Ravenna IN Magazine 05 2019

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R AV EN N A N° 5 DICEMBRE 2019/GENNAIO 2020

NITTOLO

Felice

TESSERA DOPO TESSERA

MERCATO COPERTO / Il progetto di recupero NEROFERMENTO / Dal bianco al nero MICHELE GORDINI / Performance di fuoco


E da dicembre anche in versione Autocarro.


EDITORIALE

SOMMARIO

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Dedichiamo la copertina a Felice Nittolo, che con l’A-ritmismo, il movimento artistico da lui fondato, ha contribuito a superare la tradizione del mosaico. Entriamo nel nuovo Mercato Coperto, un progetto di recupero portato a termine da Coop Alleanza 3.0 e Molino Spadoni, e incontriamo la start-up NeroFermento, che lavora l’aglio nero di Voghiera. Franco Emaldi racconta di come ha saputo avvicinare i ragazzi alla musica formando l’Orchestra dei Giovani di Ravenna, mentre Michele Gordini, in arte Draco, ci parla delle sue performance di fuoco. Ricordiamo poi la storia di Via Diaz, parliamo d’arte con il fotografo Francesco Bondi, con il pittore Aride Savini e con DJ Ebreo, nome d’arte di Mauro Berretti. Infine, incontriamo Tonia Garante, che ci parla della sua vita tra scrittura e teatro. Buona lettura! Andrea Masotti

Brevi IN

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ESSERE

Felice Nittolo

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RINASCERE

Mercato Coperto

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INNOVARE

NeroFermento

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SUONARE

Franco Emaldi

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EDIZIONI IN MAGAZINE S.R.L. Via Napoleone Bonaparte, 50 - 47122 Forlì Tel. 0543.798463 / Fax 0543.774044 www.inmagazine.it info@inmagazine.it DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Masotti REDAZIONE CENTRALE: Clarissa Costa, Gianluca Gatta, Beatrice Loddo COORDINAMENTO DI REDAZIONE: Roberta Bezzi ARTWORK: Lisa Tagliaferri IMPAGINAZIONE: Francesca Fantini UFFICIO COMMERCIALE: Gianluca Braga, Elvis Venturini STAMPA: La Pieve Poligrafica Villa Verucchio (RN) ANNO XVIII - N. 4 Chiuso per la stampa il 20/10/2019 Collaboratori: Linda Antonellini, Chiara Bissi, Nicoletta Brina, Andrea Casadio, Anna De Lutiis, Silvia Manzani, Serena Onofri, Aldo Savini. Fotografi: ATP Tour, Lidia Bagnara, Francesco Bondi, Massimo Fiorentini.

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4

ANNOTARE

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DIPINGERE

Aride Savini

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MIXARE

Dj Ebreo

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EVOLVERE

Tonia Garante

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ESIBIRE

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Michele Gordini

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RICORDARE Edizioni IN Magazine si impegna alla salvaguardia del patrimonio forestale aderendo al circuito di certificazione di FSC-Italia.

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Via Diaz

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FOTOGRAFARE

Francesco Bondi

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ANNOTARE

Il consorzio DELLO ZENZERO FAENZA Produrre zenzero

Laura Pausini “BE ME” FAENZA È stata fissata per

il prossimo 5 settembre al PalaPau Faenza la grande festa dei 25 anni di musica di Laura Pausini, una delle cantanti italiane più note nel mondo. Durante il concerto, riservato ai soci FanClub, l’artista di Solarolo canterà i brani di maggiore successo della sua lunga e fortunata carriera. Un po’ col contagocce la Pausini sta svelando particolari dell’attesa serata attraverso i social. Al momento, si sa che il tema della festa sarà Be Me, ovvero Essere Me, per cui i fan si vestiranno come Laura Pausini nei video e nei concerti. “Sbizzarritevi!”, è l’invito della cantante che dà anche appuntamento per il nuovo gioco sui look che prende vita tramite le sue Stories di Instagram.

Capitale 2022 dei DRAGON BOAT RAVENNA Chi è dotato di buona memoria non può certo aver dimenticato l’invasione di canoe cinesi nel 2014, in occasione dei mondiali per Club di Dragon Boat. Una buona notizia per Ravenna: nel 2022 ospiterà nuovamente imbarcazioni orientali in occasione del campionato europeo per squadre nazionali. L’atteso evento, che porterà 3.500 atleti per una decina di giorni per un totale di circa 80.000 presenze, si svolgerà nel bacino della Standiana. Come sono fatte le Dragon Boat? Sono canoe con una testa di drago sulla prua, un timoniere a poppa per mantenere la rotta, un tamburino a prua per il ritmo di pagaiata e venti atleti nello standard boat da 12,5 metri oppure dieci nello small boat da 9 metri. La candidatura, presentata da Apt Servizi Emilia-Romagna insieme alla Federazione Italiana Dragon boat, ha raccolto l’unanime consenso del Council grazie al progetto sportivo che vede coinvolto il Comune di Ravenna. “L’obiettivo,” annuncia l’assessore regionale al turismo Andrea Corsini, “è quello di fare del Bacino della Standiana il punto di riferimento europeo per le competizioni dei Dragon Boat e per gli appuntamenti nazionali e internazionali di canottaggio. È un altro importante traguardo per il turismo sportivo, segmento in forte crescita, a Ravenna e per tutta la Destinazione Romagna.”

completamente Made in Italy. Questo è l’obiettivo del neonato Consorzio Zenzero Italiano di Faenza che ha appena avviato la produzione, promettendo l’arrivo delle prime quote di prodotto sul mercato già nelle prossime settimane. Ideatore del progetto è Massimo Longo, fondatore di Agritechno che fa parte del Consorzio insieme ad altri big dell’ortofrutta: Valfrutta Fresco (business unit di Apo Conerpo), la cooperativa romagnola Agrintesa e la multinazionale della frutta Del Monte. Una grande sfida per offrire da un lato nuove opportunità ai produttori italiani e dall’altro prodotti di maggior qualità ai consumatori, ben oltre gli standard garantiti dallo zenzero d’importazione asiatica o sudamericana. D’altra parte lo zenzero sta conquistando tutti.

100 anni di TEATRO SOCJALE PIANGIPANE Nel 2020 il Teatro Socjale di Piangipane festeggia i

cent’anni della costruzione. Motivo per cui è stato predisposto un prestigioso cartellone che porterà in Romagna ben tre celebri cantautori italiani: Morgan il 24 gennaio, Giovanni Truppi il 28 febbraio e Vinicio Capossela il 27 marzo. E ci sarà spazio anche per i monologhi dell’irrefrenabile Gene Gnocchi nelle vesti di The Legend l’1 febbraio, del cantastorie Roberto Mercadini il 14 marzo e dell’ironico Dario Ballantini che ricorderà Lucio Dalla il 3 aprile. Per gli amanti del jazz, da non perdere Paolo Fresu & Bebbo Ferra il 13 marzo ed Enrico Rava insieme a Roberto Taufic il 17 aprile. Due gli appuntamenti dedicati all’opera: quello del 17 gennaio con Il barbiere di Siviglia, dramma comico di Rossini eseguito dall’Orchestra Corelli diretta da Jacopo Rivani e quello del 7 febbraio con Katia Ricciarelli & Trio Iftode. 4

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ANNOTARE

Inaugura il nuovo AMBULATORIO

MILANO MARITTIMA Fino

RAVENNA Una bella notizia

al prossimo 15 febbraio, sarà possibile ammirare le meravigliose installazioni del villaggio più luminoso d’Italia, grande novità del Natale di MiMa Wonderland. Un vero e proprio viaggio esperienziale tra viale Gramsci e viale Matteotti, con ben 40 km di luci, 320.000 lampadine, 60 opere d’arte, 140 abeti. Le sculture luminose riproducono soggetti di fiabe senza tempo, come la carrozza di Cenerentola, la balena di Pinocchio o il veliero di Capitan Uncino. Lo scenario lumière più emozionante della riviera è nato da un’idea di Cels Group e realizzato in collaborazione con l’amministrazione comunale e la Proloco di Milano Marittima. Cels Group è noto per l’organizzazione di grandi eventi nella Penisola Araba: dal Capodanno Cinese, al Dubai Mall, al Katara Culural Village di Doha.

per l’ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna che è in prima linea contro melanomi e carcinomi cutanei. Nei giorni scorsi, infatti, è stata inaugurata la rinnovata Skin Cancer Unit che dipende dall’Irst – istituto tumori della Romagna Irccs di Meldola ma è totalmente integrata con l’Ausl e quindi al servizio dei cittadini. Il nuovo super ambulatorio, diretto dal professor Ignazio Stangalli, è anche polo di formazione e didattica dell’Università di Parma. Grazie inoltre alle strumentazioni all’avanguardia, si pone così come una delle migliori e innovative realtà nel panorama specialistico dermatologico e multidisciplinare a livello nazionale. Il futuro di Ravenna è tutto in crescita, se si considera la prossima apertura della facoltà di Medicina.

ph ATP Tour

MiMa WONDERLAND

Andrea Gaudenzi PRESIDENTE ATP FAENZA Dall’1 gennaio 2020, il faentino Andrea Gaudenzi inaugura

ufficialmente il suo nuovo prestigioso incarico: presidente dell’Atp, il sindacato che gestisce il circuito dei tennisti professionisti di tutto il mondo. Un bel traguardo per il 46 enne, ex miglior tennista italiano salito fino al numero 18 della classifica mondiale, battendo fenomeni come Federer e Sampras. Una volta appesa la racchetta al chiodo, si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna e ha conseguito un master in Business Administration a Montecarlo. Un percorso anomalo per uno sportivo che ha poi deciso di trasferirsi a Londra con la sua famiglia, diventando un brillante manager di start-up nel settore della tecnologia, dell’intrattenimento e dei media. E ora, una nuova sfida attende l’ex tennista-imprenditore.


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Il posto dove vivere.


ESSERE

Tessera dopo

TESSERA

FELICE NITTOLO HA SCELTO RAVENNA PER AMORE DEL MOSAICO, CHE HA CONTRIBUITO A RENDERE CONTEMPORANEO CON L’A-RITMISMO, IL MOVIMENTO ARTISTICO DA LUI FONDATO. di Anna De Lutiis / ph Massimo Fiorentini

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Definire Felice Nittolo mosaicista è molto riduttivo. In realtà è un artista a tutto tondo perché, accanto alle sue creazioni musive, si dispiega un vasto campo che lo vede protagonista in differenti tecniche come la pittura, la scultura, l’installazione ambientale, l’arte vetraria, la ceramica, il design, la fotografia e la scenografia. La poesia, poi, accompagna e scandisce i momenti importanti della sua vita a partire dagli anni dell’adolescenza, quando sognava già di oltrepassare i confini di un paesino che gli stava stretto: Fanciullo / sui tetti scrutavo / l’orizzonte / dall’aia infuocata distese / d’avellane mi fissavano. / La sera / quando le cicale / smettono di cantare / le lucciole illuminano / lo stradone / quasi a contare le avellane / e col loro ticchettio / rompono il silenzio magico / d’una notte d’estate. L’artista nasce a Capriglia Irpina il 15 maggio 1950. Dopo la prima formazione in ceramica all’Istituto Statale d’Arte di Avellino e in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli, si trasferisce a Ravenna.

