Camós – Lorenzo Tassi

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intere, al tempo stesso dolce e profondo se parlava di bambini, di stelle o fisica quantistica. Eppure lui per molti era l’ubriacone, quello che da alticcio aveva fatto casino o offeso qualcuno. La gente è sempre frettolosa e paurosamente ignorante quando si tratta di definire qualcuno. Nessuno si prendeva la briga di conoscere chi era Camós, cosa c’era dentro quel cuore e quella testa. L’ho visto comunque scalare anche vie di 8b da ubriaco, quando chi parlava male di lui non sa ancora oggi stare attaccato a quegli appigli. Quante volte ho dormito a casa sua, mangiato al tavolo con Bepino e la Emma, i suoi genitori, o chiacchierato con Gerry, suo fratello, di come il “very Camós”, come lo chiamava lui, era davvero un mago del verticale. Abbiamo chiodato, viaggiato, festeggiato, discusso, sognato e imprecato assieme. Abbiamo passato degli anni magici dove non c’erano tempo, né stagioni, né variabili meteo. La nostra quotidianità era scalare, trovare falesie nuove e allenarci per avere dita sempre più forti e resistenti. Lui però era il maestro e io l’allievo, e ho imparato un sacco di cose da lui. Mi ha sempre spronato a migliorare, ad allenarmi, a “imparare a usare i piedi”, questa è la frase che mi ha ripetuto allo sfinimento dicendo che i migliori climber del mondo erano quelli che sapevano camminare sugli appoggi e non tirare come degli animali di braccia. Mi ha messo in guardia su quali potevano essere le brutte frequentazioni arrampicatorie, a non curarmi di cosa dice e pensa chi “non sa salire in alto come te e deve tirarti in basso”. Questi suoi insegnamenti non sono solo serviti a tenermi sugli appigli piccoli, che allora teneva solo lui, ma a camminare poi sulla mia nuova strada di alpinista d’alta quota. Aveva proprio ragione il Camós e quello che abbiamo fatto assieme è stato fondamentalmente un bellissimo ed entusiasmante viaggio durato quasi venticinque anni. Ha saputo ispirare molti ragazzi e ragazze e messo in moto un movimento di appassionati della scalata come non si era mai visto prima nella bergamasca. Il viaggio di Camós con me e i climbers orobici si è interrotto in quel maledetto incidente stradale del 24 dicembre 2007, quando Bruno non era nemmeno alla guida. Se ne è andata una leggenda, un personaggio carismatico, per alcuni anche scomodo e ingombrante, perché scalava meglio e parlava guardandoti negli occhi, dicendoti anche le cose scomode che nessuno aveva il fegato di dirti. Mi era rimasto solo lui come Grande Maestro e compagno di cordata perché esattamente dieci anni prima avevo perso un

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