Dymphna's Family - Edizione italiana della rivista europea sullo IESA 00-2017_A

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Dymphna 2.0: il ritorno Gianfranco Aluffi

Scrivere questo primo editoriale per Dymphna's Family mi costringe a prendere at-

to che, dopo lunghi mesi di preparazione, la versione italiana della rivista europea sullo IESAè finalmente pronta al suo debutto. La stesura di questo contributo introduttivo, si fa ancor più piacevole in quanto si colora della collaborazione di tutti i colleghi di redazione e dell'international board che con il loro apporto teorico, scientifico, esperienziale, e soprattutto la passione e la fiducia per questo modello, hanno saputo far emergere le potenzialità dell'accoglienza eterofamiliare e delinearne le peculiarità. La messa in campo di risorse e competenze da parte di tutti gli attori coinvolti ha reso di fatto possibile il compimento di un progetto che ha preso forma negli ultimi due anni, ma è frutto di un pensiero ben più antico. In particolare il mio ricordo va al giugno del 1996 in quel di Ravensburg, presso la Clinica Die Weissenau, nella libreria dello studio del dott. Mike Konrad. Mi trovavo lì in quanto stavo svolgendo una ricerca sulla Psychiatrische Familienpflege (lo IESA tedesco, oggi acronimizzato in BWF – Betreutes Wohnen in Familien) e, mentre rovistavo tra articoli e libri, la mia attenzione si posò su di una rivista chiamata Dymphna. Quelle poche pagine formato A4 con copertina azzurra, rilegate quasi artigianalmente, contenevano contributi per me molto interessanti, soprattutto ai fini del mio oggetto di studio. Tra gli autori vi era anche un certo Jean Claude Cébula che, qualche anno dopo, conobbi a Parigi, ma questa è un'altra storia. In seguito scoprii che Dymphna era la rivista ufficiale del GREPFa (Groupe de Recherche Européen en Placement Familial), un'associazione scientifica internazionale di ricerca sull'inserimento eterofamiliare supportato, ma non riuscii a trovare copie successive a quella che ancora oggi accuratamente conservo.

Negli anni ho conosciuto il GREPFa sino a diventarne vicepresidente nel 2009 e ho continuato a portare avanti, anche attraverso il gruppo di ricerca, l'obiettivo comune tra i vari esponenti europei di dif-

fondere la cultura dello IESA, nonché di ricercare e identificare i modelli maggiormente performanti nell'espressione di questa pratica terapeutica e riabilitativa, in un'ottica di incessante scambio e confronto tra le parti.

Nel corso del tempo lo IESA è cresciuto in Italia diffondendosi in alcune regioni (fra le quali oltre al Piemonte troviamo Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Veneto, Sardegna, Puglia, Umbria ecc.).Ad oggi, su mandato della Regione Piemonte, stiamo lavorando al fine di operare un intervento di estensione del modello, già attivo da quasi un ventennio nell'ASL TO3, presso tutte le ASL del territorio. A livello nazionale ci si sta muovendo nella direzione di promuovere una proposta di legge sullo IESAe di definire ufficialmente la detassazione dei rimborsi spese per le famiglie ospitanti.

Lo IESA è presente e fortemente radicato in molti altri paesi europei, seppur con caratteristiche eterogenee a seconda del contesto di appartenenza. In Belgio, ed in particolare a Geel, dove la pratica dell'inserimento eterofamiliare rivolto a pazienti psichiatrici fonda le sue radici, lo IESA è strettamente collegato alla clinica psichiatrica. Il sistema di trattamento in famiglia consiste infatti in una appendice della clinica la quale assume gli ospitanti e li retribuisce direttamente. In Francia esistono due tipologie di accoglienza eterofamiliare: quella terapeutica (AFT), utilizzata per soggetti sofferenti di disagio psichico con una variante applicativa rivolta a persone con problemi di dipendenze e quella sociale (AFS), impiegata nell'inserimento in famiglia di persone anziane e/o portatrici di disabilità. Nel modello francese di Accueil Familial gli ospitanti hanno diritto ad una remunerazione per l'attività svolta e possono godere di periodi di ferie e malattia. In Italia e Germania lo IESA è piuttosto sovrapponibile, sia per ciò che concerne la tipologia dei progetti gestiti sia per il carattere volontario dell'accoglienza; ospiti e famiglie condividono quotidianità ed esperienze di vita (vacanze, gite, momenti di convivialità ecc.) supervisio-

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nati da operatori formati per seguire le operazioni di reperimento, selezione e abilitazione delle famiglie, l'abbinamento utente-famiglia e il monitoraggio dell'andamento dell'inserimento con reperibilità telefonica 24h/7gg.

Una realtà giovane ma decisamente fruttuosa in termini di numero di inserimenti (circa 14.000 progetti attivi nel 2017 in tutto il Regno Unito) è lo Shared Lives. La tipologia di utenza gestita è piuttosto diversificata (disabilità fisica e psichica, disturbi del comportamento, offenders, dipendenza da sostanze, anziani non autosufficienti, persone in carico ai servizi psichiatrici ecc.). Qui lo IESAè strutturato in servizi locali, gestiti da un organo di monitoraggio nazionale (Shared Lives Plus). Tale progetto ha acquisito in breve tempo una rispettata popolarità che ha portato lo IESA ad essere individuato dal prestigioso giornale “The Guardian” come una delle 10 pratiche 1 suggerite per cambiare il mondo in positivo.

Prescindendo dalle differenze tra i modelli applicativi nelle singole realtà nazionali, in questi anni è stato rinforzato un rapporto dinamico e dialogico tra tutti i referenti europei ed extraeuropei (UK post brexit!) con particolare attenzione al tema della professionalizzazione degli operatori. L'esperienza insegna che la competenza degli operatori IESA è da considerarsi un elemento cardine per la gestione e la buona riuscita di un inserimento. Un operatore formato con specifica professionalità è in grado non soltanto di mediare tra famiglia e ospite ma anche di riconoscere i segnali sottesi alla relazione di accoglienza, capaci di veicolare importanti messaggi. In un periodo storico in cui è indispensabile rivedere gli assetti del sistema di salute per garantire l'effettiva copertura della domanda attraverso modalità più efficienti di gestione della spesa pubblica e di risposta ai reali bisogni della popolazione, lo IESA si affianca a una nuova concezione di welfare, più intimamente connessa ai diritti fondamentali dell'individuo, dove l'attenzione è posta tanto alla promozione dello sviluppo personale e dell'inclusione sociale quanto alla buona gestione delle risorse, siano esse economiche o umane.

La spinta al dialogo, al confronto, alla ricerca dell'efficacia e dell'efficienza, la fiducia riposta in un modello operativo dai costi sostenibili, capace di produrre empowerment, e di opporsi allo stigma verso il disagio psichico e la disabilità, e i risultati raggiunti non soltanto in Italia ma anche all'estero, mi hanno incoraggiato ad intraprendere il cammino volto alla

realizzazione di questa rivista coinvolgendo i colleghi che si occupano di IESA all'estero. Ritengo che la creazione di una rivista come Dymphna's Family possa consentire non soltanto il raggiungimento di un bacino più ampio di interlocutori tra i professional ma anche di avvicinare i non addetti ai lavori alla conoscenza di una pratica che può esistere soltanto attraverso l'integrazione tra la dimensione sanitaria e quella sociale e che non può prescindere da un costante lavoro di rete e di condivisione tra i servizi e la cittadinanza. Gli articoli presenti all'interno di questo numero zero contengono testimonianze di carattere storico, scientifico e reportistico relative allo IESA in Italia, Francia, Germania e Regno Unito attraverso le quali connettere e confrontare esperienze, dati, curiosità e criticità in merito all'evoluzione del modello e alle ricadute del suo utilizzo in diversi territori e culture.

Spero che il lettore possa cogliere il carattere innovativo di un'esperienza terapeutica e riabilitativa diversa da quella classicamente offerta nelle realtà istituzionali e respirare l'impegno e la passione trasmessi da tutti gli operatori coinvolti in questo progetto che, abbracciando la dimensione relazionale e integrandola a quella sociale e terapeutica, possono contribuire ad avviare processi volti all'accoglienza, all'inclusione, al cambiamento e, come auspicabile, alla cura.

L'uscita del numero zero non sarebbe stata possibile senza l'aiuto di persone, organizzazioni e professionisti capaci di mettere in campo energie e risorse nella condivisione di un obiettivo comune. Sento quindi di ringraziare vivamente i collaboratori della redazione per la costanza e l'impegno dimostrati in questi anni, i colleghi dell'international board per il prezioso contributo, il personale grafico e di stampa dei laboratori de “Il Cortile” che, con professionalità e cura, ha partecipato alla realizzazione della rivista. Un particolare ringraziamento è rivolto alla direzione dell'ASL TO3 e alle cooperative “Il Margine” e “Pro.ge.st” per il sostegno e l'attenzione mostrata durante le fasi di progettazione e produzione. Un grazie sentito va inoltre alla redazione della rivista “Solidea. Lavoro, Mutualità, Beni Comuni ” per aver accolto con entusiasmo il progetto di collaborazione e per aver reso possibile l'operazione di divulgazione di questo lavoro.

Non mi resta che augurarvi una gradevole lettura nella speranza che a questo numero possano seguirne molti altri.

1 https://www.theguardian.com/voluntary-sector-network/2015/dec/01/giving-tuesday-10-ways-to-change-the-world.

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Inserimento eterofamiliare supportato di

adulti.

Criticità ricorrenti e garanzia di qualità dell'intervento in psichiatria

1Abstract

Il lavoro presenta i risultati di una ricerca sulla garanzia di qualità dell'intervento in ambito IESA. Nel 2013, attraverso un questionario standardizzato, sono stati intervistati 114 servizi IESA in Germania, Austria e Svizzera ed è stato chiesto loro di segnalare situazioni caratterizzate da problematicità relazionali.

I dati raccolti dall'intervista hanno rilevato che per garantire la qualità dell'intervento IESA risulta importante: realizzare visite domiciliari con periodica regolarità, almeno una volta al mese (97%); effettuare colloqui periodici con i pazienti (96%); sottoporre l'equipe a supervisione (64%).

In merito alle cause dello sviluppo di possibili problematiche relazionali nelle convivenze emergono frequentemente da parte delle famiglie ospitanti: comportamenti sostitutivi e paternalistici; atteggiamenti fortemente inadeguati; scarsa predisposizione al prendersi cura; sfruttamento della manodopera fornita dall'ospite.

Agiti violenti e abusi sessuali sono rari e solitamente portano all'immediata chiusura del progetto di inserimento eterofamiliare. Il regolare e periodico monitoraggio delle convivenze da parte degli operatori IESA, attraverso il supporto e il rinforzo positivo dell'importante funzione sociale svolta dalle famiglie ospitanti, rappresenta la via migliore per prevenire situazioni critiche e il rischio di sovraccarico degli ospitanti.

Parole chiave:

Adult Foster Care, quality assurance, IESA, fattori di rischio in psichiatria, qualità delle cure, Betreutes Wohnen in Familien, Psychiatrische Familienpflege, psichiatria territoriale, psichiatria sociale.

Nello IESA, le persone con disturbi psichici o cognitivi per le quali non è sufficiente la

presa in carico ambulatoriale, vivono all'interno di una famiglia ospitante anziché in una struttura residenziale.

Nel 2013 abbiamo chiesto a tutte le equipe IESAattive in Germania,Austria e Svizzera di stilare un resoconto circa gli strumenti utilizzati nel loro lavoro per garantire la qualità del servizio.Aqueste equipe

è stato inoltre richiesto di fornire delle relazioni riguardo agli sviluppi critici riscontrati nell'attività di supporto alle famiglie ospitanti e al tipo di intervento professionale attivato in risposta a tali criticità. Complessivamente sono stati presi in esame 114 questionari compilati per intero.

L'85% di questi gruppi di lavoro si occupano di IESA da almeno tre anni e quindi non si trovano alle prese con la fase di avviamento del servizio. Tuttavia, la me-

*Psichiatra Psicoterapeuta, CEO Spix e.V. di Wesel, Tesoriere del Gruppo Europeo di ricerca sullo IESA(GREPFa).

1 Traduzione a cura di Francesca Masin, Gianfranco Aluffi.
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tà delle equipe esaminate (54%) ha in carico un numero di utenti inferiore a 10. Considerando il fatto che un operatore full-time segue in media 10 progetti di inserimento familiare, ma spesso anche di più, si può dedurre che oltre la metà dei servizi IESA non si affida ad un gruppo di professionisti specializzati in IESA, ma a singoli operatori per i quali spesso lo IESA non rappresenta un'occupazione esclusiva. Da qualche anno a questa parte si tende, di fatto, a considerare lo IESA come una prestazione supplementare di servizi dedicati al supporto all'abitare, anche se permangono equipe specializzate a seguire esclusivamente progetti di inserimento eterofamiliare supportato strutturate in servizi autonomi.

Il vantaggio di questa recente tendenza è che lo

Grafico 1. Anni di attività del Servizio IESA.

IESAsi sta diffondendo gradualmente su tutto il territorio tedesco. Non vi è dubbio che le equipe IESA specializzate, con molti anni di esperienza all'attivo, abbiano acquisito maggiori competenze specifiche in questa particolare forma di intervento, anche grazie ai molti progetti gestiti. Il fatto che delle equipe IESA specializzate abbiano condiviso la loro esperienza stilando relazioni su un gran numero di progetti, si rivela di grande aiuto per tutti i colleghi con minore esperienza. Le equipe esperte (che noi consideriamo tali quando impegnate attualmente nel supporto di almeno 10 convivenze) si distinguono dai servizi IESA con minore esperienza, anche dal punto di vista della garanzia di qualità delle prestazioni erogate.

Grafico 2. Convivenze attualmente gestite.

6 DYMPHNA’ S FAMILY N° 00 2017 15% 41% 44% 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45% 50% meno di 3 anni3 - 10 annipiù di 10 anni 25% 54% 21% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% Meno di 10Da 10 a 20Più di 20

Dai dati raccolti emerge che tutti i professionisti dello IESA effettuano le visite domiciliari almeno una volta al mese (97%) e in quell'occasione conducono colloqui individuali con i pazienti (96%). Gli interventi mirati di sostegno alla famiglia e all'ospite e il riconoscimento precoce degli sviluppi problematici rappresentano i due indicatori più rilevanti di garanzia di qualità nello IESA.

sure adottate per la prevenzione e la risoluzione di situazioni difficili. Tali azioni comprendono, fra le altre, il discutere apertamente circa i fattori di rischio, il definire insieme delle regole per prevenire situazioni conflittuali ricorrenti o il concordare cambi temporanei di residenza dell'ospite.

Le visite domiciliari senza preavviso vengono effettuate raramente e soltanto qualora si sospetti vi

Grafico 3. Strategie a garanzia della qualità dell'intervento

Il fatto che una percentuale degli intervistati, seppur esigua (4%), non conduca colloqui individuali con i pazienti, è da considerarsi come poco professionale. Meno della metà delle equipe intervistate si avvale della possibilità dell'affiancamento di un secondo operatore per espletare le varie fasi di lavoro. Il 64% delle equipe riceve una supervisione. Per quanto riguarda le modalità con cui si affrontano le crisi, colpisce che il 50% o più degli intervistati dichiari di non aver mai “convocato” la famiglia ospitante nel proprio ufficio per discutere le problematicità, di non aver mai stilato delle regole di condotta e di non aver mai chiuso un progetto IESAa causa del comportamento inadeguato di una famiglia ospitante. Questi dati riguardano soprattutto le equipe con meno di 10 progetti in corso, ma non solo. Le equipe che gestiscono poche convivenze non hanno maturato molta esperienza con gli insuccessi e probabilmente tendono a limitare gli interventi per paura di compromettere i pochi progetti avviati.

Le differenze tra equipe più o meno esperte emergono chiaramente anche in considerazione delle mi-

siano situazioni problematiche tenute nascoste. È raro, infatti, che all'interno dello IESA si manifestino crisi acute o vengano celate situazioni problematiche che si renda necessario smascherare.

La maggiore sfida per gli operatori del servizio é rappresentata dalla gestione delle criticità che emergono gradualmente nel rapporto fra famiglia ospitante e ospite.

Il rapporto con la famiglia ospitante: una sfida

La struttura triangolare che caratterizza il rapporto tra operatore, famiglia ospitante e ospite costituisce una vera e propria sfida. Il periodo che segue l'inserimento di un paziente all'interno di una famiglia ospitante rappresenta una fase di riorganizzazione del sistema famiglia che porta all'instaurarsi di un nuovo equilibrio. Così come accade normalmente in famiglia, anche l'ospite arriva ad assumere e ricoprire un ruolo (es.: il bambino bisognoso di attenzioni, lo zio convivente ecc.).

Nella fase di avvio della convivenza vi sono buone possibilitàper gli operatoridi esercitareil proprio in-

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64% 96% 97% 14% 42% 23% 65% 96% 96% 52% 63% 6% 95% 98% 34% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
Visite domiciliari almeno una volta al mese Colloqui personali a cadenza regolare Affiancamento di un secondo operatore SupervisioneQuestionari di valutazione Totale più di 10 utenti meno di 10 utenti

flusso sulle modalità di interazione e sul ruolo che l'ospite può venire ad assumere all'interno della famiglia ospitante. Uno dei rischi che possiamo individuare in questa fase di accompagnamentoè quello di esercitare continue ingerenze all'interno della famiglia, disconoscendo in questo modo una caratteristica peculiare dei nuclei familiari, che è quella di strutturare il proprio funzionamento e i propri rapporti in maniera autonoma e secondo dinamicheproprie. Un ulteriore rischio è rappresentatoda uno sviluppo nella direzioneopposta: l'operatoreviene gradualmente “adottato” come membro esterno della famiglia e ciò può provocare la perdita della giusta distanza relazionale.

La famiglia non desidera interferenze esterne, gli operatori non vogliono seccature e così si finisce per non affrontare i conflitti che possono emergere. Per questi motivi, in alcune realtà, si è affermata la pratica del supporto “in tandem”, nella quale l'operatore viene affiancato da un collega. In questo modo, il collaboratore ha la possibilità di fornire consigli ed esternare eventuali critiche senza che venga compromesso il rapporto con l'operatore di riferimento.