È vero che è arrivato nell’ex capitale bizantina per amore del mosaico? “Frequentavo l’Accademia a Napoli quando, negli anni ’68-69, vinsi il concorso indetto dalla Regione Emilia-Romagna che mi diede la possibilità di studiare il mosaico tre anni a Ravenna. La borsa di studio consisteva in 70.000 lire al mese che, una volta pagato l’affitto, non mi permettevano certo una vita brillante. Allora dipingevo i monumenti famosi di Ravenna, che vendevo a poche centinaia di lire.” Decise in seguito di restare a Ravenna, senza però mai dimenticare o rinnegare le sue origini… “Non provo nostalgia ma spesso torno a casa organizzando delle mostre che rappresentano un filo mai interrotto con le mie terre. Nei primi anni trascorsi a Ravenna ebbi modo di frequentare importanti artisti mosaicisti come Bartolotti, Bulgarelli, Signorini, Rocchi. Sentivo crescere in me la passione per il mosaico che, in quel periodo, consisteva essenzialmente nella traduzione


IN MAGAZINE

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“DECISI DI PROCEDERE IN SOLITUDINE. INIZIAI A REALIZZARE LE MIE OPERE NEL PICCOLO STUDIO DI VIA SAN MAMA. IL MIO RITMO ERA, ED È RIMASTO, FRENETICO. QUANDO AVEVO UN’IDEA DOVEVO VEDERLA REALIZZATA AL PIÙ PRESTO.”

IN QUESTE PAGINE, FELICE NITTOLO NEL SUO STUDIO A RAVENNA.

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da quadri famosi come quelli di Guttuso, Chagall oppure nella riproduzione di mosaici antichi e bizantini. Il mio desiderio, dopo aver acquisito le regole, la grammatica del mosaico, era invece di dipingere con il mosaico. Ma mi resi conto che Ravenna era ancora molto legata alle tecniche tradizionali. Fu allora che decisi di procedere in solitudine. Iniziai a realizzare le mie opere nel piccolo studio di via San Mama. Il mio ritmo era, ed è rimasto, frenetico. Quando avevo un’idea dovevo vederla realizzata al più presto.” Daniele Torcellini scrive di lei: “Felice Nittolo e il suo percorso rappresentano una brillante sintesi o, verrebbe da dire, una estenuante ricerca di sintesi”. “Infatti, dopo un decennio di esperienze passai dall’obbedienza alle vecchie regole alla rottura

delle forme tradizionali del mosaico, proponendo un movimento artistico che definii A-ritmismo.” Perché ha scelto proprio la parola A-ritmismo? “Ogni libro che parla di mosaico sottolinea che il mosaico ha un suo ritmo. Siccome non riuscivo a dialogare su questo argomento con la realtà artistica del momento decisi di assumere un mezzo provocatorio, infatti A-ritmismo intende proprio la negazione del ritmo. Consiste in interstizi, intervalli insieme diversi e costanti di spazio, aria e luce fra tessere singolarmente tagliate in modo mai uguale ma similare.” Sono cinquanta gli anni della sua carriera. Come riassumerli in breve? “La mia prima personale fu realizzata nel 1970 al Circolo della Stampa di Avellino. Avevo solo vent’anni. Non è stata certamente la più importante, ma per me fu il primo ritorno nelle mie terre d’origine. Tra le prime opere di rottura metterei l’ormai famoso Cappotto di tessere, notato da Philippe Daverio, storico dell’arte. Nel 1984 fui ospitato dall’Università Cattolica di Louvain-la-Neuve, e fu l’occasione per imporre all’attenzione internazionale il mio manifesto di Aritmismo”. Dopo prese il volo verso altri Paesi e continenti? “Sì, dalla mostra alla Urban Glass

Contemporary School Design di New York a quelle in Inghilterra, a Exeter, Chichester, Sheffield; poi in Francia, Germania, Austria. Di nuovo a New York, Chicago, Seattle e San Diego.” Il Giappone ha sempre apprezzato molto la sua teoria evolutiva sui mosaici? “Il suono del silenzio fu ospitata dai Musei d’Arte di Kawagoe e Saitama. In Bosnia Erzegovina portai la rassegna Incantamenti. Nel frattempo si moltiplicavano le mostre anche in Italia. Tra le più recenti, quella nel Monastero di Camaldoli, La pietra e l’oro, curata da Giovanni Gardini, mentre il Castello Estense e Torre Abate di Meldola ospitarono Terre D’Acqua, curata da Maria Rita Bentini.” È tornato nuovamente nelle sue terre? “Sì, nelle sale del Palazzo delle Arti a Napoli, con Litoritmo, curata da Daniela Ricci e organizzata dalla Alessandro Vitiello; alla Home Gallery di Roma, in collaborazione con l’assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, con lucidità futurista, in cui sono esposte le carte, le tele e le pietre, 30 tra i lavori più rappresentativi del mio percorso artistico.” A Ravenna si è inserito con successo nella Biennale Internazionale del mosaico contemporaneo 2019.


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“Sì, con La luce si fa forma a cura di Linda Kniffitz, dove sfere e croci, forse gli elementi che maggiormente identificano il mio percorso, sono state esposte, a novembre, al Battistero Neoniano, al Museo Arcivescovile e alla Cappella di Sant’Andrea, luoghi simbolo della più alta tradizione musiva. Un dialogo tra i mosaici antichi e quelli contemporanei.” Lei esegue anche lavori su commissione? “Faccio fatica a produrre un’opera se mi viene chiesta espressamente, perché lavoro d’impulso, devo sentire dentro di me lo stimolo, cosa che mi capita in qualsiasi momento della giornata e anche di notte. Da sempre sento in me una energia che deve esplodere all’esterno per prendere forma e allora non ci sono orari prefissati, ogni momento può essere quello giusto.”

“FACCIO FATICA A PRODURRE UN’OPERA SE MI VIENE CHIESTA ESPRESSAMENTE, PERCHÉ LAVORO D’IMPULSO, DEVO SENTIRE DENTRO DI ME LO STIMOLO, COSA CHE MI CAPITA IN QUALSIASI MOMENTO DELLA GIORNATA E ANCHE DI NOTTE,” AFFERMA NITTOLO.

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Il suo studio è anche il regno in cui accoglie amici italiani e stranieri e anche che, quando le viene chiesto di allestire una mostra con i suoi quadri, lei li lascia scegliere senza mettere dei veti. “A volte, però, quando devo affrontare scelte particolari, come è capitato con quelle al Museo Arcivescovile, ho sentito il bisogno di restare solo nel luogo, per poter avvicinare nel silenzio più totale le opere che avreb-

bero dialogato con le mie.” Riesce a trovare un piccolo spazio solo per sé, per i suoi affetti, per le sue relazioni sociali? “I momenti per la famiglia non mancano mai. Sono abile a sfruttare la tendenza a svegliarmi molto presto e a vivere intensamente quei primi istanti della giornata. Quando ero a Venezia, scattavo foto alle cinque del mattino: un’emozione unica. La stessa cosa faccio quando vado all’estero. Ho fatto anche mostre con le fotografie perché ho considerato che, in fondo, ogni foto può essere considerata come una tessera. Ecco, se non esco, impiego le prime ore del mattino nel mio studio, al lavoro: anche se sono passati tanti anni nulla è cambiato.” In ultimo, è vero che lei ama definire il suo lavoro con scritti o poesie? “Comporre un mosaico è un po’ come scrivere una poesia o un brano di musica. Il mosaico non è semplice decorazione ma espressione di sensazioni ed emozioni che sono all’interno del mio pensiero filosofico, estetico, poetico, concettuale.”


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RINASCERE

Bentornato,

MERCATO

COOP ALLEANZA 3.0 E MOLINO SPADONI HANNO PORTATO A TERMINE IL PROGETTO DI RECUPERO DI UN LUOGO STORICO IN PIAZZA ANDREA COSTA, ORA RIAPERTO PER LA GIOIA DI RAVENNATI E TURISTI.

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di Chiara Bissi / ph Massimo Fiorentini

Nel cuore della città d’arte riprende vita l’antico mercato alimentare dopo sette anni di riqualificazione e restauri. Un’immagine rinnovata e funzionale che non tradisce i volumi e le forme dell’edificio del Mercato Coperto di Piazza Andrea Costa, costruito nel 1922. Il progetto firmato dall’architetto Paolo Lucchetta rende omaggio a un luogo fin dal Medioevo sede del mercato del pesce con la corporazione dei pescatori Casa Matha, e prima ancora dedicato ai commerci, a partire dal V secolo dopo Cristo. La storia recente ha visto compiersi l’iter della riqualificazione, iniziato nel settembre 2013 con l’aggiudicazione del bando per la gestione all’allora Coop Adriatica. Nonostante i tanti imprevisti e le polemiche che hanno accompagnato il recupero, dal 5 dicembre il Mercato Coperto è in piena attività, tutti i giorni dalle 8 alle 24. Il progetto ha comportato un investimento di oltre 13 milioni di euro: 10,4 milioni di Coop Alleanza 3.0 per il restauro e la realizzazione del punto vendita Coop e 2,7 milioni di euro di Molino Spadoni che ha curato l’allestimento. All’interno, dove lavorano oltre 40 addetti, si

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trovano due ristoranti e sette banchi alimentari, ovvero panetteria, pescheria, salumi e formaggi, piadineria, macelleria, succhi ed estratti, gastronomia e griglieria. E ancora una caffetteria, una pralineria e gelateria al piano terra. Il punto vendita Coop in 230 mq propone ortofrutta biologica e prodotti per la piccola spesa quotidiana. Al primo piano si apre un cocktail bar con spazio per eventi culturali, libreria e temporary shop. Tra le novità c’è la realizzazione proprio del primo piano che ha portato a 4.000 mq la superficie calpestabile. Inoltre è stato ripristinato l’ingresso su via Cavour. L’intervento ha cercato di conservare il più possibile l’esistente evitando demolizioni, opere di trasformazione della struttura e scegliendo materiali e tecnologie ecocompatibili. Per gli arredi e l’allestimento, Molino Spadoni ha scelto pezzi unici di antiquariato e modernariato raccolti personalmente da Leonardo Spadoni e Beatrice Bassi, amministratore di Mc, la società dedicata alla gestione dell’investimento che ha siglato un contratto di affitto con Coop, in base alla

IN ALTO, UNO SGUARDO SUL NUOVO MERCATO COPERTO. NELLA PAGINA SEGUENTE, UNA FOTO DELL’INAUGURAZIONE.


IL PROGETTO HA COMPORTATO UN INVESTIMENTO DI OLTRE 13 MILIONI DI EURO: 10,4 MILIONI DI COOP ALLEANZA 3.0 E 2,7 MILIONI DI EURO DI MOLINO SPADONI. L’INTERVENTO HA CERCATO DI CONSERVARE IL PIÙ POSSIBILE L’ESISTENTE EVITANDO DEMOLIZIONI.

concessione del Comune della durata di 35 anni. In questo lavoro Molino Spadoni si è avvalso dell’aiuto e della creatività di molti artigiani: fabbri, elettricisti, falegnami, tappezzieri, coordinati da Costa Group, che firma il progetto generale e ha contribuito alla realizzazione dell’insieme. Elegante, dal gusto internazionale, Ravenna con il recupero del Mercato Coperto offre un luogo di attrazione economica e sociale, dalla spesa quotidiana dei residenti, alla sosta e intrattenimento dei cittadini, alla scoperta di sapori della tradizione per i turisti e i viaggiatori. Alta qualità dei prodotti, preparazioni fatte

al momento, varietà di offerta, cura dei dettagli e degli arredi sono la chiave dell’intervento. Passeggiando all’interno del mercato ogni elemento è pensato per accogliere e invogliare alla permanenza. Dalle sfogline che preparano paste fresche della tradizione, al banco delle piadine, alla pescheria dove reti e ceste diventano lampadari e una barca per la pesca dell’anguilla si trasforma in un tavolo. E ancora la grande griglia per la preparazione delle carni e la ricchezza di tavoli e sedie, tutti pezzi unici per la zona ristorante. Animali totem in vari materiali accompagnano i visitatori in posizioni strategiche. Dai IN MAGAZINE

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OGNI ELEMENTO È PENSATO PER ACCOGLIERE E INVOGLIARE ALLA PERMANENZA. TAVOLI, SEDUTE, BANCONI BAR SONO STATI ACCURATAMENTE SELEZIONATI COMPONENDO UNO SPAZIO GRADEVOLE DOVE TROVA POSTO ANCHE UN PALCO PER EVENTI MUSICALI.

due leoni in marmo all’ingresso, a galli e maiali in metallo fino al restauro e nuova collocazione dei due delfini, o forse pistrici, creature marine mostruose della mitologia greca e romana. Per Casa Matha, proprietaria della coppia di animali, si tratta di delfini che decoravano l’esedra Vignuzzi, l’edificio precedente la costruzione dell’attuale Mercato. Erano due i gruppi scultorei.

