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SONDAGGIO
Strategie aziendali per una crescita virtuosa
Più in particolare, per quanto attiene al tessuto aziendale, quali strategie hanno maggiormente aiutato tale crescita virtuosa? …il fatto che l'Italia abbia…
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84,8 43,5 ado$ato una flessibilità organizza3va adeguata alle sfide poste adottato una flessibilità organizzativa adeguata alle sfide poste
saputo sfru$are al meglio e facilitazioni statali ed europee saputo riconfigurare il proprio business in modo efficace e agile ado$ato una riduzione consapevole e intelligente dei consumi dimostrato una capacità di "guardare lontano" di an3cipare le sfide garan3to diri< e doveri in modo equo, in modo da mi3gare effe< nega3vi
saputo sfruttare al meglio e facilitazioni 65,6 statali ed europee 15,6
saputo riconfigurare il proprio business 62,6 in modo efficace e agile 10,1
adottato una riduzione consapevole e 40,9 intelligente dei consumi 13,6
dimostrato una capacità di "guardare 27,3 lontano" di anticipare le sfide 9,2
garantito diritti e doveri in modo equo, in 4,5 modo da mitigare effetti negativi 8,0 PMI
48,1 34,9
31,0
10,0
12,2
10,3 42,5
47,2
32,2
6,2 1,7 89,4
Tot. citazioni Prima scelta
Pop. Gen.
Tot. citazioni Prima scelta
Quanto incide la sostenibilità nella crescita della leadership italiana
E quali ambiti rivolti alla circular economy in Italia giudica particolarmente virtuosi?
PMI
tecnologie innovative ed efficienti processi produttivi centrati su priorità di sostenibilità / " green " riduzione dell'impatto ambientale generato
programmi di logistica inversa
riduzione dei rifiuti
attenzione per le tematiche ESG in generale
riduzione delle materie prime utilizzate
dinamiche di internazionalizzazione " smart"
32,3
25,8 41,9 54,8
54,8
25,8
19,4
16,1 Domanda non posta alla popolazione generale in virtù del tecnicismo sia del quesito che delle modalità di risposta
INNOVAZIONE DIGITALE E INDUSTRIA 4.0
di Aurelio Ravarini e Haiat Perozzo
AURELIO RAVARINI È PROFESSORE ASSOCIATO DI SISTEMI INFORMATIVI E ORGANIZZAZIONE AZIENDALE PRESSO LA LIUC BUSINESS SCHOOL DI CASTELLANZA (VA) HAIAT PEROZZO È RESEARCH ASSISTANT PRESSO LA LIUC BUSINESS SCHOOL DI CASTELLANZA (VA)
La velocità con cui si introducono innovazioni tecnologiche è superiore alla velocità alla quale il contesto in cui son impiegate riesce ad adattarsi. Negli ultimi cinque anni si sono potute osservare quattro fasi: una pre-crisi, la "normalità" dell'innovazione digitale, una seconda fase di emergenza, quella dei lock down e dello smartworking diffuso, una terza fase di transizione, nella quale stiamo vivendo da circa un anno, e una quarta fase: il cosiddetto new normal, auspicabilmente alle porte

Per comprendere lo stato attuale del “digitale” nelle imprese italiane, è innanzitutto necessario inquadrarlo nel più ampio ambito dell’evoluzione dell’economia italiana. Molte cose sono cambiate negli ultimi cinque anni, e spesso, soprattutto negli ultimi due, si è ricorso all’espressione “accelerazione” per descrivere la peculiarità dei cambiamenti in atto. Tuttavia, rispetto ad altre dinamiche economico-sociali, l'evoluzione del digitale ricopre un particolare interesse perchè è un ambito in cui da tempo si riscontra un fenomeno, noto con il nome di cambiamento accelerato, descritto fra gli altri da Ray Kurzweil già nel 2001: la velocità con cui si introducono innovazioni tecnologiche - in particolare in ambito digitale - è sistematicamente superiore alla velocità alla quale il contesto in cui son impiegate si riesce ad adattare, dal punto di vista economico, sociale, culturale. Pertanto, chi studia i trend tecnologici è abituato a osservare questa distonia e ad avere a che fare con evoluzioni soggette ad accelerazioni. Il problema è che la pandemia ha fatto sì che questi trend subissero un'accelerazione imprevista, rendendo particolarmente problematico identificare delle linee di ten-
