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Onere della prova “complesso” nelle frodi IVA di natura soggettiva..................... I
Onere della prova “complesso” nelle frodi IVA di natura soggettiva*
Sommario: 1. Il fenomeno delle frodi IVA ed il concetto (solo italiano) di operazioni soggettivamente inesistenti – 1.1. L’introduzione dell’elemento soggettivo della buona fede nell’ermeneutica della CGUE – 1.2. Soluzione al problema dell’onus probandi ed individuazione per via giurisprudenziale degli elementi oggettivi. – 2. La “difficile” seconda stagione della giurisprudenza di legittimità nel distinguo tra frodi IVA ed operazioni soggettivamente inesistenti. – 3. Le ultime posizioni degli Eurogiudici e della Suprema Corte di Cassazione, in ambito di frodi IVA, sull’atteggiamento psicologico del contribuente. – 4. L’irrisolto problema della duplicazione e moltiplicazione della pretesa dell’IVA nelle frodi più complesse. – 5. Proposte risolutive concrete al problema delle frodi IVA.
Muovendo da una breve introduzione sui fattori caratterizzanti le principali tipologie di schemi fraudolenti in materia di IVA e l’utilizzo (eventuale) di questi paradigmi concettuali da parte della Corte di Giustizia e della Cassazione, il contributo passerà in rassegna le principali pronunce della giurisprudenza sia a livello eurounitario che a livello nazionale, proponendo un’analisi dell’evoluzione bifocale dell’onus probandi e del thema probandum sulle frodi IVA. Si constaterà quindi che, al fine di rispondere alle istanze di tutela, da una parte, del legittimo affidamento e della certezza del diritto, e dall’altra, della lotta alle frodi fiscali, l’orientamento giurisprudenziale Europeo e, più faticosamente, quello nazionale di legittimità risponderanno con un mutamento evolutivo riguardo all’elemento soggettivo della buona fede con lo scopo di riconoscere la detrazione IVA, passando da una visione “oggettiva” – che ben si addice alla generale fisiologia del sistema – ad una valorizzazione della partecipazione psicologica e materiale ad un’operazione fraudolenta, al fine di negare la detrazione IVA in situazioni patologiche.
The article depicts the main CJEU’s case laws as well as the Italian Supreme Court’s decisions on VAT tax frauds, by proposing a two-faced analysis on the “onus probandi” and “thema probandum” topics. The findings of this paper will highlight different alignment capabilities, from the two jurisdictional bodies, to the subjective element of the good faith, shifting from an “objective” setting to the enhancement of the subjective transferee’s acknowledgment concerning fraudulent operations.
* La pubblicazione è fatta dall’Autore a titolo personale e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.
1. Il fenomeno delle frodi IVA ed il concetto (solo italiano) di operazioni soggettivamente inesistenti. – Il proliferare delle più variegate tipologie di schemi fraudolenti in materia di IVA costituisce lo sfruttamento patologico dei basilari meccanismi di funzionamento (1) dell’IVA, quale “tributo europeo” (2). L’illecito sfruttamento del principio di neutralità (3), con la distorta regolazione dei rapporti forza tra obbligo di rivalsa (4) e diritto di detrazione (5), costituisce l’obiettivo principale di ogni architettura fraudolenta in materia di IVA.
Nel panorama assai vasto delle operazioni fraudolente in materia di IVA, occorre tenere distinte alcune macro tipologie quali: a) situazioni in cui il disegno criminoso sottende alla realizzazione di una contrattazione effettiva con un soggetto interposto reale, a margine della quale si verifica la frode mediante l’omesso versamento dell’IVA da parte del cedente ed al cessionario è attribuibile la “mera consapevolezza” (6) di frode altrui (7); b) ipotesi dove la frode IVA deriva invece dalla simulazione – intesa come diretta partecipazione volitiva all’illecito (8) – di un negozio giuridico dove i contraenti reali divergono da quelli che risultano essere i soggetti formalmente coinvolti dal ciclo di fatturazione (9). Si tratta delle cd. operazioni “soggettivamente
(1) Gli elementi costitutivi del funzionamento di tale imposta armonizzata sono individuabili nella stretta correlazione tra il sistema della rivalsa e l’istituto della detrazione, all’interno del quadro applicativo del principio “transitorio” di tassazione nel paese di destinazione. (2) Così, tra gli altri, A. CoMelli, Iva comunitaria e Iva nazionale, Padova, 2000, 1 e A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, in Diritto tributario italiano ed europeo, Torino, 2013, 1. (3) Senza pretesa di esaustività, si rimanda a A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 37. (4) Istituto la cui obbligatorietà è espressamente sancita dall’ordinamento nazionale all’art. 18 del D.P.R. n. 633/1972 ed implicitamente dai riferimenti praticati dagli artt. 1 e 226 della Direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE. (5) Facoltà prevista dall’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 e dall’art. 168 Direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE. (6) Soluzione ermeneutica introdotta per via giurisdizionale comunitaria. (7) G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, Padova, 2013, 28. (8) Così, G. MosCheTTi, Diniego di detrazione per consapevolezza nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 6 ss. e M. GREGGI, Presupposto soggettivo e inesistenza nel sistema d’imposta sul valore aggiunto, in Il Diritto Tributario d’Europa, Padova, 2013, 15. (9) Così, A. gaggero, Operazioni soggettivamente inesistenti: ancora qualche pericolosa oscillazione in tema di ripartizione dell’onere della prova della buona fede, in
inesistenti” (10), sovrastruttura concettuale (11) di matrice italiana – mutuata in ambito tributario dalla sfera penalistica (12) – non presente nell’elaborazione giurisprudenziale della CGUE, né tantomeno in maniera compiuta all’interno della legislazione tributaria nazionale (13); c) fattispecie riconducibili alle cd. operazioni oggettivamente inesistenti, dove l’elemento soggettivo degrada all’irrilevanza, atteso che risultano già di per sé dirimenti gli aspetti patologici legati alla carenza degli elementi oggettivi della fattispecie. Inoltre, in tal caso la finalità del contribuente (cessionario) non è tanto quella di evadere l’IVA, piuttosto quella di dedurre maggiori componenti negativi ai fini delle II.DD. ed ai fini IRAP (14) (15).
Considerata l’estrema eterogeneità delle fattispecie di frode IVA (16), al fine di garantire il rispetto dei principi europei di certezza, buona fede e proporzionalità (17), tra le diverse situazioni testé rappresentate si sarebbe dovu-
Diritto e Pratica Tributaria, n. 4, 2018, 1681 ss. (10) Alcuni recenti arresti della giurisprudenza di legittimità definiscono, come tali, quelle operazioni “che evidenzino cioè divergenza tra la realtà documentale e quella fattuale” (Cass., 01 aprile 2020, n. 10916, cit.). Si tenga presente che l’inesistenza può afferire tanto il profilo soggettivo del cedente quanto quello del beneficiario reale della prestazione, laddove venga indicato in fattura un soggetto cessionario che non ha realmente preso parte alla transazione economica.
Sulla definizione di operazione soggettivamente inesistente, senza pretesa di esaustività, A. Mangione, La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2), in E. Musco (a cura di), Diritto penale tributario, Milano, 2022, 35 ss.; A. lanzi-P. aldrovandi, Manuale di diritto penale tributario, Padova, 2011, 142 ss.; M. Pisani, La nozione di inesistenza nelle fatture soggettivamente false, in Riv. giur. trib., 2009, 338 ss. (11) Così, tra gli altri, N. raggi, Fine delle operazioni inesistenti nell’IVA?, in Diritto e pratica tributaria, n. 2, 2011, 343 ss. e M. greggi, Presupposto soggettivo e inesistenza nel sistema d’imposta sul valore aggiunto, op. cit., 20. (12) Art. 1 del D.Lgs. n. 74/2000. (13) Salvo il rimando presente nell’art. 21, co. 7, D.P.R. 633/72. (14) Da ultimo, occorre tenere distinte le fattispecie di falsità ideologica delle operazioni con i fenomeni abusivi disciplinati dall’art. 10-bis L. 212/2000, anche alla luce dal distinguo operato all’interno della norma sanzionatoria penal-tributaria, alla lettera g-bis dell’art. 1 D.Lgs. 74/2000. (15) Sui rapporti tra la nozione di fatturazione soggettivamente, oggettivamente inesistente e frodi (per escludere che la fittizietà oggettiva possa caratterizzare di per sé le frodi), si veda A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 24 ss. (16) Così, A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 167. (17) Art. 5 TFUE. La CGUE si è espressa su tale principio evidenziando che gli Stati, mediante le limitazioni imposte al diritto di detrazione, non devono eccedere quanto necessario per assicurare la riscossione dell’IVA ed evitare le frodi (Corte di Giustizia, 21 marzo 2000,
to trovare da sempre un distinguo per via legislativa e giurisdizionale, nonché una diversa graduazione (18) delle misure antifrode implementate in ragione della diversa pericolosità sociale di ciascuna condotta (19). Una tale distinzione non ha tuttavia trovato facile riconoscimento negli arresti giurisprudenziali nazionali, anche a causa delle interferenze della legislazione penale in ambito tributario in materia di operazioni soggettivamente inesistenti. Da tale contaminazione giuridica si è indebitamente venuta a creare, nell’ambito giurisdizionale e nella prassi accertativa interni, un’errata sovrapposizione concettuale tra il concetto di frode IVA e quello di operazione fittizia dal lato soggettivo, prescindente da quello che risulti essere il profilo psicologico soggettivo dell’acquirente: su tale premessa trovano fondamento le difficoltà per la Suprema Corte di recepire gli approdi ermeneutici del Giudice UE (20).