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La coppia superstite, per il Primo Massaro della Casa Matha, Maurizio Piancastelli, rappresenta due delfini, simbolo di fortuna e ricchezza, come avviene nelle decorazioni musive della basilica di San Vitale e nel mausoleo di Galla Placidia. Al Mercato Coperto oltre che per gli acquisti è possibile fermarsi al primo piano per una sosta libera, per incontri di lavoro o semplicemente per due chiacchere. Tavoli, sedute, banconi bar sono stati accuratamente selezionati componendo uno spazio gradevole dove trova posto anche un palco per eventi musicali e di intrattenimento. L’intenzione infatti è di far vivere il Mercato grazie a una molteplicità di appuntamenti nel corso dell’anno. “È un intervento di qualità che restituisce a cittadini e turisti un luogo simbolo di Ravenna,” spiega il sindaco di Ravenna, Michele de Pascale, “recu-


DA NOI IMPLANTOLOGIA DENTALE DIGITALE Nelle nostre sedi utilizziamo quotidianamente e per tutti i pazienti un approccio digitale all’implantologia, con chirurgia computer-guidata. Questo ci consente di pianificare in anticipo le fasi dell’intervento, dal più semplice al più complesso. I benefici sono: interventi precisi, meno invasivi, con un decorso post operatorio più veloce (grazie all’uso della mascherina chirurgica) e più confortevole, perchè, quando clinicamente possibile, non utilizziamo il bisturi (nè incisioni, nè punti di sutura).

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(*) Messaggio informativo ai sensi ai sensi del combinato disposto di cui all’art 2 D.L. 223/2006 e art. 1 comma 525 L 145/2018. Terapia sanitaria soggetta a visita preventiva odontoiatrica e diagnosi personalizzata suscettibile di variazioni su indicazioni del medico. Il Listino dei trattamenti sanitari è disponibile presso le sedi di Ravenna, Faenza e Cesena.


IN QUESTA PAGINA, I NUOVI SPAZI DEL MERCATO COPERTO.

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perando uno degli immobili più rappresentativi del nostro centro storico. Desiderio della città era di riavere questo spazio pubblico. Due importanti realtà imprenditoriali del territorio hanno deciso di investire in un luogo di incontro, di socialità e cultura, aperto da mattino a tarda sera, nel cuore di Ravenna in una zona che negli ultimi anni è divenuta il distretto del gusto, arricchendosi di tante attività commerciali e di locali pubblici. Ora il Mercato Coperto è rinato.” Una soddisfazione condivisa con il vicepresidente della Coop Andrea Volta che ha ribadito l’intenzione di “contribuire anche così a riqualificare, rafforzare e migliorare il centro storico e il commercio intervenendo su un edificio di valore.” E non nasconde l’emozione anche Leonardo Spadoni, amministratore delegato con un fatturato consolidato di 51 milioni di euro: “Abbiamo capito che il Mercato Coperto di Ravenna non è un solo luogo, ma mille luoghi, non una sola vocazione, ma tante anime. Ed è questa varietà che abbiamo cercato di trasmettere pensando interni e arredi, facendo rivivere lo spirito delle botteghe e le lavorazioni artigiane che sono il cuore del sapere italiano del cibo. È uno spazio pensato per essere vissuto da ravennati e turisti, da chi ama

ANIMALI TOTEM ACCOMPAGNANO I VISITATORI IN POSIZIONI STRATEGICHE. DAI DUE LEONI IN MARMO ALL’INGRESSO, A GALLI E MAIALI IN METALLO FINO AL RESTAURO E NUOVA COLLOCAZIONE DEI DUE DELFINI, O FORSE PISTRICI, CREATURE DELLA MITOLOGIA.

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L’

L’assaggio dell’aglio nero della Corea, cinque anni fa, è piaciuto così tanto da decidere di farlo da soli in Italia, per uso personale. Così, Stefano Silvi, Davide Bersani e Chato Della Casa, i tre soci della società d’ingegneria RES (Reliable Environmental Solution), ne parlano con l’amico e collega Tommaso Pavani della società agricola AI di Voghiera, in provincia di Ferrara. Insieme, poi, decidono di uscire dalla sfera personale e di aumentare le dimensioni della sperimentazione. A quel punto nel progetto, denominato NeroFermento, entrano anche la mamma e lo zio di Tommaso, sempre ferraresi: Gianpaolo Barbieri, che ha in capo tra le altre cose lo sviluppo della polvere d’aglio, e Neda Barbieri, che gestisce i contatti col Consorzio dell’Aglio di Voghiera Dop. AI e RES, quindi, hanno unito le forze dando l’apporto tecnologico, la materia prima e i contatti per capire come sviluppare l’idea. Stefano Silvi, come è iniziata la sperimentazione? “Costruendo un macchinario apposta e facendo assaggiare la qualità del prodotto finale a tutti gli chef che già collaboravano con il Consorzio di Voghiera, fra cui Igles Corelli, del locale Mercerie a Roma, e anche ad Atos Migliari, de La Chiocciola di Portomaggiore. Successivamente siamo andati all’Alma di Colorno per confrontarci su come veniva servito l’aglio ai giapponesi e ai coreani. Tutti ci hanno incoraggiato a fare la start-up”. Qual è l’obiettivo primario di NeroFermento? “Creare un prodotto esotico partendo dal nostro territorio. In questo caso, dall’Aglio di Voghiera, paese ampiamente riconosciuto per l’eccellenza del suo storico aglio bianco classificato per primo in Europa come aglio Dop, alla cui coltivazione contribuiscono più di 40 produttori. La nostra lavorazione per rendere nero l’aglio di certo incuriosisce tutti coloro che vorrebbero copiarci, ma la cosa non ci spaventa perché crediamo che la

concorrenza faccia bene. Siamo comunque nella prima pagine di Google nonostante non abbiamo mai fatto un ads. Guardando al futuro, cercheremo di continuare a innovare sempre valorizzando il territorio.” Non avete pensato di brevettare la vostra tecnologia? “Il macchinario e il software sono stati sviluppati al 100 per cento da noi. Non li abbiamo ancora brevettati perché non vogliamo fare consulenza per i primi cinque anni. Pertanto, l’unico modo che avrebbero gli altri per copiarlo sarebbe di rubarlo…”. Da cosa prende ispirazione il progetto? “Da antiche tradizioni coreane e giapponesi, nelle quali la fermentazione nasce come metodo

“LA NOSTRA LAVORAZIONE PER RENDERE NERO L’AGLIO DI CERTO INCURIOSISCE TUTTI COLORO CHE VORREBBERO COPIARCI, MA LA COSA NON CI SPAVENTA PERCHÉ CREDIAMO CHE LA CONCORRENZA FACCIA BENE.” RACCONTA STEFANO SILVI DI NEROFERMENTO.

di conservazione degli alimenti. C’è da dire però che, in realtà, la Corea ne ha fatto un prodotto un po’ più industriale dai primi anni 2000”. Perché l’aglio diventa nero ed è considerato un superfood? “Non ci sono ingredienti aggiunti, non mettiamo nessun inoculo. Nel lungo processo l’aglio perde il 90% della parte solforosa, l’allicina. Questi sono dati certi perché collaboriamo con l’Università di Ferrara. Il processo dura sessanta giorni: tramite la fermentazione e maturazione, si caramellano gli zuccheri e l’aglio assume dunque una nuance molto scura, da qui il nome NeroFermento. Questo proIN MAGAZINE

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“IL PROCESSO DURA SESSANTA GIORNI, RENDENDOLO PIÙ DIGERIBILE: TRAMITE LA FERMENTAZIONE E MATURAZIONE, SI CARAMELLANO GLI ZUCCHERI E L’AGLIO ASSUME DUNQUE UNA NUANCE MOLTO SCURA, DA LÌ IL NOME NEROFERMENTO.”

cedimento lo rende più digeribile e meno impattante al palato, a livello organolettico prende aromi di liquirizia, aceto balsamico, prugna secca e il motivo per cui è un superfood è perché abbiamo le prove che aumenta di 17 volte gli antiossidanti: polifenoli e bioflanoidi. Quindi è 1.700 volte superiore alle comuni caratteristiche benefiche rispetto all’aglio di partenza. Si perdono solo un

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po’ più di capacità antibiotiche e antisettiche, ma a livello infinitesimale.” L’aglio viene processato con la buccia? “Sì. Questo è importante perché i nostri concorrenti, al contrario, lo processano già sbucciato, perdendo così buona parte delle proprietà. Le macchine che sbucciano l’aglio in genere usano la pressione dell’aria mentre noi lo facciamo ancora a mano perché i nostri agli sono più morbidi. Stiamo pertanto studiando, sempre come RES, un macchinario per automatizzare questo passaggio.” Dove avviene la lavorazione? “La sbucciatura dell’aglio viene eseguita da un laboratorio perché noi siamo solo trasformatori, mentre la sede delle lavorazione – dove accade la magia del cromatismo – è a Ravenna in via Romea Nord 246, nell’ex azienda agricola Marani, ora proprietà e sede dell’Engim che opera nell’ambito della formazione professionale. Il

nostro è un prodotto di nicchia ma i macchinari possono tranquillamente sopperire alle richieste della grande produzione a cui rivolgiamo un’altra linea: Aglio Nero e non la Nero di Voghiera, stessi processi ma una selezione delle teste più piccole.” Avete altre novità che bollono in pentola nel mondo dei fermentati? “Stiamo mettendo a punto la Linea Biologica, molto importante perché siamo già certificati biologici e in febbraio parteciperemo a una delle più interessanti fiere del bio a Norimberga, BioFach 2020, con una nuova linea partendo con le teste d’aglio e la crema. Nata sul filone salutistico, la polvere è invece un nuovo prodotto, già inserito a catalogo, che sta piacendo molto anche ai ristoratori e con il quale facciamo il GinToner con Stella Palermo in arte Monica e Tonica bartender a Faenza, che miscela tale polvere con un Gin particolare ai capperi, il Gin Gadir.” Che premi avete vinto? “Nel 2017 abbiamo vinto il premio Cambiamenti della provincia di Ravenna. Poi, siamo stati inseriti come Innovatori Responsabili della Regione Emilia-Romagna e abbiamo conseguito il Premio Innovazione di Coldiretti Oscar Green 2019.” Progetti in cantiere per il prossimo futuro? “Abbiamo già testato lo Scalogno Nero di Romagna IGP che uscirà a breve, mentre sono stati avviati esperimenti con la Cipolla di Medicina. Non escludiamo di valutare anche altre preminenze non locali, ma sempre Made in Italy, come la Cipolla Borrettana.”