L'ECONOMIA DEGLI ANNI CHE HANNO PRECEDUTO LA PANDEMIA HA VISTO ANDAMENTI ALTALENANTI
denza valide per il futuro. Per cercare un'interpretazione, e indirizzare alcune previsioni plausibili, può essere utile mettere ordine agli eventi succedutisi nel passato recente. Durante gli ultimi cinque anni si sono potute osservare quattro fasi: una prima fase di pre-crisi, la "normalità" dell'innovazione digitale, una seconda fase di emergenza, quella dei lock down e dello smartworking diffuso, una terza fase di transizione, nella quale stiamo vivendo da circa un anno, e una quarta fase: il cosiddetto new normal, auspicabilmente alle porte. L’economia degli anni che hanno preceduto la pandemia ha visto andamenti altalenanti. Il periodo compreso tra il 2016 e il 2017 ha visto una crescita dell’economia ad un ritmo inferiore rispetto alle attese (Banca d’Italia, 2017-2018), mentre il 2018 si è dimostrato come un periodo di slancio e di crescita per l’economia italiana (Banca d’Italia, 2018), arrivando ad una crescita positiva del PIL nel 2019 (Banca d’Italia, 2019). In questa fase di pre-crisi, invece, l’adozione di tecnologie digitali è cresciuta costantemente. Secondo l’Istat, tra il 2016 e il 2018,
più della metà delle imprese con almeno 10 addetti hanno deciso di effettuare investimenti in tecnologie, che tuttavia sono stati prevalentemente indirizzati all’acquisizione di infrastrutture (quali soluzioni cloud, accesso alla banda larga). Inoltre, la dimensione organizzativa ha fortemente condizionato le scelte in merito all’adozione delle tecnologie digitali: mentre il 97,1% delle imprese con oltre 500 addetti ha effettuato investimenti in tecnologie digitali, tra le imprese con 1019 addetti tale valore scende al 73,2% (Istat, 2020). Queste rilevazioni hanno portato l’Istat anche a classificare le imprese in base alla loro "maturità digitale”, definita in base al numero e al tipo di tecnologie adottate (distinguendo tra tecnologie infrastrutturali e applicazioni complesse) e al loro uso integrato (Istat 2020). La tabella in queste pagine illustra questa tassonomia, messa in relazione con la probabilità (stimata nel 2020) di investimenti distribuita tra le varie tecnologie osservate. Nello stesso periodo, circa tre quarti delle imprese si erano impegnate in investimenti digitali, le imprese con meno di cento addetti sono coinvolte nella realizzazione del loro modello di digitalizzazione e le imprese con più di cento addetti sono impegnate nella scoperta e sperimentazione di nuove soluzioni tecnologiche. A fronte di questi investimenti, si rilevava che una delle sfide principali fosse adeguare la preparazione del personale, per un utilizzo efficace delle nuove tecnologie acquisite. I dati evidenziavano che c’era ancora molto da fare sul fronte della formazione tecnica del personale: nonostante il 54% delle imprese ne riconosca l’alto valore, si riscontra infatti che l’ostacolo maggiore all’evoluzione digitale delle organizzazioni sia la mancanza di competenze digitali (43%). Di conseguenza, il 40% delle imprese manifestava la neces-
