GR Magazine 1/2025

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Magazine del quotidiano online www.greenretail.news giugno 2025

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Armando Brescia

Direttore editoriale

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Nicola Mamo, Chiara Cammarano, Maddalena Marconi

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EDITORIALE

Un carrello verde pieno di sorprese

A tutto green! L’elefante verde nel carrello degli italiani

Digitale e sostenibilità: dalla misurazione all’azione

FOCUS CERTIFICAZIONI

Sale la marea delle certificazioni green

Crai prima insegna a firmare il Patto di Legalità

Mediocredito Centrale: 50 milioni per la filiera del caffè

Electrolux punta al 35% di materiali riciclati nei prodotti entro il 2030

Ittrio dai rifiuti elettronici: un’opportunità per la farmaceutica

SUCCESSI E STRATEGIE INNOVAZIONE E RICERCA PRODOTTI E PACKAGING

Save The Duck e Movopack lanciano il packaging riutilizzabile premium I mille volti del pack ecologico Più valore alla filiera

Il Commercio Equo tra Sostenibilità e Impatto Sociale: la via di Altromercato

Domenico Canzoniero

UN CARRELLO VERDE PIENO DI SORPRESE

L’84,2% della spesa italiana nella GDO è destinata a prodotti con claim green sulla confezione, una cifra enorme ma difficile da interpretare: un elefante nella stanza, di cui nessuno sembra curarsi. Infatti, sebbene il tema ambientale sia da tempo presente sui prodotti, solo di recente, grazie all’Osservatorio Immagino di GS1 Italy e alla collaborazione con l’Istituto di Management della Sant’Anna, è stato possibile monitorare e classificare scientificamente i green claim, aiutando a comprendere meglio il concetto di “green” nel largo consumo.

Cosa ci racconta l’analisi dei claim che finiscono nel carrello verde degli italiani? Sicuramente non ci parla di quanto i consumatori tengano alla causa ambientale. Il green non diventa la ragione di acquisto principale di un prodotto solo perché si presenta sul pack, tra l’altro quasi mai da solo ma in compagnia di altri claim magari messi in maggiore evidenza.

Ci dice invece di come i claim ambientali vengono usati: per lo più come una commodity, e infilati in qualsiasi contesto, entrando in crisi di valore, di affidabilità e di comparabilità.

Il caso limite è quello dei claim generici che contengono parole come ecologico, naturale, ecosostenibile ma è il green stesso ad essere troppo ampio e generico. Infatti solo l’1,6% dei prodotti fa riferimento a misure scientifiche del ciclo di vita e così nonostante il green sia dappertutto la sua efficacia ambientale è minima e rispetto all’impronta dei nostri consumi è in pratica irrilevante.

Così esplorando la composizione di questo elefante verde ci accorgiamo che per lo più dentro c’è spazio vuoto, un potenziale di riduzione ambientale inespresso, pronto ad essere riempito di efficacia reale che per ora latita.

Di cosa andrebbe riempito il nostro elefante e quindi il carrello green degli italiani? Sono tante le cose da migliorare ed evolvere ma una cosa è certa: non c’è bisogno di più green ma di un green migliore, diverso, più scientifico e trasparente nel dare il giusto valore alla riduzione di impronta che genera. Questa è la strada indicata dalle nuove norme europee, che necessita di tempo e di investimenti per ribaltare gli equilibri e far crescere quell’1,6% almeno dieci o venti volte.

C’è poi un’altra strada che è la più diretta e che solo la distribuzione può realizzare grazie al suo ruolo chiave. Si tratta di spostare l’asse delle categorie che finiscono nel carrello della spesa per fare in modo che tutto il carrello sia un po’ più leggero ambientalmente e migliore nutrizionalmente. Ma questa è tutta un’altra storia che abbiamo cominciato a raccontare sulla pagine di greenreatil.news e a cui dedicheremo uno dei prossimi numeri di questo magazine.

A Tutto Green! L’elefante verde nel

carrello

degli Italiani

L’elefante verde

Immaginate di entrare in un supermercato e trovare un elefante enorme, colorato di verde, che occupa quasi tutto lo spazio.

È l’immagine del green nel largo consumo italiano. Un fenomeno di proporzioni enormi che l’84,2% della spesa va a prodotti che hanno un green claim, un’affermazione ambientale sul packaging. Un fenomeno dalle dimensioni colossali, onnipresente eppure difficile da decifrare e anche per questo sinora del tutto ignorato dalle analisi e dai rapporti sulla sostenibilità nella distribuzione moderna che sembrano invece presagire la necessità di più green sugli scaffali e nei carrelli.

La realtà che questo dato ci mette davanti è che la sostenibilità è diventata il mantra del retail, al punto che oggi è quasi impossibile fare la spesa senza imbattersi in prodotti che si dichiarano, in qualche modo, amici dell’ambiente. Ma che cosa rappresenta, realmente, questo enorme elefante verde?

Non ci parla dei gusti e delle preferenze dei consumatori, questo è certo. Il green non diventa la ragione di acquisto principale solo perché appare sul packaging, spesso in compagnia di altri claim magari messi più in evidenza. Ci racconta invece di come i claim ambientali vengono usati: per lo più come una commodity, infilati in qualsiasi contesto, entrando in crisi di valore, di affidabilità e di comparabilità.

Mentre numerosi studi puntano il dito contro singoli casi di greenwashing, la nostra analisi guarda al fenomeno con una prospettiva diversa: non quanto sia diffuso il verde, ma quanto sia efficace sul piano ambientale, ovvero per quella funzione di ridurre l’impronta dei consumi per cui il dispositivo green è stato pensato. Perché avere scaffali verdissimi non significa necessariamente avere un pianeta più verde se non verifichiamo l’attendibilità dei claim e la loro rilevanza sul piano della riduzione dell’impronta.

Non basta misurare la quantità di verde nei claim: dobbiamo chiederci quanto di questo green produce effetti reali sull’ambiente. È qui che si gioca la vera partita della sostenibilità.

Almo Nature, il brand attivista

Non solo pet food della più alta qualità disponibile sul mercato. Almo Nature va oltre: è un brand attivista, impegnato su diversi fronti per la tutela dei compagni animali e della biodiversità. Tutti i profitti derivanti dalla vendita dei prodotti Almo Nature, infatti, dopo costi e tasse, vengono messi a disposizione della Fondazione Capellino, proprietaria del 100% di Almo Nature, per portare avanti progetti in diversi ambiti, con in comune la finalità di salvaguardare la biodiversità.

Restituire alla biodiversità, attraverso l’attivismo, il valore aggiunto generato dal lavoro

Reintegration Economy è il nome che abbiamo dato al nostro modello economico: i profitti derivanti dal lavoro in azienda non restano

un beneficio per pochi, bensì vengono messi a disposizione di tutte le specie viventi e della loro casa comune, il Pianeta. Ogni impresa oggi genera un impatto sull’ambiente. In attesa che tutte le imprese si trasformino progressivamente riducendo il loro impatto, il modello promosso da Fondazione Capellino si propone di rendere alla natura ciò che l’attività produttiva le sottrae. Un obiettivo motivato dalla consapevolezza dell’urgenza di restituire alla biodiversità, attraverso l’attivismo, quel valore aggiunto che il lavoro produttivo genera.

Dalla proprietà alla responsabilità

Almo Nature, oltre a prendere parte alla Reintegration Economy, nell’ambito del suo statuto di società benefit, promuove una visione olistica della relazione tra umani e cani e gatti che va oltre al prodotto che vende: Companion for life è il suo progetto che mira ad evolvere dal concetto di proprietà al concetto di responsabilità e ad elevare il rispetto delle specificità dei nostri compagni animali. Companion For Life agisce su 4 livelli: il Bando che supporterà la realizzazione dei progetti di associazioni non profit che si occupano del benessere di cani e gatti; attività di lobbying per

il miglioramento della proposta di Regolamento europeo sul loro benessere; mantenimento e miglioramento della quantità e qualità delle relazioni con le associazioni; distribuzione di pasti in situazioni di emergenza, attraverso la sua Love Food Bank.

Almo Nature è il tuo regalo quotidiano al pianeta

Ogni volta che acquisti un prodotto Almo Nature, quindi, non solo hai la più alta qualità disponibile per il tuo compagno animale, ma diventi anche parte dell’attivismo di Almo Nature e della Reintegration Economy e contribuisci direttamente anche tu, tramite un piccolo gesto quotidiano, a qualcosa di importante che ci coinvolge tutti, come la salvaguardia della biodiversità. Con Almo Nature fai un regalo quotidiano al pianeta. Attivati anche tu.

Anatomia del dispositivo verde: dati e normativa

Con questo approccio cominciamo ad analizzare come funziona quel “dispositivo green” - ovvero quel meccanismo che valorizza i prodotti a ridotta impronta ambientale qualificandoli come green - così come viene rappresentato dai dati sui green claim che riporta l’Osservatorio Immagino di GS1 che presenta una classificazione su base scientifica dei green claim redatta dall’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna. Un lavoro di grande utilità che acquista ancora maggiore rilevanza alla luce delle nuove normative europee che riconoscono implicitamente una profonda crisi del paradigma green attuale.

Le nuove regole infatti non arrivano per caso: sono la risposta a un sistema di comunicazione ambientale che ha privilegiato la quantità alla qualità, la percezione all’impatto, l’apparenza alla sostanza. Ne risulta un dispositivo green che va urgentemente riformato per tornare alla sua funzione originaria: generare e comunicare autentica sostenibilità ambientale.

Il nuovo quadro normativo: la Direttiva

UE 825/2024

Nel 2024, l’Unione Europea ha introdotto una nuova direttiva che entrerà in vigore negli ordinamenti nazionali da dicembre 2026 per cambiare profondamente le regole del gioco della comunicazione ambientale tra imprese e consumatori. La Direttiva 825/2024 amplia infatti l’ambito delle pratiche commerciali scorrette, stabilendo obblighi chiari e una lista nera di affermazioni ambientali vietate.

Ambito di applicazione:

Qualsiasi forma di comunicazione, anche solo un colore, una forma o un simbolo che richiami valori ambientali, è soggetta a queste norme. Non sono quindi solo le parole a essere sotto osservazione, ma ogni elemento che possa evocare sostenibilità.

Pratiche considerate sleali:

- Assenza di prove: Ogni affermazione ambientale deve essere supportata da prove concrete, pronte per essere esibite su richiesta.

- Affermazioni fuorvianti: È vietato fare dichiarazioni che potrebbero falsare il comportamento del consumatore. Le informazioni devono essere chiare, specifiche, complete, accurate e inequivocabili.

Le dichiarazioni ambientali vietate (black list):

1. Marchi di sostenibilità non certificati: Vietato l’uso di marchi ambientali non basati su sistemi di certificazione di origine pubblica o standard riconosciuto come l’Ecolabel europeo o il Made Green in Italy.

2. Generalizzazioni fuorvianti: Non si può estendere una caratteristica ambientale di una sola componente al prodotto intero.

3. Norme spacciate per meriti: Non è consentito presentare il rispetto di obblighi di legge come vantaggi competitivi.

4. Claim generici: Parole come “green”, “ecosostenibile”, “amico della natura” sono vietate, a meno che non sia dimostrata l’eccellenza del prodotto rispetto alla categoria come per i prodotti certificati Ecolabel e simili (etichetta di tipo I ISO 14024 o equivalenti).

5. Carbon claim basati su sola compensazione: vietato dichiarare che un prodotto è “a impatto zero” o “climaticamente neutro” se la dichiarazione si basa esclusivamente su compensazioni esterne di emissioni (es. piantare alberi), senza dimostrare una riduzione effettiva delle emissioni lungo il ciclo di vita del prodotto.

6. Omissioni su durabilità e aggiornamenti: Le aziende devono comunicare in modo trasparente su funzionalità, aggiornabilità software e riparabilità del prodotto.

Il passaggio da comunicazione volontaria a obbligatoria rappresenta un cambiamento epocale per le aziende, che dovranno allineare le proprie strategie di marketing ambientale a requisiti sempre più stringenti e basati sull’evidenza scientifica.

Cosa c’è davvero dentro il nostro elefante verde?

Alla luce di queste indicazioni normative e della ridefinizione del dispositivo green che queste implicano andiamo a rileggere la mappa dei green claim che l’Osservatorio Immagino ha disegnato. Ci accorgeremo che il quadro che emerge dall’ultima edizione dell’Osservatorio con i dati di vendita dell’anno giugno 2023-giugno 2024 è molto più articolato di quanto si possa intuire scorrendo gli scaffali.

Cinque classi di green claim, con livelli molto diversi di affidabilità, scientificità e impatto reale. Per ognuno, abbiamo introdotto una griglia sintetica di valutazione per aiutarci a distinguere l’apparenza dalla sostanza. E per ognuno, abbiamo provato a chiederci: quanto è compatibile con la nuova Direttiva UE 825/2024 e con lo spirito che anima le diverse normative sulla transizione ecologica e la comunicazione ambientale?

1. I suggerimenti pratici: il verde per legge o per abitudine

Con oltre 107.000 prodotti e 43 miliardi di euro di fatturato, le semplici indicazioni pratiche dominano la scena. Dalle istruzioni per la raccolta differenziata (63,2% dei prodotti) ai consigli per conservare meglio gli alimenti (45,9%).

Questi claim sono spesso obbligatori e non qualificano il prodotto in sé, ma richiedono un’azione da parte del consumatore per avere un impatto reale. L’ampiezza di questa categoria di green claim che copre il 92% del fatturato in GDO ci mostra quanto i temi ambientali siano connessi con la nostra quotidianità, quanto ogni gesto possa avere un impatto sul consumo di risorse, il riciclo dei materiali.

Il punto è che questo impatto è vago, genericamente positivo: i modi per “dare una mano all’ambiente” sono infiniti ma solo alcuni sono rilevanti. Istruzioni su come fare la differenziata, o come conservare correttamente il cibo per non sprecarlo sono certamente input positivi ma non possiamo dire che queste indicazioni abbiano un vero impatto. E in effetti si possono tenere da parte rispetto ai green claim a tutti gli effetti perché non parlano del valore ambientale del prodotto.

Affidabilità e autenticità

Misurabilità e scientificità

Rilevanza sull’impronta del prodotto

Compatibilità con la Direttiva UE 825/2024: ✅

Spesso obbligatori o regolati, ma poco distintivi

Impatto indiretto, difficile da quantificare

Impatto minimo e dipendente dal comportamento del consumatore

Quasi sempre conformi. Rappresentano informative obbligatorie o raccomandazioni neutre. Nessuna enfasi ambientale indebita.

2. Le caratteristiche ambientali: quando l’albero nasconde la foresta

Comprende 92.786 prodotti (67% del totale), con 40,2 miliardi di euro di vendite. Il claim più diffuso è la riciclabilità del packaging presente sul 57% dei prodotti che totalizza il 78,3% del valore di vendita. Seguono distaccati di molto le formulazioni con ingredienti green (21,3% dei prodotti) che sono per lo più ingredienti vegetariani o vegani.

Isolano un singolo attributo (spesso marginale), ignorando l’impatto complessivo del prodotto. Il rischio? Scollegare la sostenibilità percepita da quella reale.

