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le, tutele e finanziarizzazione.................................................................................... I
Dottrina
Profili attuali in tema di crediti d’imposta: poliformismo, funzione sovvenzionale, tutele e finanziarizzazione*
Sommario: Premessa. – 1. Classificazione e tipologia dei crediti d’imposta. – 2. Il credito d’imposta derivante dalla liquidazione del tributo. – 3. I crediti d’imposta con funzione sovvenzionale. – 4. I problemi sul fronte delle tutele: i rapporti tra la dichiarazione ed il credito d’imposta. – 5. La centralità dell’avviso di recupero come atto impositivo. – 6. La distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti: implicazioni procedimentali e profili sanzionatori. – 7. La finanziarizzazione dei crediti d’imposta (bonus, superbonus e misure emergenziali). – 7.1. L’utilizzo del credito da parte del fornitore o del cessionario; le misure di contrasto alle frodi e le responsabilità.
Il tema dei crediti d’imposta ha assunto una dimensione sistematica solo a seguito della riforma fiscale del 1972/73, allorché nell’ordinamento italiano si è affermata la c.d. fiscalità di massa, è stata introdotta l’autoliquidazione del tributo e si è sviluppata e diffusa l’anticipazione del prelievo. Tuttavia la categoria non riesce ad assumere una ben precisa connotazione a causa dell’abnorme ed asistematico ricorso allo strumento da parte del legislatore, che spesso usa il termine in ottica descrittiva, ma al tempo stesso modella variegati, multiformi e fantasiosi crediti d’imposta, speciali regimi di detrazione, bonus ecc. Negli ultimi anni si sono diffusi notevolmente i crediti d’imposta con funzionale sovvenzionale; il fenomeno è stato accentuato dalle politiche economiche promosse dagli Stati, ed in particolare dall’Italia, nella legislazione emergenziale attivata per fronteggiare la crisi economica causata dalla pandemia Covid-19. Ormai è diventato praticamente impossibile inquadrare sistematicamente tutti i vari crediti d’imposta, risultando viceversa utile delineare i profili caratterizzanti la sfera delle tutele e la recente finanziarizzazione dei crediti d’imposta con funzione sovvenzionale. Pertanto, quale asse intorno a cui ruota l’indagine, viene individuato l’avviso di recupero dei crediti d’imposta, come atto impositivo conclusivo del relativo procedimento di controllo.
* Contributo destinato alla collettanea I diritti del contribuente, a cura di A. CarinCi e T. Tassani, Milano.
The issue of tax credits took on a systematic dimension only following the tax reform of 1972/73, when the so-called mass taxation, the self-settlement of the tax has been introduced and the anticipation of the levy has developed and spread. However, the category fails to take on a precise connotation due to the abnormal and unsystematic use of the tool by the legislator, who often uses the term in a descriptive perspective, but at the same time models variegated, multiform and imaginative tax credits, special deduction schemes, bonuses, etc. In recent years, tax credits with a subsidy function have spread considerably; the phenomenon was accentuated by the economic policies promoted by the states, and in particular by Italy, in the emergency legislation activated to deal with the economic crisis caused by the Covid-19 pandemic. It has now become practically impossible to systematically frame all the various tax credits, and vice versa it is useful to outline the profiles characterizing the sphere of protection and the recent financialization of tax credits with a subsidy function. Therefore, as the axis around which the investigation revolves, the tax credit recovery notice is identified, as the final tax act of the related control procedure.
Premessa. – Il tema dei crediti d’imposta pone fondamentali questioni preliminari, dovendosi distinguere fenomeni tra di loro molto diversi, accomunati esclusivamente dall’uso della formula descrittiva “credito d’imposta” come situazione giuridica di sfondo (1).
Si parla di credito d’imposta a proposito della detrazione spettante al contribuente per il recupero delle imposte pagate all’estero (2), così come si parla di credito d’imposta per la fruizione delle agevolazioni tributarie, e spesso anche di agevolazioni extratributarie, ma vi è stata in passato una vasta esperienza nell’impiego del credito d’imposta in tema di tassazione dei dividendi societari (3); più in generale e descrittivamente si parla di credito d’imposta anche a proposito dei crediti da rimborso dei contribuenti o dei crediti tributari a favore del Fisco (4).
(1) Il fondamentale contributo teorico resta sempre quello di M. ingosso, Il credito d’imposta, Milano, 1984. (2) V. per tutti a. ConTrino, Contributo allo studio del credito per le imposte estere, Torino, 2012. (3) Tema ormai da tempo privo di interesse applicativo. Sembra comunque opportuno ricordare il vecchio credito d’imposta per gli utili distribuiti da società ed enti residenti; il Legislatore riconosceva al socio percettore del dividendo un credito da utilizzare in diminuzione della propria imposta personale, di importo equivalente all’imposta applicata dalla società sugli utili da cui traevano origine i dividendi; tale credito di imposta era volto a perequare la doppia imposizione economica, ma è stato ritenuto troppo complesso, strumentalizzabile mediante pratiche elusive e, soprattutto, confliggente con il diritto comunitario. Nel 2004 il sistema è stato radicalmente modificato, mediante l’introduzione di una parziale esenzione dei dividendi in luogo del riconoscimento del credito d’imposta. (4) Per una sintesi sistematica v. M. ingrosso, Credito d’imposta, in Enc. Giur., 1988.
La categoria giuridica “credito d’imposta” non riesce ad assumere una ben precisa connotazione, non solo per la confusione di linguaggio diffusa fra i pratici, nella prassi e nella giurisprudenza, ma anche in ragione dell’abnorme ed asistematico ricorso alla formula da parte del legislatore (5), che spesso usa il termine in ottica descrittiva, ma al tempo stesso modella variegati, multiformi e fantasiosi crediti d’imposta, speciali regimi di detrazione, bonus ecc., dotandoli di un sub sistema proprio, appesantito da frequenti superfetazioni legislative.
Come è noto nel diritto tributario la mancanza di un codice, e la marginale rilevanza delle leggi generali, hanno tradizionalmente addossato alla dottrina il compito di classificare i fenomeni ed elaborare categorie, sistemi, concetti ecc., e la dottrina, nella vasta fenomenologia dei crediti d’imposta, ha lungamente privilegiato il tema del rimborso, derivante da versamenti indebiti, nella classica logica dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c. Per altro verso era immediata e scontata la percezione del credito d’imposta come credito del Fisco, e quindi come formula identificativa delle pretese impositive.
Tuttavia, come è stato correttamente evidenziato, il tema dei crediti d’imposta, intesi quali posizioni creditorie diverse da quelle restitutorie. ha assunto una dimensione sistematica solo a seguito della riforma fiscale del 1972/73, allorché nell’ordinamento tributario italiano si è affermata la c.d. fiscalità di massa, è stata introdotta l’autoliquidazione del tributo e si è sviluppata e diffusa l’anticipazione del prelievo rispetto al verificarsi del presupposto impositivo (6).
Ciò è innegabile dal punto di vista del diritto italiano, ma non può trascurarsi la circostanza dell’acquisizione a livello internazionale di una piena consapevolezza della dimensione finanziaria delle tax expenditures, che ha spostato l’asse delle agevolazioni tributarie dalle esenzioni ai crediti d’imposta con funzione sovvenzionale (7). E sembra questo il tratto caratterizzante la recente evoluzione normativa in tema di crediti d’imposta.
Pertanto, pur tratteggiandosi una classificazione dei crediti d’imposta, verrà prestata attenzione prioritaria ai problemi applicativi più rilevanti sul fronte
(5) M. ingrosso, Il credito d’imposta, cit.; id., Credito d’imposta, cit.; M. TurChi, Credito d’imposta, in Dig. comm., 1989, 203; M.C. Fregni, Crediti e rimborsi d’imposta, in AA.VV., Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, 1669 ss.; B. denora, Credito d’imposta, in Treccani, Diritto on line, 2019. (6) B. denora, Credito d’imposta, cit. (7) OECD, Tax expenditures in OECD countries, Paris, 2010.
dei controlli, delle tutele e delle sanzioni, sia pure senza pretese di completezza sistematica e senza poter considerare i profili sostanziali della sterminata tipologia dei diversi crediti d’imposta ed i profili attuativi centrati sulla liquidazione e sulla dichiarazione tributaria. Del resto, la vastità ed il poliformismo dei crediti d’imposta con funzione sovvenzionale è stata accentuata dalla loro rilevante diffusione nell’ambito delle politiche economiche promosse dagli Stati, ed in particolare dall’Italia, nella legislazione emergenziale attivata per fronteggiare la crisi economica causata dalla pandemia Covid-19.
Ormai è diventato praticamente impossibile inquadrare sistematicamente tutti i vari crediti d’imposta, risultando viceversa utile ed opportuno delineare i profili caratterizzanti la sfera delle tutele e la recente finanziarizzazione dei crediti d’imposta con funzione sovvenzionale, che nel corso del tempo assumerà una indubbia rilevanza applicativa nei rapporti fiscali.
1. Classificazione e tipologia dei crediti d’imposta. – Sul piano della teoria generale del diritto le classificazioni, le distinzioni e l’elaborazione delle categorie giuridiche hanno senso in quanto risultino funzionali ed utili sul piano sistematico ed applicativo. Pertanto, in questa sede, quale asse intorno a cui ruota l’indagine, viene individuato l’avviso di recupero dei crediti d’imposta quale atto impositivo conclusivo del relativo procedimento di controllo sulla spettanza dei crediti d’imposta con funzione agevolativa (v. infra).