sità di formare ad hoc il personale per il suo utilizzo, che diventava il 72,6% per le grandi imprese, che si può ipotizzare sia giustificata dell’adozione di applicazioni più complesse e innovative. La fase di pre-crisi ci mostrava pertanto un panorama caratterizzato da imprese consapevoli della necessità di una svolta, ed impegnate in investimenti dedicati a poche tecnologie che servono a mettere le basi per sfruttare appieno le tecnologie più sofisticate. L’emergenza pandemica e i conseguenti lockdown del 2020 hanno imposto alle imprese di remotizzare tutte le attività che non richiedevano strettamente la presenza in azienda. Col senno di poi, è evidente che le organizzazioni che si erano attivate per aggiornare le proprie dotazioni tecnologiche si sono messe nelle condizioni di affrontare la fase di crisi con meno precipitosamente di chi era rimasto inerte negli anni precedenti. In altre parole, la pandemia del Covid-19 ha reso evidente l’arretratezza delle dotazioni informatiche delle imprese: l’accelerazione all’adozione delle tecnologie imposta dal distanziamento si è sommata all’accelerazione da sempre tipica dell’innovazione digitale. In questa situazione, uno scenario possibile (tutt’altro che improbabile) avrebbe potuto essere il collasso delle attività produttive, in particolare per le organizzazioni di dimensioni minori, notoriamente più fragili. Al contrario, la sostanziale tenuta del sistema economico, pure al netto dei notevoli supporti finanziari, ha contribuito a rendere popolare il termine “resilienza” anche per descrivere la capacità di reazione dell’imprenditoria italiana in questo frangente. Al di là della retorica, tuttavia, vale la pena osservare un po’ nel dettaglio l’evoluzione del “digitale” italiano. In generale, la ricerca riconosce nella resilienza la capacità non solo di superare le crisi causate dalle interruzioni delle moderne interconnessioni sistemi socioeconomici, ma anche di cogliere – successivamente - opportunità nuove (Hy-
L'EMERGENZA PANDEMICA E I CONSEGUENTI LOCK-DOWN HANNO IMPOSTO ALLE IMPRESE DI REMOTIZZARE LE ATTIVITÀ
Adozione di tecnologie digitali da parte delle imprese con almeno 10 addetti per numero di tecnologie adottate
Numero di imprese 100.000
80.000
60.000
40.000
20.000 SOFT.GEST. FIBRA OTTICA 4G-5G CLOUD CYBER-SECURITY IOT ROBOT PRINT 3D SIMULAZIONE BIG DATA AR-VR
0
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 Numero tecnologie adottate
FONTE: ISTAT 2020, VALORI ASSOLUTI, ANNI 2016-2018
nes et al., 2020). Il periodo che va dalla fine dei lock-down più duri ad oggi costituisce in realtà una fase di transizione, caratterizzata ancora da una relativa incertezza sugli effetti che la pandemia ha avuto sul lavoro, e quindi anche sugli strumenti digitali che lo supportano. Ne sono un esempio lampante i dibattiti costanti sulla durata della settimana lavorativa (quali ipotesi si possono fare sugli incrementi di produttività derivanti dall’uso delle tecnologie digitali?) e ancor più sull’opportunità e le modalità di attuazione del lavoro ibrido (quali tecnologie permettono di supportarlo senza compromettere le performance e la cultura organizzativa?). In questo contesto, e alla luce di nuove sfide socioeconomiche sempre meno eludibili (prima fra tutta la crisi climatica), sarebbe da sottoscrivere la tesi secondo cui lo shock causato dal coronavirus potrebbe avere portato le imprese a cercare soluzioni per riprendersi, ma anche per diventare più resilienti a nuovi simili shock in futuro (Delivorias & Scholz, 2020). La