67 minute read

zionalità...................................................................................................................... I

Autosufficienza dei motivi di ricorso per cassazione: razionalità pratica e proporzionalità

Sommario: 1. Introduzione. – 2. L’evoluzione del principio di autosufficienza nella giurisprudenza di legittimità. – 3. Gli strumenti metodologici indicati dalla Corte EDU per censurare gli eccessi formalistici: il test di proporzionalità in concreto. – 4. Le ripercussioni della sentenza Succi sulle declinazioni dell’autosufficienza nel processo tributario. – 4.1. Sulla trascrizione integrale della motivazione dell’atto impositivo. – 4.2. Sulla trascrizione della relata in caso di vizi di notifica. – 4.3. Sulla trascrizione della CTU. – 5. I dubbi circa gli altri orientamenti discordanti in punto di specificità dei motivi (di cui non è stata investita la Corte EDU). – 6. Brevi riflessioni sulle prime considerazioni della Corte di Cassazione in relazione alla sentenza Succi: l’onere del ricorrente di fronte al giudice del “fatto processuale”. – 7. Considerazioni conclusive.

Con la sentenza Succi, la Corte EDU indica i criteri di applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, censurando sulla base dell’art. 6 della Convenzione (diritto di accesso ad un tribunale) interpretazioni eccessivamente formalistiche delle norme sulla redazione dei ricorsi di cassazione. Nel presente contributo, si avrà modo di riflettere sulle possibili ricadute di tale sentenza in relazione alla giurisprudenza rilevante ai fini dei ricorsi per cassazione avverso le sentenze delle Commissioni tributarie.

With the Succi case, the ECtHR stated the standards for applying the principle of self-sufficiency with respect to the appeals on points of law in front of the Italian Supreme Court, criticizing on the basis of art. 6 of the Convention (right of access to a tribunal) excessively formalistic interpretations of the rules on drawing up cassation appeals. In this paper, we will have the opportunity to reflect on the magnitude of this decision in relation to the Italian case law concerning cassation appeals against the decisions of the Italian Tax Tribunals.

1. Introduzione. – L’avvocato è certamente consapevole delle irrinunciabili esigenze derivanti da ragioni di ordine generale, secondo cui la Corte di cassazione è tenuta ad esaminare solo questioni di diritto onde assicurare l’uniformità della giurisprudenza, la certezza del diritto e l’uguaglianza di tut-

ti i cittadini dinnanzi alla legge. Tuttavia, già Calamandrei si chiedeva: «ma come può [l’avvocato] riuscire a spiegare in certi casi al suo cliente … che la uniformità della giurisprudenza può servire talvolta a giustificare le più spietate ingiustizie?» (1).

Su questa domanda si pone il tema dei requisiti “stretti” del ricorso per cassazione alla luce del principio di autosufficienza. Il cassazionista, oggi più che in passato, è tenuto ad uno sforzo maggiore al momento della redazione del ricorso, dovendo cimentarsi non solo nell’elaborazione di “eleganti questioni di diritto” (onde superare i limiti del mezzo di impugnazione a critica vincolata), ma anche nella trascrizione da amanuense o in un lavoro connotato dalla pignoleria dell’archivista (2). Di sicuro, il primo aspetto rende “avvincente” la fase di concepimento dell’impugnativa, essendo certamente il momento più alto dell’attività del professionista. Tuttavia, il secondo aspetto (quello relativo al ruolo di amanuense/archivista) fa sì che la costruzione del ricorso sia un momento terribilmente noioso (ma al contempo pieno di preoccupazioni), richiedendo una straordinaria cautela nella selezione delle parti dei testi rilevanti, nella loro trascrizione o nell’indicazione puntuale dei riferimenti ad atti o documenti depositati nel giudizio di merito.

Nel corso degli anni, il requisito di autosufficienza è stato fatto oggetto di una lettura “espansiva” (o “strong”) che ha destato molteplici incertezze nei cassazionisti, i quali hanno avvertito un senso di disorientamento di fronte ai repentini mutamenti nella giurisprudenza di legittimità sul punto e alle modifiche legislative intervenute (si pensi all’introduzione e alla successiva soppressione del “quesito di diritto”) (3). E difatti, si è passati da un onere di trascrizione integrale del contenuto di atti e documenti (sanzionata con l’inammissibilità per difetto di autosufficienza) ad un onere di sinteticità (sanzionata con

(1) V. P. CalaMandrei, Elogio dei Giudici scritto da un avvocato, 2014 (1956), Bergamo, 181. (2) Problema già segnalato da E. riCCi, Sull’autosufficienza del ricorso per cassazione: il deposito dei fascicoli come esercizio ginnico e l’avvocato cassazionista come amanuense, in Riv. dir. proc., 2010, 736 ss. (3) Al riguardo, autorevole dottrina (v. B. sassani, La deriva della cassazione e il silenzio dei chierici, in Riv. dir. proc., 2019, 43 ss.) ha ben rappresentato tale senso di disorientamento, osservando che «la ragionevole istanza che il ricorrente metta il collegio in grado di verificare senza complesse ricerche la fondatezza delle proprie affermazioni si è trasformata in un “catenaccio” che getta nel panico i ricorrenti che si chiedono non solo “cosa” debbano inserire nell’atto, ma anche “come”, per tema di sentirsi dichiarare una inammissibilità da insufficienza dei dati».

l’inammissibilità per eccesso di autosufficienza), cosicché è immaginabile che anche il cassazionista più scrupoloso possa essersi trovato nella difficoltà di dover spiegare al proprio cliente le “ragioni tecniche” di reiezione in rito del ricorso (con buona pace dell’eventuale “ingiustizia sostanziale” subita dal cittadino).

Se ciò è vero, è innegabile come la giurisprudenza di legittimità – dovendo reagire ai carichi enormi da fronteggiare – abbia inteso rafforzare una funzione di “filtro”, onde assicurare la “qualità” della funzione nomofilattica. Tale atteggiamento è del tutto comprensibile in astratto, ma lo è meno in concreto, quando è il cittadino a vedersi respinto un ricorso perché non si è trascritto il passo dell’atto X oppure non si è indicato il numero del documento Y oppure perché non si è specificato quando il documento Z è stato depositato. Spiegare questo era difficile ai tempi di Calamandrei e lo è ancora di più oggi (4).

D’altra parte, i dati dei contenziosi civili in sede di legittimità sono disarmanti: al 31 dicembre 2021 risultavano pendenti n. 111.241 ricorsi (5), di cui il 43% concerneva il settore tributario. A fronte di tali evidenze, negare che non vi sia un’esigenza di “filtro”, significherebbe rinnegare la funzione nomofilattica della Suprema Corte, ancorché l’elevata incidenza dei ricorsi avverso le sentenze delle Commissioni tributarie derivi dalle ben note problematiche di tale giurisdizione (rispetto alla quale si auspica un coraggioso intervento del legislatore in sede di attuazione del PNRR) (6).

(4) Osserva il Prof. Alpa come l’autosufficienza del ricorso possa costituire un “serio ostacolo” all’esigenza di sinteticità degli atti e all’esercizio del diritto di difesa, potendo pregiudicare il titolare del diritto fatto valere ed esponendo il difensore alla responsabilità professionale per negligenza o imperizia (G. alPa, Concisione e sobrietà nella redazione degli atti giuridici, in La sintesi degli atti giuridici, a cura di G. Conte - F. Di Marzio, Milano, 2018, 15). (5) V. Corte Suprema di Cassazione – Ufficio di statistica, Cassazione Civile Annuario Statistico 2021, del 5 gennaio 2022, in www.cortedicassazione.it. Più nel dettaglio, secondo P. Curzio, Relazione sull’amministrazione della Giustizia nell’anno 2021, in www. cortedicassazione, i ricorsi pendenti relativi al settore tributario ammontano a n. «47.364» e «il valore delle cause trattate dalla sezione tributaria della Corte ha superato i 9 miliardi di euro, con un tasso di accoglimento dei ricorsi nei confronti delle decisioni delle Commissioni tributarie regionali di gran lunga più elevato di quello del contenzioso ordinario: i ricorsi accolti sono stati infatti 5.713, contro i 4.271 rigettati». (6) L’importanza della riforma della giustizia tributaria è evidenziata da P. Curzio, Relazione sull’amministrazione della Giustizia nell’anno 2021, ult. cit., 299-300, là dove si rimarca che «vi è un larghissimo consenso sulla necessità di riformare la giustizia tributaria affidandola a giudici che la trattino a tempo pieno, mentre oggi per i componenti delle Commissioni (a cominciare dai magistrati che sono circa 1.450) è un secondo lavoro. Sarebbe

Tuttavia, una soluzione in chiave “interpretativa” (consistente in un giro di vite sui requisiti di ammissibilità del ricorso) non pare essere soddisfacente, proprio per l’incertezza che ne deriva, anzitutto, in capo ai professionisti (al momento di redazione del ricorso) e, da ultimo, in capo ai cittadini (al momento della declaratoria di inammissibilità per aspetti meramente formali).

Con la sentenza del 28 ottobre 2021 (7), la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha rammentato quali siano le effettive ragioni alla cui stregua l’ordinamento processuale pone i requisiti ostativi all’accesso alla giustizia, evidenziando – sotto il profilo metodologico – i criteri per individuare gli indefettibili “limiti alle limitazioni” onde evitare un’eccessiva compressione dei diritti dei cittadini.

Prima di scendere nel dettaglio del pronunciamento in parola, occorre passare in rassegna, anzitutto, l’origine del principio di autosufficienza, la sua fonte e l’esegesi elaborata in sede giurisprudenziale.

2. L’evoluzione del principio di autosufficienza nella giurisprudenza di legittimità. – Con il d.lgs. n. 40/2006, il legislatore ha introdotto nel codice di procedura civile l’art. 366, n. 6 c.p.c., là dove si prevede (a pena di inammissibilità) un onere di «specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda». Da tale norma

un passaggio cruciale. Delle 40.756 cause civili definite quest’anno dalla Corte, 15.518 sono in materia tributaria (il 38,1% del totale) e quasi metà dell’arretrato attiene a questa materia». Si conclude, quindi, che «una riforma reale della giustizia tributaria è forse l’atto più di ogni altro in grado di incidere sui problemi del giudizio di legittimità, riequilibrando il vertice del sistema giudiziario». (7) Tra i primi commenti sulla sentenza della Corte EDU, v. B. CaPPoni, Il formalismo in Cassazione, in https://www.giustiziainsieme.it; G. raiMondi, Corte di Strasburgo e formalismo in cassazione, in https://www.giustiziainsieme.it; L. delli PrisColi, Formalismo eccessivo e adeguata diligenza dell’avvocato cassazionista: considerazioni sull’accesso in Cassazione a seguito della sentenza della Corte EDU Succi c. Italia del 28 ottobre 2021, in https://www.rivistaildirittovivente.it; S. Barone, La Corte di Strasburgo sul principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in https://www.questionegiustizia.it.; P. BiavaTi, Il principio di autosufficienza del ricorso in Cassazione al vaglio della Corte EDU, in https://www. questionegiustizia.it; M. PagnoTTa, La Corte EDU legittima il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (pur condannandone una applicazione eccessivamente sproporzionata e formalistica …), in www.judicium.it.

viene a tutt’oggi ritratto il principio di autosufficienza del motivo di ricorso (8).

