PASQUI OTTENNE NUMEROSI PREMI NAZIONALI E INTERNAZIONALI E SI ADOPERÒ PER OFFRIRE AI NUOVI COLTIVATORI LE CONOSCENZE PER L’IMPIANTO DI LUPPOLI. UN SECOLO DOPO, LA SUA PASSIONE E I SUOI SOGNI SONO ANCORA VIVI.
Gaetano aveva inventato aratri e apportato modifiche significative ad attrezzi allo scopo di renderli più agevoli al terreno. Strumenti come il Piantapertiche Pasqui e il Levapertiche Pasqui, furono premiati a Firenze nel 1861 e a Londra nel 1862. Poi, durante il periodo in cui fu assistente alla cattedra di agronomia nel Regio Istituto Tecnico di Forlì, Gaetano inventò il Polivomero Pasqui, un aratro con ampie funzioni che riscosse notevole successo all’E-
sposizione universale di Parigi del 1867. Non solo attrezzi, ma sul suo terreno agricolo Pasqui sperimentò colture originali: l’arachide, la barbabietola da zucchero e… il luppolo, la pianta che gli permise di creare il suo birrificio. Il luppolo è la pianta aromatica fondamentale per dare l’amaro e l’aroma alla birra, e Pasqui fu il primo a coltivarla in Italia: in precedenza, il luppolo veniva importato dalla Germania, dall’Inghilterra o dagli Stati Uniti d’America. È una pianta che allora, come oggi, cresceva spontanea sugli argini dei fiumi dell’area forlivese. L’acume di Pasqui lo indusse, nel 1847, a coltivare una trentina di germogli di luppolo selvatico che diventarono, nel giro di dieci anni, 3.500 piante con una produzione di birra di oltre 30.000 bottiglie all’anno. Non mancarono però momenti difficili. “La sua produzione, in quegli anni – dichiara Umberto Pasqui –, fu osteggiata dai grandi marchi, diffidenti nei
confronti del luppolo selvatico e di un così piccolo birrificio. Ma gli studi effettuati dalle università del tempo dimostrarono che il luppolo coltivato alla Pasqui aveva proprietà idonee alla fabbricazione di buona birra. Birra che fu apprezzata anche all’estero grazie all’instancabile attività del figlio Tito, rappresentante italiano alle Esposizioni Universali: le prove sono conservate tra i Fondi Antichi della Biblioteca Comunale A. Saffi di Forlì. La scommessa di Pasqui risultò quindi vincente, perché attirò molti industriali italiani che si sentirono liberi dalla dipendenza nei confronti dei Paesi stranieri. Pasqui ottenne anche numerosi premi nazionali e internazionali e si adoperò per offrire ai nuovi coltivatori le conoscenze pratiche per l’impianto di luppoli. Con la sua morte, la bella avventura finì, ma la sua passione e i suoi sogni, a distanza di oltre un secolo, sono stati ereditati dai cinque cugini: Umberto Pasqui, Valentina Farolini, Emma Cimatti, Caterina Pasqui, Francesco Pasqui, i quali hanno voluto tuffarsi nella bella avventura di rimettere in moto la Premiata Fabbrica di Birra Gaetano Pasqui – Forlì. “Le birre che intendiamo produrre – sottolinea Umberto Pasqui –, avranno caratteristiche ben chiare, come un rigoroso rispetto dell’identità locale (Forlì e dintorni) con apertura verso il mondo: non esistono infatti birre artigianali italiane che abbiano una storia tanto antica e che siano ancora rette da parenti del fondatore. Poi, un attento studio sulle ricette, con ingredienti non comuni, antichi, talora rivisitati in chiave contemporanea, e una decisa italianità. Non troverete termini stranieri, Gaetano non li avrebbe sopportati: ha combattuto una vita con i grandi marchi per dimostrare che la birra non è esclusiva di altre latitudini, anzi, è italianissima, fin dagli Etruschi”. Decisi e creativi, i cinque parenti dell’Uomo della birra affrontano la sfida con la stessa passione che aveva segnato Gaetano Pasqui. IN MAGAZINE
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