realtà che emerge dalle rilevazioni più recenti disponibili è significativamente diversa. Nel 2021, per quanto riguarda le infrastrutture, poco più del 60% delle Pmi presenta almeno un livello base di intensità digitale, posizionandosi solo leggermente al di sopra della media UE27 (pari al 56%). Nell’adozione di sistemi IoT le Pmi italiane sono ottave in Europa. Rispetto al Desi (Digital Economy Society Index) un altro indice definito dall’UE, l’Italia risulta in ritardo rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea. Nelle competenze digitali, ci posizioniamo al terz’ultimo posto (Istat 2022). Non si tratta di un quadro rassicurante. Per quanto riguarda le scelte inerenti le tecnologie digitali, la pandemia sembra avere innescato una reazione che ha permesso di superare l’emergenza, ma senza modificare il ritardo dell’Italia rispetto agli altri Paesi che guidano l’economia europea. In altri termini, i dati indicherebbero che – a differenza di questi Paesi – in Italia il cambiamento indotto dalla crisi non stia incrementando la velocità dello sviluppo tecnologico, come invece servirebbe per recuperare il gap costantemente generato dal fenomeno del cambiamento accelerato. Una possibile spiegazione va ricercata al di là dei numeri forniti con dovizia di dettagli dagli istituti di ricerca, benché un indizio provenga proprio dai loro report. Il proliferare di indici
per misurare l’evoluzione dell’innovazione digitale nelle organizzazioni può essere visto come un sintomo della difficoltà di rappresentare in modo efficace l’effetto delle tecnologie digitali nelle organizzazioni. Si tratta di un tema tutt’altro che nuovo: periodicamente torna di interesse generale in corrispondenza di eventi critici legati alle tecnologie (per esempio: data breach di aziende famose o interruzioni di servizio nei trasporti o nelle telecomunicazioni) o nel lancio commerciale di innovazioni cosiddette disruptive (per esempio, recentemente: Nft, applicazioni di machine learning). In questi casi si nota spesso una contrapposizione: da un lato gli entusiasti del “digital”, per i quali l’adozione della tecnologia comporta un miglioramento per se, e quindi il grado di progresso di un’organizzazione si misura semplicemente rendicontando quante e quali tecnologie digitali impiega. Dall’altro lato, coloro che affrontano il tema con un approccio sistemico, non limitandosi all’osservazione degli investimenti in tecnologia, ma anche dei cambiamenti che ne derivano a livello di processi, ruoli, modelli di business. Estremizzando un po’: i primi si concentrano sulla digitalizzazione in senso stretto. In questa posizione non sono necessari grandi sforzi per misurare il “digital”: bastano i dati oggettivi sull’entità degli investimenti in tecnologie di un’organizzazione o – come nelle tradizionali rilevazioni dell’Istat – il numero di diverse tecnologie adottate. Facendo così, tuttavia, si assume – implicitamente - che l’acquisizione di tecnologia comporti il miglioramento delle performance di un’organizzazione, sempre e comunque. Non a caso, questa visione è spesso sintetizzata dall’espressione “soluzione IT”. I secondi, non utilizzano questa ipotesi ma, al contrario, puntano l’attenzione sulle azioni da intraprendere per garantire i miglioramenti potenzialmente conseguibili con il “digital” minimizzando rischi e costi non solo di ordine tecnologico. È la prospettiva della trasformazione digitale: l’ipotesi di fondo è che le organizzazioni si possano vedere come sistemi socio-tecnici.