In realtà, tale regola ha fonte pretoria (9) ed origini più risalenti, essendo stata enunciata per la prima volta negli anni ’80 in relazione ai motivi aventi ad oggetto un vizio di motivazione della sentenza impugnata (secondo la versione vigente ratione temporis dell’art. 360, n. 5 c.p.c.) (10) e, dipoi, è stata estesa (anche anteriormente alla codificazione della regola processuale del 2006) alle censure concernenti violazioni della legge sostanziale ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. (11), nonché alle doglianze aventi ad oggetto errores in procedendo ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c. (12).

(8) Preme rimarcare che, ancorché si faccia comunemente riferimento all’autosufficienza come “principio”, è dato dubitare della correttezza di tale qualificazione, non essendo rinvenibile “quell’eccedenza assiologica”, quella “virtualità” e quella “forza espansiva di carattere valutativo” che rendono i principi idonei ad assolvere una funzione genetica rispetto alle singole norme (e. BeTTi, Teoria generale della interpretazione, II, Milano, 1955, 850). Sul punto, si è osservato che, in mancanza di riferimenti di carattere valoriale, non è corretto predicare l’esistenza di un principio, trattandosi piuttosto di una «regola di redazione (o di contenuto-forma) del ricorso per cassazione», con la conseguenza che la qualifica di principio finisce per attribuire «un’enfasi palesemente sproporzionata alla sua effettiva consistenza, un’enfasi che però tradisce la difficoltà di trovarle un adeguato fondamento» (v. r. rodorF, Un idolum fori: il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in Vivere il diritto. Scritti in onore di Carlo Maria Barone, a cura di a. Barone - R. Pardolesi, La Tribuna, 2020, 335 e ss.). Sulla difficoltà di individuare il dato dal quale ritrarre il principio (recte: la regola) di autosufficienza, v. B. sassani, La deriva della cassazione e il silenzio dei chierici, in ult. op. cit., secondo cui «che si tratti di principio è articolo di fede perché nessuno sa indicare da dove si ricavi, ma tant’è». (9) V. G. aMoroso, Il giudizio civile di cassazione, Milano, 2019, 219; r. suCCio, Il principio di autosufficienza dei motivi di ricorso alla Suprema Corte: alcune considerazioni, in Rass. Trib., 2019, 1, 62-91; r. Poli, Specificità, autosufficienza e quesito di diritto nei motivi di ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2008, 1261, là dove si contesta un eccesso di discrezionalità sia in punto di elaborazione sul piano teorico della regola, sia in sede di applicazione in concreto. (10) Cfr. Cass. n. 5656/1986. Secondo alcuni, però, vi sarebbero anche altre sentenze anteriori a quella testé citata che evidenzierebbero una “fase embrionale” nell’elaborazione della regola de qua in sede giurisprudenziale [cfr. d. CasTagno, L’autosufficienza del ricorso per cassazione, in Giur. it., 2019, 2547; a. giusTi, L’autosufficienza del ricorso, in M. aCierno, P. Curzio, a. giusTi (a cura di), La Cassazione civile. Lezioni dei magistrati della Corte Suprema italiana, Bari, 2020, p. 217]. (11) Cfr. Cass. n. 3158/2002; Cass. n. 1865/2000. (12) Cfr. Cass. n. 6225/2005; Cass. n. 6502/2001. Per una compiuta disamina dell’evoluzione della giurisprudenza v. D. CasTagno, L’autosufficienza del ricorso per cassazione, in Giur. It., 2019, 11, 2547 ss.; S. ConForTi, Il principio di autosufficienza, in I processi civili in cassazione, a cura di A. didone e F. de sanTis, Milano 2018, 625 ss.;

La regola in discorso – al netto delle sue varianti “strong” e “soft” – può essere enucleata in questi termini: il motivo di ricorso (dovendo rispondere al canone della specificità) deve recare tutti gli elementi necessari al fine di assicurare al giudice di Cassazione una puntuale cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché delle questioni agitate in sede di legittimità, senza che egli debba sopperire alle eventuali lacune mediante ricerche o indagini integrative accedendo ad altre fonti ed atti del processo (13). Detto in altri termini, l’avvocato cassazionista deve concepire ciascun motivo di ricorso in modo sintetico, esaustivo e specifico, di talché il giudice non sia costretto a “mettere le mani” nel fascicolo del giudizio di merito. Tale divieto di “toccare” il fascicolo – lungi dal trarre spunto dai rischi di manoscritti avvelenati narrati da Umberto Eco nel suo celebre romanzo – ha una ragione ben precisa nel sistema processuale italiano: si vuole limitare l’accesso al fascicolo da parte del giudice di Cassazione onde evitare qualsiasi tendenza verso un riesame dell’accertamento in fatto (come noto, precluso in sede di legittimità, a meno che non si tratti del “fatto processuale”), salvaguardando così il senso della funzione nomofilattica della Corte di cassazione.

Tuttavia, come spesso accade nelle vicende umane, una regola di buon senso è stata fatta oggetto di un uso e di un abuso.

Sotto quest’ultimo aspetto, è innegabile che richiedere l’integrale trascrizione di un atto, di un verbale ovvero di un documento cui il motivo stesso inerisce (14), sia eccessivamente oneroso anche per il difensore dotato del più alto senso di “autoresponsabilità”. Oltretutto, la trascrizione da evangelista di intere parti di atti e documenti annoia il lettore (recte: il giudice), tant’è vero che, ad un certo punto, la stessa Cassazione è passata a dichiarare l’inammissi-

R. suCCio, Il principio di autosufficienza dei motivi di ricorso alla Suprema Corte: alcune considerazioni, in ult. op. cit. (13) Cfr. g. arieTa - F. de sanTis - l. MonTesano, Corso base di diritto processuale civile, 2016, 564. In dottrina, sull’ampia produzione sul tema si rinvia a G. aMoroso, Il giudizio civile di cassazione, in ult. op. cit.; S. Chiarloni, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l’inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, in www.judicium.it; S. ConForTi, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, Salerno, 2014, 101 ss.; A. giusTi, L’autosufficienza del ricorso, in ult. op. cit.; r. rodorF, Un idolum fori, in ult. cit., 340; F. sanTangeli, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2012, 607 ss.; g. naPoleTano, L’autosufficienza del ricorso, in AA.VV., Il nuovo giudizio di cassazione, Milano, 2010, 389.; G. verde, Profili del processo civile, II, Napoli, 2005, 292. (14) Cfr. Cass. n. 32878/2021, Cass. n. 29514/2021, Cass. n. 31082/2017, Cass. n. 1926/2015.

bilità dei ricorsi c.d. “sandwich”, cioè quelli concepiti attraverso l’assemblaggio di parti di atti o documenti relativi alla fase di merito. In questi casi, si è ritenuto che la violazione dell’art. 366 derivi da “eccesso” di autosufficienza (Cass. 18363/2015). Detto in altri termini, il difensore deve essere sì autoresponsabile, ma non troppo: e difatti, secondo l’insegnamento di Lucio Afranio, è irragionevole aspirare al superfluo, non essendo un bene per nessuno (cur nimium adpetimus? Nemini nimium bene est).

Non si deve dimenticare, però, che si sta affermando un uso più equilibrato del principio di autosufficienza (c.d. versione “soft”), evitando giustappunto il “ridondante”. E difatti, tale declinazione dell’autosufficienza contempera l’esigenza di “specificità” del motivo (art. 366, n. 6 c.p.c.) con quella della “sinteticità”, “chiarezza” e “completezza” degli atti processuali. Sulla base di tale premessa, la giurisprudenza di legittimità ha interpretato l’autosufficienza quale onere di “localizzazione” nel fascicolo dell’atto o del documento richiamato nel motivo, con un sintetico ma esaustivo riassunto del loro contenuto (15).

Tale interpretazione si pone in perfetta continuità con la (meritoria) iniziativa adottata dal C.N.F. e dalla Corte di Cassazione con il Protocollo del 17/12/2015. E difatti, proprio per dirimere le incertezze applicative derivanti dall’alternarsi di estensioni e restrizioni del concetto in sede pretoria (16), con il Protocollo si è chiarito che l’autosufficienza «non comporta un onere

(15) Cfr. Cass. n. 9678/2021; Cass. n. 5478/2018; Cass. n. 29093/2018; Cass. n. 26762/2018; ma già Cass. n. 17121/2007 aveva rimarcato la necessità di assolvimento dell’onere di precisa indicazione dei “luoghi” del processo ove rinvenire gli atti richiamati; sul punto v. M. BasilaveCChia, I poteri della Corte di Cassazione e del giudice di merito sull’avviso di accertamento, in Corr. Trib., 2007, 40, 3249. (16) Non si deve dimenticare, infatti, che il Protocollo è stato elaborato dalla Corte Suprema di Cassazione al preciso scopo di «arrivare ad una disciplina concreta del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, fissando quali dovessero esserne i limiti», tenuto conto della circostanza che «alla luce della riforma dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., appariva necessario chiedersi se il richiamato principio potesse essere inteso nel senso che, fermo l’onere irrinunciabile di specificità dei motivi di impugnazione, il ricorrente sia soggetto ad un ulteriore “onere di (puntuale) indicazione”, con riferimento agli atti e documenti del giudizio, del “tempo” (atto introduttivo, memorie, ecc., in primo o secondo grado) e del “luogo” (pagina, paragrafo, ecc. dei citati atti) ove sia stata formulata una determinata eccezione o prodotto un determinato documento, senza doverne trascrivere integralmente il contenuto. Un onere di indicazione integrato dall’onere di allegazione, espresso dalla novella dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. a norma del quale “insieme al ricorso debbono essere depositati, sempre a pena di improcedibilità … gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda» (cfr. Protocollo del 17 dicembre 2015, p. 2).

di trascrizione integrale» di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento, richiedendosi piuttosto un onere di “localizzazione”. E difatti, il difensore è tenuto ad indicare: (i) il “luogo” (recte: il punto) dell’atto o del documento al quale il motivo si riferisce; (ii) il “tempo” del deposito dell’atto o del documento (ossia se si tratta della citazione o del ricorso originario, dell’appello, ecc.); (iii)la “fase” in cui il deposito è avvenuto (i.e. primo grado, secondo grado, ecc.) (17).

Detto in altri termini, anche se l’autosufficienza non si traduce in una trascrizione integrale, il Protocollo avalla (implicitamente) la necessità di una sintesi contenutistica con localizzazione dell’atto o del documento richiamati (18).