Le testimonianze pervenute sono complessivamente 119, inviate da 55 equipe. Il 78% di queste equipe riporta casi in cui si riscontra un atteggiamento persistentemente sostitutivo della famiglia nei confronti del paziente; il 55% riporta comportamenti fortemente inadeguati e il 42 % parla di ospitalità inadeguata o di sfruttamento dell'ospite. Una equipe su quattro riporta un caso di violenza fisica o di molestie sessuali agite da parte di un componente della famiglia ospitante.

Comportamenti sostitutivi ed esageratamente assistenziali I comportamenti sostitutivi e sbilanciati sul versante assistenzialemessi in atto da parte degli ospitanti, costituiscono alcune delle criticità che si riscontrano con maggior frequenza nell'ambito dello IESA. Molte equipe cercano quindi di confrontarsi con questa problematicafin dall'avviodel progetto:benché l'ospite necessiti di essere supportato in alcune aree della propria esistenza, non deve essere influenzato o spinto al cambiamento in modo forzato. Inoltre, non deve essergli negata la possibilità di svolgere in autonomia le cose che sa fare, nemmeno quando si ritiene che potrebbero essere fatte meglio. A questo proposito, può risultare complesso determinare quando un intervento di cura si trasforma in intervento marcatamente assistenziale. I pazienti per i quali si rende necessariaun'assistenzaintensa e continuativavengono assegnati,già nella fase di ab-

binamento, a famiglie che presentano una attitudine di tipo assistenziale. A questo proposito, i colleghi di Geel (Belgio) operano la distinzione fra famiglie ospitanti“calde” e “fredde”.

I colleghi fanno opportunamente notare che “un comportamentosostitutivonon presenta solo aspetti negativi ma può essere anche facilitante e strutturante. L'atteggiamentobenevolo di alcune famiglie, che fornisconoagli ospiti ogni possibile forma di sostegno e gli permettono di vivere nuove esperienze può sfociare, in alcuni casi, nel prendere il posto dell'ospite nei processi decisionali. Soprattutto in presenza di ospiti con limitati livelli di autonomia e con personalità insicura, si accentua la tendenza per cui, ad esempio, non ci si limita a proporre delle attività da fare insieme, ma si fa sentire il paziente in dovere di prendervi parte”. Altre testimonianze riportanocasi in cui, al contrario,sono i pazienti a richiedere un livello di assistenza eccessivo, sentendosi perfettamente a proprio agio in questa posizione. In questi casi, tentare un'inversione di rotta può rivelarsiimpresa complessa.

Le famiglie ospitanti spesso mettono spontaneamente in atto comportamenti caratteristici dei rapporti genitore-figlio, soprattutto nei confronti di ospiti giovani e di persone con disturbi psichici. Una equipe riporta la propria esperienza: “Spesso cerchiamo di ragionare attraverso un'ipotetica inversione dei ruoli e chiediamo ai componenti delle famiglie ospitanti di immaginarsi come si sentirebbero nei panni del paziente, se altri si relazionassero nei loro confronti in maniera simile a come loro si rapportano al proprio ospite. Un'altra possibilità risiede nell'organizzare spazi di formazione in cui affrontare questa problematica invitando famiglie ospitanti, selezionate in maniera mirata. È inoltre opportuno facilitare una presa di posizione del paziente che sia sufficientemente percepibile, in modo da ristabilire un certo equilibrio”.

A proposito del prendersi cura, non è raro assistere all'instaurarsi di una forma di competizione tra l'equipe e la famiglia riguardo a chi è in grado di pronunciarsi nella maniera migliore rispetto al bene del paziente.

Infine, un approccio eccessivamente assistenziale e sostitutivo può essere espressione di un bisogno inconscio della famiglia ospitante, i cui membri desiderano percepirsi ed essere percepiti come persone buone e caritatevoli. È anche possibile che si venga a creare una dinamica di potere nei termini di “forte contro debole”. I pazienti che sono in grado di far valere i propri bisogni e di mantenere i propri confini personali, raramente incorrono nel pericolo di essere prevaricati all'interno di un progetto IESA. Tut-

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tavia, molte persone con problemi psichici o cognitivi sono limitate nella loro capacità di autodeterminazione. Si aggiunga a ciò, la dipendenza del paziente dalle cure e dall'alloggio che gli vengono offerti, che può indurre la famiglia ad affermazioni del tipo: “o ti adatti o vai in comunità!”. Le visite domiciliari da parte degli operatori svolgono anche la funzione implicita di smussare i rapporti di potere che possono venire a crearsi.

In ogni progetto può capitare che la famiglia metta in atto comportamenti inadeguati.

L'arte dell'intervento supportivo reso dagli operatori IESA consiste nel non intervenire in ogni occasione, assumendo però un ruolo attivo qualora vengano a prefigurarsi delle criticità. Estratto da una testimonianza: “Per noi si tratta di individuare e discutere sul nascere i primi segnali di malcontento, in modo tale che le criticità non si cristallizzino”. In questi frangenti, l'atteggiamento con cui si realizza l'intervento si rivela determinante, dato che le famiglie ritengono naturalmente di essere nel giusto e di agire nel modo corretto. Probabilmente i colleghi che riferiscono quanto segue, non hanno interagito con le famiglie in modo pienamente rispettoso: “In base alla nostra esperienza, parlare dei conflitti con le famiglie che presentano modalità relazionali problematiche non ha portato a cambiamenti costruttivi. Abbiamo constatato che, nella maggior parte dei casi, le famiglie non erano consapevoli del problema oppure che le critiche non venivano prese in debita considerazione: ne risultavano allora un inasprimento del comportamento problematico, pressioni sul paziente perché si era confidato con noi, atteggiamenti circospetti e ansiosi della famiglia ospitante nei confronti degli operatori IESA...”.

Compito fondamentale del servizio è quello di fornire sostegno ad una famiglia che apre le porte della propria casa e offre uno spazio ad una persona con grave disabilità.

Non si tratta di esercitare un controllo, ma di mettere a disposizione le proprie competenze professionali, di accompagnare la famiglia sgravandola dai carichi eccessivi, di riconoscere l'importanza dell'attività svolta dai volontari a livello umano e sociale, di creare un equilibrio fra gli interessi degli ospiti e le risorse degli ospitanti. Questi interventi sono possibili soltanto sulla base dell'instaurarsi con le famiglie di un rapporto alla pari, improntato al rispetto reciproco.

Comportamenti inadeguati

Un ulteriore aspetto problematico delle convivenze è costituito dai comportamenti inadeguati messi in

atto dalla famiglia IESA nei confronti dell'ospite. Queste modalità di interazione problematiche non si presentano all'improvviso come fulmini a ciel sereno, ma come reazione ad un carico, percepito progressivamente come eccessivo. Citiamo, a titolo di esempio, il caso di un progetto nel quale la convivenza, iniziata molto bene, non è andata a buon fine a causa di un furto da parte dell'ospite, in seguito al quale a nulla sono valsi gli interventi dell'equipe per ristabilire un clima sereno e si è reso necessario terminare la convivenza. Una convivenza basata su relazioni serene è minacciata soprattutto dal fatto che una famiglia può percepire gradualmente un certo sovraccarico nel rapporto con l'ospite e, in alcuni casi, questa sensazione insorge dopo diversi anni dall'avvio del progetto. Questo problema è esemplificato dal caso di una coppia di fratelli disabili ospiti da sette anni presso una famiglia IESA. Ad intervalli irregolari, entrambi mettevano in atto comportamenti poco graditi alla famiglia (episodi di enuresi, urinare nell'angolo della stanza, rovistare dentro il gabinetto ecc…). I coniugi reagivano a questi comportamenti con rimproveri molto aspri e punizioni (ad esempio con la reclusione degli ospiti all'interno delle stanze) ma al tempo stesso negavano di sentirsi esasperati da questa situazione. Dopo diversi interventi rivelatisi inefficaci, l'equipe é intervenuta con la sua autorità, tracciando innanzitutto dei confini chiari ma esprimendo al contempo riconoscimento per il lavoro difficile svolto da questa famiglia. Da quel momento la coppia ha iniziato a controllare le proprie reazioni, la situazione si è distesa e i comportamenti indesiderati si sono presentati con una frequenza minore.

Un altro caso riguarda una cliente diciottenne che, dopo aver subito una violenza sessuale, era stata inserita a casa di una donna. La ragazza aveva un'igiene personale scarsissima e nei confronti della sua caregiver si comportava in maniera estremamente irrispettosa, ai limiti della sopportazione. La caregiver, da parte sua, rispondeva irritata a questo atteggiamento. Si era instaurata un'atmosfera di aggressività cronica. Nell'ambito delle visite domiciliari, entrambe cercavano di guadagnarsi il sostegno dell'operatrice IESA spingendola ad assumere la posizione di arbitro. Come ultimo tentativo prima di chiudere il progetto, è stato tentato un intervento “in tandem” in cui l'operatrice A vedeva la cliente per un'ora alla settimana e l'operatrice B sosteneva e accompagnava solo la caregiver. Questa soluzione ha portato ad un'importante pacificazione e vi sono stati progressi verso uno sviluppo positivo della situazione. Il fattore decisivo è stata la collaborazione tra la collegaAe la collega B.

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Assistenza inadeguata, sfruttamento della manodopera dell'ospite

Il 40% delle equipe riferisce casi di assistenza inadeguata legati a motivi economici o a situazioni che si avvicinano allo sfruttamento della manodopera degli ospiti.Anche in questi frangenti è necessario prestare ascolto ad entrambe le parti. Tuttavia in casi del genere giungere ad un accordo risulta più semplice: “Quando abbiamo l'impressione che un volontario sia troppo concentrato sull'aspetto legato al vantaggio economico, interveniamo per moderare la situazione parlando a chiare lettere, intavolando un discorso sui diritti e i doveri degli interessati. In tali situazioni bisogna considerare gli atteggiamenti delle famiglie ospitanti anche come reazioni al comportamento dell'ospite e viceversa”. In un caso vi era il sospetto che una famiglia si appropriasse indebitamente del denaro del cliente. Attraverso un accordo, che introduceva una speciale contabilità supportata da scontrini, si ristabilì un senso di sicurezza. Due famiglie IESA, che in vacanza si erano sostituite reciprocamente nella cura del proprio ospite, durante le settimane estive fecero dormire entrambi gli ospiti, un uomo e una donna, in una camera da letto comune. Quando si fece notare loro che la situazione non era accettabile, non vi fu alcun ravvedimento. L'equipe, allora, riferì loro che la sostituzione per le vacanze nel futuro sarebbe dovuta avvenire all'interno di un'altra famiglia. Da quel momento non si può dire che vi sia stata una vera presa di coscienza riguardo al problema, ma sono state predisposte due stanze separate. In un altro caso, il crescente indebitamento della famiglia aveva avuto come conseguenza un'assistenza sempre più scarsa del cliente, che ora vive in una nuova famiglia IESA.

Ma cosa può succedere quando il cliente vuole rimanere all'interno della famiglia a dispetto di un supporto inadeguato? Il signor A vive da otto anni in un mini appartamento presso la famiglia B, con la quale inizialmente si era instaurato un forte attaccamento. Negli ultimi anni la famiglia ha iniziato a fare la spesa per il signor A soltanto una volta alla settimana, spesso non ha contatti con lui per un'intera giornata e, all'ultimo minuto, annulla gli appuntamenti per le visite domiciliari. Tuttavia il signorA, che è stato a lungo un alcolista senzatetto, ora ha trovato una casa e non se ne vuole più andare: riferisce di essere contento con le sue “persone di casa”, come le chiama lui. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso le famiglie ospitanti beneficiavano della manodopera del cliente come ricompensa per l'ospitalità. Lo sfruttamento era dunque all'ordine del giorno. La cattiva fama che lo IESA ancora si porta dietro,

deriva in parte da questi precedenti.

Talvolta, ancora oggi, si rivela difficile porre una netta demarcazione fra la gradita collaborazione all'interno della famiglia ospitante e lo sfruttamento della manodopera fornita dall'ospite, specialmente nei casi in cui la famiglia sia solita elargire una ricompensa per questa collaborazione in termini di elogi o di denaro.

Due esempi: una donna disabile psichica si fa carico di tutti i lavori domestici della famiglia. Nonostante si senta oberata, non osa “dire di no”. In seguito a lunghi colloqui del team IESA con la paziente e gli ospitanti è stata concordata una nuova spartizione dei lavori domestici, ottenendo un alleggerimento del carico percepito dall'ospite.

Un paziente, con esperienza nel lavoro agricolo, viene inserito all'interno di una fattoria con annessa attività di maneggio. Risulta presto chiaro che la proprietaria della fattoria e la sua famiglia hanno un carico di lavoro eccessivo, dato dalla conduzione contemporanea di due attività. La famiglia è così assorbita dal lavoro quotidiano da non avere più tempo per prestare attenzione al cliente. Benché continui ad essere trattato con gentilezza, l'ospite viene considerato prima di tutto in virtù della sua capacità lavorativa per cui, ad esempio, viene ammonito quando la mattina arriva alla stalla in ritardo. Quando viene a mancare un aiutante regolarmente assunto, la pressione sul cliente diventa ancora più forte. Alla fine l'équipe IESA decide di chiudere questo progetto.

Abuso sessuale e violenza

Alla voce “abuso sessuale e violenza”, vi sono sei report che descrivono altrettanti casi di violenza sessuale, sempre a danni di donne e riguardano nei dettagli:

-palpazioni del seno ed esternazione di fantasie sessuali da parte del caregiver nell'arco di tempo di tre mesi;

- ménage a trois, protratto per molto tempo, fra i caregiver e una paziente borderline consenziente;

-una giovane donna gravemente disabile che per molto tempo ha avuto rapporti sessuali con il figlio sedicennedella famiglia ospitante;

-abbracci e soprusi fisici protratti per molto tempo da parte del caregiver in risposta al rifiuto della cliente;

-il caso di una cliente che aveva già vissuto presso la famiglia come bimba in affido, costretta a rapporti sessuali e picchiata con un mestolo da cucina;

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-un caso di abuso sessuale, senza ulteriori dettagli specificati.

Fra i contributi che riportano episodi di violenza fisica ne sono stati analizzati undici in cui un componente della famiglia ospitante ha commesso violenza nei confronti di una o di un ospite. Non sono state riportate testimonianze riferite ad atti violenti compiuti dal paziente. In sette casi si è deciso di chiudere immediatamente il progetto IESA. Di seguito riportiamo due casi:

Una paziente veniva regolarmente picchiata e colpita in viso ogni qual volta metteva in atto comportamenti indesiderati. Veniva minacciata di essere messa in un istituto qualora avesse parlato. Per molto tempo, in occasione delle visite domiciliari, tutto sembrava nella norma, salvo il fatto che la paziente appariva visibilmente intimorita. Solo dopo ripetuti colloqui privati, essa trovò il coraggio di riferire riguardo alle percosse.

Una caregiver è sovraffaticata dall'atteggiamento esigente della sua ospite con ritardo mentale e si sente provocata di continuo. Nonostante l'equipe sia molto presente e supportiva, la convivenza diventa sempre più tesa, le liti e le esternazioni svalutanti da parte della ospitante si fanno sempre più frequenti fino a sfociare in violenza fisica.

Nel secondo caso la violenza si è manifestata attraverso uno schiaffo, un evento isolato, espressione di una situazione di affaticamento progressivo che aveva raggiunto il culmine.

L'equipe dovrebbe sempre mantenere un alto grado di vigilanza nei confronti di quelle manifestazioni che segnalano un carico eccessivo, ad esempio lamentele frequenti ed apparentemente ingiustificate nei confronti di una paziente. Quando non è stato possibile risolvere le cose con un chiarimento o un intervento di alleggerimento, cambiare temporaneamente il contesto abitativo, trasferendo l'ospite ad esempio in una comunità o in un'altra famiglia IESA, si è rivelata una valida soluzione. In un ambiente neutro, i pazienti hanno potuto valutare con maggiore serenità se portare avanti la convivenza in quella famiglia. È sempre importante rispettare la loro volontà.

L'importanza di creare un abbinamento appropriato

Un abbinamento calzante fra ospite e famiglia ospitante costituisce il parametro fondamentale per una buona riuscita del progetto. È quindi necessario

avere a disposizione una vasta gamma di famiglie tra le quali operare la scelta. Se si inserisce un paziente nella prima famiglia che si ha a disposizione, semplicemente sulla base del fatto che ne sono rimaste libere, poniamo, soltanto un paio, si rinuncia alla qualità. Anche un abbinamento schematico, operato ad esempio sulla base della sola preferenza per un certo luogo di residenza, non si rivela adeguato a creare i presupposti per una buona convivenza. Un' equipe IESAvalida possiede l'arte, al pari di un'agenzia matrimoniale, di trovare delle combinazioni relazionali di carattere duraturo e stabile. Gli aspetti oggettivi, come le necessità assistenziali del paziente e le capacità gestionali della famiglia, sono elementi importanti quanto la conoscenza intuitiva di entrambe le parti. Questa capacità intuitiva, questo “sentire con la pancia”, può essere impiegato con profitto anche sul piano professionale: si tratta di ascoltare quali risonanze un ospite o una famiglia ospitante evocano dentro di noi, come accade con gli strumenti musicali, e di confrontarci con i nostri colleghi riguardo a queste sensazioni.

Talvolta i conflitti sono prevedibili già a partire da abbinamenti poco felici:

Una famiglia ospitante accoglie come ospite IESA il compagno della figlia, il quale soffre di disturbi psichici e di tossicodipendenza. I conflitti di coppia diventano sempre più esasperati e culminano con l'intervento della polizia. Il progetto viene chiuso dopo tre mesi.