POCO PIÙ DEL 60% DELLE PMI PRESENTA UN LIVELLO BASE DI INTENSITÀ DIGITALE POCO SOPRA LA MEDIA UE (56%)
I tentativi degli enti nazionali e internazionali di trovare un compromesso tra le due prospettive, si sono rivelati in buona parte dei puri artifici lessicali. Introdurre nuovi indicatori attribuendo nomi quali intensità digitale o maturità digitale non è di per sè sufficiente per dare una rappresentazione più completa della realtà, se le misure su cui si basano sono esclusivamente relative alle tecnologie adottate. Da qualche anno, tuttavia, si trovano tracce della volontà di andare oltre la digitalizzazione: nei report statistici sono stati introdotti (seppure in forma sperimentale) indicatori che integrano una serie di misure relative alle diverse componenti organizzative, secondo una visione sistemica (Istat 2022). È anche su queste nuove basi che si può realizzare una fotografia più realistica del ruolo della tecnologia nelle organizzazioni, e quindi indirizzare i manager a costruire la fase di new-normal. La trasformazione digitale impone di sviluppare una vera resilienza, e quindi un rilancio delle scelte organizzative abilitate dalla tecnologia sulla scorta di
quanto appreso durante la pandemia, e non – semplicemente - replicare le prassi introdotte grazie alla digitalizzazione durante la fase di crisi e consolidate oggi nella fase di transizione. Non ci si deve tuttavia illudere che sarà semplice il passaggio da un management orientato alla digitalizzazione a uno orientato alla trasformazione digiPER PROGETTARE IL NEW-NORMAL tale. Si tratta di fatto
DEL "DIGITAL" SERVE UN CAMBIAMENTO CULTURALE di due prospettive DEL MANAGEMENT DELLE IMPRESE inconciliabili, che evocano la contrapposizione - già vista durante la pandemia - tra posizioni ideologiche, irriducibilmente contro (o pro) l’impiego di farmaci, e metodo scientifico. A livello del sistema socio sanitario, è noto che nel new-normal non basterà soltanto avere più medici, infermieri e apparati medicali, ma anche un piano di sviluppo sistemico della Sanità ai vari livelli. Analogamente, per progettare e realizzare il new-normal del “digital” serve un cambiamento innanzitutto culturale. Non tanto e non solo la formazione di tecnici con competenze digitali o l’adozione di nuove tecnologie, ma soprattutto la formazione di decision makers (manager e imprenditori) capaci di vedere nella digitalizzazione non lo scopo dell’azione manageriale, ma una precondizione per progettare lo sviluppo organizzativo e rivedere - dove necessario - i modelli di business.
Bibliografia
Banca d’Italia (2017), Relazione annuale sul 2016 Banca d’Italia (2018), Relazione annuale sul 2017 Banca d’Italia (2019), Relazione annuale sul 2018 Delivorias, A., & Scholz, N. (2020). The economic impact of epidemics and pandemics. European Parliament Briefing Hynes, W., Trump, B., Love, P., & Linkov, I. (2020). Bouncing forward: a resilience approach to dealing with COVID-19 and future systemic shocks. Environment Systems and Decisions, 40(2), 174-184 Istat, 2020, Digitalizzazione e tecnologia nelle imprese italiane Istat, 2021, Digitalizzazione e tecnologia nelle imprese italiane Istat, 2022, Digitalizzazione e tecnologia nelle imprese italiane
Imprese con almeno 10 addetti in base alla probabilità di investire in tecnologie digitali e al loro grado di maturità digitale (probabilità di investire in una singola tecnologia espressa in percentuale)
Probabilità di investire in una singola tecnologia 100%
80%
60%
40%
20%
SOFT.GEST. CLOUD FIBRA OTTICA 4G-5G IOT AR-VR BIG DATA REBOT PRINT 3D SIMULAZIONE CYBER-SECURITY
0%
FONTE: ISTAT 2020, ANNI 2016-2018
ASISTEMATICHE COSTRUTTIVE SPERIMENTATRICI MATURE


«LE NOSTRE PROPOSTE STRATEGICHE PER IL MONDO ICT»
Semplificazione della burocrazia, formazione, collaborazione tra pubblico e privato: all'ultima assemblea annuale Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform, sta elaborando un programma organico per le istituzioni
di Angelo Curiosi