Dimensione Valore

Affidabilità e autenticità

Misurabilità e scientificità

Commento

Più variabile: da standard chiari a definizioni ambigue

Focus su un solo aspetto, senza visione sistemica Rilevanza sull’impronta del prodotto

Compatibilità con la Direttiva UE 825/2024: ⚠

Di media i claim sulla riciclabilità del packaging sono attendibili ma il rischio è elevato se il claim diventa generico: spesso il packaging riciclabile viene definito anche ecologico o green, e se questo claim non è supportato da evidenze misurabili può rientrare tra le pratiche fuorvianti o addirittura nella lista nera (es. “pack eco-friendly” non certificato). Dimensione

Spesso claim su aspetti marginali del footprint

3. Filiera e produzione: quando il processo diventa messaggio

Circa 21.000 prodotti, 10,2 miliardi di euro. Comprendono i disciplinari in agricoltura o allevamento (10,9%) e le dichiarazioni sui processi produttivi (3,6%).

È il regno della complessità: tante certificazioni, standard disomogenei, livelli diversi di controllo. Ma anche la possibilità di raccontare una sostenibilità più sistemica. Si tratta quindi di un approccio al green in evoluzione che potrà dare un reale contributo soprattutto nell’agroalimentare se riuscirà a rendere più coerenti e attendibili i criteri e le misure lungo la filiera.

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Affidabilità e autenticità

Misurabilità e scientificità

Rilevanza sull’impronta del prodotto

Compatibilità con la Direttiva UE 825/2024: ✅/⚠

Buona quando supportata da certificazioni serie

In crescita, ma spesso poco comparabile tra aziende

Più centrale: si agisce su pratiche agricole e industriali

Dipende dal livello di verifica e trasparenza. Le dichiarazioni devono essere supportate da prove solide, altrimenti rischiano di risultare fuorvianti o autoreferenziali.

4. I claim generici: parole al vento

9.799 prodotti, oltre 5 miliardi di euro di vendite. Parole come “eco”, “green”, “naturale”, “sostenibile” abbondano, ma nella maggior parte dei casi non c’è alcuna evidenza concreta a supporto.

Il rischio greenwashing qui è massimo: l’efficacia ambientale è più evocata che dimostrata.

Affidabilità e autenticità

Misurabilità e scientificità

Rilevanza sull’impronta del prodotto

Compatibilità con la Direttiva UE 825/2024: ❌

Vaghe, autoreferenziali, spesso fuori norma

Nessun riferimento a standard, dati o metodologie

Inesistente o non dimostrabile

Sono esplicitamente vietati. La direttiva li include nella black list: senza certificazioni ufficiali (ISO 14024 o equivalenti), questi claim non sono ammessi.

5. Lca e approccio scientifico: il grande assente

Solo 2.263 prodotti (1,6%) adottano un approccio basato su studi del ciclo di vita (Lca) o metriche scientifiche integrate. Sono pochi, ma indicano la via maestra per una sostenibilità reale e verificabile.

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Affidabilità e autenticità

Misurabilità e scientificità

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Commento

Basato su dati, metodi condivisi e standard UE

L’unico approccio davvero comparabile e sistemico Rilevanza sull’impronta del prodotto

Consente di valutare davvero la riduzione di impatto

Compatibilità con la Direttiva UE 825/2024: ✅

Questi claim rappresentano lo standard auspicato dalla direttiva. La trasparenza metodologica e l’aderenza a standard scientifici li rendono conformi e replicabili.

Melandri Gaudenzio: l’ambiente come priorità strategica

«Per Melandri, la sostenibilità è da sempre al centro delle nostre buone pratiche, ben prima che diventasse un tema attuale. È essenziale per il futuro del pianeta e ci spinge a investire costantemente in soluzioni attente all’ambiente: energie rinnovabili, riduzione dei rifiuti, packaging sostenibili.»

Scegliamo materiali innovativi e riciclabili per il packaging, limitando i rifiuti e favorendo l’economia circolare. L’uso di carta e plastica monomateriale riciclabile riduce l’impatto ambientale e rispecchia una nuova consapevolezza nei consumi.

Con lo stesso approccio, la quota di prodotti biologici è salita al 43% della produzione.

Il nuovo stabilimento è stato progettato con soluzioni ad alta efficienza energetica e basso impatto ambientale, ottenendo una riduzione del 20% delle dispersioni termiche.

Abbiamo installato impianti fotovoltaici che coprono il 40% del fabbisogno energetico, riducendo le emissioni di CO₂. Oltre l’85% dell’energia prodotta viene utilizzata nei processi aziendali.

Gestiamo i rifiuti secondo criteri di riduzione, recupero e riciclo. Gli scarti (semi spezzati, bucce, ecc.), inferiori all’1% della materia lavorata, vengono destinati alla produzione di biogas, coprendo il 5% del fabbisogno energetico annuo.

Infine, promuoviamo una cultura aziendale orientata alla sostenibilità e alla sicurezza, formando il personale con corsi “on the job” e comunicazione interna.

Ogni lavoratore è coinvolto in piccole azioni quotidiane che fanno la differenza: uso consapevole di luci e riscaldamento, riduzione delle stampe, car pooling, bici. Una sostenibilità concreta partecipata, quotidiana.

Il caso virtuoso di Almo Nature

Almo Nature ha scelto, già nel 2018, di percorrere una strada diversa. Una strada che fa uscire quell’elefante dalla stanza, consapevole che la biodiversità è il punto cruciale del nostro futuro come pianeta, sotto tutti i punti di vista.

E’ la strada della Reintegration Economy: così è stata chiamato il modello economico sottostante al payoff “All profits to the planet”, che oggi accompagna il logo Almo Nature per portare a diffusione questo nuovo approccio al “fare impresa”, che può davvero cambiare le cose, molto concretamente.

Tutti i profitti derivanti dalle vendite dei prodotti Almo Nature, da quando l’azienda le è stata donata in modo irreversibile, vengono destinati alla sua proprietaria Fondazione Capellino, la quale ha un’unica missione: portare avanti progetti per la protezione e l’incremento della biodiversità.

Ogni consumatore, quindi, che sceglie di acquistare un alimento per cani o gatti di questa marca, diventa

parte attiva di questo circolo virtuoso, che invece che portare il profitto generato dal lavoro nella tasche dell’imprenditore, lo utilizza per il bene comune.

I progetti di Fondazione Capellino quindi si finanziano unicamente con i frutti del lavoro dell’impresa di cui è proprietaria e grazie a questa indipendenza, essi possono mantenere una prospettiva di medio-lungo periodo che si fonda su solide basi scientifiche e importanti collaborazioni istituzionali, in Italia, in Europa, in tutto il mondo.

Gli ambiti in cui viene portato avanti l’impegno di Almo Nature e Fondazione Capellino per la biodiversità sono per esempio la lotta agli effetti nocivi del cambiamento climatico, la trasformazione di più habitat naturali possibili in riserve integrali di biodiversità, connettendoli tra loro tramite corridoi che ne riducano la frammentazione o la sperimentazione di un’agricoltura non solo Rigenerativa ma Biodiversa.

Lavoriamo per proteggere la biodiversità perché siamo giunti a un bivio: molte specie, compreso l’uomo, rischiano di scomparire dai loro habitat, e dobbiamo fermare tutto questo. Per farlo è necessario che tutti, nessuno escluso, si impegnino ad agire.

Orizon: innovazione sostenibile per la qualità dell’aria domestica

La nuova linea di detergenti certificati Air Label Score migliora il settore del cura casa ecologico con prodotti a basse emissioni per ambienti chiusi. Con punteggi da A+ ad A dall’ente certificatore, la gamma offre soluzioni complete per ogni esigenza di pulizia domestica.

Orizon si distingue per l’innovativo packaging a prevalenza cellulosica, certificato FSC e Aticelca, che garantisce la riciclabilità nella carta e riduce la plastica dall’80% al 92% a seconda del prodotto. Il design funzionale consente un dosaggio preciso con una sola mano, evitando sprechi. Le formule contengono materie prime di origine naturale e principi attivi biodegradabili che assicurano efficacia pulente, come confermato da test di performance condotti da enti di valutazione esterni. Tutti i prodotti sono dermatologicamente testati e presentano contenuti di nichel, mercurio, piombo e cromo inferiori allo 0,001%.

Equilibrio e Trasparenza: la Filosofia Green di Esseoquattro

Mara Ortolani, Direttore Dipartimento HQSE di Esseoquattro S.p.A., condivide la visione aziendale: “Da oltre 45 anni, ci impegniamo a sviluppare soluzioni di imballaggio che conservano gli alimenti in modo naturale, riducendo il più possibile il loro impatto sull’ambiente. Per noi un packaging alimentare è sostenibile quando mette in equilibrio due fattori imprescindibili: deve contribuire a ridurre lo spreco e rispettare l’ambiente in cui viviamo.”

In linea con la trasparenza che caratterizza l’azienda, tutte le caratteristiche dichiarate dei prodotti si basano sui risultati dei test eseguiti da partner scientifici e certificati da enti accreditati.

Consapevole della complessità comunicativa in un mercato saturato di green claim, Esseoquattro ha partecipato alla stesura delle “Linee Guida per la formulazione e la gestione dei green claim nel settore del packaging”, un progetto dell’Istituto Italiano Imballaggio nato per guidare le aziende verso una comunicazione trasparente, oggettiva e consapevole.

Lo sviluppo della linea risponde alle preoccupazioni dei consumatori riguardo la qualità dell’aria domestica: secondo una ricerca YouGov del 2022, il 73% degli intervistati ritiene che l’aria all’interno della propria casa sia inquinata anche a causa di prodotti di uso quotidiano.

Monica Rigoni, marketing manager Italchimica sottolinea “Ogni ambito domestico, dalla cucina fino al bucato, ha un prodotto Orizon con prestazioni eccellenti in termini di emissioni nell’aria di casa, assieme alla certezza dell’efficacia pulente con formule con principi attivi biodegradabili e materie prime di origine naturale” aggiunge Rigoni.

Maggiori informazioni su dualpower.it/orizon

*Orizon Ricarica Piatti concentrato: riduzione di plastica di circa il 92% rispetto al rapporto di plastica per unità di volume del formato

La linea di prodotti Ideabrill, come il sacchetto Salvafresco, rappresenta la convergenza tra innovazione e sostenibilità. Questi sacchetti non solo prolungano la shelf-life degli alimenti freschi, riducendo lo spreco, ma sono progettati per una facile separazione dei materiali, migliorando il riciclaggio. La recente certificazione di separabilità secondo il Metodo Aticelca 502:2022 conferma questo impegno.

Un altro tema cruciale è l’eliminazione dei PFAS, composti persistenti nell’ambiente e potenzialmente dannosi. L’azienda ha sviluppato Olenoir, Olà e Glisser, packaging antigrasso PFAS FREE, che garantiscono resistenza ai grassi grazie a barriere naturali, senza compromettere la riciclabilità.

L’impegno si estende anche alla comunicazione: ogni sacchetto riporta un QR Code che rimanda a un video sulla separazione e il riciclo. Inoltre, i canali social diffondono informazioni sulla gestione dei rifiuti e sul ruolo del packaging nella riduzione dello spreco alimentare.

Dual Power Orizon Piatti concentrato 600ml.

Mielizia:

Tradizione,

Innovazione e Sostenibilità

Mielizia rappresenta il marchio premium di CONAPI - Consorzio Nazionale Apicoltori, la più grande cooperativa di apicoltori in Italia e una delle più importanti in Europa. Con 315 aziende, oltre 600 apicoltori e circa 100.000 alveari distribuiti sul territorio nazionale, produce annualmente tra 2.000 e 3.000 tonnellate di miele.

Il marchio si distingue per una filiera interamente italiana, tracciabile e certificata. Ogni fase produttiva, dalla raccolta negli apiari al confezionamento, è sottoposta a rigorosi controlli per garantire qualità e sostenibilità. CONAPI ha ottenuto numerose certificazioni, tra cui ISO 14001:2015 per la gestione ambientale, ISO 22005 per la rintracciabilità di filiera, e aderisce al Regolamento UE 2018/848 per le procedure biologiche.

Per la linea Sportpocket, Mielizia ha innovato il packaging tradizionale sostituendo il vetro con un doypack in plastica PP5 monomateriale. Questa soluzione, pratica e leggera, è completamente riciclabile e include un tappo tethered con anello di sicurezza che ne impedisce la dispersione nell’ambiente.

In collaborazione con Gruppo Gelati, l’azienda ha condotto uno studio comparativo sull’impatto ambientale del nuovo packaging rispetto al vetro. Considerando peso, distanza dai fornitori e trasporto, i risultati

mostrano una riduzione significativa delle emissioni di CO2: -95% per singolo viaggio, -98% per pack trasportato e -91% per km percorso.

Il pay off “Insieme per la biodiversità” sintetizza l’impegno del brand nella tutela ambientale e nella promozione di un modello produttivo sostenibile. Mielizia e CONAPI lavorano con gli apicoltori per proteggere api, ecosistemi naturali e qualità del prodotto.

“Nel dibattito sul packaging esistono spesso preconcetti che portano a una percezione negativa della plastica rispetto al vetro”, spiega Laura Betti, Brand Manager. “In realtà, un monomateriale plastico può garantire alte prestazioni, combinando conservazione del prodotto con soluzioni più efficienti dal punto di vista ambientale. La sua leggerezza riduce l’impatto del trasporto in termini di CO₂, e l’utilizzo di soluzioni monomateriale facilita i processi di riciclo, contribuendo a un’economia più circolare.”

Laura Betti Brand Manager, Mielizia

Pink Lady: Innovazione, sostenibilità e responsabilità per una filiera d’eccellenza

Pink Lady non è solo una mela con un distintivo sapore e tonalità rosso-rosata, ma un progetto che racchiude un impegno tangibile verso la sostenibilità e una gestione responsabile della filiera produttiva.

Il successo del marchio nasce da una comunità che riunisce oltre 3.180 produttori, 13 distributori autorizzati e 10 vivaisti in Italia, Francia e Spagna. Sotto la guida dell’Associazione Pink Lady Europe, questa rete lavora da 25 anni per produrre un frutto che rappresenti l’equilibrio tra qualità e responsabilità, su valori di equità e solidarietà.

L’Associazione si distingue per la sua “Carta degli Impegni”, un documento che include 14 azioni concrete in quattro aree strategiche: Ambiente, Produttore, Consumatore e Territorio. Questa roadmap guida l’intera filiera, posizionando il marchio tra i leader sia in eccellenza che in responsabilità ambientale e sociale.

Pink Lady è stata pioniera di un futuro senza plastica con l’adozione di imballaggi plastic-free, interamente realizzati in cartone certificato FSC e materiali riciclabili.

Questa scelta risponde alle richieste dei consumatori più attenti e dimostra leadership nell’innovazione sostenibile.

Un altro pilastro è la lotta contro lo spreco alimentare. Attraverso monitoraggio rigoroso e processi di valorizzazione, il 70-75% delle mele viene commercializzato come Pink Lady o PinKids. Le mele che non soddisfano gli standard estetici sono destinate all’industria per succhi e polpe, mentre quelle non adatte al consumo umano diventano risorse per alimentazione animale o compostaggio, chiudendo il cerchio di sostenibilità. L’obiettivo concreto è ridurre al minimo gli scarti e valorizzare al meglio tutta la produzione disponibile.