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SUONARE

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FRONTIERE FRANCO EMALDI HA SAPUTO AVVICINARE I RAGAZZI ALLA MUSICA FORMANDO L’ORCHESTRA DEI GIOVANI DI RAVENNA. ALL’INSEGNA DELLA CONTAMINAZIONE ARTISTICA E DELLE COLLABORAZIONI CON ALTRE REALTÀ EUROPEE.

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di Anna De Lutiis / ph Massimo Fiorentini

Nel campo musicale si fanno sempre nuove scoperte. L’ultima riguarda tre formazioni: Orchestra di Fiati, Big Band e Brass Band, tutte dirette da Franco Emaldi, docente di tromba alla scuola secondaria di primo grado a indirizzo musicale Don Minzoni. Emaldi è l’ideatore del progetto e fondatore dell’associazione a promozione sociale ODG (Orchestra Dei Giovani Asp) nata nel 2012, oggi impegnata a pieno ritmo nelle manifestazioni musicali e istituzionali. Lo scorso 30 novembre ha inaugurato – come di consueto – l’accensione dell’albero di Natale in piazza del Popolo a Ravenna, mentre il 20 dicembre si è esibita, nella formazione Big Band, al teatro Socjale di Piangipane, insieme a Mario Biondi, nello spettacolo Natale al Socjale. Non basta insegnare musica per creare un’orchestra di giovani, ci vuole passione, la stessa che lei è riuscito a trasmettere. Da dove nasce? “Ero piccolo e ascoltavo la musica jazz di cui mio padre era appassionato. Erano per lui momenti sacri ma io mi insinuavo silenzioso nella stanza e ascoltavo i più grandi nomi dei jazzisti americani. A otto anni iniziai a suonare la

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batteria, non avevo quella vera e usavo sedie e divani, che facevano una brutta fine. In seguito frequentai la scuola Malerbi di Lugo e lì iniziai con la tromba. Nacque una grande passione, per cui Ragioneria, che frequentavo, passò in secondo piano. Fu allora che, insieme a un insegnante, cominciai a girare l’Italia, suonando in una compagnia di operetta.” Se oggi insegna musica, però, è perché ha portato a termine gli studi! “Sì. Tornai indietro e mi diplomai in Ragioneria. E non solo, cominciai a lavorare in banca finché le giornate mi sembrarono a un tratto inutili e fui ripreso dall’antica passione. Così, decisi che la mia vita sarebbe stata la musica che fra l’altro mi ha permesso di conoscere il mondo: ho suonato molto all’estero e ho arricchito, nel frattempo il mio repertorio aggiungendo anche qualcosa di classico.” Come nasce l’idea di un’orchestra di giovani? “Il progetto risale al 2012 e si è sviluppato in collaborazione con il Ravenna Festival con l’intento di promuovere e diffondere lo sviluppo della cultura musicale nei ragazzi di età scolastica at-

IN ALTO, IL DOCENTE FRANCO EMALDI.


“ERO PICCOLO E ASCOLTAVO LA MUSICA JAZZ DI CUI MIO PADRE ERA APPASSIONATO. A OTTO ANNI INIZIAI A SUONARE LA BATTERIA, NON AVEVO QUELLA VERA E USAVO SEDIE E DIVANI, CHE FACEVANO UNA BRUTTA FINE. IN SEGUITO FREQUENTAI LA SCUOLA MALERBI DI LUGO.”

traverso l’esperienza orchestrale e del fare musica insieme. Ogni anno ho associato giovani musicisti provenienti dalla scuola secondaria, quella in cui insegno, e da diverse realtà musicali del territorio: laboratori e scuole di musica, Liceo Musicale Statale di Forlì e i Conservatori della Regione Emilia-Romagna.” Come fa a tenere insieme ragazzi di 12 e 20 anni? “Va detto anzitutto che la musica non ha barriere di alcun genere. Comunque abbiamo diverse formazioni e quindi diversi livelli di inserimento. D’altro canto anche io ho fatto diverse esperienze passando dal lavorare alla Scala, con Zeffirelli regista, al Piccolo Teatro di Milano, fino alle navi da crociera e alla collaborazione con Andrea Mingardi. Insomma ho sempre cercato di fare tutte

le esperienze possibili, sia con personaggi importanti che con tante diverse tipologie di musica. Stanco infine di fare di continuo le valigie, sono entrato nel corso a indirizzo musicale di cui sono diventato coordinatore: nasce tutto da qui.” Ogni formazione porta avanti un proprio programma. Di cosa si tratta? “L’ODG vanta la partecipazione alle sei edizioni di Pazzi di Jazz, organizzate da Jazz Network Ravenna e inserite nel Ravenna Jazz Festival, con la direzione e gli arrangiamenti del maestro Tommaso Vittorini, che ha visto alternarsi i solisti Paolo Fresu, Enrico Rava, Mauro Ottolini, Alien Dee e Ambrogio Sparagna. Abbiamo stabilito collaborazioni con la Fondazione Ravenna Manifestazioni e sono tante, ormai, le nostre esibizioni: all’Expo 2015, al Teatro Dal Verme e Palazzo Mezzanotte di Milano, al Jazz Italiano per le Terre del Sisma 2017, a Spiagge Soul Festival. Inoltre possiamo essere orgogliosi di aver collaborato con vari musicisti tra cui il trombettista Fabrizio Bosso ed eseguito musiche scritte e arrangiate dai maestri Stefano Nanni e Alessandro Spazzoli.” Nel mese di luglio avete preso parte all’evento La musica della luna in piazza San Francesco, a Ravenna e avete eseguito brani evergreen come Blue Moon, Moon River, Walking on the Moon. “Cerchiamo, è vero, di cogliere tutte le occasioni e, come è già capitato, ci piace il confronto artistico con realtà europee legate alla musica: sono stati ospitati gli amici svizzeri della Musikschule di Gürbetal, uno scambio con la città tedesca di Dachau sede della Bigband Dachau e un concerto per il gemellaggio con la città inglese di Chichester. Ci stiamo organizzando per i programmi futuri ma la cosa più importante è permettere ai ragazzi di poter continuare a coltivare la loro passione per la musica, anche oltre il periodo scolastico.” IN MAGAZINE

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FORLINI OPTICAL HUB LA CULTURA DELL’OTTICA

DA UN’IDEA DI GIANNI FORLINI, NASCE A RAVENNA L’OPTICAL HUB, UN LUOGO D’INCONTRO E SCAMBIO PER LA CULTURA OTTICA IN ITALIA, IN GRADO DI ARMONIZZARE ASPETTI TECNICI E TENDENZE DI MODA.

Ispirandosi ai tre valori-pilastri – tecnologia, innovazione e persone – che da sempre contraddistinguono il lavoro dell’ottico-imprenditore Gianni Forlini, nasce l’Optical Hub di Via Cairoli 15 a Ravenna, un luogo fisico d’incontro e scambio per la cultura ottica in Italia, in grado di armonizzare aspetti tecnici e tendenze di moda. Inaugurato ufficialmente lo scorso 29 novembre, si tratta di un nuovo naturale e coerente tassello del percorso intrapreso dall’Ottica Gasperini situata nella stessa strada, con alle spalle sessant’anni d’esperienza – traguardo storico che sarà celebrato nel 2021 – a cui si è affiancata, dal 2006, l’Ottica Forlini, secondo negozio con sede in Via Berlinguer 82, sempre a Ravenna. Due attività che fanno capo a Forlini, imprenditore da 15 anni e optometrista da oltre 30. “Quando ho saputo

della possibilità di rilevare e ristrutturare i locali di quello che un tempo era uno studio legale,” spiega Forlini, “inizialmente pensavo alla possibilità di spostare l’ambulatorio del piano terra per ampliare gli spazi commerciali. Poi, però, a ispirarmi un progetto più articolato e ambizioso è stato proprio il felice mix di antico e moderno dei locali, che è un po’ la metafora della nostra stessa azienda: da un lato, la storia e la nostra provenienza, visto che abbiamo raccolto l’eredità di Gasperini di cui abbiamo mantenuto il nome nel negozio del centro storico, e dall’altro lo sguardo rivolto al futuro, per tutto ciò che riguarda la cura della clientela e gli aspetti espositivi.” Nel 2017, infatti, il punto vendita di Via Cairoli è stato riaperto al pubblico completamente rinnovato con nuovi ambienti che consentono al pubblico

una coinvolgente esperienza sensoriale. Tanta tecnologia dunque ha fatto il suo ingresso nell’ottica, per un servizio altamente innovativo, portato avanti da personale adeguatamente formato. Il nuovo Optical Hub è in linea con l’attuale mercato in continua evoluzione e con le molteplici esigenze della clientela. Salendo lungo un’elegante scala storica, si accede a un ambiente ampio e accogliente, interamente rinnovato grazie a un progetto che accosta elementi di design a pezzi d’antiquariato recuperati. Dopo aver superato il nuovo ufficio dedicato all’amministrazione di Forlini Optical Group si accede a una sala versatile che può essere utilizzata, all’occorrenza, per corsi formativi e riunioni; presentazioni delle nuove collezioni moda dei migliori marchi, ma anche di aspetti tecnici riguardanti le


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“OPTICAL HUB SARÀ UN INCUBATORE E UN ACCELERATORE DI NUOVI SERVIZI E IDEE, PER DIFFONDERE LA CULTURA DELL’OTTICA E UNA MIGLIORE COMUNICAZIONE POSSIBILE. SARÀ INOLTRE UNO SNODO DI ARRIVO E PARTENZA DI ATTIVITÀ, CONTRO QUALSIASI FORMA DI BANALIZZAZIONE.”

lenti; incontri con collaboratori, clienti, colleghi e consulenti aziendali. “Sarà un incubatore e un acceleratore di nuovi servizi e idee,” aggiunge con entusiasmo Gianni Forlini, “per diffondere la cultura dell’ottica e una migliore comunicazione possibile. Un vero e proprio Hub che sarà inoltre uno snodo di arrivo e partenza di attività, contro qualsiasi forma di banalizzazione. Un concetto, quest’ultimo, fondamentale: in un mercato in cui la mercificazione è crescente, la nuova frontiera è rappresentata dal come un prodotto viene realizzato. Una precisa scelta etica che sta conquistando del resto anche i consumatori. Si supera quindi l’idea stessa di commodity, bene di largo consumo messo sul mercato senza differenze qualitative. Il modello di basa dunque sulla creazione e sul trasferimento di valore.” Tra le peculiarità del progetto di Forlini la forte componente tecnologica, data based: dai monitor nei tavoli di vendita ai listini digitali, in linea con le più moderne tendenze

phygital. Spazio inoltre ai nuovi strumenti di esperienzialità e comunicazione, ai servizi distintivi creati con il design thinking: un approccio creativo che mette al centro le persone. Su quest’ultimo fronte, basti citare un servizio distintivo nato proprio dall’ascolto della clientela quale il My Hero, un’assicurazione triennale per lenti rivolta a ragazzi dai 0 ai

18 anni. A breve, sarà messo a punto un programma di presentazioni di prodotti, incontri e attività, mirati a un pubblico di clienti, professionisti e collaboratori, selezionato in base al tipo di argomento. Forlini Optical Hub lascia aperte tante porte perché ha molte potenzialità e, proprio per questo, è unico nel suo genere non solo sul territorio ma in Italia.

Ravenna - Via Cairoli, 17/A - Tel. 0544 218210 info@otticagasperini.com - www.otticagasperini.com


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ESIBIRE

Performance

DI FUOCO

FACHIRISMO, EFFETTI PIROTECNICI E ACROBAZIE: GLI SPETTACOLI INFUOCATI DI MICHELE GORDINI, IN ARTE DRACO, HANNO CONQUISTATO IL PUBBLICO DI TUTTO IL MONDO.

