità del territorio, puntando magari la promozione dei prodotti tipici, a chilometro zero, e sulla ciclabilità».

In alto un particolare dell’inquinamento della zona Alto lago d’Iseo. Sotto, la Goletta dei laghi di Legambiente che ogni anno verifica lo stato di salute dei laghi italiani.

L’inquinamento delle acque non è l’unica malattia che affligge il territorio di Iseo e dintorni: l’altra criticità principale è l’inarrestabile processo di cementificazione e consumo del suolo, che tocca principalmente i comuni di Sulzano e Sale Marasino, e che fa seguire al Sebino le orme del suo fratello maggiore: il Benaco. L’assenza di norme porta a casi emblematici anche a livello di qualità dell’aria, come la nota dolens Monte Isola, dove il comune ha revocato, da ormai un paio d’anni, il divieto di utilizzo dell’auto, portando ad un incremento esponenziale di polveri sottili nell’aria. «Quel che manca è una comunione d’intenti da parte degli enti locali: canale industriale loc. Pizzo è drammatico pensare che da anni manca una forza di polizia che pattugli 58/60 kilometri scarico pontile nord loc. Peschiera di costa, dando vita ad un vero e proprio Far West della navigazione. Non è mera volontà di INQUINATO drammatizzazione: è enterococchi intestinali maggiore di 500Ufc/100ml e/o Escherichia Coli maggiore di 1000 Ufc/100ml necessario che gli iseani prendano coscienza della situazione» conclude Balotta.

PISOGNE

MONTE ISOLA

FORTEMENTE INQUINATO

enterococchi intestinali maggiore di 1000Ufc/100ml e/o Escherichia Coli maggiore di 2000 Ufc/100ml

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CITTÀ e BASSA alla ricerca di un’oasi felice

Parli di inquinamento a Brescia e pensi subito al caso Caffaro, con le sue diossine che raggiungono i 325 nanogrammi per chilo di terra; ma l’ex industria chimica di via Milano non è l’unica a salire sul banco degli imputati: le fanno compagnia l’acciaieria Alfa Acciai di San Polo e lo stesso inceneritore di Verziano «nato con l’obiettivo di smaltire i rifiuti della già grande area di Brescia e provincia e passato ad accogliere immense quantità di rifiuti dalle province limitrofe di tutta la Lombardia» spiega Imma Lascialfari. Accanto alle realtà già consolidate si aggiungono poi i progetti in via sperimentale, che vanno a completare un panorama quantomeno desolante a livello di emissioni nell’aria e qualità della vita: sotto questa categoria risiedono il progetto dell’impianto di trattamento ceneri, la cui area d’interesse è stata in un primo momento localizzata in Buffalora e poi trasferita nelle vicinanze dell’inceneritore, così come la discarica d’amianto sul modello di quella di Montichiari per la quale «il sito deputato doveva essere San Polo, ma fortunatamente la mobilitazione ha reso possibile lo stop». Allargando ed estendendo l’indagine all’hinterland cittadino ci si rende immediatamente conto che «è difficile trovare una zona sana»: rappresentativa in questo caso

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Le sponde bresciane del Garda sono afflitte da più di un ventennio da un processo di cementificazione inarrestabile, che rischia di compromettere seriamente anche la salute delle stesse acque lacustri. Il rapporto di Goletta dei Laghi evidenzia come sotto la dicitura fortemente inquinati siano state classificate le foci del canale limitrofo alla spiaggia di Salò e del torrente attiguo al porto di Padenghe, mentre sotto la voce inquinato è andato il torrente San Giovanni a Padenghe del Garda. Questi tre siti sono ormai da anni osservati speciali, perché trovati fuori dai parametri per ben 3 volte consecutive, mentre Moniga e Desenzano del Garda, scovati oltre la norma nelle due edizioni precedenti del rapporto di Legambiente, sono ora rientrati sotto la soglia d’allerta.Sono proprio i torrenti ad inquinare maggiormente le acque del lago, con il loro carico batteriologico. Secondo il circolo Legambiente del Garda, una delle principali criticità è data dall’evidente saturazione dell’operato del depuratore Garda1, ormai considerato al collasso. Le problematiche del Benaco rispecchiano, amplificate, quelle del Sebino: l’impatto del turismo porta ad una pressione incrementale nel periodo di alta stagione, che vanno ad aggiungersi alle “immissioni

la centrale a turbo gas di Offlaga, l’unica effettivamente costruita di un progetto che ne prevedeva altre a Mairano e Borgo San Giacomo; anche qui la forte opposizione di 48 sindaci ne ha permesso la bocciatura. Per gli ambientalisti il futuro vede nuove battaglie all’orizzonte: «A Manerbio è prevista l’apertura di un macello di elevate dimensioni; resta inoltre aperta la questione degli impianti di stoccaggio di metano di Bagnolo e Capriano, costruiti su una zona già sismica e che provocano nel terreno al fenomeno di “subsidenza”, ovvero abbassamento e innalzamento del suolo, sottoposto ad uno stress continuo che può ulteriormente aggravare la sismicità del sito». Un capitolo a parte è costituito dall’inquinamento del fiume Mella, il grande ammalato del Bresciano, dove lo scorso marzo si è registrata la moria di un migliaio di pesci, causata dallo scarico di sostanze chimiche di derivazione industriale. Le complesse problematiche che affliggono la nostra provincia hanno portato alla creazione di Ambiente Brescia, un raccordo per tutti i comitati che operano sul territorio con l’obiettivo di contrastare le nuove ed antiche nocività, nella speranza di creare un isola, un polmone verde da cui irradiare il cambiamento.

il BENACO osservato speciale di scarichi fognari civili e industriali non depurati, al malfunzionamento o bassa tecnologia dei depuratori, all’attivazione degli scolmatori della rete fognaria durante le piene, all’impermeabilizzazione del suolo e artificializzazione delle sponde che limita i fenomeni auto depurativi” come sottolinea ancora il rapporto del Circolo del Garda. A destare ulteriore preoccupazione per il futuro è il possibile passaggio della linea ad alta velocità (la famigerata TAV) sulla linea BresciaVerona, che potrebbe arrecare Nella foto la foce del canale di scolo in località Le Rive a Salò danni ai territori da Lonato a Desenzano, specialmente a livello di impatto sull’agricoltura.

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POLMONI D’ACCIAIO Acciaieria, discariche con rifiuti tossici, cave dismesse, traffico stradale. Gli abitanti della zona sud-est di Brescia si ammalano sempre più spesso di patologie respiratorie collegate all’inquinamento dell’aria. Ai residenti di San Polo abbiamo chiesto come si vive nel quartiere più inquinato di Brescia.

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A Brescia l’aria è inquinata, questo pensa la maggior parte dei cittadini intervistati. I dati dell’Istat parlano chiaro: la Leonessa d’Italia è l’ottava città del Paese per giorni di superamento del limite previsto dalla legge per le Pm10. L’elevato tasso d’industrializzazione del nord, per quella che chiamiamo crescita, ha portato con sé problemi alla collettività che da anni ne risente fisicamente. Il problema in particolare nella nostra città viene alimentato, secondo i comitati che difendono la salute e l’ambiente, da una serie di fattori tra cui inceneritore e acciaierie. La questione è da anni spinosa soprattutto nelle zone di Buffalora, Bettole e San Polo, sottoposte a varie forme di inquinamento. Tra i residenti l’informazione non è tuttavia molto dettagliata. «Il mio medico me l’ha detto subito: San Polo è zona a rischio tumori» Lucia Anzeloni, 52 anni, inizia così a raccontare la sua storia. «Nel 2001 mi hanno operata al seno per un nodulo e da allora sono sempre sotto controllo, la situazione qui è molto brutta.» La concentrazione si focalizza sull’acciaieria Alfa Acciai. «Non penso che le sue fumate siano vapore acqueo come vogliono farci

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di Laura Bagossi credere con tanto d’insegna sul perimetro. Spesso mi capita di rincasare tardi e il fumo non è chiaro ma scuro». L’inquinamento dell’aria quando non si percepisce nei polmoni è ben visibile sul balcone di casa. «Quando stendo sul terrazzo» racconta Adonella Bregoli «cerco di ritirare la biancheria il prima possibile, perché facendo le pulizie vedo che il panno è nero, non vorrei trovare così gli abiti.» Il Codisa (comitato difesa salute e ambiente di S. Polo) è poco noto «ma vicino a casa c’era uno striscione: sosteneva il Parco delle Cave e sarei felice che si creasse un polmone verde qui. Per ridurre tutto questo inquinamento la Giunta per prima dovrebbe mobilitarsi, nei parchi per esempio, potrebbero piantare alberi grandi, non piantine che impiegheranno anni a crescere». «Il Parco delle Cave è un progetto la cui creazione s’attende da vent’anni, finalmente ci sarà concretezza» dice Giovanna B. «La Nuova Beton SpA ex cava, sanzionata per 5 milioni di euro per aver scavato oltre i limiti estrattivi rischiando di danneggiare la falda acquifera sottostante, ha patteggiato col Comune cedendo la proprietà, con promessa di bonifica e

Uno strato di polvere nera su un contenitore domestico della raccolta differenziata. Il contenitore è collocato su un balcone di un’abitazione della zona sud di Brescia.


piantumazione». Francesca Bessi da quando vive a San Polo ha riscontrato problemi di allergie, e il figlio sedicenne ha avuto problemi d’asma, ora risolti. «Nelle ore serali, uscendo con il cane, sento che durante le colate l’odore è pungente. Sei anni fa mio marito ed io volevamo trasferirLucia Anzeloni di anni 52 ci ma i bambini qui si erano integrati, perciò abbiamo rimandato il sogno di vivere sul Garda per respirare aria sana». L’informazione sulla gravità della situazione è scarsa: «vedo solo manifesti di assemblee con scopi ecologici» aggiunge «ma dal bollettino della circoscrizione nessun allarmismo.» Anna di Chiano descrive cosi la situazione nel quartiere. «Da quando mi sono trasferita qui nell’82 l’attività dell’acciaieria era già evidente e ho iniziato a soffrire d’asma. Conosco persone come la mia vicina di casa che usano bombole di ossigeno per uscire. Un quesito interessante che mi sono posta è perché il Comune ha fatto costruire nuove abitazioni a San Polo nonostante le esalazioni dell’Alfa.» Matteo Cavagnini si informa molto e segue con attenzione tutto ciò che riguarda l’ambiente. Sostiene che l’acciaieria abbia costruito una muraglia Matteo Cavagnini. anti rumore e posto filtri ai camini per abbassare le emissioni di diossine e furani, composti tossici e cancerogeni. «Una ricerca Asl del 2011» spiega «effettuata con test su bambini della zona est ha riscontrato il 30% di rischi in più di sviluppare malattie respiratorie rispetto a coetanei cittadini. Per molti abitanti» continua «il colpevole dell’inquinamento della zona è l’Alfa Acciai, ma la lista delle nocività causanti malattie è lunga: 80 cave dismesse, una decina di discariche di rifiuti tossici e non, l’inceneritore, il traffico massiccio tra tangenziale sud e autostrada, la presenza di cesio 137 nella Ve Part di Buffalora, la notizia (poco nota) di una discarica d’amianto appena approvata.» Soluzioni al problema inquinamento ci sarebbero, molti cittadini propongono raccolta differenziata e sensibilizzazione da parte dei media, ma tanti ritengono che le giunte comunali che si sono succedute non abbiano avuto a cuore i temi ecologici. «La salute e l’ambiente» dice Anna, un’altra residente «non dovrebbero non avere politica». Adonella Bregoli di anni 51

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L’AMBIENTE È UN BENE CULTURALE