Una madre si sente estremamente provata dalla convivenza con la propria figlia sofferente di disturbi psichici. La figlia si trasferisce presso la migliore amica della madre, e inizia ad essere supportata dagli operatori IESA. Da quel momento nasce una competizione fra la madre e la sua amica: la madre inizia a calunniarla mettendole contro l'intero paese. Questa situazione colloca la caregiver sotto una tale pressione psicologica da costringerla a rinunciare al progetto.

Una donna affetta da demenza viene inserita presso l'abitazione di una assistente geriatrica, che ha appena lasciato il proprio lavoro. Dopo sei mesi, la relazione diventa problematica e gli atteggiamenti irrispettosi. La caregiver non ha alcuna intenzione di modificare il proprio atteggiamento. Si apre un conflitto fra la caregiver e l'equipe che degenera con l'invio di lettere diffamatorie al giudice tutelare da parte di quest'ultima. In molte relazioni correlate a sviluppi problematici

11 DYMPHNA’ S FAMILY N° 00 2017

del progetto, si ritrova un caregiver che svolge o ha svolto un lavoro in ambito sociale. In questi casi non è raro imbattersi in situazioni di competizione professionale e scarsa collaborazione con l'equipe IESA. Per questo, l'equipe dovrebbe operare delle profonde riflessioni prima di inserire un cliente presso una famiglia di insegnanti o di operatori sociali. Quindi, l'equipe IESA che voglia inserire un cliente presso una famiglia di insegnanti o di operatori sociali, farebbe bene a pensarci su due volte! Ovviamente dico ciò in maniera scherzosa. Tuttavia una buona collaborazione tra famiglia ospitante e operatori costituisce il presupposto fondamentale per un servizio IESAdi qualità.

Conclusioni

Comportamenti sostitutivi e atteggiamenti inadeguati nei confronti dell'ospite rappresentano i problemi più frequenti con i quali gli operatori sono chiamati a confrontarsi.

Fortunatamente queste derive si verificano di rado nei progetti IESA. Le situazioni qui descritte rappresentano esempi negativi tratti dall'esperienza di 114 equipe IESA che, nella sola Germania, seguono attualmente 2.500 pazienti inseriti in famiglie ospitanti.

È verosimile che certe criticità si presentino in ambito IESA in misura non superiore a quanto si registra nelle comunità e negli istituti di cura. Questo dato non è scontato ma è ascrivibile agli standard storicamente elevati che hanno portato all'attuale pra-

tica dello IESA: un adeguato supporto ad ospiti e ospitanti da parte degli operatori e colloqui privati con il paziente, condotti a cadenza regolare.

necessario difendere questo standard dalla minaccia di tagli finanziari.

L'intervento professionale non si attiva solo in presenza di un problema, ma svolge una funzione di accompagnamento sin dalle fasi iniziali. In questo modo vi sono buone possibilità di sviluppare una collaborazione basata sulla stima reciproca e di creare un rapporto di equilibrio fra le parti che garantisca qualità, un rapporto triangolare dinamico e stabile tra professionisti, ospite e famiglia.

All'interno di questo sistema è possibile riconoscere precocemente i carichi percepiti come eccessivi da parte della famiglia e colmare le carenze mediante la condivisione di strategie comportamentali efficaci. Il servizio IESA si configura come organismo di monitoraggio della convivenza e integra quelle competenze che la famiglia non è in grado di fornire; rappresenta un appoggio, uno stimolo propulsivo e tiene in considerazione gli interessi di entrambi i soggetti del rapporto. Compito del servizio è soprattutto quello di fornire alla famiglia l'opportuno riconoscimento per il fatto di svolgere un lavoro di grande rilevanza sociale. Lo IESAfavorisce quindi quell'inclusione che è spesso preclusa alle persone portatrici di una grave disabilità e che riguarda il sentirsi parte di una famiglia, la possibilità di procedere nel proprio percorso esistenziale all'interno della società, l'amare e l'essere amati.

È
12 DYMPHNA’ S FAMILY N° 00 2017 http://iesaitalia.altervista.org
Per ulteriori approfondimenti sullo IESA in Italia e nel mondo è possibile consultare il sito al link sottostante:

Uno studio retrospettivo sullo

IESA.

Nuove evidenze a supporto del Fattore Terapeutico

Ambientale attraverso un'analisi dei ricoveri in pazienti psichiatrici

Abstract

Tra le soluzioni residenziali affermatesi dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici in Italia, il Servizio IESA(Inserimento Eterofamiliare Supportato diAdulti) rappresenta un'alternativa alla residenzialità psichiatrica. Nel 2007 si registravano 34 Dipartimenti di Salute Mentale impegnati nell'utilizzo e diffusione di tale pratica. Nonostante la limitata letteratura, alcuni lavori hanno valutato l'efficacia di questa opportunità terapeutica. L'obiettivo dello studio è integrare le evidenze di efficacia proposte in letteratura attraverso uno studio retrospettivo relativo agli inserimenti IESA full-time per pazienti psichiatrici afferenti al Servizio IESAdell'ASLTO3 dal 1998 al 2014.

Il campione è formato da 43 pazienti che hanno effettuato un percorso in famiglia della durata uguale o superiore all'anno. La ricerca ha voluto indagare il numero e le giornate di ricovero dovuti a problemi di carattere psichico del campione in una fase precedente e successiva all'inserimento, al fine di rilevare eventuali variazioni in merito alla frequenza degli eventi di crisi e alla durata dei ricoveri. Dai risultati è emerso che la percentuale di utenti, ricoverati almeno una volta prima e dopo l'inserimento presso il Servizio IESA, era rispettivamente di circa il 32% e il 7%. Per quanto riguarda la durata media dei ricoveri, essa è stata di circa 39 giorni prima dell'inserimento presso lo IESAe di circa 2 giorni durante l'inserimento. I risultati mostrano una riduzione significativa del numero e della durata dei ricoveri in seguito all'inserimento dei pazienti all'interno di una famiglia IESA.

Parole chiave: IESA, Inserimento Eterofamiliare, ricoveri, studio retrospettivo, disagio psichico, fattore terapeutico ambientale, psichiatria, terapia ambientale.

La chiusura degli ospedali psichiatrici, sancita in Italia con la Legge n. 180 del

13 maggio 1978, ha portato a una revisione dell'offerta di cura per il paziente psichia-

trico sia sul piano teorico sia sul piano pratico. L'ospedale psichiatrico è stato nel corso degli anni sostituito da un ventaglio di servizi coordinati e integrati dai Dipartimenti di Salute Mentale vol-

*Psicologo Psicoterapeuta, Responsabile Servizio IESA e Unità di Monitoraggio e Programmazione Clinica dell'ASL TO3, Università degli Studi di Torino, Vice Presidente del Gruppo Europeo di Ricerca sullo IESA (GREPFa), Formatore IESA.

**Psicologa, Operatrice Unità di Monitoraggio e Programmazione Clinica dell'ASL TO3, Cooperativa Il Margine.

** Psicologo Psicoterapeuta, Coordinatore Scientifico Unità di Monitoraggio e Programmazione Clinica dell'ASL TO3, Cooperativa Il Margine, Università degli Studi di Torino.

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ti a trattare e assistere persone affette da disagio psichico: strutture territoriali, servizi ospedalieri per la gestione delle acuzie sintomatologiche, strutture per attività in regime semiresidenziale e residenziale. Nello specifico, diverse sono le soluzioni residenziali che si sono affermate nel corso degli anni volte ad accogliere la sofferenza psichica (De Girolamo & Cozza, 2000). Si tratta di soluzioni abitative caratterizzate da un diverso livello d'intensità socio assistenziale e sanitaria fornita (24 ore, 12 ore, a fasce orarie) al paziente, la cui organizzazione strutturale e dotazione del personale è regolamentata dalle normative regionali vigenti.

Il focus di questo lavoro viene posto su una peculiare e antica pratica: l'Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti (IESA). L'affermazione di questo servizio ha determinato in alcune aree geografiche una riconversione dell'offerta psichiatrica in ambito residenziale.Adifferenza di altre soluzioni, si pensi per esempio alle comunità terapeutiche nelle quali il contesto terapeuticorelazionale entro il quale il paziente viene inserito è costituito da operatori della salute mentale e da altre persone affette da disturbi psichiatrici, lo IESA prevede l'inserimento di persone maggiorenni con disagio psichico all'interno di famiglie disposte ad accoglierle presso il proprio domicilio con le quali non sussistono vincoli di parentela. In altri termini, riprendendo le parole di Griesinger in merito al passaggio dall'ospedale psichiatrico all'inserimento eterofamiliare di pazienti psichiatrici, quest'ultima soluzione “offre […] la completa esistenza tra persone sane, il ritorno da un ambiente sociale artificioso e monotono ad un ambiente naturale, il beneficio della vita familiare” (citato in Tamburini et al., 1918, p. 568). Nello IESAil setting principale, entro il quale ha inizio la riorganizzazione del Sé e l'integrazione sociale dell'individuo, è formato dalla casa della famiglia ospitante e dalle relazioni quotidiane che si creano tra i suoi membri e l'ospite (Aluffi & Larice, 2014). La famiglia, favorendo il cambiamento e il benessere psichico nel paziente diventa una risorsa terapeutica fondamentale. L'origine di questa pratica, come noto, risale a oltre 600 anni fa a Geel, una cittadina belga, dove alcune famiglie accoglievano presso la propria dimora persone affette da disturbi mentali (Aluffi, 2001). Lo IESAsi è diffuso in diversi Pae-

si Europei ed Extraeuropei, tra i quali Germania, Francia e Canada. In Italia lo IESA, dopo una prima stagione a cavallo tra la fine del 1800 e inizio del 1900, si è rilanciato negli anni '90 diffondendosi; nel 2007 questa pratica risultava attiva in 34 Dipartimenti di Salute Mentale (Aluffi et al., 2010).

In accordo con Goldstein e Godemont questa alternativa alla residenzialità psichiatrica può favorire l'integrazione di persone con disturbi mentali gravi nella comunità, principale finalità che lo IESA si propone di perseguire. Secondo gli stessi autori l'accettazione della sofferenza psichica da parte della comunità potrebbe essere una variabile importante per una buona riuscita dell'integrazione sociale (Goldstein & Godemont, 2003). Come sottolineano alcuni autori (Oleniuk et al., 2013) lo stigma della malattia, di natura esterna oppure interna (Rüsch et al., 2014), può contribuire all'isolamento sociale e interferire con la realizzazione del trattamento.

L'inclusione di persone con disagio psichico da parte della comunità, attraverso l'inserimento eterofamiliare, contribuisce alla lotta allo stigma che emargina gli individui colpiti da sofferenza psichica. In quest'ottica, i risultati di una recente meta-analisi (Corrigan et al., 2012) suggeriscono che nei cittadini, la maggior parte dei quali europei e americani di origine europea, il contatto con persone affette da disturbo psichico migliori gli atteggiamenti e la propensione all'interazione con queste persone.

Nonostante l'antica origine e la relativamente ampia diffusione dello IESA, la letteratura internazionale sugli inserimenti eterofamiliari è limitata (Piat et al., 2000). I principali temi affrontati dalla produzione scientifica sono la storia e l'evoluzione di questa pratica nel tempo (Piat & Sabetti, 2010; Goldstein & Godemont, 2003; McCoin, 1985), la relazione interpersonale tra caregiver e paziente (Skruch & Sherman, 1995; Newman & Sherman, 1980), la soddisfazione dei pazienti e la qualità di vita percepita (Piat et al., 2008a; Piat et al., 2006; Aluffi, 2014), le responsabilità (Piat et al., 2005) e le caratteristiche dei caregiver (Piat et al., 2008b; Piat et al., 2007; Rhoades & McFarland, 1999; Braun, Horwitz & Kaku, 1988; Blaustein & Veik; 1987).

L'efficacia dell'inserimento eterofamiliare è stata indagata mediante il confronto di questa pratica

14 DYMPHNA’ S FAMILY N° 00 2017

con altri servizi (Haveman & Maaskant, 1992; Kane et al., 1991; Willer & Intagliata, 1982; Linn et al., 1977), come per esempio nursing homes, comunità alloggio e trattamenti ospedalieri, e la misurazione degli outcomes in seguito all'inserimento eterofamiliare attraverso la valutazione del funzionamento sociale e della sintomatologia del paziente (Schmidt-Michel et al., 1992; Linn et al., 1980; Murphy et al., 1976). Per quanto riguarda i fattori che possono influenzare gli esiti, in uno studio di Linn e collaboratori (Linn et al., 1980) è emerso che la presenza di bambini in famiglia, la dimensione della casa e il numero di pazienti accolti possono influenzare il livello di funzionamento del paziente. Tali risultati sono in linea con l'ipotesi che il fattore terapeutico ambientale (Aluffi & Larice in Aluffi, 2014), inteso quale spazio fisico, relazionale ed emotivo offerto da una famiglia, differisce da quello che caratterizza altre strutture residenziali, come le comunità terapeutiche.

L'obiettivo principale di questo studio è integrare le evidenze di efficacia dell'inserimento eterofamiliare disponibili in letteratura, mediante uno studio pre-post che confronta la condizione clinica dei pazienti, intesa come frequenza e durata di episodi di crisi, prima e dopo l'inserimento. A tal fine, in questo studio sono oggetto di analisi il numero e la durata dei ricoveri in Casa di Cura Neuropsichiatrica (CdC) e presso un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) di pazienti affetti da disturbi psichici oppure da disabilità, nell'ipotesi che il cambiamento ambientale produca effetti benefici sulla salute del paziente.

Metodi

Si tratta di uno studio retrospettivo che ha coinvolto pazienti psichiatrici afferenti al Servizio

IESA dell'ASL TO3 che copre un'area di circa 600.000 abitanti nell'hinterland torinese e nelle zone collinari e montuose dell'area occidentale della provincia di Torino. I dati oggetto di analisi sono stati acquisiti mediante la consultazione delle cartelle cliniche dei pazienti e di appositi database dedicati alla registrazione di queste informazioni. I partecipanti allo studio sono individui affetti da disagio psichico oppure disabilità inseriti presso questo servizio tra il 1998 e il 2014. Di questi sono stati selezionati coloro che per almeno un anno sono stati seguiti dal Servizio IESA.

I ricoveri inclusi nell'analisi sono dovuti a problematiche di carattere psichico. Sono stati esclusi i ricoveri dovuti a problemi fisici, come per esempio la rottura di un arto, oppure per motivi ambientali, ad esempio problemi di salute del caregiver che impediscono la prosecuzione dell'attività di supporto e cura del paziente presso la propria casa.

Sono stati inclusi nell'analisi i pazienti coinvolti in progetti IESA full-time a medio e lungo termine, che implicano l'integrazione del paziente presso la famiglia 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Sono invece stati esclusi dall'analisi i progetti parttime, i quali si caratterizzano per la programmazione settimanale di incontri settimanali tra caregiver e paziente della durata di qualche ora.

Analisi statistica

Il t-test per dati appaiati è stato applicato utilizzando il software statistico 'Statistical Package for Social Sciences' (SPSS versione 23.0 inglese). Il test confronta le medie del numero e della durata dei ricoveri di uno stesso gruppo di pazienti rilevati in due periodi diversi, un anno prima e un anno dopo l'inserimento presso il Servizio IESA. Il livello di significatività (α) era fissato allo 0,05 per tutti i confronti effettuati e il calcolo degli intervalli di fiducia.

Risultati

Dal 1998 al 2015, sono stati inseriti presso il Servizio IESAcon progetto full-time 78 pazienti con disturbi psichici e disabilità. Sono stati raccolti e analizzati i dati relativi a 43 pazienti, il 55% rispetto al totale, la cui permanenza all'interno della famiglia ha avuto una durata pari o superiore all'anno.

La tabella 1 mostra le frequenze e le percentuali per descrivere le caratteristiche del campione.

L'età media del campione è di 52 anni all'avvio del progetto IESA; in particolare, le donne e gli uomini hanno in media rispettivamente 44 anni e 57 anni.

La durata media dei progetti esaminati è di 1.787,84 giorni (min=373; max=5.589), corrispondenti a 5 anni circa.

Il trattamento farmacologico pregresso all'inserimento IESA è proseguito per quei pazienti che ne avevano necessità.

15
DYMPHNA’ S FAMILY N° 00 2017

Tabella 1. Caratteristiche del campione.

Il 32,56% (N=14) dei partecipanti allo studio è stato ricoverato almeno una volta in Casa di Cura neuropsichiatrica oppure SPDC per motivi psichici prima dell'inserimento presso il Servizio IESA. Di questi, la maggior parte, 9 pazienti su 14, sono uomini. Otto partecipanti si trovavano presso la propria casa, cinque partecipanti in comunità e un partecipante in una pensione assistita. In riferimento alla diagnosi, otto pazienti sono affetti da disturbi afferenti all'area delle schizofrenie, tre pazienti da disturbi di personalità e altri tre pazienti da disturbi dell'umore.

Successivamente all'inserimento eterofamiliare, il 6,98% del campione è stato ricoverato per acuzie sintomatologica almeno una volta. Questi pa-

zienti, due uomini e una donna, presentano rispettivamente diagnosi riferibili alle seguenti categorie diagnostiche: disturbi dell'umore, disturbi di personalità e schizofrenie.

Nei grafici che seguono vengono rappresentati il numero (grafico 1) e la durata (grafico 2) complessiva dei ricoveri.

In media, il numero dei ricoveri per paziente registrati l'anno prima dell'inserimento presso il Servizio IESA è pari a 2,57 (DS=2,47) e in seguito all'inserimento eterofamiliare è 1.33 (DS=0,58). L'anno precedente l'inserimento eterofamiliare il numero medio di giornate di ricovero per paziente è pari a 120,07 giorni (DS=88,97) e l'anno successivo, durante il trattamento IESA, è pari a 22 giorni (DS=24,27).