na formazione di qualità e certificata; la valorizzazione del ruolo delle imprese del mondo Ict come soggetti capaci di erogare formazione, proprio grazie alla virtualizzazione di gran parte delle attività didattiche; una maggiore collaborazione tra pubblico e privato – dagli Its (ancora troppo pochi e troppo eterogenei per qualità e partecipazione delle imprese) alle università; dare sostanza alla formazione continua in una strategia di politiche attive del lavoro, che dal primo giorno accompagni il lavoratore in tutte le fasi della sua vita professionale»: sono i 4 punti di una proposta che Anitec-Assiform, la grande associazione confindustriale che rappresenta tutto il settore Ict (75 miliardi di fatturato) sta preparando per le istituzioni ma anche per l’intero comparto, come l’ha sintetizzata Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform (nonché amministratore delegato di Digital Magics) nel suo discorso all’ultima assemblea annuale associativa, alla presenza del ministro per la Transizione digitale Vittorio Colao. La proposta in preparazione nasce da un’analisi che, pur non sottovalutando i tanti progressi compiuti anche in Italia dal comparto negli ultimi anni, illumina alcune gravi lacune del sistema: «In questi anni – ha detto Gay - abbiamo visto via via un impoverimento industriale di alcuni territori che ci preoccupa. Dove manca l’industria vuol dire che stiamo perdendo conoscenza. E quindi competitività. Se manca l’impresa, vuol dire che alla base l’ecosistema dell’innovazione non performa più come dovrebbe. Non siamo sufficientemente attrattivi per chi vuol creare valore. Oggi mancano le persone, manca la conoscenza. Per il nostro settore è uno dei campanelli di allarme che suona da tempo. Il fabbisogno di compe-

«U
tenze non è semplicemente un numero, ma un indicatore della strategia di sviluppo del Paese. Vogliamo più investimenti nella scuola, nella formazione superiore, nelle università, nel mondo della ricerca, nelle Stem. Vogliamo – in altri termini – che il Paese si riscopra fucina di talenti per alimentare l’innovazione, l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo tecnologico delle imprese. Il gap di competenze specialistiche Ict su alcune professioni particolarmente richieste dal mercato è un fattore di ritardo che paghiamo ogni giorno. L’Osservatorio sulle competenze digitali conferma una crescita delle web vacancy nel 2021 per un volume di 89mila posizioni aperte in ambito Ict. Noi crediamo che non si possa
MARCO GAY, PRESIDENTE DI ANITEC-ASSINFORM
VOGLIAMO PIÙ INVESTIMENTI NELLA SCUOLA, NELL'ALTA FORMAZIONE NELLE UNIVERSITÀ, NEL MONDO DELLA RICERCA, NELLE STEM procedere per tentativi episodici che vanno bene nel breve ma non soddisfano i fabbisogni nel lungo termine». Ma le proposte annunciate da Gay sono anche altre. Nel mirino, la burocrazia che potrebbe frenare il Pnrr anche nella sua prima missione che è appunto la transizione digitale: «Guardando al Pnrr, e per primo al piano della transizione 4.0, sono tanti i progetti rilevanti per il settore, molti dei quali al centro del nostro lavoro, come agrifood, edilizia, salute – ha detto Gay - Permettetemi un focus sul Piano Transizione 4.0: noi siamo convinti che dopo 6 anni sia maturo il tempo per semplificare il quadro di misure e indirizzare meglio le risorse alle Pmi, spingere per l’adozione massiva e diffusa dei digital enabler: dall’Intelligenza artificiale, al Cloud, ai big data». Per questo, per la prossima legge di bilancio Anitec-Assinform lavora a una proposta su due gambe: un sistema di voucher Pmi sul modello spagnolo, qualificato per beni e valore, che includa la consulenza alle Pmi per indirizzarne i bisogni sfruttando la rete degli innovation hub e dei competence center; una misura strutturata per progetti 4.0, che cambi l’approccio da misura “fiscale” a misura “industriale”, spostando la valutazione a monte e non lasciandola alle agenzie fiscali. «Costruiamo Kpi – ha detto Gay - e definiamo partner esperti di valutazione dei progetti a supporto dell’amministrazione per indirizzare le risorse pubbliche dove servono a far fare il salto di qualità nell’innovazione alle imprese. Usiamo anche la tecnologia, dove serve»!