S Salvatore Settis, storico e intellettuale di chiara fama, pubblicava sul quotidiano La Repubblica un pesantissimo pezzo intitolato Le rovine culturali che esprimono la situazione di questo ministero che dovrebbe tutelare i beni culturali, dal paesaggio all’ambiente, dai monumenti alle opere d’arte, dagli archivi alle biblioteche, ma sono stati tutelati veramente? Se in questi ultimi cinquant’anni gli scempi o eco mostri sono prolificati è colpa senza dubbio della sete degli amministratori locali di far cassa, ma anche alle poche possibilità di intervento degli uffici ministeriali preposti. L’Italia è un museo a cielo aperto e detiene la maggior parte delle opere d’arte del mondo, ma il suo territorio è in continuo pericolo per calamità di tipo sismico, idrogeologico, vulcanico per cui si dovrebbero sostenere i progetti per la sua salvaguardia. Incentivare i programmi per la messa in sicurezza e in questo modo prevenirne i disastri. Ma il ministero nato nel 1975 per volere di Giovanni Spadolini si chiamò ministero per i Beni Culturali e ambientali e la dicitura rimase tale fino al 1999, anche se dal 1986, fu creato un nuovo ministero per l’Ambiente. Forse per queste incongruenze che il ministero dei Beni culturali furono da sempre il fanalino di coda dei vari governi. La situazione di questo sfortunato ministero potrebbe essere ridimensionata e rilanciata con vigore, intraprendendo una politica al fine di riunire ai Beni Culturali il ministero dell’Ambiente e quello del Turismo, per meglio tutelare il bene comune. Solo in questi settori: culturale, ambientale e turistico potrebbe meglio funzionare il nuovo ministero ed avere più potere per la protezione della salute dei cittadini, la tutela e la messa in sicurezza del territorio e poter predisporre degli incentivi affinché diano vita a quelle strutture in grado di attirare turisti senza distruggere l’ambiente, ma riutilizzare le antiche masserie o le antiche cascine lombarde, per ricreare le atmosfere di un tempo. Le campagne, dalla pianura Padana al Tavoliere delle Puglie, dai pascoli alpini a quelli delle Madonie sono beni non rinnovabili, per cui bisogna tutelarle dalla dissipazione e dalla distruzione ambientale. Troppo spesso han fatto posto ad insediamenti residenziali destinati a rimanere vuoti, o a capannoni artigianali dalla

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«Beni culturali binomio malefico, un buco nero, capace di inghiottire tutto, e tutto nullificare in vuote forme verbali; un enorme scatolone vuoto entro cui avrebbe dovuto trovar posto, secondo l’aulico programma spadoliniano, l’identità storica e morale della Nazione»

di Mariella Annibale Marchina archivio di Stato di Brescia

scarsa possibilità di essere utilizzati. Un esempio lo si può constatare nella nostra provincia, percorrendo la strada Quinzanese, che da Brescia arriva fino ai confini col cremonese, in cui si susseguono villette a schiera invendute, enormi centri commerciali che sembrano cattedrali nel deserto, mesti capannoni vuoti, intervallati da rotatorie, strade tangenziali, che vogliono testimoniare una presenza antropica che non c’è. L’opera di trasformazione dell’ambiente naturale attuata dall’uomo per soddisfare le proprie esigenze e migliorare la qualità della vita, spesso è a scapito dell’equilibrio ecologico. Questo è quello che è avvenuto sul nostro territorio, avvelenato anche da sostanze tossiche, prodotte da industrie che avevano l’unico scopo di produrre capitale, senza pensare alle conseguenze nefaste che hanno creato sia sull’uomo sia al suolo che al sottosuolo. Non è da dimenticare l’inquinamento provocato a Brescia e alle sue antiche Chiusure (San Nazaro, Primo Maggio, Chiesanuova, Noce etc.) dall’industria chimica Caffaro di via Milano, o alle mozzarelle di bufala alla diossina, prodotte nelle campagne del Sud d’Italia . Tutti noi dobbiamo fermarci a riflettere. Ricordare gli insegnamenti forniti dal nostro straordinario agronomo rinascimentale Agostino Gallo (1499-1570), per capire la campagna, come scegliere un campo e come coltivarlo, e nello stesso tempo gustare il piacere di stare in villa. Principi che l’agronomo Gallo ha espresso nella sua prima opera Le dieci giornate dell’agricoltura e dei piaceri della villa, che nella seconda stesura diventeranno Tredici e poi Venti. Principi che tracciano la storia dell’agricoltura del rinascimento, ma rimasti attuali fino al Novecento quando con l’introduzione delle macchine agricole il paesaggio rurale venne modificato. Si tolsero le piante che impedivano il passaggio e l’utilizzo delle nuove mietitrebbie. Le cavedagne di epoca millenaria (strade campestri formatesi col passaggio dei carri trainati dai buoi o dai cavalli), che si districavano in varie direzione dalle case rurali e dalle ville di campagna, verso i siti da coltivare, spesso negli ultimi decenni sono scomparse e sostituite da strade asfaltate. Non esistono più le cascine brulicanti di vita, nei cui cortili si affollavano bambini di tutte le età intenti a giocare con giochi semplici, sotto

gli occhi vigili di nonne che riuscivano ugualmente a sferruzzare calze. I padri e gli altri componenti erano intenti ai lavori campestri che si susseguivano stagione dopo stagione, dalla mietitura al taglio del fieno, dalla vendemmia al rito dell’uccisione del maiale, alla pulitura dei fossi e delle seriole, così si sono susseguiti, anni, decenni e poi secoli. La storia dell’agricoltura e del paesaggio rimane, si può dire inalterato fino a quando l’attenzione degli addetti ai lavori della campagna, si spostò verso la città. Le cascine iniziano a spopolarsi. La solidarietà, il reciproco aiuto, il buon senso che governava le cascine, l’ilarità dei bambini, i balli sulle aie dopo la fine dei grandi raccolti, iniziano man mano a scemare. Subentrò la diffidenza verso il vicino di casa, per meglio tutelare la propria privacy. La crisi globale che ha colpito la nostra società, le mutazioni climatiche che in questi decenni hanno colpito anche il nostro paese, con disastri idrogeologici che sono stati causati, sia in Liguria che in Sicilia, dalla scarsa attenzione dei richiami lanciati dalla natura, e rimasti disattesi dagli organi competenti. La siccità quest’anno ha distrutto i raccolti e ci ha fatto constatare che l’acqua è un bene prezioso, va salvaguardato da sprechi e contaminazioni. Servirebbe una formazione vera e scientifica di tecnici giovani che dovrebbero appartenere al nuovo ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, per cui dovrebbero essere in grado di gestire autonomamente i problemi e le risorse, senza chiedere interventi di consulenze esterne, ma reperire tra i suoi specialisti le persone più idonee e preparate. Ma i fondi mancano e la volontà di migliorare è messa in forse... La situazione economica è difficile, uno spiraglio di speranza per un cambiamento potrebbe fornirlo la campagna. Bisognerebbe ritornare a rispettarla, accudirla, coltivarla, progettare con amore per il nostro fabbisogno alimentare, affinché la natura sia di nuovo madre e non matrigna.


La favola della domenica

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di Danilo Stefani

Com’è ferma Brescia nelle domeniche dal traffico bloccato. Il vento che arriva dai finestrini è l’unica energia che sentiamo in movimento, l’unico scuotimento d’aria. Le auto viaggiano adagio e scivolano sull’asfalto come oggetti accesi da una miscela di pace e da una colpevole vergogna. Pare abbiano un’anima queste auto. In queste domeniche di ‘stop non stop’, le automobili hanno un’altra dimensione. Cariche del loro lavoro settimanale, dopo chilometri e chilometri di affaticamento meccanico e maltrattamenti subiti, inzuppate di benzina evaporata approdano alla domenica col serbatoio leggero e le gomme sgonfie. Eppure, queste eroine a quattro ruote si fanno volentieri un giro domenicale. Una sgambata delle giunture è proprio quello che ci vuole; un allungo salutare in una città diversa, così, tanto per scaldare il motore. Per fortuna i loro autisti acconsentono spesso e con somma felicità. Perché va bene che ci sono anche i giorni feriali delle targhe alterne, ma vuoi mettere la soddisfazione di una bella domenica dal blocco “totale” dove circolare quando non si è costretti per vera necessità è un punto d’onore? Com’è curioso quel via vai di permessi e permessini, di classi euro ammesse e bocciate. Viene voglia di chiamare la Merkel e Draghi per assumerli come vigili. A quanto sta lo spread tra il vivere pulito e il vivere inquinato? Che cosa dovrebbe tagliare il professor Monti per sanare il disavanzo che mette a rischio o intacca la salute? Anche se Brescia appare ordinata, ripulita dalla niti-

Le notizie sull’inquinamento a Brescia sono sempre più preoccupanti. D’altronde l’Uomo, lo sappiamo, ha inventato molto per crescere e molto per distruggersi. Tuttavia ci sono aspetti curiosi e tragici tra le polveri sottili, anzi “favolosi”.

dezza risoluta del divieto, disciplinata e a posto con la coscienza, rimane in realtà seduta sulle sue ‘virtù’ in movimento, di fuggevole costanza. Poi il lunedì, passata la sbornia ecologica collettiva e complice, tornano i problemi e cioè si ricomincia a inquinare, perché si vive inquinando (nei casi migliori) e si vive per inquinare (nei casi peggiori). Nei ritagli di tempo ci sono le tavole rotonde, le prese di coscienza, e i casi di perdurata assenza delle Istituzioni. Queste famigerate polveri sottili, dette Pm10 e Pm2,5 (Particulate Matter, Materie Particolate) sono invisibili particelle prodotte soprattutto dalla combustione, e, a lungo andare, gravemente lesive per la salute. Perciò non ci sarebbe da scherzare e da trastullarsi. Per fare le polveri, occorrerebbe un piano strategico determinato e a lungo termine: altro che blocco sì, blocco no, blocco forse. Tuttavia queste domeniche ‘eco – illogiche’, fatte di “tanto di tutto e tanto di niente”, non sono inutili come può sembrare: hanno addosso l’insostenibile pesantezza delle polveri sottili, ma sembrano pulite come l’aria di una volta; misurano la grandezza dello stato gassoso della politica; mantengono la simbiosi meccanica tra guidatore e automobile nel sistema dello stop and go a tempo indeterminato; e infine, diciamolo, ci fanno sentire più virtuosi perché ci illudono di contare ancora qualcosa, anche nel bene. La favola della domenica è ormai conosciuta, sappiamo come prenderla e quale morale ricavarne. Ha un grande pregio: non si può raccontare ogni giorno, ma solo la domenica.

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I DISASTRI AMBIENTALI NEL MONDO

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Quando si parla di tristi primati l’Italia occupa il quarto posto. E’ il 10 luglio 1976 quando una nube di tetraclorodibenzoparadiossina (TCDD) viene rilasciata da una nota fabbrica di pesticidi nel comune di Seveso, nella Brianza. Circa 37.000 persone sono esposte ai livelli di diossina più alti mai registrati. La zona circostante viene quasi completamente attraversata da una serie di sostanze ritenute tossiche e cancerogene, anche in micro-dosi. Oltre 600 persone sono obbligate ad evacuare e altre diverse migliaia subiscono l’avvelenamento da diossina, evidenziando soprattutto gravi casi di cloracne. Più di 80.000 animali vengono macellati per evitare che le tossine possano entrare nella catena alimentare. L’incidente è ancora in fase di studio e i dati sulle esposizioni della diossina non sono tuttora perfettamente decifrabili. Oggi il nome di Seveso è usato di routine nel settore europeo della chimica: è una legge di tutela preventiva. Tutte le strutture che maneggiano e lavorano quantitativi di materiali pericolosi sono costrette a informare le autorità e a sviluppare e pubblicizzare le misure per prevenire e rispondere a gravi incidenti.

La fuoriuscita di petrolio dalla piattaforma Deepwater Horizon della BP (British Petroleum) è la più grande fuoriuscita di petrolio nella storia marina, ed è stata causata da un’esplosione avvenuta il 20 aprile 2010 a bordo della struttura che si trovava in mare aperto a circa 50 km a sud est del delta del Mississippi. La maggior parte dei 126 lavoratori sulla piattaforma venne evacuata e iniziò in contemporanea una operazione di ricerca di 11 lavoratori mancanti. Due giorni dopo la Deepwater Horizon affondò posizionandosi sul fondale a circa 1.500 m. Il 23 aprile la US Coast Guard sospese la ricerca dei lavoratori mancanti. Dopo una serie di tentativi falliti per tappare la falla, il 15 luglio la BP riuscì finalmente a fermare il flusso di greggio nel Golfo del Messico. Il Governo degli Stati Uniti ha stimato che circa 4,9 milioni di barili di petrolio sono stati rilasciati, di cui circa 800.000 sono stati catturati dagli sforzi di contenimento. Il triste caso di inquinamento è diventato il più grave in materia di fuoriuscita di greggio nelle acque marine.