* La voce 'Altro' si riferisce a: pensione assistita (n. 3 pazienti), gruppo appartamento (n. 1 paziente) e dormitorio (n. 1 paziente).
16 DYMPHNA’ S FAMILY Frequenze
Età 18-35 36-45 7 9 16,3 20,9 46-55 9 20,9 56-65 9 20,9 66 e oltre 9 20,9 Genere Uomini 26 60,5 Donne 17 39,5 Diagnosi principale Disturbi di personalità 8 18,6 Schizofrenie 23 53,5 Disturbi dell’umore 8 18,6 Ritardo mentale e disturbi a eziologia organica 4 9,3 Tipo di progetto A medio termine 15 34,9 A lungo termine 28 65,1 Collocazione precedente Casa propria 16 37,2 Comunità terapeutiche/psichiatriche/protette 22 51,2 Altro* 5 11,6 N° 00 2017
(N) Percentuali (%)

Grafico 1. Numero complessivo di ricoveri (CdC, SPDC)registrati un anno prima e un anno dopo l'inserimento eterofamiliare.

Grafico 2. Durata complessiva di ricoveri (CdC, SPDC) registrati un anno prima e un anno dopo l'inserimento eterofamiliare.

I risultati del T-test che confronta il numero dei ricoveri dovuti a problemi psichiatrici un anno prima e un anno dopo l'inserimento presso il Servizio IESA mostrano una differenza statisticamente significativa (t(43)=3,013, p=0,004, CI (0,246; 1,243)).

Emerge una differenza statisticamente significativa anche confrontando le giornate di ricovero registrate un anno prima e un anno dopo l'inserimento presso il Servizio IESA

(t(43)=3,368, p=0,002, CI (15,054; 60,695)).

L'analisi rivela che il numero e la durata dei ricoveri sono diminuiti in seguito all'inserimento presso il Servizio IESA e tali riduzioni risultano statisticamente significative.

Conclusioni

L'ipotesi che si è voluta testare con questa ricerca è se il numero e le giornate di ricovero registrati prima dell'inserimento eterofamiliare sia diverso ri-

17 DYMPHNA’ S FAMILY 36 4 0 5 10 15 20 25 30 35 40 Anno prima inserimento IESAAnno dopo inserimento IESA NumeroRicoveri N° 00 2017 1.681 66 0 200 400 600 800 1.000 1.200 1.400 1.600 1.800 Anno prima inserimento IESAAnno dopo inserimento IESA GiornatediRicovero

spetto al numero e alla durata dei ricoveri rilevati successivamente. I risultati mostrano che il numero dei ricoveri e le giornate di ricovero diminuiscono significativamente in seguito all'inserimento dei pazienti presso il Servizio IESA. Secondo quanto affermato da Piat e colleghi (Piat et al., 2006), le caratteristiche dell'ambiente sono più predittive dell'outcome rispetto alle caratteristiche individuali del paziente. Si può pertanto ragionevolmente supporre che la rispondenza al trattamento, intesa in termini di acquisizione di specifiche capacità personali e relazionali, possa risentire del contesto entro il quale il paziente vive. I risultati di questo lavoro rinforzano l'ipotesi che il fattore terapeutico ambientale (Aluffi, 2014), interno (es. attaccamento) ed esterno (es. sostegno), possa avere effetti benefici sulla salute psichica e sul funzionamento di persone affette da patologie psichiatriche. A sostegno di questa tesi, una precedente ricerca longitudinale, finalizzata a valutare l'impatto della variabile ambientale, ha mostrato che il trasferimento presso una famiglia IESA ha permesso di raggiungere un risultato apprezzabile di riduzione del dosaggio di benzodiazepine assunte dai pa-

zienti rispetto al periodo di inserimento in comunità (Aluffi, 2011).

Si può osservare, inoltre, che la maggior parte dei pazienti che sono stati ricoverati almeno una volta in Casa di Cura Neuropsichiatrica oppure SPDC per motivi psichici prima dell'inserimento IESA provenivano da casa propria. Dal risultato emerso sembra che non sia solo la presenza di una famiglia, ma la qualità relazionale interna al nucleo familiare a influenzare il benessere psichico e il funzionamento del paziente che si riflette nel minor numero di ricoveri, ossia nel ridotto numero di episodi di crisi, registrati per lo stesso paziente in seguito all'inserimento presso una famiglia accogliente e ristrutturante.

In riferimento ai limiti di questa ricerca, il disegno di ricerca non permette di stabilire una relazione causale tra l'inserimento presso il Servizio IESA e la riduzione del numero di ricoveri, in quanto altri fattori potrebbero aver influenzato i risultati riscontrati. In quest'ottica, una delle prospettive future di ricerca potrebbe consistere nell'approfondire la relazione tra setting riabilitativo e benessere psichico del paziente attraverso uno studio caso-controllo.

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2

Con le sue componenti sociali e terapeutiche, la storia dell'accoglienza eterofamiliare di soggetti con problemi di dipendenza patologica in Francia è un esempio pertinente per orientarsi nella complessità concettuale che si manifesta nell'incontro tra la dimensione della cura e quella dell'intervento sociale. L'analisi dei testi normativi, che inquadrano questo strumento, consente di comprendere meglio come si articolino queste due dimensioni.

Si stima che in questi anni in Francia circa 240 famiglie ospitanti, che fanno riferimento a 20 servizi, accolgano soggetti dipendenti da sostanze all'interno di un percorso di cura specifico.

Le prime famiglie ospitanti hanno avviato questa modalità di presa in carico a metà degli anni '70 e, nel 1977, una prima ordinanza ha definito “il regolamento interno dell'inserimento eterofamiliare o comunitario dei centri di trattamento per tossicodipendenti”. In seguito ci sono state poche evoluzioni, sia per quanto riguarda la normativa, sia nello sviluppo dello strumento. Dieci anni più tardi, una circolare del 1987 “relativa alle famiglie che accolgono tossicodipendenti” riafferma la dimensione terapeutica di questo tipo di intervento. Infine, nel 1993, una nuova ordinanza ha coniugato i due testi precedenti, sottolineando chiaramente la finalità del reinserimento sociale. E' su questo ultimo testo ufficiale che si fonda attualmente il modello delle FAT (Famiglie diAccoglienza per Tossicodipendenti).

Questo lavoro riesamina, in un'ottica semantica, i tre testi normativi che istituiscono l'inserimento eterofamiliare supportato per tossicodipendenti.

Parole chiave

Accoglienza eterofamiliare, IESA, dipendenze, tossicomania, cura, intervento sociale, FAT, Accueil familial pour toxicomanes,Accueil Familial Thérapeutique, terapia dipendenze.

La suddivisione delle aree di intervento istituzionale coincide sempre con i reali biso-

gni di chi usufruisce dell'accoglienzaeterofamiliare? L'ascolto dei soggetti coinvolti sul campo basta per convincersiche non è sempre così. Spet-

ta dunque agli operatori innescare le dinamiche organizzative che consentano di costruire le risposte terapeutiche e sociali necessarie. Se in teoria questo schema funziona, le realtà istituzionalimultidimensionali, ne limitano la realizzazionenella pratica.

* Antropologo e Terapeuta Familiare, Sociologo, Direttore dell'Istituto diAntropologia Clinica (IAC) Toulouse, Formatore IESA.

1 Traduzione a cura diAnastasia DeAngelo, Catia Gribaudo, Elisabetta Latragna.

2 In Francia esistono due grandi tipologie di IESA: L'Accueil Familial Thérapeutique (AFT) e l'Accueil Familial Social (AFS). La prima vede i progetti finanziati e gestiti dalle cliniche e dai servizi sanitari attraverso personale specifico. La seconda è gestita dai servizi sociali. Per ulteriori approfondimenti consultare il testo Guide de l'Accueil Familial di Jean Claude Cébula, edizioni Dunod, 2000 (N.d.T.).

1
Abstract
In marcia verso l'autonomia.
Lo IESA per persone con problemi di dipendenza tra cura e integrazione sociale
Escots S.*
20

All'interno di queste molteplici dimensioni, è necessario considerare: l'organizzazione amministrativa dei settori sanitari e sociali, le competenze e la formazione degli operatori, così come le finalità, le teorie, i metodi che orientano la modalità di intervento. Questi aspetti sono inoltre influenzati dal concetto di cura e di aiuto sociale, a loro volta definiti dal contesto storico e politico che ne determina il significato.

In questo modo, le nozioni di “cura”, di “terapeutico”, di “integrazione”, di “socializzazione”, di “inserimento”, di “riabilitazione”, non sono avulse dalla storia sociale e istituzionale all'interno del rapporto che hanno con l'Accoglienza Eterofamiliare Sociale (AFS) o Terapeutica (AFT).

Con le sue componentisociali e terapeutiche,la storia dell'accoglienza eterofamiliare di soggetti con problemi di dipendenza patologica in Francia è un esempio pertinente per orientarsi nella complessità concettuale che si manifesta nell'incontro tra la dimensione della cura e quella dell'interventosociale.

L'analisi dei testi normativi che inquadrano questo strumento, consente di comprendere meglio come si articolino le due dimensioni che caratterizzano l'accoglienza familiare: sociale e terapeutica.

L'accoglienza eterofamiliare dei tossicodipendenti in Francia

Non è facile trovare dei dati recenti e ufficiali riguardanti l'accoglienza eterofamiliare di soggetti dipendenti da sostanze in Francia. L'unico studio disponi3-4 bile è quello pubblicato nel 2001 dall'OFDT. Questa valutazione del modello, è una base per comprendere la situazione attuale. Si stima che in questi ultimi anni in Francia meno di 240 famiglie ospitanti, che fanno riferimento a poco più di venti servizi, accolgano soggetti dipendenti da sostanze all'interno di un percorso di cura specifico. Attualmente questi dati sono probabilmente in diminuzione. Lo IESArivolto a soggetti con problemi di dipendenza è apparso in Francia con una legge del 1970 che, introducendo la definizione di “fuorilegge” e “malato” per i consumatori di sostanze, ha consentito la predisposizione di uno strumento di cura per questa tipologia di utenza. Le prime famiglie ospitanti hanno avviato questa modalità di presa in carico a metà degli anni '70 e, nel 1977, una prima ordinanza ha definito “il regolamento interno dell'inserimento eterofamiliare o comunitario dei centri di trattamento per tossi5 codipendenti”. In seguito ci sono state poche evolu-

zioni sia per quanto riguarda la normativa sia nello sviluppo dello strumento. Dieci anni più tardi, una circolare del 4 dicembre 1987 “relativa alle famiglie che accolgono tossicodipendenti” riafferma la dimensione terapeutica di questo tipo di intervento. Infine, nel 1993, alla vigilia delle grandi modifiche avvenute all'interno dell'organizzazione del modello di cura francese e dell'introduzione del paradigma del trattamento sostitutivo (Coppel, 2002), una nuova ordinanza ha coniugato i due testi precedenti, sottolineando chiaramente la finalità del reinserimento sociale che deve essere perseguita attraverso l'inserimento eterofamiliare supportato.

È su questo ultimo testo ufficiale che si fonda attualmente il modello delle FAT (Famiglie di Accoglienza per Tossicodipendenti). L'attuale scenario si è costituito attraverso questi testi che svelano anche gli aspetti ambivalenti dell'inserimento eterofamiliare di tossicodipendenti, in relazione al contesto storico, politico e istituzionale.

Così, la valutazione dell'OFDT mette in evidenza che “i rappresentanti della Direzione Generale della Sanità (DGS) e della Missione Interministeriale Lotta contro la droga e la tossicodipendenza (MILDT) riconoscono all'interno dell'ordinanza del 1993 la funzione di reintegrazione sociale dello IESA. Ciononostante, attraverso gli obiettivi di rete che sono stati fissati nel rapporto di valutazione, il lavoro di reinserimento sociale, secondo i rappresentanti istituzionali, sembra insito nella presa in carico terapeutica stessa, senza cogliere gli obiettivi specifici dell'accoglienza eterofamiliare in rapporto a quelli delle comunità.”

Tutta l'ambiguità del modello FAT si esprime nelle tensioni che nascono dalle differenti aspettative correlate alle finalità che devono perseguire i progetti di inserimento eterofamiliare supportato, previsti all'interno del ventaglio di strumenti di cura specifici per le dipendenze. Rimane da definire se si tratti di progetti con finalità terapeutiche o mirati al reinserimento sociale dei consumatori di sostanze.

Testi per orientarsi sulla logica

semantica: le tre cornici normative

In questo lavoro ci si propone di analizzare secondo l'ottica della semantica strutturale (Greimas, 1986) i tre testi normativi che istituiscono l'inserimento eterofamiliare supportato di tossicodipendenti. Compareremo questi testi nell'evoluzione del modello che essi definiscono, per comprenderne il

3“Observatoire français des drogues et des toxicomanies”: osservatorio francese sulle sostanze stupefacenti e sui problemi di dipendenza.

4DuburcqA., Soria J.,Ahouanto M., Pechevis M., Evaluation du dispositif «familles d'accueil pour toxicomanes», OFDT, juillet 2001.

5Arrêté du 20 décembre 1977 sulla regolamentazione di riferimento per lo IESA o inserimento comunitario dei centri di trattamento per tossicomani. Ministero della sanità e della sicurezza sociale. Non pubblicato sulle gazzette ufficiali.

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cambiamento di prospettiva attraverso l'analisi di alcune parti dei documenti prodotti nell'ambito di questa pratica sociale. Tutto ciò al fine di cogliere le strutture narrative che organizzano il discorso.

Le parti dei testi presentate in questo articolo sono state selezionate sulla base di criteri di diversità e pertinenza sul tema e provengono da fonti diverse. La struttura di questo documento non permette un'analisi ampia ed esaustiva dei testi che affrontano tale pratica. Si procederà pertanto utilizzando fonti che fanno riferimento a piani diversi. Per questa ragione, oltre ai testi ufficiali come le ordinanze e le circolari, verranno citati atti di convegni, articoli apparsi nelle riviste specializzate, annunci presenti in rete, estratti di interviste effettuate a operatori, famiglie ospitanti e ospiti. A partire da questo materiale, che meriterebbe uno studio più approfondito, il nostro percorso si propone, seguendo il filo della forma significante, di chiarire il livello di significazioni sottostante per comprendere come “terapeutico” e “sociale” si sposino e si respingano all'interno di questa pratica.

La mission e le pratiche dell'accoglienza eterofamiliare di persone con problemi di abuso di sostanze sono stati affrontati in diversi testi ufficiali. Al di là delle cornici amministrative che inquadrano in modo generale i servizi e le istituzioni di cura specializzate in dipendenze patologiche, una circolare e due ordinanze, non pubblicate sulle gazzette ufficiali, affrontano il tema dell'accoglienza eterofamiliare.

Nel diritto francese, una circolare è un testo destinato ai membri di un servizio, di un'impresa, o di un'amministrazione. Per la funzione pubblica, si tratta di un testo emanato da un ministero destinato a dare un'interpretazione di una legge o di un regolamento (decreto, ordinanza), al fine di armonizzare la sua applicazione su tutto il territorio.

L'ordinanza è un mandato indetto da parte di un'autorità amministrativa. A differenza della circolare, non è un consiglio o una raccomandazione, ma un testo di regolamentazione che vale come prescrizione. D'altronde, se la circolare è un testo amministrativo redatto in modo più descrittivo e organizzato in capitoli, l'ordinanza si compone di una serie di articoli scritti in forma giuridica.

L'ordinanza del 20 dicembre 1977, “che fissa il regolamento interno dell'inserimento eterofamiliare o comunitario di utenti inviati dai centri di trattamento per tossicodipendenti”, è stata indetta dal Ministro della Sanità e della Sicurezza Sociale.Al momento dell'uscita, questa circolare riguardava pochi servizi; nel 1980 infatti praticavano l'accoglienza eterofamiliare solo 6 servizi specializzati.

La definizione “inserimento eterofamiliare” è interessante poiché si tratta di un termine che sarà poco utilizzato nel campo della tossicodipendenza. Al contrario,è la dicitura che si riscontrapiù frequentemente in quest'epocaper descriverei servizi di accoglienza sia per bambini sia per adulti. “Inserimento Eterofamiliare” è il termine maggiormente idoneo per rappresentareun modello sanitario o sociale che utilizza le famiglie ospitanti come strumento di intervento. Questa definizione generica riflette l'assenza di un'identità propria del modello nascente. Il termine sarà abbandonato negli altri due testi, fino al momento in cui il modello dell'accoglienza eterofamiliaredei tossicodipendentinon verrà maggiormentericonosciuto.

L'acquisizione di un'identità più forte si concretizzerà nella circolare del 1987. Infatti, in questo testo della Direzione Generale della Sanità (DGS), che afferma sin dalla prima frase la sua volontà politica di “sviluppo della presa in carico dei tossicodipendenti attraverso il sistema delle famiglie ospitanti”, si articola una retorica della cura. Dal punto di vista della politica pubblica, si tratta di “aumentare il numero di famiglie ospitanti” e di “diversificare le reti su tutto il territorio”, poiché la DGS auspica che il modello sia “chiamato a diventare, al fianco di altre istituzioni, una modalità importante di presa in carico dei tossicodipendenti”.

Ma, questa volontà politica si accompagna alla necessità di “precisare le caratteristiche, gli obiettivi ed il funzionamento di questo particolare strumento”. E' in questo lavoro di chiarimento che la retorica della cura si fa spazio. Il testo si suddivide in sette punti tematici che descrivono quest'orientamentoterapeutico. E' interessante approfondire i contenuti di questi capitoli e la terminologia che definisce la retorica della cura.

Il primo capitolo riguarda le “basi amministrative” della circolare che, dopo essere stata inserita nei testi normativi che fanno riferimento all'ambito sanitario e della Sanità Pubblica, ha come unica funzione estendere il campo dell'ordinanza del 1977 a tutti i tossicodipendenti, indipendentemente dal fatto che accedano volontariamente o meno alle cure. Si ricorda che l'articolo 2 dell'ordinanza del 1977 afferma: “il tossicodipendente non deve trovarsi in una fase di dipendenza fisica e deve aderire volontariamente a questo tipo di progetto”. Invece la circolare del 1987 precisa, nell'ultima frase del capitolo I, che si intende offrire la possibilità dell'inserimento eterofamiliare a tutti i tossicodipendenti che si rivolgono ai centri di cura “che siano in carico ai servizi in seguito a prescrizione terapeutica, segnalazione all'autorità sanitaria, o an-

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che su richiesta diretta del paziente”.