P

di Roberta Bezzi / ph Adriano Trapani

Probabilmente ancora prima di acquisirne consapevolezza, il fuoco era nel destino del trentunenne ravennate Michele Gordini che sin da bambino teneva la gigantografia di un drago alla parete della sua camera da letto. Non c’è da stupirsi, dunque, che oggi sia conosciuto con il nome d’arte di Draco, termine mutuato dal latino che fa riferimento al guerriero e dragone che protegge le persone dal fuoco. Le sue mirabolanti acrobazie con il fuoco, riuscito mix di giocoleria, fachirismo ed effetti pirotecnici, sono davvero in grado di catturare l’attenzione di chiunque l’osservi. Da circa otto anni vive a Rawai, nella soleggiata isola di Phuket, di cui si è innamorato durante la sua prima vacanza, ed è per questo che è diventato molto popolare in Thailandia. Anche se in realtà la sua fama nel settore è ormai internazionale, visto che si è esibito in festival ed eventi praticamente in tutta l’Asia, fino all’Australia, oltre che ovviamente in Italia dove ama ritornare in estate per deliziare il pubblico del parco di Mirabilandia o di molti eventi e festival in giro per la penisola. Intorno ai 18 anni, in modo del tutto casuale, Gordini

inizia ad appassionarsi al fuoco. “Lavoravo in spiaggia come porta lettini,” ricorda, “e una collega mi regalò delle bolas, quelle cordicelle alle cui estremità sono legate delle palle, comprate in Thailandia. Provai con curiosità e mi cimentai subito in qualche gioco. Da quel momento non ho mai più smesso e da autodidatta ho sperimentato altri attrezzi, molti dei quali realizzati da me o su mia commissione, con l’introduzione di luce led e fuoco. Ho capito che potevo farne un lavoro in Australia, la sera in cui ero così impegnato a provare un numero con delle stecche luminose che non mi accorsi che venti persone mi guardavano ammirate.” Così si è specializzato nell’ambito di master e festival, e poi sono arrivati i primi spettacoli. “Senza dubbio non potrò mai dimenticare le sere in cui mi sono esibito davanti all’emiro di Dubai, Mohammed bin Rashid Al Maktoum, in Tailandia e davanti a ben 10.000 persone in uno degli hotel più lussuosi al mondo che, quasi fosse uno scherzo del destino, si trova in Bangladesh, uno dei Paesi più poveri.” Durante le sue performance ama utilizzare anche speciali attrezzi quali POI IN MAGAZINE

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NELLE SUE PERFORMANCE, DRACO AMA UTILIZZARE SPECIALI ATTREZZI QUALI POI DI FUOCO, ROPE DART, DRAGONSTAFF E BLASTER. “NON POTRÒ MAI DIMENTICARE LE SERE IN CUI MI SONO ESIBITO DAVANTI ALL’EMIRO DI DUBAI DAVANTI A 10.000 PERSONE.”

IN QUESTE PAGINE, MICHELE “DRACO” GORDINI DURANTE LE SUE ACROBAZIE DI FUOCO.

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di fuoco, due catene con all’estremità due palle infuocate, perfette per essere maneggiate in maniera veloce e tecnica; rope dart, ossia palle infuocate collegate a una corda di kevlar, nate come arma ninja, che sorprendono sempre per via della grandezza di fuoco che producono; dragonstaff, attrezzi da contatto difficili da maneggiare che rotolano sul corpo creando due cerchi infuocati con un effetto impressionante a ogni spettacolo. Riesce a realizzare numeri di fachirismo (mangia fuoco e sputa fuoco), anche con l’utilizzo di un blaster, un tubo che permette di lanciare fiamme alte circa 5 metri, o con effetti pirotecnici. È inoltre in grado di utilizzare fuochi d’artificio e di sorprendere, a fine esibizione, con l’effetto pioggia di scintille garantito dall’utilizzo di lana d’acciaio. Cosa rende speciali le sue performance? Pur non avendo mai fatto acrobatica pura, grazie alla lotta greco-romana – disciplina che lo ha portato a vincere cinque campionati italiani – ha

un fisico forte, agile e flessibile. Questo gli consente di inserire nei suoi spettacoli col fuoco verticali e salti mortali che pochi sanno fare e che conquistano il pubblico. A ciò si aggiunge il fatto che ama scegliere personalmente musiche e costumi di grande impatto. “Mi reputo fortunato a poter vivere della mia passione,” conclude. “Per essere perfetto per il mio pubblico mi alleno dalle 5 alle 8 ore al giorno.”


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RICORDARE

Mille

VOLTI L’APERTURA DELLA STAZIONE FECE DI VIA DIAZ LA PORTA D’INGRESSO AL CENTRO STORICO DI RAVENNA. NELLA STORIA È STATA TESTIMONE DIRETTA DEI MOLTEPLICI CAMBIAMENTI CHE HA SUBITO DELLA CITTÀ.

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di Andrea Casadio / ph Massimo Fiorentini

Via di piazza Ocaria, strada Giustiniana, strada del Monte, via del Buon Gesù, via Farini, via Diaz. La semplice elencazione dei nomi, che nel corso dei secoli si sono succeduti nel definirla, è di per sé la testimonianza più evidente della storia non banale di quella che è oggi una delle principali strade del centro storico. Una storia che, nel contesto ravennate, è abbastanza peculiare fin dalle sue stesse origini. Queste, infatti, non vanno ricercate in connessione con qualcuno degli antichi corsi d’acqua che un tempo caratterizzavano il panorama cittadino, e che hanno avuto un ruolo tanto importante nel disegnare la trama del tessuto urbano della città. In realtà, quale fosse l’aspetto di questa zona nell’epoca più antica resta in gran parte un mistero, al di là della presenza della zecca imperiale (da cui appunto il nome dell’attuale via Antica Zecca) e del quartiere ostrogoto nel periodo teodericiano. Solo per il tardo Medioevo si sa dell’esistenza della cosiddetta piazza Ocaria, nell’area che separa via Diaz da via Paolo Costa, con tutta probabilità – come suggerisce il nome

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– dedicata al mercato della selvaggina palustre. Il vero ingresso di via Diaz nella storia di Ravenna va però datato al settantennio della dominazione veneziana. Il governo della Serenissima attuò una complessiva ridefinizione dell’attuale piazza del Popolo e delle zone limitrofe, e fu senza dubbio in questo quadro che anche la strada comparve sulla scena nel XV secolo con il nome di strada Giustiniana, in onore del podestà Nicolò Giustinian. A questo periodo risale uno dei suoi edifici più caratterizzanti, quello appunto in stile veneziano oggi conosciuto come casa Guaccimanni, dalla famiglia che ne fu proprietaria fra Otto e Novecento. Negli stessi anni, quasi di fronte, fu edificata anche la sede del Monte di Pietà, l’edificio dalle sobrie linee rinascimentali che ha mantenuto tale funzione nel corso dei secoli seguendo le diverse vicissitudini del Monte stesso, fino a ospitare in tempi recenti una filiale dell’Unicredit. Quando la stella della Serenissima declinò, con il ritorno di Ravenna sotto la sovranità pontificia fu appunto il nome di strada del Monte a soppiantare quello del

potere appena decaduto. E fu proprio il clima della Controriforma a imprimere di lì a poco il suo marchio alla strada, con la costruzione della chiesa del Buon Gesù all’angolo col vicolo degli Ariani e del convento di S. Maria delle Convertite poco più avanti, sul lato opposto. Se si considera che proprio di fronte sorgeva quello dei Teatini, e che la strada terminava sull’attuale via di Roma davanti al convento del Corpus Domini, è facile immaginare l’atmosfera confessionale che doveva aleggiare in quell’epoca in tutta la zona. Un primo mutamento di tono si ebbe in età napoleonica, quando la soppressione dei conventi determinò anche la chiusura e il riutilizzo delle loro sedi e delle chiese annesse. La vera svolta ci fu però con l’Unità d’Italia, quando l’apertura del viale della stazione fece della vecchia strada del Monte (che dopo la morte di Luigi Carlo Farini acquisì, insieme al viale, il nome del patriota russiano) la porta d’ingresso al centro storico nel percorso fra la stazione stessa e la piazza. Da qui la sua trasformazione in luogo privilegiato per la nascita


LA STRADA COMPARVE SULLA SCENA NEL XV SECOLO CON IL NOME DI STRADA GIUSTINIANA, IN ONORE DEL PODESTÀ NICOLÒ GIUSTINIAN. A QUESTO PERIODO RISALE UNO DEI SUOI EDIFICI PIÙ CARATTERIZZANTI, IN STILE VENEZIANO, OGGI CONOSCIUTO COME CASA GUACCIMANNI.

di attività rivolte ai viaggiatori. Nell’area occupata in precedenza dal convento teatino fu aperto, verso il 1865, il nuovo hotel S. Marco, il più moderno e lussuoso della città. Ad esso si affiancò poco dopo l’antica locanda della Spada d’Oro, che trovò l’ultima sede della sua lunga storia nell’edificio di fronte all’imbocco di via Antica Zecca, per fondersi in seguito con lo stesso S. Marco. Altra presenza caratteristica era quella degli studi fotografici, che pure trovavano nella vendita di vedute della città ai turisti un solido mercato di riferimento. Ac-

canto al S. Marco, ad esempio, ebbe sede lo studio di Luigi Ricci, padre di Corrado, e all’angolo con via di Roma quello di un altro dei pionieri della fotografia ravennate, Antonio Guglielmi. Beninteso, il relativo imborghesimento di strada Farini non impedì la sopravvivenza ancora a lungo degli aspetti più legati al suo retroterra antico e più caratteristico. Pio Poletti, nel suo nostalgico libro di memorie sulla Ravenna ottocentesca, rievoca ad esempio la presenza dell’osteria dal Ciossi (dalle Sporche), una specie di seminterrato che si trovava più o meno di fronte al IN MAGAZINE

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LA VERA SVOLTA CI FU PERÒ CON L’UNITÀ D’ITALIA, QUANDO L’APERTURA DEL VIALE DELLA STAZIONE FECE DELLA VECCHIA STRADA DEL MONTE LA PORTA D’INGRESSO AL CENTRO STORICO NEL PERCORSO FRA LA STAZIONE STESSA E LA PIAZZA.

IN QUESTE PAGINE, ALCUNE FOTO STORICHE DI VIA DIAZ. IN ALTO, VIA DIAZ OGGI.