L’inflazione ha fatto più del green marketing

Un pattern interessante emerge dai dati: quasi tutti i claim green mostrano una crescita a valore e un calo a volume. Sarebbe facile concludere che i consumatori sono disposti a pagare di più per prodotti sostenibili.

Ma la realtà è meno romantica: questo divario riflette semplicemente l’inflazione, che ha raggiunto picchi del 20% in alcune categorie. I volumi calano non per scelte ambientali consapevoli, ma perché il potere d’acquisto si è ridotto.

La cosa sorprendente? La dinamica inflattiva degli ultimi 24 mesi ha portato a una riduzione dell’impronta ambientale molto più evidente di quanto decenni di green marketing abbiano saputo fare. I consumi si sono contratti per necessità economica, non per scelte eco-consapevoli.

Un atomo di verde in un mare di vuoto: l’elefante come dispositivo

Esplorando la composizione del nostro elefante verde, entriamo in una dimensione che ricorda quella quantistica: all’interno dell’atomo, per lo più, c’è spazio vuoto. Allo stesso modo, dietro la massiccia presenza di claim verdi si nasconde un potenziale di riduzione ambientale inespresso, pronto ad essere riempito di efficacia reale che per ora latita.

Questo elefante verde che domina il largo consumo è, in realtà, un vero e proprio dispositivo di comunicazione - un apparato comunicativo sofisticato che permea l’intero settore retail ma che abbonda di funzionalità superficiali mentre manca di potenza operativa reale.

La fotografia è nitida: mentre gli scaffali si tingono di verde, l’impatto ambientale dei nostri consumi resta pressoché invariato. I dati del Joint Research Centre mostrano che il 50% delle emissioni legate ai nostri consumi continua a provenire dal settore alimentare. Il paradosso è evidente: l’84,2% della spesa in Gdo va a prodotti con claim ambientali, ma l’impronta ecologica non diminuisce. Il green marketing ha conquistato le etichette ma non ha trasformato i prodotti.

E il dato più rivelatore è proprio quel misero 1,6% di prodotti che adotta l’approccio Lca (Life cycle assesment). La stragrande maggioranza delle affermazioni green non si basa su metodologie standardizzate che considerino l’intero ciclo di vita, dalla coltivazione delle materie prime allo smaltimento finale.

L’approccio strategico sulla sostenibilità dei prodotti a marchio di Penny

Per Penny i prodotti a marchio rappresentano la più alta espressione dei valori dell’insegna. Per questo nonostante le problematicità e le tensioni riscontrate negli ultimi anni nel contesto geopolitico e lungo la catena di approvvigionamento, lo sviluppo degli assortimenti ha visto tra gli altri innovativi progetti ispirati dalla sostenibilità attraverso 4 asset strategici:

1) Italianità e sostegno al territorio

2) Rispetto per l’ambiente

3) Sana alimentazione

4) Packaging green

Obiettivi PL: 100% di imballaggi sostenibili al 2030100% prodotti certificati – Incremento % prodotti green

Pedon: quando

Innovazione e Ciclo di vita costruiscono reale sostenibilità

I nostri prodotti sono per loro natura green: cereali e legumi non solo fanno bene a chi li consuma, ma anche all’ambiente. Per questo, la sostenibilità è da sempre un pilastro strategico di Pedon, guidiamo le nostre scelte verso pratiche sempre più responsabili, con l’obiettivo di coniugare crescita economica, tutela dell’ambiente e benessere sociale.

Un impegno che si riflette anche nel nostro approccio, attraverso sviluppi di packaging innovativi, come il progetto “Save the waste”, e l’analisi degli impatti ambientali dei nostri prodotti, come lo studio Lca dedicato a I Pronti.

“Save the Waste” è un’iniziativa di economia circolare che trasforma il sottoprodotto della pulitura e selezione dei legumi in carta ecosostenibile, riducendo

Status prodotti a marchio green (risultati pubblicati sul rapporto di sostenibilità ‘23 vs. 22): Principali risultati raggiunti nel 2023:

- 27% prodotti green

- 27% PL con packaging sostenibile (+ 8% vs ‘22)

- Incremento % prodotti certificati per categoria: Bevande calde +14%, cioccolato +39%, biscotti e merende +25%, pesce e conserve +10%.

Collaborazione con Airc

First mover con approccio innovativo allo sviluppo della PL, Penny nel 2023 ha sviluppato la prima linea di prodotti a marchio in collaborazione con gli esperti in nutrizione di Airc. Le referenze selezionate e sviluppate in collaborazione con la Fondazione, sono ispirate a princìpi di una sana alimentazione quali la riduzione di sale e zucchero, l’aumento dell’apporto di fibre, la semplicità delle ricette, per contribuire a costruire un’alimentazione varia ed equilibrata. Con questo importante progetto Penny e Fondazione Airc si sono prefissati un duplice obiettivo: sensibilizzare i clienti sull’importanza della prevenzione e coinvolgerli nel supporto della ricerca sul cancro. Una percentuale del ricavato dalla vendita dei prodotti sviluppati in sinergia è infatti destinata alla Fondazione. Il progetto ha ricevuto dal Presidente della Repubblica il prestigioso premio “Credere nella ricerca” come riconoscimento dell’impegno concreto di Penny nel supportare la missione di Fondazione Airc.

l’uso di polpa vergine. Completamente riciclabile, e certificata FSC, viene impiegata sia per il confezionamento delle linee a marchio Pedon in astuccio sia nei materiali di comunicazione. Inoltre, vengono utilizzati inchiostri ecologici e, quando necessario, finestre in PLA compostabile derivato da scarti di mais.

Lo studio Lca (Life-cycle assessment) si è occupato di analizzare l’impatto ambientale delle Zuppe de I Pronti rispetto a prodotti analoghi nel mercato, valutando l’intero ciclo produttivo per individuare delle possibili azioni di miglioramento.

Questi progetti confermano l’impegno di Pedon verso un futuro più responsabile, in cui innovazione e sostenibilità vanno di pari passo.

Riempire il dispositivo di

senso

Il marketing ambientale ha creato un gigantesco dispositivo verde che permea ogni angolo del largo consumo. Un apparato comunicativo visibile, onnipresente, apparentemente rassicurante, ma la cui efficacia reale è spesso trascurabile o non verificata.

Non si tratta più solo di smascherare il greenwashing: oggi la vera sfida è riempire il dispositivo verde di reale efficacia ambientale. Come il nostro elefante verde nella stanza, questo apparato comunicativo è tanto visibile quanto vuoto. Non c’è bisogno di più green, ma di un green migliore, più scientifico e trasparente nel dare il giusto valore alla riduzione di impronta che genera.

Per trasformare il dispositivo verde da mero strumento di comunicazione a effettivo motore di cambiamento ambientale, il settore retail dovrebbe:

1. Costruire un sistema di gestione strutturato: La comunicazione della sostenibilità non può essere improvvisata. È necessario definire obiettivi chiari, misurare con precisione, comunicare con trasparenza e monitorare i progressi attraverso una governance robusta. La qualità del green deve prevalere sulla quantità.

2. Puntare sull’approccio Lca: Basta con i singoli attributi ambientali isolati. È tempo di misurare scientificamente l’intero ciclo di vita del prodotto con metodologie standardizzate che permettano confronti oggettivi. L’obiettivo? Far crescere quel 1,6% almeno di dieci volte, privilegiando la profondità dell’impatto rispetto all’ampiezza della copertura.

3. Distinguere tra certificazioni: Non tutte hanno lo stesso valore. Come evidenzia la direttiva europea 825/24, è fondamentale stabilire criteri più rigorosi per valutare l’affidabilità delle diverse certificazioni ambientali presenti sul mercato. Un dispositivo verde efficace richiede strumenti di verifica affidabili.

4. Valutare l’impatto proporzionale: Un packaging in carta certificata ha un impatto minimo sulla sostenibilità complessiva di un formaggio ad alta impronta di carbonio. Le aziende dovrebbero concentrarsi sugli aspetti con maggiore impatto. Il dispositivo verde deve intervenire dove può generare reali benefici ambientali.

5. Abbandonare i claim generici: Termini vaghi come “eco-friendly” dovranno cedere il passo a informazioni verificabili e specifiche, basate su evidenze

scientifiche. Non più verde per apparire, ma verde per essere.

C’è poi un’altra strada che alcuni retailer hanno già iniziato a percorrere: spostare l’asse delle categorie che finiscono nel carrello della spesa, per fare in modo che tutto il carrello sia un po’ più leggero ambientalmente e migliore nutrizionalmente.

La vera sfida per la distribuzione moderna non sarà più vendere “verde”, ma integrare la sostenibilità come principio operativo fondamentale, misurabile e verificabile. Solo così il dispositivo verde potrà evolversi da semplice strumento di marketing a vero e proprio meccanismo di trasformazione ambientale.

Servirà ripensare modelli di business, strategie di assortimento e modalità di coinvolgimento del consumatore, per creare un equilibrio tra accessibilità economica, qualità nutrizionale e responsabilità ambientale. Non basta un dispositivo verde che comunica sostenibilità; serve un dispositivo che la genera. Una trasformazione che, nonostante l’abbondanza di claim green, appare ancora lontana ma sempre più necessaria.

Planet Farms: l’Agricoltura Verticale che rivoluziona Sostenibilità

e Gusto

Planet Farms, azienda agritech leader nell’agricoltura verticale e certificata Società Benefit e B Corp, si distingue per un approccio innovativo e sostenibile. I suoi processi produttivi permettono un significativo risparmio di risorse rispetto all’agricoltura tradizionale: -95% di acqua, -93% di suolo e -96% di fertilizzanti, il tutto senza alcun utilizzo di pesticidi.

Tra i prodotti distintivi ci sono le insalate Frescaah, disponibili in sei varietà, e Pestooh, che si caratterizza per una cortissima lista di ingredienti. Il basilico utilizzato, coltivato in ambiente protetto e in totale assenza di pesticidi a partire da semi non trattati, non necessita di essere lavato, preservando così gli oli essenziali. Gli ingredienti DOP selezionati si abbinano al basilico offrendo un’intensità di gusto e un profumo ineguagliabili.

Mara Valsecchi, CEO di Planet Farms Italia, commenta: “Per le insalate FRESCAAH, abbiamo scelto un packaging realizzato con carta certificata FSC® e completamente riciclabile, che attira l’attenzione per il suo design vivace e accattivante. Analogamente, il packaging di Pestooh riflette la stessa filosofia di design e responsabilità ambientale. Utilizziamo vasetti in plastica riciclabile che permettono di vedere chiaramente il prodotto all’interno.”

Il modello di coltivazione prevede un controllo costante di tutti i parametri colturali tramite un software proprietario e il sistema di intelligenza artificiale Gaia VF. Questo sistema monitora la crescita delle piante e identifica il momento ottimale per il raccolto, generando un flusso di dati che, una volta analizzati, creano un ambiente ideale per le colture, migliorando la produzione in ogni ciclo. Un approccio che permette di ottimizzare le condizioni di crescita riducendo al minimo l’impatto ambientale e l’utilizzo delle risorse naturali, dimostrando l’impegno di Planet Farms a favore di un’agricoltura più responsabile.

La svolta digitale in un contesto energetico e normativo in rapida evoluzione

Nel 2025, con l’entrata in vigore della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), il settore del largo consumo affronta un’accelerazione significativa verso la rendicontazione strutturata. Sebbene formalmente la CSRD sia stata ritardata di 2 anni per le aziende con meno di 1000 dipendenti e 50 milioni di euro di fatturato, nella sostanza tutta la filiera della Marca Del Distributore, incluse le PMI, sarà indirettamente coinvolta. Questo perché la stragrande maggioranza delle insegne supera le soglie dimensionali e trasferirà i requisiti di reporting anche ai propri fornitori. In questo scenario, il digitale si conferma alleato strategico ma non privo di contraddizioni.

I data center oggi consumano il 3,5% dell’elettricità globale, con proiezioni che indicano un aumento fino al 5% entro il 2027, trainato dall’esplosione dell’AI generativa. Questo avviene in un contesto in cui, secondo i dati di Ember, l’energia pulita ha superato nel 2024 il 40% della generazione elettrica mondiale, grazie soprattutto alla crescita record del solare (+29%). Tuttavia, le ondate di calore hanno contribuito a un aumento del 4% della domanda elettrica globale, costringendo a una piccola crescita della generazione da fonti fossili e portando le emissioni del settore energetico a livelli record.

Prosegue la nostra analisi del ruolo del digitale per la sostenibilità, un asse portante della transizione umano-ecologica nel largo consumo come in tutto il panorama produttivo. In questo numero ci concentriamo su due tipologie di soluzioni tra quelle precedentemente descritte: Comunicazione della Carbon Footprint con Carbon Footprint Italy e Coinvolgimento dei consumatori con Too Good To Go.

a cura della redazione di Green Retail Magazine

In questo scenario di transizione, l’intelligenza artificiale emerge come tecnologia dirompente con implicazioni profonde non solo per la sostenibilità ambientale, ma anche per quella sociale. L’automazione avanzata sta già ridisegnando la mappa dei ruoli lavorativi nel retail, sollevando interrogativi sul futuro dell’occupazione.

Bill Gates ha recentemente riacceso il dibattito prevedendo che l’IA potrebbe portare a settimane lavorative di soli 2-3 giorni. Una prospettiva che, se da un lato promette maggior tempo libero e benessere personale, dall’altro solleva questioni cruciali sulla redistribuzione del valore generato dalle macchine e sulla necessità di ripensare i modelli di welfare.

Se è vero che “il verde dell’ambiente e il blu del digitale sono alla base dello sviluppo umano nel XXI secolo” (Luciano Floridi), come si traducono queste parole in pratiche concrete nel retail?

Carbon Footprint Italy: democratizzare l’accesso agli strumenti di comunicazione dell’impatto climatico

Che cos’è CarbonFootprint Italy?

CarbonFootprint Italy (CFI) è un programma nazionale italiano dedicato alla comunicazione trasparente dei risultati della misurazione e riduzione delle emissioni di gas serra, sia a livello di prodotto che di organizzazione. Si configura come una piattaforma certificativa che permette alle aziende di quantificare, verificare e comunicare la propria impronta carbonica attraverso standard internazionali riconosciuti.

Quali obiettivi ha?

L’obiettivo principale di CFI è colmare il divario tra le azioni concrete di riduzione delle emissioni intraprese dalle aziende e la comprensione di tali azioni da parte dei consumatori e degli stakeholder. In un’epoca in cui il rischio di greenwashing è elevato, CFI mira a creare un sistema affidabile e verificato per la comunicazione dell’impegno ambientale. La piattaforma intende democratizzare l’accesso agli strumenti di comunicazione dell’impatto climatico, rendendoli accessibili anche alle PMI che rappresentano l’ossatura del sistema produttivo italiano.

Come funziona e che servizi offre?

Il funzionamento di CFI si basa sull’applicazione rigorosa di standard internazionali come ISO 14064-1 per le organizzazioni e ISO 14067 per i prodotti. Per partecipare, le aziende devono ottenere una verifica delle proprie emissioni da parte di enti terzi indipendenti accreditati da Accredia, garantendo così l’affidabilità dei dati presentati.