Questo punto richiede particolare attenzione poiché appare contraddittorio rispetto al significato globale di questa circolare che fa riferimento ad interventi di cura prevalentemente di tipo psicoterapeutico. D'altronde, l'ordinanza del 1993 chiarirà questo punto affermando nell'articolo 3: “L'inserimento eterofamiliare deve essere su base volontaria e il soggetto non deve trovarsi più in una fase di dipendenza fisica da sostanze”. Questa definizione risulta parallela a quella del 1977 con una riformulazione del testo che mette in primo piano la volontà della persona.

Nell'ordinanza del 1977 le finalità dell'inserimento eterofamiliare diventano oggetto di discussione all'interno di due frasi del documento, presenti nei primi due articoli:

Art. 1: “(l'inserimento eterofamiliare) ha il fine di garantire la prosecuzione del trattamento dei tossicodipendenti in un ambiente che consenta loro di accedere all'autonomia”.

Art 2: “Può entrare a far parte di un progetto di inserimento eterofamiliare il tossicodipendente che necessita, da una parte, di cure mediche che possono essere dispensate senza ospedalizzazione e dall'altra, di un ambiente di vita familiare e sociale [...]”

L'articolo 1, indica che l'inserimento eterofamiliare si inserisce in una linea temporale: il termine “prosecuzione” presuppone un intervento preliminare a cui l'inserimento fa seguito. Tale intervento è definito esplicitamente “trattamento”; descrive in seguito lo strumento dell'accoglienza eterofamiliare come uno spazio, attraverso la nozione di ”ambiente”, che interviene per mezzo di un'azione la cui finalità è definita come “autonomia”.

Così, l'intervento della famiglia ospitante diventa un momento del trattamento, successivo ad un'altra fase del percorso. E' uno spazio la cui funzione produce “autonomia”.

La semantica strutturale propone di ricercare il significato nelle strutture elementari, dove la relazione tra due opposti ne forma la sostanza (alto/basso; piccolo/grande; vita/morte; freddo/caldo; etc.). Al di là della dimensione teorica, questa ipotesi può orientare il percorso metodologico.

Pertanto, se voglio comprendere a cosa fa seguito l'accoglienza eterofamiliare in questa dissertazione, ho bisogno di sapere che cosa, in questo testo, viene “prima”.

L'orientamento della linea temporale riguarda, ricordiamolo: il “trattamento dei tossicodipendenti”. Il solo termine nel testo che fa riferimento ad un “prima” nel trattamento è il seguente: “il tossi-

codipendente non deve trovarsi in una fase di dipendenza fisica”. Il trattamento della dipendenza in questa epoca in cui l'eroina è al centro dell'attenzione, ha come caratteristica medica la “dipendenza fisica”. Ora l'affermazione “non deve trovarsi” implica, secondo logica, che la “dipendenza” potrebbe essere stata presente, di conseguenza si può ipotizzare uno stato del soggetto, precedente all'accoglienza familiare, in cui si trovava “in una fase di dipendenza”. E' precisamente questo che definisce la tossicodipendenza e a cui il trattamento si oppone:

tossicodipendenza ↔ trattamento; prima ↔ dopo; dipendenza ↔ astinenza.

La nozione di spazio insita nel termine “ambiente” richiede anch'essa di essere specificata cercando di comprendere a cosa si opponga da un punto di vista semantico. Il testo afferma all'articolo 2: “il tossicodipendente il cui stato necessita, da una parte, di cure mediche che possono essere dispensate senza ospedalizzazione, dall'altra, di un ambiente di vita familiare o sociale”. Il termine “ospedalizzazione” è in rapporto a “cure mediche” alle quali è collegato all'interno della frase, in quanto cornice all'interno della quale le cure possono essere dispensate. Ora, l'altra cornice che è indicata nel testo è quella sull'accoglienza eterofamiliare.

L'accoglienza eterofamiliare, in quanto spazio, si oppone all'ospedalizzazione sull'asse semantico della “cornice delle cure”:

ospedaliero ↔ familiare

Questa affermazione non sorprende e corrisponde all'alternativa all'ospedalizzazione offerta dall'Accoglienza Eterofamiliare Terapeutica(Brunier, 2002). Si ricorda che l'ambito del trattamento delle tossicodipendenze è caratterizzato da un movimento di “depsichiatrizzazione” (Coppel et al., 2002) nel quale l'accoglienza eterofamiliare si inserisce pienamente. Come affermano Pierre Angel e i suoi collaboratori a proposito dell'accoglienza eterofamiliare dei tossicodipendenti: “Questa modalità terapeutica, specifica della Francia, si fonda sulla demedicalizzazione e sulla depsichiatrizzazione”.

Courtés (2007) mostra che “la sintassi narrativa pone che il racconto minimale parta da uno stato primario (stato 1) per andare verso un secondo stato (stato 2) [...]”. Un soggetto di stato (S) si vede congiunto (∩) o disgiunto (∪) ad un oggetto (O) e un soggetto del fare (F) che realizza la funzione.

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Così:

F (droga): {S1 ∩ (dipendenza)} {S2 ∪ (autonomia)}

F (trattamento): {S1 ∪ (dipendenza) ; S2 ∩ (FA) } {S3 ∩ (autonomia) }

A partire dal discorso sociale strutturante il campo di cura in cui emerge la catena logica: la “droga induce la dipendenza”; “la dipendenza induce alla tossicodipendenza”, la struttura narrativa dell'accoglienza familiare dei tossicodipendenti potrebbe formularsi così:

droga: (dipendenza) (assenza di autonomia)

trattamento: {(disintossicazione) ; FAT) } autonomia)

Se si riprende l'ordinanza del 1993 attualmente in vigore, così come l'analisi della valutazione dell'OFDT, si verifica la validità della formulazione narrativa proposta.

L'ordinanza del 18.08.1993 definisce l'accoglienza familiare come parte integrante del progetto terapeutico del servizio di cura (art. 1): “[...] le sue attività (si tratta della rete) s'iscrivono nel progetto terapeutico del suddetto servizio.” E come un mezzo orientato all'acquisizione all'autonomia (art.2): “la presa in carico di persone tossicodipendenti in un ambiente che permetta loro di accedere alla loro autonomia”. Secondo il progetto terapeutico individuale dell'ospite, l'accoglienza familiare può costituire una tappa che può portare al reinserimento professionale (art. 4): “Le modalità di accoglienza familiare e di azione della rete devono essere adattate al progetto di presa in carico previsto per il paziente.

L'accoglienza familiare può intervenire direttamente dopo la disintossicazione, […] e perfino nel corso della fase di reinserimento professionale.”

L'introduzione del termine “reinserimento professionale” ridefinisce il senso dell'autonomia, poiché se la dipendenza si oppone all'autonomia, essa non ne rappresenta necessariamente il suo contrario. Se la dipendenza appartiene qui al campo medico (nei primi testi si fa riferimento alla “dipendenza fisica”, assimilabile a quanto oggi definiamo concettualmente “addiction”), il concetto di autonomia non può essere inscritto nello stesso campo. L'autonomia è da intendersi su un piano più generale rispetto a quello di dipendenza, che resta limitato all'esperienza del corpo. E se si guarda alla dipendenza in una dimensione psicologica, si tratta ancora della sua interfaccia biologica (biofarmacologica) o pulsionale. Il concetto di autonomia introduce

di fatto la dimensione psicosociale. A questo punto ci si pone la questione su quali forme di trattamento permetterebbero di accedere all'autonomia. Dalla sua origine, l'accoglienza familiare di soggetti con problemi di dipendenza da sostanze ha portato all'attenzione la questione relativa alle attività sociali e risocializzanti che vengono già introdotte nella prima ordinanza del 1977 nel suo articolo 19: “il pensionante partecipa alla vita familiare o comunitaria. Può esercitare un'attività remunerata, sia in famiglia, sia al di fuori”. L'accoglienza familiare è uno spazio di trattamento che produce autonomia a partire dal coinvolgimento nelle attività della “vita familiare” e allo stesso modo, quando possibile, nelle attività professionali della famiglia o del contesto sociale. Il testo del 1993 espliciterà questa dimensione dandole un senso: l'utilizzo della FAT durante “la fase di reinserimento professionale”.

L'orientamento del trattamento in tempi circoscritti si è progressivamente affinato nei tre testi esaminati. Nel 1977, la dimensione temporale è implicita. Nel 1993 il trattamento viene pensato per fasi, il racconto si struttura in tappe: fase di dipendenza, fase del trattamento medico (disintossicazione, sostituzione), fase dell'accoglienza familiare, fase del reinserimento professionale.

Notiamo l'evoluzione della terminologia che descrive l'ospite all'interno dei documenti:

1977: pensionante (si tratta di un regolamento interno per l'inserimento familiare che pone l'accento sulla prestazione alberghiera degli ospitanti. In questo testo, il grado di soddisfazione delle aspettative nei confronti degli ospitanti è stabilito sulla base della qualità della prestazione d'accoglienza. In questo senso, “pensionante” appartiene allo stesso campo semantico.

1987: tossicomane.

1993: persona tossicomane.

Alle definizioni che descrivono l'ospite corrispondono quelle delle famiglie ospitanti:

1977: la famiglia o la comunità che accoglie (le comunità terapeutiche non hanno ancora l'immagine dispregiativa che avranno in seguito in Francia)

1987: famiglia d'accoglienza (o famiglia).

1993: famiglie d'accoglienza per tossicomani (o famiglia d'accoglienza o famiglia).

Con l'avvento del concetto di rete, abbastanza raro nell'ambito dei servizi di Accoglienza Eterofamiliare, la nozione di persona tossicomane (lo studio delle dipendenze non è ancora tema centrale) e quella di famiglia d'accoglienza per tossicomani, rinforzano e delimitano una identità di campo.

Le aspettative nei riguardi degli ospitanti si trasformeranno nel corso dei successivi testi. Nel 1977, si tratta di modelli di intervento principalmente orien-

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tati a prestazioni alberghiere e di controllo del “pensionante” dove il lavoro con l'equipe è abbastanza ridotto. Si tratta di impegnarsi “[...] a consentire le visite delle persone designate dal centro, del Direttore del Dipartimento degli Affari Sanitari e di tutte le autorità sanitarie autorizzate[...]”. Le relazioni sono basate sullo scambio reciproco di informazioni sull'ospite e sul suo comportamento. “[...] Essa (la famiglia) deve avvisare immediatamente il servizio che l'ha inserito (l'ospite)” (art. 9); “Il servizio deve avvertire la famiglia […] dell'inserimento del pensionante, con almeno 48 ore di anticipo [...]” (art. 15).

La circolare del 1987 introdurrà un'altra dimensione e non si tratterà più, come nell'ordinanza del 1977, di “(trattare) il soggetto come farebbe un buon padre di famiglia [...]”, ma di partecipare “ad un processo terapeutico […] fondato su una relazione personale che suppone da parte della famiglia un grado minimo d'intimità. Essa implica una completa adesione ad un percorso di natura benevola, fondato sulla sincerità e l'autenticità della relazione umana nella sua dimensione d'aiuto” (cap. II: gli obiettivi terapeutici).

Nella circolare, i termini di “sostegno delle famiglie e monitoraggio dei soggiorni” appaiono in più punti, poiché, “la presa in carico dei tossicomani […] richiede alle famiglie un impegno personale molto importante […]. Atale proposito, la parte dedicata alla formazione del settimo ed ultimo capitolo della circolare sottolinea la necessità di essere “vigili sugli obiettivi e le modalità della formazione evitando di scivolare verso una pseudoprofessionalizzazione […] si tratta di favorire confronti di esperienze, di dare informazioni chiare sull'impegno richiesto e su eventuali rischi correlati […]”.

Nella circolare si trovano i seguenti riferimenti: “alternativa all'ospedalizzazione”; “supporto a una presa in carico psicoterapica e relazionale”; “scelta terapeutica ed educativa”; “l'invio di un tossicomane in una famiglia ospitante deve essere valutato accuratamente”; “la scelta delle famiglie deve essere particolarmente meticolosa”; “il supporto a queste famiglie e il monitoraggio devono essere continui ed effettivi”; “vegliare affinché l'istituzione individui e metta a disposizione per questo lavoro specifico del personale con un monte ore adeguato”. Non viene fatto accenno alla “partecipazione dell'ospite a delle attività”; o al “reinserimento sociale” etc. La circolare del 1987 definisce l'accoglienza familiare “come una delle possibilità di trattamento del tossicomane”. In tal modo, “l'inserimento del tossicomane in una famiglia non è semplicemente una risposta momentanea o una

presa in carico di natura sociale, né una forma particolare di sistemazione alberghiera”

Se la prima ordinanza del 1977 è un documento che si colloca in quello che può essere definito “campo sociale” a partire da una prescrizione istituzionale nel campo sanitario, la circolare del 1987 è un'estensione della retorica terapeutica di un servizio sanitario che fa riferimento al ministero degli affari sociali. Infine, l'ordinanza del 1993 è una reintroduzione della dimensione sociale all'interno di un progetto di cura.

Oggi, ciò che può trovare una persona che naviga in internet e che desidera documentarsi sull'accoglienza eterofamiliare dei tossicodipendenti, attualizza una retorica nella quale la cura è assoggettata alla dimensione sociale:

“L'inserimento in una famiglia ospitante deve permettere di consolidare il percorso di disintossicazione e facilitare la ripresa fisica e psichica della persona. E' una tappa del percorso di reinserimento poiché, durante questo tempo, la persona accolta può elaborare e mettere in piedi un progetto di vita sociale autonoma. […] In pratica l'ospite segue il ritmo di vita della famiglia e partecipa alle attività della casa quando questo è possibile, potendo usufruire di uno spazio indipendente. La condivisione della “realtà familiare” in una contesto sicuro permette alla persona accolta di riavvicinarsi progressivamente ad una vita “normale””.

Si ritrova la struttura narrativa per tappe della “disintossicazione vita normale” dove l'inserimento eterofamiliare rappresenta una tappa nel percorso che non è tanto un percorso di cura ma di reinserimento. Si tratta di utilizzare uno spazio all'interno del “ritmo di vita della famiglia”, partecipando alle attività gradite, poiché, è partendo dai propri ritmi che l'ospite si “riavvicina progressivamente ad una vita normale”.

Frammenti di testimonianze dei protagonisti dell'accoglienza familiare per tossicodipendenti Nello studio valutativo del modello realizzato dall'OFDT, vari servizi presentano la propria concezione di accoglienza familiare attraverso la descrizione dei propri obiettivi e la presentazione dei valori che li strutturano. A proposito di uno dei servizi che ha ricevuto l'abilitazione nel 1977 si può leggere nel rapporto: “Gli obiettivi sono nell'ordine della cura: è necessario considerare la persona nella sua globalità sul piano fisico, psichico e sociale. E' essenziale rapportarsi alla persona partendo da “lì dove è” e di accompagnarla nel rispetto di “ciò che è” nel percorso volto all'abbandono della dipendenza da

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sostanze al fine di aiutarla a compiere una scelta di vita più a lungo termine. L'accoglienza eterofamiliare è uno strumento che si colloca in una determinata fase del percorso. E' un luogo privilegiato di accompagnamento individualizzato che permette una grande flessibilità nella presa in carico di persone di età e di profili molto differenti. Due principi: principio di realtà e accompagnamento individualizzato. Logica del buon senso.”

In questa parte di testo, che corrisponde alla sintesi che fanno i ricercatori a partire dalle testimonianze raccolte sulle definizioni di accoglienza familiare fornite dai professionisti del servizio, si può notare l'intreccio tra gli obiettivi sanitari e sociali. Nella sintesi fatta a partire dalla raccolta delle esperienze di quattro équipe che si occupano di Inserimenti Eterofamiliari Supportati, a proposito del ruolo delle famiglie, si può leggere:

“Le famiglie ospitanti introducono il quotidiano, il riprendere a vivere, il buon senso, la scoperta di una relazione possibile con gli altri, il rendersi conto che non esiste la famiglia ideale. L'ospite sente di avere un posto da qualche parte e di poter contare sugli ospitanti. Ciò gli permette di confrontarsi con la realtà e di riprendere fiducia in se stesso. Le famiglie ospitanti possono aiutare gli ospiti ad aprirsi a nuovi interessi”.

“La funzione del percorso IESA, dipende dai progetti del tossicodipendente. Può rappresentare un momento di pausa, di distacco, d'allontanamento, un momento di riflessione rispetto al sistema familiare che consente all'ospite di osservare come si percepiva precedentemente all'interno del proprio nucleo di origine, un fase di recupero dopo una cura in luogo ospedaliero (all'inizio soprattutto, ma meno adesso con la sostituzione). Rispetto ad altri strumenti, permette la prosecuzione di un percorso di cura.

Lo IESA è uno strumento che si è sviluppato a causa della carenza di soluzioni post-ricovero e per la necessità di creare un'alternativa alla realtà istituzionale. Lo IESA permette di avere un rapporto persona a persona, il consumatore di sostanze diventa una persona a pieno titolo”.

Tra gli articoli sull'inserimento eterofamiliare di tossicomani redatti in Francia negli ultimi 25 anni, il paradigma di cura d'ispirazione psicodinamica è largamente diffuso. Come per lo IESA rivolto a pazienti psichiatrici, la necessità di legittimare la pertinenza del ricorso a dei “non professional” in una prospettiva terapeutica conduce ad introdurre concetti che possano evidenziare ciò che funziona sul piano clinico. Esaminando la letteratura emergono i termini “domanda”, “bisogno”, “incontro”, “soggetto”, desiderio”, “identità di tossicodipendente”,

”linguaggio”, il cui utilizzo è frequente nelle teorie freudiane e lacaniane. Uno psicologo che si occupa di IESA per tossicodipendenti, all'interno di in un articolo di una rivista specializzata (Laye, 1996), scrive a proposito del caso di una giovane ospite: “alla sua richiesta di inserimento in una famiglia ospitante, si può certamente rispondere offrendole tale possibilità, ma accompagnata da un “lasciati accogliere”, cioè dalla richiesta di essere a sua volta oggetto di una domanda (quella degli ospitanti), sostenuta dal desiderio di aiutare l'altro. L'incontro mette in evidenza la dialettica di due richieste che creano uno scarto, uno spazio in cui emerge ciò che lei voleva ignorare e che ha innescato la sua richiesta”. La relazione con la famiglia fa riaffiorare nell'ospite degli elementi psichici correlati al passato, sui quali sarà bene lavorare durante il processo di cura.