IL MARE PIÙ INQUINATO AL MONDO:

Il mare IL MEDITERRANEO più sporco del mondo? E’ il Mediterraneo: farcito di spazzatura galleggiante (soprattutto plastica), impregnato di idrocarburi e altri inquinanti. I dati raccolti da Greenpeace e da un’organizzazione ambientalista spagnola, Oceana, parlano chiaro. Il Mediterraneo è un mare relativamente piccolo; ha una superfice di 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati, e misura 4.000 chilometri dalle coste del Vicino Oriente fino allo Stretto di Gibilterra. E’ anche un mare «chiuso»: il ricambio completo dell’acqua avviene all’incirca in 90 anni. Ed è un mare invaso da spazzatura, sostiene Greenpeace - che da un paio di mesi sta perlustrando il «mare nostrum» con la sua nave Rainbow Warrior. Sulle coste spagnole si contano 33 pezzi di spazzatura galleggianti per metro quadro, di cui tre quarti sono pezzi di plastica: dai frammenti ai sacchetti, alle bottiglie. La plastica «è la spazzatura più comune ed è la causa di gran parte dei problemi per la fauna e gli uccelli marini», afferma Greenpeace. In mare aperto la densità di spazzatura galleggiante si abbassa: può arrivare però fino a 35 pezzi per chilometro quadrato. Ma il peggio sta sul fondo: in media nei fondali mediterranei si contano 1.935 «pezzi» per chilometro quadrato, che è la densità più alta di tutti i fondali oceanici del pianeta. C’è poi l’inquinamento fluido, o liquido: secondo uno studio di Oceana (citato da El País), nel Mediterraneo navigano fino a 10 grammi di idrocarburi per litro. Per quanto piccolo, il Mediterraneo è però un mare molto frequentato: un terzo della navigazione mercantile mondiale lo attraversa, e circa il 20% del traffico petrolifero; in media ogni anno 12mila navi solcano queste acque. Tanto traffico è di sicuro una fonte di inquinamento, ma non la prima: la gran parte della contaminazione presente nelle acque del Mediterraneo viene dalla terraferma, e questo è un dato che fa riflettere. Nel bacino mediterraneo sboccano 69 fiumi, che portano ogni anno 283 chilometri cubi d’acqua: questi fiumi, e i sistemi di drenaggio pluviale, sono la fonte più diretta di contaminazione marina perché vi trasportano ogni sorta di reflui (solidi e liquidi) dalle zone urbane e industriali dell’interno. Spagna, Italia e Francia insieme generano il 60% dell’inquinamento che affluisce al Mediterraneo. Settembre 2012 26


CERNOBYL 1986 Il disastro di Cernobyl è stato descritto come “la peggiore catastrofe tecnologica della storia umana”. Lo shock causato dall’incidente ha provocato la cancellazione di programmi nucleari ed è stato un vero punto di svolta nell’evoluzione dell’industria nucleare nel mondo. Dieci anni dopo, si comincia a vedere quanto possa essere grave l’impatto di un incidente nucleare. Circa 9 milioni di persone sono state colpite, centinaia di migliaia gli evacuati che non torneranno più nelle loro case, migliaia i bambini che stanno tuttora vivendo in aree fortemente contaminate. “Prima, quando gli amici di mia madre venivano a trovarla, ridevano e parlavano per lo più di politica e di arte. Dopo, le loro conversazioni si concentravano sempre di più sulle malattie dei loro bambini e deli guai delle famiglie dei loro amici e conoscenti” (Alexsandr Sirota, bambino di 9 anni al tempo dell’incidente). LE CAUSE Solo nel 1993, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), riconosceva i difetti progettuali del reattore tipo RBMK, e le carenze nella sua gestione, cancellando l’ipotesi dell’errore umano come causa dell’incendio. L’incidente è stato causato durante un test effettuato per dimostrare che in caso di emergenza, nei tre minuti richiesti per azionare il generatore diesel, l’energia immagazzinata in un generatore turbo era sufficiente ad azionare il sistema di raffreddamento d’emergenza. La contaminazione E’ stato stimato che il rilascio di radioattività dal reattore n.4 di Cernobyl sia stato circa 200 volte superiore alle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki messe insieme. Ma sulla quantità effettiva di radioattività vi sono stime molto incerte. La maggior parte delle fonti ufficiali la stimava in 50 MegaCurie (gas nobili esclusi); recentemente l’agenzia nucleare dell’OCSE ha valutato una emissione pari a 4 volte questa quantità. In tutto, sono state seriamente contaminate aree in cui vivono 9 milioni di persone. In Gran Bretagna, a causa dell’incidente, ancora nel gennaio 1996 vi erano restrizioni e controlli in 219 fattorie. In Ucraina, Russia e Bielorussia circa 400.000 persone sono state evacuate, mentre altre 270.000 vivono in aree la cui contaminazione richiede restrizioni nell’uso del cibo prodotto localmente.

1967

il 18 marzo la petroliera Torrey Canyon naufraga nel canale della Manica: 120.000 tonnellate di greggio si riversano lungo 180 km di coste inglesi e francesi. Distrutte 35.000 tonnellate di pesci, crostacei, conchiglie, oltre a 100.000 tonnellate di alghe.

1976

il 17 ottobre, al largo delle isole de Sein, affonda la petroliera Bohelen. Delle 9.700 tonnellate di petrolio ne vengono recuperate solo 2 000; le altre 7.700 in parte si disperdono in mare, in parte si riversano sulla costa.

1978

il 16 marzo la petroliera Amoco Cadiz naufraga davanti a Porstall (Finistere). 233.564 tonnellate di grezzo si riversano in mare. Alla fine di agosto, da Brest alla baia di Saint-Bneuc, 200.000 ettari di costa sono devastate.

1979

al largo di Trinidad e Tobago: la collisione di due superpetroliere, la Aegean Captain e l’Atlantic Empress, provocò allora la fuoriuscita di circa 270.000 tonnellate di petrolio.

1980

il 7 marzo la petroliera Taino si spezza in due al largo delle isole de Batz. La prua cola a picco; la poppa è rimorchiata fino a Le Havre. 8.000 tonnellate di petrolio si disperdono in mare e vanno ad inquinare 140km di costa tra Finistere e la Cote di Amour.

1991

davanti al Porto Petroli di Genova, durante un’operazione di travaso di greggio, si verifica un’esplosione. La petroliera Haven affonda.

1991

il 3 dicembre la petroliera greca Aegean Sea urta contro il molo di La Coruna (Galizia, Spagna) e 79.000 tonnellate di petrolio finiscono in mare.

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! ! O IV

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LU C S E

LA CHIESETTA DEI CONGIURATI di Mariella Annibale Marchina archivio di Stato di Brescia

Attraverso la lettura attenta delle fonti che i vari archivi ci offrono, in modo particolare l’archivio di Stato di Brescia e l’archivio Storico Civico, possiamo con certezza collocare i luoghi e gli edifici in cui si sono svolti fatti e avvenimenti sia importanti che ordinari di cui furono protagonisti i nostri avi. Talvolta la fortuna aiuta l’irriducibile ricercatore che in un viaggio nel tempo ha scoperto la collocazione della chiesetta e della colombera in cui si riunirono, nel lontano marzo 1426, i congiurati gussaghesi, franciacortini e triumplini prima di affrontare l’assalto delle mura cittadine, nella zona detta di Canton d’Albera.

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In questo frangente, i congiurati, riuscirono a scacciare i Visconti e appoggiare la venuta dei Veneziani della Repubblica Serenissima. La notizia è inedita e si è trovata osservando i progetti per il riattamento della strada della Torricella, eseguiti tra il 1815-1822. I tecnici coinvolti furono cinque e presentarono ognuno un disegno. Bisogna ricordare che questa strada ha sempre collegato la città con i nuclei abitativi che si trovavano a sera e il bacino del Sebino e la Valcamonica, fin dai tempi dei Celti e dei Romani. Dalle loro relazioni e dalle carte presentate dagli amministratori locali di Fiumicello, Cellatica e Gussago si evince che: la strada che mette alla più bella e più deliziosa parte di questo distretto, la rampa della Torricella sulla strada che conduce a Gussago, Cellatica è ridotta pressoché impraticabile nella discreta stagione e pericolosissima nella stagione jemale (invernale). Funesto incidente che costò la vita ad un giovane sventurato. È ormai dunque di togliere il pericolo cui

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Dall’alto: complesso immobiliare delle suore della carità di San Vincenzo de Paoli in via Torricella di Sopra al n. 174. I muri che fiancheggiano la strada furono costruiti nel 1822. La cinta perimetrale fu costruita nel Seicento per preservare i terreni dall’invsione di ovini. Di fianco, una mappa austriaca di Fiumicello del 1852. Nella mappa non compare più nè la chiesetta nè la colombera. Infine il portale marmoreo unico elemento rimasto dell’antico insediamento. Ricorda le porte progettate dall’ingegnere militare di origine veronese Michele Sanmicheli (1484-1559) /cfr. F. Lechi, Le dimore bresciane in cinque secoli di storia vii, brescia, p. 28


sono di continuo esposti i ruotanti, che in numero non facile a dirsi passano ogni giorno per di là. Onde procurare di migliorare la strada predetta e conciliare i diversi riguardi si è fatto compilare all’ingegner Guaragnoni mediante trasporto della strada il quale si rassegna portante la data 10 settembre 1819. Le autorità cittadine stabilirono di affidare il progetto all’ingegner Guaragnoni, perché più pratico e meno dispendioso, visto che gli amministratori di Gussago volevano eclissarsi dalle spese, in quanto per loro non era la sola strada per raggiungere la città. I tre comuni si sobbarcarono i costi della ricostruzione della strada lunga 980 metri e larga 6,20, suddivisi in questo modo: Gussago per 2/6, Cellatica per 3/6 e Fiumicello per 1/6. Vincenzo Tosini fu l’appaltatore dei lavori, pur incontrando polemiche terminò i lavori nel 1822. Dalle relazioni e dai disegni possiamo dedurre che l’antica strada scorreva rasente la dimora di Nicola Fé, ora Suore della Carità, che la chiesetta, ubicata nel ronco si affacciava sulla strada campestre dei ronchi attraverso una scalinata con due rampe laterali,di fronte vi era la colombera, come si può osservare nella mappa napoleonica di Fiumicello del 1810. Se si osserva il progetto del Corbolani si nota ancora l’esistenza del laghetto di proprietà Pulusella e della santella a fianco dell’oratorio che fu dei monaci di san Faustino e Giovita, ora centro ippico Le meridiane. Nelle mappe del 1852, redatte dal governo asburgico la chiesetta è scomparsa. Mentre dalle dichiarazioni rilasciate da Nicola Fè si sa che gli immobili con i

Qui a fianco: un’immagine tratta dal catasto napoleonico in cui compaiono i beni Fè. Sotto: particolare del progetto Corbolani in cui viene evidenziata la chiesetta Fè con le due rampe laterali di accesso poste sulla via dei Ronchi. il corpo del fabbricato si sviluppa internamente nel ronco Fè. All’interno della chiesetta nel marzo 1426 si riunirono i congiurati gussaghesi, franciacortini e triumplini prima di affrontare l’assalto alle mura cittadine e cacciare i Visconti favorendo la venuta dei Veneziani. La notizia finora inedita è stata portata alla luce grazie al lavoro di ricerca effettuato dalla dott.ssa Mariella Annibale Marchina dell’Archivio di Stato di Brescia.

relativi appezzamenti li aveva ricevuti dai Borgondio, che ne erano venuti in possesso usurpandoli al monastero delle benedettine di Santa Giulia di Brescia sin dai secoli XIVXV. Nelle polizze del 1534 Bernardino Borgondio denuncia i ronchi nelle Chiusure di Brescia, in località Torosella, un molino, una colombera e la fabbrica della loro dimora, insieme a livelli perpetui al monastero di Santa Giulia. Teodosio Borgondio, figlio di Bernardino, denuncia oltre ai 10 piò di terra alla Torosella dichiara che sta ultimando la casa da padrone che richiede molta spesa per fornirla di ogni beni e bisogna costruire le case per li massari e il torcolo e che il tutto verrebbe a costare ducati 600. Il pericolo della zona infestata di briganti come dichiarato dal Borgondio non gli permetteva di abitarci continuativamente, per cui la maggior parte dell’anno si rifugiava nella casa in città, in piazza Duomo. Dell’antico complesso ammirato anche dal Da Lezze nel 1610, rimane solo il portale marmoreo del XVI collocato forse da Ottavio che aveva sposato una Giulia Averoldi, che ricorda i portali progettati per le for-

tezze di Orzinuovi e di Verona dall’ing. militare Michele Sanmicheli. Nel 1810 tutte le proprietà della Torricella sono in mano a Nicola Fè che nel 1852 passeranno a Maria Visconti maritata Longhena, poi in successione nel 1858 a Luigi. Alla morte di Luigi i beni passeranno alla moglie Dallola Rosalbina. Nel 1937 tutto il complesso passò alle Suore della Carità di San Vincenzo de Paoli, che modificarono enormemente la struttura architettonica originaria. Queste suore, nel loro antico vestiario non portavano il tradizionale velo, ma un enorme cappello bianco, tanto che venivano chiamate le suore cappellone.

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economia

SIAMO LA SPINA DORSALE DEL PAESE «Con me è arrivato a Roma il modello Brescia, non il signor Casasco ma il presidente di Apindustria». Concretezza, serietà, lavoro, serenità, credibilità sono per Maurizio Casasco le parole chiave di questa trasfusione di linfa da qui alla capitale. Per la prima volta un bresciano è arrivato alla guida di Confapi, ufficialmente 120mila pmi associate, per un totale di 2 milioni 300mila addetti. di Magda Biglia

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Eppure non è stato facile per lui superare i forti dissensi, portatore, come dice, dell’intera Lombardia ricompattata. «Anche Varese e Lecco sono rientrate». In quindici hanno abbandonato la sala in segno di protesta il 26 luglio scorso quando è apparsa evidente la sconfitta dell’avversario, Gabriele Chiocci, leader in Umbria. «L’intenzione è di ricomporre il dissenso, di ritrovare stabilità in un momento difficile per l’associazione e per il Paese. Tuttavia io vado avanti, faccio il mio corso, opero per il sistema che rappresento. Chi c’è, c’è, ma nel rispetto delle regole e dello statuto. Chi vuole stare fuori lo può ovviamente fare, con chiarezza, non è più voce Confapi» dichiara determinato il neoeletto. Come determinato ha affrontato la campagna elettorale, ad un solo anno dalla nomina in via Lippi, il 25 maggio 2011. Maurizio Casasco, 58 anni, è originario del Pavese ma bresciano d’adozione. Specialista di Medicina dello

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sport, ha un’azienda in campo sanitario, la Cds Diagnostica, e un sacco di cariche nel mondo dello sport, compresa in passato quella di direttore generale del Brescia Calcio. Fra l’altro, è tesoriere nel Comitato esecutivo della Federazione europea di Medicina dello sport ed è anche nell’esecutivo della Federazione internazionale. Per il vulcanico personaggio è l’anno delle soddisfazioni. «Siamo riusciti a portare a Roma, dal 27 al 30 settembre, il congresso mondiale della federazione. Non era mai accaduto» proclama con orgoglio. Anche in questo campo lo aspetta una votazione. Scade il suo mandato alla presidenza nazionale della Federazione medico sportiva che entro fine anno dovrà eleggere il nuovo capo assieme alle 43 consorelle del Coni. Come riesce a conciliare tutto? «Non trascuro niente, organizzo e creo una rete di collaboratori all’altezza». Come sta facendo in Api Brescia che non abbandonerà.


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Maurizio Casasco. Per la prima volta un bresciano è arrivato alla guida di Confapi che conta ufficialmente 120mila piccole medie imprese associate per un totale di 2 milioni e 300 mila addetti.

«La Giunta che mi affianca è straordinaria; poi ci stiamo revisionando all’interno per aggredire le sfide del nuovo anno». Intanto il 2012 si chiuderà con la festa finale per il cinquantesimo dell’associazione, il 16 novembre al teatro Grande. Il presidente ha ben chiaro il fine, qui e a livello italiano, la valorizzazione delle piccole e medie imprese, «spina dorsale non solo a parole della nostra economia». Questo sarà il perno nelle relazioni che vuole il più aperte possibile. Anche con i tre sindacati. Deve essere, ad esempio, ben presente nella contrattazione, che deve essere diversa a seconda delle dimensioni aziendali. «Proprio in contemporanea con la mia elezione è stata firmata da tutte le sigle l’intesa bilaterale nazionale: un buon segno augurale». «Occorre fare squadra per il lavoro, pur nelle specificità, anche se da noi non è così scontato. Come al Palio di Siena, ognuno pensa alla sua contrada» asserisce. Instancabile, sta già incontrando i ministri che tengono le redini della spesa e le istitu-

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zioni che devono stare dalla parte delle imprese, come l’Ice. «Anche se non prendiamo posizione politica, dobbiamo fare lobby per indirizzare le scelte di governo, a Roma e a Brescia. Non possiamo essere assenti, nostro compito è la rappresentanza». A livello centrale il confronto con l’amministrazione è importante. Ci sono i problemi del Sud, le questioni della sburocratizzazione, dei trasporti, dell’energia, delle infrastrutture, delle dogane, della contraffazione. «La spinta però sarà sempre per una maggiore territorialità dell’associazione» sostiene. Gli obiettivi immediati e concreti ad ogni livello Casasco li ha resi noti subito dopo il maggio dell’anno scorso ed ha già cominciato a lavorarci ottenendo risultati. Al primo posto il credito, con accordi con le banche e con la pubblica amministrazione per una fattorizzazione del credito. Poi l’internazionalizzazione che ha già visto intese con le associazioni tedesche. E il rapporto con l’università per l’innovazione.


musica

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La sonata dell’ingegner Pianista Nato a Brescia nel 1985, Stefano Ghisleri inizia lo studio del pianoforte alla Scuola di Musica Diocesana di Brescia: già qui si distingue, visto che gli viene assegnata una borsa di studio; e quando successivamente viene ammesso al Conservatorio di corso Magenta nella classe del maestro Alberto Ranucci la sua esperienza di studio si conclude con il massimo dei voti con diploma conseguito nel 2009. Ma Ghisleri non aspetta di concludere lo studio del pianoforte per dare attenzione a tanti altri campi: in qualità di accompagnatore pianistico inizia la collaborazione con formazioni corali come il Sifnos (coro femminile), il Giocanto (gruppo di voci bianche) e il coro Santa Giulia. Ma accompagna al pianoforte anche solisti di canto come i soprani Gloria Busi, Clara Bertella, Isa Lagarde e Arabella Cortese, e formazioni cameristiche come il Trio Geodetica, la violinista Anca Vasile, attori e scrittori come Arnaldo Ragni, Sergio Isonni e Giorgio Scroffi. La sua attività di compositore è iniziata esternamente al Conservatorio, scrivendo in particolare un Concerto per pianoforte e orchestra a plettro che ha eseguito in veste di solista e direttore con l’orchestra Arcangelo Corelli. Nel 2006 ha inoltre partecipato alla messa in scena della favola musicale Nonna Bigia in bicicletta composta e diretta da Tommaso Ziliani su testo di Giorgio Scroffi e per i suoi meriti artistici e per l’impegno in campo musicale l’assessorato alla Cultura del comune di Botticino gli ha attribuito una borsa di studio; nel 2008 ha partecipato a un concerto in omaggio al compositore Marco Prina, eseguendo il suo trio Ritratto nel buio. Nel 2009 ha realizzato lo spettacolo Una musica… da favola per pianoforte e voce recitante con Arnaldo Ragni su testo di Giorgio Scroffi e immagini di Sara Apostoli ispirato alla celebre serie dei Quadri di

Se c’è un giovane musicista bresciano al quale l’aggettivo eclettico va a pennello questo è sicuramente Stefano Ghisleri: suona il pianoforte, si dedica alla composizione e fin qui nulla di strano, ma come vedremo i suoi interessi vanno ben oltre.

un’esposizione di Modest Musorgskij, che tutti conoscono nella versione orchestrale di Ravel ma il cui originale è appunto per pianoforte solo. Sempre nello stesso anno Stefano Ghisleri ha partecipato alla rassegna Settimana Castagnetana assieme a due maestri bresciani, il pianista salodiano Gerardo Chimini e il violoncellista Roberto Ranieri, esibendosi al Teatro Roma di Castagneto Carducci. Nel 2009 ha partecipato al Festival pianistico Don E. Verzeletti e al Film Festival del Garda in duo con la cantante Isa Lagarde. Ha seguito corsi di perfezionamento con artisti di fama internazionale come Gerardo Chimini, Cristiano Burato e Bruno Mezzena. Ha partecipato al Festival Suona Francese con un concerto che è stato trasmesso più volte dall’emittente televisiva BresciaPuntoTV per la quale ha registrato anche un recital per pianoforte e violino con la violinista Anca Vasile, nell’ambito della trasmissione La Camera della Musica. Vicepresidente dell’associazione Culturale Paolo Maggini e direttore dell’omonima Orchestra a Plettro. Fin qui un curriculum densissimo di esperienze per un musicista che oggi ha soltanto 27 anni, ma che a questo punto rivela anche lati della personalità davvero inattesi: Stefano Ghisleri ha infatti conseguito la laurea triennale in Ingegneria dell’automazione industriale alla facoltà di Ingegneria di Brescia, una passione scientifica che ha saputo mettere anche al servizio della musica come nell’elaborazione di una formula per calcolare la durata di un brano musicale, ma anche al servizio… della poesia, come in uno dei suoi Sonetti, con un Omaggio al teorema fondamentale del calcolo integrale. Pianista, compositore, mente scientifica e poetica: cosa ancora può riservarci in futuro Stefano Ghisleri?

In alto, Stefano Ghisleri, il musicista laureato in ingegneria che ama la poesia.Sopra, mentre accompagna la violinista Anca Vasile.

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DANZA CLASSICA

IL LINGUAGGIO NASCOSTO DELL’ANIMA “La danza è il linguaggio nascosto dell’anima”. Questo breve aforisma della ballerina e coreografa statunitense Martha Graham ci introduce a quella che, per tradizione, è la forma più alta del ballo e rappresenta da sempre la base per poter approcciare qualsiasi altro tipo di danza. di Igor Frassine L’aggettivo classica deriva dal fatto che questo stile si avvale di una tecnica denominata accademica perché codificata dai maestri dell’Académie Royale de Danse, fondata a Parigi da re Luigi XIV di Francia nel 1661. Originariamente riservata ai soli uomini, bisogna aspettare M.lle de La fontaine nel 1681 perché l’ambiente aristocratico apra i battenti alle donne. Il testimone passa così a tedeschi e inglesi che evolvono il concetto di balletto eliminando, ad esempio, l’elemento canoro dagli spettacoli, privilegiando l’espressività del movimento. Nel 1735 è la volta della famosa scuola sovietica, fondata dall’Accademia Imperiale Russa. Dopo le esperienze romantiche ottocentesche arrivano le sperimentazioni statunitensi, culminanti con l’istituzione nel 1963 del Pennsylvania Ballet e dello Houston Ballet. A partire dagli anni ‘60, in piena controtendenza col passato, molti giovani cominciano ad andare a vedere la danza in teatro. Virtuosismi atletici, ritmi moderni e temi attuali si mescolano con la tradizione. Molti balletti classici iniziano ad essere accompagnati da musica Jazz o addirittura dal Rock’n Roll. Sono questi gli albori della danza moderna. Lungi da un’indagine storica approfon-

dita è interessante notare l’estrema difficoltà tecnica di quest’arte. Difficoltà che si traduce in un allenamento talvolta snervante se pensiamo che ballerini e ballerine rimangono nella stessa posizione anche più di un’ora. Non è inusuale infatti che una pratica assidua possa provocare escoriazioni ai piedi. Un dolore indispensabile per raggiungere fermezza ed eleganza senza pari e una dimostrazione di plasticità corporea tra le più elevate. Per rendercene conto prendiamo, a titolo esemplificativo, il primo principio posturale della danza classica: l’en dehors, in cui le gambe devono mostrare al pubblico la parte interna. La coscia ruota all’esterno di novanta gradi rispetto all’asse del corpo. Si raggiunge più facilmente la posizione, che equivale alla rotazione del femore verso l’esterno, stringendo i muscoli che formano la cintura addominale e i glutei, mantenendo contemporaneamente la colonna vertebrale eretta. Se ancora non basta consideriamo che, per eseguire le sei posizioni base, occorrono gambe tese, glutei contratti, petto rilassato non in fuori, addominali tenuti e caviglie sostenute. Certo è che la teoria, con i suoi tecnicismi, non basta da sola a dare conto di un’arte così

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nobile. Occorre stare sul palcoscenico ed utilizzare il proprio corpo come veicolo di emozioni. Lo sa bene Roberto Bolle, uno tra i più noti ballerini in Italia e nel mondo, che, intervistato da Marianna Peluso durante il tour estivo Roberto Bolle in Trittico-Novecento, su cosa sia la danza, ha così risposto: “La danza è bellezza, dinamicità, plasticità, forza fisica, leggerezza, espressività”. Tra gli addetti al settore c’è chi, come il coreografo e ballerino giapponese Saburo Teshigawara (in scena al Teatro Grande di Brescia il 20 ottobre prossimo, ndr), declina il concetto di movimento per esplorare la natura tangibile e intangibile della musica. Ottimo conoscitore della danza classica, poi utilizzata per la foggiatura di uno stile personalissimo, Teshigawara usa il corpo per struggersi, sospendersi, sollevarsi e diventare quasi evanescente, per poi vibrare, disegnare traiettorie di luce, sussultare sprizzante di energia vitale, leggero come un colibrì ma forte, tenace e intenso, con la stessa antica saggezza degli alberi secolari. Non sappiamo per quanto questo linguaggio nascosto dell’anima continuerà a meravigliarci e a commuoverci. Una cosa è certa: a distanza di secoli è un incantesimo di cui non è dato conoscere la formula, ma che ancora ci piace molto.

La splendida postura di Roberto Bolle, talento italiano di fama internazionale.

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KARATE

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TRA SPORT E DISCIPLINA

Ha gambe forti come quelle di Wayne Rooney, i riflessi di Cristiano Ronaldo e l’agilità di Lionel Messi. Pensate che uno sportivo del genere non possa esistere? Se leggerete l’articolo che segue, cambierete idea.

di Igor Frassine

Il 2 Settembre scorso Istanbul è stata teatro degli Open Internazionali di karate, quinta tappa della Premier League. La squadra nazionale italiana è scesa in campo (in questo caso sarebbe meglio dire sul Tatami) con i soli atleti del kumite (sezione dedicata al combattimento), distinguendosi con cinque medaglie: due ori e tre bronzi. Il bilancio è di tutto rispetto se consideriamo che l’Italia si è classificata al terzo posto dietro Giappone (primo posto) e Turchia (secondo posto). Vincitori dell’oro sono stati il Campione d’Europa Luigi Busà (cat.75 kg) e Valentino Fioravante (-84 kg), new-entry nella squadra Azzurra Senior e autentica rivelazione nella sua categoria. I due atleti hanno battuto in finale rispettivamente il tedesco Noah Bitsch e l’iraniano Ali Fadakar. Le medaglie di bronzo sono state ottenute da Sara Cardin (-55 kg), Michele Giuliani (-60 kg) e Stefano Maniscalco (+84 kg). Vittorie come queste tendono a rimanere nel semianonimato. Non si vuole fare polemica, è assodato che gli sport di nicchia non godano di troppa popolarità. Eppure un/una karateka (chi pratica il karate) ha gambe forti come quelle di Wayne Rooney, i riflessi di Cristiano Ronaldo e l’agilità di Lionel Messi. Il parallelismo con il calcio non è casuale. Anche un karateka usa le velleità in suo possesso per tirare calci, certo non a un pallone, ma è pur sempre un gesto atletico che racchiude in sé eleganza e potenza. È curioso notare tuttavia che l’etimologia del termine Karate non rimanda tanto alle gambe bensì alle mani, più precisamente ad una “mano vuota”. Concetto in stretta relazione al contesto socio-politico in cui nacque. Nel 1600 gli abitanti delle isole giapponesi Ryūkiū (arcipelago comprendente Okinawa, vera patria della disciplina), dato il divieto dell’imperatore Sho Shin a utilizzare armi, dovettero codificare una

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forma di autodifesa da usare contro le invasioni dei Samurai. Ecco il primo snodo. La necessità di un sistema di combattimento a mani nude per contrastare nemici armati. Da qui i vari stili, caratterizzati ognuno da varianti posturali e correnti di pensiero specifiche di ogni maestro fondatore. Gichin Funakoshi ideò lo Shotokan, forma ad oggi più diffusa nel mondo, impostata su posizioni tendenzialmente basse, stabili e forti. Spina dorsale di questa corrente sono due elementi: kata e kumite. Il primo è una sorta di combattimento immaginario contro uno o più avversari nelle otto direzioni dello spazio. I kata, ventisei nello Shotokan, mostrano interessanti tecniche di autodifesa. Il kumite, come accennato sopra, è il combattimento uno contro uno in cui i praticanti esprimono il potenziale delle tecniche imparate in allenamento. I colpi devono essere portati con il dovuto autocontrollo, in modo da limitare i danni. Sbaglieremmo però se riconducessimo l’essenza di quest’arte marziale ad una mera applicazione motoria. Dimenticheremmo infatti il secondo significato dell’aggettivo “vuota”: quello filosofico. Si tratta di svuotare la mente da pensieri di orgoglio, vanità, paura e desideri di sopraffazione non solo durante la pratica marziale ma anche nella vita. Tradotto in termini occidentali il messaggio posto in evidenza è un profondo rispetto per gli altri nonché un costante esercizio a diventare forti modellando il carattere. Considerando il lungo percorso e i continui riadattamenti posti in essere dalla modernità, è lecito domandarsi se la missione educativa di questa disciplina abbia subito smottamenti o, al contrario, abbia resistito al tempo. L’abbiamo chiesto al Maestro Franco Genocchio, cintura nera 6° dan, ex allenatore della nazionale italiana e tuttora membro della Consulta


Federale della Lombardia. Approfittando della sua ultradecennale esperienza nel settore, ci permettiamo di ampliare la conversazione toccando l’argomento Olimpiadi. Il karate trasmette ancora quei valori per cui è nato? I veri valori educativi dello sport, ben lontani da ciò che la società moderna comunica ai nostri ragazzi conducendoli in un vicolo cieco tra egoismo, arrivismo e poco rispetto verso gli altri, sono ancora ben evidenti in una qualsiasi palestra dove si svolgono le arti marziali, e questo è il principale fattore che ci distingue da altre discipline sportive più pubblicizzate e osannate, ma spesso povere di insegnamenti educativi. Cosa dovrebbe ricordare sempre un educatore sportivo? Dovrebbe ricordare innanzitutto che il nostro obbligo morale verso i giovani e le famiglie che ci affidano il loro bene più prezioso è quello di crescere futuri cittadini moralmente integri e con valori ben definiti. È questo il nostro obiettivo: educare alla vita, riconoscendo ai ragazzi il diritto di fare sport in un ambiente sano ed il diritto di non essere campioni. Se poi alcuni di essi raggiungeranno risultati agonistici di rilievo è solo un piacevole effetto collaterale che non ci deve distogliere dal nostro obiettivo primario, ma che costituisce per i ragazzi stessi uno stimolo per continuare sulla retta via.

A chi consiglia la pratica del karate? La consiglio a tutti! Gli adulti possono beneficiare dell’attività fisica e della filosofia del Karate-Do che infonde serenità e autostima sulla via del benessere psicofisico. Per bambini e ragazzi la Federazione (la Fijlkam è l’unica federazione italiana di karate ufficialmente riconosciuta dal Coni, ndr) ha stipulato un programma di avviamento allo sport con il ministero dell’Istruzione che pone la formazione psico-fisica e la socializzazione come primi obiettivi. L’attività agonistica inizia al tredicesimo anno d’età, quando entra in gioco l’inevitabile specializzazione che comporta ogni sport ed emergono i talenti in erba. Prima di quell’età l’attività si chiama Gioco-Sport, che comunque aiuta ad apprendere i valori di educazione, rispetto e dedizione al lavoro con cui crescono i nostri piccoli atleti, inizialmente sotto forma di gioco in proporzione all’età, di cui ne beneficeranno per tutta la vita anche nel rendimento scolastico o lavorativo. Come mai non abbiamo ammirato il karate ai recenti Giochi Olimpici di Londra? Il karate ha tutti i requisiti richiesti dal Cio e quindi siamo formalmente pronti per accedere alle Olimpiadi, ma ci sono alcune frizioni politiche che stiamo cercando di sistemare; il nostro ingresso sembrava certo per i Giochi di Rio 2016 ma poi il Golf ed il Rugby a sette ci hanno superato al ballottaggio, ora siamo in pole position per le Olimpiadi del 2020. Il comitato esecutivo del Cio deciderà definitivamente nel corso del 2013.

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AIKIDO

LO SCONTRO SENZA SCONTRO

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Christian Tissier caposcuola europeo e cintura nera 7° dan mostra una tecnica di bloccaggio

di Maurizio Valle

Immaginiamo di dover fronteggiare un potenziale aggresso- contatto forzato con l’Occidente e constatò la propria impore. Volendo prediligere una tecnica precisa, scegliamo di uti- tenza di fronte al progresso tecnico occidentale. Dovendo lizzare l’energia dell’avversario a suo discapito. Non rispon- modernizzare il paese, vennero introdotte su larga scala le deremo quindi alla forza con la forza, bensì neutralizzeremo armi da fuoco, fino allora proibite, ed estesa la leva militare gli attacchi con un gioco di proiezioni obbligatoria a tutte le classi sociali. ed immobilizzazioni, tese a scoraggiare Venne quindi abolita la casta dei Sail nostro nemico dalla lotta. murai che si opponeva alla modernizQuesto è l’Aikido. Un’arte marziale zazione. Così, dei 5000 Ryu esistenti complessa, la più tradizionale tra quelle un secolo prima, solo poche decine giapponesi e che si può comprendere a arrivarono ai primi del ‘900. Fu a quepartire dalla sua etimologia e dal contesto punto che Jigoro Kano con il Judo sto storico in cui si sviluppò. Codificato (tratto dalle tecniche del Taijutsu e del da Morihei Ueshiba (1883-1969), l’AiJujutsu), Funakoshi Gichin con il Karakido (ai = unire, ki = energia, spirito, do te (dalle tecniche di mani e piedi di Oki= ricerca, via, studio) è la sintesi tra le nawa) e Morihei Ueshiba con l’Aikido numerose scuole e tecniche di armi esi(derivato principalmente dalla spada e stenti fino ai primi del ‘900 in Giappone. dal Daito Ryu del Jujutsu) elaborarono La prima evoluzione di questa disciplina le loro nuove discipline. è collocabile proprio qui tra XII e XIX Esclusero le tecniche più pericolose o secolo. inadatte alla nuova epoca e ne modifiI Samurai (guerrieri), al servizio dei carono l’insegnamento, aggiungendo al Daimyō (signori, feudatari) per molti senome della disciplina il suffisso Do. coli furono impiegati nel controllo e nel- Morihei Ueshiba (1883-1969) fondatore Quest’ultimo indica infatti “ricerca, via, dell’Aikido conosciuto anche come O Sensei la difesa del territorio (polizia, guerra, (grande maestro) studio” per raggiungere l’elevazione ecc.). La loro casta elaborò quindi molte psicofisica, sostituendolo a Jutsu che intecniche di armi che venivano insegnate in scuole particolari dica invece “tecnica, applicazione militare o di combattimendette Ryu. Queste sedi in genere coincidevano con i feudi lo- to”. Tale scelta semantica al fine di preservare la tradizione cali (Clan) e l’insegnamento delle tecniche tipiche di ciascun marziale dall’oblio, creando al tempo stesso discipline atte al Ryu era segreto e riservato solo ai membri del Clan. miglioramento fisico, mentale e spirituale dei praticanti. Nella seconda metà dell’800, dopo oltre tre secoli di autoi- Un certo parallelismo, per quanto privo di fondamenti filosolamento sotto la dinastia Tokugawa, il Giappone entrò in sofici, religiosi e morali orientali (zen, buddismo, ecc.), lo

Basata sui principi del cerchio e della spirale, si caratterizza per essere collaborativa e non contrappositiva, diversamente da Judo e Karate. Le tecniche praticate sono dipendenti e proporzionali alla velocità e forza degli attacchi e il rischio di incidenti e danni fisici è minimo Christian Tissier evita una tecnica di bastone

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TANI NO DOJO

direttore tecnico M. VALLE 5° Dan Aikikai Tokyo

Christian Tissier esegue una proiezione facendo leva sul polso

ritroviamo negli sport occidentali derivati da antiche pratiche guerriere quali il tiro con l’arco, il tiro al piattello, la scherma, il giavellotto ecc. Tuttavia l’Aikido non è uno sport il cui scopo è gareggiare e vincere, né una forma di combattimento mirante alla sola autodifesa o alla neutralizzazione degli avversari. In particolare, rispetto ad altri sport da combattimento, non vi sono gare o competizioni, proprio perché si prediligono una maggiore ricerca di armonia, eleganza e coordinazione tra i praticanti nonché la pratica delle armi (jo, ken e tanto, rispettivamente un bastone, una spada e un coltello di legno). È un’arte che cerca e allena l’equilibrio del corpo e della mente, necessari per acquisire sicurezza e tranquillità interiore. Basata sui principi del cerchio e della spirale, si caratterizza per essere collaborativa e non contrappositiva, diversamente da Judo e Karate. Le tecniche praticate sono dipendenti e proporzionali alla velocità e forza degli attacchi e il rischio di incidenti e danni fisici è minimo. Proprio per questo non esistono categorie di peso, né limiti di sesso ed età per la pratica. Come in tutte le arti umane, l’Aikido è stato declinato in numerose forme e stili. Ad oggi, la scuola principale e più diffusa è l’Aikikai con sede a Tokio, oltre a numerose organizzazioni affiliate in ogni paese. Nel nostro continente troviamo il maggior numero di praticanti in Francia (circa settantamila), nonché l’attuale caposcuola europeo Christian Tissier cintura nera 7° Dan.

Ancora Tissier in azione: in questa immagine proietta a terra l’avversario afferrandolo per il collo.

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TAI CHI CHUAN

UN VIAGGIO AL CENTRO DEL CORPO

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di Igor Frassine

Nata in Cina tra il 403 e il 221 a.C. per volere dei taoisti, alla ricerca di esercizi che donassero al corpo salute e longevità, questa pratica trae origine dagli antichi stili del kung-fu e dalla teoria dei cinque elementi. Sono presenti infatti importanti similitudini: la fluidità dell’acqua, essenza di ogni gesto; il principio e la forza del movimento sono come il legno: dall’interno verso l’esterno (spesso si usa l’esempio di una radice che crescendo può rompere anche un muro); il fuoco, presente nell’attimo in cui un colpo va a segno; la terra, evidente nella posizione salda e stabile; il metallo (ad esempio il mercurio) è nel peso del corpo, che più si bilancia verso il basso e più rende la tecnica efficace. Anche l’etimologia del termine è densa di risvolti intellettuali. L’ideogramma Tai significa alto, massimo, estremo. Chi significa sommità, la trave più alta, polo. Chuan si traduce con metodo marziale. Quest’ultima accezione non deve trarre in inganno: è una disciplina praticabile da tutti e a tutte le età come ginnastica dolce che rilassa e tonifica il corpo e calma la mente. Le tecniche di rilassamento e di respirazione (tra le più note ricordiamo il Chi Kung) eseguite durante la concatenazione delle pose, consentono di sviluppare la forza interiore chiamata Chi, che i maestri contrappongono alla forza muscolare, considerata nettamente inferiore e limitata. Non significa che i muscoli non servano, ovviamente, ma si tratta di diventare fuori morbidi come il cotone, dentro duri come l’acciaio, e questo può servire nella vita, non solo in palestra. Per questo il Tai Chi Chuan è un metodo di trasformazione. Si pratica perché per conoscere se stessi è necessario conoscere, sentire, ascoltare anche gli altri, gestendo e lasciando passare l’aggres-

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Perché intraprendere un viaggio al centro del corpo basato su un metodo non occidentale? Semplice. Perché conduce a nuovi e diversi modi di fare... le cose che già sappiamo fare. Abbiamo un corpo: camminiamo, respiriamo, ci muoviamo. Ma come? Dove siamo mentre la vita scorre in noi? Flessibilità, pazienza, leggerezza, ascolto, efficacia, armonia, serenità profonda sono alla base di una lenta ricerca, una ricerca che tende ad un rapporto equilibrato tra corpo e mente, quella ricerca, continuamente perfezionabile, che si chiama Tai Chi Chuan

sività che continuamente ci danneggia. Il ritmo eguale e l’estrema lentezza con cui sono ripetuti i movimenti di rara precisione, elastici e leggeri, portano i praticanti ad uno stato di meditazione. Il ritorno al Principio Primo si effettua attraverso il Soffio che guida l’azione; il pensiero indirizza ma non interviene, c’è ma non c’è. L’osservatore occidentale che assiste allo svolgimento del Tai Chi Chuan, stenta a credere che si tratti di un’arte marziale. Come accennato prima, non è tanto sport da combattimento, quanto amore per la bellezza interiore: insegna a vincere senza combattere, a cedere senza subire, lasciando passare le ostilità che sovente fingiamo di non avere. Dal 1999 con cadenza annuale, per tutti gli appassionati della disciplina nel mondo, l’ultimo sabato di aprile è un’occasione speciale. Senza barriere geografiche, politiche o di razza, gruppi sempre più numerosi si incontrano per celebrare la Giornata Mondiale del Tai Chi Chuan. Si tratta di un evento aperto al pubblico che inizia alle 10 di mattina in Nuova Zelanda per poi diffondersi in Oceania, Asia, Europa (in Italia abbiamo significative adesioni a Milano e Roma), Nord America e Sud America. In tutte queste regioni i partecipanti assistono e festeggiano in più di sessanta nazioni diverse, terminando con le ultime situazioni nei fusi orari delle Hawaii quasi un intero giorno dopo. Oltre allo scopo divulgativo per tutte le istituzioni pubbliche e private interessate alla disciplina, la Giornata Mondiale del Tai Chi Chuan lavora in unione con molte realtà anche differenti tra loro (dalle ambasciate alle prigioni di massima sicurezza), nei luoghi in cui si svolge. Informazioni in merito ed interessanti testimonianze sono consultabili sul sito http://www.worldtaichiday.org/.


TAI CHI CHUAN QUANDO STAR BENE È UN’ ARTE...MARZIALE Il tai chi chuan rappresenta, nell’universo delle discipline dell’ecologia del corpo e della mente, una stella di prima grandezza. È una pratica antichissima, la cui origine si perde nella notte dei tempi della storia cinese: unica nel suo genere, non ha eguali, sia come efficacia tecnica di autodifesa, sia come forma di meditazione dinamica o come ginnastica psico-energetica. È una disciplina completa, nata dalla filosofia taoista, dalla medicina tradizionale cinese e da sofisticate tecniche di lotta. Si basa su un concetto olistico dell’uomo e può applicarsi ai molteplici aspetti dell’esistenza portando equilibrio, energia e nuova linfa vitale. Tutti i movimenti, fisiologicamente perfetti, essenziali e senza sprechi, rendono la struttura del corpo leggera, agile e forte, sciogliendo ed eliminando le contratture e blocchi energetici che spesso hanno un’origine psichica: le spalle si rilassano, i dolori al collo, alla schiena ed alle articolazioni scompaiono. La mente piano piano comincia a prendere coscienza di questo nuovo stato, acquisendo intuito, chiarezza e creatività. I maestri cinesi del passato che hanno creato questa disciplina erano profondi conoscitori della natura ed han-

no costruito tutta la loro antropologia su di una fisiologia energetica estremamente ricca e complessa. Questa antica scienza insegna che il ch’i (cioè l’energia vitale universale) alimenta tutto il corpo, ed è la sua circolazione più o meno corretta che determina lo stato di salute o di malattia. I movimenti e gli esercizi di base hanno uno svolgimento dinamico caratterizzato da un andamento fluido e sono armonicamente bilanciati tra yin e yang, tra morbido e duro, tra leggero e pesante, tra lento e veloce. Ogni sforzo fisico è bandito e l’attenzione è posta sul creare il giusto equilibrio non solo del gesto in sè, ma anche nel rapporto con le proprie emozioni ed i propri stati mentali. I movimenti circolari, l’andatura lenta e continua e la calma dei gesti si riflettono in maniera positiva sulla nostra mente, fermando il suo vagabondare caotico e confuso, portando calma e chiarezza mentale. Il tai chi chuan è il risultato dell’opera geniale di intere generazioni di maestri e praticanti che nel corso dei secoli vi hanno apportato il loro contributo: è scienza esatta, nell’accezione più occidentale del termine, in quanto ogni suo gesto, ogni sua azione si esplicano sia sul piano della salute del corpo che della mente.

Giuseppe Giusti, bresciano, coniugato, due figli è laureato in Sociologia ed è docente di Scienze del Comportamento e di Comunicazione non Verbale. Si occupa di Formazione, ricerca e selezione di risorse umane per le aziende. Ha tenuto per anni numerosi corsi e seminari presso le università di Trento, Bologna e Pisa. Da sempre si è interessato di arti marziali. Nel 1986 inizia a praticare tai chi chuan seguendo gli insegnamenti di alcuni tra i migliori maestri cinesi della disciplina quali Chang Dsu Yao per lo stile CHEN e Chung Liang per lo stile YANG. Dal 1994 inizia anche lo studio e l’utilizzo del CHI KUNG, l’arte del respiro energetico, seguendo gli insegnamenti di Yang Ming. Ha elaborato da alcuni anni un sincretismo tra le due discipline complementari dando ad esse una unità di esecuzione e affinandole perché possano essere utili a tutti coloro che hanno a cuore il proprio benessere psicofisico e la loro crescita personale. Insegna a Brescia.

INVITO

Sono lieto di invitarLa all’incontro del giorno 25 settembre alle ore 20,00 presso il Centro fitness La Palextra sito al secondo piano del Centro Commerciale Margherita d’Este di San Polo con il maestro Giuseppe Giusti per assistere e partecipare ad una seduta teorico-pratica di Tai Chi Chuan. (Consigliamo abiti comodi o tuta e scarpe da ginnastica). È gradita una e-mail interlocutoria o di conferma. Maestro Giuseppe Giusti Tai chi chuan Brescia Cultori della disciplina www.taichichuanbrescia.it Settembre 2012 41 Sede: V. Rodi 27 – 25125 Brescia E-mail: contatto@taichichuanbrescia.it


LEGGENDARIO ATLANTIS Con le sue 1.539 camere e il delfinario rientra fra gli alberghi più lussuosi del pianeta. di Elisabetta Intini Quale nome migliore di Atlantis per evocare un pensieri leggendari? E così la scelta è stata facile per trovare un nome a questa avveniristica e superlussuosa struttura alberghiera costruita su di un’isola artificiale. hotel Atlantis, albergo superlussuoso da 1.539 camere situato su un’isola artificiale a forma di palma a Dubai, negli Emirati Arabi. La struttura, che tra l’altro ospita un immenso parco acquatico, è costato oltre un miliardo di euro e offrirà ai clienti più facoltosi suite extralusso: tra le altre l’albergo ne offre una, la «Bridge suite» di oltre 900 metri quadrati che costa 18.500 euro a notte e due da 5.900 euro circa dalle quali si potrà ammirare l’immenso parco acquatico che ospiterà oltre 65.000 pesci. Costruito su una superficie di 113 acri a «Palm Jumeirah», l’isola artificiale più grande del mondo, l’hotel prende il nome da Atlantide, la leggendaria isola su cui sarebbe fiorita una delle civiltà più splendide dell’antichità. Come narra il filosofo greco Platone questa isola sarebbe scomparsa in una sola notte, probabilmente a causa di un tremendo maremoto. Il nuovo resort di Dubai intende rinnovare lo splendore della mitica isola dell’antichità: le principali attrazioni saranno l’immenso parco acquatico che ospiterà oltre 65.000 pesci e uno splendido delfinario in cui saranno presenti numerosi tursiopi (delfini che hanno grande abilità nel compiere acrobazie fuori dall’acqua). Le camere standard costeranno circa 300 euro a notte, ma il vero il pezzo forte dell’albergo saranno le incantevoli suite: ognuna di queste sarà, tra l’altro, dotata di tre stanze da letto, tre bagni e un salotto con un tavolo decorato in oro. Attorno al resort sorgeranno diciassette ristoranti, alcuni centri per le conferenze e diverse boutique che presenteranno abiti e borse delle griffe internazionali più alla moda.

IL NUOVO CONCORDE PER VIAGGI ULTRAVELOCI LONDRA-SYDNEY, 16mila chilometri in quattro ore. Non è un sogno, anche se bisognerà aspettare fino al 2030 perché diventi realtà. Si chiama X-54 e può vantarsi di essere il successore del jet supersonico Concorde. Per ora il nuovo aereo ultra-veloce è solo un progetto portato avanti da Boeing, Lockheed Martin e Gulfstream, in collaborazione con gli scenziati della NASA, e non si alzerà in volo prima di 15/20 anni. Ma già trapelano alcune indiscrezioni. Come preannunciato da un ingegnere del progetto al Sunday Times, l’X-54 sarà circa quattro volte più veloce dell’attuale detentore del primato, il C650 Gulfstream da 40milioni di sterline, in grado di volare per 7mila miglia a circa mille chilometri orari. Le prime sperimentazioni in aria si avvieranno nel 2020, e dopo un periodo destinato al mercato industriale, sarà finalmente utilizzato per il trasporto di passeggeri. Clienti permettendo. Il Concorde era stato infatti ritirato dal mercato nel 2003 per un insieme di fattori. Un ostacolo importante era il ‘boato sonico’, ovvero il rumore prodotto dall’onda d’urto di un oggetto che si muove in un fluido a una velocità superiore a quella del suono. Ma i nuovi ingegneri assicurano che l’X-54 avrà un rumore più simile a un soffio.