In termini generali e descrittivi si condivide l’opinione corrente secondo cui per credito di imposta si intende il fenomeno che vede il contribuente titolare di una situazione giuridica soggettiva attiva: «la principale situazione soggettiva attiva del contribuente è il credito d’imposta, che può derivare, oltre che dalle situazioni di indebito e di restituzione», anche «dall’operare dei meccanismi che assolvono a specifiche esigenze nell’attuazione del tributo (tipico è il caso dell’IVA) oppure dalla tendenza, sempre più accentuata, ad anticipare la riscossione dell’imposta rispetto al verificarsi del presupposto» (8). Ma ovviamente, quantomeno sul piano euristico, è necessario «delimitare il concetto (di credito d’imposta) in modo tale da isolare una serie di fattispecie differenziandole da altre analoghe»; vanno quindi certamente escluse le ipotesi restitutorie, posto che «se si dovesse allargare la definizione anche ai pagamenti indebiti vi rientrerebbero tutte le posizioni soggettive attive
(8) F. PaParella, Le situazioni giuridiche soggettive e le loro vicende, in a. FanTozzi (a cura di), Diritto tributario, Torino, 2012, 487; B. denora, Credito d’imposta, cit.
dei contribuenti verso il fisco, e la definizione perderebbe qualsiasi carattere identificante» (9).
In tale prospettiva è diffusa e condivisibile la tradizionale distinzione tra: a) crediti restitutori derivanti da indebito ab origine, ovvero crediti da rimborso scaturenti da pagamenti palesemente riconducibili alla logica dell’indebito oggettivo ex art. 2033 C.C. (v. ad es. art. 37, “Rimborso di ritenute dirette”, ed art. 38, “Rimborso di versamenti diretti”, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602); b) crediti restitutori da indebito sopravvenuto, derivanti da versamenti dovuti che poi risultano indebiti a causa di eventi ulteriori e successivi, che la stessa legge configura come tali da modificare l’iniziale fattispecie impositiva (v. ad es. art. 37, “Atti dell’autorità giudiziaria”, art. 38, “Irrilevanza della nullità e dell’annullabilità dell’atto”, TU del Registro 26 aprile 1986, n. 131) (10); c) crediti derivanti dai fisiologici meccanismi di autoliquidazione del tributo; di norma scaturenti da riscossione anticipata del tributo (acconti, ritenute, ecc.) funzionale all’ordinario meccanismo impositivo (v. ad es. art. 22,
“Scomputo degli acconti”, TUIR 22 dicembre 1986, n. 917); d) crediti derivanti dall’attuazione di misure giustificate da finalità perequative, sovvenzionali e/o agevolative, tributarie e/o extratributarie.
Quest’ultima è certamente la categoria che presenta il maggiore interesse sul piano dell’attualità e delle problematiche applicative, stante l’abnorme proliferazione dei crediti d’imposta sovvenzionali negli ultimi anni e soprattutto a fronte dell’emergenza sanitaria Covid 19 e della conseguente crisi economica e finanziaria.
Tuttavia, sembra opportuno tentare di tratteggiare la categoria generale dei crediti d’imposta, non fosse altro che per coglierne la rilevanza descrittiva.
2. Il credito d’imposta derivante dalla liquidazione del tributo. – Comunemente, ed a ragione, si ritiene che sia stata la c.d. fiscalità di massa nel
(9) Così M. TurChi, Credito d’imposta, cit., 206; in senso analogo: M. ingrosso, Il credito d’imposta, cit.; M.C. Fregni, Crediti e rimborsi d’imposta, cit., 1670; B. denora, Credito d’imposta, cit. (10) M. BasilaveCChia, Rimborso d’imposta, in Treccani, Diritto on line, 2014, richiama un quadro dogmatico non uniforme in merito alla tesi dell’indebito sopravvenuto in caso di pagamento originariamente legittimo, ma la questione non assume rilievo concreto ai fini della presente indagine.
settore delle imposte sui redditi e dell’IVA, caratterizzata dalla dichiarazione tributaria, dall’autoliquidazione e dalla riscossione frazionata e anticipata, a dare corpo al fenomeno delle fisiologiche eccedenze di imposta, derivanti dai peculiari meccanismi attuativi propri di questi tributi (11). Infatti, il corrente meccanismo di attuazione delle imposte sui redditi, ed in parte dell’IVA, è basato una pluralità di prelievi anticipati, potenzialmente satisfattivi rispetto al futuro ed eventuale tributo dovuto, ma privi di definitività, in quanto destinati ad essere computati nella fase liquidatoria (art. 22 TUIR; artt. 27 e 30 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633).
Tuttavia nell’ambito dell’autoliquidazione emergono anche altre situazioni creditorie, in quanto al contribuente sono attribuite variegate posizioni attive (che non originano da versamenti anticipati), consistenti in detrazioni destinate all’abbattimento del tributo ed allo scomputo dell’imposta dovuta (artt. 12 e seg. TUIR; artt. 19 e seg. D.P.R. n. 633/1972): ma è evidente che si tratta situazioni attive in cui la connotazione creditoria sfuma, assumendo sostanza la fenomenologia delle detrazioni funzionali alla quantificazione del tributo.
Al riguardo è stato convincentemente evidenziato che “in questo complesso contesto attuativo del tributo, la locuzione “credito di imposta” è impropriamente utilizzata per individuare tutte queste diverse situazioni giuridiche soggettive attive “di vantaggio” del contribuente che non si traducono nella titolarità di un vero e proprio diritto di credito certo liquido ed esigibile e che mostrano almeno due profili comuni, in quanto si tratta di posizioni che: i) sorgono per diverse ragioni e, in molti casi, anche a prescindere da un effettivo versamento all’erario (si pensi, oltre alle detrazioni, anche alle ritenute subite che il sostituto non ha versato all’erario, ovvero al “credito” per le imposte pagate all’estero che, per definizione, non sono versate al
Fisco italiano); ii) sono mature e perfette, ma non possono ex se essere autonomamente liquidate e monetizzate” (di norma (12)); “non possono cioè essere oggetto di rimborso, perché destinate ad essere utilizzate nell’ambito dello specifico
(11) V. per tutti B. denora, Credito d’imposta cit., che riprende gli spunti di S. la rosa, Differenze e interferenze tra diritto e restituzione. Diritto di detrazione e credito da dichiarazione, in Riv. dir. trib., 2005, 149 ss., e di F. PaParella, Le situazioni giuridiche soggettive cit. In tale ottica ci si colloca ai fini dell’inquadramento sistematico elaborato da tali autori e qui condiviso e riproposto. (12) Sul recente fenomeno della finanziarizzazione v. infra § 7.
procedimento attuativo del tributo cui accedono, secondo le modalità, anche temporali, previste di volta in volta dal legislatore” (13).
Si tratta di posizioni attive utilizzabili esclusivamente per quantificare l’imposta risultante come dovuta dalla dichiarazione; posizioni che soltanto all’esito della liquidazione possono dar luogo al sorgere di una “eccedenza a credito” (o “imposta negativa”).
Sul piano sistematico solo tale eccedenza di imposta è tale da configurare un vero e proprio credito d’imposta per il contribuente, il quale può, alternativamente, scegliere di utilizzarlo in compensazione, chiederne il rimborso (che, in questo caso, è fisiologico e non ha nulla ha a che vedere con l’indebito) ovvero riportarlo a nuovo. Ne consegue che le eccedenze d’imposta debbono tenersi distinte dai rimborsi e dalle restituzioni, in quanto «sono determinate (non da situazioni originarie di indebito, né dal venir meno dei fatti giustificativi del tributo originariamente dovuto, ma) dalla coesistenza di situazioni soggettive attive e passive nella struttura interna dei singoli tributi»; ed invero le eccedenze costituiscono «il risultato di una differenza tra un dovuto ed un detraibile» (14).
Questa eccedenza di imposta, derivante dall’autoliquidazione, è configurabile come credito d’imposta, con propria specifica rilevanza e, quindi, con una valenza definitoria unitaria e significativa in termini di autonoma della situazione giuridica soggettiva (15); tuttavia essa assume una connotazione interna al meccanismo attuativo del tributo, finendo con l’esprimere una funzione servente degli adempimenti dichiarativi e del procedimento liquidatorio.
Si tratta di un vero e proprio credito d’imposta, derivante dalla fisiologica liquidazione del tributo, con funzione endogena all’attuazione del tributo, cui si contrappongono i crediti d’imposta con funzione sovvenzionale, esogena all’attuazione del tributo.
(13) B. denora, Credito d’imposta cit., (14) Così S. la rosa, Differenze e interferenze tra diritto e restituzione, cit., 149-153. (15) In tal senso B. denora, Credito d’imposta, cit., che, riprendendo la condivisibile ricostruzione sistematica di La Rosa, precisa che “l’eccedenza di imposta (i.e.: il credito di imposta) … pur derivando geneticamente da una molteplicità di fattori causali configurabili, in via generale, in termini di posizioni creditorie o situazioni giuridiche soggettive attive o di vantaggio, se ne discosta notevolmente, rappresentando, in estrema sintesi, il risultato della “sommatoria” dei predetti fattori. Tale eccedenza ha natura autonoma e contenuto unitario, configurando un “differenziale” di segno positivo per il contribuente, che soggiace ad una propria specifica disciplina e rimane distinto dai diversi fattori che lo hanno originato”.
3. I crediti d’imposta con funzione sovvenzionale. – In genere la dottrina ritiene che sia necessario delimitare l’uso atecnico e descrittivo della locuzione “credito d’imposta”.