All'interno delle testimonianze raccolte tra gli ospitanti, si percepisce anche la presenza di tensioni tra sanitario e sociale:

“L'ospite deve partecipare alle attività domestiche, ma è lui a decidere quali. Spesso, quando arrivano non sono nella condizione di occuparsene, poiché troppo debilitati. Non gli si può chiedere troppo. Le prime due settimane, sono qui soprattutto per aumentare di peso”.

“Per coinvolgerli, gli propongo cosa fare ma è sempre una loro scelta. Si occupano volentieri degli animali o guardano molta televisione”.

“Li abituo ad occuparsi della loro camera per prepararli alla vita, ma poi fanno quello che vogliono, se vogliono vivere nel disordine, è un loro problema”.

“Nel contratto, non ci è richiesto di parlare con loro ma, poco a poco, si confidano e raccontano più a noi che al loro psicologo”.

“Il minimo da assicurare è ospitarli, nutrirli, tenerli puliti, tutto il resto dipende dal singolo progetto. Generalmente, si tratta di insegnare di nuovo ad avere una vita regolare, ritrovando le basi per un buon orientamento. Con alcuni, si tratta più di ascoltarli, aiutarli a vederci più chiaro e a non annoiarsi. Ci sono sempre lavori da fare in casa, di riassetto e di svago, ma io gli propongo anche attività gradevoli come passeggiate o sci di fondo. Partecipano tutti alla vita in famiglia. Ospitavo una ragazza che è venuta con me a fare un corso di alfabetizzazione. Quando l'ospite è un ragazzo, propongo piuttosto dei lavori maschili. Chiedo loro di rispettare le abitudini della casa. Da me, si fuma fuori ed io non sono la loro domestica, per cui devono provvedere al loro bucato e non sopporto che guardino la televisione tutto il giorno”.

“Gli si vuole insegnare a lavorare con cura e ad

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amare il lavoro”.

“Partecipano al lavoro, sia al pascolo, sia alla preparazione del formaggio, o all'accoglienza in fattoria. Si prova a dar loro un ritmo, perché non sono qui in vacanza. Richiedono di partecipare, ma bisogna accompagnarli nelle attività”.

“Siamo qui per aiutarli a ripartire. Non siamo degli psicologi né degli educatori”.

“Quando sono diventato un ospitante, hanno visitato casa mia ma mi sarebbe piaciuto essere visto anche da uno psicologo. Viene richiesto soltanto di avere una camera singola, di occuparsi della biancheria e del vitto. Non ci vengono richieste grandi cose”.

Ed il ricercatore aggiunge in chiusura:

“Gli ospitanti chiedono più sostegno psicologico per essere capaci di prendere la giusta distanza dagli ospiti. Una riunione obbligatoria ogni trimestre è percepita come sufficiente”.

Completando il quadro con il punto di vista dei tossicomani accolti in IESA negli stessi servizi, la tensione tra cura e reinserimento sociale si rende evidente, poiché ciò che essi si aspettano si inserisce in logiche che si strutturano in modo ancora diverso.

Gli estratti della sintesi del rapporto dell'OFDT in merito agli elementi raccolti dagli ospiti ci permette di individuare:

“Sono io che ho scelto questo percorso perché la disintossicazione non funzionava. Volevo poter continuare a lavorare e nella struttura post-acuzie non potevo. La famiglia IESA è stato un mezzo per reinserirmi. Volevo lasciare la città dove abitavo perché tutte le mie relazioni erano basate sulla droga.

6 All'inizio, ho contattato il centro ALTal telefono ed è passato un mese e mezzo prima che potessimo conoscerci. Ho fatto un ricovero per disintossicazione e poi sono stato inserito in una famiglia”.

“Ero in struttura e mi hanno chiesto di pensare alla mia uscita, avrei voluto un appartamento terapeutico e fare uno stage, ma non avendo trovato lo stage, mi hanno proposto un progetto IESA nell'attesa. Non volevo fare un inserimento di più di tre mesi e volevo che trascorresse in fretta per poi trovare un appartamento”.

“Lavoravo nei campi, facevo bricolage ma non era un obbligo, è che non mi piace stare senza far nulla. Ho trascorso il tempo a ridipingere e a rassettare, ma ero io che lo sceglievo. La sera, si facevano giochi di società, si guardava la televisione. Nel weekend si andava a trovare i loro parenti. Il sostegno della psicologa del servizio era molto importante. Ma non sono riuscito a dire che durante la convivenza, la famiglia ospitante non mi dava abbastanza fiducia. Gli ospitanti mi parlavano quando vedevano che non stavo bene. Erano come un fratello e

una sorella maggiori. Mi hanno aiutato anche a compilare i documenti e mi hanno esortato nei miei progetti, per ottenere una qualifica professionale. Una volta, mi hanno anche prestato la loro macchina e il loro trattore e questo mi ha fatto piacere... Mi hanno dato delle regole di vita, come evitare di fare rumore, pulire la stanza, lavare i piatti. Era normale, come quando si va da un amico. Non potevo portare alcol o fumare dentro casa. Questo mi ha aiutato a limitarmi. Quello che non avrei sopportato, sarebbe stato che m'impedissero di uscire o che mi obbligassero a lavorare di domenica”.

“Vedo lo psicologo al centro, è veramente diverso, si può parlare con lui. Durante la giornata lavoro, e quindi non vedo gli ospitanti. Ricevo sostegno dal centro, posso venire a parlare con lo psicologo il sabato, mi piace discutere con lui, perché ne ho ancora bisogno. Non mi sento pronto per il momento... Anche la famiglia ospitante mi sostiene. Ho parlato subito con loro perché ero a mio agio e perché si interessavano alla mia vita di prima. Al momento li metto al corrente di ciò che faccio. Per le regole di vita, gli ospitanti mi hanno soltanto chiesto di collaborare nel lavare i piatti e di essere pulito. Mi hanno dato dei limiti normali come rispettare la famiglia, partecipare alle faccende, rispettare gli spazi. Se mi si fosse stato detto che bisognava rientrare alle 8, non l'avrei sopportato”.

Questi frammenti di testimonianze degli ospiti mostrano come la tensione tra piano terapeutico e reinserimento sociale si concretizzi nella loro realtà, talvolta nelle contraddizioni, ma anche nelle articolazioni in cui ogni dimensione serve da punto d'appoggio per la realizzazione dell'altra.

Conclusioni

Una rapida analisi dell'insieme delle testimonianze, confrontandole con quanto emerge nei testi normativi ufficiali, può essere sintetizzata nella seguente tabella, che mette in evidenza le principali contraddizioni strutturali del campo dello IESAper tossicodipendenti. Lungi dall'essere esclusivi di questo ambito di intervento, gli elementi riportati sono riconducibili anche alla pratica dello IESA riferita ad altre tipologie di utenza (pazienti psichiatrici, anziani non autosufficienti, disabili ecc.). Questa lista, non esaustiva, degli opposti che si possono individuare a partire dai concetti generati nell'ambito dell'inserimento eterofamiliare di tossicomani può, malgrado tutto, chiarire la struttura delle logiche semantiche in azione: di tipo sanitario e sociale. Questo lavoro non ha potuto trovare in questa cornice lo spazio necessario per ulteriori approfondimenti. Tuttavia, seppur sinteticamente, l'analisi semantica utilizzata in una prospettiva di

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6Accueil Liaisons Toxicomanie. Si tratta di agenzie che si occupano di sostegno alle cure, prevenzione e residenze terapeutiche per persone con problemi di dipendenze.

Campo semantico sanitario

Progetto terapeutico

Cure

Cornice ospedaliera

Ritmo di vita destrutturato del tossicodipendente

Tossicomania malattia

Curante

Discorsi competenti

(La droga) evita il confronto con sé stessi (IESA come confronto con sé)

Problemi nel passato

Riflessione su di sé (positivo)

(Attività) impedire il pensiero

antropologia clinica mostra tutto il suo interesse nell'identificazione delle logiche istituzionali per cercare dei punti d'appoggio per le pratiche.

L'interesse di questa analisi risiede nella comprensione delle logiche opposte che possono talvolta rivelarsi problematiche, qualora gli interventi rinforzino le polarità all'interno di opposti conflittuali. Può servire anche come punto di partenza per cercare di superare gli opposti, per comprendere il senso

Riferimenti bibliografici

Campo semantico sociale

Progetto di vita sociale

Reinserimento

Cornice familiare

Ritmo strutturante della famiglia

Tossicomania marginalità

Ospitante

“Buon senso”

(La droga) evita il confronto con la realtà (IESA come confronto con la realtà)

Soluzioni per l'avvenire

“Rimuginare sui problemi” (negativo)

(Attività) stimolare il pensiero

che nasce dalla loro integrazione. Questo senso permette quindi la costruzione di posizioni che articolino le due logiche nel concreto delle pratiche. La logica sanitaria e quella sociale rinviano a componenti fondamentali dello sviluppo umano integrando la dimensione del corpo, dello psichico e del sociale. Tali dimensioni non si trovano in conflitto se non nella suddivisione semantica operata dal modello amministrativo istituzionale.

Angel, P., Richard, D., & Valleur, M., (1999). Toxicomanies.Abreges, Masson: Paris. Brunier, J. (2002). Enquête GREPFA/ADESM. VST-Vie sociale et traitements, 1, 35-38. Coppel,A. (2002). Peut-on civiliser les drogues?: De la guerre à la drogue à la réduction des risques. La Découverte: Paris.

Courtés, J. (2007). La sémiotique du langage.Armand Colin: Paris. Greimas, A. J.(1986). Sémantique structurale: Recherche de méthode. Presses universitaires de France: Paris.

Laye, S. (1996). L'accueil: De la demande à l'écueil de la rencontre. Interventions, 54, 37-39.

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Lo IESA a Zwiefalten all'epoca del Nazionalsocialismo

Eisenhut R.*

1Abstract

Lo IESAa Zwiefalten, comune tedesco situato nella regione del Baden Württenberg, è presente sin dalla fine dell'800.Aseguito della Prima Guerra Mondiale l'Inserimento Eterofamiliare diventa una pratica largamente utilizzata, nell'ambito dell'assistenza psichiatrica, come alternativa all'inserimento in clinica.

Storicamente a Zwiefalten era presente un ospedale psichiatrico dove molti abitanti del luogo lavoravano in qualità di operatori. La sensibilità alla realtà psichiatrica, divenuta negli anni elemento di tradizione, ha consentito il consolidamento della pratica dello IESAtra i cittadini. Questo modello, fondato su una forte condivisione sociale e culturale, ha permesso nell'epoca del Nazionalsocialismo di offrire una valida soluzione complementare all'inserimento in clinica, assolvendo alle numerose richieste di presa in carico.

Il rafforzamento della pratica IESA ha svolto un ruolo centrale in un periodo storico segnato da importanti accadimenti politici e sociali e ha consentito il riconoscimento di questo modello come utile strumento di assistenza e pratica efficace, capace anche di limitare i costi di spesa nell'ambito della salute mentale.

Lo IESA a Zwiefalten contribuì alla tutela dei pazienti ricoverati riducendo il rischio di deportazione nei campi di sterminio.

Parole chiave: IESA, Zwiefalten, Nazionalsocialismo, psichiatria, Psychiatrische Familienpflege BWF, Betreute Wohnen in Familien

AZwiefalten lo IESA in ambito psichiatrico gode di una lunga tradizione. Il pri-

mo inserimento di un paziente in una famiglia ospitante risale infatti al 1896.

L'inserimento eterofamiliare supportato subisce un rapido incremento e vive un primo periodo di

espansione a cavallo tra Ottocento e Novecento. Questa esperienza rimane poi marginale fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, ma successivamente giungerà a conquistarsi una stabile collocazione nell'ambito dell'assistenza ai pazienti psichiatrici.

*Pedagogista Sociale, Presidente Associazione per la diffusione della Psichiatria Sociale (VSP) Reutlingen, Presidente del Comitato Tecnico della Società Tedesca di Psichiatria Sociale (DGSP) area IESA.

1Traduzione a cura di Francesca Masin, Gianfranco Aluffi. Questo resoconto si basa su un saggio intitolato: “Lo sviluppo dello IESA presso il manicomio di Zwiefalten (relazione sugli anni 1919-1947)” di un autore sconosciuto. Senza l'ausilio di questa documentazione ricca di dati numerici, il presente contributo non sarebbe stato realizzabile.

29

di Achalm, ai quali succedettero i Conti di Württemberg. Nel 1812 divenne un ospedale psichiatrico. Nel 2012 la clinica psichiatrica di Zwiefalten ha festeggiato i 200 anni dalla sua fondazione.

Questa pratica, contrariamente a quanto accaduto nella maggior parte degli istituti manicomiali tedeschi, qui si mantiene attiva fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Soltanto in seguito il suo utilizzo subisce un netto declino. Nel 1988 si assiste ad un nuovo rilancio. Dal 1933 al 1939 non si rilevano cambiamenti significativi nei numeri dello IESA. La media annuale di pazienti ospitati in famiglie era di circa 15, di cui un terzo costituito da donne e due terzi da uomini. Complessivamente ogni anno 10 persone venivano inserite in famiglie e altrettanti progetti venivano chiusi. Più della metà di coloro che terminavano le convivenze tornava a casa, mentre i restanti facevano ritorno in clinica. Questi dati relativi alla media annuale degli anni venti del novecento, mostrano come il ricorso allo IESA rappresentasse un punto fermo per gli psichiatri locali, in controcorrente rispetto all'aria di rassegna2 zione che si respirava in tutto il Paese.

in qualità di infermieri, disponendo così di strumenti professionali nel rapporto con gli ospiti.

-Vennero a crearsi gruppi di famiglie presso le quali si consolidò l'abitudine di ospitare persone bisognose di assistenza che consentì loro di acquisire una discreta familiarità nel rapportarsi con queste ultime.

-La domanda di IESA a Zwiefalten, in qualità di opzione complementare alla cura nei reparti, era anche influenzata positivamente dalle conseguenze di un crescente ricorso alla clinica locale per la presa in carico dei pazienti.

Le famiglie erano vincolate per contratto a prendersi cura degli ospiti dando il meglio delle proprie capacità e possibilità. Erano tenute a provvedere al vestiario dell'inquilino e a fornirgli del denaro per le piccole spese personali, percependo un'indennità giornaliera compresa tra 0,6 e 1 3 RM. L'ospite, seppur inserito in famiglia, rimaneva un paziente del manicomio e continuava ad essere sottoposto ai trattamenti disposti dai suoi medici. La presa in carico continuava quindi ad essere fornita dal personale della clinica attraverso visite domiciliari effettuate ad intervalli regolari. La maggior parte delle famiglie ospitanti viveva nei paraggi del manicomio, in paesi limitrofi situati ad una distanza massima di 15 chilometri da esso. Con l'inizio della guerra nel 1939, venne interrotta l'erogazione del denaro alle famiglie.Aseguito di questo provvedimento, tuttavia, il fenomeno dello IESA non subì alcun decremento.

Le ragioni per cui lo IESA a Zwiefalten ha assunto questa posizione controcorrente potrebbero essere riassunte nei seguenti punti:

-A Zwiefalten regnava da sempre un forte senso della tradizione e i cittadini si attenevano a modelli di comportamento consolidati e legati alle tradizioni.

-Una parte significativa dei componenti delle famiglie ospitanti lavorava in manicomio

Furono diversi i fattori che ne assicurarono la continuità. Si assisteva innanzitutto, con sempre maggiore evidenza, alla progressiva carenza di forza lavoro nelle piccole aziende agricole intorno a Zwiefalten, causata dalla mancanza di uomini al tempo impegnati sul fronte. Questo fatto minacciava la sopravvivenza stessa di molte fattorie. Pertanto molte famiglie non potevano permettersi di rinunciare alla manodopera fornita dai propri ospiti. Ciò portò ad un aumento della domanda da parte delle famiglie di poter accogliere pazienti all'interno delle proprie case. Nel frattempo Zwiefalten divenne anche un centro di transito per pazienti in attesa di essere deportati al campo di sterminio di Grafeneck. 2

In Germania infatti, a seguito di campagne di regime che ascrivevano la malattia mentale nell'ambito dei disturbi su base

genetica, veniva esaltata l'eutanasia come unica risposta possibile al disagio psichico, stigmatizzato come socialmente costoso e malattia inguaribile.

3 Reichsmark ovvero la denominazione dell'unità monetaria in corso in Germania dal 1924 al 1948 quando, in seguito a una drastica svalutazione, venne sostituita (sia nella Repubblica Federale sia in quella Democratica di Germania) dal Deutsche Mark (DM).

Fig.1: Il monastero di Zwiefalten, comune situato nella regione del Baden-Württemberg nel sud-ovest della Germania, venne fondato nel 1089 al tempo della Lotta per le investiture. Papa Urbano VI garantì speciali privilegi a questa abbazia facendone un monastero privato per la famiglia dei Conti
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mentali,

o psichica, cioè delle cosiddette “vite indegne di essere vissute”. Nei sei centri destinati a tale scopo, furono uccise oltre 70.000 persone. Quando le proteste delle chiese e il turbamento nella popolazione si fecero più forti, il programma terminò sul territorio tedesco. Le uccisioni di massa, tuttavia, furono eseguite già dall'inizio della guerra anche in zone occupate e lì sono proseguite anche dopo il 1941 con la privazione del cibo e il sovradosaggio dei farmaci. Si stima che l'attuazione del programma T4 abbia portato in totale all'uccisione di più di 300.000 persone.