La piattaforma offre diversi servizi specifici:

- Sistema di etichette differenziate: CFI mette a disposizione quattro diverse etichette per comunicare le diverse fasi del percorso di decarbonizzazione. L’etichetta Carbon Footprint certifica la misurazione iniziale, Carbon Reduction attesta la riduzione delle emissioni rispetto a un periodo base, mentre Carbon Neutrality certifica il raggiungimento della neutralità carbonica attraverso compensazioni verificate.

- Registro dei Crediti di Carbonio: Un elemento particolarmente innovativo è il registro basato su tecnologia blockchain che garantisce trasparenza e tracciabilità nelle compensazioni, permettendo anche alle piccole imprese di accedere al mercato dei crediti in modo sicuro e verificabile.

- Schede informative standardizzate: Per ogni prodotto o organizzazione registrata, CFI fornisce una scheda che riassume in modo chiaro e confrontabile i dati relativi all’impronta carbonica.

Quanto è affidabile?

L’affidabilità di CFI è garantita da diversi elementi. Innanzitutto, la verifica obbligatoria da parte di enti terzi accreditati da Accredia assicura che i dati riportati siano accurati e conformi agli standard internazionali. L’utilizzo esclusivo di protocolli riconosciuti come ISO 14064-1, ISO 14067 e ISO 14068-1 fornisce un quadro metodologico rigoroso e condiviso a livello globale.

Il recente raggiungimento della centesima registrazione testimonia la crescente credibilità della piattaforma nel panorama italiano. Inoltre, le collaborazioni internazionali, come l’accordo di Mutuo Riconoscimento con il programma coreano IPEF, rafforzano la posizione di CFI come attore credibile nel panorama della gestione del carbonio.

Radicate nella natura, Coltivate biologicamente

350 agricoltori altoatesini si dedicano da generazioni alla coltivazione di mele biologicheun impegno costante per la qualità e per una disponibilità assicurata tutto l’anno.

Che vantaggi porta a chi la utilizza, in particolare nella filiera della Marca del Distributore?

Per i produttori della Marca del Distributore (Mdd) e i co-packers, Cfi offre vantaggi specifici e strategici. In un contesto in cui le catene distributive stanno intensificando le richieste di sostenibilità ai propri fornitori, la certificazione dell’impronta carbonica diventa un elemento qualificante nei capitolati di fornitura.

La piattaforma consente di:

- Rispondere alle richieste della Gdo: I produttori Mdd possono dimostrare in modo verificato e standardizzato il proprio impegno ambientale, soddisfacendo i requisiti sempre più stringenti delle catene distributive in termini di sostenibilità.

- Ottenere certificazioni a costi accessibili: A differenza delle grandi consulenze, spesso fuori portata per le Pmi, Cfi offre un percorso strutturato e accessibile per ottenere certificazioni riconosciute.

- Differenziarsi dalla concorrenza: In fase di selezione dei fornitori, la certificazione dell’impronta carbonica può rappresentare un elemento distintivo e premiante.

- Anticipare l’evoluzione normativa: La Csrd e altre normative europee stanno estendendo progressivamente gli obblighi di rendicontazione ambientale. I fornitori della Gdo che si muovono in anticipo avranno un vantaggio competitivo significativo.

- Identificare opportunità di efficientamento: La misurazione dell’impronta carbonica evidenzia le aree di maggior impatto, permettendo interventi mirati che spesso comportano anche risparmi economici.

Tuttavia, permangono alcune sfide. La qualità dei dati di input resta problematica per molte Pmi con sistemi informativi frammentati. Inoltre, il passaggio dalla misurazione all’implementazione di strategie efficaci di riduzione richiede competenze e investimenti non sempre disponibili nelle realtà più piccole.

Nonostante queste difficoltà, CarbonFootprint Italy rappresenta uno strumento strategico per le Pmi della filiera distributiva che vogliono navigare con successo la transizione verso un’economia a basse emissioni, rispondendo proattivamente alle crescenti aspettative di sostenibilità del mercato.

Too Good To Go: coinvolgere i consumatori nella lotta allo spreco alimentare

Che cos’è Too Good To Go?

Too Good To Go è un’applicazione mobile che connette i consumatori con esercizi commerciali che vendono il cibo in eccedenza a prezzi scontati, principalmente sotto forma di “Magic Box” o “Surprise Bag”. Fondata nel 2016 a Copenaghen, l’app si è rapidamente espansa in Europa e Nord America, raggiungendo oltre 100 milioni di utenti registrati e 175.000 partner commerciali, salvando più di 400 milioni di pasti dallo spreco.

Quali obiettivi ha?

L’obiettivo principale di Too Good To Go è combattere lo spreco alimentare a livello di vendita al dettaglio e ristorazione, trasformando un problema ambientale in un’opportunità vantaggiosa per tutti gli attori coinvolti. L’app si propone di affrontare una parte significativa dello spreco alimentare globale, responsabile dell’8% delle emissioni di gas serra, offrendo al contempo una soluzione economicamente sostenibile che allinea gli incentivi di consumatori, aziende e ambiente.

Come funziona e che servizi offre?

Too Good To Go funziona come una piattaforma di intermediazione tra consumatori ed esercizi commerciali. Gli utenti possono accedere all’app, visualizzare le offerte disponibili nella loro zona e acquistare una “Magic Box” a un prezzo scontato (generalmente tra il 50% e il 70% rispetto al valore originale), da ritirare in una finestra temporale specifica.

Oltre alla tradizionale app per il recupero degli invenduti, Too Good To Go ha recentemente lanciato due nuove iniziative:

- Too Good To Go Parcels/Magic Parcels: un’estensione del modello originale che punta a recuperare il cibo in eccedenza anche nelle fasi precedenti della catena di approvvigionamento, coinvolgendo produttori e distributori. Questa iniziativa cerca di affrontare lo spreco alimentare anche a monte del retail.

- Too Good To Go Platform: un’espansione oltre l’app principale che intende offrire una gamma più ampia di soluzioni per la lotta allo spreco alimentare, potenzialmente integrando strumenti educativi, informativi e di collaborazione tra diversi attori della filiera.

Quanto è affidabile?

La credibilità di Too Good To Go è supportata dalla sua certificazione B Corp, che attesta l’impegno per performance sociali e ambientali verificate. L’app ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui il Danish Design Award e lo United Nations Champions of the Earth Award.

L’impatto ambientale è quantificabile: ogni pasto salvato evita l’emissione di circa 2,7 kg di CO2e e permette di risparmiare circa 2,8 m² di terreno e 810 litri d’acqua. Complessivamente, l’app ha contribuito a una riduzione delle emissioni di CO2e superiore a 1,1 milioni di tonnellate.

Tuttavia, l’analisi delle recensioni degli utenti rivela alcune limitazioni: qualità occasionalmente inadeguata dei prodotti, difficoltà per persone con allergie o restrizioni dietetiche dovute alla natura “sorpresa” delle box, e orari di ritiro talvolta scomodi.

Che vantaggi porta a chi la utilizza, in particolare nella filiera del largo consumo?

Per i consumatori, Too Good To Go offre molteplici vantaggi:

- Accesso a cibo di qualità a prezzi significativamente ridotti

- Opportunità di scoprire nuovi esercizi commerciali locali

- Sensazione positiva di contribuire alla riduzione dello spreco alimentare

- Interfaccia intuitiva e facilità d’uso

Per i retailer e i ristoratori, l’app rappresenta un triplice vantaggio:

- Recupero parziale dei costi degli invenduti che altrimenti andrebbero persi

- Afflusso di nuovi potenziali clienti

- Miglioramento dell’immagine aziendale legata alla sostenibilità

- Riduzione dei costi di smaltimento dei rifiuti

Tuttavia, permangono alcune criticità. L’efficacia dell’app si concentra principalmente in aree urbane dense, creando disparità di accesso. Inoltre, la “Magic Box” può talvolta innescare acquisti impulsivi non necessariamente legati al reale fabbisogno, rischiando di spostare semplicemente lo spreco dall’esercente al consumatore.

Un aspetto particolarmente rilevante è che Too Good To Go affronta solo una parte del problema dello spreco alimentare: quello a livello di vendita al dettaglio e ristorazione. Rimangono esclusi lo spreco domestico (che rappresenta il 60% del totale) e quello in agricoltura (15,3% a livello globale), limitando l’impatto complessivo dell’iniziativa sul problema globale.

La vera domanda è se strumenti come Too Good To Go possano davvero affrontare il problema alla radice o si limitino a gestirne gli effetti. L’obiettivo ultimo dovrebbe essere la riduzione sistemica degli invenduti, non solo il loro recupero.

La dialettica necessaria: dati e azione

Analizzando queste due soluzioni emerge una complementarietà illuminante: Aequilibria fornisce la visione d’insieme attraverso dati certificati, Too Good To Go offre uno strumento d’intervento immediato. Questa dialettica tra misurazione e azione rappresenta il percorso ideale della sostenibilità digitale nel retail.

Le certificazioni – GHG Protocol e ISO 14064 per CarbonFootprint Italy, B Corp per Too Good To Go – garantiscono che queste soluzioni siano ancorate a standard riconosciuti, distinguendole dalle operazioni di greenwashing che ancora popolano il mercato.

Il futuro del retail: tecnologia al servizio dell’umano

Per il retail, le trasformazioni tecnologiche avranno impatti particolarmente evidenti: dall’automazione dei magazzini ai sistemi predittivi di gestione delle scorte, fino agli assistenti virtuali che stanno già sostituendo parte del personale di vendita. La sfida sarà integrare queste tecnologie mantenendo l’elemento umano dove crea reale valore aggiunto – nell’esperienza cliente, nella personalizzazione, nella definizione strategica – sviluppando al contempo nuove competenze nei lavoratori del settore.

La sostenibilità sociale della transizione digitale dipenderà dalla capacità di gestire questo passaggio non come una semplice sostituzione uomo-macchina, ma come un’opportunità per liberare potenziale umano da attività ripetitive, valorizzando creatività e relazionalità. Una riflessione che riporta al centro il concetto Human&Green: la tecnologia come strumento di benessere umano, non come fine in sé.

La via Human&Green al digitale nel retail

Nel connubio tra digitale e sostenibilità, il retail ha l’opportunità di guidare una trasformazione che vada oltre l’ottimizzazione dei processi. La tecnologia offre strumenti potenti, ma il loro valore risiede nella capacità di metterli al servizio di una visione sistemica che consideri l’intero ciclo di vita dei prodotti e tutti gli attori della filiera.

Le PMI hanno ora accesso a strumenti prima riservati ai colossi, mentre i retailer possono trasformare problemi come lo spreco alimentare in opportunità. Ma la vera innovazione sarà integrare queste soluzioni in una strategia complessiva dove il digitale diventi facilitatore di un sistema più equilibrato, efficiente e umano.

La sostenibilità, quella vera, mette al centro il benessere delle persone, utilizzando la tecnologia come strumento per raggiungerlo, non come fine in sé. È questa la bussola che deve orientare l’innovazione digitale nel retail del futuro.

Un programma nazionale contro il rischio di greenwashing

Carbon Footprint Italy (Cfi) è il programma nazionale dedicato a comunicare i risultati della quantificazione delle emissioni Ghg di prodotti e organizzazioni e delle loro riduzioni. Per essere registrati nel programma, prodotti e organizzazioni debbono essere supportati da una verifica di parte terza accreditata e hanno diritto a una pagina dedicata, accessibile tramite QR Code, per visualizzare tutte le informazioni relative alle varie impronte climatiche.

“La registrazione nel sito di Cfi è un elemento di prestigio, in grado di coniugare completezza, trasparenza e credibilità della comunicazione, rafforzata dall’adesione del programma al network di Carbon Footprint International Alliance” afferma Daniele Pernigotti, Direttore di Cfi

Cfi è parte dell’Alleanza dal 2021 e nell’ultima Cop29 di Baku ha fatto un ulteriore passo avanti, siglando l’accordo di mutuo riconoscimento (MRA) con Ipef, il programma coreano gestito da un’Agenzia del loro Ministero dell’Industria, consentendo così alle registrazioni di Cfi di ottenere ora, con dei semplici passaggi amministrativi, l’utilizzo del logo riconosciuto nel mercato coreano.

Daniele Pernigotti, direttore, CFI

Nuove funzionalità per il

retail di Too Good To Go

Too Good To Go ha recentemente lanciato in Italia Too Good To Go Platform. Questa soluzione digitale, basata sull’Intelligenza Artificiale, è pensata per aiutare i rivenditori a gestire e valorizzare le eccedenze alimentari in negozio.

Attraverso l’analisi delle date di scadenza, la piattaforma genera automaticamente sconti ottimizzati per incentivare l’acquisto dei prodotti prossimi alla scadenza direttamente in negozio. In alternativa, grazie all’integrazione con l’app Too Good To Go, i prodotti in eccesso possono essere destinati alle “Surprise Bag”, sacchetti a sorpresa contenenti una selezione di prodotti a prezzo ridotto.

“Too Good To Go Platform rappresenta l’ultima evoluzione del nostro percorso di innovazione ed è un esempio concreto di come digitalizzazione e tecnologia possano essere strumenti chiave per ridurre gli sprechi lungo la filiera alimentare. Siamo sicuri che questa soluzione ci consentirà di generare un impatto ancora maggiore” commenta Mirco Cerisola, Country Director di Too Good To Go Italia

Cerisola, country director, Too Good Too Go

Mirco

Sale la marea delle certificazioni green

Negli ultimi anni cresce il livello di affidabilità e la diffusione dei marchi di sostenibilità per la pesca che rimane un tema complesso visto lo stato compromesso degli oceani

Le certificazioni per la pesca sostenibile hanno acquisito crescente rilevanza nel panorama globale della blue economy, offrendo strumenti concreti per mitigare l’impatto ambientale in un settore strategico per la sicurezza alimentare mondiale. Msc (Marine Stewardship Council) e Asc (Aquaculture Stewardship Council) rappresentano oggi i principali standard di riferimento, la cui adozione da parte dell’industria ittica costituisce un passo verso pratiche più sostenibili, pur in un contesto di crescenti sfide ecosistemiche.

L’evoluzione delle certificazioni nel contesto oceanico attuale

Gli oceani affrontano pressioni antropiche senza precedenti: sovrasfruttamento degli stock ittici, degradazione degli habitat marini e minacce alle specie protette. Secondo i dati Fao citati da Giulia Prato, Responsabile Mare del Wwf Italia, “oltre un terzo degli stock ittici mondiali è sfruttato oltre i limiti sostenibili, e il Mar Mediterraneo – particolarmente rilevante per l’Italia – nonostante un miglioramento negli ultimi anni, continua ad essere tra le aree più sovrasfruttate al mondo (58% degli stock ittici sono sovrapescati)”.

In questo scenario complesso, le certificazioni di sostenibilità ittica hanno sviluppato framework operativi che contribuiscono a mitigare l’impatto ambientale delle attività di pesca e acquacoltura, pur con limiti significativi che gli attori del settore stanno cercando di superare.

Findus arriva al 100% di prodotti ittici certificati Msc e Asc

Un caso emblematico nell’adozione di standard sostenibili è rappresentato da Findus, che ha raggiunto nel 2025 l’obiettivo, fissato nel 2017, di certificare il 100% dei propri prodotti ittici secondo gli standard MSC e ASC. Renato Roca, Country Manager Italia di Findus, spiega il percorso intrapreso dall’azienda: “Anno dopo anno abbiamo certificato sempre più specie e ne abbiamo introdotte di nuove. Collaborando da molti anni con alcuni dei nostri fornitori, li abbiamo supportati e incoraggiati a seguire pratiche corrette per l’ottenimento delle certificazioni.”