Alcuni autori ritengono che si dovrebbe parlare di crediti d’imposta soltanto per quelli scaturenti «da situazioni particolari, le più disparate tra di loro, ma accomunate tutte da un minimo comune denominatore: quello dell’emersione del credito a seguito della corretta (fisiologica, si direbbe) liquidazione del tributo. Si tratta, tra gli altri, dei crediti attribuiti per risolvere fenomeni di doppia imposizione economica, interna ed internazionale, o di quelli attribuiti con finalità di incentivo» (16).
Tuttavia, tale approccio risulta ancora insoddisfacente in quanto continua a tenere insieme fenomeni ben distinti, quali i crediti d’imposta volti ad eliminare la doppia imposizione, previsti dalla legge per esigenze sistematiche e perequative, ed i crediti d’imposta con funzione sovvenzionale.
Soltanto per i crediti d’imposta con funzione sovvenzionale è concepibile una apprezzabile uniformità tematica sul piano dei controlli, dell’accertamento, delle sanzioni e della tutela giurisdizionale.
Si tratta di quelle posizioni lato sensu creditorie che il Legislatore attribuisce al contribuente in ragione di scelte ampiamente discrezionali, espressive di opzioni di politica economica, sostanzialmente con finalità sovvenzionali, per scopi promozionali o di incentivo e che, in genere, non determinano il diritto al rimborso, né consentono la riportabilità a nuovo del credito, sfumando talvolta nella più vasta ed omnicomprensiva fenomenologia delle detrazioni d’imposta (17). Tuttavia, la funzione sovvenzionale connota in termini sistematicamente apprezzabili la categoria, pur risultando variegati i regimi normativi, i criteri temporali, i meccanismi attuativi ecc.
Nella multiforme casistica si rammentano: i crediti d’imposta per le assunzioni di personale; i crediti d’imposta per ricerca e sviluppo; i crediti d’imposta per acquisto di beni strumentali; i crediti d’imposta la produzione cinematografica e audiovisiva; i c.d. bonus fiscali (school bonus, art bonus ecc.).
(16) G.M. CiPolla, Crediti d’imposta e tutele processuali: si rafforza la tesi del consolidamento del credito esposto in dichiarazione e non rettificato dal Fisco, in Riv. giur. trib., 2011, 506. (17) In tal senso v. ad es.: M. ingrosso, Il credito d’imposta, cit.; M.C. Fregni, Crediti e rimborsi d’imposta, cit., 1672; B. denora, Credito d’imposta, cit.
Nonostante la smaccata tendenza legislativa alla frammentazione ed al particolarismo, la maggior parte dei crediti d’imposta sovvenzionali presenta tratti comuni, ormai adeguatamente percepiti dalla dottrina (18): - devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi del periodo in cui maturano; - non concorrono alla formazione del reddito né della base imponibile dell’IRAP; - non rilevano ai fini del rapporto di deducibilità degli interessi passivi e degli altri componenti negativi di cui agli artt. 61 e 109 TUIR; - possono essere utilizzati nel periodo d’imposta in cui maturano o riportati a nuovo o, talvolta, chiesti a rimborso; - in genere possono essere utilizzati soltanto in compensazione ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 9.7.1997, n. 241 (art. 2, co. 8 e 8-bis, d.P.R. 22.7.1998, n. 322); - di norma non incidono sulla determinazione dell’imposta dovuta, in quanto non concorrono a individuare il differenziale, positivo o negativo, che emerge nella dichiarazione, ma rilevano esclusivamente nella fase dell’adempimento, come modalità di estinzione del debito; - talvolta possono essere oggetto di trasferimento, in virtù della finanziarizzazione del credito, inizialmente prevista per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici (art. 16-bis, co. 8, TUIR) e poi diffusasi significativamente (v. infra); - talvolta si basano su meccanismo di tipo “incrementale”, la cui quantificazione dipende da dati aziendali, dalla formazione e dalla durata degli investimenti ecc.; - talvolta la loro fruibilità è condizionata alla presentazione di una istanza preliminare; - presentano caratteristiche finanziarie tali da ricondurli al sistema degli aiuti di Stato di matrice Unionale; - sono sottoposti a controlli che confluiscono in uno specifico atto impositivo, il c.d. avviso di recupero dei crediti d’imposta.
È evidente che nemmeno i credi d’imposta con funzione sovvenzionale possono essere concepiti come categoria unitaria dotata di coerenza sistematica, ciononostante se ne apprezzano taluni tratti comuni, confluenti sul piano
(18) V. per tutti il quadro delineato da B. denora, Credito d’imposta, cit., qui riproposto ed ampliato.
dell’attuazione delle misure, dei controlli, dell’accertamento, delle sanzioni e della tutela giurisdizionale.
Particolare interesse suscita il fenomeno della finanziarizzazione dei crediti d’imposta con funzione sovvenzionale, che tende a delineare la nuova categoria dei crediti d’imposta cedibili (v. infra § 7).
4. I problemi sul fronte delle tutele: i rapporti tra la dichiarazione ed il credito d’imposta. – Sul fronte delle tutele si è lungamente dibattuto sul profilo dei rapporti tra dichiarazione e credito d’imposta, che qui viene ripreso con l’intento di evidenziarne i tratti essenziali, ma nella convinzione della portata assorbente della concezione della dichiarazione tributaria, tema che necessiterebbe di specifico e distinto approfondimento.
Un primo orientamento giurisprudenziale, garantista e condivisibile, riteneva che “in tema di imposte sui redditi, qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione (ed anche in quella rettificata o corretta) un credito d’imposta, non occorre, da parte sua, al fine di ottenerne il rimborso, alcun altro adempimento, ma egli deve solo attendere che l’Amministrazione… eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte, prevista dal Decreto… n. 600 del 1973, articolo 36 bis, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione; una volta che il credito si sia consolidato – attraverso un riconoscimento esplicito in sede di liquidazione, ovvero per effetto di un riconoscimento implicito derivante dal mancato esercizio nei termini del potere di rettifica – l’Amministrazione è tenuta ad eseguire il rimborso e il relativo credito del contribuente è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale, decorrente dal riconoscimento del credito stesso (Cass. n. 1154/08; 3718/05; 11830/02)” (19).
Tuttavia, si è poi affermato un indirizzo opposto, secondo cui: - la facoltà di emendare la dichiarazione in bonam partem «per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito», è stata prevista per garantire «una tutela distinta dalla domanda di rimborso e dai rimedi esperibili in sede giurisdizionale» (art. 2, d.P.R. 22.7.1998, n. 322);
(19) Così Cass. Sez. trib. 29.12.2010, n. 26318, in Riv. giur. trib., con nota adesiva di G.M. CIPOLLA, Crediti d’imposta e tutele processuali, cit., 503.
- la procedura di rimborso dei versamenti diretti ex art. 38 d.P.R. n. 602/1973
«è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa…», in quanto si tratta di due discipline differenziate,
«ove il contribuente opti per la presentazione dell’istanza di rimborso di cui all’art. 38 cit., verrà introdotto un autonomo procedimento amministrativo (in cui l’istanza di parte costituisce l’atto di impulso della fase iniziale) del tutto distinto dall’attività di controllo automatizzato – formale ed in rettifica – originato dalla mera presentazione della dichiarazione fiscale»; - in ogni caso, il contribuente «in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria»; - «oggetto del contenzioso giurisdizionale è, infatti, l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base dei dati forniti dal contribuente», di modo che il contribuente può sempre fornire la dimostrazione «anche di errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale» ed opporsi alla pretesa impositiva; - l’Amministrazione finanziaria ha un’ampia possibilità di contestare la sussistenza di una propria posizione debitoria nei confronti del contribuente in quanto i termini decadenziali previsti dall’ordinamento tributario «sono apposti solo alle attività di accertamento di un credito dell’Amministrazione e non a quelle con cui l’Amministrazione contesti la sussistenza di un suo debito»; pertanto «decorso il termine per l’accertamento, all’Amministrazione viene consentito di contestare il contenuto di un atto del contribuente solo nella misura in cui tale contestazione consente all’Amministrazione di evitare un esborso e non invece sotto il profilo in cui la medesima contestazione comporterebbe la affermazione di un credito della Amministrazione»; tale conclusione non lascerebbe «senza difesa il contribuente che ben può impugnare il silenzio della Amministrazione che non dia seguito alla istanza di rimborso, ottenendo sul punto una pronuncia giudiziale» (20).
(20) Così Cass. S.U., 7.6.2016, n. 13378; conf. Cass., S.U., 15.3.2016, n. 5069, nonché Cass., Sez. trib., 20.5.2016, n. 10479. Sul tema v. F. randazzo, Alle sezioni unite la problematica della contestabilità del credito da dichiarazione non più rettificabile, in Riv. dir. trib., 2014, 440. In senso analogo in tema di IVA v. da ultimo Cass. Sez. Un., 29.7.2021, n. 21765.
In buona sostanza la giurisprudenza ha finito con lo svalutare la portata pubblicistica della dichiarazione e le implicazioni procedimentali derivanti dall’esercizio in termini decadenziali dei poteri impositivi, ammettendo che sia il contribuente sia l’Agenzia delle Entrate possano contestare la dichiarazione in via di eccezione con ampia dilatazione temporale (21).
Attenta dottrina ha evidenziato al riguardo che “in senso analogo… sembra essersi mosso anche il legislatore che ha modificato la disciplina dei termini e delle modalità con cui emendare la dichiarazione. L’art. 5 d.l. 22.10.2016, n. 193… ha, tra l’altro, modificato l’art. 2, co. 8 e 8-bis del d.P.R. n. 322/1998 e ha introdotto due nuovi commi nell’art. 8 del medesimo decreto (co. 6-bis e 6-ter), prevedendo un termine unico per la rettifica della dichiarazione tributaria – tanto a favore che in danno del contribuente – che coincide con lo spirare del termine previsto per l’accertamento delle imposte a favore dell’Amministrazione finanziaria” (22).
Più in generale, ed in via di estrema sintesi, sotto il profilo della tutela processuale la Corte di Cassazione svaluta quindi la sistematica che vede contrapposti i diritti di credito da indebito, assistiti da un’autonoma azione di rimborso, dalle posizioni creditorie vantate dal contribuente nell’ambito della liquidazione e della dichiarazione tributaria.
Si è convinti della valenza pubblicistica della dichiarazione, della concezione procedimentale dell’azione impositiva e della rilevanza dei termini decandenziali, ma in questa sede non vi è spazio per ulteriori digressioni, rispetto al tema dei crediti d’imposta.
(21) In tale ottica il contribuente potrà far valere gli errori della dichiarazione sino a che essa venga rettificata con l’avviso di accertamento, e quindi entro il 31 dicembre del quinto anno successivo alla presentazione della dichiarazione. Per la condivisibile critica al principio della “perpetuità” dell’eccezione a fronte della “temporaneità” dell’azione (poteri impositivi da esercitare in termini decadenziali) v. per tutti G. Franzoni, La dichiarazione fra orientamenti amministrativi e giurisprudenziali, in Rass. trib., 2016, 973; per la più recente giurisprudenza favorevole alla logica della perpetuità e delle eccezioni v. Cass., Sez. trib. 15.12.2017, n. 30172 e Cass., Sez. trib. 30.1.2018, n. 2220. (22) B. denora, Credito d’imposta, cit.; più in generale sul tema v.: G. Franzoni, F. Padovani, Nuovi termini per la rettifica della dichiarazione: il legislatore semplifica e corregge la Cassazione, in Corr. trib., 2016, 3365; A. CarinCi, La nuova dichiarazione integrativa di favore, in Il fisco, 2017, 313; M. logozzo, Detrazione, rimborso e rettifica della dichiarazione Iva tra recenti orientamenti della giurisprudenza e nuove disposizioni, in Boll. trib., 2017, 1069.
5. La centralità dell’avviso di recupero come atto impositivo. – Sin dal 2005 il Legislatore ha introdotto un nuovo atto impositivo per consentire all’Agenzia delle Entrate un più agevole recupero dei crediti d’imposta indebitamente fruiti dal contribuente, laddove in passato doveva essere utilizzato lo strumento dell’atto di accertamento o del diniego di agevolazioni fiscali (L. 30 dicembre 2004, n. 311, commi 420 ss.).
Tale intervento legislativo ha sostanzialmente recepito una prassi amministrativa, di dubbia legittimità, che tendeva a delineare un atto impositivo specificamente finalizzato al recupero dei crediti d’imposta indebitamente fruiti.
Tuttavia, il nuovo atto è stato analiticamente disciplinato, ma con scarsa attenzione ai profili sistematici e con approssimazione dal punto di vista della disciplina processuale.
Parte della dottrina e della giurisprudenza hanno inizialmente negato la qualificazione dell’avviso di recupero dei crediti d’imposta come un vero e proprio atto impositivo, autonomamente impugnabile ex art. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Ed invero di tale atto non si trova menzione nell’art. 19 cit. Ma si è agevolmente affermata la tesi della sua autonoma impugnabilità, come vero e proprio atto impositivo (23).
La dottrina che ha più attentamente studiato il tema (24) ritiene che all’avviso di recupero debba essere certamente riconosciuto spessore sostanziale nei casi in cui non sia preceduto da un formale atto di revoca dell’agevolazione; infatti, in tali casi l’atto riassume in sé la funzione di revoca del beneficio fruito e, in caso di mancato pagamento, legittima la riscossione immediata dell’intero importo oggetto del recupero. Viceversa, laddove l’atto di recupero segua l’atto espresso di revoca, lo schema impositivo si pone in modo alquan-
(23) Per la ricostruzione sistematica della vicenda v. per tutti a. PaCe, Le agevolazioni fiscali. Profili procedimentali e processuali, Torino 2012, 52 ss., 119 ss.; per i più recenti approdi giurisprudenziali v. Cass., Sez. trib., ord. 22.5.2020, n. 9437, secondo cui “l’avviso di recupero di credito d’imposta ex art. 1, comma 421, della l. n. 311 del 2004, con cui l’Amministrazione finanziaria può procedere alla riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione, nonché delle relative sanzioni ed interessi, ha natura prodromica, e non consequenziale, all’avviso di accertamento, per cui l’omessa adozione di quest’ultimo atto impositivo non incide sulla sua legittimità, né comporta alcuna menomazione del diritto di difesa del contribuente, atteso che, come l’avviso di accertamento, deve essere motivato con riferimento alle ragioni giuridiche ed ai presupposti di fatto dell’azione di recupero ed ha valenza di atto impositivo autonomamente impugnabile ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992” (conf. Cass., Sez. trib., 23.3.2012, n. 4687 e 31.3.2017, 8429). (24) a. PaCe, Le agevolazioni fiscali, cit.
to diverso, giacché le contestazioni relative all’ an debeatur debbono essere formulate mediante impugnazione dell’atto di revoca, mentre le sole contestazioni sul quantum della pretesa potranno formare oggetto di impugnazione dell’avviso di recupero.
Va comunque evidenziato che nella prassi e nella legislazione l’avviso di recupero si è andato consolidando come atto impositivo unitario, assorbendo di norma anche la funzione dell’ipotetico atti di revoca dell’agevolazione.
Il regime giuridico dell’avviso di recupero si è stratificato nel corso degli anni, finendo ormai con l’assumere una fisionomia ben precisa, tanto che l’avviso di recupero è diventato il perno funzionale su cui incentra la ricostruzione dei crediti d’imposta sovvenzionali.
A fondamento dell’avviso di recupero la normativa richiama i poteri di cui agli artt. 31 ss. D.P.R. n. 600/1973 e 51 ss. D.P.R. n. 633/1972; le modalità di notifica sono quelle di cui all’art. 60 D.P.R. n. 600 cit., mentre il termine decadenziale, particolarmente (ed eccessivamente) ampio, si estende a ben otto anni (almeno per l’orientamento che nega la distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti – v. infra § 6).
Il pagamento deve essere effettuato entro sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di recupero, fermo restando che per l’intero importo l’Agenzia deve procedere alla riscossione integrale (è esclusa la tradizionale graduazione in corso di giudizio) e ciò in ragione della natura più esattiva che accertativa dell’atto (invero la norma parla di riscossione dei crediti e di atto di recupero (25) – v. infra § 6).
Si ritiene che le contestazioni in tema di avviso di recupero possano formare oggetto di accertamento con adesione e conciliazione giudiziale (26).
Invero, in linea di principio, la giurisprudenza tende ad assimilare l’avviso di recupero dei crediti d’imposta all’atto di accertamento (27). Emblematiche le pronunce favorevoli all’applicabilità dell’articolo 12, comma 7 dello Statuto del contribuente, secondo cui “l’avviso con il quale l’Ufficio finanziario procede al recupero del credito di imposta non può essere emanato, in assenza di particolari ragioni di urgenza, prima che sia decorso il termine dilatorio di
(25) La giurisprudenza, pur assimilando di massima l’avviso di recupero all’atto di accertamento, ne accentua la funzione esattiva (Cass. n. 4687/2012 cit. e n. 8429/2017 cit.); ma v. infra note 29 e 30. (26) a. PaCe, Le agevolazioni fiscali, cit. Conf. Cass., Sez. trib., 7.7.2017, n. 16761 e 20.12.2017, n. 30577, risulta tuttavia avversa la prassi amministrativa. (27) Cass. n. 4687/2012 cit. e n. 8429/2017 cit.
sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, della L. 27 luglio 2000, n. 212, trattandosi di atto anch’esso impositivo, di accertamento della pretesa tributaria, a cui va, pertanto, estesa la disciplina procedimentale fissata da tale disposizione con specifico riferimento all’avviso di accertamento” (28).
Tuttavia, se per un verso l’introduzione dell’avviso di recupero consente una più ordinata ed agevole ricostruzione della funzione impositiva in tema di crediti d’imposta sovvenzionali, per altro emergono alcune perplessità sull’eccessività del termine decadenziale, sulla riscossione integrale senza graduazione e sulla vis attractiva a favore della giurisdizione tributaria.
Per quanto riguarda il termine decadenziale vi è una disparità di trattamento tra i controlli sulla veridicità dei fatti imponibili dichiarati, normalmente sottoposti al termine decadenziale di cinque anni (art. 43 D.P.R. n. 600/1973) ed i controlli sui crediti d’imposta sottoposti al termine decadenziale di otto anni (29). L’abnorme estensione del termine decadenziale non è giustificabile in base alla natura dell’oggetto del controllo, cioè di un credito d’imposta, immediatamente compensabile in liquidazione, rispetto al fatto imponibile dichiarato, che concorre alla liquidazione del tributo. Si consideri altresì che per le normali detrazioni d’imposta il termine è sempre quello ordinario. Ed invero vi sono margini interpretativi per salvaguardare la distinzione legislativa tra crediti inesistenti, che si esprimono in genere mediante atti fraudolenti tali da ostacolare i controlli, e crediti non spettanti, per i quali si pongono i normali problemi dichiarativi. Sulla base di tale distinzione il termine decadenziale di otto anni andrebbe limitato al solo recupero dei crediti inesistenti, ma va prendendo corpo un orientamento giurisprudenziale ispirato da bieca ragion fiscale, che tende a negare la distinzione e ad applicare sempre il termine decadenziale di otto anni (v. infra § 6).
Altrettanto opinabile risulta il regime della riscossione integrale senza graduazione, rispetto alle imposte accertate cui invece si applica la graduazio-
(28) Così Cass., Sez. trib., 22.5.2014, n. 19561; conf. Cass., Sez. trib. 18.11.2015 n. 23547 e Cass., Sez. trib., 22.5.2019, n. 13762. (29) Rispetto a quanto inizialmente stabilito per relationem dall’art. 1, comma 421, L. n. 311/2004, l’art. 27, comma 16, del d. l. 29 novembre 2008, n. 185 (conv. L. 28 gennaio 2009, n. 2), ha “esteso” fino al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello dell’utilizzo in compensazione il termine per l’adozione dell’atto di recupero “per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241” (sulla controversa distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti v. infra § 6).
ne. Più in generale risultano eccessive le specificità e le prerogative attribuite all’avviso di recupero, la cui funzione poteva essere normalmente assolta da un puro e semplice atto di accertamento (30). Per altro verso, volendo valorizzare la natura del “credito d’imposta”, risultano evidenti le disparità di trattamento rispetto ai crediti restitutori a favore del contribuente.
Particolarmente ostica risulta poi la questione della giurisdizione, sotto il profilo della vis attractiva che, di fatto, esprime l’avviso di recupero come atto impositivo impugnabile dinanzi al giudice tributario. Invero i crediti d’imposta sovvenzionali non hanno natura tributaria, giacché mediante forme e procedure tributarie danno corpo a veri e propri finanziamenti a favore del contribuente, giustificati da scelte di politica economica. A seconda delle scelte legislative e degli strumenti attuativi queste sovvenzioni potrebbero essere erogate mediante forme e procedure finanziarie o tributarie. Quindi, in astratto, si potrebbe profilare un problema di giurisdizione a favore del giudice ordinario o del giudice amministrativo, in quanto la giurisdizione delle Commissioni Tributarie riguarda le controversie tributarie, mentre nelle controversie sui crediti d’imposta sovvenzionali la connotazione tributaria attiene soltanto alle forme ed alle procedure utilizzate, ma non alla sostanza del rapporto. Tuttavia, la chiara connotazione dell’avviso di recupero come atto impositivo fa si che tali questioni sfumino nella prassi applicativa, che risente della vis attractiva dell’avviso di recupero a favore della giurisdizione tributaria, a prescindere dalla sostanza delle situazioni giuridiche controverse.
6. La distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti: implicazioni procedimentali e profili sanzionatori. – Sul fronte delle tutele si colloca anche il delicato problema della distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti.
Come di consueto nei periodi di crisi economico-finanziaria la giurisprudenza di legittimità tende a sovratutelare l’interesse fiscale.
Infatti, per quanto riguarda la specifica questione è emerso un orientamento giurisprudenziale che ritiene tempestiva l’azione impositiva, esercitata
(30) A favore della riscossione graduata Cass., sez. VI, 15/02/2013, n. 3838, secondo cui “gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta… hanno natura di avviso di accertamento, per cui a seguito di notifica dell’atto opera l’art. 15 e non 14 del D.P.R. n. 602/1973. Pertanto, la riscossione può avvenire, in pendenza di ricorso, nella misura di un terzo dell’imposta richiesta, e solo dopo il deposito della sentenza di primo grado sfavorevole al contribuente, essa può continuare sino ai due terzi dell’imposta…” (in Il Fisco 2013, 1485); tuttavia si tratta di orientamento resistito dalla formulazione letterale della norma, v. retro note 25 e 29.
oltre i termini decadenziali di cui all’art. 43, D.P.R. 600/1973, ove si tratti di recuperare crediti non spettanti (31).
Secondo tale tesi troverebbe sempre applicazione l’art. 27, comma 16, d.l. 185/2008 (c.d. “Decreto Anticrisi” convertito con la l. 2/2009) a mente del quale l’atto di recupero dei crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, d.lgs. 241/1997 deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo; viene pertanto travolta la distinzione legislativa ed equiparato il recupero dei crediti inesistenti con il recupero dei crediti non spettanti (32).
Il fondamento di tale tesi poggia sulla gravità dei comportamenti profittatori dei contribuenti, sulla vaghezza dei raccordi normativi tra norme sanzionatorie e norme sui controlli e soprattutto sulla asserita difficoltà/irrilevanza della distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti (33).
(31) Cass., Sez. trib., 21.4.2017, n. 10112; Cass., Sez. trib., 2 .8.2017, n. 19237; Cass., Sez. trib., 30.10.2020, n. 24093, Si tratta però di decisioni riferibili, ratione temporis, a fattispecie antecedenti agli interventi legislativi in materia di sanzioni amministrative e reati (v. infra); interventi che hanno indotto la Corte di Cassazione mutare indirizzo (v. infra, e partic. nota 40). (32) Agenzia delle Entrate, circolare 23.12.2020 n. 31/E. Si segnala tuttavia la risoluzione n. 36/E del 8 maggio 2018, nella quale l’Agenzia aveva affermato che nel caso in cui “il credito inesistente da eccedenze d’imposta sia stato esposto in dichiarazione e successivamente utilizzato, si deve procedere unicamente con l’emissione degli atti tipici di accertamento in rettifica della dichiarazione, da notificarsi entro gli ordinari termini di decadenza, con applicazione della sanzione per infedele dichiarazione” in quanto “il riferimento operato al riscontro dell’esistenza del credito da utilizzare in compensazione mediante procedure automatizzate rappresenta … una condizione ulteriore rispetto a quella dell’esistenza sostanziale del credito ed è volta a evitare che si applichino le sanzioni più gravi quando il credito, fruito in compensazione indebitamente, possa comunque essere “intercettato” mediante controlli automatizzati (circostanza, questa, che priva la condotta del contribuente di quella lesività idonea a giustificare la più grave misura sanzionatoria)”. (33) Eppure, come evidenziato da C. CaliFano, Le sanzioni per le violazioni commesse in materia di agevolazioni fiscali per ricerca e sviluppo. Dalla prassi interpretativa alla ricostruzione teorica (e non viceversa), in Riv. dir. trib., 2020, 353, la relazione dell’Ufficio del Massimario, n. III/05/2015 del 28 ottobre 2015, individua come inesistenti quei crediti che risultano tali sin dall’origine (perché il credito utilizzato non esiste materialmente o perché, pur esistente, è già stato utilizzato una volta), oppure anche quelli che non sono esistenti dal punto di vista soggettivo (cioè dei quali è riconosciuta la spettanza ad un soggetto diverso da quello che li utilizza in compensazione) o, infine, quelli sottoposti a condizione sospensiva. Al contrario, sono crediti non spettanti quelli utilizzati oltre il limite previsto dalla norma oppure in compensazione, violando il divieto di compensazione per ruoli non pagati (assenza di dolo specifico e conseguente configurabilità della fattispecie sanzionatoria in caso di dolo generico o colpa del contribuente).
Viceversa, sono molteplici gli argomenti a sostegno della distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti, che assume rilevanza non solo in ambito procedimentale ma anche dal punto di vista sanzionatorio. Va quindi accolto con sollievo l’emergente orientamento giurisprudenziale che valorizza tale distinzione ai fine del termine decadenziale (v. infra).
Sul piano legislativo l’art. 1, comma 421, l. n. 311/2004 (34), che ha introdotto l’avviso di recupero dei crediti d’imposta, non contiene alcuna specifica previsione in merito ai termini di decadenza entro cui notificare l’atto; il rinvio alle disposizioni del D.P.R. n. 600/1973 e del D.P.R. n. 633/1972, comporta quindi il semplice recepimento dei termini decadenziali ivi previsti.
Il successivo art. 27, comma 16, del d.l. n. 185/2008, ha esteso fino al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello dell’utilizzo in compensazione il termine per l’adozione dell’atto di recupero “per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione” (35).
Dal confronto tra le due norme è in linea di principio ragionevole ritenere che la previsione di un termine più ampio per la notifica degli atti di recupero riguardi esclusivamente quei crediti la cui esposizione derivi da atti fraudolenti, per loro natura tali da ostacolare l’attività di controllo. Per tali casi è altresì ragionevole prevedere che il termine per il controllo decorra dalla data di effettuazione della indebita compensazione e non dalla presentazione della dichiarazione.
Ma la situazione è ben diversa quando il credito è semplicemente non spettante.
(34) La norma prevede testualmente che “ferme restando le attribuzioni e i poteri previsti dagli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, nonché quelli previsti dagli articoli 51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, l’Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall’articolo 60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973…”. (35) La norma prevede testualmente che “…l’atto di cui all’articolo 1, comma 421, della L. 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”.
Come è noto, infatti, la stessa giurisprudenza ritiene non spettante il credito che, pur certo nella sua esistenza, sia per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in operazioni di liquidazione/ compensazione (36); il credito non spettante esiste, ma il suo utilizzo avviene o in misura superiore rispetto a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalla legge.
Più in generale il credito inesistente per essere utilizzato in sede di liquidazione/ compensazione richiede che il contribuente rappresenti situazioni di fatto inesistenti, artificiose, dichiarate come vere, ma invece false ecc.; mentre il credito non spettante presuppone dichiarazioni vere e genuine rappresentazione di fatti, sia pure con margini di apprezzamento rilevanti in termini di non spettanza. Per i primi manca in tutto o in parte il presupposto costitutivo, che viene falsamente rappresentato; per i secondi il presupposto costitutivo sussiste, ma per altre ragioni il credito è da considerarsi non spettante. Ed è appena il caso di evidenziare che tale distinzione rileva anche in termini di elemento soggettivo, configurandosi di norma il dolo in caso di utilizzo di crediti inesistenti e la mera colpa in tema di utilizzo di crediti non spettanti.
Per quanto riguarda i crediti non spettanti il contribuente non attua nessun comportamento artificioso, nessuna attività fraudolenta tale da ostacolare l’azione impositiva per cui l’Agenzia ne verifica la spettanza attraverso le consuete modalità previste per le normali attività di controllo.
Del resto, la distinzione rileva anche dal punto di vista sanzionatorio.
Infatti, l’art 13 d.lgs. 18.12.1997, 471, specifica inequivocabilmente che “si intende inesistente il credito in relazione al quale manca in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter, D.P.R. 600/1973 e all’articolo 54bis, D.P.R. 633/1972” (comma 4).
Inoltre “nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica… la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato” con riferimento ai crediti “non spettanti” (art. 13, comma 4); mentre “nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi” (comma 5).
(36) V. ad es. Cass. pen., Sez. III, 11.09.2020, n. 25922.
La differenziazione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti rileva anche in ambito penale, come si desume dall’art. 10-quater d.lgs. 10.3.2000 n. 74 (significativamente introdotto, mediante specifica riforma, dall’art. 9, d.lgs. 24.9.2015, 158) (37).
Le compensazioni effettuate mediante crediti non spettanti (comma 1) sono distinte da quelle realizzate attraverso l’utilizzo di crediti inesistenti (comma 2); alle prime si applica la reclusione da 6 mesi fino a 2 anni, alle seconde la reclusione da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni (38).
Si tratta di norme dal significato non equivocabile, che sono state di recente valorizzate prima da un’ordinanza interlocutoria della sezione VI della Corte di Cassazione (39) e poi da un gruppo di recenti sentenze della sezione tributaria, secondo cui “in tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l’applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall’art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008… presuppone l’utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – anche ai sensi dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.lgs. n. 471/1997 (introdotto dall’art. 15 del d.lgs. n. 158/2015) – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile
(37) La nuova norma distingue inequivocabilmente, introducendo la nuova fattispecie di reato di indebita compensazione di crediti inesistenti, differenziata dalla indebita compensazione di crediti non spettanti.
Risulta significativa anche la relazione illustrativa all’art. 27 del d. l. n. 185/2008 che per giustificare l’inasprimento dell’intervento legislativo fa riferimento ad una “artificiosa rappresentazione contabile dei crediti in sede di autoliquidazione del debito” idonea ad ostacolare o, comunque, a “rendere infruttuosa l’azione di controllo ai danni dell’Erario”. (38) La distinzione rieleva anche rispetto al regime delle cause di non punibilità di cui all’ art. 13, d.lgs. 74/2000, secondo cui “i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso”. È chiaro che la non punibilità ex art. 13 per il reato “indebita compensazione” può operare soltanto per la fattispecie meno grave dell’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti (art. 10-quater, comma 1) e non anche in caso di compensazione di crediti inesistenti (art. 10-quater, comma 2). (39) Con ordinanza 29.12.2020, n. 29717, la sezione VI, discostandosi dai precedenti giurisprudenziali da essa ritenuti non condivisibili (retro nota 31), ha rinviato la causa alla Sezione V tributaria.
mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972” (40).
7. La finanziarizzazione dei crediti d’imposta (bonus, superbonus e misure emergenziali). – I crediti d’imposta con funzione sovvenzionale sono stati recentemente interessati da due fenomeni di particolare rilevanza sistematica ed applicativa.
La crisi economico-finanziaria provocata dalla pandemia del Covid-19 e dalla emergenza sanitaria ha indotto molti Stati, e certamente l’Italia, ad accentuare l’utilizzo dei crediti d’imposta come strumento di politica economica di sostegno alle imprese ed alle famiglie, dando luogo ad una vera e propria proliferazione di crediti, bonus, superbonus ecc.
Al tempo stesso si è assistito alla finanziarizzazione dei crediti d’imposta con funzione sovvenzionale, cioè all’introduzione di meccanismi tali da rendere praticabile la circolazione e la cessione di tali crediti, così da promuoverne l’appeal anche per i contribuenti con scarsa o limitata capacità fiscale.
La molteplicità e varietà dei crediti d’imposta introdotti dall’alluvione legislativa emergenziale risulta difficilmente delimitabile e riconducibile a sistema. È comunque utile tentare di delineare i tratti caratterizzanti degli interventi legislativi in questione, soprattutto considerando la nuova tipologia dei crediti d’imposta cedibili (41).
Il d.l. 19.5.2020, n. 34, c.d. “Decreto Rilancio” (conv. con L. 17.7.2020, n. 77) (42), può fungere da punto di riferimento normativo (43).
(40) Cass., Sez. Trib. 16.11.2021, nn. 34443, 34444 e 34454. (41) È chiaro che in questa sede viene esaminato il nuovo tema della cessione dei crediti d’imposta, in senso stretto, mentre la cessione dei crediti tributari presenta una vasta e risalente esperienza (M. MiCCinesi, La cessione del credito IVA, in Rass. trib., 1984, 201; M. CanTillo, La cessione dei crediti per imposte dirette, ibidem, 1999, 28; F. Tesauro, In tema di ritenute d’acconto a carico dei fallimenti e di cessione dei crediti d’imposta, in Boll. trib., 2003, 885; L. del FederiCo, L’acquisizione dei crediti tributari nell’attivo fallimentare, in Riv. dir. trib., 2013, 113; id., I crediti tributari nella realizzazione e nel riparto dell’attivo fallimentare, Padova, 2014). (42) Si segnalano anche: il d.l. 17.3.2020, n. 18 (c.d. “Decreto cura Italia”), conv. con l. 24.4.2020, n. 27; il d.l. 8.4.2020, n. 23 (c.d. “Decreto Liquidità”), conv con l. 5.6.2020, n. 40. (43) Per un ampio commento delle norme in questione v.: s. Brunello, M. Fasola, La cessione delle detrazioni fiscali e dei crediti d’imposta nel c.d. “Decreto Rilancio”, in www. dirittobancario.it, 1.10.2020; F. Civale, r. donzelli, Superbonus: la cessione dei crediti d’imposta a banche ed intermediari finanziari, in www.dirittobancario.it, 15.12.2020.
Tra le misure agevolative, ai nostri fini, spiccano i crediti d’imposta per fronteggiare direttamente le spese connesse all’emergenza sanitaria (credito per botteghe e negozi; credito per canoni di locazione ad uso non abitativo e affitto d’azienda; i crediti per l’adeguamento degli ambienti di lavoro e per la sanificazione e l’acquisto di dispositivi di protezione) e le detrazioni fiscali al 110% per lo svolgimento di determinati interventi edilizi, c.d. superbonus (44) (artt. 119, 121 e 122) (45). Ma soprattutto spicca il profilo della finanziarizzazione, giacché per taluni crediti d’imposta affianco all’utilizzo diretto da parte del contribuente / beneficiario è prevista anche la cessione a terzi.
Questo peculiare regime di cedibilità si applica solo alle detrazioni tassativamente indicate. Le norme parlano genericamente e confusamente a volte di detrazioni fiscali a volte di crediti d’imposta, ma si tratta sempre di crediti d’imposta con funziona sovvenzionale, quand’anche la distinzione tra detrazioni e crediti non sia particolarmente agevole e soprattutto risulti scarsamente utile sul piano sistematico ed applicativo (v. comunque retro §§ 1, 2 e 3).
L’art. 121, “Opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali”, presenta particolare interesse, ma assume analoga rilevanza, sia pure con qualche differente dettaglio normativo, anche l’art. 122, “Cessione dei crediti d’imposta riconosciuti da provvedimenti emanati per fronteggiare l’emergenza da Covid-19” (46).
In linea generale l’art. 121 prevede che “i soggetti che sostengono, negli anni 2020 e 2021, spese per gli interventi elencati al comma 2 possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente: a) per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante, con facoltà
(44) Sui profili tributari delle misure più importanti v.: n. Treglia, Il “Superbonus edilizio”: un’opportunità per la riconversione energetica del patrimonio immobiliare italiano, in Tax News, 21.9.2020; s. giorgi, Superbonus: riqualificazione energetica, “rivoluzione verde” e dubbi sul regime di responsabilità di fornitori e cessionari, in Riv. tel. dir. trib., settembre 2021. (45) L’esame di tali misure agevolative rispetto al regime Unionale degli aiuti di Stato non può essere affrontato in questa sede, ma v. Commissione Europea, Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del Covid 19 (marzo 2020 e succ. modif.). (46) Per le specifiche disposizioni attuative v. i Decr. Dirett. Agenzia Entr. 1.7.2020, n. 250739 e 10.7.2020, n. 259854.
di successiva cessione del credito ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari; b) per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare, con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari” (47).
In sostanza la norma consente ai contribuenti aventi diritto a talune specifiche detrazioni fiscali di optare – in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione – per uno sconto sul corrispettivo dovuto al fornitore che realizza l’intervento o, in alternativa, per la cessione a terzi di un credito d’imposta di importo pari alla detrazione.
La misura è stata introdotta in via sperimentale nell’ambito della legislazione emergenziale Covid-19 (48), ma non è nuova, giacché riprende le analoghe disposizioni in materia di ecobonus e sismabonus ex artt. 14 e 16 d.l. 4.6.2013, n. 63 (49). Anzi è verosimile che con il tempo si vada consolidando la categoria dei crediti d’imposta cedibili, caratterizzata da notevoli peculiarità.
L’appeal finanziario della misura è rilevante sia per i contribuenti con limitata capienza fiscale, cioè privi di un debito d’imposta tale da assorbire integralmente la detrazione, sia per i contribuenti che, pur avendo adeguata capienza fiscale, preferiscono la immediata liquidazione del controvalore della detrazione.
Ma ciò che più conta è che lo sconto o la cessione si pongono frequentemente come l’unica via per fruire delle detrazioni d’imposta, per loro natura precluse ai contribuenti che possiedono esclusivamente redditi assoggettati a tassazione separata, ad imposta sostitutiva, a regimi forfettari ecc., e soprattutto per loro natura non praticabile per i soggetti residenti all’estero (50).
Sul piano procedimentale ed attuativo la misura è caratterizzata da una disciplina estremamente dettagliata, sulla quale non ha senso soffermarsi (51).
(47) Per le disposizioni di dettaglio v. il Decreto Direttoriale Dir. Agenzia Entrate, 8.8.2020, n. 283847. Recante “Disposizioni di attuazione degli articoli 119 e 121 del decretolegge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, per l’esercizio delle opzioni relative alle detrazioni spettanti per gli interventi di ristrutturazione edilizia, recupero o restauro della facciata degli edifici, riqualificazione energetica, riduzione del rischio sismico, installazione di impianti solari fotovoltaici e infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici”. (48) In tal senso la Relazione illustrativa al provvedimento. (49) Ag. Entr., circ. 18.5.2018, n. 11/E e circ. 23.7.2018, n. 17/E; per un primo commento v. s. Brunello, M. Fasola, La cessione delle detrazioni fiscali e dei crediti d’imposta, cit. (50) Per casistica ed esempi v. Ag. Entr. circ. 8.8.2020, n. 24/E. (51) V. comunque v. il Decreto Direttoriale n. 283847/2020 e la circolare Ag. Entr. n.
In questa sede rileva l’emergere di una nuova tipologia di crediti d’imposta con funzione sovvenzionale, che in ragione della finanziarizzazione da corpo alla cedibilità dei crediti, contrapposta alla tradizionale non cedibilità.
L’aspetto di maggiore interesse è quindi certamente quello dell’opzione per lo sconto o la cessione in luogo della diretta fruizione del credito da parte del contribuente.
In base alla formulazione dell’art. 121, comma 1, ed alla normativa attuativa (punto 4, Decr. Dirett.) il mancato rispetto dei termini e delle modalità procedimentali attinenti alla comunicazione di opzione, comporta l’inefficacia dell’opzione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Il che vuol dire che: - la diretta fruizione del credito è da intendersi come regime base e naturale, salva diversa opzione; - l’inefficacia relativa nei confronti dell’Agenzia non priva l’opzione della residua efficacia nei rapporti privatistici, secondo la logica tradizionale e risalente dell’inopponibilità della cessione dei crediti tributari non adeguatamente formalizzata nei confronti dell’Amministrazione (52).
Risulta evidente che lo sconto e la cessione presentano molteplici profili di rilevanza applicativa sul piano dei rapporti privatistici non solo nell’ipotesi patologica di inefficacia dell’opzione, ma anche nella sfera fisiologica dei rapporti fra contribuente, e fornitore, o cessionario.
Ovviamente lo sconto in fattura può essere praticato solo dal fornitore dei beni e servizi e presuppone un accordo fra le parti. È da escludere la doverosità dello sconto, in quanto il fornitore può legittimamente negare la sua disponibilità: “l’opzione in questione è esercitata dal contribuente che sostiene le spese “di intesa con il fornitore”, rientrando tale intesa nelle ordinarie dinamiche dei rapporti contrattuali e delle pratiche commerciali” (53).
Tuttavia, l’autonomia privata delle parti nella negoziazione dell’accordo subisce dei limiti, giacché la normativa (soprattutto il Decreto Direttoriale n. 283847/2020) prevede che: - “il contributo sotto forma di sconto… è pari alla detrazione spettante… e non può in ogni caso essere superiore al corrispettivo dovuto. A fronte dello sconto praticato, al fornitore è riconosciuto un credito d’imposta pari alla detrazione spettante” (§ 3.1 del Decr. Dirett.);
24/E – 2020; per un ampio commento v. altresì v. s. Brunello, M. Fasola, La cessione delle detrazioni fiscali e dei crediti d’imposta, cit. (52) Sul punto v. l. del FederiCo, L’acquisizione dei crediti tributari, cit., 123. (53) Così, condivisibilmente, l’Ag. Entr. nella risoluzione 9.9.2020, n. 325.
- l’importo dello sconto non riduce l’imponibile ai fini IVA e va espressamente indicato in fattura, quale sconto ex art. 121 del Decreto Rilancio; - l’importo della detrazione è quantificato tenendo conto delle spese complessivamente sostenute nel periodo d’imposta, comprensive dell’importo non corrisposto al fornitore a titolo di sconto; - lo sconto praticato dal fornitore deve includere l’IVA addebitata al contribuente, in quanto la detrazione si applica sul totale della spesa, al lordo dell’IVA (54).
Grande rilevanza ha assunto poi l’ulteriore ipotesi della cessione a terzi del credito d’imposta, soprattutto in ragione della possibilità che intervengano come cessionari “altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari” (art. 121, comma 1, lett. b) (55). Ed è appena il caso di evidenziare come l’Agenzia delle Entrate abbia optato per una interpretazione particolarmente estesa dell’ambito soggettivo dei cessionari, tale da ricomprendere: i “fornitori dei beni e dei servizi necessari alla realizzazione degli interventi”; gli “altri soggetti (persone fisiche, anche esercenti attività di lavoro autonomo o d’impresa, società ed enti”; gli “istituti di credito e intermediari finanziari” (56).
Lo spazio dell’autonomia privata, per la libera negoziazione della cessione, è ancor più significativo rispetto alla collaterale ipotesi dello sconto in fattura: la determinazione del corrispettivo della cessione non è soggetta a limiti, fermo restando che il credito d’imposta sarà in ogni caso pari all’importo della detrazione spettante (57).
Il regime della cedibilità delineato dall’art. 121 presenta sostanziali convergenze con l’analoga disciplina dell’art. 122.
In linea di principio la disciplina della cessione dei crediti delineata dal Codice Civile e dalla legislazione tributaria potrà risultare applicabile anche alla cessione dei crediti d’imposta, salvo quanto specificamente previsto.
(54) In tal senso Ag. Entr., circ. n. 24/E – 2020. (55) Facoltà di cessione che in precedenza, in tema di ecobonus e sismabonus, era riconosciuta solo ai soggetti che si trovavano nella “no tax area” e con ambito dei possibili cessionari alquanto limitato (Ag. Entr., circ. n. 11/E - 2018). (56) Circolare n. 24/E - 2020. Sui profili finanziari ed antiriciclaggio v.: F. Civale, r. donzelli, Superbonus: la cessione dei crediti d’imposta, cit.; M. Perrino, La cessione di crediti di imposta ad “altri soggetti” nel c.d. decreto rilancio, in Riv. dir. banc., 2021, 457 ss. (57) Analogamente allo sconto in fattura, anche ai fini della cessione il credito d’imposta va quantificato tenendo dell’IVA addebitata al contribuente, giacché la detrazione si applica sul totale della spesa, al lordo dell’IVA (circolare n. 24/E - 2020).
7.1. L’utilizzo del credito da parte del fornitore o del cessionario; le misure di contrasto alle frodi e le responsabilità. – Il fenomeno della finanziarizzazione pone in evidenza anche le vicende del fornitore, o cessionario, che, avendo acquisito la disponibilità di un credito d’imposta, si trova di fronte all’alternativa tra il normale utilizzo in sede di compensazione e l’ulteriore cessione.
Per quanto riguarda il normale utilizzo in sede di compensazione la normativa, ispirata da finalità agevolative, è alquanto chiara (art. 121, comma 3).
Il fornitore o cessionario ha la facoltà di utilizzare il credito in compensazione ai sensi dell’art. 17, d.lgs. 9.7.1997, n. 241, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite; il credito è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la originaria detrazione; la quota di credito non utilizzata nell’anno non può essere fruita negli anni successivi e non può essere chiesta a rimborso; non si applicano le preclusioni poste dall’art. 34, l. 23.12.2000, n. 388 (per ruoli scaduti), ed i limiti quantitativi posti dall’art. 1, comma 53, l. 24.12.2007, n. 244.
Ma la finanziarizzazione giunge ad esprimere tutto il suo potenziale laddove viene consentita l’ulteriore cessione del credito: i fornitori o cessionari “possono cedere i crediti d’imposta ad altri soggetti, ivi inclusi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, con facoltà di successiva cessione” (Decr. Dirett. punto 6.1) (58).
La facoltà di procedere all’ulteriore cessione del credito era già prevista in tema di cessione ecobonus e sismabonus; tuttavia, al riguardo si era diffuso un orientamento della prassi amministrativa avverso alla possibilità di ulteriori – illimitate – cessioni (59).
(58) Si rammenta che Banca d’Italia, Consob ed Ivass in data 5.1.2021 hanno pubblicato un documento congiunto contenente chiarimenti in materia di applicazione degli IAS/IFRS in merito al trattamento contabile dei crediti d’imposta cedibili (“Documento Banca d’Italia/ Consob/Ivass n. 9 Tavolo di coordinamento fra Banca d’Italia, Consob ed Ivass in materia di applicazione degli IAS/IFRS”). (59) La Ragioneria Generale dello Stato aveva espresso riserve circa l’illimitata cedibilità dei crediti d’imposta, potendosi configurare effetti analoghi a quelli degli strumenti finanziari negoziabili, con il rischio di impatti negativi sui saldi di finanza pubblica. Su tali basi l’Agenzia delle Entrate, si era orientata restrittivamente, affermando in via interpretativa che la facoltà “deve intendersi limitata ad una sola eventuale cessione successiva a quella originaria” (circ. n. 11/E – 2018; conf. circ. n. 17/E - 2018). Successivamente il Decreto Direttoriale attuativo - 18.4.2019, n. 100372 – si è spinto sino a prevedere che “il credito d’imposta può essere ceduto da: …i cessionari del credito, i quali a loro volta possono effettuare una ulteriore cessione”. Su questi aspetti v. ampiamente M. Perrino, La cessione di crediti di imposta ad “altri soggetti”, cit., 460 ss.
Già in passato tali limitazioni, introdotte in via interpretativa, erano da considerarsi di dubbia legittimità, ma di certo oggi non sono più concepibili ed invero risultano superate anche dall’Agenzia delle Entrate, non solo nel Decreto Direttoriale attuativo, ma anche nella prassi (60).
La nuova categoria dei crediti d’imposta cedibili è caratterizzata da un regime della responsabilità del fornitore o cessionario piuttosto favorevole e tranquillizzante.
Infatti, a norma dell’art. 121, comma 4, i fornitori ed i cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto. E ciò in quanto in tal caso l’illecito è specificamente a loro imputabile, risultando estraneo il contribuente beneficiario.
Qualora sia accertata l’insussistenza dei requisiti che danno diritto alla detrazione, l’Agenzia delle Entrate provvede al recupero nei confronti dei soli contribuenti beneficiari della detrazione (art. 121, comma 5) (61). Solo a costoro è imputabile l’illecita fruizione della detrazione insussistente; quindi, risulta quanto mai ragionevole la loro esclusiva responsabilità.
(60) La circolare n. 24/E - 2020, si limitava laconicamente ad affermare che “i soggetti che ricevono il credito hanno, a loro volta, facoltà di successive cessioni”; mentre la successiva circolare 22.12. 2020, n. 30/E ha definitivamente chiarito che «…al sistema delineato dal citato articolo 121 non si applicano le limitazioni descritte nelle circolari 18 maggio 2018, n. 11/E e 23 luglio 2018, n. 17/E in merito alle modalità di effettuazione delle cessioni e all’individuazione dei soggetti cessionari previsti per gli interventi di cui all’articolo 14, commi 2-ter, 2-sexies e 3.1 e all’articolo 16, commi 1-quinquies e 1-septies del decreto legge n. 63 del 2013. Ciò in quanto in base alla disposizione normativa contenuta del citato articolo 121 espressamente è consentita la cessione del credito d’imposta (corrispondente alla detrazione spettante) nei confronti «di altri soggetti, ivi inclusi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari» senza che sia necessario verificare il collegamento con il rapporto che ha dato origine alla detrazione». Su tali questioni v.: S. Brunello, M. Fasola, La cessione delle detrazioni fiscali e dei crediti d’imposta, cit., e F. Civale, r. donzelli. Superbonus: la cessione dei crediti d’imposta, cit.; M. Perrino, La cessione di crediti di imposta ad “altri soggetti”, cit., 460 ss. (61) Nel caso in cui il contribuente opti per la cessione o per lo sconto, deve richiedere il visto di conformità dei dati relativi alla documentazione che attesta la sussistenza dei presupposti per fruire della detrazione (su questi profili v. s. giorgi, Superbonus: riqualificazione energetica, cit.).
Ben oltre gli essenziali profili ricostruttivi qui delineati si colloca un articolato e complesso quadro delle responsabilità sanzionatorie; v. per tutti r. savi, Il c.d. “Superbonus 110%”: i possibili illeciti e la risposta sanzionatoria penale, in Giur. penale Web, 2021, 9.
La detrazione non spettante, oggetto di recupero, è maggiorata dei normali interessi (art. 20 D.P.R. n. 602/1973) e delle sanzioni di cui all’art. 13 d.lgs. n. 471/1997 (art. 121, comma 5).
Pertanto, in linea generale, ove risulti che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il soggetto che ha acquisito il credito non perde il diritto ad utilizzarlo.
Il fornitore o cessionario sarà punibile esclusivamente in caso di utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto, a nulla rilevando l’eventuale insussistenza della detrazione. Ne consegue che la sanzione è quella previsa dall’art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471/1997, pari al 30% del credito d’imposta indebitamente utilizzato (62).
Ben diversa la situazione in caso di concorso nell’illecito fra contribuente beneficiario e fornitore o cessionari.
L’art. 121, comma 6, chiarisce infatti che il recupero della detrazione “è effettuato nei confronti del soggetto beneficiario…, fermo restando, in presenza di concorso nella violazione, oltre all’applicazione dell’articolo 9, comma 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari…” (63).
Sotto questo profilo sembrerebbe emergere una differenza rispetto alle responsabilità dei cessionari dei crediti d’imposta ex art. 122.
Infatti, l’art. 122, comma 4, dispone che “i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in misura irregolare o in misura maggiore rispetto al credito ricevuto”. Quindi, a differenza di quanto previsto dall’art. 121, non è espressamente richiamato l’art. 9 d.lgs. n. 472/1997.
Alcuni commentatori propendono per l’applicabilità dell’art. 121, comma 6 (64), in via analogica, ma in realtà la responsabilità in solido per il recupero
(62) In senso analogo a. MasTroMaTTeo, Superbonus, cessione dei crediti e correlate responsabilità, in Il fisco, 2020, 27, 2621 (63) s. giorgi, Superbonus: riqualificazione energetica, cit., evidenzia che “nel caso della circolazione del credito o dello sconto in fattura… i terzi coinvolti nella vicenda risultano … garantiti circa la correttezza dell’iter dall’apposizione del visto di conformità che dovrebbe, in linea di principio, escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del terzo. Occorre tuttavia precisare, con riferimento all’apporto causale del terzo necessario a determinarne la punibilità a titolo di concorso, che, generalmente, si ritiene non sufficiente la mera connivenza o tolleranza del terzo, ma si richiede un’effettiva incidenza sulla condotta dell’autore materiale in termini materiali (ad. esempio la predisposizione di documentazione per consentire la formazione di una dichiarazione infedele o la fruizione di un credito non spettante) o morali (determinando o rafforzando, attraverso una partecipazione psichica, il proposito dell’autore di commettere la violazione). (64) s. Brunello, M. Fasola, La cessione delle detrazioni fiscali e dei crediti d’imposta, cit.
non può trovare applicazione, trattandosi di analogia in malam partem, mentre l’art. 9 cit. trova diretta e normale applicazione (65) tanto per le ipotesi di concorso riconducibili alle fattispecie di cui all’art. 121, quanto per quelle riconducibili all’art. 122, giacché il richiamo effettuato dall’art. 121 è di natura meramente confermativa.
Nel “Decreto Rilancio” n. 34/2020, la legge di Bilancio 30 dicembre 2021, ha introdotto l’art. 122 bis, concernente misure di contrasto alle frodi e controlli preventivi.
L’Agenzia delle Entrate, entro cinque giorni dall’invio della comunicazione dell’avvenuta cessione del credito, può sospendere, per un periodo non superiore a trenta giorni, gli effetti delle comunicazioni che presentino profili di rischio (66), ai fini del relativo controllo preventivo. Se all’esito del controllo risultano confermati i rischi, la comunicazione si considera non effettuata e l’esito del controllo è comunicato al soggetto istante; se, invece, i rischi non risultano confermati, ovvero decorra comunque il periodo di sospensione, la comunicazione produce tutti i propri effetti.
È ovvio che restano fermi gli ordinari poteri di controllo dell’Agenzia (come prevede l’art. 12-bis, comma 3), ma il mancato esercizio dei poteri cautelari ed il buon esito del controllo possono ingenerare legittimo affidamento ed altresì assumere rilievo ai fini dell’esclusione della colpevolezza delle parti coinvolte nell’operazione.
lorenzo del FederiCo
(65) Sui limiti dell’art. 9 e sulle relative difficoltà applicative v. per tutti C. riCCi, Il concorso di persone, in AA.VV., Trattato di diritto sanzionatorio tributario, diretto da A. Giovannini, Tomo II, Milano, 2016,1528 ss. (66) Le misure di contrasto alle frodi risultano particolarmente pregnanti ai fini del sistema antiriciclaggio. L’art. 122-bis, comma 4, prevede infatti che “soggetti obbligati di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, che intervengono nelle cessioni comunicate ai sensi degli articoli 121 e 122 del presente decreto, non procedono all’acquisizione del credito in tutti i casi in cui ricorrono i presupposti di cui agli articoli 35 e 42 del predetto decreto legislativo n. 231 del 2007, fermi restando gli obblighi ivi previsti”. Nella sostanza, nell’ambito dei controlli antiriciclaggio, tutti i soggetti obbligati ai controlli, debbono astenersi dal dare corso alla cessione dei crediti d’imposta, in caso di operazioni sospette o in caso di impossibilità oggettiva di effettuare un’adeguata verifica.