Nel quadro di massima, non si deve nemmeno dimenticare quella giurisprudenza di legittimità (già segnalata da autorevole dottrina) che esclude una “sanatoria” al difetto di autosufficienza del ricorso, ove la controparte – in sede di controricorso – sia stata posta in condizione di replicare alle questioni agitate dal ricorrente. E difatti, la sanatoria per raggiungimento dello scopo

(17) Sull’onere di localizzazione, v. C. Consolo, Il Protocollo redazionale CNF - Cassazione, Glosse a un caso di soft law (… a rischio di esser riportato quale hard black letter rule), in Giur. it., 2016, 2775, il quale individua un “onere di localizzazione interna”, alla cui stregua occorre esplicitare il “luogo” all’interno dell’atto o del documento cui fa riferimento il motivo, dovendosi indicare il punto e cioè la pagina o il paragrafo (in caso di difetto di numerazione delle pagine), là dove il giudice avrà modo di rinvenire il passo richiamato nel motivo di ricorso. Da questo l’Autore distingue “l’onere di localizzazione esterna” che si risolve nella necessità di indicare il fascicolo nel quale sia rinvenibile l’atto o il documento (ossia il luogo) e il momento in cui è avvenuto il deposito degli atti o dei documenti richiamati (ossia il tempo), con la precisazione che, per quest’ultimi, il motivo di ricorso deve esplicitare il tipo di documento e il numero che è stato attribuito dal difensore nel fascicolo nel grado di giudizio in cui è avvenuto il deposito. (18) Sulla rilevanza del Protocollo, però, in dottrina r. FrasCa, Glosse e commenti sul protocollo per la redazione dei ricorsi civili convenuto fra Corte di cassazione e Consiglio nazionale forense, in www.judicium.it, il quale osserva che il Protocollo non esclude la riproduzione di atti e documenti richiamati in sede di ricorso, ma solo la loro trascrizione “integrale”, concludendo che l’onere di riproduzione sarebbe «confermato pienamente» dal Protocollo. In dottrina, per un’analisi del Protocollo, v. C. Consolo, Il Protocollo redazionale CNF - Cassazione, Glosse a un caso di soft law (… a rischio di esser riportato quale hard black letter rule), in ult. op. cit.; d. Cerri, La scrittura degli atti processuali ed il Protocollo d’intesa C.N.F./Cassazione sulla redazione dei ricorsi, in www.judicium.it; C. Punzi, Il principio di autosufficienza e il «protocollo d’intesa» sul ricorso in cassazione, in Riv. Dir. Proc., 2016, 581 ss.

può trovare applicazione solo in relazione ai vizi di nullità e non già a quelli di inammissibilità del ricorso (19). Tuttavia, lo scopo assume rilevanza non già secondo il parametro dell’art. 156 c.p.c., ma (come si vedrà più diffusamente nel prosieguo) alla luce della proporzionalità del requisito di ammissibilità del motivo. A ciò aggiungasi che, nella sentenza testé citata, l’obiettivo era del tutto mal mirato, per ciò che l’autosufficienza è un requisito di formacontenuto che si pone nell’“interesse” del giudice (sotto il profilo della sua cognizione della causa) e non già della controparte (sotto il diverso profilo del contraddittorio).

Per ciò che massimamente rileva ai fini del contenzioso tributario (20), si segnala che permane nella giurisprudenza la necessità di integrale trascrizione della motivazione dell’avviso di accertamento (21) o della cartella di pagamento (22), ove se ne censuri l’omessa esposizione delle ragioni giuridicofattuali su cui poggia l’atto.

Analogo onere viene riaffermato in tema di vizi di notifica, nel qual caso la giurisprudenza richiede (a pena di inammissibilità del motivo) la trascrizione integrale della relata (23).

Sempre in relazione al processo tributario, la Cassazione esige la trascrizione delle critiche rivolte alla consulenza tecnica d’ufficio (cui il giudice di merito abbia dichiarato di prestare adesione), ove si contesti l’insufficienza argomentativa della sentenza impugnata. Più nel dettaglio, si richiede che siano trascritti almeno i punti salienti delle critiche alla CTU al fine di consentirne una valutazione in termini di decisività e di rilevanza (24).

(19) Cfr. Cass. n. 4312/2015; v. A. MarCheselli, Accertamento induttivo e percentuali di ricarico: la “check list” della Cassazione, in Corr. Trib., 18, 2015, 1396. (20) In dottrina, v. S. dalla BonTà, Principio di autosufficienza nel ricorso per cassazione in materia tributaria, in Il fisco, 9, 2014, 851 ss.; E.M. ruFFini, Il giudizio di cassazione nel processo tributario, Giuffrè, 2016, 45-46. (21) Cfr. Cass. n. 28570/2019, Cass. n. 16147/2017. (22) Cfr. Cass. n. 22489/2015, con nota di A. guidara, La rilevanza della comunicazione dell’esito del controllo formale della dichiarazione tra le pieghe dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, in GT – Riv. Giur. Trib., 2016, 4, 332-337. (23) Cfr. Cass. n. 5185/2017; Cass. n. 31038/2018. (24) Cfr. Cass. n. 27496/2020; Cass. n. 19427/2017; Cass. n. 11482/2016; v. A. CoMelli, Requisiti ed efficacia della consulenza tecnica nel processo tributario, in Corr. Trib., 2016, 37, 2852-2857.

3. Gli strumenti metodologici indicati dalla Corte EDU per censurare gli eccessi formalistici: il test di proporzionalità in concreto. – La Corte EDU – investita della questione circa la conformità del requisito in relazione all’art. 6 della Convenzione (là dove risulta consacrato il “right of access to a court”) – offre all’interprete un percorso metodologico ai fini del sindacato di ammissibilità del ricorso per cassazione.

E difatti, la Corte si preoccupa di tutelare il “contenuto essenziale” del diritto di accesso alla tutela dinnanzi alle giurisdizioni superiori, considerando anche le ragioni di interesse generale che giustificano le eventuali limitazioni derivanti da requisiti più rigorosi richiesti in quelle sedi.

Il metodo è quello improntato alla proporzionalità, quale strumentario concettuale da cui si può ritrarre la “misura” di una ragionevole limitazione dei diritti del cittadino rispetto ad un interesse generale riconosciuto come legittimo in capo allo Stato. In questo senso, il canone in discorso consente di contemperare i diversi interessi mediante l’identificazione di un limite (per lo Stato) alle limitazioni (per i cittadini) nella prospettiva di garantire il contenuto essenziale dei diritti riconosciuti dalla Convenzione.

Secondo questa chiave di lettura, la Corte segue un duplice step argomentativo per comprendere entro quale misura la regola processuale in esame sia (o meno) irragionevole per sproporzione (25): in prima battuta, esamina la

(25) In questo senso, la Corte EDU segue un percorso bifasico di applicazione della proporzionalità contrariamente allo strumentario concettuale di derivazione dalla tradizione giuridica tedesca, che consta di quattro fasi: quello della verifica della legittimità dello scopo e del mezzo (legitimes Ziel und Mittel), della idoneità della misura statuale (Geeingnetheit), della sua necessità (Erforderlichkeit), della sua adeguatezza o proporzionalità in senso stretto (Angemessenheit oder Verhältnismässigkeit in engeren Sinne). Tuttavia, la Corte EDU, nel caso dell’analisi dei limiti all’accesso alla giurisdizione della Corte di Cassazione, si limita ai primi due passaggi, probabilmente perché (previo accertamento della legittimità della misura, cioè del requisito di ammissibilità del motivo di ricorso) ha ritenuto sufficiente un apprezzamento dell’idoneità in concreto, da demandare al giudice di cassazione secondo tale canone interpretativo dell’autosufficienza. Ciò conferma proprio la funzione del principio di proporzionalità che – collocandosi nel sistema in una prospettiva teleologica di avvicinamento dello ius positum allo ius iustum – volge nel senso di offrire un criterio per la mediazione fra gli interessi rilevanti, in generale, nella dialettica cittadino/Stato e, nel caso di specie, in quella ricorrente/giudice (recte: fra l’interesse alla tutela giurisdizionale e l’interesse alla tutela della funzione nomofilattica da esercitarsi secondo modalità semplificate). In relazione alla rilevanza del principio di proporzionalità nelle varie esperienze giuridiche e, segnatamente, nel diritto tributario, sia consentito un rinvio (anche per riferimenti bibliografici) a g. MerCuri, Principio di proporzionalità: dall’esperienza giuridica europea alla rilevanza costituzionale nell’ambito del diritto tributario, tesi di dottorato in Economia e diritto dell’impresa – Business & Law

legittimità dello scopo della norma; in secondo luogo, valuta l’idoneità del mezzo (ossia della limitazione del diritto del cittadino) alla luce dello scopo.

Tale percorso – figlio della cultura della giustificazione – consente di identificare la ragionevolezza (da intendersi come consapevolezza di limiti e circostanze nel contesto valoriale in cui il decisore pubblico è chiamato ad operare) nel prisma dello scopo e dell’idoneità dei mezzi apprestati per il suo conseguimento, cioè secondo il “metodo proporzionale” (26).

Identificato il parametro di valutazione e la sua articolazione logico-argomentativa, la Corte muove dalla considerazione che la regola dell’autosufficienza non è in sé contraria all’art. 6.

E difatti, il requisito in discorso è funzionale ad un’agevole comprensione della controversia e dell’oggetto dell’impugnazione da parte del giudice di Cassazione. Questa esigenza è diretta alla tutela di un interesse generale e, segnatamente, quello alla garanzia dell’espletamento della funzione nomofilattica della Cassazione, alla cui stregua la Suprema Corte assicura l’applicazione uniforme e la corretta interpretazione del diritto nella prospettiva di realizzare l’eguaglianza di tutti i cittadini dinnanzi alla legge. In questa logica, quindi, l’autosufficienza è strumentale ad un fine immediato, cioè quello alla semplificazione dell’attività giurisdizionale della Cassazione, e ad un duplice fine mediato, quale quello alla certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia tramite l’efficiente espletamento della funzione nomofilattica.

Sulla base di queste premesse, lo scopo perseguito per il tramite della regola dell’autosufficienza è legittimo, dovendosi però escludere che l’esistenza di un imponente arretrato della Cassazione e la sproporzione fra il numero di avvocati cassazionisti (oltre 40.000) e l’organico dei magistrati di Cassazione

[XXXIII ciclo], Università degli Studi di Bergamo, 15, 109-133 e 363 ss. del dattiloscritto. In dottrina, sul ruolo del principio di proporzionalità nel diritto tributario, v. g. MosCheTTi, Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nell’evoluzione del diritto tributario, Milano, 2017. Sui presupposti e la funzione della proporzionalità nel dialogo fra Corti, v. a. Barak, Proportionality: Constitutional Rights and their limitations, Cambridge, 2012; M. Cohen-eliya - i. PoraT, Proportionality and constitutional culture, Cambridge University Press, 2013; n. eMiliou, The principle of proportionality in European Law, Londra, 1996. (26) Sia consentito un rinvio a G. MerCuri, Principio di proporzionalità: dall’esperienza giuridica europea alla rilevanza costituzionale nell’ambito del diritto tributario, in ult. op. cit., 111 ss. del dattiloscritto.

(poco più che 300) possano giustificare restrizioni all’accesso al più alto strumento di tutela giurisdizionale (27).