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vicolo degli Ariani, dove la non peregrina eventualità di pescare la scarpetta del bambino di casa dal pentolone comune ben illustrava il personalissimo rispetto delle norme igieniche da parte delle conduttrici, del resto già efficacemente rivelato dalla denominazione stessa del locale. Più oltre verso la piazza, nel cor-

tile di una vecchia residenza dei conti Zinanni, dal 1851 al 1896 ebbe sede l’omonima Arena, un teatro diurno con palchi in legno dal carattere molto popolare, da dove gli echi delle rappresentazioni e, ancor più, delle colorite reazioni del pubblico non mancavano certo di raggiungere le orecchie dei sofisticati ospiti dell’attigua Spada d’Oro. Proprio per conferire alla strada un tono più consono ai canoni dell’estetica ottocentesca, a un certo punto fu anche adombrato un progetto di allargamento che prevedeva la demolizione di tutti gli edifici del lato meridionale. Per fortuna non se ne fece niente, e l’unico intervento di rilievo fu quello che verso il 1930 portò alla realizzazione di piazza Corsica, l’attuale piazza Einaudi. Nel frattempo, però, il processo di crescita di via Diaz (nome assunto dopo la morte del maresciallo d’Italia nel 1928) come polo commerciale sempre più elegante si era arricchito di nuovi tasselli, come la costruzione del cinema Marconi, uno dei primi della città, e soprattutto l’apertura, al posto dell’Arena Zinanni, del grande negozio di tessuti di Giacomo di Salvatore Fabbri, senza dubbio il più vasto e lussuoso della Ravenna della prima metà del ’900. Quello che non era riuscito ai maldestri urbanisti ottocenteschi avvenne però, per motivi ben più drammatici, qualche decennio dopo. Via Diaz, e in particolare il suo tratto più vicino a via di

Roma, fu investita in maniera devastante dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale. La vittima più illustre fu l’albergo S. Marco, ma tutta la parte orientale della strada si presentava al termine del conflitto come una desolata distesa di macerie, che però, dopo qualche anno, si rivelò anche una perfetta tabula rasa su cui sperimentare le realizzazioni più ambiziose della ricostruzione. A cavallo del 1960 la strada (chiusa al traffico già negli anni ’40) aveva ormai cambiato volto, presentandosi come una successione di portici, vetrine e gallerie ospitate in moderni palazzi razionalisti, sfavillante palcoscenico della nuova Ravenna del miracolo, e non a caso scelta come sede da quelli che del miracolo erano i simboli privilegiati, ossia i grandi magazzini all’americana (UPIM e Rinascente). Anche se in seguito il ruolo di regina del centro sarebbe passato a via Cavour, via Diaz avrebbe mantenuto la sua dignitosa posizione, pur con i mutamenti dettati dal tempo e dalle circostanze: su tutti la chiusura del Marconi, vittima della crisi delle sale cinematografiche, e l’avvicendarsi, nella vecchia sede della Rinascente, prima della Ferruzzi Finanziaria (simbolo di un’esaltante ma effimera stagione di gloria per la città) e poi dell’Università. Oggi, con la chiusura già avvenuta o prevista di alcune delle sue attività commerciali, via Diaz attraversa un indubbio momento di crisi.


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Prendersi cura dei propri capelli in modo naturale, regalandosi una piacevole pausa in un ambiente rilassante un po’ come se si fosse a casa, ma con in più tutta una serie di servizi e coccole fornite da personale altamente qualificato. Questo in sintesi è ciò che si trova nella Bio Spa di Max Piazza Parrucchieri di Via Rotta 67/H a Ravenna, che utilizza solo prodotti bio dell’azienda Naturalmente che derivano da sostanze botaniche rinnovabili con aromi puri e fiori coltivati in agricoltura biologica e dinamica. Una scelta fortemente voluta dal titolare Max Piazza, con un’esperienza nel settore ormai più che ventennale anche come consulente tecnico e formatore in giro per l’Italia e per il mondo, coerente con il suo stile di vita. “Mi sono avvicinato al biologico con la nascita di mia figlia,” rivela, “seguendo il suggerimen-

to della sua pediatra. Così, mi si è aperto un mondo che prima conoscevo solo marginalmente e mi sono trovato bene al punto da rivedere la mia alimentazione, con evidenti benefici per la salute, e il mio modo di lavorare, con una positiva ricaduta sull’ambiente. La mia Bio Spa infatti, grazie alle innovative linee di cosmetici sostenibili da fonti rinnovabili, inquina il 50% in meno rispetto a quelle di tipo tradizionale. In più, sono riuscito a fornire una risposta alle persone sempre più attente al benessere che richiedono cosmetici bio e naturali efficaci e al contempo sani e sicuri.” Max Piazza ha iniziato a muovere i primi passi nel settore a soli 12 anni grazie agli stimoli ricevuti da una zia parrucchiera e, ad appena 18 anni, ha aperto la sua prima attività. Nel contempo, ha avviato una brillante carriera di con-

sulente tecnico per il gruppo Italian Style, dove ha in pratica ricoperto tutti i ruoli fino ad arrivare a diventare formatore in giro per l’Italia e per il mondo. Nel 2015 è arrivata la svolta: per avere il tempo di dedicarsi maggiormente alla famiglia, ha lasciato l’attività di trainer e i due negozi più piccoli in periferia e a Mezzano, per aprire un unico grande salone a Ravenna, a due passi dal centro storico. Ha scelto gli ampi locali di Via Rotta 67/H perché innamorato del piccolo giardino urbano che si intravvede dalle vetrine. Un angolo di verde che ben si sposa con l’ambiente caldo e naturale della Bio Spa, in cui dominano il legno di arredi e accessori, le nuance neutre che richiamano i colori della terra e luci gialle che suggeriscono l’idea di un’accogliente casa. Entrando, poi, impossibile non notare l’imponente scala che si sviluppa dietro la cassa, poggiata su un magnifico tavolo ovale di design realizzato con legni riciclati. A chi gli chiede quali siano le ultime tendenze in materia di taglio e colori, Max Piazza risponde così: “Amo prima di tutto capire chi è, com’è e cosa vuole il cliente, per trovare insieme la linea giusta. Non c’è qualcosa che va bene per tutti, indistintamente. Per questo motivo, studio il tipo di capelli, la forma del viso, l’attaccatura dei capelli, lo stile di abbigliamento, le abitudini di vita, per suggerire qualcosa che renda davvero felice la persona. Mi piace poi che il cliente riesca a gestire bene i capelli anche a casa. Con la fiducia che il cliente mi dà, si inizia un lungo percorso.” Sul


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fronte delle colorazioni, Max Piazza propone due tipologie di trattamenti, fra cui il Color Plant Flower, realizzato con 14 piante e fiori organiche, che permette di dare copertura, riflessi e lucentezza del colore a lungo, senza l’uso di alcuna

sostanza chimica. Fiore all’occhiello del salone, sono poi i servizi della Bio Spa a cui è dedicata un’area al primo piano, dove ci si può rilassare bevendo una tisana e accomodandosi poi in una poltrona che è quasi un letto, circondata da candele e accessori naturali. Qui, sono realizzati vari tipi di ricostruzione del capello con un risultato di bellezza identico a un capello naturale. Da segnalare, in particolare il trattamento Shirodara, che piace a tal punto da essere spesso regalato. È ispirato a un’antica

tecnica ayuverdica che prevede un flusso continuo di oli vegetali di riso/argan, girasole con germe di grano, oltre che l’utilizzo di oli essenziali. Ci sono poi anche i trattamenti alla cheratina vegetale, composta da una miscela di amminoacidi ottenuta da fonti vegetali che riproducono le caratteristiche della cheratina naturale di origine naturale. In definitiva, alla Bio Spa di Max Piazza Parrucchieri si può fermare il tempo, rilassarsi, concedersi un massaggio alla cute e uscire più coccolati e belli.

Ravenna, via Rotta 67/H | Tel. 346 840 73 59 info@maxpiazza.com | www.maxpiazza.com


FOTOGRAFARE

In cerca di

ARMONIA FRANCESCO BONDI SI È SPECIALIZZATO IN FOTOGRAFIA DI SCENA DOPO AVER FREQUENTATO L’INNOVATIVO CORSO DELL’ACCADEMIA DEL TEATRO ALLA SCALA. di Nicoletta Brina / ph Francesco Bondi

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F

A LATO, UN AUTORITRATTO DI FRANCESCO BONDI. IN ALTO, ALCUNI SUOI SCATTI.

Francesco Bondi, classe 1989, nasce a Faenza. Al termine degli studi all’Istituto d’Arte, nel 2009, entra nello studio fotografico del padre e si innamora perdutamente di quest’arte. Così, inizia a fotografare in analogico seguendo i consigli e gli insegnamenti del padre, per poi passare al digitale. Frequenta e si diploma all’Accademia del Teatro alla Scala nel corso di Fotografia di scena nel 2016/17. Un indirizzo, quello di scena, che gli permette di allenare l’occhio, rendendo l’intensità del palcoscenico vibrante e cogliendo istanti preziosi. I suoi scatti parlano di poesia, di arte, sanno di musica e ritraggono quel gesto colto in un momento rubato e talvolta irripetibile. Cosa ti ha fatto scattare il clic per la fotografia? “In un certo senso, inconsciamente, la fotografia ha sempre fatto parte della mia infanzia e del mio percorso. Vedevo fin da piccolo mio padre che smontava e rimontava rullini e mi incuriosiva sempre vedere quei piccoli barilotti, contenitori di una magia che si rivelava solo quando le immagini venivano sviluppate. L’arte in generale c’è sempre stata nella mia vita, dallo studio della musica, un po’ di recitazione fatta da bambino, cinema, teatro e lo studio della storia dell’arte all’Istituto d’arte di Forlì.” Perché hai scelto proprio il percorso di scena? “Per puro caso. Mi era capitato di fotografare alcuni saggi di danza insieme a mio padre, poi nel 2016 lessi dell’Accademia del Teatro alla Scala e del corso di Fotografia di scena. Così mi sono incuriosito e ho provato. Sono riuscito a entrare ed ecco come è nata la mia carriera. C’è però da dire che ho sempre provato ammirazione e passione per il teatro, una macchina nella quale lavorano tante persone e che non è mai la stessa, ma presenta ogni volta, a ogni spettacolo, sfaccettature differenti, seppur, talvolta, quasi impercettibili. Il teatro è diverso dal cinema in tal senso. Un film è lo stesso ogni volta che lo si

riguarda. Lo spettacolo teatrale offre invece sempre differenze, seppur minime, rispetto alla data precedente. E così il balletto, così i concerti. Ed è proprio quella irripetibilità degli istanti che mi ha convinto a proseguire lungo questo percorso.” Cosa cerchi di esprimere attraverso il tuo obiettivo? “Potrei banalizzare il concetto, rispondendo che cerco di cogliere l’emozione, perché in sé è quello che chiunque abbia una macchina fotografica tenta di fare. In realtà, cerco di fissare ciò che i miei occhi vedono: tutti i fotografi concepiscono l’obbiettivo della macchina fotografica come una estensione del loro occhio e il corpo della macchina, il mezzo attraverso il quale poter mostrare ciò che si vede mediante l’obiettivo. Le mie foto, sostanzialmente, ritraggono il mio punto di vista sull’arte.” Hai all’attivo la tua prima mostra fotografica. Di che cosa si tratta? “Si intitola Atlante, ed è contestualmente sia fotografica sia l’antitesi di uno spettacolo. Ne vado estremamente fiero.” C’è una fotografia alla quale sei particolarmente legato? “In realtà, ce ne sono tante. Ma c’è una a cui sono più affezionato: l’ho scattata durante il mio percorso in Accademia durante l’opera Hänsel und Gretel di Humperdinck. Quell’istantanea ha segnato l’inizio del mio cammino come fotografo di scena. Curiosamente, le foto alle quali sono più legato, sono appese sopra il mio letto. Si tratta dei primi scatti che ho realizzato e quelli che mi hanno fatto realmente capire che questo è il lavoro che volevo e voglio fare.” Tutti i grandi artisti di opere visive hanno una loro firma. Qual è la tua? “Onestamente credo sia lo spettatore a determinare quale possa essere il tratto distintivo, così come nel cinema, nel teatro o in qualsivoglia forma d’arte. Probabilmente non ho ancora una mia firma: faccio semplicemente quello che

“LA MACCHINA FOTOGRAFICA È UN’ESTENSIONE DELL’OCCHIO DEL FOTOGRAFO E IL CORPO DELLA MACCHINA IL MEZZO ATTRAVERSO IL QUALE MOSTRARE CIÒ CHE SI VEDE CON L’OBIETTIVO. LE MIE FOTO RITRAGGONO IL MIO PUNTO DI VISTA SULL’ARTE.”

mi piace, però sono estremamente pignolo e se devo consegnare una foto che non mi convince, preferisco rifarla o sistemarla finché non rispecchia l’armonia che cercavo.” IN MAGAZINE

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DIPINGERE

Candida

ROMAGNA PER IL PITTORE ARIDE SAVIGNI LA ROMAGNA È LO SFONDO RICORRENTE DELLE SUE OPERE, PAESAGGI E LUOGHI SUGGESTIVI CHE RIELABORA IN COMPOSIZIONI LIRICHE E DELICATE.