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Il metaverso nasce dall’intersezione di tre tecnologie e base utenti
M-Worlds
300 milioni-500 milioni di utenti attivi
Metaverso
Web3/Asset virtuali
30 milioni di portafogli Nft complessivi 1 milione di portafogli Nft attivi 40 miliardi di dollari in attività Nft 50 miliardi di dollari in transazioni virtuali (valuta finale)
AR/VR/MR
30 milioni di cuffie installate 800 milioni di utenti di AR mobile. Mercato da 16 miliardi di dollari
FONTE: MATTHEW BALL; BLOOMBERG; ARTILLERY INTELLIGENCE; BINANCE RESEARCH; BCG ANALYSIS. 2021 FIGURES.
Si fa presto a dire "Metaverso"
La differenza tra un indotto destinato a sgonfiarsi ed una crescita esponenziale passa per la capacità di andare oltre le opportunità che una tecnologia offre ed arrivare alle sue applicazioni a valore aggiunto
di Antonio Faraldi, managing director e partner di Bcg
Le domande più importanti sul metaverso sono tre: 1. A che punto siamo con la sua genesi e il suo sviluppo? 2. Avrà successo e sarà rilevante? 3. È interessante per le aziende? Le risposte non sono semplici, ma sono abbastanza chiare. Intanto è utile chiarire che, nonostante si sia già in fase avanzata, manca un pezzo chiave per il suo sviluppo. Allo stesso tempo, ci sono investimenti massicci che permetteranno di colmare il gap nella misura in cui, il metaverso, saprà indirizzare i bisogni delle persone e dei business (più benefici e/o meno problemi) come è sempre accaduto per le tecnologie nella storia dell’uomo. Anche se si può affermare, fin da ora, che la magnitudo delle implicazioni non sarà uguale per tutte le industry. Partiamo dall’inizio. Il termine metaverso è stato concepito nel 1992. In questi primi 30 anni di gestazione lo sviluppo è stato costante, ma non lineare: i tre elementi chiave che lo compongono, hanno superato lo stato puramente embrionale solo nell’ultima decade. Il primo elemento è rappresentato dagli M-Worlds. Applicazioni immersive, accessibili via mobile, tablet, browser, device per realtà virtuale o aumentata. Si tratta di mondi indipendenti, con regole, modelli di business e comunità proprie. Gli esempi più semplici – e conosciuti – arrivano dal gaming. Fortnite, per citarne uno. Nato nel 2017 che oggi conta 80 milioni di utenti medi mensili ed ha già iniziato ad ampliare offerta e modalità di monetizzazione con, ad esempio, concerti virtuali. Il secondo elemento sono le X-realities – o realtà estese: l’insieme di realtà virtuale (VR), realtà aumentata (AR), realtà mista (MR). Tecnologie che abilitano il passaggio da esperienze bidimensionali a tridimensionali. La penatrazione lato consumatore non è stellare – tutt’altro. Parliamo di una cumulata storica di circa 30 milioni di device a livello mondo (ossia i volumi che la Apple fa ogni mese e mezzo circa, con i soli iPhone), ma la traiettoria è positiva e, soprattutto, la quantità di investimenti è già nell’ordine di grandezza nelle decine di miliardi. Il terzo sono gli asset virtuali ed il Web3. Nel Web 1.0 gli utenti consumavano contenuti creati da publisher; il Web 2.0 ha introdotto il contenuto generato dagli utenti stessi, ma ne ha lasciato distribuzione e monetizzazione in mano ai network; l’alba del Web 3.0 è fatta da utenti che producono, posseggono e consumano contenuti, appoggiandosi a sistemi di scambio decentralizzati su tecnologia blockchain, dando vita così ad economie di asset virtuali come Nft, cryptocurrency e smart contracts. Al momento sostanzialmente non esistono applicazioni che prevedano l’uso di tutti e tre questi elementi, ma l’incrocio tra M-Worlds e X-realities è piuttosto semplice da immaginare, così come quello tra M-Worlds e Web3. Già oggi ci sono community come quella di VRChat che condivide esperienze