Ferma l’utilità della regola processuale, la Corte EDU si preoccupa di individuare i “limiti alla limitazione” del diritto di accesso onde salvaguardarne il contenuto essenziale dagli eccessi rispetto allo scopo. A tal proposito, i giudici europei prendono le mosse da un esame improntato ad un criterio di razionalità pratica in cui l’idoneità dello strumento rispetto al proprio obiettivo deve essere apprezzato in concreto e, quindi, alla luce delle specificità dei ricorsi che erano stati proposti in sede di legittimità e che erano stati fatti oggetto di una declaratoria di inammissibilità per violazione della regola di autosufficienza (28).

(27) E difatti, come leggesi nella sentenza Succi (cfr. par. 62), il Governo italiano si era difeso, rammentando anche le cifre ufficiali (per il periodo 2008-2018) del sistema italiano, dalle quali si ritraggono tre aspetti ritenuti problematici: la sproporzione fra il numero di avvocati autorizzati a patrocinare davanti ai tribunali superiori e i giudici di Cassazione; quella fra i nuovi ricorsi iscritti ogni anno («circa 30.000 ricorsi») e le cause decise («in media tra 220 e 240 sentenze»), con i provvedimenti di rigetto che «rappresentano in media il 14% di tutte le decisioni adottate ogni anno»; il poderoso arretrato che «supererebbe i 100.000 casi». (28) Più nel dettaglio, secondo i parr. 40-58 della sentenza Succi, in relazione alla causa sub n. 55064/11, il ricorrente aveva ricevuto la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione per difetto di autosufficienza. Tuttavia, nel ricorso per cassazione, aveva indicato, per ciascuno dei motivi invocati, la pertinente fattispecie ammessa ai sensi dell’art. 360 c.p.c. e le disposizioni invocate, nonché aveva riprodotto i documenti citati (talvolta in dettaglio, talvolta in forma sintetica), unitamente all’indicazione della fase del procedimento in cui erano stati prodotti. Per quanto riguarda i documenti invocati a sostegno dell’appello, il ricorrente sosteneva che il fascicolo in primo grado era identico a quello del procedimento d’appello.

In relazione alla causa sub n. 37781/13, il ricorrente lamentava un eccesso di formalismo in relazione alla prescrizione (vigente ratione temporis) in relazione al c.d. quesito di diritto. Tuttavia, su questo profilo la Corte EDU si è limitata a rinviare a quanto già deciso dalla stessa nella sentenza n. 32610/07, 15 settembre 2016, Trevisanato v. Italia. Con la stessa domanda, il ricorrente denunciava anche la contraddittorietà della giurisprudenza in punto di interpretazione del principio di autosufficienza. La Corte di Cassazione, però, aveva ritenuto che il ricorso per cassazione fosse inammissibile, siccome generico e astratto. Per quanto riguarda, l’ultimo motivo di ricorso per cassazione, non aveva indicato chiaramente il fatto contestato in relazione al presunto difetto di motivazione.

In relazione alla causa sub n. 26049/14, il ricorrente aveva presentato un ricorso di 80 pagine che si risolvevano essenzialmente in una trascrizione dell’atto d’appello, in una sintesi dell’appello incidentale dei ricorrenti e delle loro richieste, nelle trascrizioni del ricorso di uno dei convenuti e della motivazione e del dispositivo della sentenza della corte d’appello. La Corte di Cassazione – con ordinanza n. 21232/2013 – aveva dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione per violazione dell’art. 366, n. 3 c.p.c. (là dove si richiede un’esposizione sommaria dei fatti della causa), in quanto il ricorso – concepito con la tecnica dell’assemblaggio e cioè mediante riproduzione integrale di una serie di atti processuali – mancava una sintesi idonea ad

Secondo tale ulteriore (sotto)parametro, la Corte EDU giunge alla conclusione che l’onere di trascrizione integrale di atti e documenti si risolva in un requisito sproporzionato rispetto allo scopo legittimamente perseguito dall’autosufficienza, essendo espressione di eccessivo formalismo e, come tale, pregiudicando «la sostanza del … diritto a un tribunale».

A diversi approdi è, però, pervenuta la Corte con riferimento all’onere di “localizzazione” degli atti e documenti richiamati nel motivo, a quello avente ad oggetto l’esposizione sommaria dei fatti di causa, nonché con riguardo ai c.d. ricorsi sandwich o assemblati.

Quanto al primo profilo, la Corte riconosce la correttezza del “nuovo corso” della giurisprudenza in ordine alla declinazione “soft” dell’autosufficienza, ritenendo che sia conforme all’art. 6 della Convenzione sia la necessità di indicare le parti della sentenza oggetto di censura, sia i riferimenti ai documenti e agli atti inseriti nei fascicoli depositati, onde agevolare la tempestiva verifica da parte del giudice di legittimità circa la portata e il contenuto di quanto viene richiamato nel motivo di ricorso. Sicché, l’onere di “localizzazione” deve essere ritenuto conforme alla disciplina convenzionale, essendo una regola idonea all’obiettivo consistente nel favorire la comprensione della controversia e dell’oggetto della censura.

Allo stesso modo, la Corte non rimprovera la declaratoria di inammissibilità in relazione a ricorsi troppo meticolosi circa la ricostruzione del procedimento sul merito e delle decisioni emesse nei precedenti gradi di giudizio, così come in relazione ai ricorsi c.d. assemblati. Sul punto, la restrizione del diritto di accesso è idonea all’obiettivo perseguito, per ciò che – oltre ad un’esigenza volta a consentire al giudice una piena cognizione dell’oggetto e del contenuto dei motivi di censura – si pone anche un onere di sintesi a carico del difensore, il quale è tenuto ad una selezione dei fatti da riportare in un’«esposizione sommaria» secondo la loro strumentalità rispetto alle critiche agitate in sede di ricorso. Come già anticipato, è inutile aspirare al superfluo, essendo dannoso sia per il giudice (il quale può rimanere disorientato da un copia incolla di passaggi di atti e documenti, che potrebbero impedire di cogliere il fulcro del problema sollevato), sia per la parte (la quale si vede respinto il ricorso in rito).

illustrare la ricostruzione del fatto storico e lo svolgimento della vicenda processuale nei punti essenziali.

Alla luce delle diverse soluzioni offerte della Corte, si deve concludere che il requisito dell’autosufficienza – pur essendo un valido requisito posto dal sistema processuale alla luce delle funzioni e dei valori ad esso sottesi – deve essere proporzionato (a seconda dei singoli casi concreti e cioè a seconda dei diversi tipi di ricorso presentati) secondo un criterio di raggiungimento dello scopo. Tuttavia, non si tratta di individuare una “sanatoria”, quanto piuttosto di una valutazione caso per caso della sussistenza del requisito di autosufficienza, dovendosi considerare l’idoneità di ciascun ricorso ad agevolare la comprensione della causa al giudice di Cassazione secondo modalità redazionali sintetiche, ma esaustive (cioè recanti tutti i riferimenti agli atti e documenti richiamati nei motivi e tutti i fatti pertinenti alle critiche oggetto dell’impugnativa). E del resto, la necessità di una selezione da parte del cassazionista dei fatti, degli atti e dei documenti rilevanti deriva già dal requisito di specificità del motivo, dovendosi valorizzare sotto il profilo dell’ammissibilità non già la concinnitas, quanto piuttosto la chiarezza, la completezza e la riferibilità alla sentenza impugnata.

4. Le ripercussioni della sentenza Succi sulle declinazioni dell’autosufficienza nel processo tributario. – Orbene, tenuto conto del pronunciamento della Corte EDU, si possono trarre alcune considerazioni circa gli oneri di integrale trascrizione richiesti nel processo tributario dalle sentenze sopra rammentate (29).

Al riguardo, occorre muovere dalla premessa secondo cui si deve distinguere “ciò che manca o non funziona” (i.e. il vizio) da ciò che costituisce

(29) Sulle peculiarità del principio di autosufficienza sui ricorsi avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie, v. F. Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2020, 262-263; F. PisTolesi, Il processo tributario, Torino, 2021, 272; C. glendi, At ille murem peperit (nuovamente a proposito di un altro «non grande arresto» delle Sezioni Unite), in Dir e Prat. Trib.. 2015, 4, 10471 ss.; s. dalla BonTà, Principio di autosufficienza nel ricorso per cassazione in materia tributaria, in ult. op. cit.; e.M. ruFFini, Il giudizio di cassazione nel processo tributario, in ult. op. cit.; a. russo, Cenni sul principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, in Boll. Trib., 2019, 86, 5, 333-335. Sul giudizio di cassazione nel processo tributario, v. amplius P. russo, Il ricorso per cassazione ed il giudizio di rinvio, in Manuale di diritto processuale. Il processo tributario, Milano, 2013, 316-322; a. MarCheselli, Contenzioso tributario, Ipsoa, 2021, 911; g. Tinelli, Diritto processuale tributario, Milano, 2021, 325-340; F. PisTolesi, Il ricorso per cassazione, in Giur. Sistematica di dir. trib., diretta da F. Tesauro, Torino, 1998, 767 ss.; M. MiCCinesi, Commento agli artt. 62 e 63 del D.L.vo n. 546/1992, in Il nuovo processo tributario. Commentario, T. Baglione - s. MenChini - M. MiCCinesi, Milano, 2004, 718 ss.

“l’oggetto difettoso”. Va da sé che il primo elemento debba essere adeguatamente inserito nel ricorso, costituendone il nucleo della doglianza.

Allo stesso modo, l’argomentazione su cui poggia la denuncia del vizio (il motivo) deve essere tenuta separata “dall’oggetto che non funziona”. Tale elemento invece, in astratto, dovrebbe essere solo identificato. La questione si complica nella pratica, perché talvolta la dimostrazione del vizio emerge per confronto con l’oggetto viziato (ad esempio, a rigore, affermare che manca l’esame di un fatto, implica verificare gli enunciati che segnalano i fatti valutati).

Da questo punto di vista, il giudice investito del ricorso per cassazione in materia tributaria non può discostarsi da quanto emerge dalla sentenza Succi (giusta la rilevanza dell’art. 6 della Convenzione in relazione all’art. 117 Cost.) e dal Protocollo, tenuto conto dell’autorevolezza dei soggetti (i.e. Corte Suprema di Cassazione e C.N.F.) che hanno concepito tale atto proprio per risolvere il nodo dell’autosufficienza, analogamente a quanto avviene nell’esperienza giuridica francese per i contrat de procédure (30).

E difatti, alla luce di tali due elementi, si può ritenere in generale che la trascrizione non debba essere “integrale”, ma (tutt’al più) dev’essere parziale e cioè limitata ai soli punti rilevanti e strumentali allo “specifico” motivo con onere di localizzazione.

Non si deve dimenticare, infatti, che, nei giudizi di cassazione in materia tributaria, i fascicoli di parte – essendo acquisiti al fascicolo d’ufficio – devono essere trasmessi ex ufficio alla cancelleria della Corte di cassazione dalla segreteria della Commissione davanti alla quale è sufficiente che sia presentata l’istanza di trasmissione del fascicolo ex art. 369, ult. co., c.p.c., senza che sia obbligatoria la produzione degli atti e documenti dei pregressi giudizi di merito (31). Sicché, la circostanza che si riporti solo il punto essenziale (con indicazione della pagina, dell’atto o del documento e del momento in cui essi sono stati depositati) dovrebbe essere del tutto idonea ai fini dell’autosufficienza, in quanto il fascicolo d’ufficio (e, quindi, anche i fascicoli di parte) sono nella disponibilità del giudice (32).