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Passando per Piazza del Popolo tra l’ultima settimana di luglio e la prima di agosto era inevitabile vedere in tutte le ore della giornata, davanti alle vetrine dello storico negozio Bubani, ora spazio per l’arte pubblica, gente attratta dalle opere di Aride Savigni, classe 1955. Un’artista che pur essendo di Ravenna è più conosciuto a Cervia, dove ha esposto all’aperto per oltre trent’anni anni consecutivi. Come autodidatta, ha sempre avuto la passione della pittura sin da quando la madre gli ha regalato a 14 anni una tavolozza. Da allora non si è più spento il desiderio di dipingere. Anche quando ha lavorato come progettista meccanico il suo mondo privato era sempre la pittura. Poi ha iniziato a presentarsi al pubblico e così è entrato nel giro dell’arte, conoscendo altri pittori e partecipando a concorsi, ottenendo incoraggianti riconoscimenti come il premio Città di Chartes all’estemporanea a Marina di Ravenna nel 1988. Non ha mai dipinto direttamente all’aperto come nella tradizione paesaggistica dei pittori storici romagnoli, in gran parte scomparsi, che andavano verso il mare

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di Aldo Savini / ph Lidia Bagnara

o in collina a cercare ispirazione. Anche Savigni va in questi luoghi suggestivi, guarda, osserva, trattiene quelle immagini che gli danno sensazioni ma poi le rielabora, le trasforma in studio per riprodurre le sensazioni che devono riaffiorare dall’interiorità. I suoi colori dominanti sono l’azzurro nelle varie tonalità per i cieli sereni, trasparenti, e il giallo del grano prima della mietitura o dei cespugli rinsecchiti delle dune che danno silenzio, luminosità e una dimensione poetica alle sue composizioni tenui e delicate. Gli piace il senso della leggerezza che può emergere da un ricordo, come le scene in cui il nonno con la capparella in bicicletta sotto la neve va verso la casa di campagna che si perde in lontananza. Gli elementi ricorrenti sono i gabbiani in volo, l’aquilone, la mongolfiera: tutti danno la sensazione dell’innalzarsi con gioia, liberamente, senza limiti. Sullo sfondo c’è sempre la Romagna, la campagna con i suoi campi di rotoballe, girasoli e papaveri, la spiaggia con le barche arenate sulle dune di sabbia, le cabine di legno di una volta, i pini solitari, in immagini serene e armoniose, vagamente sur-

realiste. Gli stessi soggetti delle opere vengono riprodotti anche in miniatura su tavolette di piccole dimensioni, di 4 x 6 cm, ove rivela le sue doti disegnative e coloristiche. Il 1997 fu poi l’anno di una nuova e speciale avventura artistica: un amico, che doveva fare un regalo alla moglie per l’inaugurazione di un negozio di pasta fresca, gli portò una teglia grezza da piadina in terracotta sulla quale, dopo molte considerazioni, Savigni decise di intervenire pittoricamente. Volendo esaltare la presenza fisica della teglia, lasciò il bordo con il cerchietto in metallo come cornice e dipinse solo la parte interna. Soddisfatto per l’esito, dopo la prima teglia trovò un artigiano ultraottantenne che ancora le produceva e, innamorandosi delle perfetta fusione tra materia e sensibilità espressiva, che rispecchia la natura pura e semplice delle sue opere, ne acquistò una certa quantità. Purtroppo con la sua scomparsa anche questa tradizione artigiana è finita. Aride Savigni oggi continua la sua produzione artistica nello studio in Via Gallina 35 a Ravenna.


A LATO, ARIDE SAVINI CON ALCUNE OPERE SU TEGLIE IN TERRACOTTA..

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Eleganza senza tempo

Orologi griffati, gioielli e pietre raffinate: il negozio GL Canestrini di Gian Luca Canestrini è il luogo giusto per chi vuole donarsi o regalare un pezzo unico. Accanto a pezzi di produzione artigianale moderni, innovativi e finemente lavorati, vi sono anelli, collier e bracciali vintage trovati nelle piÚ prestigiose fiere di settore, per la gioia di chi sogna qualcosa di esclusivo e di poco commerciale.

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MIXARE

Solo per

AMORE DJ EBREO, NOME D’ARTE DI MAURO BERRETTI, È UNO DEI DJ AFRO FUNKY PIÙ APPREZZATI D’ITALIA E I SUOI PEZZI VENGONO INSERITI NELLE COMPILATION PIÙ IMPORTANTI DEL MONDO.

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di Serena Onofri / ph Lidia Bagnara

Mauro Berretti, in arte Dj Ebreo, è un ravennate doc che ama la sua città e la sua terra, e non solo: è uno dei dj Afro Funky più conosciuti d’Italia. La sua passione l’ha portato a scoprire un modo nuovo di fare musica e a essere pioniere di un genere che, tuttora, viene suonato nei maggiori locali e spiagge sia in Italia che all’estero.

Come nasce la passione per la musica e qual è stato il tuo viaggio tra i vari generi? “Già da quando avevo sei-sette anni mi divertivo ad ascoltare soprattutto la musica italiana. Seguivo il Festival di Sanremo in primis e sapevo cantare a memoria tutte le canzoni. Tra i sette e i dieci anni ho iniziato a cercare

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“TRA I SETTE E I DIECI ANNI HO INIZIATO A CERCARE BIDONI DI LATTA, E ALTRI MATERIALI PER RIUSCIRE A CREARMI DELLE PERCUSSIONI – RACCONTA IL DJ. – SONO SEMPRE STATO UN GIOVANE CURIOSO, ALLA CONTINUA RICERCA DI COSE SEMPRE PIÙ COMPLESSE.”

IN QUESTE PAGINE, MAURO BERRETTI, IN ARTE DJ EBREO, NEL SUO STUDIO.

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bidoni di latta, e altri materiali per riuscire a crearmi delle percussioni. Sono sempre stato un giovane curioso, ascoltavo Mina e Battisti e tanta musica italiana, come la PFM, il Banco del Mutuo Soccorso, poi i Pink Floyd, gli Yes, Emerson, Lake & Palmer, i Led Zeppelin, i Deep Purple. Ho sempre continuato a ricercare, cose più complesse, come il jazz elettronico dei Weather Report.” Che studi hai fatto e come sei arrivato dietro alla consolle? “Seguendo i consigli di mio padre ho studiato all’Itis. Ma non è stata una grande scelta in quanto pensavo sempre alla musica, per cui ho letteralmente perso la testa. Le mie prime serate alle discoteche mi hanno affascinato fin da subito. Poi ho conosciuto Rubens, un altro dj popolare, con cui condividevo gli stessi sogni. L’illuminazione per questa professione è arrivata quando ho messo piede alla famosa Baia degli Angeli di Gabicce. Vedere dj che mixavano per ore e ore, è stato folgorante. Ho visto in loro un’arte, la capacità di creare un discorso e parlare attraverso la musica.” Parlando di locali, quali hai nel cuore? “Ho suonato ovunque in Italia e all’estero. I miei preferiti sono il Chicago di Baricella, dove sono stato contattato direttamente da Bidi Ballandi, ma anche il Melody Mecca a Rimini e il Typhoon di Brescia.” Impossibile non ricordare le serate a Marina di Ravenna. “Sì, è un po’ casa mia. Ho iniziato alle Ruote, che diventò Xenos,

per poi proseguire al Santa Fe’ e nei bagni in spiaggia. Il periodo più strepitoso è stato dal 1999 al 2001, allo Zanzibar, in coppia con Fari. Fu un boom pazzesco per la moda dell’happy hour. Ogni domenica venivano persone da tutta Italia. Poi il Tikoa. E fino a oggi all’Obelix con il funky.” Hai mai fatto produzione? “Sì. Sono un dj producer, cioè un dj che fa le proprie produzioni discografiche e le propone. Faccio le mie produzioni in collaborazione con il musicista Gilberto Mazzotti. Sono tracce soprattutto di world music, e i nostri pezzi vengono inseriti nelle compilation più importanti del mondo, come Cafe de Anatolia o Buddha-Bar di Montecarlo, e tante altre.” A chi ti sei ispirato fino ad ora? “La musica è sempre stata la mia

fonte di ispirazione. Sono stato un ascoltatore giovane che fruiva di musica difficile. Ero avido di conoscenza.” Reputi di avere un passato bello e dannato? “Quello che ho vissuto è stato certamente un bel passato, ma non troppo dannato. Ho usato la testa e, quindi, è stato un periodo ricco di soddisfazioni in cui sono riuscito a portare la mia musica in varie situazioni.” Consigli ai giovani che vorrebbero intraprendere questa carriera? “Per fare il dj è necessario sentire la musica come la propria passione principale. Il dj è un punto di riferimento dentro una discoteca. Non si fa questo mestiere per apparire. Prima di tutto bisogna amare la musica, ascoltarne tanta, farsi una cultura musicale.”


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RISTORANTE AL PIRATA LA BONTÀ DEI SAPORI AUTENTICI

INFLUENZE PUGLIESI CHE SI MESCOLANO SAPIENTEMENTE ALLE MIGLIORI TRADIZIONI ROMAGNOLE: IL RISTORANTE E PIZZERIA AL PIRATA, GESTITO DALLA FAMIGLIA IASI, ACCONTENTA TUTTI I PALATI.

Se si vuole degustare del buon pesce fresco, protagonista di piatti dai sapori autentici e genuini, in un ambiente elegante e curato nei minimi dettagli, il pensiero va subito al ristorante Al Pirata di Cervia. Si tratta del locale storico per eccellenza della località, aperto quasi cinquant’anni fa in viale Cristoforo Colombo 54, a due passi dal mare. Per accontentare tutti i palati, offre anche specialità di carne, pizze e un’ampia selezione di vini. Dal 1998, Al Pirata è stato rilevato da Francesco Iasi, con alla spalle un’esperienza di circa quarant’anni nel settore, che attualmente condivide la gestione con la moglie Rossella e i figli Danilo e Simone. Ogni anno il locale si rinnova per soddisfare i desideri della clientela sempre più esigente.