di social VR e alcune piattaforme importanti in arrivo, come Horizon Worlds, scommettono su questa community per crescere. Queste fanno leva sul continuo progresso tecnologico (ad esempio monitoraggio e rendering a bassa latenza) per limitare la cybersickness (nausea o vertigini causati dalla differenza tra ciò che gli occhi vedono e il movimento percepito dal corpo), oltre che per portare gli avatar a riprodurre fedelmente i movimenti del corpo e le espressioni facciali, migliorando l'esperienza di interazione sociale. Sandbox e Decentraland sfruttano entrambi la tecnologia Web3, per esempio, per dare la possibilità di utilizzare lo stesso asset, comprovato via Nft, su più piattaforme o quella di acquistare Nft sui siti tradizionali. Il tutto con un modello di business che fornisce gli strumenti per creare sia domanda che offerta: la possibilità degli utenti di creare e monetizzare risorse. Questa convergenza tra gli elementi è destinata a continuare. Sicuramente all’interno delle singole progettualità, probabilmente anche oltre, verso la visione compiuta del metaverso, a cui manca proprio questo pezzo: un’interoperabilità tra i mondi talmente ampia da renderli un continuo. Basteranno gli investimenti e le relative migliorie sul fronte tecnologico a fare del metaverso un successo? A mio modesto avviso, no. Anche se, di sicuro, basteranno ad alimentare un giro d’affari importante, che al 2025 potrebbe valere tra i 250 e i 400 miliardi di dollari. Con l'economia degli asset virtuali a pesare tra 150 e 300 miliardi, il mercato di hardware e software per X-realities per quasi 50 miliardi di dollari e gli upgrade alle infrastrutture, di rete e cloud, per altrettanti. Nel lungo periodo, tuttavia, la differenza tra un indotto destinato a sgonfiarsi ed una crescita esponenziale passa principalmente dalla capacità di andare oltre le opportunità che una tecnologia offre – per quanto nuove o sorprendenti, ed arrivare alle sue applicazioni a valore aggiunto. Il metaverso non farà eccezione. Nei prossimi anni l’arte del possibile continuerà ad evolvere. I progressi abiliteranno e stimoleranno la creatività e la sperimentazione e, darwinianamente, verranno premiati quei modelli di business che sapranno identificare maniere sempre più efficaci di soddisfare bisogni di clienti (consumatori, ma anche business), rispetto a quelli baricentrati sull’esplorazione fine a se stessa dei limiti della tecnologia. Da un punto di vista settoriale, la dinamica non sarà simmetrica. Per esempio, è abbastanza intuitivo ipotizzare che l’attenzione maggiore per gli ambienti immersivi arriverà da campi quali l’healthcare, l’educazione, la formazione ed il re-skilling della forza lavoro, la manifattura e l’automotive. Più in generale però, è importante inquadrare il metaverso come un territorio di frontiera: rischioso, ma ricco di opportunità e quindi per definizione interessante, soprattutto per le aziende consapevoli del fatto che non c’è bisogno di un quadro completo per capire la potenziale portata del fenomeno. Basta un appetito per poterne trarre vantaggio.
DA QUI AL 2025 I METAVERSI ALIMENTERANNO UN GIRO D'AFFARI CHE POTREBBE VALERE TRA I 250 E I 400 MILIARDI DI DOLLARI
Struttura e previsioni del mercato dei metaversi
Economia degli asset virtuali
AR/VR/MR • Hardware • Software • Mobile, AR, ads
Richiede banda e cloud
Infrastruttura di rete e cloud
Hardware e software esistente per PC, dispositivi mobili e tablet
Crescita incrementale trascurabile
FONTE: BCG, ARTILLERY INTELIGENCE, DICEMBRE 2021