(30) Su tale qualificazione del Protocollo, v. r. suCCio, Il principio di autosufficienza dei motivi di ricorso alla Suprema Corte: alcune considerazioni, in ult. p. cit., 81, cui si rinvia anche per i riferimenti bibliografici ivi riportati nella nota 47, per ciò che concerne gli studi di diritto processuale comparato aventi ad oggetto i c.d. “accordi processuali”. (31) V. Cass. SS.UU. n. 22726/2011; Cass. n. 23575/2015. (32) Al riguardo, si segnala che, secondo il Protocollo del 17 dicembre 2015 (p. 6),

Tuttavia, da un lato non è garantito che il fascicolo d’ufficio sia disponibile ai giudici e, anche per ragioni pratiche (33), la Corte ha stabilito che il ricorrente debba mettere il giudice nella condizione di verificare la fondatezza del ricorso senza accedere al fascicolo, con la conseguenza che l’autosufficienza si traduce nel problema di stabilire cosa debba essere direttamente riversato nel ricorso (elementi essenziali in senso stretto) e cosa debba risultare dagli allegati prodotti nel c.d. fascicolo di cortesia (elementi di riscontro). In sostanza, a tutt’oggi, il ricorrente propone un ricorso con l’illustrazione dei dati

il principio di autosufficienza è rispettato («anche per i ricorsi di competenza della Sezione Tributaria»), allorquando (in specie e fra l’altro) «siano allegati (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all’allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio) ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., gli atti, i documenti, il contratto o l’accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso». La dottrina ha criticato questa scelta con riferimento anche al processo tributario (in relazione al quale – come detto – il contribuente è esonerato dal deposito del fascicolo di parte), in quanto essa non è ritenuta comprensibile in un’ottica di semplificazione (cfr. R. suCCio, Il principio di autosufficienza dei motivi di ricorso alla Suprema Corte: alcune considerazioni, in ult. p. cit., 83-84). Tuttavia, si deve ritenere che tale punto del Protocollo non sia stato fatto oggetto di adeguata ponderazione alla luce delle specificità del processo tributario e alle SS.UU. n. 22726/2011. Ciò lo si comprende dalla circostanza che, a p. 6 del Protocollo, si enucleano tutti i connotati dell’autosufficienza (e cioè n. 1 specificità; nn. 2 e 3 gli oneri di localizzazione interna ed esterna; n. 4 allegazione degli atti e documenti richiamati in apposito fascicoletto), ma tale ultimo punto ha ragion d’essere in relazione al processo civile e non già in relazione al processo tributario. Sicché, l’incipit (secondo cui gli elementi che connotano l’autosufficienza si estendono “anche” ai ricorsi della Sezione Tributaria) dev’essere riferito solo ai primi tre punti del Protocollo. E del resto, l’atto di soft law (qual è il Protocollo) deve essere letto coerentemente con le caratteristiche proprie del processo tributario (secondo la ricognizione già compiuta dalle Sezioni Unite nel 2011) in ordine al contenuto del fascicolo d’ufficio. Ciò non toglie che il ricorrente avverso le sentenze delle Commissioni tributarie possa depositare un fascicolo c.d. “di cortesia”, ma esso rimane ovviamente tale, non potendo strutturalmente sussistere alcun onere in tal senso alla luce della disciplina di cui all’art. 25, co. 2 del d.lgs. n. 546/1992, là dove si sancisce l’indisponibilità dei fascicoli delle parti (siccome acquisiti al fascicolo d’ufficio) fino al termine del processo. (33) Cfr. r. suCCio, Il principio di autosufficienza dei motivi di ricorso alla Suprema Corte: alcune considerazioni, in ult. op. cit., 84, il quale osserva che l’allegazione degli atti e dei documenti richiamati nel ricorso potrebbe rispondere all’esigenza pratica dei Consiglieri di Cassazione, atteso che molti di loro non vive a Roma e i fascicoli d’ufficio sono consultabili solo in Cancelleria. Sicché, l’allegazione con apposito fascicoletto (ripetesi, “di cortesia” nel processo tributario) potrebbe assicurare una riduzione dei tempi di studio della vicenda giudiziaria e del lavoro della Cancelleria della Suprema Corte. Probabilmente, tali problemi “logistici” troveranno verosimilmente una soluzione con l’attivazione del processo civile telematico anche in Cassazione, consentendo ai Consiglieri una consultazione anche da remoto dei fascicoli d’ufficio trasmessi dalle Commissioni Tributarie (analogamente a quanto avviene nel PTT).

essenziali nel ricorso e con riscontro degli stessi in un eventuale fascicoletto (a rigore non previsto dalla legge) (34).

Ciò posto, si ritiene di dover compiere alcuni importanti distinguo a seconda dei vari “oggetti difettosi”. 4.1. Sulla trascrizione integrale della motivazione dell’atto impositivo. – Un primo impatto del pronunciamento della Corte EDU può investire l’orientamento alla cui stregua si esige che il ricorso «riporti testualmente» i passi della motivazione degli atti impositivi che si assumono «erroneamente interpretati o pretermessi». Tale approdo ermeneutico pone alcuni dubbi di conformità all’art. 6 della CEDU. E difatti, anche successivamente al pronunciamento della Corte EDU e al Protocollo, si insiste nel confermare tale onere a carico del ricorrente (35).

V’è da rimarcare, anzitutto, che la violazione delle norme sulla motivazione degli atti impositivi – pur essendo censurabile in sede di legittimità – non può certo significare una riedizione del giudizio di merito in punto di congruità, potendo solo contestarsi (alla luce dei fatti pacifici tra le parti e/o accertati dal giudice di merito) l’erronea interpretazione o la falsa applicazione delle norme a fronte dell’omessa esplicitazione negli atti dell’Amministrazione finanziaria delle ragioni giuridico-fattuali indefettibili per legge.

Ciò posto, ai fini dell’autosufficienza del motivo, si tratta di comprendere quale sia il vizio contestato onde verificare l’idoneità del motivo di ricorso allo scopo perseguito.

(34) Sul punto, v. Cass. n. 5423/2022 (Presidente e relatore – Frasca), là dove si valorizza il ruolo del “fascicoletto di cortesia”. E difatti, in quel caso, il motivo di ricorso – pur avendo riportando il contenuto della motivazione della sentenza ivi impugnata, nella parte in cui i giudici di seconde cure facevano riferimento ad alcune clausole di un contratto – non recava la diretta riproduzione del testo del predetto documento. Nondimeno, tenuto conto della circostanza che tale contratto era stato depositato nel “fascicoletto per la Corte di Cassazione (documenti e atti)” con indicazione nel ricorso del relativo progressivo numerico, i Supremi Giudici hanno ritenuto di poter procedere all’esame del documento contenuto in tale fascicolo e, quindi, di prendere diretta visione delle clausole contrattuali ivi rilevanti. (35) V. Cass. ord. resa il 16 novembre 2021 e depositata il 4 gennaio 2022, n. 29, là dove si ribadisce che «in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione in relazione alla motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass., n. 22119 del 2021, in motivazione; 28 giugno 2017, n. 16147)».

In sede di legittimità, la censura può investire la violazione dell’art. 7 dello Stat. contr. e/o dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973 ecc. (in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.), ove il giudice di merito abbia dato luogo ad erronea ricognizione della fattispecie astratta in punto di individuazione dei presupposti giuridico-fattuali da riversare nell’atto impositivo (si pensi al caso in cui la Commissione abbia ritenuto che l’indicazione dell’aliquota applicata non debba essere riportata nel contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento).

Allo stesso modo, il ricorrente potrebbe far valere una falsa applicazione delle norme ridette per un errore di sussunzione, allorquando la Commissione tributaria – pur ricostruendo correttamente il precetto dell’art. 7 cit. e/o dell’art. 42 cit. ecc. – abbia ritratto dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta (ad es. una motivazione dell’avviso illogica), conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione (36).

In entrambi i casi, si deve ritenere che la censura investa (indirettamente) un profilo contenutistico della motivazione dell’atto impositivo.

Sicché, può avere senso riportare il punto dell’atto in cui (ad esempio) si evidenzia un contrasto irriducibile fra parti della medesima motivazione dell’atto (sussistendo una motivazione illogica), purché la trascrizione sia limitata al contenuto essenziale ai fini dello specifico motivo (con indicazione delle pagine dell’atto e del momento del suo deposito in Commissione).

A diverse conclusioni si deve giungere, però, là dove il vizio denunciato si appunti sulla mancata allegazione di un atto richiamato per relationem (né conosciuto, né conoscibile da parte del contribuente e di cui l’ente impositore non abbia riprodotto il contenuto essenziale nell’atto impugnato). Si pensi al caso trattato dalla citata Cass. n. 29/2022, là dove l’Ufficio non aveva allegato gli atti di compravendita assunti in comparazione.

In casi del genere, “ciò che manca o non funziona” (il vizio) si colloca giustappunto al di fuori dall’ “oggetto che non funziona” (la motivazione dell’atto impositivo). Sicché, si deve ritenere del tutto sproporzionato l’onere di trascrizione dell’intero atto impositivo (che potrebbe constare anche di numerose pagine) per far vedere al giudice di cassazione “ciò che non c’è”, così come appare manifestamente illogico l’onere di riportare testualmente i passi

(36) V. ad es. Cass. ord. n. 18767/2020, là dove ha riconosciuto l’illogicità della motivazione dell’avviso di accertamento (con conseguente violazione o falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973), quando l’Ufficio espliciti di individuare il fondamento delle pretese con richiamo, da un lato, al principio dell’abuso del diritto e, dall’altro, all’istituto dell’interposizione fittizia di persona.

della motivazione dell’avviso che si assumono erroneamente “pretermessi” (come riportato nella sentenza in discorso). Se sono tali (cioè omessi da parte dell’ente impositore), essi semplicemente non sono presenti nell’atto e, quindi, trascrivere integralmente l’atto diviene un onere del tutto sproporzionato, rivelandosi meramente defatigante per il ricorrente e, quindi, contrario alle indicazioni della Corte EDU e del Protocollo.

È da ritenere, quindi, che, in tali casi, sia del tutto bastevole ai fini dell’autosufficienza l’assolvimento di localizzazione dell’atto impositivo (con indicazione del momento del deposito nei gradi di merito), ove il cassazionista censuri l’erronea ricognizione della fattispecie astratta (ad es. violazione dell’art. 7 dello Statuto, se il giudice di merito ha negato che tale norma richieda l’allegazione dell’atto richiamato) oppure la sua falsa applicazione (là dove la Commissione – pur ricostruendo correttamente il contenuto precettivo della norma sui requisiti degli atti impositivi – lo applica ad una fattispecie concreta diversa, perché risulta pacifico in causa che l’atto richiamato non sia stato allegato all’avviso di accertamento, né si sia avuta la riproduzione del suo contenuto essenziale).