La sala principale, dall’atmosfera raccolta e accogliente, ricca di oggetti e dettagli ricercati, può ospitare fino a 130 coperti, mentre il giardino raggiunge i 270 coperti grazie alle caratteristiche tettoie in legno, interamente rinnovate, che in estate consentono di godersi il tramonto e rilassarsi all’aperto. “Il cambiamento più rilevante ha però riguardato la filosofia stessa del locale,” racconta Francesco. “Inizialmente infatti era più che altro una pizzeria, mentre noi abbiamo lavorato per dargli un nuovo volto improntato sul pesce fresco. Siamo stati probabilmente i primi, vent’anni fa, a proporre nella riviera romagnola i crudi, oggi molto in voga, che sono in pratica il nostro fiore all’occhiello. D’altra parte, non poteva essere diversamente viste le

mie origini salentine e i contatti con gli abili pescatori di Gallipoli da cui ordiniamo prodotti di qualità. Chi viene Al Pirata può tranquillamente scegliere il pesce da mangiare nelle vetrine e, d’estate, assistere alla preparazione dei crudi nell’apposito banco esterno.” Le influenze pugliesi si mescolano sapientemente con le migliori tradizioni romagnole grazie all’estro e alla creatività dello chef Gabriele Gemma, con la collaborazione di Sebastiano e Cosimo. Il risultato è una cucina semplice, con piatti preparati al momento, in grado di esaltare la bontà delle materie prime. Gli amanti del pesce possono scegliere tra un’ampia varietà di carpacci, di crudi e di crostacei alla Catalana, oltre alla grigliata mista, al fritto misto di paranza, alla zuppa di pesce. Tra i primi da provare in particolare gli spaghetti Al Pirata con pomodori e scampi, ma anche i tagliolini allo scoglio, il risotto alla marinara o le maniche rigate all’astice. Tagliolini, strozzapreti e tagliatelle sono fatti rigorosamente a mano, anche se non mancano selezionate paste artigianali in grado di valorizzare i prodotti del territorio. Chi predilige la carne può optare per un filetto di manzo al sale dolce di Cervia o per la tradizionale grigliata. Completano l’offerta a 360 gradi le pizze, realizzate con un impasto a lievitazione


ADVERTORIAL

AL PIRATA ORGANIZZA PERIODICAMENTE SERATE A TEMA, CONCERTI E INCONTRI, OLTRE ALLA NOTA RASSEGNA JAZZ&WINE, PROMOSSA DA DODICI ANNI A QUESTA PARTE DA OTTOBRE A MAGGIO CON CADENZA QUINDICINALE.

naturale altamente digeribile. Il menù include molteplici pizze speciali fra cui l’immancabile frutti di mare. Come si conviene a ogni pasto, non c’è miglior conclusione se non con il dolce. Al riguardo, si può spaziare dal tiramisù alla zuppa inglese, dalla bavarese al pistacchio al tortino nutella e cocco, dal semifreddo ricotta e fichi al crème caramel. A offrire consigli in materia di vini, conservati in una cantina che comprende circa 200 etichette fra bollicine, vini fermi e particolari, sono direttamente Francesco, Danilo e Simone che stanno ultimando il corso di sommelier. La loro è una vera passione se si considera che Al Pirata organizza periodicamente serate a tema, concerti e incontri, oltre alla nota rassegna Jazz&Wine, promossa da dodici anni a questa parte da ottobre a maggio con cadenza quindicinale. “La clientela,” ricorda Francesco, “è sempre più attenta a ciò che mangia e beve, ricercando qualità e novità. Proporre eventi esperienziali è come mettere la classica ciliegina sulla torta.” Abituata a darsi nuovi stimoli imprenditoriali, la famiglia Iasi guarda al futuro su più fronti perché, oltre al ristorante, c’è anche il vicino Hotel Vienna rilevato lo scorso anno, che sarà presto oggetto di un interven-

to di rinnovamento per meglio caratterizzarlo. A occuparsene sono soprattutto i giovani Danilo e Simone, sfruttando la sinergia con il ristorante che offre il servizio ristorazione alla clientela che ne fa richiesta.

Viale Cristoforo Colombo 54 | 48015 Cervia (RA) Tel. 0544 71328 | www.ristorantealpirata.it


EVOLVERE

Anima

MUTANTE TONIA GARANTE HA LA SUA NAPOLI NEL CUORE E HA SCELTO RAVENNA DOVE, OLTRE A TENERE LABORATORI TEATRALI, SCRIVE, RECITA E COLLABORA CON RAVENNA TEATRO E IL CISIM. di Silvia Manzani / ph Massimo Fiorentini

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A SINISTRA, TONIA GARANTE. A DESTRA, L’ARTISTA DURANTE UNA SUA PERFORMANCE.

“Piango spesso, piango tanto. Piangevo quando i detenuti del carcere di Lauro mi raccontavano le loro storie, piangevo davanti ai bambini in Angola, ho pianto di recente a Lido Adriano, dove le donne con cui ho condotto un laboratorio sulla violenza hanno tirato fuori pensieri toccanti. L’ingiustizia sociale e l’emarginazione sono le cose che più mi fanno arrabbiare. Stare con le persone che hanno un diritto in meno mi illude che ci sia una sorta di redistribuzione, un’equità.” A vederla, però, Tonia Garante sprizza allegria e solarità. Quarantuno anni, napoletana, mamma del piccolo Emanuele, ha lasciato qualche anno fa la sua città natale insieme al marito Salvatore Caruso con un senso di colpa che continua a inseguirla: “Napoli è odio e amore. Napoli non perdona, è una mamma spietata. A Napoli non puoi tenere insieme tante sfaccettature e vocazioni come sento di avere io, perché vieni schiacciato. Ecco perché sono qua, non senza chiedermi se sia la scelta giusta. Sono abituata a farmi domande, a chiedermi dove sto andando”. Laureata in Sociologia all’Università Federico II, Tonia ha sempre amato il teatro che, per lei, è malattia: “Fin da piccola, in casa, mi dilettavo a cantare, ballare, recitare. All’asilo avevo imparato a memoria una parte di una commedia di Eduardo De Filippo, tanto che la maestra mi mandò a recitarla in coppia con un bambino di terza elementare. I miei genitori, però, non approvavano che il teatro potesse diventare un mestiere: doveva rimanere un passatempo. In una realtà di quartiere come Secondigliano si doveva pensare ad altro”. Il teatro, però, Tonia lo frequentava di nascosto. “Mentre studiavo, lavoravo come cameriera per pagarmi i laboratori al Teatro Nuovo. Poi iniziai con le matinée, perché si guadagnava bene e si entrava nel giro. Oggi, forse, la mia famiglia l’ho perdonata, certi

errori si commettono per ragioni che si comprendono solo dopo”. Spinta dal bisogno di trovarsi un lavoro vero ma anche da quello di aiutare gli altri, Tonia, dopo la laurea, frequenta un master in Operatore dello sviluppo e si butta nella cooperazione internazionale, prima facendo il servizio civile a Luanda poi collaborando a un progetto in Marocco. “In Angola avevo visto la miseria vera, le strade ricoperte di rifiuti e le case di cartone, i bambini giocare tra gli escrementi e le malattie più impensabili. Un’esperienza che mi ha segnata nel profondo, che mi ha fatta tornare a casa completamente cambiata, con una sensazione forte di inadeguatezza”. Portandosi negli occhi lo sguardo dei coltivatori marocchini e le loro mani rotte, Tonia fa pace con la sua voglia di recitare e si iscrive a un master a Parma. “Lì ho conosciuto i miei maestri Claudio Longhi e Valerio Binasco. Ho capito che quella era la mia vita. Ma Napoli, che continuava a essere il punto di riferimento anche per mio marito, attore come me, non mi avrebbe aperto alcuna strada. L’Emilia-Romagna, a quel punto, è diventata una scelta naturale: “Qui ci sono le Albe, Fanny & Alexander, il Teatro Valdoca, Santarcangelo. Ci sembrava un esempio della libertà d’espressione, senza contare la

“FIN DA PICCOLA, IN CASA, MI DILETTAVO A CANTARE, BALLARE, RECITARE. “MENTRE STUDIAVO, LAVORAVO COME CAMERIERA PER PAGARMI I LABORATORI AL TEATRO NUOVO. POI INIZIAI CON LE MATINÉE, PERCHÉ SI GUADAGNAVA BENE E SI ENTRAVA NEL GIRO.”

presenza del mare, per noi fondamentale. Oggi siamo felici di essere qui, la realtà è provinciale come lo è tutta l’Italia. Ma abbiamo un’interfaccia culturale, educativa, scolastica. E possiamo fare quello che ci piace: da tre anni collaboriamo con il Teatro delle Albe, oltre ad avere la nostra compagnia senza nome, che chiamiamo Caruso-Garante”. Oggi Tonia ha ripreso a scrivere e recitare e collabora con il Cisim di Lido Adriano per la cooperativa Libra, dove si occupa della biblioteca del fumetto, oltre a condurre laboratori teatrali con i giovani e le giovani del centro educativo QB, dello spazio Agorà e con le donne del paese. E per il futuro, chissà: “Mi sono iscritta a Scienze filosofiche e dell’educazione, sbircio anche il cinema. Sono una persona in evoluzione, perché fermarmi?”.

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AL CAIROLI A PASSEGGIO CON GUSTO

TRADIZIONE E INNOVAZIONE, SPECIALITÀ ROMAGNOLE ED EMILIANE E PRODOTTI DA PASSEGGIO. IL RISTORANTE SI TROVA IN UN BELL’EDIFICIO IN STILE LIBERTY DEL CENTRO STORICO RAVENNATE.

Ravenna, Via Cairoli, 16 Tel. 0544 240326 Cell. 324 0940204 ristorante@alcairoli.it www.alcairoli.it

Ormai diventato un punto di riferimento per chiunque desideri deliziarsi con specialità regionali e prodotti di qualità del territorio, il ristorante Al Cairoli ha festeggiato il terzo compleanno il 15 dicembre 2019. La posizione in Via Cairoli 16, via pedonale per eccellenza del centro storico, ha avuto un suo peso non solo per la scelta del nome ma soprattutto per il grande successo riscontrato tra i ravennati e i turisti che si contendono i posti in prima linea nel piccolo dehor durante la bella stagione e all’interno del bel locale in stile Liberty. “La strada è molto viva anche perché è una delle entrate preferite al centro storico,” afferma Attilio Bassini, imprenditore bolognese che gestisce il locale insieme alla moglie Raffaella. “In questi anni, ci siamo fatti conoscere, facendo scoprire alla nostra clientela i piatti migliori della tradizione emiliana e romagnola, realizzati con prodotti del territorio nel pieno rispetto della stagionalità. Oltre alla nostra carta classica, abbiamo in menù proposte, che cambiano settimanalmente in modo da accontentare anche i nostri clienti abituali.” Piatti in-

tramontabili che Al Cairoli non possono mai mancare sono, tra i primi, i tortellini emiliani, i cappelletti romagnoli, ma anche i ravioli, le tagliatelle, gli strozzapreti e i passatelli serviti prevalentemente in brodo e al ragù. Per chi non preferisce sedersi sul posto, il ristorante è il primo a Ravenna a proporre A passeggio con gusto, ossia la possibilità di gustarsi cappelletti e tortellini (anche in brodo) in un comodo ed elegante contenitore da passeggio, trasformandosi così nel moderno street food. Rappresentano una vera e propria novità i cappelletti fritti fatti con la ricetta classica o quelli con ripieno al cioc-

colato, croccanti fuori, morbidi dentro. Anche i secondi non passano inosservati, grazie all’ottimo bollito della domenica, alle polpette al sugo, agli arrosti e ad alcune specialità come il fricandò di verdure alla romagnola o il friggione, una storica specialità felsinea a base di cipolle bianche e pelati. Vero e proprio fiore all’occhiello del locale è la petroniana, ovvero la cotoletta alla bolognese, con carne di vitello, prosciutto di Parma e Parmigiano Reggiano, una specialità dall’inconfondibile sapore. Ampia anche la scelta delle loverie, tra cui la classica zuppa inglese, il tiramisù, la crème brulée, il gelato di crema con aceto balsamico o saba. Tutta la pasta fresca, i dolci lievitati, così come piadine, tigelle e crescentine, sono realizzate con le farine del molino di famiglia Bassini, aperto nel 1899 nel Bolognese che macina solo gradi locali. Al Cairoli è anche possibile farsi o fare un regalo tipico scegliendo un vino o un prodotto, come Sangiovesi, Lambruschi, Pignoletti, aceto Balsamico di Modena, sale di Cervia, tutti prodotti di piccole aziende della nostra regione.


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