La sopra richiamata distinzione, in ottica di contestazione da parte dell’A.F. comporta invero differenze assai importanti in tema di thema probandum (21) e di onus probandi (22), sulla cui evoluzione si concentratà l’analisi della giurisprudenza nazionale ed eurounitaria di seguito proposta. 1.1. L’introduzione dell’elemento soggettivo della buona fede nell’ermeneutica della CGUE. – Sin dal 2006, la CGUE ha cercato di contemperare, non senza difficoltà, le differenti esigenze di repressione dei fenomeni fraudolenti
cause da C-110/98 a C 147/98; Corte di Giustizia, 21 marzo 2000, cause C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96). (18) Si veda, sul tema delle differenti gradazioni di offensività delle operazioni inesistenti, M. daMiani, Indebita detrazione delle fatture ai fini IVA e delle imposte dirette: ripartito l’onere della prova - operazioni inesistenti – Distribuzione dell’onere della prova nelle operazioni soggettivamente inesistenti, in Rivista di Giurisprudenza Tributaria, n. 5, 2018, 416 ss. (19) G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 19. (20) Così, A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 163 ss. (21) Così, G. MosCheTTi, Diniego di detrazione per consapevolezza nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 9 ss. (22) Infatti, in caso di operazioni false da un punto di vista soggettivo, all’A.F. compete solo la prova dell’inesistenza dell’operazione sulla base del fatto che le fatture non provengano dal soggetto cedente, nonché sulla base di altri elementi oggettivi quali le caratteristiche del fornitore “interposto” (e.g. assenza di struttura operativa, mancato svolgimento di attività d’impresa, inoperatività) e l’omesso versamento dell’IVA da parte di costui, ed al contribuente spetta invece l’onere di provare la propria inconsapevolezza riguardo alla fittizietà del fornitore; in caso di frodi IVA perpetrate dal fornitore, è maggiormente complessa la prova per l’A.F., poiché oltre a provare l’inesistenza dell’operazione fatturata, la stessa deve in prima battuta anche dimostrare la consapevolezza del contribuente riguardo all’esistenza della frode.
in materia di IVA e di tutela del singolo contribuente coinvolto senza colpa in tali meccanismi. Lo strumento prescelto è stato individuato nell’introduzione dell’elemento soggettivo della buona fede, quale discriminante fondamentale al ricorrere della quale veniva subordinato l’esercizio del diritto alla detrazione sugli acquisti ed all’esenzione sulle cessioni intracomunitarie. Nell’ottica della salvaguardia della liceità del mercato comune, la CGUE ha quindi inteso percorrere la via della responsabilizzazione dei soggetti passivi, ai quali viene attribuito l’onere di monitorare attentamente – nei limiti di quanto sia ragionevole da loro pretendere (23) – i propri acquisti e le proprie vendite, sulla base della ricerca di elementi oggettivi che conducano al discernimento tra situazioni in cui un operatore sia coinvolto in una trama fraudolenta e casistiche, al contrario, genuine.
Mediante le pronunce degli Eurogiudici di seguito descritte, è stato salutato con favore l’avvento della stagione della limitazione del diritto di detrazione dell’imposta addebitata sugli acquisti sulla base di una doppia verifica della compresenza sia di un elemento oggettivo che di un presupposto soggettivo (i.e. la buona fede), quest’ultimo distinto ed autonomo rispetto alla componente oggettiva. L’introduzione della nozione di buona fede (in un’accezione “oggettiva” (24)) è di derivazione giurisprudenziale comunitaria, con il quale è stata data una risposta al tentativo di risolvere il mismatch tra l’esigenza di evitare il perpetrarsi di operazioni con effetti distorsivi della concorrenza sul mercato unico e quella di garantire ai contribuenti il diritto di detrazione
(23) Sull’evanescenza del principio di ragionevolezza, di cui la giurisprudenza fa largamente uso nell’esercizio della discrezionalità decisionale nel caso concreto, e sull’evoluzione dottrinaria del concetto di capacità contributiva si vedano, senza pretesa di esaustività, R. luPi, Alla ricerca del «fornitore», tra interlocutore giuridico ed esecutore materiale, in Dialoghi trib., 2012, 397 ss.; F. gallo, L’uguaglianza tributaria, Napoli, 2012, 60 ss.; F. MosCheTTi, Interesse fiscale e «ragioni del fisco» nel prisma della capacità contributiva, in Studi in onore di Gaspare Falsitta, Padova, 2012, 157 ss.; F. gallo, Le ragioni del fisco, Bologna, 2011, 79 ss.; A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 72 ss.
Sul principio di ragionevolezza con specifico riferimento alla crisi del paradigma causale a vantaggio di schemi a carattere funzionalistico, si veda A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 74 ss. (24) La buona fede in senso oggettivo integra il riconoscimento del diritto alla detrazione “…solo previo accertamento dell’ignoranza incolpevole della frode perpetrata a monte, laddove l’assenza di colpa viene misurata sulla base di comportamenti informativi e di controllo ispirati al principio di esigibilità secondo buona fede”, M. GREGGI, Presupposto soggettivo e inesistenza nel sistema d’imposta sul valore aggiunto, op. cit., 28.
dell’IVA sugli acquisti. A tal proposito, con la Sentenza “Optigen e a.” (25), in un contesto caratterizzato dall’insufficiente copertura legislativa, la Corte di Giustizia ha introdotto due elementi, uno oggettivo e l’altro di natura soggettiva in palese contraddizione tra loro, al fine di delineare la cornice entro la quale veniva fatto salvo il diritto di detrarre (to deduct) l’IVA da parte del cessionario.
Nello specifico, da un lato veniva rimarcata la necessità di una valutazione oggettiva in merito alla nozione di soggetto passivo, di cessione di beni e di attività economica indipendente dai suoi scopi e risultati. In tal senso, la CGUE manifestava la necessità di non tenere in considerazione la volontà del soggetto passivo, privilegiando il carattere obiettivo delle operazioni svolte, al fine di garantire il rispetto del principio della certezza del diritto nell’ambito della definizione delle operazioni rilevanti ai fini IVA; dall’altro lato, si faceva dipendere il diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti dall’evanescente concetto della conoscibilità della frode altrui (elemento di pura connotazione soggettiva).
Con l’introduzione di tali elementi di contraddittorietà (26), detta Sentenza ha ingenerato seri problemi di confusione sia nell’ambito delle pronunce giurisprudenziali di legittimità, come meglio si vedrà nel prosieguo della trattazione, sia nell’ambito dell’attività di controllo e di accertamento svolte dall’A.F. Malgrado le esternalità negative derivanti dai seppur nobili intenti degli approdi ermeneutici dei Giudici del Lussemburgo, si deve riconoscere una certa rilevanza a tale pronuncia, in quanto trattasi della prima iniziativa della CGUE in cui si pone l’accento sulla posizione giuridica del singolo operatore che, senza aver ricoperto il ruolo di ideatore della trama fraudolenta, risulti avere acquistato beni all’interno di una catena di transazioni in cui un’operazione a monte o a valle risultava interessata da una frode IVA.
Nella successiva Sentenza “Axel Kittel” (27), sulla scorta delle precedenti statuizioni contenute nella Sentenza “Optigen e a.” che, seppur riferite a casi
(25) Corte di Giustizia, 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03, C-484/03. Per una disamina approfondita della Sentenza in commento, si rinvia alla monografia di A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 80 ss. (26) Evidenziati nell’opera di A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 91 ss. (27) Corte di Giustizia, 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04. Per una disamina approfondita della Sentenza in commento, si rinvia alla monografia di A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 95 ss.
specifici, furono elevate ad assunzioni aventi valenza di principi generalmente applicabili, venivano fissati i seguenti concetti: I) l’assoluta irrilevanza, ai fini della detraibilità dell’IVA da parte del cessionario, della circostanza che l’acquisto venisse effettuato direttamente dal soggetto che ha commesso la frode (missing trader) rispetto al caso in cui l’acquisto avvenisse all’interno di una catena di operazioni più lunga, dove il dante causa dell’acquirente non rappresentava l’evasore dell’IVA con manifeste intenzioni fraudolente, ed il soggetto imputabile dell’impulso volitivo fraudolento si posizionava più a valle, o più a monte, rispetto al cessionario in considerazione; II) la possibilità per l’operatore che poneva in essere tutti gli accorgimenti che si possono ragionevolmente richiedere, al fine di assicurarsi che le operazioni in cui esso era coinvolto non facessero parte di una frode, di poter fare legittimamente affidamento sulla liceità di tali operazioni, cosicché lo spirito dell’art. 17 della VI Direttiva doveva essere individuato nell’inapplicabilità di una norma di diritto interno che pregiudicasse il diritto alla detrazione dell’IVA sulla base di una declaratoria di nullità del contratto di compravendita avente causa illecita (28).
Sin da subito emergeva il punto fondamentale – non adeguatamente messo a fuoco nella sopra citata pronuncia della CGUE – che riguardava la determinazione degli elementi oggettivi dell’accertamento soggettivo dello stato di consapevolezza, o conoscibilità, della frode IVA in capo al committente di beni o servizi (29).
Alla luce delle presenti considerazioni, tali approdi ermeneutici risultavano, proprio per la loro opacità, scarsamente dirimenti. Inoltre, seppur veniva, nella teoria, escluso l’obbligo per l’A.F. di effettuare indagini per accertare la volontà del soggetto passivo per la contrarietà agli scopi del sistema comune dell’IVA (certezza del diritto e proporzionalità), nel concreto, non si comprende come tale requisito soggettivo della buona fede potesse essere effettivamente vagliato in un contesto normativo sempre poco generoso nel delineare gli obblighi di controllo-vigilanza sulla condotta del venditore di cui sarebbe
(28) Sul rimando all’impostazione oggettiva della sentenza “Optigen e a.”, che statuisce l’ininfluenza dello scopo e del risultato di un’operazione con riguardo alla valutazione della sua rilevanza ai fini dell’applicazione dell’IVA si veda G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 29. (29) L. CosTanzo, Corsi e Ricorsi dell’accertamento di Frodi IVA tra fornitore e committente alla prova dei principi eurounitari – in Rivista telematica di diritto tributario, n. 1, 2020, cit., 431.
stato investito l’acquirente. Infatti, tali obblighi risultano da sempre essere solo il frutto dell’elaborazione giurisprudenziale multilivello, che faticano a stare al passo con l’estrema varietà e complessità dei modelli di frode IVA perpetrati.
Ulteriori pronunce di interesse sono riscontrabili nelle sentenze “Colee” (30) e “Teleos” (31), nelle quali il focus viene posto sulla posizione giuridica del cedente nell’ambito delle cessioni interne simulate, anche se, in realtà, non si tratta di operazioni ascrivibili all’ambito delle frodi IVA, in quanto dal realizzarsi delle stesse non derivava un vero e proprio pregiudizio per l’Erario.
Con la Sentenza “R.” della CGUE (32), la rilevanza dell’elemento soggettivo riguardante lo stato cognitivo del contribuente in relazione alla frode raggiunse la sua massima espressione: si assistette addirittura alla non condivisibile immolazione del principio di territorialità e del divieto di doppia imposizione su cui si fonda il sistema IVA, tramite la creazione per via giurisprudenziale di un “nuovo” tipo di operazione, quale la cessione intracomunitaria imponibile (nel paese di partenza dei beni) al fine di evitare che l’operazione potesse sfuggire all’imposizione fiscale ai fini IVA nel paese di destinazione. Tale pronuncia della CGUE non può essere condivisa in quanto, oltre alla non tollerabile degradazione alla quasi irrilevanza dei principi di territorialità e di divieto di duplicazione dell’imposizione, mediante il diniego dell’esenzione nel paese di partenza, viene ad essere creato un “ircocervo” (33) – figura mitologica dell’animale per metà caprone e per metà cervo – una sorta di ibrido consistente nel recupero dell’imposta dovuta a titolo di sanzione, che risulta difficilmente inquadrabile all’interno di una categoria giuridica determinata; altrimenti, in assenza di una norma che ciò consenta, verrebbe ad essere leso
(30) Corte di Giustizia, 27 settembre 2007, causa C-146/05. Per una disamina approfondita dell’evoluzione giurisprudenziale in commento, si rinvia alla monografia di A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 115 ss. (31) Corte di Giustizia, 27 settembre 2007, causa C-409/04. A conferma dei risultati raggiunti dalle sentenze Optigen e a. ed Axel Kittel, si veda A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 121 ss. (32) Corte di Giustizia, 7 dicembre 2010, causa C-285/09. Tale arresto giurisprudenziale altro non rappresenta che il corollario tanto logico, quanto aberrante, degli approdi contenuti nelle precedenti sentenze della CGUE commentate nel presente saggio. In tal senso, si veda A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 128 ss. (33) Così, F. Tesauro, Appunti sulle frodi carosello, in Giurisprudenza Italiana, 2011, 1213.
il canone della legalità, nonché si pregiudicherebbe il principio di neutralità; il tutto con la scongiurabile conseguenza di creare totale incertezza con riguardo alla ripartizione del potere impositivo tra Stati membri.
Malgrado fosse possibile condividere gli intenti manifestati dalla CGUE mediante le pronunce sopra descritte, le stesse non potevano e non possono tuttavia ritenersi soddisfacenti, soprattutto poiché evidenziano, nella loro innovatività, alcuni importanti limiti (34). Il primo tra questi è rappresentato dalla vaghezza dei contenuti di quell’attività di controllo (35) che verrebbe richiesta ai contribuenti per verificare l’attendibilità delle controparti contrattuali, finora espressa perlopiù mediante formule riferite al generale obbligo di diligenza o alla ragionevolezza degli adempimenti che si possono richiedere al soggetto passivo. Era come se venisse stabilito che “occorre attuare un’attività di controllo”, senza tuttavia definirne nel concreto modalità e contenuti operativi (36). Altra problematica era rappresentata dalla mancata risposta dei Giudici europei, nelle anzidette pronunce, sulla ripartizione dell’onere della prova tra A.F. e contribuente: non veniva cioè chiarito se era la buona fede dell’operatore economico ad essere presunta, con la conseguenza che l’A.F. deve dimostrare, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente “non poteva non sapere” della frode IVA perpetrata, oppure se fosse la malafede che doveva presumersi; in tal caso spettava al contribuente provare la sua ignoranza incolpevole, poiché avrebbe fatto tutto il possibile per verificare la presenza o meno di intenti fraudolenti. Un’ultima criticità conseguente alla precedente riguardava (e riguarda tutt’oggi) il fatto che la conoscibilità di una frode IVA, intesa quale elemento che dimostra il coinvolgimento di un singolo operatore economico, può innescare il multiplo disconoscimento, nei meccanismi più complessi, della detrazione IVA in capo a tutti i soggetti che si frappongono tra missing trader ed operatore effettivo.
(34) Sulla parzialità dei risultati raggiunti con gli arresti giurisprudenziali richiamati, si rinvia alla monografia di A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 142 ss. (35) Sulla necessità di disciplina legislativa nell’ambito degli obblighi di controllo del contribuente tra le cd. “prestazioni personali imposte” (ex art. 23 Cost.), G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, cit., 67. (36) Sull’individuazione per via giurisprudenziale degli elementi oggettivi sulla cui esistenza dovrebbe fondarsi la dimostrazione della conoscibilità della frode altrui, si veda A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 144 ss.
Nonostante il giudice nazionale dovesse – e deve tutt’oggi – conformarsi ai criteri ed ai prevalenti principi sanciti dalla Corte di Giustizia in sede integrativa del diritto comunitario primario e derivato, la Corte di Cassazione, nell’esercizio della propria funzione nomofilattica in materia di frodi IVA, ha inizialmente elaborato, in quella che si può identificare come la prima stagione delle pronunce dei giudici di legittimità in materia di operazioni fraudolente ai fini IVA, uno schema concettuale diametralmente opposto a quello degli Eurogiudici, dove era la malafede ad essere presunta (37), facendo perno sul concetto di operazioni inesistenti e giungendo a decisioni omogeneizzanti tra fattispecie assai diverse quali le operazioni fittizie dal lato oggettivo e quelle false dal punto di vista soggettivo (38). Inoltre, i giudici di legittimità si sono discostati dall’impostazione ermeneutica della giurisprudenza comunitaria – che risulta imperniata sull’indagine dello stato soggettivo del cessionario – facendo derivare l’indetraibilità dell’IVA in capo all’acquirente ogniqualvolta fosse verificata la discrasia tra fornitore effettivo e fatturante apparente, giungendo quindi ad una totale equiparazione tra il concetto di frode IVA e la fattispecie di operazioni soggettivamente inesistenti. Inoltre, si osserva che, con diversi arresti, la Suprema Corte (39) ha inizialmente validato, in modo assai miope, lo schema ermeneutico della sostanziale sovrapposizione tra il concetto di operazioni inesistenti dal punto di vista oggettivo e quello di operazioni soggettivamente inesistenti, pronunciandosi sull’indetraibilità dell’IVA in capo al cessionario ogniqualvolta venisse affermata la fittizietà soggettiva delle fatture d’acquisto, confinando all’irrilevanza l’elemento soggettivo della buona fede (40). Occorreva quindi una svolta in ambito giurisprudenziale che facesse chiarezza e conferisse certezze al sistema.
1.2. Soluzione al problema dell’onus probandi ed individuazione per via giurisprudenziale degli elementi oggettivi. – Malgrado si rendesse, anche nella
(37) Trattasi di un approccio della Corte non condivisibile, poiché contrario anche all’opposta presunzione di non colpevolezza contenuta nell’art.6 della CEDU, dal momento in cui non veniva concessa la possibilità di fornire una prova contraria. (38) In tal senso, A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 166 ss. (39) Cass., 05 giugno 2003, n. 8959; Id., 12 marzo 2007, n. 5719; Id., 23 aprile 2008, n. 10505. (40) Inizialmente, non veniva prevista alcuna possibilità di graduare la responsabilità del terzo estraneo alla frode perpetrata da altri soggetti, sulla base della sua buona fede; da ciò discendeva l’incondizionato diniego della detrazione per via della valorizzazione solo della dimensione oggettiva della trama fraudolenta.
prospettiva domestica, preferibile imputare all’A.F. l’onere di provare l’assenza di buona fede del cessionario – così come del resto avveniva già anche per la prova circa la dimostrazione della fittizietà soggettiva dell’operazione – atteso che la negazione del diritto di detrazione dell’IVA costituisce una deroga al diritto ordinario, la giurisprudenza di legittimità si è inizialmente dimostrata dell’avviso (maggioritario) opposto, ritenendo che tale diritto fosse subordinato alla prova da parte del cessionario/committente (e non da parte dell’A.F.) di non aver potuto abbandonare lo stato di ignoranza incolpevole sul carattere fraudolento delle operazioni compiute dagli altri partecipanti all’operazione incriminata (41), risultando quindi il contribuente onerato della prova della sua buona fede (42). Parte minoritaria della giurisprudenza rimaneva invece ancorata sulla convinzione della totale irrilevanza del profilo soggettivo (43) del contribuente, continuando ad affermare che la sola esistenza di una frode IVA facesse discendere l’indetraibilità dell’imposta a prescindere dalla buona fede del committente cessionario (alla stregua di una sorta di responsabilità “oggettiva”).
È solo con l’avvento della sentenza riguardante le cause riunite “Mahageben” e “David” (44), che la CGUE si è espressa in modo marcatamente antitetico rispetto alla posizione della giurisprudenza interna con riguardo alla ripartizione dell’onere della prova: infatti, muovendo dalla riaffermazione del principio fondamentale della neutralità del sistema comune IVA e dell’eccezionalità del diniego del diritto alla detrazione (45), i Giudici europei hanno fatto derivare un fondamentale corollario ben allineato con la presunzione di
(41) Cass., 26 gennaio 2007, n. 1727; Cass., 9 giugno 2009, n. 13211; Cass., 16 aprile 2010, n. 9138; Cass., 11 aprile 2011, n. 8132. (42) Si veda Cass., 12 maggio 2011, n. 10414 in cui “viene posto a carico del cessionario un obbligo di diligenza nella scelta del fornitore e di attenzione ai requisiti del soggetto cedente, non formali…ma sostanziali”. (43) Cass., 7 febbraio 2008, n. 2847; Cass., 11 giugno 2008, n. 15396; Cass., 01 agosto 2008, n. 20968. (44) Corte di Giustizia, 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11. Per una disamina approfondita della Sentenza in commento, si rinvia alla monografia di A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 144 ss. (45) Così, G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 84 ss. Non risulta inoltre che il diritto alla detrazione risulti pregiudicato dall’analisi del dettato normativo previsto dall’art. 168 della Direttiva 2006/112/CE, in base alla quale l’esercizio di tale diritto è solo subordinato all’effettuazione di acquisti imponibili collegati al programma imprenditoriale.
buona fede ex art. 1147 c.c. (46), sostenendo che “spetta all’A.F. dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo (cessionario) sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte nella catena di fornitura”. Resta inoltre inteso che l’imputazione di un siffatto onere probatorio in capo al contribuente implicherebbe la dimostrazione di un fatto negativo (47) (non sapeva o non poteva sapere della frode perpetrata a monte o a valle della catena), cioè l’essere all’oscuro di una frode IVA perpetrata dal missing trader che, intesa nella maniera più rigorosa, lambirebbe la diabolicità. Inoltre, le presunzioni dell’A.F. riguardo al contribuente che non poteva non sapere “non possono essere formulate in maniera tale da rendere… eccessivamente difficile per il soggetto passivo superarle fornendo la prova contraria…” altrimenti si ammetterebbe “…un sistema di responsabilità oggettiva (48)” che eccederebbe quanto necessario per garantire le pretese Erariali. Del resto, considerato che il diritto alla detrazione costituisce diritto fondamentale dell’acquirente assolutamente tutelato dalla normativa e dalla giurisprudenza Unionale (49), non poteva che risultare addossato all’A.F. l’onere istruttorio di provare il suo disconoscimento, sulla base dell’eccezione dalla stessa mossa circa la carenza, nel caso concreto, dei requisiti per la sua applicazione, considerando anche l’imparagonabile disponibilità di poteri istruttori di cui la stessa è dotata rispetto alle possibilità di verifica del contribuente sulla regolarità contabile, amministrativa e di tutti gli adempimenti fiscali incombenti sul fornitore. Tale impostazione ben si rapporta con il substrato civilistico di cui risulta impregnato il nostro diritto; in particolare, è applicabile al processo tributario il principio previsto dall’art. 2697 c.c. secondo cui “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”. Da ciò deriva che l’A.F., pur non essendo il
(46) G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, cit., 93. (47) Così F. Tesauro, Appunti sulle frodi carosello, op. cit., 1215; F. aMaTuCCi, Frodi carosello e “consapevolezza” del cessionario IVA in Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, n. 1, 2012, 5; E. Marello, Prove impossibili e repressione delle frodi Iva nella prospettiva del giudizio di merito, in Giust. Trib., 2009, 7; M. sCuFFi, Il sindacato antiabuso del giudice tra elusione, frode e oneri probatori, in Corr. Trib., 2009, 1580. (48) Corte di Giustizia, 11 maggio 2006, causa C-384-04, “Technological Industries”. (49) Il diritto immediato a detrarre è presidiato dall’art. 167 della Direttiva 2006/112/
CE.
soggetto che assume l’iniziativa in sede processuale, rappresenta la parte che deve provare i fatti a fondamento della pretesa tributaria fatta valere fuori dal giudizio. Spetta quindi all’A.F. fornire la prova dei fatti contestati, altrimenti la contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti si tradurrebbe in uno smodato esercizio di presunzioni senza alcun fondamento ed assolutamente autoreferenziale.
Acclarata la posizione della Corte di Giustizia con riferimento alla ripartizione dell’onere della prova, si passa in rassegna l’elemento che, più di tutti, costituisce il punto innovativo della sentenza cause riunite “Mahageben” e “David”, ovverosia l’individuazione, ad opera dell’A.F., delle caratteristiche degli elementi oggettivi, cioè di quelle condizioni obiettive dal cui ricorrere discenderebbe il disconoscimento della detrazione IVA, sulla base del fatto che verrebbe così ad essere dimostrato che il contribuente contraente di un evasore IVA “sapeva o non poteva non sapere” di essere parte di una trama fraudolenta, a prescindere dal conseguimento di benefici ritraibili dalla vendita dei beni. Secondo tale pronuncia, l’individuazione di tali elementi oggettivi non poteva considerarsi soddisfatta con riguardo alla sussistenza di determinate caratteristiche del fornitore (e.g. qualifica di soggetto passivo del soggetto emittente della fattura; disponibilità, da parte del venditore, dei beni oggetto di cessione; indisponibilità di mezzi idonei all’esecuzione del trasporto di beni; inconsistenza dal punto di vista patrimoniale del cedente; inottemperanza da parte del venditore agli adempimenti fiscali). Gli elementi obiettivi da ricercare consistevano essenzialmente nella variabile del prezzo applicato o l’anomalia nelle condizioni di vendita praticate (e.g. modalità di consegna e/o di pagamento). Una volta individuato dall’A.F. uno di questi elementi cardine, magari corroborato da altre caratteristiche anomale (50) del venditore, la stessa avrebbe fornito una valida prova al fine di dimostrare la partecipazione del cessionario alla catena fraudolenta; da ciò discendeva quindi il trasferimento dell’onere, in capo all’operatore economico, di dimostrare l’irrilevanza delle circostanze delineate dall’A.F. con riguardo alla valutazione dello stato soggettivo della sua buona fede.
I risultati principali della sentenza “Mahageben” e “David” sono stati successivamente confermati nelle sentenze “Gabor Toth” (51), nella sentenza
(50) Che potrebbero supportare il giudice nella valutazione generale complessiva del caso di specie. (51) Corte di Giustizia, 6 settembre 2012, causa C-324/11.
“Mecsek-Gabona” (52) e nella sentenza “VSTR” (53), con l’ulteriore specificazione che la nozione di soggetto passivo, in base alla lettura dell’art. 9, par. 1 della Direttiva 2006/112/CE, risponde a criteri definitori basati su circostanze di fatto, piuttosto che alla presenza di provvedimenti autorizzativi / licenze rilasciati per l’esercizio di attività imprenditoriale. In sostanza, il diritto alla detrazione non poteva essere pregiudicato in ragione della carenza di determinati requisiti formali, quali lo status di soggetto passivo IVA.
Alle medesime conclusioni della sentenza “Mahageben” e “David” sono altresì giunti i Giudici europei in diverse altre pronunce (54), nel solco di un orientamento giurisprudenziale che, a livello UE, è andato via via consolidandosi. Analogamente, nella sentenza “Marcin Jagiello (55)”, veniva sancita la contrarietà della VI Direttiva al principio secondo cui “ad un soggetto passivo venga negato il diritto di detrarre l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti, per il fatto che, tenuto conto di frodi o di irregolarità che sono stati commessi dall’emittente della fattura riguardante tale cessione, quest’ultima è considerata come realmente non effettuata da detto emittente, salvo che sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi e senza che si debba esigere dal soggetto passivo verifiche a cui non è tenuto, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva nel quadro di una frode”.
2. La “difficile” seconda stagione della giurisprudenza nazionale di legittimità nel distinguo tra frodi IVA ed operazioni soggettivamente inesistenti. – Nell’ambito della fioritura giurisprudenziale di legittimità, alcuni tenui ed isolati segnali di apertura da parte della Suprema Corte alla valorizzazione, nell’ambito delle proprie decisioni, dello stato soggettivo dell’accipiens della fattura, in aderenza ai principi enunciati nelle precedenti pronunce della Corte di Giustizia, con le celeberrime sentenze “Optigen” e “Axel Kittel”
(52) Corte di Giustizia, 6 settembre 2012, causa C-273/11. In tale arresto viene confermata la compatibilità con il diritto dell’Unione della richiesta ad un operatore economico in buona fede di adottare tutte le misure che gli si possono ragionevolmente avanzare al fine di accertarsi che l’operazione in cui è coinvolto non rifletta una frode in ambito tributario. (53) Corte di Giustizia, 27 settembre 2012, causa C-587/10. (54) Corte di Giustizia, 6 dicembre 2012, causa C-285/11, “Bonik”; Corte di Giustizia, 31 gennaio 2013, causa C-285/11, “Stroy Trans” e “LVK-56”; Corte di Giustizia, 18 luglio 2013, causa C-78/12, “Evita-K”; Corte di Giustizia, 16 ottobre 2019, causa C-198/18, “Glencore”; Corte di Giustizia, 17 ottobre 2019, causa C-653/18, “Unitel”. (55) Corte di Giustizia, 6 febbraio 2014, causa C-33/13.
del 2006, si sono intravisti con la Sentenza n. 1950 del 2007, le Sentenze nn. 2779 e 17377 del 2009 (56), la Sentenza n. 867 del 2010 e la Sentenza n. 1364 del 2011 (57). Nello specifico, si è finalmente iniziata a manifestare l’esigenza di indagare l’elemento soggettivo del cessionario quale driver per il riconoscimento del diritto alla detrazione, qualificando la mancata consapevolezza della parte privata alla stregua di una circostanza esimente, che portasse alla rimozione del pregiudizio dell’indetraibilità dell’IVA addebitata in rivalsa limitatamente al soggetto testé considerato. Ad ogni modo, non ci si può esimere dal considerare come i suddetti esiti ermeneutici, pur compiendo un notevole sforzo nell’intento di muoversi nella direzione tracciata dalla CGUE, costituivano elaborazioni giurisprudenziali insoddisfacenti, sia per via dell’evanescenza e dell’incompletezza delle statuizioni (58), con significativo nocumento alla certezza dei rapporti giuridici ed alla libertà di svolgimento degli affari, sia perché in esse non si denotava un mutamento radicale del quadro concettuale, poiché il diritto alla detrazione era trattato quale eccezione alla regola persistente dell’indetraibilità, resistendo sempre, malgrado la prova della buona fede, l’assimilazione concettuale di operazione inesistente dal punto di vista soggettivo alla nozione di frode IVA da parte del cedente, in presenza di operazioni realmente effettuate.
È d’uopo ricordare che la giurisprudenza di legittimità (59), fino alla pronuncia delle sentenze “Mahageben” e “David” e “Gabor Toth”, si era orien-
(56) Sulla comunque pregiudicata “parità delle armi” in tema di onere probatorio, poiché alla richiesta di elementi presuntivi in capo all’A.F. veniva contrapposto una controprova certa ed incontrovertibile, si veda G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 100 ss. (57) Per un autorevole commento alle citate sentenze della S.C., si rinvia ad A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 186 ss. (58) Risultano prive di pregio e difficilmente comprensibili le seguenti affermazioni della Suprema Corte: «il committente/cessionario, che invochi le detrazione, fornisca, sul suo stato soggettivo in merito all’altruità della fatturazione, riscontri precisi» Cass., 30 gennaio 2007, n. 1950, cit., ed ancora «il soggetto, sul quale grava l’onere di conoscere, in tanto si sottrae alla conseguenza dell’inadempimento del suo vincolo, in quanto dimostri almeno uno di questi due fatti: a) di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità dell’oggetto della conoscenza da acquisire; b) che, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata e nonostante la sua esplicazione volta ad adottare un comportamento cognitivo idoneo, egli non è stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione» Cass., 21 gennaio 2011, n. 1364, cit. (59) Ex multis Cass., 26 gennaio 2007, n. 1727, cit.; Cass., 7 febbraio 2008, n. 2847,
tata nel senso della valorizzazione esclusiva delle sole caratteristiche e della condotta del venditore quali elementi oggettivi da cui far discendere la consapevolezza dell’esistenza della frode da parte del cessionario. Nei medesimi arresti dei giudici di legittimità si faceva inoltre ancora dipendere la conoscibilità della frode da parte del cessionario non in base ad elementi “oggettivi” – sulla scorta dei contemporanei approdi ermeneutici della Corte di Giustizia – quali la qualifica di soggetto passivo, la disponibilità di adeguata struttura operativa e dei beni ceduti, la tenuta regolare della contabilità aziendale, la presenza di una sede effettiva e la reperibilità dei rappresentanti legali. Infatti, si trattava comunque di indizi tutti riferibili alla sfera soggettiva del cedente, che mal si prestavano ad essere utilizzati quali prove per l’A.F. dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza al fine di provare la connivenza del cessionario.
Alcuni importanti segnali di apertura, da parte della giurisprudenza di legittimità, conformi agli orientamenti auspicati dal revirement della CGUE, si sono palesati solo con la sentenza n. 23560 del 20/12/2012, mediante la quale la Suprema Corte, raccogliendo gli approdi della pronuncia CGUE “Mahageben” e “David”, ha stabilito che l’onere probatorio sulla malafede del contribuente (cd. scientia fraudis (60)) spetta all’A.F., anche per via indiziaria, la quale può altresì utilizzare presunzioni semplici (61), purché dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Mediante tale pronuncia, si rilegavano finalmente alla sostanziale irrilevanza, dal punto di vista probatorio della presunta conoscibilità della frode e della consapevole partecipazione al contratto simulato da parte del cessionario, la semplice descrizione del meccanismo fraudolento e degli scopi dell’operazione. Inoltre veniva affermato l’importante principio secondo cui “né il diritto di detrazione può essere negato con la motivazione che il soggetto passivo non si è assicurato che l’emittente della fattura correlata ai beni a titolo dei quali viene chiesto l’esercizio del
cit.; Cass., 11 giugno 2008, n. 15396, cit.; Cass., 01 agosto 2008, n. 20968, cit.; Cass., 9 giugno 2009, n. 13211, cit.; Cass., 16 aprile 2010, n. 9138, cit.; Cass., 11 aprile 2011, n. 8132, cit.; Cass., 12 maggio 2011, n. 10414, cit. (60) Così M. greggi, Presupposto soggettivo e inesistenza nel sistema d’imposta sul valore aggiunto, op. cit., 38. (61) La prova presuntiva non si colloca gerarchicamente su un livello inferiore rispetto alle altre fonti di prova e costituisce prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. 12 giugno 2019, n. 15771, cit.).
diritto alla detrazione avesse la qualità di soggetto passivo, che disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che avesse soddisfatto i propri oneri di pagamento dell’IVA, o con la motivazione che il suddetto soggetto passivo non dispone, oltre che detta fattura, di altri documenti idonei a dimostrare la sussistenza delle circostanze menzionate”.
Tuttavia, nell’orizzonte temporale immediatamente successivo, l’atteggiamento della giurisprudenza di legittimità non ha preso una direzione unitaria e definitiva, fluttuando tra decisioni che recepivano integralmente i principi espressi dalla CGUE (62) e pronunce del tutto resistenti ai principi espressi dalla CGUE nelle sentenze del 2012 (63), nelle quali si percepiva ancora l’ostinata e rigida impostazione della Cassazione che faceva discendere inspiegabilmente la consapevolezza della frode da parte del cessionario direttamente dall’esistenza di una trama fraudolenta.
Sarà soltanto a seguito della pronuncia da parte della CGUE della Sentenza “Maks Pen EOOD” del 13 febbraio 2014, causa C-18/13 e della Sentenza “PPUH Stehcemp” del 22 ottobre 2015, causa C-277/14 che la Suprema Corte esprimerà, a partire dal 2015, tendenzialmente un’uniforme ed univoca posizione in tema di ripartizione dell’onere della prova della buona fede nelle operazioni soggettivamente inesistenti (64). Prova ne siano, per citarne un esempio, i principi di diritto fissati nella massima alla Sentenza n. 26854 del 18 dicembre 2014, in base alla quale, in sintesi, la Cassazione attribuisce all’A.F. l’onere di dimostrare, anche per via presuntiva, la fittizietà soggettiva del cedente (interposto) e, pertanto, la dimostrazione della frode IVA perpetrata a monte, nonché “la conoscenza o la conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa dal cedente o da altri soggetti”; incomberebbe invece sul contribuente la prova contraria che l’operazione realizzata corrisponda effettivamente, anche dal punto di vista soggettivo, alla transazione
(62) Ex multis Cass. 15 maggio 2013, n. 11668; Cass. 30 ottobre 2013, n. 24426; Cass. 13 novembre 2013, n. 25469; Cass. 02 luglio 2014, n. 15044; Cass. 03 ottobre 2014, n. 20930. (63) Ex multis Cass. 22 maggio 2013, n. 12503; Cass. 15 gennaio 2014, n. 660; Cass. 26 febbraio 2014, n. 4609; Cass. 24 settembre 2014, n. 20059. (64) Ex multis Cass. 27 maggio 2015, n. 10930; Cass. 19 agosto 2015, n. 16935; Cass. 24 settembre 2015, n. 18941; Cass. 14 ottobre 2015, n. 20683; Cass. 02 dicembre 2015, n. 24490; Cass. 23 dicembre 2015, n. 25899; Cass. 20 gennaio 2016, n. 967; Cass. 18 marzo 2016, n. 5406; Cass. 24 marzo 2016, n. 5835; Cass. 25 marzo 2016, n. 5984; Cass. 15 aprile 2016, n. 7472; Cass. 22 aprile 2016, n. 8230; Cass. 04 maggio 2016, n. 8805; Cass. 29 marzo 2017, n. 809; Cass. 19 luglio 2017, n. 17839; Cass. 04 ottobre 2017, n. 23166.
documentata in fattura (65), ovvero “la prova dell’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale dell’operazione ingenerato dalla condotta del cedente, avuto riguardo alle modalità in cui si sono svolti i contatti commerciali, ed agli elementi informativi acquisiti o comunque disponibili nel corso delle trattative e al momento della conclusione dell’operazione”.
Malgrado il focus della fioritura giurisprudenziale interna fosse cambiato tra il 2015 ed il 2016, orientando decisamente la propria ricerca sul contenuto dell’onere della prova della buona fede (66), non sono però mancate ulteriori pronunce della Suprema Corte ancora una volta contrastanti (67) con l’orientamento post revirement della CGUE (68), come se esistesse un vero e proprio scollamento interno tra i giudici della Cassazione. All’interno di queste ultime pronunce, la Suprema Corte ha riesumato il vecchio principio secondo il quale, qualora l’A.F. contesti al contribuente che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti, essa può negare il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa IVA; infatti, in tale situazione, l’A.F. “… deve provare che la prestazione non è stata resa dal fatturante, spettando, poi, al contribuente l’onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi
(65) Nello spirito della Direttiva rifusa (ref. art. 17, par. 1), “quale precetto di natura sostanziale, la fattura non rappresenta elemento imprescindibile quale titolo per l’esercizio della detrazione, semmai tale diritto è da ricercare nell’esigibilità dell’imposta deducibile (rectius detraibile) che proviene dall’effettuazione di un’operazione imponibile. Nell’ambito procedimentale interno, invece, la fattura diviene titolo per la legittimazione per l’esercizio della detrazione, ovverosia alla realizzazione sul piano strumentale del diritto de quo” (A. CoMelli, Iva comunitaria e Iva nazionale, cit., 712). (66) Degna di menzione, al riguardo, è sicuramente la pronuncia di Cass. 09 settembre 2016, n. 17818 con la quale si precisa che “l’Amministrazione finanziaria che contesti la frode carosello deve provare anche a mezzo di presunzioni semplici purché gravi precise e concordanti gli elementi di fatto attinenti al cedente (la sua natura di cartiera, l’inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’IVA) e la connivenza da parte del cessionario indicando gli elementi oggettivi tenuto conto delle concrete circostanze avrebbero dovuto indurre un nomale operatore a sospettare dell’irregolarità delle operazioni, mentre spetta al contribuente che ha portato in detrazione l’IVA la prova contraria di aver concluso realmente l’operazione con il cedente e di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità nonostante l’impiego della dovuta diligenza di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni non essendo sufficiente a tal fine la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivo pagato trattandosi di circostanze non concludenti”. (67) Cass. 13 dicembre 2017, n. 29873 e Cass. 17 gennaio 2018, n. 958. (68) Così, A. gaggero, Operazioni soggettivamente inesistenti: ancora qualche pericolosa oscillazione in tema di ripartizione dell’onere della prova della buona fede, op. cit., 1681 ss.
trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti”. Parafrasando il contenuto di tale pronuncia, si ripescava dal passato il vetusto assunto secondo il quale sarebbe spettato all’A.F. il compito di delineare gli aspetti patologici della transazione sotto il profilo oggettivo, rimettendo ancora una volta al contribuente l’onere di provare l’elemento soggettivo della sua buona fede.
3. Le ultime posizioni degli Eurogiudici e della Suprema Corte di Cassazione, in ambito di frodi IVA, sull’atteggiamento psicologico del contribuente. – Solo di recente si è assistito ad un orientamento giurisprudenziale di legittimità che è andato lentamente consolidandosi nel tempo nella direzione di porre a carico dell’A.F. un onere particolarmente “complesso” (69), che riguardi tanto la prova sull’inesistenza soggettiva dell’operazione contestata, quanto la dimostrazione della consapevolezza del destinatario di essere parte di un’evasione (o quantomeno di essere in grado di percepire, in base ad elementi oggettivi, la fittizietà soggettiva del cedente) senza esigere dal contribuente particolari verifiche ad esso non spettanti. In tal senso, risulta degna di nota la Sentenza della Suprema Corte del 15 dicembre 2017, n. 30148, la quale ha dato continuità al principio già più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale, qualora l’A.F. contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture ai fini IVA relative ad operazioni inesistenti, “spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere
(69) In quanto non si può richiedere al cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, di effettuare verifiche sull’emittente riguardanti la disponibilità dei beni e servizi correlati alla fattura o la capacità di fornire i medesimi, e che lo stesso cedente abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o che disponga dei relativi documenti” (Cass. 02 dicembre 2015, n. 24490, cit.). Continua tuttavia a prospettarsi un obbligo di verifica in capo al cessionario/ committente a fronte di indizi che rientrino nella propria sfera di conoscenza e che gli consentano di sospettare l’esistenza appunto di irregolarità o di evasione; indizi, che devono essere allegati e provati dall’amministrazione in base ad elementi oggettivi, anche presuntivi (Cass. 20 gennaio 2016, n. 967 cit.; Cass. 24 settembre 2014, n. 20059, cit.; Cass. 02 luglio 2014, n. 15044, cit.).
tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/committente che richiede la detrazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (70). Sul punto la Corte Europea ha più volte ribadito che se – tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse dall’emittente della fattura o, comunque, a monte dell’operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione – tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi ed alla stregua dei principi sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza, peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al fatturante o la disponibilità dei beni di cui trattasi) alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’IVA; circostanza, questa, che – secondo la Corte di Lussemburgo – spetta al giudice del rinvio verificare (71)”.
Nel giungere all’epilogo di tale excursus, si deve segnalare che, accanto alla succitata Sentenza 30148 del 2017, non sono mancate (anche successivamente) pronunce giurisprudenziali di legittimità pericolosamente involutive (72), poiché rispolverano l’approccio oramai obsoleto e meno tutelante per il contribuente, consistente nell’addossare al cessionario (in prima istanza) l’onere probatorio della sua buona fede, limitando al contempo il lavoro dell’Ufficio alla sola dimostrazione che l’operazione contestata non sia stata resa in realtà dal soggetto cartolarmente indicato in fattura. Ad ogni modo, si ritiene che tali pronunce segnano una regressiva ritrosia nella funzione nomofilattica di cui la Suprema Corte è investita, potendo confermare, ad oggi, la più che sporadicità di tali arresti. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ormai è quasi del tutto granitica, poiché è stato ormai recepito il canone Europeo
(70) Cass. sentt. n. 20 gennaio 2016, n. 967, cit.; 14 gennaio 2015, n. 428. (71) Corte di Giustizia, sentenza 22 ottobre 2015, causa C-277/14, cit. (72) Cass. 13 dicembre 2017, n. 29873, cit.; Cass. 17 gennaio 2018, n. 958, cit.
di distribuzione dell’onus probandi (73): sul punto si segnala un ultimo contributo ermeneutico (74), secondo cui, in maniera tranchant, si precisa che “sarà il contribuente a provare… di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene e della prestazione era, non il fatturante, ma altri”… “a fronte di indizi che gli consentano di sospettare dell’esistenza di irregolarità ed evasione…che devono essere allegati e provati dall’amministrazione in base ad elementi oggettivi…”
Sotto il profilo del thema probandum, sia la giurisprudenza euronitaria sia quella di legittimità interna hanno cominciato ad interrogarsi più di recente al fine di conferire un contenuto concreto all’onere della prova della buona fede: si è iniziato quindi a ricercare quegli elementi sintomatici dell’assenza di buona fede del contribuente partecipante ad una frode IVA, al ricorrere dei quali si possa presumere la malafede del medesimo.
Sull’argomento de quo, la Corte di Giustizia ha adottato un approccio casistico, individuando di volta in volta le garanzie processuali per il contribuente al fine di escludere la negazione del diritto di detrazione in talune fattispecie, quali: 1) il fatto che il cessionario sia venuto meno solo all’obbligo di verificare la registrazione dei suoi fornitori presso le autorità competenti in ambito di commercializzazione di prodotti alimentari (75); 2) la sola circostanza che il fornitore non avesse una sede d’affari, poiché operava quale mero trader (76); 3) la mancata verifica dell’esistenza di dipendenti necessari al fornitore per rendere il servizio (77). Seguendo tale approccio, anche la giurisprudenza di legittimità ha dato una risposta (78) a quelle che erano (e lo sono tutt’oggi) esigenze di uniformità di giudicati che sarebbero risultati con ogni probabilità tra loro difformi, pur in presenza di circostanze comparabili, limitando fortemente la discrezionalità dei giudici nelle decisioni assunte, di tal guisa garantendo, in generale, una maggiore certezza del diritto ed una minore disparità di trattamento tra contribuenti.
(73) Cass. 24 agosto 2018, n. 21104; Cass. 22 marzo 2019, n. 8181; Cass. 5 aprile 2019, n. 9588; Cass. 3 luglio 2019, n. 20497. (74) Cass., 2 aprile 2020, n. 7647. (75) Corte di Giustizia, 02 ottobre 2019, causa C-329/18. (76) Corte di Giustizia, 22 ottobre 2015, causa C-277/14, cit. (77) Corte di Giustizia, 06 settembre 2012, causa C-324/11, cit. (78) Cass., 15 dicembre 2017, n. 30148, cit.
Gli elementi che la giurisprudenza nazionale (79) ha ritenuto maggiormente idonei a supportare una presunzione di colpevolezza, consentendo l’assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’A.F. – e ad innescare il meccanismo della prova contraria di cui viene onerato il contribuente – in tema di assenza di buona fede sono i seguenti: a) la sussistenza di irregolarità nei documenti accompagnatori la transazione commerciale (i.e. fatture, documenti di trasporto) (80); b) l’immediatezza dei rapporti tra contribuente e soggetto fittiziamente interposto (missing trader) con riguardo alla struttura dell’operazione incriminata (81), così come l’instaurazione di rapporti diretti tra il cedente/prestatore effettivo interponente ed il cessionario/committente (82); c) identità (83), legami di parentela o, comunque, rapporti personali tra gli amministratori, sindaci, consulenti e dipendenti tra società venditrice e quella acquirente (84); d) i movimenti bancari relativi a retrocessione di somme di danaro (85); e) le compravendite effettuate a prezzi notevolmente inferiori a quelli di mercato (86), e f) l’assenza di una dotazione personale e/o strumentale adeguata all’esecuzione dell’operazione commerciale fatturata (87). Non assumono invece rilevanza probatoria né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né tantomeno la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (88).
A parere dello scrivente, pur considerando gli sforzi della produzione giurisprudenziale Europea e nazionale sinora profusi quanto al thema probandum, occorrerebbe raggiungere una maggiore maturità dal punto di vista della certezza del diritto al fine di delineare ancor meglio l’elemento psicologico (89) della buona fede. In tal modo, si circoscriverebbero meglio, sotto il
(79) Cass., 20 gennaio 2016, n. 967, cit.; Cass., 18 marzo 2016, n. 5406, cit.; Cass., 4 ottobre 2017, n. 23166, cit. (80) Cass., 20 gennaio 2016, n. 967, cit.; Cass., 19 luglio 2017, n. 17839, cit. (81) Cass., 05 dicembre 2014, n. 25778. (82) Cass., 6 aprile 2020, nn. 7693 e 7694; Cass., 20 febbraio 2020, n. 4428; Cass., 13 febbraio 2018, nn. 3473 e 3474; Cass., 4 marzo 2016, n. 4335. (83) Cass. 18 giugno 2014, n. 13804. (84) Cass. 20 gennaio 2016, n. 967, cit.; Cass. 19 aprile 2017, n. 9810. (85) Cass. 14 gennaio 2015, n. 429. (86) Cass. 14 ottobre 2015, n. 20683, cit.; Cass. 20 gennaio 2016, n. 967, cit. (87) Tale elemento assume significatività probatoria differente a seconda della costruzione dello schema di frode perpetrato. (88) Cass., ord. 14 aprile 2021, n. 9790. (89) Senza pretesa di esaustività, si rimanda a MeniTa giusy de Flora, La rilevanza dell’elemento soggettivo nelle frodi iva, in Diritto e pratica tributaria internazionale, n. 3, 2020, 1178 ss.
profilo probatorio, gli oneri gravanti sul soggetto incolpevole di partecipare ad un’operazione fraudolenta; inoltre, si arginerebbe il rischio concreto di rimettere all’arbitrio del giudice la valutazione dell’idoneità delle prove, pur dovendo sempre valutare le specifiche circostanze concrete della singola fattispecie.
4. L’irrisolto problema della duplicazione e moltiplicazione della pretesa dell’IVA nelle frodi più complesse. – Considerati gli approdi ermeneutici cui la CGUE è sinora giunta, tra le principali questioni giurisprudenziali ancora aperte, permane la criticità della duplicazione e/o moltiplicazione della pretesa erariale dell’IVA evasa, specie negli schemi fraudolenti più complessi, dove tra il broker ed il missing trader, vengono interposti diversi livelli di società buffers e, magari, il meccanismo di frode viene reiterato in senso circolare, mediante appunto lo schema tipico della frode carosello.
Posto che il nuovo regime sanzionatorio prevede, al comma 4-bis dell’art. 5 D.Lgs. 471/97 la sanzione maggiorata dal 135% al 270% in caso di presentazione di dichiarazione IVA contenente violazioni realizzate “mediante l’utilizzo di fatture o altra documentazione falsa o per operazioni inesistenti”, il fine dell’A.F. in sede accertativa dovrebbe essere soltanto quello di ripristinare la situazione che si sarebbe verificata in assenza dell’illecito (90), in ossequio all’immanente principio di proporzionalità dell’azione di recupero. Tuttavia, risulta davvero frequente nell’azione accertativa del fisco che venga richiesta l’IVA evasa a tutti gli anelli della filiera fraudolenta, una volta appurato il coinvolgimento di ciascun operatore, con il rischio – assolutamente da rifuggire – che, in un’ottica quasi perversa, divenga tanto più conveniente per l’A.F. porre in essere accertamenti sull’intera catena quanto più complesso ed articolato sia il meccanismo stesso dell’operazione posta in essere. Pertanto, l’ottica della giurisprudenza d’oltralpe e quella nazionale di legittimità sulla materia de qua dovrebbe essere sempre orientata a riequilibrare istanze contrapposte quali, da un lato, la tutela degli interessi erariali e, dall’altro, la libertà di iniziativa imprenditoriale, nell’esigenza di maggiore certezza del diritto e nel rispetto del principio di proporzionalità che il sistema IVA dovrebbe garantire.
(90) Corte di Giustizia, 21 febbraio 2006, causa C-255/02, cit.
Un primo strumento valido ad arginare il fenomeno duplicativo (91) o addirittura moltiplicativo (92) (per le frodi carosello) con riguardo alla richiesta dell’IVA non versata all’Erario, potrebbe essere individuato nell’utilizzo generalizzato dell’art. 60-bis di cui al Decreto IVA (93). In tal caso, occorre effettuare importanti precisazioni: infatti, estendendo ad ampio spettro l’applicazione dell’art. 60-bis non solo ai settori ad alto rischio di frode IVA (94), si risolverebbe la difficile convivenza tra il paradigma recuperatorio su cui si basa la citata norma e quello para-sanzionatorio del diniego di detrazione (elaborato solo per via giurisprudenziale), nel senso della sola sopravvivenza dell’unica misura antifrode presente nel nostro ordinamento legislativo. Tale impostazione monolitica – orientata ad una maggiore certezza del diritto – consentirebbe di superare le criticità (95) insite nel sistema antifrode basato sull’individuazione di un’opinabile culpa in eligendo, fondata su un comportamento che non vìola alcun dovere giuridico. In tal modo, risulterebbe altresì osservato il principio di legalità insito nell’impostazione emergente dalle Direttive comunitarie e dalla giurisprudenza della CGUE (96).
(91) Sul problema della duplicazione della richiesta dell’imposta evasa, si rinvia a A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 215 ss. (92) Si veda, sul tema dell’incompatibilità della duplicazione dell’imposta con i principi immanenti del sistema IVA, la monografia di G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 161 ss. (93) Il quale testualmente recita ai commi 2 e 3: “In caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta. L’obbligato solidale di cui al comma 2 può tuttavia documentalmente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta”. (94) Individuati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze cui oggi è limitata l’applicazione della norma suddetta riguardante la responsabilità solidale del cessionario. (95) Quali problemi di coerenza con il sistema IVA, inadeguatezza del fatto “presupposto” del diniego di detrazione e tutela della buona fede, sollevati anche nella monografia di G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 159 ss. (96) Sentenza “Axel Kittel”, Corte di Giustizia, 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, cit., che al par. 49 testualmente recita: “è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di dedurre l’IVA pagata a monte, stabilire se l’IVA dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’Erario”. Analogamente alla citata sentenza, si confronti anche il par. 54 della Sentenza “Optigen e a.”,
Di conseguenza, la previsione di un meccanismo di solidarietà passiva nell’ambito delle frodi IVA al fine di preservare gli interessi erariali dovrebbe essere messa a sistema con la necessità di garantire la neutralità e la proporzionalità del sistema IVA. Ciò equivale a sostenere che, qualora il cessionario intervenga con la rifusione del quantum dovuto a titolo di imposta (97), dovrebbe essere fatto salvo dalla giurisprudenza di legittimità, in ossequio al principio di neutralità contemplato nelle pronunce della CGUE enucleate nell’ambito del presente lavoro di ricerca, il diritto del cessionario a vedersi riconosciuta la detrazione (98) (quantomeno su tale secondo versamento di IVA successivo a quello effettuato nei confronti del cedente in virtù del meccanismo di rivalsa), con l’ulteriore clausola che, qualora il cedente intervenisse in un secondo momento con il pagamento dell’IVA dovuta, dovrebbero essere disciplinate in modo concreto anche la possibilità di richiedere il rimborso di quanto rifuso dal cessionario (99). Una soluzione quale quella testé descritta aumenterebbe senz’altro la certezza del diritto nel sistema IVA, in un ambito assai complesso ed instabile quale quello delle frodi IVA, con evidenti esternalità positive in termini di maggiore flessibilità degli scambi economici. Ad ogni modo, tale obiettivo risulterebbe percorribile soltanto nel momento in cui: a) venisse ad essere concretamente osservato dall’A.F. il principio della proporzionalità, il quale prevede la limitazione degli effetti di un’azione accertatrice al ripristino delle condizioni di neutralità (100), evitando quindi di creare un sistema super-sanzionatorio (101) che pregiudicherebbe in maniera consistente la sopravvivenza stessa di svariate realtà imprenditoriali (102);
Corte di Giustizia, 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03, C-484/03, cit. (97) In ossequio al principio di legalità, non è ammissibile una lettura della norma nel senso di una differente interpretazione in ottica sanzionatoria della disposizione contenuta nell’art. 60-bis del D.P.R. 633/72. (98) Consentendo altresì, almeno teoricamente, la rivalsa del cessionario sul cedente, come teorizzato da G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 163. (99) In tal senso, L. CosTanzo, Corsi e Ricorsi dell’accertamento di Frodi IVA tra fornitore e committente alla prova dei principi eurounitari, op. cit., 4. (100) Intesa come situazione giuridica che si sarebbe verificata in assenza dell’illecito. (101) In senso contrario alla qualificazione del diniego di detrazione per consapevolezza come sanzione “impropria si veda G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 149. (102) Si veda, sul punto, la sentenza CGUE 21 marzo 2000, cause riunite C-110/98 e C-147/98, “Gabalfrisa”.
b) risultasse acclarata l’obbligatorietà per l’A.F. di provare il coinvolgimento del cessionario dal punto di vista soggettivo della consapevolezza, superando l’attuale base legislativa tale per cui viene previsto un meccanismo quasi automatico ed oggettivo di presunzione di malafede basato sulla semplice connessione tra mancato versamento dell’IVA da parte del cedente ed applicazione di un prezzo al di sotto del valore normale. A tal riguardo, si ritiene di poter affermare che lo strumento maggiormente idoneo – e forse anche meno complesso dal punto di vista applicativo concreto – a risolvere l’annoso problema della moltiplicazione dell’imposta evasa, consisterebbe nell’introduzione, a livello procedimentale, di un obbligo di motivazione “rafforzata” per gli organi accertatori (103). Questi ultimi, dopo aver ricostruito l’intera filiera fraudolenta, dovrebbero dare compiuta dimostrazione, all’interno della motivazione degli accertamenti notificati nei confronti di tutti i partecipanti consapevolmente alla frode e che, quindi, avrebbero indebitamente detratto l’IVA sulle transazioni oggetto di contestazione, che alcun altro soggetto all’interno della trama fraudolenta abbia corrisposto all’Erario l’IVA detratta (104). Tuttavia, occorrerebbe un preciso indirizzo del legislatore, ai fini della certezza del diritto, riguardo al divieto di moltiplicazione della richiesta dell’imposta evasa, rimanendo altrimenti più plausibilmente applicabile un meccanismo plurisanzionatorio rivolto a tutti i soggetti di cui sia data dimostrazione della conoscibilità della frode altrui. In tal guisa, si preserverebbe la neutralità del sistema IVA, il principio di proporzionalità, il tutto senza gravare sulla speditezza degli affari economici.
5. Proposte risolutive concrete al problema delle frodi IVA. – A conclusione di questo lavoro di ricerca, mi sono interrogato su quelle che potrebbero essere le più idonee soluzioni per la neutralizzazione degli effetti derivanti
(103) Alla medesima conclusione giunge A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, cit., 244, per il quale “risulterebbe quindi illegittimo e infondato quell’accertamento in cui, all’eccezione del contribuente attraverso la quale si chiede di dimostrare che non si sia assistito nella fattispecie alla duplicazione-moltiplicazione della richiesta dell’Iva, l’ufficio non dia esauriente risposta fornendo dimostrazione del fatto che nessuno degli altri coinvolti abbia pagato, in via definitiva, l’Iva che è stata richiesta”. (104) Resta comunque fermo il fatto che, ove l’A.F. abbia notificato tanti accertamenti, ai fini del recupero dell’IVA detratta, quanti sono i soggetti cessionari all’interno della catena, dovrà agire in autotutela qualora uno dei soggetti coinvolti abbia adempiuto al pagamento dell’IVA, poiché l’intervenuta rifusione dell’IVA da parte di un soggetto libererebbe dal debito gli altri cessionari, fatto salvo il diritto di regresso.
dall’avvilente pratica delle frodi IVA, che potrebbero essere vagliate dal diritto positivo e dalla giurisprudenza, sia a livello comunitario che nazionale.
A tal riguardo, credo che ogni spunto risolutivo – concepito quale strumento idoneo al contrasto dell’evasione fiscale – debba altresì tutelare i contribuenti incolpevoli che risulterebbero danneggiati sotto il profilo accertativo qualora la frode IVA fosse perpetrata dai propri fornitori. Infine, ogni mezzo di contrasto alle frodi IVA dovrebbe anche costituire un valido mezzo al fine di correggere le distorsioni che deriverebbero, sotto il profilo competitivo (105) proprio dall’implementazione di schemi fraudolenti (106).
In tal senso, occorre inoltre considerare il fatto che qualunque proposta in tema di frodi IVA debba attenuare la sperequazione del principio della certezza del diritto – causata dall’evanescenza del concetto della conoscibilità della frode altrui – che si verifica tra situazioni tipiche di accertamento di una condotta fraudolenta (107), rispetto alla situazione di maggior tutela della libertà di intraprendere un’attività economica in quei settori dove sono previsti per legge meccanismi di solidarietà nel versamento dell’IVA, come previsto all’art. 60-bis del D.P.R. n. 633/72. Infatti, mentre in tale secondo caso risultano meglio definite le presunzioni legali (108) su cui si fonda il meccanismo di responsabilità solidale (i.e. il mancato versamento dell’IVA all’interno della catena e l’acquisto a prezzi inferiori a quelli che ragionevolmente si possono praticare sul mercato), al di fuori dei settori ad alta densità di frode cui si applica la responsabilità solidale del cessionario, l’etereo concetto del “non poter non sapere della frode altrui” ha da sempre posto ambiguità ed incertezze sui contenuti concreti dell’attività di vigilanza di cui risulterebbe onerato il
(105) Si veda, tra gli altri, G. verna, Inesistenza di una presunzione relativa di colpevolezza per chi commercia con un evasore fiscale, in Diritto e Pratica Tributaria, n. 2, 2020, 626 ss e del medesimo autore Il dilemma nelle frodi carosello: lotta all’evasione o tutela dell’imprenditore onesto, in Boll. Trib., 2015, 663 ss. (106) Infatti, l’imprenditore connivente che ottiene prezzi più vantaggiosi, in accordo con il proprio fornitore che invece froda l’IVA, automaticamente pregiudica la libera concorrenza sul mercato e minaccia così la sopravvivenza stessa delle altre imprese operanti nello stesso settore. (107) Basato sulla valutazione degli elementi oggettivi che si devono richiedere ragionevolmente ad un operatore economico mediamente accorto. (108) Sull’esclusione dalla norma antifrode dell’indagine soggettivistica sulla consapevolezza e dell’indetraibilità dell’IVA, si veda G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 137.
privato, alla stregua di un contribuente-investigatore (109), per poter sostenere la controprova delle sua buona fede. Pertanto, con l’obiettivo di rispettare il principio di proporzionalità perseguendo più efficacemente il fine di tutela antifrode, nonché nell’ottica di una maggiore semplificazione legislativa e dell’omogeneizzazione del trattamento di situazioni analoghe a prescindere dai diversi settori economici in cui sono calate, l’estensione generalizzata dell’ambito applicativo della responsabilità solidale ex art. 60-bis del Decreto IVA risulterebbe ancora una volta uno strumento più che considerabile (110). Sempre nell’ottica di contemperare (111) le esigenze di gettito erariale con la tutela della buona fede del cessionario, un altro spunto risolutivo, nel segno di una maggiore certezza del diritto e nel tentativo di rendere più agevole lo svolgimento dell’esercizio probatorio, potrebbe essere rappresentato dalla promozione, per via legislativa (112) ed anche nella prassi istruttoria, di un approccio “check the box”: un siffatto strumento consisterebbe nella predisposizione di una sorta di checklist con la quale verrebbero definiti ex ante, da un punto di vista qualitativo, i controlli che ragionevolmente possano essere richiesti al contribuente diligente al fine di provare la sua buona fede. Nella sostanza, si tratterebbe quindi di un approccio proteso al restringimento delle maglie riguardo all’interpretazione dell’aspetto psicologico della buona fede (oggettivamente considerata (113)), in discontinuità con l’operato del Supremo Collegio e dall’A.F che, per troppo tempo, è stato informato all’individuazione di elementi oggettivi difficilmente riscontrabili dai contribuenti, spesso fondati su valutazioni del requisito comportamentale del tutto aleatorie. Tale nuovo modello, basandosi su standard di comportamento esigibili dal contribuente ed ispirandosi a forme di responsabilizzazione lato sensu aquiliana (114), consentirebbe di delineare fattivamente i doveri di vigilanza
(109) E. Marello, Frodi Iva e buona fede del soggetto passivo, in Giur. it., 2011, 1220. (110) Si veda, sul punto, G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, op. cit., 57 ss. (111) A. giovanardi, Le frodi IVA, Profili ricostruttivi, op. cit., 46. (112) Così, C. siMone, Operazioni inesistenti, buona fede e diligenza dell’operatore economico: considerazioni alla luce della struttura dell’imposta, in Rassegna Tributaria, n. 2, 2017, 514 ss. (113) Nella stessa direzione, G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, cit., 23.
(114) M. greggi, Frodi fiscali e neutralità del tributo nella disciplina dell’IVA, in Diritto
dell’acquirente sulla condotta del proprio fornitore, onde evitare di lasciare spazio a conseguenze di carattere fiscale non rispettose del principio europeo di proporzionalità, che deriverebbero dalla previsione di tanto diversi quanto indefiniti livelli di diligenza a seconda del bene o servizio oggetto della transazione contrattuale (115). Ovviamente è auspicabile che anche la giurisprudenza, sia mediante la funzione interpretativa della Corte di Giustizia sulle norme promulgate dall’UE, sia mediante quella della Cassazione nei limiti del recepimento nazionale delle norme comunitarie ed in ossequio all’ermeneutica della CGUE, raccolga tali impulsi e li faccia propri, promuovendo la necessità di un approccio più pragmatico da delinearsi nel quadro di una chiara base giuridica. Sarebbe altrimenti incostituzionale, con riguardo all’art. 23 Cost., imporre al contribuente un obbligo di facere per l’esercizio del diritto di detrazione in un contesto normativo privo di tali prescrizioni (116), dove emerge l’esigenza del tutto prioritaria di tracciare più nettamente la linea di confine tra deresponsabilizzazione del cessionario per frode altrui e consapevolezza del disegno criminoso, rifuggendo quindi la creazione di un diritto di detrazione “a geometria variabile” (117).
Un’ulteriore soluzione al meccanismo del mancato versamento dell’IVA nelle transazioni IVA in cui opera un missing trader potrebbe essere rappresentata dall’applicazione generale del principio dello split payment, da mettere a sistema con l’implementazione di un obbligo di fatturazione elettronica BtoB a livello UE. Nella sostanza, detto sistema consisterebbe nell’introduzione di un nuovo algoritmo mediante il quale le imprese, utilizzando il portale web online nel proprio Paese d’origine (cd. “One Stop Shop”), possano sia inviare al sistema di interscambio la fattura elettronica (la quale risulterà emessa “salvo buon fine” dell’accredito), sia effettuare, sempre tramite lo sportello unico “OSS” (che dovrebbe connettersi con la piattaforma del sistema interbanca-
e pratica tributaria, n. 1, 2016, 138. (115) Non vi sono riferimenti normativi al concetto della diligenza dell’operatore economico nel panorama legislativo nazionale e comunitario, né vi sono disposizioni interne o Unionali dirette all’individuazione dell’adempimento di certi obblighi necessari per garantire il diritto di detrazione (non esistono, cioè, dei cd. safe harbours in materia). (116) Sulla necessità di un’espressa base normativa a livello di Direttive IVA per il diniego di detrazione conseguente alla “mera consapevolezza” di altrui illecito, si veda G. MosCheTTi, «Diniego di detrazione per consapevolezza» nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e proporzionalità, cit., 29 ss. (117) Conclusioni Avv. Gen. Bobek, presentate il 22 maggio 2019 al punto 54, causa C-329/18, cit.
rio), il pagamento dell’ammontare dovuto a titolo di imponibile al fornitore e dell’IVA dovuta sull’acquisto direttamente all’Erario del paese di immissione in consumo.
È evidente che l’introduzione di un simile meccanismo possa causare delle rigidità al sistema, soprattutto considerando che gli scambi commerciali potrebbero risentirne negativamente quanto a rapidità dei flussi; non da ultimo, l’utilizzo di un tale modello comporterebbe sicuramente la necessità di presidiare anche l’ultima fase di commercializzazione al dettaglio, dove potrebbero trasferirsi tentativi di micro-frode. Tuttavia l’implementazione di una simile soluzione risulterebbe efficace e perseguibile nel breve termine, anche alla luce dell’avvio della cd. “prima fase” del sistema definitivo di spazio unico Europeo dell’IVA, in base alle previsioni contenute nella comunicazione COM(2017) 566 del 4 ottobre 2017.
FederiCo sCriMieri