La sentenza esaminata (Cass. n. 29/2022) – dichiarando l’inammissibilità del motivo per non aver riportato testualmente i passi “pretermessi” – ripropone un formalismo financo illogico in relazione ai vizi concernenti “ciò che manca” nella motivazione, sacrificando per un aspetto meramente tecnicoredazionale un rimedio avverso l’ingiustizia sostanziale derivante dalla sentenza di merito (ossia la menomazione del diritto di difesa del contribuente, il quale non ha potuto avere contezza dei comparables richiamati nell’atto impositivo) (37). 4.2. Sulla trascrizione della relata in caso di vizi di notifica. – Con riferimento all’onere di trascrizione integrale della relata di notifica, si ripresentano i medesimi dubbi già sollevati nel precedente paragrafo.

È certamente nella relata che, in caso di mancata consegna al destinatario, devono essere indicati la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità (i.e. familiare, addetto alla casa o all’ufficio, oppure portiere o vicino), nonché il luogo della consegna, oppure le ricerche eseguite dal messo notifi-

(37) Per completezza si deve rammentare, però, che il ricorso del contribuente è stato accolto per un diverso motivo proposto in base all’art. 360, n. 4 c.p.c. (motivazione apparente della sentenza della Commissione).

catore, i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario (art. 148 c.p.c.).

Detto in altri termini, la relata (certificando l’attività del messo notificatore) può essere “l’oggetto che esplicita ciò che non funziona”. In tal caso, si può ritenere rispettoso del requisito dell’autosufficienza il motivo che riporti il punto della relata dove emerge il vizio (ad es. il punto dove emerge che il tentativo di ricerca del contribuente è stato esperito presso un indirizzo a lui non riferibile) e con onere di localizzazione nel fascicolo di merito, ma senza integrale trascrizione.

Riportare le parti dell’atto richiamato – come già detto – deve rivelarsi funzionale alle ragioni di doglianza fatte valere in sede di legittimità.

Diverso è invece il caso in cui il vizio di notifica non si ritrae dalla relata, in quanto “ciò che non funziona” si pone al di fuori dell’oggetto che può evidenziarlo. Si pensi al caso in cui il messo notificatore non abbia eseguito le dovute ricerche (e, quindi, si sia verificata una “compiuta giacenza”, ancorché il contribuente fosse reperibile) senza nulla indicare nella relata.

Anche qui il vizio non emerge dalla relata (oggetto). Se il giudice di merito – pur essendo pacifico in causa che l’attività del notificatore non sia stata posta in essere – ha confermato la validità della notifica, non è dato comprende quale sia la necessità di una trascrizione integrale o con una copia per immagine della relata in un caso del genere, ove il ricorrente illustri il problema (l’omessa attività di ricerca e la sentenza che ha avallato la correttezza di tale modalità di notifica) con specifica indicazione dell’atto e del momento del suo deposito in sede di merito.

Esigere un onere di trascrizione di tutta la relata solo per far vedere ciò che non c’è appare eccessivo e superfluo in tali casi. 4.3. Sulla trascrizione della CTU. – Quanto poi all’onere di trascrizione integrale della CTU, tale orientamento dovrebbe essere oggetto di revisione, in quanto una “selezione” dei punti salienti della consulenza e delle critiche rivolte ai vari profili considerati dall’elaborato peritale può essere ritenuta del tutto sufficiente (o meglio “autosufficiente”), purché vi sia il riferimento alle pagine della consulenza (oggetto di critica) e la “localizzazione” delle critiche opposte, con indicazione dell’atto in cui sono state riversate e della fase in cui tale atto è stato depositato.

Con queste accortezze redazionali, non pare possibile che la disamina dell’elaborato peritale (nei punti specificamente individuati nel motivo, oggetto di sintesi e di critica, con tutti i relativi riferimenti) possa tradursi in una surrettizia richiesta di rinnovazione del sindacato di merito. E difatti, nel caso

in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate (sia dai consulenti di parte che dai difensori), il giudice del merito è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione, tenuto conto del contraddittorio tecnico formatosi sulle emergenze peritali. In mancanza di tale presa di posizione (con motivazione rafforzata), la sentenza può essere oggetto di censura per omesso esame del fatto (ossia della circostanza contestata dal consulente di parte o dal difensore) decisivo e controverso oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c. oppure per motivazione apparente ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., là dove difetti alcuna giustificazione argomentativa dell’adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, peraltro senza alcuna risposta ai puntuali rilievi mossi alla consulenza tecnica d’ufficio dai consulenti di parte (38).

Detto in altri termini, il ricorrente deve solo specificare “quali” siano i profili della CTU decisivi e le puntuali obiezioni tecniche, nonché “dove” esse sono state sollevate nel giudizio di merito (con tutti i relativi riferimenti al fascicolo).

Ad ogni modo, finché non si avrà un overruling sul punto (memore del Protocollo e della sentenza Succi), si consiglia di dar luogo alla trascrizione della motivazione dell’atto impositivo, della relata di notifica e delle parti della CTU, onde evitare di incorrere in spiacevoli declaratorie di inammissibilità.

5. I dubbi circa gli altri orientamenti discordanti in punto di specificità dei motivi (di cui non è stata investita la Corte EDU). – Con la relazione del 30 novembre 2021, n. 116, l’Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione si è occupato del tema dell’autosufficienza alla luce della sentenza della Corte EDU, approfondendo le eventuali ripercussioni di tale pronunciamento in relazione a due questioni che non sono state oggetto di disamina in sede europea: i) l’ipotesi di mancata o erronea indicazione delle norme di diritto su cui il motivo si fonda (39); ii) quella relativa alla proposizione di

(38) Cfr. Cass. n. 36324/2021. (39) A questo riguardo, si rammenta che, secondo Cass. n. 29999/2020, ove si denunci il vizio di violazione di legge (risolvendosi nella deduzione di un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge), l’onere di specificità dei motivi impone al ricorrente di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con la decisione impugnata (v. anche Cass. n. 4905/2020; Cass. n. 13066/2007).

motivi che cumulano molteplici profili di doglianza (cd. motivi misti), oppure ove il motivo non sia specificamente ricondotto ad una delle diverse ipotesi tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., oppure esso sia riferito ad ipotesi tra loro logicamente incompatibili (40). Anche rispetto a tali profili, l’Ufficio ritiene che nella giurisprudenza di legittimità emergano alcune disomogeneità con riguardo all’applicazione del cd. principio di specificità dei motivi, richiedendo una maggiore riflessione alla luce dell’art. 6 della Convenzione e dei criteri della proporzionalità e della prevedibilità.

A questo riguardo, il percorso tracciato dalla Corte EDU pone la necessità di una valutazione in concreto, dovendosi accertare caso per caso (recte: ricorso per ricorso) se sia rispettato (o meno) il requisito della specificità.

E difatti, se lo scopo è quello di consentire al giudice di avere piena cognizione della controversia e dell’oggetto della censura (essendo inammissibile qualsiasi surrettizio tentativo di ottenere una revisione dell’accertamento fattuale), si deve escludere qualsiasi uso di forme sacramentali del ricorso. Sicché, dovrebbe essere sufficiente che dall’insieme degli argomenti addotti dal ricorrente si possano individuare le ragioni giuridiche della doglianza e le relative norme di riferimento, purché sia dato comprendere a quale numero dei motivi ammessi in sede di legittimità faccia riferimento la censura (ad es. n. 3 dell’art. 360, ove si contesti un error in iudicando, oppure al n. 4 dell’art. 360, ove si censuri un error in procedendo). E del resto, l’onere della specificità – come già chiarito dalla giurisprudenza – non pone un requisito di assoluta precisione sotto il profilo formale della norma di riferimento (con esatta indicazione degli articoli o dei testi normativi di riferimento e del numero dell’art. 360, co. 1 c.p.c. cui si ritenga di ascrivere il vizio). Sulla base di una valutazione sostanziale e non meramente formale, il motivo di ricorso deve essere formulato tramite una chiara esposizione delle ragioni di doglianza e, come tale, risulta idoneo alla comprensione del vizio di legittimità che il ricorrente ha inteso denunciare in relazione ad una delle cinque tassative ipotesi previste dall’art. 360 citato (41).

(40) Si pensi ad un motivo in cui si censura una violazione di norme di diritto in base all’art. 360, n. 3 c.p.c. (che presuppone un accertamento degli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma) e dell’omesso esame del fatto secondo l’art. 360, n. 5 c.p.c. (con il quale si aspira a rimettere in discussione quegli stessi elementi di fatto). In tal senso, v. Cass. n. 80/2022; Cass. n. 32952/2019; Cass. n. 24901/2019; Cass. n. 26874/2018). (41) Cfr. Cass. SS.UU. n. 17931/2013, là dove si è chiarito che, ove il ricorrente denunci

Per converso, nel caso di motivi “misti”, “sovrapposti” o addirittura “incompatibili”, il requisito della specificità deve essere ritenuto idoneo al conseguimento del fine cui è orientato, in quanto il ricorso per cassazione è un’impugnazione a critica vincolata e, come tale, richiede al ricorrente di identificare la censura secondo i casi ammessi dall’art. 360 c.p.c., il compito del giudice essendo quello di interpretare la legge e non il ricorso. E difatti, per le sopra rammentate ragioni di interesse generale, non pare possibile pretendere un’attività “suppletoria” da parte della Suprema Corte in caso di mancato assolvimento dell’onere posto a carico del ricorrente, atteso che la soluzione di un “difetto tecnico” del ricorso da parte del giudice di legittimità si porrebbe in aperta violazione dei principi costituzionali di terzietà del giudice, del contraddittorio e del giusto processo (art. 111 Cost.). Tuttavia, non si deve nemmeno dimenticare che, nel caso in cui il motivo – pur essendo concepito formalmente in modo unitario – sia articolato su diversi profili di doglianza, occorre verificare se la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le ragioni ivi prospettate come riconducibili alle diverse ipotesi ammesse, permettendone al giudice un esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi e singolarmente numerati. Detto in altri termini, la prospettazione di un “motivo plurimo” non è inammissibile in sé, a condizione che sia comunque possibile scindere agevolmente le questioni ivi sollevate come rispondenti ai motivi censurabili ex art. 360 c.p.c. (42). Ove invece tale operazione non sia possibile, allora l’unitarietà del motivo su questioni non facilmente distinguibili ne giustifica l’inammissibilità per inidoneità del mezzo allo scopo.

il vizio di omessa pronuncia in ordine ad una delle domande o delle eccezioni formulate, non è necessario che si faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purché il motivo faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione. Per converso, il motivo è inidoneo a tal fine (e, quindi, è suscettibile di una declaratoria di inammissibilità) nel caso in cui, in relazione a tale tipo di doglianza, il ricorrente si limiti a censurare che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge. (42) Cfr. Cass. SS.UU. n. 9100/2015. In quella sede, il ricorrente aveva proposto il ricorso con un unico motivo nel quale si prospettavano tre profili di doglianza facilmente distinguibili al suo interno e segnatamente: a) violazione di norme di diritto sostanziale; b) vizi di motivazione della sentenza ivi impugnata; c) violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia. In questo caso, secondo i giudici di legittimità, il motivo – pur essendo formalmente unico – rendeva chiaramente percepibili le censure sviluppate, tant’è vero che il controricorrente aveva articolato le proprie difese nel controricorso secondo una speculare tripartizione con riguardo a ciascuna doglianza.