Tra le tappe principali di questa transizione, Roca evidenzia “l’introduzione del marchio Asc per l’acquacoltura responsabile, una novità per il mercato italiano che ci ha permesso di offrire prodotti allevati (come i Fiori di Orata e i Fiori di Branzino) che ci permettono anche di ridurre la pressione sul pesce pescato.”

La sfida principale per un’azienda che opera a livello globale è stata gestire la diversità dei contesti di approvvigionamento. “Ciascuna area di pesca ha certamente le proprie peculiarità e caratteristiche che non abbiamo uniformato, non essendo questo lo scopo ultimo del rispetto degli standard di sostenibilità”, precisa Roca. “Al contrario, l’obiettivo è quello di rispettare e adeguarsi alle condizioni di disponibilità delle specie pescate e adottare una strategia di flessibilità, variando le specie e le aree di pesca, valutandone di nuove e approvvigionandoci anche da allevamenti certificati.”

L’impatto di questa scelta va oltre i confini aziendali. “Secondo i dati forniti da Msc, da quando i primi prodotti certificati Findus sono arrivati sul mercato italiano il volume totale dei prodotti ittici certificati Msc in Italia è più che triplicato, mentre per quanto riguarda la categoria dei surgelati, il volume è più che raddoppiato”, sottolinea Roca.

Inoltre, “dalla recente ricerca condotta con Consumerismo No Profit, è emerso come 9 italiani su 10 sono attenti alla sostenibilità quando fanno la spesa, con il 19% dei consumatori che la considera un fattore fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari, mentre un ulteriore 69% lo ritiene importante.”

Ma quali garanzie offrono queste certificazioni? Matilde Vallerani, Fisheries Manager Msc in Italia, chiarisce come funziona il processo di certificazione: “Per certificarsi secondo il programma Msc per la pesca sostenibile, un’attività di pesca deve sottoporsi a un processo di valutazione da parte di enti di certificazione indipendenti che vanno a verificare il rispetto dei Principi dello Standard Msc (Principio 1: Stock ittici sostenibili; Principio 2: minimizzazione dell’impatto sull’ecosistema; Principio 3: gestione efficace della pesca).”

La certificazione non è un punto di arrivo, ma prevede un monitoraggio continuo: “Una volta ottenuta la certificazione, tutte le attività di pesca sono sottoposte ad audit annuali indipendenti da parte degli enti di certificazione che variano nella frequenza e nelle modalità in base ai fattori di rischio individuati durante il processo di valutazione”, spiega Vallerani. “In caso venissero rilevate non conformità allo Standard, gli enti di certificazione valutano le azioni da intraprendere, che nei casi più gravi possono portare nella sospensione della certificazione.”

Riguardo all’accuratezza dei dati sugli stock ittici, fondamentali per una valutazione precisa delle quote disponibili, Vallerani evidenzia il ruolo di istituzioni internazionali come la Fao, il General Fisheries Commission for the Mediterranean (Gfcm) e la Commissione Internazionale per la Conservazione dei Tonnidi dell’Atlantico (Iccat). Tuttavia, riconosce che “ci sono degli stock ittici per cui non sono disponibili informazioni scientifiche dirette sullo stato dello stock: in questo caso si utilizzano gli indicatori e i punti di riferimento ritenuti più affidabili.”

La sfida della sostenibilità: il punto di vista del Wwf

Se Findus rappresenta un caso positivo di adozione degli standard, il contesto generale richiede un’analisi più sfumata. “Le certificazioni come il Marine Stewardship Council (Msc) per la pesca e l’Aquacul-

ture Stewardship Council (ASC) per l’acquacoltura sono sicuramente le più rigorose presenti sul mercato e offrono garanzie affidabili”, riconosce Giulia Prato del Wwf. Tuttavia, l’esperta evidenzia una complessità spesso sottovalutata: “Wwf ritiene che le valutazioni sulla sostenibilità di un prodotto certificato Msc vadano fatte caso per caso, a causa di problemi strutturali nella certificazione Msc che hanno portato negli anni alla concessione della certificazione a diverse attività di pesca che non raggiungono standard di sostenibilità sufficientemente ambiziosi a parere Wwf”.

Un meccanismo particolarmente problematico è quello delle “condizioni”, che permette di ottenere la certificazione anche quando non tutti i criteri di sostenibilità sono soddisfatti. “La fishery in questione si impegna ad attuare un piano di miglioramento entro un determinato arco temporale. Spesso tuttavia questa scadenza viene procrastinata e la fishery nel frattempo è comunque certificata”, spiega Prato. Questa problematica ha spinto il Wwf a chiedere “con forza una revisione e un miglioramento strutturale nella certificazione Msc”.

Nonostante queste criticità, le certificazioni mantengono un ruolo importante: “Sebbene i numeri delle fisheries certificate siano ancora relativamente bassi, il sistema di valutazione di Msc offre un benchmark e degli indicatori di enorme utilità anche per supportare le fisheries in un percorso di miglioramento”. Un esempio concreto sono le Fip (Fisheries Improvement Projects), iniziative nate in varie parti del mondo per accompagnare le attività di pesca verso standard più sostenibili.

Il contesto italiano: luci e ombre

L’impegno di Findus nel certificare il 100% dei suoi prodotti va collocato nel più ampio panorama del mercato ittico italiano. Giulia Prato del Wwf fotografa una situazione ancora problematica: “Il mercato ittico italiano è ancora lontano dalla sostenibilità se si pensa che le specie maggiormente consumate in Italia sono orata, salmone e nasello - i primi due sono prodotti di acquacoltura con tutti gli impatti che questa ad oggi comporta (utilizzo di antibiotici, inquinamento delle acque, utilizzo di mangimi di derivazione animale che alimentano la sovrapesca di piccoli pelagici, etc), la terza è la specie più sovrapescata in Mar Mediterraneo, catturata dalla pesca a strascico, una delle attività di pesca più impattanti sull’ecosistema marino”.

La situazione è particolarmente critica per quanto riguarda la distribuzione delle certificazioni: “I prodotti certificati Msc in Italia sono ancora pochi e principalmente sui prodotti surgelati provenienti da altri oceani, mentre la maggior parte dei prodotti sul mercato del fresco derivano da attività di pesca semi-industriale come lo strascico pelagico e lo strascico di fondo, o dall’acquacoltura. La piccola pesca artigianale, che ha le maggiori potenzialità per essere condotta in modo sostenibile, fatica ancora ad avere accesso al mercato nazionale”.

Consigli pratici per il consumo responsabile

Per i consumatori che desiderano ridurre il proprio impatto ambientale, Prato offre indicazioni concrete: “La scelta giusta è quella di prediligere pesce azzurro certificato, ad esempio le sardine del Marocco”. Più in generale, il Wwf consiglia di “diversificare le proprie scelte, prediligendo specie conosciute per dare respiro a quelle più comunemente pescate”, di “consumare solo pesci adulti, evitando di acquistare pesci sotto la taglia minima di conservazione definita per legge”, e di “consultare l’etichetta confrontandola con la guida Wwf al consumo responsabile di pesce”.

Un punto interessante riguarda la scelta tra prodotti certificati e non certificati: “Tra un salmone certificato ASC e un mitile, sicuramente è meglio il mitile, un organismo filtratore che non necessita mangimi. Tra due salmoni allevati, prediligere quello certificato Asc”. Questa precisazione evidenzia come la sostenibilità non possa essere ridotta alla semplice presenza di un marchio, ma richieda una comprensione più sfumata delle reali dinamiche ecologiche.

Science-Based Targets: il percorso evolutivo delle certificazioni

Il recente lancio degli Obiettivi Scientifici per l’Oceano (Ocean Science-Based Targets) da parte del Science-Based Targets Network (Sbtn) delinea la traiettoria evolutiva che le certificazioni dovranno seguire per aumentare ulteriormente la loro efficacia. Questa iniziativa non invalida il valore delle certificazioni esistenti, ma identifica tre aree chiave di miglioramento che ne potenzieranno l’impatto futuro:

1. Adozione di obiettivi quantitativi ancorati a soglie ecologiche scientificamente validate: L’approccio Sbtn propone metriche misurabili e temporalmente definite che quantificano precisamente il livello di azione necessario per mantenersi entro i limiti biofisici degli ecosistemi.

2. Valutazione sistematica degli impatti lungo l’intera catena del valore: Le certificazioni future dovranno estendere il loro perimetro di analisi oltre la fase produttiva, considerando gli impatti upstream e downstream per una comprensione più olistica della sostenibilità.

3. Rafforzamento dei meccanismi di verifica indipendente: I sistemi di audit e validazione basati su metodologie rigorose e verificatori realmente indipendenti costituiscono un prerequisito fondamentale per garantire la credibilità delle certificazioni.

Riguardo a questa iniziativa, Giulia Prato esprime un cauto ottimismo: “Il potenziale di questa iniziativa, che fornisce un framework alle imprese per definire obiettivi legati alla sostenibilità delle proprie attività di business basati su fondamenti scientifici, è molto alto perché dà la possibilità di indirizzare il contributo che grandi player possono dare su scala globale”. L’esperta sottolinea anche l’urgenza di questo approccio “in un contesto come quello odierno in cui la sostenibilità è all’ultimo dei gradini (guerra, crisi economica) e le risorse naturali sono le prime a essere saccheggiate”.

Allineamento con il quadro normativo europeo

Le direzioni evolutive delineate dall’approccio Svtn mostrano una significativa convergenza con i framework regolatori europei emergenti, in particolare con:

- La Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd), che richiede informazioni ambientali quantitative e verificabili

- Gli European Sustainability Reporting Standards (Esrs), che definiscono metriche specifiche per gli impatti sulla biodiversità

- La recente normativa sui green claims (direttiva UE 825/2024), che introduce requisiti stringenti per le dichiarazioni ambientali

Questa convergenza tra l’evoluzione delle certificazioni e il quadro normativo europeo crea una sinergia potenzialmente trasformativa, in cui gli strumenti vo-

lontari di mercato e i requisiti regolatori si rafforzano reciprocamente, accelerando la transizione verso una blue economy genuinamente sostenibile.

Prospettive future: l’equilibrio tra progresso e responsabilità

La sostenibilità nel settore ittico rappresenta un equilibrio delicato tra necessità alimentari umane e integrità ecologica degli ecosistemi marini. Le certificazioni svolgono un ruolo importante in questo equilibrio, offrendo meccanismi di mitigazione degli impatti in un contesto di crescente pressione antropica, pur con i limiti evidenziati dagli esperti.

L’integrazione progressiva degli elementi metodologici proposti dall’approccio science-based nelle certificazioni esistenti rappresenta un percorso evolutivo necessario, che ne potenzierà l’efficacia preservandone la praticità operativa. Come conclude Giulia Prato: “Wwf impegnerà sempre tutti gli sforzi possibili per influenzare le politiche globali e il settore privato per garantire un futuro in cui uomo e Natura possano vivere in armonia”.

Il futuro della pesca sostenibile richiede un delicato equilibrio tra innovazione e responsabilità, in cui certificazioni scientificamente robuste, normative efficaci e leadership aziendale responsabile convergono verso un obiettivo comune: garantire la resilienza a lungo termine degli ecosistemi marini da cui dipende non solo l’industria ittica, ma il futuro stesso dell’equilibrio ecologico planetario.

Un percorso lungo otto anni

L’impegno preso nel 2017 di raggiungere il 100% di prodotti certificati Msc è arrivato a compimento nel 2025: quali sono state le tappe principali di questa transizione verso standard più rispettosi della vita marina? Anno dopo anno abbiamo certificato sempre più specie e ne abbiamo introdotte di nuove. Collaborando da molti anni con alcuni dei nostri fornitori, li abbiamo supportati e incoraggiati a seguire pratiche corrette per l’ottenimento delle certificazioni. La collaborazione di tutti gli stakeholders coinvolti ha rappresentato una tappa fondamentale del nostro percorso. Tra le tappe principali possiamo citare anche l’introduzione del marchio Asc per l’acquacoltura responsabile, una novità per il mercato italiano che ci ha permesso di offrire prodotti allevati (come i Fiori di Orata e i Fiori di Branzino) che ci permettono anche di ridurre la pressione sul pesce pescato.

Quali sono le difficoltà maggiori da superare per certificare con Msc un’azienda che come Findus vende in 22 paesi e pesca in tutto il mondo? Ad esempio: le aree in cui Findus si approvvigiona sono diverse e con differenti condizioni degli stock ittici. Come siete riusciti a uniformare le pratiche nonostante le diversità di contesto?

Ciascuna area di pesca ha certamente le proprie peculiarità e caratteristiche che non abbiamo uniformato non essendo questo lo scopo ultimo del rispetto degli standard di sostenibilità. Al contrario, l’obiettivo è quello di rispettare e adeguarsi alle condizioni di disponibilità delle specie pescate e adottare una strategia di flessibilità, variando le specie e le aree di pesca, valutandone di nuove e approvvigionandoci anche da allevamenti certificati, promuovendo l’acquacoltura responsabile per alleggerire la pressione sugli stock ittici oggetto di pesca.

Il raggiungimento del 100% di prodotti certificati Msc è un esempio importante che potrebbe ispirare il settore seguirvi su questa strada: cosa possiamo dire ai vostri colleghi e competitor, la sostenibilità è una scelta che paga solo in termini di reputazione o anche di fatturato e di preferenze del consumatore?

Siamo già molto soddisfatti dell’impatto che negli anni abbiamo avuto nel mercato retail italiano e in qualità di Leader del settore, continueremo a dare l’esempio. Secondo i dati forniti da Msc - Marine Stewardship Council, da quando i primi prodotti certificati Findus sono arrivati sul mercato italiano il volume totale dei prodotti ittici certificati Msc in Italia è più che triplicato, mentre per quanto riguarda la categoria dei surgelati, il volume è più che raddoppiato. Il nostro lavoro è stato fondamentale anche nel rendere il marchio Msc più riconoscibile e aumentare la sua comprensione da parte dei consumatori. Inoltre, dalla recente ricerca condotta con Consumerismo No Profit, è emerso

come 9 italiani su 10 sono attenti alla sostenibilità quando fanno la spesa, con il 19% dei consumatori che la considera un fattore fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari, mentre un ulteriore 69% lo ritiene importante: questo vuol dire che la sostenibilità rientra ormai tra le preferenze del consumatore. La sostenibilità di per sé non ha un ritorno economico immediato e misurabile ma alimenta l’equity del brand: da oltre 60 anni, Findus è sinonimo di qualità e affidabilità per i consumatori e lo è anche grazie a questo tipo di scelte che l’Azienda fa. Il ritorno non deve essere necessariamente sul fatturato, ma può essere ben più rilevante e duraturo nel tempo.

Renato Roca, Country Manager Italia, Findus

I dati sugli stock ittici sono sufficientemente accurati da permettere una valutazione precisa delle quote disponibili?