L'immediata conseguenza di tale nuova funzione per il manicomio di Zwiefalten fu un rapido e crescente sovraffollamento. Una della possibilità per decongestionare il manicomio risiedeva nello IESA. Le considerazioni di natura finanziaria e sanitaria arrivarono ad assumere un ruolo rilevante: collocando i pazienti all'interno delle famiglie ospitanti era possibile tagliare i costi assistenziali, evitando ai manicomi di farsi carico di ulteriori spese. Un altro fattore importante era costituito dal fatto che sempre un maggior numero di dipendenti del manicomio, parallelamente al resto della popolazione locale, diveniva consapevole delle atrocità che si verificavano nelle immediate vicinanze di casa propria. Per questi motivi nel 1940 lo IESA assume improvvisamente un significato del tutto nuovo: attraverso questa pratica un certo numero di persone che a Grafeneck sarebbe andata incontro alla morte, poté salvarsi. Nel 1940 le persone che si trovavano inserite presso le famiglie ospitanti erano 41, quasi il doppio rispetto ai progetti effettuati nella norma. La tesi che si trattasse di un tentativo consapevole di salvare la vita a degli esseri umani è supportata anche da un secondo fatto. Se normalmente ogni anno circa il 15% degli ospiti

IESAfaceva ritorno in clinica, nel 1940 ciò si verificò solamente nel caso di una persona. Accadde invece che 28 ospiti inseriti in famiglie ospitanti fecero ritorno alla propria famiglia di origine. Per molti lo IESA rappresentò la possibilità di mettere in salvo i propri parenti che altrimenti sarebbero andati incontro a morte certa nei campi di sterminio.

Cessate le esecuzioni di massa a Grafeneck, la clinica di Zwiefalten tornò ad essere percepita come un luogo sicuro e gli ospiti delle famiglie IESA ricominciarono a farvi normalmente ritorno. Fino al 1945 lo IESA venne gestito secondo le modalità consuete anche se il numero di convivenze subì un certo calo. Ciò si spiega soprattutto con il fatto che lo stesso manicomio si trovava ad avere un crescente bisogno di pazienti in grado di lavorare per sopperire alla temporanea carenza di personale.

Riassumendo si può constatare come lo IESA a Zwiefalten negli anni dal 1933 al 1945, venne portato avanti in maniera continuativa e controcorrente rispetto agli sviluppi politici e sociali riguardanti il resto della Germania. Nel corso dei decenni lo IESAa Zwiefalten si dimostrò una valida e naturale alternativa al ricovero in manicomio, riuscendo a non essere nemmeno troppo influenzato dalle teorie nazionalsocialiste. Al contrario, attraverso l'accoglienza silenziosa, tenace e sovversiva da parte di alcuni singoli e di alcune famiglie, un numero considerevole di pazienti venne salvato dalla sicura morte nei campi di sterminio.

Fig.3: Nel 1990 a Grafeneck viene inaugurato un monumento in memoria delle vittime del cosiddetto “programma eutanasia”. Il tetto della cappella poggia su cinque colonne che rappresentano metaforicamente il quinto comandamento: “Non uccidere”. Sopra la soglia della cappella sono riportati i nomi dei luoghi dai quali le persone vennero deportate a Grafeneck. In questo centro di sterminio persero la vita 10.654 persone portatrici di handicap e malattie mentali.

31
Fig.2: “Vite senza speranza”. L'Aktion T4 è il nome con cui venne designato il Programma nazista di eutanasia che, sotto responsabilità medica, prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili, malattie disabilità fisica
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L'estensione dello IESA

all'utenza geriatrica.

Spunti e riflessioni

Abstract

La popolazione europea presenta una composizione in cui la percentuale di anziani cresce esponenzialmente e per la cui assistenza vengono assorbite sempre maggiori risorse, in gran parte a carico dei vari enti nazionali preposti all'assistenza socio-sanitaria. Per far fronte alla situazione sono stati istituiti diversi progetti di “prevenzione dell'invecchiamento” parallelamente ad un aumento dell'offerta di strutture di ricovero per anziani. L'istituzionalizzazione di persone che necessitano di assistenza medio-alta è la soluzione maggiormente utilizzata e ha un peso elevato sulla spesa pubblica.

L'articolo propone l'applicazione del modello IESA(Inserimento Eterofamiliare Supportato diAdulti) come alternativa alle strutture residenziali per persone anziane non autosufficienti che non dispongono di un sostegno famigliare. È un modello che presenta vantaggi economici, sociali e culturali favorendo l'integrazione di più generazioni. L'intervento di cura individualizzato risulterebbe più accurato e attento ai vari fattori di rischio per il benessere psicofisico dell'anziano. Questo metodo, già applicato in ambito psichiatrico con ottimi risultati clinici ed economici, potrebbe pertanto essere esteso anche a pazienti geriatrici.

Parole chiave: Inserimento Eterofamiliare, IESA, anziani, RSA, assistenza sanitaria, psicogeriatria, affido anziani, geriatria.

L'alta concentrazione di persone anziane nella società fa scaturire diverse conseguenze sociali co-

me l'innalzarsi della spesa pubblica sanitaria nel far fronte alle complicanze geriatriche e assistenziali, l'aumento dell'impegno sociale rivolto a persone che non possiedono una rete famigliare o sostitutiva alle spalle, il più veloce declino

* Psicologo Psicoterapeuta, Responsabile Servizio IESA e Unità di Monitoraggio e Programmazione Clinica dell'ASL TO3, Università degli Studi di Torino, Vice Presidente Gruppo Europeo di Ricerca sullo IESA(GREPFa), Formatore IESA.

** Economista Sanitario, Dirigente amministrativo Responsabile della Ragioneria - Gestione Economico Finanziaria e Responsabile dell'Unità operativa Controllo di Gestione presso AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano (TO), Università degli Studi di Torino.

*** Psicologa, Operatrice Unità di Monitoraggio e Programmazione Clinica dell'ASLTO3, Cooperativa Il Margine.

**** Studentessa presso il corso di laurea in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica - Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli Studi di Torino.

1Invecchiare è un privilegio e una meta della società. È anche una sfida, che ha un impatto su tutti gli aspetti della società del XXI secolo, <www.epicentro.iss.it/problemi/anziani/anziani.asp>. Consultato a settembre 2016.

32
L'Unione Europea risulta una delle aree al mondo a più alta intensità di popolazio1
ne over 65.

cognitivo, fisico e sociale delle persone anziane senza rete sociale ed assistenza.

Per far fronte alle esigenze che ne derivano, l'UE ha promosso e finanziato diversi progetti al fine di favorire e “accompagnare” il passaggio di status generazionale e prevenire e studiare le cause di non autosufficienza nell'età geriatrica (AGE 2 Platform Europe; Fondo Sociale Europeo –34FSE ; Horizon 2020; EaSI; Programma “Salute per la crescita 2014-2020”; Progetto “Sarcopenia and physical frailty in older people: multi5 component treatment strategies – SPRINTT” ).

Ad oggi tra le soluzioni proposte dai servizi pubblici si annoverano le assistenze territoriali domiciliari e ambulatoriali, le strutture residenziali e semiresidenziali e gli affidi diurni.

L'alternativa proposta e illustrata in questo articolo è l'estensione del modello IESA a utenti geriatrici i quali non possono disporre di un sostegno famigliare sufficiente alle loro esigenze. Un progetto di questo tipo potrebbe alleggerire i costi previsti per l'assistenza geriatrica, migliorare la qualità di vita e la compliance dei pazienti anziani facilitando il dialogo generazionale.

Metodo

È stata effettuata una ricerca sui dati Eurostat relativi alla popolazione europea e al suo progressivo invecchiamento. Sono state riportate le statistiche e le loro evoluzioni future sulla popolazione italiana, ponendo parallelismi con la situazione europea.

Sono stati sintetizzati i costi associati alla crescita della popolazione anziana e illustrato il quadro normativo relativo all'affido degli anziani. Inoltre, sono state ricercate informazioni sul sistema assistenziale rivolto a persone anziane e la spesa pubblica che ne consegue. La ricerca ha interessato soprattutto le strutture residenziali che si offrono come assistenza alternativa alla famiglia per gli individui anziani, le residenze sanitarie as-

sistenziali (RSA), il loro costo e il possibile risparmio in caso di adozione di metodi innovativi. I dati presentati riguardano la popolazione europea di età superiore ai 64 anni.

La popolazione anziana in crescita

Secondo i dati Eurostat l'aspettativa di vita nella UE-28 risulta generalmente superiore a quella della maggior parte delle altre regioni del mondo e continua ad aumentare.Nel decennio tra il 2002 (il primo anno per il quale sono disponibili i dati per tutti gli Stati membri) e il 2012, la speranza di vita alla nascita nell'UE-28 è aumentata passando da 77,7 a 80,9 anni. In relazione al genere, nel 2012, la speranza di vita alla nascita nell'UE-28 era di 83,6 anni per le donne e di 78,1 anni per gli uomini. Da tali dati ne deriva un incremento della popolazione anziana intesa come nucleo di per6 sone di età compresa e superiore ai 65 anni. Si stima che la popolazione over 65 dell'UE, composta da 84,6 milioni di persone nel 2008, raggiun7 gerà i 151,5 milioni nel 2060. 8

I dati Eurostat-2014 mostrano le previsioni di crescita della popolazione europea per il periodo 2020-2080. Secondo le stime si assisterà a una costante crescita della percentuale europea di persone anziane, soprattutto per quanto riguarda la fascia over 80 che vedrà un incremento di 7,2 punti percentuali, ossia dal 5,1% della popolazione totale fino al 12,3%. Molto consistente è anche la fascia rappresentata dalla popolazione compresa tra i 65 e 79 anni di età che secondo le previsioni dell'Eurostat salirà dal 13,1% del 2020 al 16,4% nel 2080 aumentando di 3,3 punti percentuali.

Il grafico 1 illustra l'andamento percentuale della popolazione nelle diverse fasce di età. In generale, si riscontra un incremento della popolazione anziana dal 2020 al 2080, mentre si osserva stabilità della popolazione compresa tra i 0-14 anni e un decremento della popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni.

2 Tratto da http://www.age-platform.eu/. Consultato a Ottobre 2016.

3 Tratto da ec.europa.eu/esf/BlobServlet?docId=410&langId=it. Consultato a Ottobre 2016

4 Tratto da https://ec.europa.eu/programmes/horizon2020/en/h2020-section/health-demographic-change-and-wellbeing. Consultato a Ottobre 2016.

5 Tratto da http://www.mysprintt.eu/project. Consultato a Ottobre 2016.

6 EuroStat, Mortality and life expectancy statistics. Tratto da http://ec.europa.eu/eurostat/statisticsexplained/index.php/Mortality_and_life_expectancy_statistics. Consultato il 13/04/2015.

7 EuroStat, Ageing characterises the demographic perspectives on the European society . Statistics in focus, 72/2008. Tratto da http://ec.europa.eu/eurostat/documents/3433488/5583040/KS-SF-08-072-EN.PDF/1c8f668a-d1d9-42cb-80b1eaf3dfc1b7df. Consultato il 22/09/2015.

8Population structure by major age groups, EU-28, 2013-80. Tratto da http://ec.europa.eu/eurostat/statisticsexplained/index.php?title=File:Population_structure _by_major_age_groups,_EU28,_2013%E2%80%9380_(1)_(%25_of_total_population)_YB14.png&oldid=184831. Consultato il 13/04/2015.

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Grafico 1. Stime della crescita percentuale della popolazione in diverse fasce di età.

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I dati (sempre riferiti a Eurostat-2014) relativi all'aspettativa di vita dopo i 65 anni (grafico 2) mostrano che per l'UE-28 si è passati da 19,4 del 2010 a 19,6 anni di vita nel 2012. I Paesi con più elevata aspettativa di vita dopo i 65 anni sono ri-

sultati l'Italia, la Francia e la Spagna: in Francia si è passati da 18,2 del 1990 a 21,4 anni di vita dopo i 65 anni nel 2012, in Spagna da 17,6 a 20,9 e in Italia da 17,2 a 20,5.

Grafico 2. Aspettativa di vita oltre i 65 anni dal 1990 al 2012 in Europa, in Italia, in Francia e in Spagna.

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34 DYMPHNA’ S FAMILY 0 10 20 30 40 50 60 70 20132020203020402050206020702080 0-14 anni15-64 anni65-79 anni>80 anni 0 5 10 15 20 25 EU-28ItaliaFranciaSpagna 1990 2000 2010 2011 2012 N° 00 2017
EuroStat, Mortality and life expectancy statistics. Tratto da http://ec.europa.eu/eurostat/statisticsexplained/index.php/Mortality_and_life_expectancy_statistics. Consultato il 13/04/2015.

Secondo quanto riportato nella Relazione sullo 10 Stato Sanitario del Paese 2009-2010, l'indice di 11vecchiaia in Italia al 1 gennaio 2011 era pari al 144,5%: ogni 100 giovani vi erano circa 145 anziani. In particolare, le regioni centrali e settentrionali registravano un indice di vecchiaia di molto superiore alla soglia di parità, di rispettivamente 160,4% e 155,7%. Per le regioni del mezzogiorno l'indice di vecchiaia era più basso, ossia pari a 122,6%.

I costi associati alla crescita della popolazione anziana

L'incremento della popolazione anziana determina un aumento della spesa sanitaria e assistenziale: all'aumento del numero di utenti consegue 12 un incremento del costo sanitario degli stessi. Secondo uno studio dell'Università di MilanoBicocca, il 38,4% dei ricoveri riguarda persone anziane affette da una patologia cronica, e per la loro assistenza nel 2011 sono state effettuate oltre 540mila giornate di degenza ordinaria in ospedale alle quali corrisponde una spesa superiore ai 137 milioni di euro. Sempre secondo questo studio, la degenza media nel 2011 è di 10,24 giorni (20,81 giorni in Valle d'Aosta e 8,27 giorni in Sardegna); nel 2011 in Italia la spesa media per una giornata di degenza era pari a 254,89 € (il valore massimo rilevato era di 299,44 € in Sicilia e quello minimo era in Friuli Venezia Giulia con 13 173,64 €).

Il SSN offre alternative all'ospedalizzazione rivolte soprattutto a persone anziane totalmente o in parte non autosufficienti, come i centri diurni, il servizio di assistenza domiciliare, prestazioni integrative e strutture residenziali (residenze assistenziali, residenze assistenziali flessibili, residenze sanitarie assistenziali).

La retta di questi servizi è suddivisa in costi totalmente sanitari, in costi totalmente non sanitari e in costi misti; l'integrazione di essa con una quota a carico del SSN dipende dal grado di autosufficienza e dal reddito dell'utente.

Nell'anno 2009, la percentuale italiana di anzia-

ni disabili rispecchiava il 19,2% delle persone over 65. La spesa pubblica per l'assistenza continuativa degli ultra 65enni non autosufficienti, secondo il Ministero dell'Economia, ha raggiunto nel 2009 l'1,28% del PIL, ovvero 19,84 miliardi. Le stime di lungo periodo mostrano uno scenario nazionale in cui la spesa pubblica per l'assistenza e la cura continuativa rivolte a persone non autosufficienti, in rapporto al PIL, è destinata ad aumentare dall'1,8% del 2011 al 3,2% del 2060, con un aumento pressoché uniforme nell'intero 14 periodo di previsione.

Per quanto riguarda le RSA, nel 2006 il Sistema Sanitario Nazionale ha speso 1.428.140.118 €, circa 1.505 € mensili pro-capite, ai quali vanno aggiunti circa 71 € versati dal Comune e 1.375 € a carico dell'utente per un totale di 2.951 €. Infatti, la retta è generalmente ripartita rispettivamente al 51%, 46,6% e 2,4% tra SNN, utente e Comune (Pesaresi, 2016).

Quadro normativo dell'assistenza degli anziani

La Legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” è la legge che ha ridefinito il profilo delle politiche sociali per promuovere interventi assistenziali e sociosanitari e di protezione sociale, che garantiscano un aiuto concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà. L' art. 15 statuisce che una quota dei finanziamenti erogati al Comune è da destinare a favore delle persone anziane non autosufficienti sia per sostenerne l'autonomia sia per favorire il nucleo familiare nell'assistenza domiciliare. L'art. 22 sottolinea l'importanza di promuovere interventi a favore di anziani e disabili che permettano la permanenza domiciliare. Altre normative in materia di tutela della salute e la promozione sociale delle persone anziane sono specifiche per regione. Ad esempio, per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia, la Legge regionale 10/1998 si propone di favorire il riconoscimento ed il rispetto dei diritti della persona anziana attraverso attività di prevenzione della perdita dell'autonomia e dell'autosufficienza, la propria

10 Ministero della Salute, Relazione sullo stato sanitario del Paese 2009-2010

<http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_1655_allegato.pdf,> . Consultato il 14/07/2016.

11 L'indice di vecchiaia si calcola operando il rapporto tra la popolazione che ha più di 65 anni e la popolazione che ha meno di 15 anni.

12 Ministero della Salute, Piano sanitario nazionale 2006-2008 <http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1205_allegato.pdf> . Consultato il 22/09/2016.

13 Merchich, G., & Zenga, M., Atti del convegno L'incidenza delle cronicità nelle geriatrie italiane. Possibili risparmi per la spesa sanitaria di Milano del 14/05/2013. Tratto da https://www.unimib.it/upload/gestioneFiles/UfficioStampa/f20130514lincidenzadellecronicitnellegeriatrieitalianemerchichz enga.pdf. Consultato ad Agosto 2016.

14 Montemurro, F., Mancini, G., Torre, F., & Mangano, M. (2012). Indagine nazionale sulle RSA in Italia. Auser Nazionale. Tratto da http://www.lucabernardi.eu/22novembre2012r1.pdf. Consultato a Settembre 2016.