6. Brevi riflessioni sulle prime considerazioni della Corte di Cassazione in relazione alla sentenza Succi: l’onere del ricorrente di fronte al giudice del “fatto processuale”. – Sebbene la Corte EDU abbia tracciato un chiaro percorso metodologico al fine di comprendere quando il requisito dell’autosufficienza si traduce in un eccesso formalistico contrario all’art. 6 della Convenzione, la Corte di Cassazione ha recentemente confermato l’onere di trascrizione dei documenti richiamati in sede di ricorso (43).

Al riguardo, si giustifica tale conclusione sull’assunto che l’autosufficienza è «requisito formale» che deve essere considerato «ex art. 111 Cost., “aperto” e svincolato da ogni considerazione discrezionale da parte della giudice di legittimità», richiamando sul punto due sentenze anteriori alla sentenza Succi, le quali avevano ribadito la necessità di trascrizione degli atti e dei documenti richiamati nel ricorso (44).

Ciò posto, si ritiene comunque di dar luogo ad un “confronto” con i contenuti delineati dalla Corte EDU, rimarcando l’importanza del requisito dell’autosufficienza quale regola per l’accesso alla Corte di legittimità nel sistema italiano.

(43) Cfr. Cass. n. 7186/2022. Più nel dettaglio, nel caso sottoposto al vaglio dei Supremi Giudici, i ricorrenti (censurando la violazione delle norme sulle notifiche di atti processuali per mancata trasmissione di raccomandata informativa) non avevano né trascritto i brevi passaggi pertinenti del documento originale richiamato, né lo avevano “localizzato” tra i documenti depositati con il ricorso. Inoltre, neppure la sentenza impugnata consentiva di comprendere dove il documento fosse collocato, in quanto essa faceva riferimento alla regolarità della notifica dell’atto di citazione (là dove erano acclusi gli avvisi di ricevimento), senza alcuna menzione dell’iter del procedimento notificatorio intrapreso dall’attore. (44) Cfr. Cass. SS.UU. n. 34469/2019; Cass. SS.UU. n. 7701/2016. A ben vedere, tali sentenze non si riferiscono espressamente all’autosufficienza come requisito “aperto e svincolato da discrezionalità”, affermando però che sia necessaria la riproduzione degli atti e documenti richiamati ovvero, laddove riprodotti, si debbano fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione come pervenuta presso la Corte di Cassazione, con l’ulteriore precisazione dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità. La mancanza anche di una sola di tali indicazioni renderebbe il ricorso inammissibile. Detto in altri termini, tali sentenze sono espressione di un “iper formalismo”, in quanto si chiede un triplice onere: 1) quello di “trascrizione”, 2) quello di “localizzazione” dell’atto e del documento in sede di merito, nonché 3) di “localizzazione” nel fascicolo depositato nel giudizio di cassazione. I tre elementi formali non sono ritenuti alternativi ed escludenti, ma – secondo tale impostazione – dovrebbero essere presenti (cumulativamente) nel motivo di ricorso ai fini dell’ammissibilità.

Sotto tale profilo, si rammenta la circostanza che i giudici europei – pur confermando la legittimità di requisiti di accesso più rigorosi dinnanzi alle giurisdizioni superiori rispetto ai limiti previsti per l’appello – abbiano “messo in guardia” da «un’applicazione intrisa di eccessivi, quanto esasperati, formalismi».

Tuttavia, si valorizza l’autosufficienza come garanzia di «un uso appropriato e più efficiente delle risorse disponibili», tenuto conto che, nell’ordinamento italiano, «in teoria, l’accesso al giudice di legittimità è sì libero e privo di filtri sostanziali collegati al merito delle questioni, ma per converso tale libertà è in grado di generare un forte e insormontabile arretrato, come avviene in tutta evidenza e in maniera progressiva nell’ordinamento italiano da numerosi anni».

Orbene, non si può fare a meno di rilevare come l’apprezzabile tentativo di dialogo fra Corti instaurato dalla recente ordinanza finisca, a ben vedere e in ultima analisi, per tradursi in un monologo, risolvendosi in un iter argomentativo non pienamente coerente rispetto alle premesse prospettate dai giudici europei.

Ma procediamo con ordine.

Il riferimento al carattere “aperto e svincolato da considerazioni discrezionali del giudice” desta alcune perplessità. A prescindere dalla contorsione fra i termini impiegati in tale locuzione, il carattere “aperto” potrebbe essere riferito alla vaghezza del concetto di “specificità” (ex art. 366 c.p.c.). Il problema interpretativo posto dalla norma richiede di comprendere “come” si debba considerare “specifico” il motivo, ma ciò si riferisce (come direbbe Muratori) ad un “difetto intrinseco” della legge correlato all’incertezza dei termini impiegati dalla disposizione.

L’enunciato deontico (secondo cui “il motivo deve essere specifico”) è certamente open textured in termini di “vaghezza estensionale”, proprio perché vi è incertezza circa gli attributi (specificità) che l’oggetto (il motivo) deve palesare per poter appartenere alla “classe” rilevante (ossia il novero dei motivi che possono essere esaminati dal giudice di legittimità).

Il senso del predicato (intensione) e il riferimento (estensione) sono in un rapporto inversamente proporzionale, in quanto, se il senso è meno preciso, il riferimento è più ampio e viceversa (45). A fronte della “genericità” del con-

(45) Su tali concetti, v. r. guasTini, La sintassi del diritto, Torino, 2014, pp. 376-377 e 390-391.

cetto di “specificità” si deve individuare quale sia il senso per comprenderne il riferimento (il motivo ammissibile).

Da questo punto di vista, parrebbe che i Supremi Giudici abbiano trascurato il fondamentale procedimento metodologico segnato dai giudici europei nella declinazione del “senso” del predicato. La specificità deve essere ritratta dall’idoneità del mezzo (motivo di ricorso) rispetto al fine (cognizione, in via semplificata, dell’oggetto della causa e delle censure sollevate). In questo “senso”, la pretesa di una modalità redazionale basata sull’onere di trascrizione fine a sé stesso (varcando il limite segnato dal principio di proporzionalità) è frutto di una premessa contraria al contenuto essenziale del diritto di accesso ad un tribunale e, come tale, risulta non conforme all’art. 6 CEDU.

Detto in altri termini, con la sentenza Succi, i giudici europei hanno individuato i parametri per ridurre l’estensione del concetto di specificità (sotto il profilo redazionale del ricorso) e tale metodo risiede in un apprezzamento della proporzionalità del requisito processuale. Quando il giudice richiede un’attività formale che travalica tale “limite alla limitazione” (pretendendo anche la trascrizione, laddove non ve ne sarebbe bisogno), si ricade in un’interpretazione oltremodo rigida del requisito ex art. 366 c.p.c. con violazione dell’art. 6 della Convenzione.

Ciò posto, l’ordinanza in commento ha ben presente la circostanza che il risultato dell’interpretazione dell’art. 366 c.p.c. non deve tradursi in un “eccesso formalistico”, ma rimane del tutto negletto lo standard fissato dai giudici europei, insistendo nella richiesta di riproduzione del documento (ivi evocando a suffragio di tale approdo una giurisprudenza troppo rigorosa ed anteriore alle indicazioni della Corte EDU).

Sfugge, dipoi, il riferimento al carattere “svincolato da considerazioni discrezionali” del requisito. Il vaglio preventivo del giudice di legittimità si deve basare certamente sull’applicazione della norma (come meglio precisata dai giudici europei nel “senso” e con riduzione del “riferimento”). In quella sede, il giudice valuta, secondo il suo “prudente apprezzamento”, le risultanze del ricorso e, quindi, la sua idoneità in concreto a consentire la cognizione dell’oggetto della causa e delle censure. È vincolato dalla norma (da intendere secondo proporzionalità), ma ovviamente “valuta” in concreto il ricorso nel prisma del requisito di accesso. Il riferimento alla discrezionalità, quindi, o è ultroneo, oppure è erroneo, nel caso in cui l’intento fosse invece quello di escludere che l’individuazione della regola possa essere rimessa a considerazioni meramente arbitrarie.

Questo dubbio si ricollega alla rilevanza attribuita dall’ordinanza al “forte e insormontabile arretrato”. Qui, l’iter argomentativo deraglia su considerazioni concernenti dati empirici di carattere extragiuridico e, come tali, irrilevanti ai fini dell’individuazione del senso e del riferimento.

Non si può fare a meno di rammentare che la Corte EDU – pur essendo stata resa edotta dell’attuale arretrato pendente in sede di legittimità (46) – abbia svalutato tale profilo, per ciò che, «anche se il carico di lavoro della Corte di cassazione come descritto dal governo è suscettibile di causare difficoltà nel funzionamento ordinario del trattamento dei ricorsi, resta il fatto che le limitazioni all’accesso alle corti di cassazione non devono essere interpretate in modo troppo formale per limitare il diritto di accesso a un tribunale in modo tale o in misura tale da incidere sulla sostanza stessa di tale diritto» (47). E il “troppo formale” – come più volte rimarcato – deve essere misurato secondo proporzionalità onde pervenire ad un punto di mediazione fra l’interesse del ricorrente a ricevere tutela e l’interesse generale alla certezza del diritto (quale garantito in sede nomofilattica tramite un’attività semplificata del giudice di legittimità).

Se è vera la proposizione secondo cui la giustizia “dirige e agguaglia le utilità” (48), si deve avere riguardo alle “utilità di sistema” (ossia quelle già considerate in astratto dalla norma processuale nel senso testé rammentato) e non già alle “utilità della contingenza” (come l’arretrato giudiziario), perché ciò sarebbe irrazionale. Val quanto dire che, se i ricorsi sono tanti e i giudici sono pochi, il problema riguarda lo Stato (cui spetta l’assegnazione di adeguate risorse per offrire i servizi correlati all’amministrazione della giustizia), ma le carenze strutturali – come osservato dai giudici europei – non possono certo ricadere sul ricorrente mediante l’edificazione di barriere all’entrata incerte e riconducibili al “troppo formale”.

Ferme le perplessità sulle considerazioni svolte in generale nell’ordinanza, si deve comunque ritenere che la declaratoria di inammissibilità nel caso deciso dalla Corte di Cassazione sia corretta non già per la mancata trascrizione del documento richiamato, quanto piuttosto per altre ragioni collegate al requisito di specificità.

(46) Cfr. par. 67 della sentenza Succi. (47) Cfr. par. 81 della sentenza Succi. (48) Cfr. g.B. viCo, Dell’unico principio e fine del diritto universale, in id., Opere giuridiche, (a cura di P. CrisToFolini), Firenze, 1974, p. 56.

E difatti, in quella sede, il ricorrente denunciava un error in procedendo in relazione all’(asserita) irregolarità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado (citazione) per mancato recapito del piego per temporanea assenza del destinatario, per rifiuto delle persone abilitate alla ricezione, ovvero per difetto, inidoneità o assenza delle persone ex artt. 7 e 8 l. n. 890/1982, con un (presunto) vizio in punto di perfezionamento.