L’accuratezza dei dati sugli stock ittici è un tema cruciale per le decisioni inerenti alle quote disponibili, ma più in generale per la gestione sostenibile delle risorse marine. Un punto di riferimento globale è sicuramente l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, il cui SOFIA report analizza lo stato e la salute degli stock ittici mondiali, nonché le tendenze nei settori della pesca e dell’acquacoltura a livello globale e regionale. Esistono anche istituzioni scientifiche e organismi di controllo regionale della pesca autorevoli per regioni o specie ittiche specifiche, ad esempio il General Fisheries Commission for

the Mediterranean (Gfcm) fornisce dati sullo stato di salute degli stock ittici nel Mediterraneo, mentre la Commissione Internazionale per la Conservazione dei Tonnidi dell’Atlantico (Iccat), responsabile della conservazione e gestione delle specie di tonno e altre specie affini nell’Atlantico e nel Mediterraneo, rilascia regolarmente informazioni pubblicando rapporti scientifici che includono valutazioni dello stato di salute degli stock di diverse specie di tonno. Ci sono però degli stock ittici per cui non sono disponibili informazioni scientifiche dirette sullo stato dello stock: in questo caso si utilizzano gli indicatori e i punti di riferimento ritenuti più affidabili.

I controlli come avvengono e sono sufficienti per assicurare un sostanziale rispetto degli impegni degli operatori della pesca?

Per certificarsi secondo il programma Msc per la pesca sostenibile, un’attività di pesca deve sottoporsi a un processo di valutazione da parte di enti di certificazione indipendenti che vanno a verificare il rispetto dei Principi dello Standard Msc (Principio 1: Stock ittici sostenibili; Principio 2: minimizzazione dell’impatto sull’ecosistema; Principio 3: gestione efficace della pesca). Una volta ottenuta la certificazione, tutte le attività di pesca sono sottoposte ad audit annuali indipendenti da parte degli enti di certificazione che variano nella frequenza e nelle modalità in base ai fattori di rischio individuati durante il processo di valutazione. Duranti questi controlli viene verificato il rispetto dei principi dello Standard Msc e il progresso delle eventuali azioni da implementare in caso siano stati stabiliti dei piani di miglioramento. In caso venissero rilevate non conformità allo Standard, gli enti di certificazione valutano le azioni da intraprendere, che nei casi più gravi possono portare nella sospensione della certificazione. Questi controlli sono necessari affinché le attività di pesca certificate Msc continuino a rappresentare il miglior livello di best practice nella sostenibilità della pesca globale.

Vallerani

Le certificazioni Msc e Asc si sono evolute in questi ultimi anni: stanno aiutando a migliorare le pratiche del settore e a ridurre concretamente gli impatti sulla biodiversità e la salute degli ecosistemi? Ci sono dati ed evidenze a riguardo?

La pesca eccessiva e le pratiche non sostenibili continuano a minacciare gli ecosistemi marini a livello globale. Secondo i dati Fao, oltre un terzo degli stock ittici mondiali è sfruttato oltre i limiti sostenibili, e il Mar Mediterraneo – particolarmente rilevante per l’Italia – nonostante un miglioramento negli ultimi anni, continua ad essere tra le aree più sovrasfruttate al mondo (58% degli stock ittici sono sovrapescati). I consumatori possono avere un ruolo determinante nel promuovere un cambiamento positivo. Scegliendo prodotti ittici provenienti da fonti responsabili e informandosi sull’origine del pesce acquistato, possono influenzare il mercato e incoraggiare pratiche più sostenibili lungo tutta la filiera. Le certificazioni come il Marine Stewardship Council (Msc) per la pesca e il Aquaculture Stewardship Council (Asc) per l’acquacoltura sono sicuramente le più rigorose presenti sul mercato e offrono garanzie affidabili, assicurando che i prodotti certificati rispettino standard ambientali e sociali rigorosi. Tuttavia, Wwf ritiene che le valutazioni sulla sostenibilità di un prodotto certificato Msc vadano fatte caso per caso, a causa di problemi strutturali nella certificazione Msc che hanno portato negli anni alla concessione della certificazione a diverse attività di pesca che non raggiungono standard di sostenibilità sufficientemente ambiziosi a parere Wwf. Questo è possibile grazie al sistema delle condizioni, ovvero, anche se non tutti i criteri di sostenibilità sono soddisfatti al momento della certificazione, questa viene concessa con delle condizioni, attraverso le quali la fishery in questione si impegna ad attuare un piano di miglioramento entro un determinato arco temporale. Spesso tuttavia questa scadenza viene procrastinata e la fishery nel frattempo è comunque certificata.

Per questo e altri motivi Wwf negli anni ha chiesto con forza una revisione e un miglioramento strutturale nella certificazione Msc. Sebbene i numeri delle fisheries certificate siano ancora relativamente bassi, il sistema di valutazione di Msc offre un benchmark e degli indicatori di enorme utilità anche per supportare le fisheries in un percorso di miglioramento non necessariamente finalizzato alla certificazione. In varie parti del mondo sono infatti nate diverse FIP (Fisheries improvement projects) con sistemi di monitoraggio nuovi ed efficaci per accompagnare il percorso di miglioramento di una fishery verso il completamento degli standard per la certificazione.

La certificazione integrale del portafoglio prodotti di Findus rappresenta un esercizio di leadership responsabile da parte dell’azienda che ci auguriamo sia di esempio per il settore. Ma qual è il livello di sostenibilità del mercato ittico italiano oggi (1)?Se tutti i prodotti fossero certificati avremmo fatto un passo avanti significativo per ridurre l’impatto dei nostri consumi ittici (2)?Un consumatore che mangia il pesce una volta a settimana e vuole ridurre il suo impatto dovrebbe comprare pesce azzurro fresco o un prodotto certificato Msc (3)? Un prodotto Asc va sempre preferita rispetto a un prodotto che ne è privo (4)?

1) Il mercato ittico italiano è ancora lontano dalla sostenibilità se si pensa che le specie maggiormente consumate in Italia sono orata, salmone e nasello - i primi due sono prodotti di acquacoltura con tutti gli impatti che questa ad oggi comporta (utilizzo di antibiotici, inquinamento delle acque, utilizzo di mangimi di derivazione animale che alimentano la sovrapesca di piccoli pelagici, etc), la terza è la specie più sovrapescata in Mar Mediterraneo, catturata dalla pesca a strascico, una delle attività di pesca più impattanti sull’ecosistema marino. I prodotti certificati Msc in Ita-

lia sono ancora pochi e principalmente sui prodotti surgelati provenienti da altri oceani, mentre la maggior parte dei prodotti sul mercato del fresco derivano da attività di pesca semi-industriale come lo strascico pelagico e lo strascico di fondo, o dall’acquacoltura. La piccola pesca artigianale, che ha le maggiori potenzialità per essere condotta in modo sostenibile, fatica ancora ad avere accesso al mercato nazionale. Su questo Wwf è impegnato attraverso il progetto Transforming Mediterranean Small Scale Fisheries

2) Sicuramente si, perché affinché una fishery sia certificata deve innanzitutto garantire che lo stock target non sia sovrapescato.

3) La scelta giusta tra le due proposte è quella di prediligere pesce azzurro certificato, ad esempio le sardine del Marocco. In generale il consiglio di consumo Wwf è quello di 1)diversificare le proprie scelte, prediligendo specie conosciute per dare respiro a quelle più comunemente pescate, 2) consumare solo pesci adulti, evitando di acquistare pesci sotto la taglia minima di conservazione definita per legge, che in quanto giovanili non hanno avuto tempo di riprodursi 3) consultare l’etichetta confrontandola con la guida Wwf al consumo responsabile di pesce pescesostenibile.wwf.it

4) Dipende dalla specie, tra un salmone certificato ASC e un mitile, sicuramente è meglio il mitile, un organismo filtratore che non necessita mangimi. Tra due salmoni allevati, prediligere quello certificato Asc.

L’ecosistema marino già compromesso richiederebbe ulteriori sforzi come la recente iniziativa del Science Based Target Network per gli Oceani dimostra (in particolare rispetto alla misurazione scientificamente validata degli stock ittici e quindi degli obiettivi quantitativi di pesca, alla valutazione degli impatti lungo tutta la catena del valore e non solo nella fase produttiva, al rafforzamento delle verifiche indipendenti.).

L’obiettivo è quello di stare dentro i limiti del pianeta: queste iniziative sono adeguate allo scopo come tempistica e come dimensione? C’è una ragionevole possibilità che si riesca a invertire il depauperamento dell’ambiente marino o siamo ancora ben lontani da questo obiettivo?

Il potenziale di questa iniziativa, che fornisce un framework alle imprese per definire obiettivi legati alla sostenibilità delle proprie attività di business basati su fondamenti scientifici , è molto alto perché dà la possibilità di indirizzare il contributo che grandi player possono daresu scala globale. Questo è tanto più urgente in un contesto come quello odierno in cui la sostenibilità è all’ultimo dei gradini (guerra, crisi economica) e le risorse naturali sono le prime a essere saccheggiate. Wwf impegnerà sempre tutti gli sforzi possibili per influenzare le politiche globali e il settore privato per garantire un futuro in cui uomo e Natura possano vivere in armonia.

Certificazioni per fare la differenza nella logistica

Logistica Uno si distingue nel panorama italiano della sostenibilità aziendale, tanto da essere stata inclusa tra le 100 aziende più virtuose al Sustainability Award 2024. Un riconoscimento che premia l’impegno nell’integrazione di principi Esg nel settore logistico.

La sostenibilità non è solo una dichiarazione d’intenti, ma un percorso fatto di azioni concrete. Per questo Logistica Uno ha scelto di adottare certificazioni che garantiscono governance, etica e responsabilità ambientale.

L’attenzione all’ambiente si traduce nella certificazione ISO 14001, che guida l’azienda nell’ottimizzazione della logistica per ridurre l’impatto dei trasporti, incentivare l’intermodalità e gestire in modo sostenibile risorse e rifiuti. La sicurezza sul lavoro è garantita dalla ISO 45001, che mira a ridurre il rischio di infortuni e a promuovere il benessere dei dipendenti.

Un altro elemento chiave è l’adesione a Sedex, che garantisce trasparenza nella catena di fornitura e certifica l’impegno dell’azienda nel rispetto dei diritti dei lavoratori, nella promozione di ambienti di lavoro sicuri, nella riduzione dell’impatto ambientale e nella lotta alla corruzione.

A questo si affianca anche Ecovadis, uno standard internazionale che valuta l’impatto ambientale, l’etica, la sicurezza e la responsabilità sociale. Ottenere un rating elevato è un obiettivo costante, poiché sempre più clienti e partner lo considerano un requisito fondamentale per una supply chain sostenibile.

Infine completa la strategia aziendale l’implementazione del Modello Organizzativo 231, che aiuta a prevenire reati come la corruzione e le violazioni ambientali, assicurando un business responsabile e sicuro.

“Le certificazioni non sono un obbligo normativo, ma strumenti volontari per fare la differenza”, spiega Veronica Corbellini, Head of Quality e HSE di Logistica Uno “La sostenibilità per Logistica Uno è un impegno quotidiano, un processo di miglioramento continuo che trasforma ogni certificazione in un’opportunità di crescita. Il futuro della logistica passa da qui: innovazione, responsabilità e un’attenzione costante alla creazione di valore per clienti e partner”.

Crai prima insegna a firmare il Patto di Legalità

CRAI è la prima insegna della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo) a sottoscrivere il Patto di Legalità con il Ministero dell’Interno, un protocollo volto a prevenire le infiltrazioni criminali nel settore e garantire maggiore trasparenza nei rapporti commerciali.

Il protocollo, siglato a Milano il 7 marzo 2025, prevede una serie di misure per rafforzare i controlli nella selezione dei fornitori, introdurre clausole specifiche nei contratti e applicare la risoluzione dei vincoli in caso di irregolarità. Crai e i suoi Centri di Distribuzione (Cedi) si impegneranno inoltre a garantire la tracciabilità dei flussi finanziari e la regolarità contributiva nelle relazioni commerciali.

L’accordo avrà una durata di tre anni e sarà soggetto a un monitoraggio costante, con possibili aggiornamenti per aumentarne l’efficacia.

Per diffondere la cultura della legalità, sono previste attività divulgative e formative rivolte ai dipendenti. Il Ministero dell’Interno, tramite la rete delle Prefetture, promuoverà l’adesione al protocollo da parte di altri operatori della Gdo, adattando le misure alle specificità territoriali.

Saranno inoltre avviate collaborazioni con le Forze dell’Ordine per analizzare i fenomeni criminali che interessano la grande distribuzione e prevenire possibili infiltrazioni.

Giangiacomo Ibba, Amministratore Delegato di Crai, sottolinea: «Per noi di Crai la firma di questo Patto di Legalità è molto più di un semplice atto formale. È un impegno concreto che abbiamo voluto fortemente per creare una tutela per tutto il nostro mondo, a partire dai clienti e le oltre 20.000 persone che ogni giorno, con passione e dedizione, animano la nostra grande famiglia. Un passo importante, che ci rende orgogliosi di essere il primo gruppo della Grande Distribuzione Organizzata a compierlo, perché la trasparenza e la correttezza sono valori che ci guidano da sempre».

Mediocredito Centrale: 50 milioni per la filiera del caffè

Il Gruppo Mediocredito Centrale ha annunciato lo stanziamento di un plafond di 50 milioni di euro, destinato a sostenere le imprese italiane del settore della torrefazione. L’iniziativa mira a contrastare gli effetti dell’aumento dei prezzi del caffè e dei costi di produzione che gravano sull’intera filiera.

Le aziende del comparto potranno accedere a finanziamenti dedicati per far fronte a esigenze di liquidità o per sostenere investimenti in efficienza produttiva e sostenibilità Esg. I prestiti potranno essere richiesti direttamente a Mediocredito Centrale, BdM Banca e Cassa di Risparmio di Orvieto, con la possibilità di accedere a condizioni agevolate se ammessi al Fondo di Garanzia per le PMI.

Le risorse potranno essere impiegate per coprire il fabbisogno di liquidità in un contesto di forte instabilità dei

prezzi delle materie prime, nonché per investire in efficientamento energetico e innovazione produttiva, in linea con gli obiettivi Esg. L’accesso ai finanziamenti è subordinato all’istruttoria sul merito creditizio da parte delle banche del gruppo.

Con questa iniziativa, il Gruppo Mediocredito Centrale ribadisce il proprio impegno a sostegno del settore agroalimentare, che in Italia conta 1,2 milioni di imprese e oltre 3,5 milioni di addetti. Il comparto del caffè riveste un ruolo chiave, con oltre 800 torrefazioni presenti sul territorio, molte delle quali localizzate nel Mezzogiorno, dove la filiera rappresenta un motore economico essenziale.L’intervento finanziario si inserisce in un contesto di crescente attenzione verso la sostenibilità e l’efficienza produttiva, fornendo alle imprese strumenti concreti per affrontare le sfide del mercato globale. Attraverso questo sostegno, Mediocredito Centrale intende facilitare l’accesso al credito per le PMI del settore, promuovendo al contempo pratiche aziendali responsabili e orientate al futuro.

Electrolux punta al 35% di materiali riciclati nei prodotti entro il 2030

Electrolux Group ha annunciato un nuovo obiettivo di sostenibilità: entro il 2030, il 35% dei materiali utilizzati nei propri elettrodomestici sarà costituito da acciaio e plastica riciclati. Questo traguardo rappresenta un significativo passo avanti rispetto ai precedenti impegni, che si concentravano esclusivamente sulla plastica, e coinvolge materiali che rappresentano oltre il 40% del totale acquistato dall’azienda.

«Come leader della sostenibilità, continueremo a impegnarci e a stimolare il settore per adottare impegni di sostenibilità ancora più ambiziosi», ha dichiarato Elena Breda, Chief Technology & Sustainability Officer di Electrolux Group. «Siamo orgogliosi di essere la prima azienda del settore a fissare un tale obiettivo, che rafforza il nostro programma di economia circolare».

Nel 2024, Electrolux ha registrato progressi significativi nella riduzione delle emissioni di carbonio: una diminuzione del 36% nelle attività industriali (Scope 1 e 2) e del 31% nelle emissioni indirette (Scope 3), rispetto al 2021. Inoltre, il 94% dell’elettricità e il 64% dell’energia totale utilizzata dall’azienda provengono ora da fonti rinnovabili.

L’azienda ha anche raggiunto risultati di rilievo nel campo della salute e sicurezza sul lavoro, con un Total Case Incident Rate pari a 0,37, tra i più bassi del settore.

Electrolux dedica grande attenzione all’efficienza energetica dei prodotti. Ad esempio, alcune delle nuove lavatrici superano del 60% la migliore classe energetica disponibile in Europa. Il purificatore d’aria Electrolux Pure 900 consuma il 53% in meno di energia nella modalità intelligente, mentre gli aspirapolvere con modalità automatica consentono risparmi energetici fino al 52% rispetto ai modelli tradizionali. I forni Electrolux e AEG dotati di CookSmart Touch riducono i consumi fino al 28%.

Infine, Electrolux Group è stato riconosciuto come leader nella sostenibilità dall’organizzazione no-profit Cdp e ha ottenuto il prestigioso rating Gold da EcoVadis, rientrando così nel top 5% di oltre 70.000 aziende valutate a livello globale

Ittrio dai rifiuti elettronici: un’opportunità per la farmaceutica

Un team di ricercatori dell’Area Science Park e dell’Università di Udine ha sviluppato un metodo innovativo per recuperare l’ittrio dai rifiuti elettronici, trasformandolo in un catalizzatore prezioso per l’industria farmaceutica. Lo studio, presentato alla conferenza internazionale IRTC25 di Lubiana, è stato selezionato per un pitch al “Talent meets Industry” di Apple e McKinsey, riconoscendo il potenziale industriale della scoperta

L’ittrio triflato (Y(OTf)₃) è un composto impiegato nei processi chimici farmaceutici per migliorare l’efficienza delle reazioni. Attualmente prodotto da materie prime vergini, può ora essere ottenuto dal recupero di ossido di ittrio presente in schermi Lcd, catalizzatori per auto, laser medici e fuel cells. Il nuovo metodo sviluppato dai ricercatori pre -

vede un processo in tre fasi (sintesi, filtrazione e rimozione dell’acqua) che permette di ottenere un prodotto efficace con costi ridotti rispetto alle attuali forniture di mercato.

Il riciclo dell’ittrio offre vantaggi economici e ambientali, riducendo la dipendenza dalle importazioni di terre rare e minimizzando l’impatto ambientale dello smaltimento dei rifiuti elettronici. “Il recupero dell’ittrio è più conveniente rispetto ai tradizionali metodi di smaltimento, soprattutto quando il prezzo del materiale recuperato supera i costi di trattamento”, spiega Marinella Favot di Area Science Park. Nonostante il potenziale della tecnologia, rimangono alcune criticità legate alla volatilità dei prezzi e alla necessità di sviluppare infrastrutture per il trattamento su scala industriale. Tuttavia, in un contesto di crescente domanda di materiali critici, soluzioni come questa potrebbero un domani giocare un ruolo chiave nella transizione verso un’industria chimica più sostenibile

Il primo quotidiano online sulla Gdo

Ogni giorno, numeri, fatti e protagonisti della Gdo e del largo consumo.

Save The Duck e Movopack lanciano il packaging riutilizzabile premium

Save The Duck e Movopack presentano un imballaggio innovativo, riutilizzabile fino a 20 volte, pensato per ridurre drasticamente l’impatto ambientale della moda retail.

In occasione della Milano Design Week 2025, Save The Duck, brand leader nell’outerwear 100% animal-free, ha presentato un progetto inedito in collaborazione con Movopack, startup specializzata in soluzioni di packaging sostenibile. Il risultato è un imballaggio riutilizzabile di fascia premium, progettato per sopportare fino a 20 cicli di utilizzo e realizzato con materiali riciclati e durevoli, in linea con i principi dell’economia circolare.

Esteticamente curato, il packaging è disponibile in una raffinata versione arancione – colore simbolo del marchio –

ed è già in uso nei flagship store Save The Duck di Via Solferino 12 e Via Dante 3, a Milano. Il sistema permette di ridurre fino al 75% le emissioni di Co₂ rispetto agli imballaggi monouso, con un risparmio energetico del 72% e una diminuzione del 75% del consumo d’acqua. Una svolta tangibile in termini di sostenibilità ambientale. «Volevamo trasformare il concetto di circolarità in qualcosa di concreto e misurabile», ha dichiarato Nicolas Bargi, fondatore e Ceo di Save The Duck. «Grazie alla partnership con Movopack, lanciamo un messaggio forte alla nostra community: l’innovazione responsabile è possibile anche nel retail».

Anche Tomaso Torriani, Ceo di Movopack, sottolinea il valore strategico dell’alleanza: «Il packaging riutilizzabile può migliorare significativamente l’esperienza del cliente, coniugando estetica e impatto positivo. Save The Duck è il partner ideale per dimostrare che anche il packaging può diventare uno strumento premium e coinvolgente».

Dopo il lancio nei negozi fisici, Save The Duck intende estendere questa soluzione anche all’e-commerce, integrando l’iniziativa all’interno della propria strategia Esg.

I mille volti del pack ecologico

Diminuire i materiali, scegliere materie prime compostabili o riciclabili, alleggerire, semplificare... Sono tante le strade percorribili dalle aziende per ridurre l’impatto delle confezioni dei loro prodotti. Un impegno sempre più visibile.

Riduci, riusa e ricicla. Nel mondo degli imballi, le pratiche di sostenibilità ambientale sono orientate dallo slogan delle tre R e la realizzazione di packaging ecologici è al centro delle scelte delle imprese.

Un impegno condizionato anche dall’applicazione del Decreto 116/2020, che ha recepito le Direttive europee sugli imballaggi. Da allora tutti i prodotti devono essere etichettati per facilitare la raccolta differenziata, vanno promosse la riduzione e il riutilizzo, la responsabilità per la gestione degli imballaggi è estesa ai produttori e sono definiti i requisiti di riciclabilità.

I dati di un impegno diffuso

Una conferma dell’attenzione delle imprese e dei consumatori su questo aspetto ci giunge dall’Osservatorio Immagino: nel 2024 le informazioni più diffuse sui pack riguardano la riciclabilità, presenti sulle etichette di 85.219 prodotti (il 58,5%). In seconda posizione (19.635) i prodotti che evidenziano l’utilizzo di materiale riciclato. A seguire, in ordine decrescente, le referenze che dichiarano la riduzione dell’uso di plastica e quelle con una dichiarazione di compostabilità delle confezioni.

Plastica al minimo per gli imballi delle pizze

La riduzione dell’utilizzo di plastica è stata al centro di un importante intervento realizzato da Cameo nei primi mesi del 2025. Questa modifica del packaging, effettuata sulle pizze, affonda le sue radici nel 2020, anno in cui l’azienda ha ripensato la sua strategia di sostenibilità inserendola in un progetto articolato. «La Carta della Sostenibilità – dichiara Renato Sorlini, executive manager produzione e tecnica di Cameo, nonché responsabile della gestione ambientale – ha dato vita a oltre 30 progetti, strutturati in tre dimensioni: Our Food, Our Company e Our World. È in quest’ultimo ambito che sono comprese le iniziative volte a ridurre il nostro impatto sull’ambiente, come quelle che hanno l’obiettivo di rendere riciclabili, riutilizzabili o compostabili tutte le confezioni entro il 2030. L’ultima novità determina una riduzione del 14% nell’utilizzo di materiale plastico negli imballi delle pizze. Un impercettibile cambiamento che si traduce in un risparmio di 310 tonnellate di plastica all’anno».

Pack della pasta 100% compostabile

Nel comparto dell’industria della pasta le soluzioni delle imprese prevedono in molti casi l’eliminazione della plastica. Tra queste spicca La Molisana. «Abbiamo realizzato un nuovo pack in carta kraft compostabile e conferibile nell’umido – ha affermato Rossella Ferro, titolare e direttore marketing del pastificio –, eliminando il film plastico nella confezione e introducendo una finestra di cellulosa rigenerata, certificata Fsc. Grazie all’uso di questi materiali, il nuovo pack si degrada in tre mesi trasformandosi in compost».

Il poliaccoppiato per conserve più leggere

Quello delle conserve vegetali, in primis di pomodoro, è un settore decisivo. In questo comparto, però, i consumatori italiani faticano ad accogliere la transizione verso pack più sostenibili del vetro, percepito come indice di qualità. Tra i brand storici che hanno optato per il poliaccoppiato spiccano due marchi di Conserve Italia: Jolly Colombani e Valfrutta. Per quest’ultimo, la scelta dei brik riciclabili con un’alta percentuale di materie prime vegetali riguarda in particolare la gamma Valfrutta al Vapore. Anche Pomì, del Gruppo Casalasco, è una delle aziende del settore che utilizzano questi materiali e nel corso del 2025 ha comunicato l’ampliamento delle referenze in poliaccoppiato inserendovi anche la Polpa Fine da 390 g, per la quale è stata scelta una confezione Tetra Pak – Recart con materie prime di origine vegetale rinnovabili al 71% e certificazione Fsc. Una soluzione dalla quale deriva una riduzione dell’83% delle emissioni di Co2.

Meno vetro nel vetro

Non mancano infine le iniziative per chi al vetro non può rinunciare. È del giugno 2025 l’annuncio dell’accordo tra Birra Menabrea e O-I Glass per la riduzione del peso delle bottiglie dello storico marchio della birra. Il nuovo design delle bottiglie da 33 e 66 cl consente una diminuzione del 10% delle emissioni di Co2 per ogni unità prodotta.

Un percorso articolato

Una sfida ambiziosa quella di Cameo che, partita nel 2020, si è posta come traguardo il 2030 per rendere tutti i suoi imballi ambientalmente sostenibili. Ma cosa è stato fatto finora? «A oggi l’obiettivo è stato raggiunto per il 73,5% dei materiali di imballaggio delle referenze prodotte a Desenzano del Garda (il 100% delle confezioni delle pizze è già riciclabile) – sottolinea Renato Sorlini –. Dal 2021 abbiamo eliminato oltre 40mila chili di materiale rimuovendo il sottile strato di alluminio e plastica nelle confezioni di Zucchero al Velo e Vanillina Paneangeli. Gli imballaggi dei nostri prodotti, compresi quelli secondari, sono già composti in gran parte da carta e le confezioni di cartone sono di materiale riciclato al 70-80%. Nei casi in cui la sicurezza e la qualità rendono necessario l’uso della plastica, questa è costituita prevalentemente da polipropilene riciclabile ed è stata resa più leggera e sottile possibile. Il percorso verso il 100% è lungo, ma sono tanti i passi già fatti. La vera sfida di oggi è quella di abbattere l’ultimo 26,5% senza compromettere efficienza, sicurezza e accessibilità».

Più valore alla filiera

Rendere sempre più sostenibile l’intera supply chain, dalla materia prima alla distribuzione, significa scommettere sull’impegno etico e ambientale. Una scelta che si rivela anche un investimento di successo.

Se ne sente parlare spesso, eppure non tutti sanno esattamente di che cosa si tratti. Il riferimento alla filiera sostenibile sul pack dei prodotti conferma l’importanza del tema. Secondo l’Osservatorio Immagino, nel 2024, oltre il 10% delle referenze confezionate del largo consumo riportava affermazioni relative alla

filiera sostenibile in agricoltura o allevamento, per un giro d’affari di oltre 6,2 miliardi di euro e una crescita del 2% rispetto al 2023. A queste vanno aggiunte le referenze che dichiarano l’impegno etico verso gli operatori della filiera (il 9,1% del totale) per quasi 6,6 miliardi di euro di vendite, con un incremento del 2,2%. Si tratta di numeri che evidenziano l’importanza crescente del tema, ma occorre contestualizzarli. Il concetto di filiera sostenibile è infatti ampio e può essere interpretato da punti di vista diversi.

Nuova linfa per il comparto olivicolo

Nella filiera olivicola, un esempio significativo è rappresentato da Costa d’Oro che, nel 2023, ha lanciato Planet O-live, un piano di sostenibilità nazionale che coinvolge partner scientifici come la Scuola superiore Sant’Anna e l’Università di Perugia, e associazioni come Confagricoltura e Assoprol. «L’obiettivo è aumentare la redditività della filiera – spiega Daniela Pontecorvo, chief marketing officer di Costa d’Oro – promuovendo un’olivicoltura che valorizzi il territorio, tuteli l’ambiente e sostenga gli agricoltori. Con la Planet O-live Academy abbiamo finora coinvolto olivicoltori per 430mila alberi, con il target di raggiungere il milione entro il 2030, divulgando loro buone pratiche sostenibili. Inoltre, siamo riusciti a ottenere risultati importanti nella riduzione dell’impatto della nostra attività, come il risparmio di 158 tonnellate di Co2 grazie a diversi interventi: impianti fotovoltaici che coprono attualmente il 50% del fabbisogno energetico aziendale (intendiamo arrivare al 70%) e la recente introduzione di bottiglie più leggere e con una nuova forma, che hanno migliorato l’efficienza logistica e consentiranno un risparmio annuo di ulteriori 584 tonnellate». Significativo anche il lancio di Zero, primo extra vergine certificato con zero pesticidi residui, che intende sensibilizzare gli olivicoltori alla razionalizzazione dell’uso di pesticidi, aumentando sia la loro redditività che la sicurezza alimentare.

*Residui ≤ a 0,01 mg/kg. Prodotto finito certificato da SGS Italia.

Zero è il primo extra vergine in Italia certificato con Zero Pesticidi Residui*.

Perché nel Laboratorio della Passione di Costa d’Oro, l’olio è il frutto di un impegno che ci siamo presi per portare qualità sulla vostra tavola, ogni giorno.

L’accento sul territorio

L’azienda pugliese Oropan rappresenta un esempio di filiera sostenibile orientata al territorio e al rispetto dei lavoratori. Produce pane fresco con semola di grano duro 100% pugliese, certificato secondo lo standard Iscc Plus. «Questa certificazione garantisce: deforestazione zero, tutela della biodiversità, gestione sostenibile del suolo, rispetto dei diritti dei lavoratori e tracciabilità completa – dice Francesco Forte, direttore commerciale di Oropan –. La nostra attività promuove inoltre l’agricoltura del territorio e la riduzione dei trasporti, fondamentali per un modello di produzione responsabile».