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permanenza nel contesto familiare e sociale e l'adeguamento dell'offerta di servizi e strutture, in particolare per i non autosufficienti. La Regione Liguria (Legge regionale 12/2006, art. 34) promuove interventi e servizi a favore degli anziani volti a offrire occasioni per favorire un invecchiamento attivo, stimolare e riconoscere la partecipazione degli anziani alla comunità, favorire la trasmissione intergenerazionale, offrire attività di prevenzione e limitare l'ospedalizzazione e l'inserimento in strutture residenziali. La Regione Umbria, con la Legge regionale 14/2012 “Norme a tutela della promozione e della valorizzazione dell'invecchiamento attivo”, ha inteso promuovere interventi a favore del benessere e dell'autonomia degli anziani, favorendo attività di prevenzione e offrendo una formazione continua attraverso lo scambio di saperi e conoscenze tra generazioni, le università della terza età e il sostegno di azioni formative che permettano loro di affrontare le criticità associate alla società moderna.

Diversi comuni o consorzi socio-assistenziali presentano specifiche normative che, in linea di mas15 sima, prevedono due tipologie di affido:

-affido di supporto, rivolto ad anziani in stato di semi-autosufficienza che pur continuando a vivere presso la propria abitazione, necessitano di un sostegno diurno per lo svolgimento delle attività quotidiane e di risocializzazione;

-affido di convivenza, rivolto ad anziani non autosufficienti che necessitano di un continuo supporto assistenziale, nel quale l'affidatario ospita il soggetto presso la propria abitazione.

L'affidatario può essere rappresentato da famiglie, singoli individui o gruppi para-familiari, valutati idonei da una commissione in relazione a criteri differenti a seconda del Comune interessato; in alcuni casi l'affidatario può essere rappresentato da un parente.

L'inizio dell'affido corrisponde alla firma di un contratto dove vengono delineati i diritti e i doveri delle due parti, i metodi di rimborso spese e la compartecipazione dell'affidato, la tipologia di assistenza da parte dei Servizi Sociali e se previsto l'assistenza di operatori professionali.

Ne consegue che sul territorio nazionale è presente una forte disomogeneità riguardante tale servizio e la sua regolamentazione; il rimborso spese

previsto alla famiglia affidataria varia a seconda del tipo di affido e dal grado di non autosufficienza dell'utente.

Mentre negli affidi gestiti dai comuni e dai consorzi socio sanitari è assente la figura dell'operatore dedicato, presso il Servizio IESAla figura dell'operatore di supporto alla convivenza, adeguatamente formato, è presente all'occorrenza e reperibile telefonicamente 24h su 24h, 7 giorni su 7.

RSA vs IESA: analisi dei costi

I costi sanitario-assistenziali sono in crescita secondo le previsioni statistiche di aumento dell'indice di vecchiaia. Un'alternativa per la riduzione delle spese è rappresentata dall'estensione del modello IESA, già applicato in psichiatria con notevoli risparmi rispetto ad altre soluzioni residenziali, anche alla popolazione geriatrica. In psichiatria, il costo globale mensile massimo teorico di un progetto IESA a tempo pieno può ammontare a 2.100,00 € circa, suddiviso in rimborso spese per la famiglia pari a 1.200,00 €, argent de poche per l'ospite pari a 200,00 €, costi fissi da 16 personale e strumenti di circa 700,00 €. La cifra relativa al rimborso spese mensile per la famiglia ospitante e alle piccole spese personali dell'ospite è a carico di quest'ultimo. Laddove la situazione economica dell'ospite non gli permetta di far fronte a questa spesa mensile, le istituzioni che lo hanno in carico intervengono con l'erogazione di una somma che può essere ad integrazione o a copertura totale del fabbisogno. Nel valutare le differenze circa i costi del servizio IESA confrontato con altre alternative residenziali, quali le RSA, è utile considerare il diminuire dell'importo erogato dalle istituzioni pubbliche. Spesso il paziente psichiatrico con necessità di ricovero, fatta eccezione per coloro che ricevono pensione di invalidità o che godono di altri redditi propri, non presenta entrate mensili di alcun tipo, mentre una persona anziana non più autosufficiente può contare sulla propria pensione lavorativa, su capitali o beni accumulati o, nella peggiore delle ipotesi, può richiedere l'assegno so17 ciale.

E' stata effettuata una stima relativa ai costi associati all'adozione della pratica IESA anche in ambito geriatrico. Di seguito si riporta il confronto tra le spese massime erogate al Servizio IESA in ambito psichiatrico e quelle sostenibili ipoteticamente per lo stesso servizio in ambito geriatrico.

15 Queste tipologie di affido, di supporto e di convivenza, presentano diverse analogie rispettivamente con i progetti IESA parttime e full-time.

16 Tali costi sono riferiti al funzionamento di un servizio IESA secondo il modello sviluppato presso l'ASL TO3 negli ultimi 20 anni.

17 L' assegno sociale nel 2016 corrispondeva a 448,07 € nella sua misura massima. Tratto da https://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=10018. Consultato il 20/09/2016.

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Tabella 1. Confronto tra costi mensili massimi IESA in ambito psichiatrico e in ambito geriatrico.

* In genere, nell'equipe del Servizio IESA ciascun operatore si occupa di seguire 10 progetti. In geriatria si può supporre che il fabbisogno di supporto diminuisca (riduzione di interventi domiciliari, urgenze e crisi) e quindi si può arrivare a ipotizzare un carico di 20 progetti per operatore: in questo modo i costi fissi diminuiscono sensibilmente.

Dalla tabella 2 si evince che, l'inserimento di un anziano non autosufficiente presso il Servizio IESAconsentirebbe, a parità di costo medio a carico del paziente, la diminuzione del costo medio a

carico delle istituzioni. Si può osservare, infatti, che inserire un paziente presso una RSA implica una spesa che permetterebbe la presa in carico di quasi 4 utenti presso il servizio IESA.

Tabella 2. Confronto tra costi mensili IESA per pazienti geriatrici e costi sostenuti in RSA.

*Dato ricavato da una ricerca riferita alla popolazione anziana ricoverata in RSA (Pesaresi, 2016) ed esteso allo IESA poiché rappresentativo di una popolazione sovrapponibile.

Questi risultati sono in linea con quanto emerso in Inghilterra, dove nel 2013-2014 le persone seguite dallo Shared Lives, assimilabile al modello IESA italiano e rivolto non solo a persone con disabilità e/o disagio psichico ma anche ad anzia18 ni, sono aumentate del 14% a fronte di una riduzione della spesa del 4% relativa a forme classi19 che di ricovero (istituti, comunità).

La virtuosa performance di questa pratica è stata 20 enfatizzata nel giornale inglese The Guardian tanto da aggiudicarsi un posto nella lista delle 10 pratiche per cambiare positivamente il mondo.

Rispetto alle altre soluzioni residenziali, l'inserimento eterofamiliare sarebbe la condizione che più si avvicina ad un contesto di vita normale (Dunkle, 1983), grazie alla quale è possibile promuovere il benessere e l'autonomia dell'anziano.

La presenza di una famiglia accogliente favorisce la creazione di un ambiente favorevole alla salute, in un contesto in cui i dati del 2012 suggeriscono che in Italia il 21% degli anziani vive da solo e il 21% dichiara che la propria abitazione si trova 21 troppo lontana da quella dei familiari. A riguardo, da uno studio qualitativo condotto da Brookes e colleghi (Brookes et al., 2016) è emerso che il coinvolgimento di persone anziane in un'esperienza di convivenza presso il servizio Shared Lives produceva diversi vantaggi: la riduzione dell'isolamento sociale e del senso di solitudine, la promozione dell'autonomia, l'aumento del benessere a fronte di una costante disponibilità di ascolto e di supporto emotivo.

Oltre al risparmio in termini di costi associati alla presa in carico, l'inserimento presso una

18 Circa il 12% delle persone che si sono rivolte al Servizio Shared Lives erano anziani bisognosi di supporto. Non rientrano in questa categoria gli anziani affetti da demenza, disagio psichico oppure disabilità.

19 The State of Shared Lives in England: Report 2015. Tratto da http://sharedlivesplus.org.uk/images/SLPSectorReport19052015.pdf. Consultato il 31/10/2016.

20 10 ways to change the world. Tratto da www.theguardian.com/voluntary-sector-network/2015/dec/01/giving-tuesday-10ways-to-change-the-world.

21 Qualità dell'ambiente di vita. Tratto da http://www.epicentro.iss.it/passi-argento/dati/ambienteVita.asp. Consultato il 14/07/2016.

famiglia 37 DYMPHNA’ S FAMILY N° 00 2017 Psichiatria Geriatria Rimborso spese 1.200,00 1.200,00 Argent de poche 200,00 200,00 Costi fissi 700,00 400,00* Totale 2.100,00 1.800,00 IESA RSA Costo mensile massimo teorico 1.800,00 2.951,00 Quota media a carico del paziente* 1.375,00 1.375,00 Costo medio a carico delle istituzioni 425,00 1.576,00 Utenti a parità di costo (n) 3,71 1,00

IESAospitante potrebbe favorire occasioni di contatto e confronto con gli anziani, sviluppare e valorizzare il potenziale formativo e generativo degli anziani, e accrescere le competenze comunicative tra persone di diverse età (Baschiera, 2011). Il valore aggiunto dello scambio intergenerazionale emerge nel contesto tedesco dove Henning Scherf, promotore della solidarietà tra generazioni, ha avviato un progetto denominato Lebendige Nachbarschaft, nel quale giovani e anziani vivono sotto lo stesso tetto e ciascuno, attraverso le proprie capacità e risorse, contribuisce al sostegno della “famiglia”. Di questa esperienza, al di là del supporto pratico, ciò che gli inquilini apprezzano di più è lo stimolante scambio tra generazioni che non conosce barriere di età e di parentela (Scherf, 2006).

Coerentemente con quanto previsto in ambito psichiatrico, il tipo di progetto potrà essere strutturato a seconda del bisogno di cura e assistenza del paziente in progetto a lungo, medio e breve termine. In quest'ottica, l'adesione a un progetto IESA può essere pensato anche su base temporanea a fini riabilitativi post-intervento chirurgico o di affiancamento a particolari terapie quali quelle chemioterapiche.

Il ruolo dell'integrazione tra pubblico e privato L'uomo non ha solo necessità di “ricevere”, ma anche di “offrire”: in questo senso il volontariato e le possibilità di integrazione tra pubblico e privato, costituiscono una delle componenti maggiormente qualificanti della natura umana, che indirizza una persona a offrire la propria disponibilità a beneficio di un'altra che ne abbisogna, uscendo da uno sterile do ut des o da altre considerazioni opportunistiche. È proprio dalla possibilità di utilizzare la disponibilità delle persone, con o senza un ritorno di utilità (anche di natura finanziaria), che possono nascere risposte socialmente avanzate, in grado di ricreare un clima di fiducia. Il porre un eccessivo accento sulle tematiche di natura economica induce a favorire spiegazioni e approntare metodologie eccessivamente pragmatiche, lasciando un ruolo marginale agli aspetti etici e sociali, ridotti alla funzione di richiamo contro gli eccessi. Sarebbe invece opportuno che questi aspetti incarnassero il connubio tra la società, intesa come modalità applicata di convivenza, e l'arte di rappresentare la natura e la realtà dell'uomo. La solidarietà non può essere considerata come un'eccezione virtuosa nei rapporti sociali a cui accedono pochi eletti alla ricerca soltanto di gratificazioni spirituali o narcisistiche,

ma come fenomeno allargato capace di coinvolgere le persone e far funzionare qualsiasi sistema, ancorché imperfetto.

Se il desiderio recondito di ogni società evoluta è poter cancellare ogni forma di sofferenza, le soluzioni fin ora rincorse hanno offerto il fianco ad uno scarso livello di efficienza nell'utilizzo delle risorse disponibili o a insostenibili deficit finanziari. Proprio la “nobiltà” di alcuni fini sociali ha spesso indotto ad eccessi, non sempre oggettivamente sostenibili. Ma ciò deve tratteggiare un campo di applicazione delle facoltà dell'individuo e non degenerare in uno sterile affanno sociale. Cos'è che distingue i due atteggiamenti e cosa porta un individuo ad abbracciare un lato anziché un altro? Il bisogno di appartenenza e della necessità di continuità nei rapporti. Un individuo può costruire una propria rete di relazioni che spazia dai vicini di casa e dai colleghi di lavoro, a tutte le comunità virtuali presenti sul web. Non è infatti sufficiente, per la definizione di “stabilità del senso di appartenenza”, un episodio singolo o casuale, ma la capacità di creare meccanismi di relazioni persistenti in grado di far superare le apprensioni sociali. Se questo atteggiamento si estrinseca in un processo articolato di presa in carico di un individuo, si possono realizzare situazioni di grande umanità con un impegno di risorse limitato in termini di esborso monetario, ma con un significativo effetto moltiplicatore in termini di economia locale. È questo che può offrire lo IESA: una risposta a individui bisognosi con un impegno limitato di risorse che, rimanendo in loco, tendono a migliorare gli equilibri economici, contribuendo ad eliminare le sacche di povertà. Forme di presa in carico come lo IESA si collocano nell'ampio concetto di garantire la libertà di agire a tutti i singoli individui e associazioni, costruendo effettive e concrete possibilità di espressione e attuazione, in un contesto normativo di tutela, senza degenerare in burocrazia, anche se predisposta a favore degli individui da proteggere (tutela della privacy, obblighi di trasparenza, forme di copertura assicurativa, deduzioni fiscali o altri controlli portati all'eccesso). L'ansia sociale, sia di chi aiuta sia di chi viene aiutato, si supera, non solo con una garanzia offerta dall'alto, ma permettendo ad ognuno di sentirsi artefice diretto della vita sociale, in modo tale che la sicurezza derivi da una presa di coscienza diretta, in grado di trasformarsi in comportamenti propositivi.

Vi è però un'oggettiva difficoltà a definire l'utilità marginale dei singoli interventi in un contesto sociale complesso e in rapida evoluzione come quello italiano.

La difficoltà di quantificare l'utilità in relazione ai

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contributi offerti a chi partecipa alla risoluzione di un problema induce ad un atteggiamento burocratico gestibile solo dalle organizzazioni codificate ed a rifiutare le iniziative innovative su base individuale. La crisi inevitabilmente accentua gli atteggiamenti conflittuali, specie se il settore pubblico si ostina a perseverare nella difesa dell'esistenza di azioni poco produttive. La società occidentale si rende sempre più conto dell'importanza del ruolo del settore pubblico e delle necessità della spesa pubblica, che però non sembra più essere disposta a sostenere e finanziare se non si dimostra, in modo assoluto, la sua utilità ed eticità. In quest'ottica, l'estensione del modello IESA alla popolazione geriatrica, già approvata dal Dipartimento di Salute Mentale dell'ASL TO3 – Regione Piemonte, potrebbe risultare un'alternativa vantaggiosa alla RSA alla luce del calo del costo medio che graverebbe a carico delle istituzioni, sanità e comuni, e della possibilità di promuovere l'autonomia dell'anziano e lo scambio intergenerazionale.

Non è possibile tracciare una distinzione netta e inequivocabile fra ciò che è società e ciò che non è (mondi individuali). Dalle società tribali in poi vi è sempre stato un effetto sinergico nell'unione delle forze; con la crisi dei debiti pubblici si è forse realizzata la prima diseconomia generalizzata della messa in comune delle risorse disponibili e ciò rende necessaria la definizione di nuovi archetipi. La varietà e la complessità delle iniziative riconducibili al concetto di terzo settore, privato sociale, settore no profit, terza dimensione etc. comprendono un insieme di tipologie organizzative

Riferimenti bibliografici

che si possono connotare per il fatto di non seguire le logiche adottate dalle imprese private e dagli interventi dello Stato o di altri enti pubblici. Queste iniziative sembrano, invece, rispondere direttamente a una domanda immediata emersa nella società, che non ha ancora trovato un'adeguata risposta o ritiene che le attuali risposte non siano più sostenibili.

La crisi economico-finanziaria obbliga a rivalo22 rizzare le risorse presenti nelle singole società, andando verso una redistribuzione delle risorse disponibili per accrescere il benessere collettivo, superando i limiti che impediscono la soddisfazione dei bisogni da parte dei più deboli.

Il problema è di ridisegnare un sistema in grado di perseguire obiettivi elevati, ma sostenibili, dando così attuazione ad una cultura politica capace di diffondere un know how e un know why volto a migliorare le aspettative di una specifica collettività. Se si andasse a guardare quante volte il legislatore ha inserito in specifiche norme, termini quali economicità, efficacia, efficienza o qualità della vita ci si renderebbe subito conto di come la ricerca di soluzioni sostenibili sia prepotentemente entrata nella programmazione socio sanitaria, ma come questa possa non risultare sufficiente per definire il futuro. È ormai ben presente a tutti gli operatori e agli stessi cittadini che le soluzioni oggi in essere non siano più sufficienti. La forza dello IESA, in un'ottica di estendibilità alla popolazione geriatrica, non consiste nell'offrire soluzioni a “più buon mercato”, ma soluzioni sostenibili sia a livello sociale sia economico maggiormente rispondenti sia ai bisogni di chi aiuta sia di chi riceve l'aiuto.

Baschiera, B. (2011). La dimensione formativa e generativa dello scambio intergenerazionale. Studium Educationis, 1, 103-115.

Brookes, N., Palmer, S., & Callaghan, L. (2016). 'I live with other people and not alone': A survey of the views and experiences of older people using Shared Lives (adult placement). Working with Older People, 20(3), 179-186.

Dunkle, R. E. (1983). Adult foster care: Its tenuous position on the care continuum. The Journal of Sociology & Social Welfare, 10, 56.

Pesaresi, F. (2016). Quanto costa l'RSA? Costi e tariffe RSA Manuale di tariffazione. Santarcangelo di Romagna: Maggioli Editore.

Scherf, H. (2006). Grau ist bunt. Was im Alter möglich ist. Freiburg im Breisgau, Basel, Wien: Herder. Schumacher, E. F. (2013). Small is beautiful. London: Sphere Books.

22È l'esplosione del concetto espresso da Schumacher (1973). In particolare, secondo l'Autore “l'economia di gigantismo e di automazione è un residuo delle condizioni ottocentesche e del pensiero del XIX secolo, ed è del tutto incapace di risolvere i problemi reali di oggi”.

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