Tuttavia, la Corte di Appello aveva accertato la presenza degli avvisi di ricevimento (quali depositati unitamente alla citazione dall’attore), confermando la regolarità del procedimento notificatorio.

Orbene, come è ben noto, in relazione agli errores in procedendo censurati in sede di legittimità, la Corte di cassazione è anche giudice del “fatto processuale”, dovendo compiere un esame diretto degli atti richiamati alla luce dell’estensione del potere cognitivo del giudice anche ai profili di fatto.

Da questo punto di vista, l’onere di trascrizione (concernente l’atto del procedimento notificatorio) appare troppo formale, ove il ricorrente abbia indicato il luogo e il tempo in cui è stato depositato l’atto o il documento. Quindi, nel caso in cui l’onere di localizzazione non sia stato assolto e tale dato non sia ritraibile nemmeno dalla sentenza impugnata, allora ciò rende maggiormente difficoltosa la ricerca del documento al giudice di legittimità, ancorché questi possa/debba accertare il fatto processuale censurato.

Se ciò è vero, però, richiedere anche la trascrizione dell’atto o del documento in questi casi risulta una pretesa contraria al principio di proporzionalità. Se il ricorrente indica dove e quando è stato depositato nel giudizio di merito (oppure se esso risulta dal fascicoletto di cortesia depositato in Cassazione o dalla sentenza), appare del tutto irragionevole e formalistico dar luogo anche alla riproduzione dell’atto o documento, per ciò che il “giudice del fatto processuale” può e deve accedere al fascicolo (49).

(49) Da questo punto di vista e alla luce della sentenza Succi, appare criticabile un orientamento eccessivamente rigoroso della giurisprudenza e confermato anche di recente. Secondo tale ricostruzione, anche quando venga dedotto un error in procedendo la parte non sarebbe dispensata «dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perché la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca» (v. ex plurimis, Cass. n. 7053/2022; Cass. n. 7810/2022; n. n. 3961/2022; Cass. n. 41249/2022; Cass. n. 40976/2022; Cass. n. 15367/2014 cit.; Cass. n. 21226/2010). Ferma la necessità di specificità (sotto il profilo redazionale del ricorso) in termini di localizzazione e

Il vero problema del ricorso esaminato dall’ordinanza investiva piuttosto il requisito di specificità in termini di “riferibilità” alla sentenza impugnata, per ciò che quest’ultima aveva accertato il fatto dell’avvenuto perfezionamento della notifica a fronte della produzione in giudizio dei relativi avvisi di ricevimento. Quindi, il motivo di ricorso era generico (e, pertanto, inammissibile) non tanto per un problema di modalità redazionale, quanto piuttosto per la sua eccessiva astrattezza, risultando scollegato rispetto al dato accertato dai giudici di seconde cure.

Sotto questi diversi profili (difetto di riferibilità alla sentenza ed astrattezza), allora, è effettivamente corretto predicare la mancanza di specificità del motivo di ricorso in base ad un’applicazione della “proporzionalità in concreto”.

7. Considerazioni conclusive. – Alla luce di quanto osservato in precedenza, è dato ritenere che l’avvocato cassazionista sia certamente tenuto ad un onere di autoresponsabilità al momento della redazione del ricorso per cassazione, essendo un momento dell’attività professionale che richiede la massima cura ed attenzione.

A fronte del Protocollo del 17 dicembre 2015, si sono risolte alcune incertezze derivanti dal requisito dell’autosufficienza, avendo contribuito a delinearne il contenuto per esclusione e, segnatamente, negando la necessità di un integrale onere di trascrizione di atti e documenti.

A questo si aggiunge l’importantissima sentenza Succi, con la quale la Corte EDU individua il metodo cui deve attenersi, a monte, il difensore (al momento dell’elaborazione dell’impugnativa) e, a valle, il giudice (al momento del vaglio dell’ammissibilità del ricorso): e difatti, se il motivo deve

(sotto il profilo contenutistico-sostanziale) della riferibilità alla sentenza impugnata, l’ulteriore onere della trascrizione non sembra conforme al principio di proporzionalità, quando si censura un error in procedendo. Ciò vale soprattutto nel caso di censure aventi ad oggetto la violazione delle norme sulla notificazione degli atti processuali, là dove si contesta l’omessa esecuzione di un’attività indefettibile per il perfezionamento del relativo procedimento. E difatti, in tali casi ed analogamente a quanto già osservato in relazione alle notificazioni degli atti tributari, “ciò che non funziona” si colloca al di fuori dall’oggetto che può evidenziarlo (ad es. la relata di notifica). Pretendere la trascrizione degli atti e dei documenti richiamati (quand’anche vi sia l’indicazione del luogo e del tempo del deposito nel giudizio di merito), risulta eccessivo e superfluo, proprio perché rispetto al “fatto processuale” il giudice di legittimità può e deve accedere al fascicolo per l’esame diretto e, quindi, per verificare la sussistenza (o meno) della violazione della legge processuale censurata dal ricorrente.

essere specifico nel senso che deve favorire la comprensione della causa e delle questioni sollevate con il ricorso senza dover ricorrere ad un riesame del fascicolo, tale obiettivo segna la misura entro cui devono essere contenute le restrizioni all’accesso alla tutela dinnanzi alla Corte di Cassazione.

Dipoi, il raggiungimento di tale scopo in concreto dipenderà, caso per caso, dalle qualità tecniche dell’avvocato cassazionista e (ovviamente) dalla valutazione del giudice (secondo i canoni tracciati dai giudici europei).

Ciò non toglie che l’eventuale errore sulla specificità da parte della Corte di Cassazione potrà essere oggetto di ricorso dinnanzi alla Corte EDU (onde ottenere una tutela risarcitoria) a fronte di eccessi formalistici contrari al principio di proporzionalità.

Sul piano dei rimedi interni, si potrebbe pensare all’opportunità di esperire la revocazione avverso le sentenze della Cassazione (art. 391-bis c.p.c.).

A questo riguardo, l’Ufficio del Massimario – richiamando alcune sentenze di legittimità (50) e mettendo in dubbio le osservazioni sollevate in dottrina (51) – ritiene che non sia possibile configurare un errore revocatorio nel giudizio espresso dalla sentenza di legittimità impugnata sulla violazione del principio di autosufficienza in ordine a uno dei motivi di ricorso, «trattandosi pur sempre di una valutazione, sia pure in ipotesi errata, e non già di un errore sul fatto».

Sotto tale profilo, tuttavia, si deve segnalare che il limite di ammissibilità del mezzo di impugnazione in discorso non risiede nell’errore sul fatto “processuale” (considerato sic et simpliciter). E difatti, secondo la Cassazione, la revocazione avverso le proprie sentenze è ammissibile se il mancato esame di uno dei motivi di ricorso sia avvenuto nell’erronea supposizione dell’ine-

(50) V. Cass. n. 20635/2017; Cass. n. 9835/2012; Cass. n. 14608/2007, secondo cui «in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, “un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale, quale documentata in atti, induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione”, non è possibile configurarsi “errore revocatorio nel giudizio espresso dalla sentenza di legittimità impugnata sulla violazione principio di autosufficienza in ordine a uno dei motivi di ricorso, per omessa indicazione e trascrizione dei documenti non ammessi dal giudice d’appello”». (51) In tal senso, v. S. Barone, La Corte di Strasburgo sul principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in https://www.questionegiustizia.it, la quale ritiene che il rimedio dell’art. 391-bis sia già esperibile in relazione alle “sviste” sull’autosufficienza.

sistenza del motivo stesso (fatto processuale) a cagione di un “abbaglio dei sensi” (52).

Se tanto vale nelle ipotesi ridette, non è dato vedere la ragione per cui la revocazione debba essere preclusa, là dove la declaratoria di inammissibilità del motivo (per difetto di autosufficienza) muova dalla supposizione dell’inesistenza di un fatto processuale (i.e. la trascrizione o localizzazione esistente nel testo) la cui verità è positivamente stabilita dagli atti della causa (cioè dal testo del ricorso dichiarato inammissibile). Detto altrimenti, ciò può accadere quando il ricorrente abbia assolto in concreto l’onere di localizzazione e/o di trascrizione di atti o documenti richiamati nel ricorso, cioè il fatto processuale su cui si appunta l’errore di percezione del giudice che non ha visto la trascrizione o il riferimento (ritenuti mancanti, perché quandoque bonus dormitat Homerus).

È fuori discussione che la revocazione non sia un rimedio sulla “valutazione”, ma l’ammissibilità non può che dipendere dal tipo di errore fatto valere (se revocatorio o di giudizio).

Un conto è la svista su ciò che risulta trascritto o “localizzato” (là dove l’abbaglio – avendo ad oggetto la verità positivamente stabilita dalle risultanze del ricorso – dovrebbe consentire la revocazione).

Diverso è il caso in cui la Cassazione compia una valutazione complessiva del ricorso e lo ritenga viziato da eccesso di autosufficienza, come nel caso dei ricorsi assemblati. In questi casi in cui v’è un giudizio globale non pare possibile esperire la revocazione, in quanto non sussiste un fatto la cui verità è “incontrastabilmente esclusa” (trattandosi giustappunto di una valutazione).

Ad ogni modo, onde evitare che aumentino le pretese risarcitorie a carico dello Stato dinnanzi alla Corte EDU, il legislatore potrebbe anche chiarire il ruolo della revocazione alla luce delle specificità testé delineate (probabilmente intervenendo con una modifica dell’art. 391-bis cit. proprio per dissipare i dubbi evidenziati dall’Ufficio del Massimario). Tuttavia, il problema avvertito sul punto è che si rischierebbe di vanificare la funzione di “filtro” di ammissibilità dei ricorsi, creando un circolo vizioso che incrementerebbe l’arretrato, quand’anche i ricorsi siano stati concepiti in palese violazione del requisito di specificità e le revocazioni si rivelino meramente pretestuose.

Più in generale, si auspica che, in sede di attuazione del PNRR, il legislatore intervenga definitivamente sul requisito dell’autosufficienza, onde

(52) Cfr. Cass. n. 25560/2016.

risolvere le incertezze emerse nel corso degli anni attraverso l’esatta delimitazione contenutistica del requisito e mediante l’adozione di modalità pratiche uniformi per lo svolgimento della procedura dinnanzi alla Corte di Cassazione (53). Ciò per dare certezza ai cittadini (circa i limiti all’accesso alla tutela giurisdizionale in sede di legittimità), ma anche agli operatori del diritto (sotto il profilo della propria responsabilità professionale).

giusePPe MerCuri

(53) Si rammenta che, ai sensi dell’art. 1, co. 9 della l. n. 206/2021 (legge delega sulla riforma del processo civile), in una prospettiva di razionalizzazione, il Governo dovrà intervenire sulla disciplina del giudizio di cassazione, dovendo, in specie e fra l’altro, «prevedere che il ricorso debba contenere la chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa e la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione». L’ampiezza di tale criterio direttivo potrebbe offrire l’occasione per una delimitazione della regola dell’autosufficienza anche sotto il profilo della tecnica redazionale del ricorso.

This article is from: