IN VIAGGIO CON
abbia senso fare teatro. Mi ricordano le assemblee del ’68, con la retorica del chi siamo e dove andiamo... Il Piccolo ha la peculiarità di essere un’istituzione con la responsabilità del servizio pubblico, 300mila spettatori di cui molti sotto i 26 anni, ma anche quella di affrontare il rischio, come quando abbiamo aperto al Mediterraneo e qualcuno mi disse: «Ma a Milano non c’è il mare». Abbiamo aperto alla Cina perché il teatro è irrequietezza, da affrontare con professionalità e, soprattutto, con grande rispetto per il pubblico, formandolo ad avere un rapporto di fiducia con l’indeterminatezza del risultato. Usciti da teatro è bene darsi il tempo di dimenticare lo spettacolo per consentire di far riemergere, più tardi, quei tasselli dell’identità che ci ha colpito. Da bambino non mi piacevano gli spinaci, adesso li adoro. Qual è il modello economico di un teatro? Ho assistito a centinaia di dibattiti e
convegni sull’economia dello spettacolo, direi che è giunto il momento di farne un paio sulla cultura dell’economia, forse ci troveremmo meglio. Gli attori di teatro sono migliori al cinema? Prendo in prestito le parole di Toni Servillo, grande amico, il quale dice che se non facesse tanto teatro non potrebbe fare il cinema. Truffaut unisce il suo cinema di Effetto notte alla rappresentante più eccelsa del teatro, Valentina Cortese, ed è il punto che li unisce. Uso un termine che va usato con il contagocce: questa è poesia. Che animali sono gli attori? Rispondo con il titolo di un lavoro fatto con Emma Dante: Bestie di scena. Non è offensivo, sono debolissimi e fortissimi, sul loro mascherarsi assumono la realtà e sono più reali del reale. Se sul palcoscenico facciamo entrare un cavallo vero, crediamo che sia finto. Se sale un cavallo finto, abbiamo la sensazione che sia vero. Il pubblico ha bisogno degli attori e
Sergio Escobar in Frecciarossa con il giornalista Andrea Radic
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gli attori del pubblico? Sono complici, in modo laico. Lo spettacolo, in effetti, non avviene né in palcoscenico né in platea, bensì sul proscenio. Luogo indefinito in cui occhi, corpi e parole si incrociano, e lì accade lo spettacolo. Un momento di sospensione in cui entrambi, attore e spettatore, dicono: «Ho capito». L’attore in qualche modo chiama gli spettatori per nome, uno per uno, senza conoscerli. Come quando giocavo con mio figlio mettendomi per terra, e non mi chiamava più con il nome della mia funzione, papà, ma con il mio, Sergio. piccoloteatro.org PiccoloTeatro Piccolo_Teatro piccoloteatromilano
MILANO 192 FRECCE AL GIORNO