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Il progetto del biplano ad ali contrapposte che prenderà il posto del Concorde


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LO SHOPPING ECO-CHIC DI AMSTERDAM

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Fibre organiche e cotone per abiti e T-shirt, scarpe in materiale riciclato e capi d’abbigliamento etico: Nukuhiva, nel quartiere di Jordaan, è l’emblema dello shopping politically and ecologically correct, che ad Amsterdam è sempre più diffuso. Nella capitale a più alta vocazione verde d’Europa tutto è ecosostenibile: dai motorini agli abiti, dai cosmetici ai cioccolatini. E si riducono gli sprechi: tornano di moda i vestiti della nonna, gli accessori Anni 50, il modernariato e il design vintage. Aperto qualche anno fa dalla presentatrice televisiva olandese Floortje Dessing, instancabile viaggiatrice impegnata nel commercio equo-solidale, Nukuhiva raccoglie alcuni celebri marchi della moda ecologica, come Kuyichi, che utilizza solo tessuti naturali, Oat Shoes, le scarpe da tennis realizzate con gomma riciclata, ed Elvis & Kresse, che crea borse fatte con le manichette antincendio usate dai pompieri. E non mancano le griffe etiche, come Edun, fondata dal cantante Bono e dalla moglie Ali Hewson, una linea di abbigliamento realizzata in Lesotho, i cui proventi servono a finanziare aziende di agricoltura eco-sostenibile in Africa. Sempre per gli appassionati di eco-moda, da Charlie + Mary si trovano magliette in cotone di bambù, jeans firmati Alchemist’s e capi da palestra del trainer vegano Beyond Skin. Il negozio ha anche una tea-room dove si servono dolcetti bio accompagnati da caffè proveniente dal

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Vintage Anni 50 e design d’avanguardia. Tessuti organici e prodotti del commercio equo e solidale. Dall’abbigliamento all’arredamento, dagli zoccoli-pattini agli occhiali d’antan, tutto in città è all’insegna del riciclo, dell’ecosostenibile. E della cura per i particolari

commercio equo-solidale. Tessuti in fibre naturali, dal cotone alla seta e al lino, lavorati a mano da artigiani indiani su progetti firmati da designer olandesi, si acquistano da Capsicum Natuurstoffen, emporio pieno di tele e stoffe per moda e arredo. Creme, profumi, maschere e oli organici, non testati sugli animali, da Skin Cosmetics, che vende tutti i principali marchi cosmetici bio, da Ren a Joelle Ciocco. Sede di una delle più celebri scuole di design, la Gerrit Rietveld Academie, e di fiere dedicate, come il Dutch Design Double e l’Inside Design, Amsterdam è una mecca per chi cerca mobili originali. Non mancano i pezzi delle griffe più celebri (come quelli disegnati da Maarten Baas, Hella Jongerius e Gijs Bakker), ma non è difficile trovare creazioni di giovani talenti o arredi vintage a prezzi competitivi. La più recente vetrina dei creativi si chiama Options! e aprirà i battenti a settembre nel nuovissimo hotel The Exchange: un negozio-atelier di 200 metri quadri, dove esporranno i loro lavori giovani stilisti e designer e dove sarà possibile trovare curiosi oggetti d’artigianato contemporaneo. Tappa d’obbligo, poi, è Droog, che riunisce un centinaio tra i migliori designer olandesi, come Joris Laarman e Piet Boon. I pezzi sono concettuali, secchi (droog, appunto) e reinterpretano con ironia gli oggetti quotidiani: sono nati così la sedia a forma di


mucca, la Fat Lamp, la cui intensità luminosa aumenta insieme al calore della lampadina immersa nel grasso, o il lampadario con 95 lampadine a grappolo. Pezzi unici in edizione limitata si trovano anche da Frozen Fountain: mobili funzionali, reinterpretazioni delle classiche ceramiche di Deft, caloriferi decorati, insolite scatole da viaggio in legno. Sono autentici pezzi di design anche i capi intimi firmati da Marlies Dekkers: il suo «abito con fondoschiena nudo» è esposto in un museo a Rotterdam. Le sue due boutique, arredate con gli splendidi lampadari bianchi, candelabri dalla cera disfatta creati da Piet Boon, sontuosi divanetti e camerini-boudoir, vendono ricercata lingerie, costumi da bagno e accessori come casse di champagne per riporre i completini da notte. Accanto ai negozi che propongono le ultime creazioni, Amsterdam offre anche gallerie dove trovare arredi che sono diventati dei veri classici del design: da Wonderwood si trovano mobili in legno degli Anni 40 e 50, come le sedie in compensato sagomato di George Nelson; da Bebop Design, regno del vintage classico, pezzi di seconda mano firmati Eames e Aalto.

Le lampade immerse nel grasso della ditta Flap Lamp

Divano dell’artista George Nelson

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OPERAZIONE HACKER CODICE ANTISEC

Anonymous contro Fbi e Apple
è giallo sui 12 milioni di codici rubati. Uno dei principali gruppi facenti capo al collettivo hacktivista avrebbe messo le mani sugli “Udid” identificativi di dispositivi della mela, contenuti nel pc di un agente del Bureau, che da parte sua smentisce incursioni. Tra questi forse anche l’iPad di Obama. Un milione è stato rilasciato online, diversi utenti avrebbero verificato la corrispondenza. Gli hacker parlano di un’operazione per dimostrare le vulnerabilità della mela e il monitoraggio delle autorità.

S

Si chiama Antisec l’operazione condotta dalla squadra di hacker Lulzsec, riconducibili al collettivo Anonymous, che dichiara di aver messo le mani su dodici milioni di Udid, gli identificativi unici dei dispositivi Apple, ritrovati nel computer dell’agente dell’Fbi Christoper Stangl. Se è vero o solo una mossa di comunicazione da parte degli hacker rimane per ora un giallo, anche se sono diversi gli utenti che hanno verificato la corrispondenza del codice, nel milione finora rilasciato sul web. E in caso di reale incursione pirata, non è ancora chiaro cosa ci facessero questi dati nel notebook di un agente Fbi. L’intenzione di Lulzsec non è, come dichiarano gli hacker, di arrecare danno agli utenti Apple coinvolti nella vicenda, ma solo dimostrare come anche questi non siano completamente al sicuro nel “giardino recintato” di iOS. E soprattutto, che esiste un’operazione di controllo da parte del Federal Bureau, su milioni e milioni di utenze. Dodici milioni di codici. Il Bureau smentisce rigorosamente incursioni, rifiutando l’ipotesi che i dati possano provenire da macchine del dipartimento, mentre da Apple non arrivano commenti. Ma ammettere l’attacco per l’Fbi sarebbe un ovvio smacco, mentre Cupertino si prepara all’imminente lancio il nuovo iPhone, la prossima settimana. Ma gli hacker dichiarano

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che le stringhe numeriche erano accompagnate in diversi casi da altri elementi utili ad identificare i possessori dei dispositivi. Proprio per dimostrare la veridicità delle dichiarazioni, Lulzsec ha rilasciato su Pastebin i link per scaricare un milione di Udid. Da questi, gli hacker hanno rimosso gli altri elementi identificativi associati. Sono già diversi gli strumenti online per verificare se il proprio Udid è registrato negli “U-files” dell’Fbi. Anche Obama. Non mancano, tra i dati di identificazione rilasciati, anche riferimenti al presidente. Sono diversi gli “Obama’s iPad” che gli hacker avrebbero identificato, e tra i falsi forse c’è quello vero. Ad aggravare la situazione per l’Fbi, in possesso di dati che contengono informazioni sensibili, è che Stangl è uno dei responsabili della squadra Cyber Action, che sarebbe stato bellamente beffato dagli hacker. Fisicamente il pc dell’agente non è stato compromesso, ma Lulzsec avrebbe avuto accesso al disco attraverso un baco di Java. Secondo gli hacker, quello in cui hanno agito era il “momento opportuno” per compiere l’operazione, proprio mentre Apple è al lavoro per superare il modello Udid. Quelle recuperate da Lulzec sono in fondo informazioni che arrivano anche agli sviluppatori di applicazioni per iOS, solo che in questo caso, la quantità è rilevante.


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scienza

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ALGHE MANGIA CO2 NUBI ARTIFICIALI

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La grandi potenze non riescono a ridurre i gas serra. E allora si pensa a un controverso piano B: intervenire con la tecnologia. Dallo stoccaggio dell’inquinamento nel sottosuolo agli alberi costruiti in laboratorio, ecco gli esperimenti più avveniristici.

Lo chiamano il piano B per salvare il pianeta dal riscaldamento. Se ridurre le emissioni di gas serra è un obiettiv o che nessun Paese riesce a centrare, si cercano allora strade alternative per riparare il termostato rotto del pianeta. L’estate degli eccessi dalla siccità agli uragani - ha reso la necessità più impellente. Grandi finanziatori come Bill Gates e Sir Richard Branson hanno già staccato i primi assegni mentre scienza e tecnologia cercano di dispiegare le loro armi per rinfrescare la Terra con metodi avveniristici: ricoprendo i mari di nuvole artificiali per riflettere i raggi del sole, fecondando gli oceani per far proliferare le alghe, catturando la CO2 dalle centrali a carbone per poi sospingerla nel sottosuolo, realizzando “alberi artificiali” che risucchino i gas nocivi dall’aria o perfino - nel più ambizioso e lontano nel tempo fra i progetti suggeriti - piazzando in orbita specchi che respingano il calore solare. A maggio un progetto finanziato dal governo inglese per riempire il cielo di particelle di solfati era stato fermato mentre era ai nastri di partenza per un pretesto relativo ai brevetti. A suggerire l’idea era stata l’eruzione del vulcano Pinatubo, che nel 1991 riversò 20 milioni di tonnellate di solfati a 20 chilometri d’altezza. Lo strato di ceneri schermò per tre anni la terra dalle radiazioni solari, riuscendo ad abbassare la temperatura. La versione inglese, che prevedeva l’uso di una mongolfiera al posto del vulcano, verrà riproposta la prossima primavera. A luglio invece un esperimento di fecondazione del mare è stato portato a termine con successo dai tedeschi dell’Istituto Wegener. In un tratto di oceano di 60 chilometri vicino all’Antartide, una nave ha versato ferro per nutrire le alghe in superficie. Questi organismi hanno cominciato a proliferare, consumando CO2 a ritmi battenti attraverso la fotosintesi clorofilliana. Alla fine del loro ciclo vitale, sono precipitati sul fondo del mare a 4 chilometri di profondità portando con sé il carico di anidride carbonica. I primi prototipi di alberi artificiali (non lontani all’apparenza dai pannelli solari) sono già stati costruiti: usano particolari sostanze chimiche per filtrare la CO2 dall’aria. Alcune centrali a carbone, infine, che catturano l’anidride carbonica prodotta nella combustione e la rendono liquida per poi stoccarla sottoterra sono già attivi in Europa del nord. Ma i costi di questa tecnologia ribattezzata del carbone bianco sono ancora troppo alti per consentirne la diffusione. Contro la scelta di investire

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su un futuristico piano B anziché impegnarsi nel più logico piano A ridurre le emissioni di gas serra - sono schierati tutti i movimenti ambientalisti. Che fanno notare come riflettere i raggi solari attraverso nuvole artificiali o specchi spaziali potrà forse un giorno alleviare i sintomi della febbre del pianeta. Ma non ne rimuove le cause, né risolve problemi associati a un eccesso di CO2 come l’acidificazione degli oceani. Sul fronte delle emissioni di gas serra, d’altra parte, le notizie restano orientate al pessimismo. Nel 2011 si è registrato un nuovo record, con l’aumento della produzione di anidride carbonica del 3% rispetto all’anno precedente. Il calo dei paesi occidentali provocato dalla crisi economica (meno 2,5% di media) è stato più che bilanciato dal possente aumento di emissioni da parte della Cina (più 9%). Con la fiducia nel piano A ridotta al minimo, si sono moltiplicati in questi mesi roventi i piani di fattibilità delle nuvole artificiali, la cui coltre bianca aumenterebbe la riflessione dei raggi solari. Uno studio dettagliato è stato pubblicato una settimana fa su Transactions of the Royal Society, a firma di un gruppo di fisici dell’università di Washington. Per aumentare la densità delle nubi sugli oceani (in mare l’ombreggiatura creerebbe meno disagi rispetto alla terra) andrebbero prese dieci navi, che procederebbero affiancate a 10 km di distanza. Ogni nave sarebbe munita di una serie di ciminiere capaci di spruzzare minuscole goccioline di acqua salata fino a 250 metri di altezza. Attorno ai grani di sale si condenserebbe il vapore acqueo dell’aria e in poco tempo, secondo lo studio, il tratto di mare percorso dalle navi si coprirebbe di nuvole candide e fresche. Una coltre di nubi normalmente respinge il 50% della luce che lo investe. Dopo questo trattamento la riflettività salirebbe al 60%. Secondo un rapporto pubblicato oggi su Environmental Research Letters, un’iniziativa simile costerebbe circa 5 miliardi di dollari all’anno: una piccola quota rispetto ai 200 spesi attualmente per contrastare le emissioni di CO2. Ma lo stop improvviso del progetto britannico di maggio (che prevedeva l’uso di un pallone aerostatico trainato da una nave con un cavo di 25 chilometri simile a un guinzaglio) è sintomo di quanto enormi siano ancora le difficoltà tecniche da superare. Per frenare il riscaldamento climatico non resta che sperare in un piano C ancora più avveniristico: quello capace di convincerci a inquinare di meno.


ECCO I PERCHÈ LA MARIJUANA DANNEGGIA LA MEMORIA

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La marijuana influisce negativamente sui processi di memoria, ma qual è l’origine neurobiologica di questo effetto? Se lo sono chiesti gli autori di un nuovo articolo apparso sulla rivista Cell riscontrando con sorpresa come tali problemi di memoria siano imputabili all’effetto della sostanza psicoattiva contenuta nella marijuana – Delta-9-tetraidrocannabinolo – non direttamente sui neuroni ma sull’astroglia, che rappresenta la principale struttura di sostegno dei neuroni. In particolare, la ricerca clinica ha messo in luce come la marijuana influenzi la memoria di lavoro, dove vengono immagazzinate temporaneamente ed elaborate le informazioni utili per i processi di ragionamento, di comprensione e di apprendimento. Lo scopo dei ricercatori inizialmente era un altro. Giovanni Marsicano dell’INSERM, in Francia, e Xia Zhang dell’Università di Ottawa, in Canada, hanno iniziato la sperimentazione per chiarire per quale motivo le cellule astrogliali (o astrociti) rispondano sia al THC sia agli altri segnali fisiologici del cervello. I due studiosi hanno utilizzato alcuni topi di laboratorio per evidenziare gli effetti neurobiologici della droga, e in particolare il ruolo svolto dai recettori per i cannabinoidi di tipo 1 (CB1R), molto

Una nuova sperimentazione sui topi ha permesso di scoprire la base neurobiolgica dell’effetto negativo del consumo di cannabinoidi sulla memoria di lavoro: a essere colpiti non sarebbero direttamente i neuroni, ma gli astrociti, che per la prima volta vengono implicati in questo tipo di meccanismi, fondamentali per l’apprendimento e per il ragionamento

diffusi nel cervello, soprattutto sui vari sottotipi di neuroni. Si è così scoperto come i topi mancanti di CB1R solo sulle cellule gliali siano protetti dai deficit della memoria di lavoro spaziale che spesso segue alla somministrazione di una dose di THC e che è stata riscontrata negli animali mancanti di CB1R sui neuroni. “Dato che differenti tipi di cellule esprimo diverse varianti di CB1R, potrebbe essere possibile, in linea di principio, attivare i recettori sui neuroni senza influenzare le cellule astrogliali”, ha spiegato Marsicano commentando i risultati. “Il nostro studio mostra come gli effetti più comuni dell’intossicazione da cannabinoidi è dovuta all’attivazione dei recettori CB1R”. La scoperta ha notevoli implicazioni anche per lo studio delle attività degli endocannabinoidi endogeni, agonisti naturali dei recettori CB1R sia sugli astrociti sia sugli altri tipi di cellule. Il sistema degli endocannabinoidi è coinvolto nell’appetito, nella regolazione dell’umore, nella memoria e in molte altre funzioni. La comprensione di come queste molecole di segnalazione agiscono potrebbe gettare una luce anche su alcune gravi patologie in cui la memoria di lavoro è fortemente deficitaria, come l’Alzheimer.

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BAR TABACCHI La Coccinella Alle Porte Franche di Erbusco un locale per soddisfare i tuoi desideri Ad accogliervi c’è il sorriso e la freschezza del personale in una piccola oasi ricca di servizi in un atmosfera calda e rilassante. Siamo nel Bar-Tabacchi La Coccinella all’interno del Centro Commerciale Le Porte Franche, una tappa obbligatoria che vi stupirà per la quantità di servizi che riesce ad offrire. Si incomincia la mattina alle 8 con la colazione, un sorriso e tanta gentilezza per rendere piacevole il risveglio e affrontare con serenità tutta la giornata. Seguono le proposte aperitivo e caffetteria in genere per soddisfare i vari break che alleggeriscono la giornata dai tanti impegni che solitamente ci sommergono. Tutto questo è possibile fino alle 22 in un elegante e tranquillo spazio esclusivo del locale, comodamente affacciato sulla scenografica architettura del Centro Commerciale. Nell’arco della giornata, al piacere di una pausa ristoratrice, La Coccinella, mette a disposizione una rosa completa di prestazioni veramente utili che si possono effettuare tranquillamente tra un caffè e uno spuntino. In diretta quindi il pagamento delle bollette postali, Mav, Rav, Freccia Rossa, Voucher Inps, Bollo Auto, Canone Rai, Sky, Mediaset Premium, Telecom Italia, Wind, Infostrada, Ricariche Poste Pay e tutte le ricariche telefoniche italiane ed estere. E non finisce qui. Per tutti gli appassionati di giochi e per chi ama tentare la fortuna, La Coccinella (anche il nome è un augurio) offre una vasta gamma di possibilità: Lotto, 10 e Lotto, Superenalotto, Win for Life, Gratta e Vinci e biglietti Lotteria di tutti i tipi. Basta quindi scegliere la giocata preferita, incrociare le dita e il gioco è fatto! Ma in questa sciccosa manciata di metri quadrati, studiati alla perfezione per rendere la sosta agevole e rilassante, non mancano alcune chicche per palati raffinati: in bella mostra un’importante collezione di Wisky Macallan completa di tutte le annate a partire dal 1936 e per gli appassionati fumatori, oltre ai tabacchi tradizionali ed ai Trinciati, sono disponibili i migliori sigari cubani conservati sapientemente in una vetrina climatizzata per mantenere intatto il loro aroma e le loro caratteristiche. Detto questo, dopo qualche ora di shopping, un pit stop presso La Coccinella è d’obbligo per rilassarsi e sbrigare in pochi minuti tutte quelle piccole cose pratiche senza doversi spostare da un posto all’altro. E se per caso avete usato i servizi pubblici non preoccupatevi per il ritorno, La Coccinella offre anche il servizio di biglietteria per pullman!

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salute

L’inattività fisica uccide tante persone quante il fumo

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Alzarsi dal divano e andare a correre potrebbe salvarci la vita: dati alla mano, ecco quali sono i rischi della mancanza di esercizio e i segreti degli italiani per mantenersi in forma.

Se lo spauracchio della prova costume non è servito a spingervi ad alzarvi dal divano, ecco un argomento ancora più convincente: la mancanza di esercizio fisico miete tante vittime quante ne fa, ogni anno, il fumo di sigaretta. È il risultato shock di una serie di articoli pubblicati a luglio sull’autorevole rivista medico-scientifica Lancet. Chi poltrisce rischia grosso Secondo uno di questi studi condotto dai ricercatori dell’Harvard Medical School, più di 5,3 milioni di morti sarebbero evitate ogni anno nel mondo se anche i più pigri facessero un po’ di moto. Il fumo, in confronto, uccide ogni anno 5 milioni di persone. Per la cronaca il movimento del pollice sul telecomando per fare zapping non è considerato sport. Per esercizio fisico si intendono almeno 150 minuti di attività anche moderata, come una breve camminata. Moto salvavita Per evidenziare i benefici dell’esercizio fisico gli scienziati hanno analizzato i dati del 2008 relativi alle morti causate da quattro malattie correlate alla mancanza di esercizio: il diabete di tipo 2, le malattie coronariche, il cancro al seno e all’intestino. Comparando questi numeri alle informazioni sui livelli di esercizio fisico praticati in ogni nazione, è stato calcolato che se ciascuno avesse raggiunto livelli accettabili di attività fisica settimanale, si sarebbero evitate il 6% delle morti per attacco cardiaco, il 7% di quelle per diabete e il 10% di quelle dovute a un tumore. Allenati e felici: la ricetta made in Italy Dati alla mano non resta che correre ai ripari. Ma come fanno gli italiani a mantenersi in forma? In base a un sondaggio condotto da JustEat Italy, in tempi di crisi i connazionali si affidano a una ricetta infallibile ed economica a base di due ingredienti: sesso e verdura. Le attività sportive privilegiate sono anche quelle più economiche: il sesso (scelto dal 24% degli intervistati, soprattutto gli uomini) seguito dalla camminata, prediletta dal 32% del pubblico femminile e dal 23% di quello maschile, e dalla corsa, scelta dal 18% degli uomini e dal 15% delle donne. Più verde nel piatto La dieta rimane il metodo più seguito per perdere peso (vi ricorre il 34% del campione) si preferisce rinunciare a un piatto di pasta in favore di insalatone e verdure di stagione: l’estate sembrerebbe il periodo in cui si mangia più sano, dato che il 20% degli intervistati aumenta in questo periodo il consumo di verdura, il 18% quello di frutta e l’8% quello di cereali e fibre integrali.

direttore Edoardo Beccalossi redazione Paola Castriota, Claretta Pasotti, Paola Gregorio, Magda Biglia, Luigi Fertonani, Igor Frassine, Leonardo Wesendorf, Osvaldo Mairani, Cristina Salfa, contributi speciali Mariella Annibale Marchina Danilo Stefani fotografia Remio Maifredi, Edophoto, Mauro Brunelli impaginazione Francesca Vezzoli

pubblicità info@panoramabresciano.it 030.2191305 / 334.3575976 segreteria info@panoramabresciano.it stampa Megaprinter - Venezia Chiuso in redazione il 12-09-2012 alle 18,00 Autorizzazione del Tribunale di Brescia Edizioni Le Amazzoni via Genova 8 Brescia www.panoramabresciano.it info@panoramabresciano.it Ogni riproduzione realizzata sia con mezzi meccanici che elettronici è vietata senza autorizzazione scritta dell’editore

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Lo

che

sapevate

LE MANI DELLE SANTE

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La chiesa delle Sante si trova sul versante sinistro del fiume Oglio, nel comune di Capo di Ponte in Valcamonica.

L’attuale struttura risalente al Seicento è stata costruita sopra ad una cappella romanica, della quale non troviamo oramai più niente tranne un angolo di abside contenente alcuni affreschi. La chiesa all’interno ha una navata centrale unica e il soffitto a volta di botte. Ai lati sorgono le cappelle con pale attribuite a Lorenzo Marbello. Presso l’altare maggiore vi è un paliotto in cuoio rappresentante San Faustina, San Marcello e Santa Liberata, mentre sopra l’altare vi è una pala raffigurante l’ascensione attribuita a Palma il Giovane. All’esterno della chiesa, in una cappella, vi è un grande masso riportante sei impronte di mano incise. Secondo la tradizione rappresentano le mani delle Sante Faustina e Liberata e di San Marcello che impedirono alla pietra di franare sul villaggio di Serio. Tutta la zona dove sorge la chiesa ha comunque una valenza sacra ancestrale che si perde nei tempi, dovuta alla collocazione naturale ‘ideale’ (la verticalità della montagna ha sempre ispirato un sentimento di ascesa verso l’immanente) e alla presenza dell’acqua, considerata fonte di fecondità e di vita, nonchè dei boschi, della flora e della fauna, dell’osservazione dei cicli solari e lunari.

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Il progetto a favore dei bambini con disturbi dello Spettro Autistico Un bambino su 150 è autistico o meglio rientra in una delle patologie di questo genere. Enorme il bisogno di trovare risposte e assistenza, e pochissime le famiglie che trovano servizi adeguati. I bambini affetti da questo disturbo mostrano difficoltà nelle interazioni sociali, nell’ambito comunicativo e del comportamento.

Scuolaba non vi lascerà soli

Scuolaba ONLUS Sede legale: Via Del Carso, 4 25124 Brescia Sede operativa: Via Don Milani, 9 25020 Flero (BS) tel: 030.2541029 cell: 366.3417029 Sito internet: www.scuolaba.it Mail: info@scuolaba.it

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