La filiera verde del Gran Moravia

Anche il formaggio Gran Moravia beneficia di una certificazione di filiera ecosostenibile, realizzata in Repubblica Ceca dall’azienda veneta Brazzale. In questo caso la certificazione è stata conferita nel 2011 da Dnv. «Si tratta di un progetto reso possibile grazie a una scelta fatta nel 2000 – sottolinea Roberto Brazzale, presidente della società –. Quell’anno, infatti, dopo una lunga ricerca, abbiamo trovato la zona con le condizioni pedoclimatiche ideali per la produzione del latte e del nostro formaggio. Abbiamo così avviato una collaborazione con fornitori locali che garantiscono alti standard di benessere animale e sostenibilità ambientale. La filiera si caratterizza per diversi aspetti, tra i quali spicca una vasta disponibilità media di terreno coltivato a foraggio per ogni capo di lattazione superiore ai quattro ettari, una ridotta impronta idrica (solo 87 litri di blue water ogni chilo di Gran Moravia) e la compensazione delle emissioni di Co2 attraverso la piantagione di un milione e mezzo di alberi su propri terreni in Brasile».

Valorizzare il prodotto al 100%

Il comparto dell’olivicoltura, fondamentale per l’economia e la cultura italiane, sta vivendo un momento di difficoltà, evidenziato dall’abbandono del 30% dei terreni ogni anno, soprattutto da parte dei piccoli produttori. «Oltre a fornire agli olivicoltori la consulenza di tecnici e agronomi – chiarisce Daniela Pontecorvo di Costa d’Oro –, il progetto Planet O-live si impegna nel promuovere la valorizzazione dei residui di lavorazione, che costituiscono il 90% del peso del frutto. In un’ottica di economia circolare, acqua di vegetazione, noccioli, sanse e composti fenolici, possono infatti essere destinati a usi innovativi, come la produzione di mangimi, conservanti naturali o alimenti funzionali. Contribuiamo così a ridurre gli sprechi e a valorizzare tutte le risorse derivate dalla produzione».

Il Commercio Equo tra Sostenibilità

e Impatto

Sociale: la via di Altromercato

Dal prezzo equo alla carbon footprint, dall’empowerment delle comunità locali alla lotta al cambiamento climatico: il commercio equo sta vivendo una profonda trasformazione. Altromercato, pioniere italiano del settore, interpreta questo cambiamento integrando sostenibilità ambientale e impatto sociale in un modello di business che si distingue nel panorama del largo consumo. Abbiamo intervistato Valeria Calamaro, Sustainability Marketing Manager di Altromercato, per capire come un’impresa sociale affronta le sfide della transizione ecologica, dalla misurazione scientifica degli impatti alla comunicazione con il consumatore, fino alla gestione di progetti internazionali che stanno cambiando la vita di intere comunità.

Il Bilancio Sociale e la Rendicontazione

Altromercato produce un bilancio sociale ampio e dettagliato. Quali sono le motivazioni che spingono l’azienda a fare un lavoro così approfondito non solo sui temi sociali ma anche su quelli della sostenibilità?

Come impresa sociale senza scopo di lucro, abbiamo l’obbligo di redigere un bilancio sociale secondo il decreto ministeriale 186 del 2019. Questo bilancio deve evidenziare gli stakeholder e gli impatti generati dall’organizzazione, includendo sia aspetti sociali che ambientali, con obblighi più o meno stringenti in base alla dimensione aziendale. Dal 2021 abbiamo deciso di fare un passo ulteriore, adottando volontariamente il framework della Global Reporting Initiative (GRI). Questa scelta si allinea con i nostri 10 principi internazionali, tra cui la “climate action” e la protezione dell’ambiente, che sono parte integrante del World Fair Trade Organization. L’adozione del Gri, pur non riuscendo a coprirne tutti gli aspetti (utilizziamo un approccio “with reference to”), ci ha aiutato a strutturare meglio la rendicontazione e a mappare con maggiore precisione i nostri impatti ambientali, partendo dalla comprensione di cosa misurare e come farlo in modo sistematico.

Carbon Footprint e Azioni Concrete

Infatti nel vostro bilancio sociale 2023 avete inserito anche la prima carbon footprint di organizzazione,

un passo importante per adottare una misurazione scientifica del proprio potenziale di sostenibilità e dare un contributo concreto alla transizione. Quali obiettivi vi siete posti per la riduzione della carbon footprint nel breve e medio termine? Cosa avete già realizzato?

Abbiamo iniziato dal nostro perimetro operativo (Scope 1 e 2), con l’obiettivo di ridurre i consumi del 20%. Siamo intervenuti con l’efficientamento energetico dei magazzini, passando ai Led, e abbiamo installato un impianto fotovoltaico che oggi copre tra il 20-24% del nostro fabbisogno energetico. Abbiamo anche ridotto gli spazi uffici grazie allo smart working e siamo passati a un contratto di energia 100% rinnovabile con gas compensato. Per quanto riguarda lo Scope 3, abbiamo iniziato dalla mappatura dei trasporti, sviluppando un sistema gestionale che monitora le tratte internazionali upstream e la distribuzione ai negozi. Su questo fronte specifico abbiamo registrato una riduzione del 29% delle emissioni rispetto agli anni precedenti. Parallelamente, abbiamo condotto un’analisi del ciclo di vita (Lca) sulla filiera del caffè biologico, prendendo come campione rappresentativo sei gruppi di produttori in tre continenti diversi, raccogliendo dati primari direttamente dai produttori. Questo studio, che ha richiesto quasi un anno di lavoro, ci ha permesso di comprendere meglio i “punti caldi” di emissione lungo tutta la filiera, dalla coltivazione al consumo finale. E questa mappatura dettagliata delle emissioni ha rivelato un aspetto cruciale: il vero impat-

to si gioca nelle comunità di produttori, dove il cambiamento climatico sta già modificando radicalmente le pratiche agricole tradizionali.

Progetti Internazionali e Impatto sul Territorio

Il valore di un commercio equo è da sempre nel supporto agli agricoltori del sud del mondo che se in prima battuta era principalmente una migliore retribuzione oggi ha una componente di supporto informativo, culturale e tecnologico in relazione alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico. Come nascono i vostri progetti nei paesi produttori? Come nasce l’obiettivo di trasformare i metodi di agricoltura dei vostri fornitori in pratiche più sostenibili? Il punto di partenza è sempre una relazione diretta con i partner locali, che si evolve in base al loro livello di maturità sulla sostenibilità. Alcune realtà sono già molto avanzate, come il nostro gruppo in Thailandia che lavora sul riso: hanno sviluppato autonomamente una banca delle sementi per preservare la biodiversità e creare varietà resistenti alla siccità. In zone dove l’allagamento tradizionale non è più possibile per i cambiamenti climatici, stanno sperimentando il System of Rice Intensification (SRI), una tecnica che ri-

chiede meno acqua e offre rese maggiori, piantando il riso più in profondità e riducendo anche le emissioni rispetto ai sistemi anaerobici tradizionali. In altri casi, come in Togo con il cacao, abbiamo sviluppato un progetto quinquennale di “cooperazione integrata” attraverso il protocollo Made in Dignity. Questo approccio coinvolge tutti gli attori: produttori, istituzioni locali, cooperative di secondo livello, partner scientifici e attori dell’industria o della distribuzione. Il progetto parte dai bisogni del territorio e prevede un percorso pluriennale di crescita, con particolare attenzione alla formazione in campo e alla sistematizzazione delle parcelle in agroforesteria dinamica. Questo sistema combina diverse tipologie di piante in base ai corsi d’acqua e all’ambiente specifico, migliorando sia la redditività che la resistenza ai cambiamenti climatici. In Nicaragua, attraverso la Fondazione Altromercato, stiamo realizzando un progetto innovativo con le donne produttrici di caffè. L’iniziativa prevede la creazione di sistemi agroforestali, con una cintura di alberi forestali e da frutto intorno alle piante di caffè per aumentare la resistenza alle variazioni di temperatura. Le giovani donne gestiranno questi sistemi, garantendo sia la sostenibilità ambientale che quella sociale. Il progetto ha anche l’ambizione di sviluppare carbon credits commerciabili all’interno della filiera. In Guatemala, dove i cambiamenti climatici hanno alterato le stagioni delle piogge causando problemi di maturazione del caffè e rischi di frane, lavoriamo con agronomi locali per aiutare le famiglie dei caficoltori. Gli interventi includono il terrazzamento delle parcelle e l’introduzione di varietà di piante locali più resistenti alle malattie. In Sri Lanka, stiamo supportando i produttori nell’installazione di pannelli fotovoltaici per renderli energeticamente indipendenti, riducendo i costi di produzione e migliorando la qualità della vita delle comunità. La chiave del successo di questi progetti è il coinvolgimento diretto delle comunità

locali nella progettazione e implementazione delle soluzioni. Non si tratta solo di trasferire tecnologie o pratiche, ma di costruire consapevolezza e competenze che possano essere gestite autonomamente dalle comunità stesse, coinvolgendo in particolare le giovani generazioni per garantire la continuità futura delle iniziative.

Marketing e Comunicazione al Consumatore

Tutti questi progetti insieme all’impegno per la carbon footprint denotano un importante valore socioculturale nei vostri prodotti: come riuscite a trasferire al consumatore finale il valore aggiunto dei vostri progetti? Quali strumenti funzionano meglio?

La nostra strategia di comunicazione si basa sul principio che il prodotto è il primo testimone dei nostri valori, ma deve essere supportato da una narrazione efficace che vada oltre il semplice claim sul packaging. Abbiamo sviluppato diversi approcci innovativi per coinvolgere i consumatori. Un esempio emblematico è il nostro lavoro sullo zucchero di canna: partendo dalla consapevolezza che i consumatori non conoscevano le differenze tra i vari tipi di zucchero, abbiamo creato con i Narratori del Gusto delle mappe sensoriali e organizziamo degustazioni pubbliche. Queste esperienze permettono di capire come terreni diversi, paesi diversi e lavorazioni diverse influenzino l’aromaticità del prodotto. È un modo per raccontare concretamente come le scelte produttive - dall’uso di terre vulcaniche alla lavorazione a mano, dall’impie -

go del bagasso come combustibile alle pratiche agricole sostenibili - si traducano in caratteristiche distintive del prodotto. La nostra rete di botteghe sul territorio rappresenta un asset fondamentale per la comunicazione: sono vere e proprie “officine” di proposte culturali ed educative. Le cooperative e le associazioni che le gestiscono organizzano attività nelle scuole, eventi sul territorio e iniziative nella ristorazione. Chi lavora nei nostri punti vendita non lo fa solo come occupazione, ma con un approccio quasi da “brand activist”. Questa rete si è dimostrata particolarmente resiliente anche durante la crisi Covid, proprio grazie a questo forte legame con il territorio e alla capacità di comunicare valori oltre il prodotto. Abbiamo anche investito nella documentazione dei nostri progetti attraverso docu-film e docu-podcast che raccontano le testimonianze dirette dei protagonisti delle filiere. Non presentiamo solo storie positive: mostriamo anche le sfide e le difficoltà che i produttori affrontano, come la lotta contro le compagnie minerarie per preservare i territori o gli sforzi dei “Guardiani della Biodiversità” in Perù per fermare la deforestazione. Queste storie concrete aiutano i consumatori a comprendere l’impatto reale del loro acquisto.

La

Sfida della Comunicazione Responsabile

La campagna “Consumi o Scegli” sembra rivendicare un valore maggiore dei vostri prodotti, invitando il consumatore a una scelta più consapevole. Tuttavia, in un momento in cui il consumatore è già sotto pressione, con un sovraccarico informativo e cognitivo davanti allo scaffale, non rischia di essere troppo aggressivo chiedergli anche questo ulteriore sforzo? Non è paradossale che proprio chi cerca di fare scelte più etiche si ritrovi a spendere di più senza la certezza di generare un impatto significativo? La campagna, realizzata con Paolo Iabichino, voleva effettivamente creare uno “shock termico” iniziale. Altromercato poteva permettersi di puntare il dito verso il consumatore e chiedergli di riflettere sulle sue scelte proprio perché ha alle spalle una storia di impegno concreto e misurabile. Tuttavia, riconosciamo che oggi il contesto è profondamente cambiato: il consumatore si trova in una situazione di forte pressione - sociale, economica, di incertezza per il futuro - e si confronta con una vera e propria “bulimia di sostenibilità”, dove la proliferazione di claim “green” rende difficile distinguere il valore reale delle proposte. Per questo stiamo evolvendo verso un approccio più empatico. Non si tratta di rinunciare alla nostra distintività, ma di trovare modi più efficaci per comunicare il valore concreto dei nostri progetti. Quando un consumatore sceglie un nostro prodotto deve poter vedere chiaramente come il suo acquisto si traduce in benefici tangibili per le comunità produttrici e per l’ambiente. Non chiediamo più solo di “scegliere”, ma ci impegniamo a rendere più trasparente e verificabile l’impatto di quella scelta.

Rapporto con la Grande Distribuzione

Come si configura il vostro rapporto con la Gdo? I retailer apprezzano il valore aggiunto dei vostri prodotti?

L’alleanza con la distribuzione moderna rappresenta una sfida cruciale per il nostro modello di business. Alcune catene hanno dimostrato grande sensibilità, dando spazio ai nostri prodotti e supportando progetti significativi. Tuttavia, in un mercato dove la sostenibilità rischia di diventare una commodity, il commercio equo deve riaffermare la propria distintività. La nostra risposta è stata la diversificazione dei canali: dalla ristorazione scolastica, dove serviamo diversi milioni di merende all’anno, al dettaglio specializzato, fino alla vendita di materie prime. Quest’ultimo è un fronte particolarmente innovativo: sviluppiamo filiere integrate con progetti di lungo respiro, un modello “Made in Dignity” che sta attirando l’interesse dell’industria e della distribuzione per l’approvvigionamento responsabile. La pandemia ha dimostrato la resilienza di questo approccio: mentre molte reti retail

tradizionali hanno sofferto, la nostra rete di botteghe ha resistito grazie al forte legame con il territorio e alla capacità di comunicare valori oltre il prodotto.

Sfide

future

Quali sono le principali sfide che vi trovate ad affrontare oggi?

Nel contesto attuale, caratterizzato da forte inflazione e volatilità dei mercati delle materie prime, la sfida principale è mantenere l’equilibrio tra accessibilità dei prezzi e remunerazione equa dei produttori. Non è solo una questione economica: dobbiamo dimostrare che un altro modo di fare business è possibile. La risposta sta nella costruzione di alleanze strategiche per lo sviluppo di modelli più sostenibili. Il commercio equo non può più permettersi di essere una nicchia virtuosa: deve diventare un laboratorio di innovazione per l’intero settore alimentare. La nostra forza sta nella capacità di combinare impatto sociale, sostenibilità ambientale e qualità del prodotto, offrendo soluzioni concrete ai problemi globali.

Per Saperne di più

L’esperienza di Altromercato dimostra che la transizione ecologica nel settore alimentare richiede un approccio integrato, dove sostenibilità ambientale e giustizia sociale procedono di pari passo. Per approfondire i progetti e le iniziative dell’azienda, è possibile consultare il Bilancio Sociale 2023 sul sito www. altromercato.it o visitare una delle oltre 200 botteghe del mondo presenti sul territorio nazionale.

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