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La tutela dei diritti del contribuente nel sistema multilivello delle fonti e dei mo- delli di tutela............................................................................................................... I
La tutela dei diritti del contribuente nel sistema multilivello delle fonti e dei modelli di tutela*
Sommario: 1. I diritti del contribuente tra regole e principi. – 2. Forme e modelli di tutela dei diritti. – 3. Lo Statuto dei diritti del contribuente, tra diritti di buona legislazione e diritti di buona amministrazione. – 3.1. I diritti di buona legislazione. – 3.2. I diritti di buona amministrazione. – 3.3. Il ruolo dello Statuto. – 4. La tutela del contribuente nella Costituzione. – 4.1. L’interpretazione costituzionalmente orientata. – 4.2. Il giudizio incidentale di costituzionalità. – 4.2.1. Le condizioni per il ricorso incidentale: l’esistenza di un giudizio innanzi ad un’autorità giudiziaria. – 4.2.2. Le altre condizioni (rilevanza, non manifesta infondatezza, impossibilità di un’interpretazione adeguatrice) – 4.2.3. Il giudizio. – 5. Il diritto eurounitario come strumento di affermazione di diritti per il contribuente. – 5.1. Il Diritto dell’Unione europea alla prova dei suoi confini. – 5.2. La tutela dei diritti del contribuente nel diritto dell’Unione europea. – 5.3. L’interpretazione conforme. – 5.4. Il rinvio pregiudiziale. – 5.4.1. Le condizioni. – 5.4.2. La procedura. – 5.4.3. Gli effetti. – 5.4.4. La doppia pregiudizialità. – 6. La CEDU e i diritti del contribuente. - 6.1. Gli strumenti di tutela dei diritti enunciati dalla CEDU. – 6.2. Il ricorso innanzi alla Corte EDU. – 6.3. L’invocazione diretta della Convenzione in ambito nazionale. – 7. L’assetto multilivello dei principi come sfida e come opportunità nella difesa del contribuente.
La tutela dei diritti del contribuente si articola su un sistema multilivello, in cui si intersecano fonti di rango ma anche di origini estremamente eterogenei: dal diritto costituzionale, a quello eurounitario fino alla CEDU. Un simile assetto esige dal giudice un ruolo complesso di garante della legalità statale; un ruolo, questo, che si articola nell’interpretazione costituzionalmente conforme, nella regolazione dell’accesso alla Corte costituzionale e alla Corte di Giustizia, nonché, ed infine, nell’assicurare l’applicazione della Convenzione europea. Al contempo, ai contribuenti e ai loro consulenti un simile assetto impone l’elaborazione di strategie complesse, capaci di presidiare tutte le possibili opzioni di tutela, con una contaminazione di tecniche decisorie e di soluzioni processuali in continua evoluzione.
* Il presente saggio riprende, con talune modifiche, il contributo destinato all’opera collettanea A. CarinCi - T- Tassani (a cura di), I diritti del contribuente, in corso di pubblicazione per i tipi di Giuffrè.
The taxpayer’s rights safeguard is articulated on a multilevel system, in which are combined sources of different rank and origins: constitutional law, EU law and ECHR. This asset requires the judge to play a complex role as guarantor of state legality, which is articulated in the constitutionally compliant interpretation, in regulating access to the Constitutional Court and the Court of Justice, as well as in ensuring the application of the European Convention. At the same time, such a structure requires taxpayers and their consultants to develop complex strategies, capable of overseeing all possible protection options, with a contamination of decision-making techniques and continuously evolving procedural solutions.
1. I diritti del contribuente tra regole e principi. – Le norme che compongono un sistema ordinamentale, dove vanno ricercati i diritti del contribuente, possono essere di due tipi, potendo atteggiarsi a regole o a principi (1). La regola definisce e puntualizza uno specifico trattamento, con un meccanismo di tipo sillogistico (se A, allora B) (2). Il principio, quale norma, tende invece ad avere un ruolo più mediato, operando con funzione di indirizzo e condizionando la legittimità delle regole. Il principio può altresì fungere da criterio ermeneutico ovvero assumere funzione integrativa per colmare lacune (art. 12 delle Preleggi) (3). In ogni caso, mentre il principio ha bisogno della regola (4), ogni regola che disciplina un diritto postula il suo principio (5).
I diritti (anche del contribuente) debbono trovare fondamento in un principio (6), che ne deve attestare l’esistenza evocandone (anche implicitamente) la tutela. Il fatto che trovino riconoscimento in regole precise, che ne dettano
(1) Cfr. r. guasTini, Principi di diritto, in Dig. disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, VI, Milano, 2011, 686, cui si rinvia anche per la distinzione tra regole e principi; sulla portata normativa dei principi, cfr. anche F. Modugno, Principi generali dell’ordinamento, in Enc. giur. Treccani, XXIV, 1991, 3; S. BarTole, Principi generali del diritto. a) Diritto costituzionale, in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, 517. (2) r. guasTini, Principi di diritto, cit., 686. (3) F. Modugno, Principi generali dell’ordinamento, cit., 3; g. alPa, I principi generali, Milano, 2006, 17. (4) Osserva che «tutti i principi… non sono direttamente applicabili, abbisognando della mediazione, rispetto alla fattispecie, costituita dalla precisa norma che se ne ricava», F. Modugno, Principi generali dell’ordinamento, cit., 8. (5) S. BarTole, Principi generali del diritto. a) Diritto costituzionale, cit., 518. (6) «I principi generali sono quegli enunciati esprimenti un contenuto normativo con un forte nucleo valoriale, capace di andare oltre la mera, seppur costante, reiterazione dello specifico ordito normativo risultante dalla formulazione riassuntiva che è invece propria della regola generale»; A. Massera, I principi generali, in Dir. amm., 2017, 428.
i caratteri, ne definiscono i limiti e ne approntano in modo puntuale la tutela (7), non deve trarre in inganno, in quanto in ogni caso il diritto deve trovare, a monte, fondamento in un principio (8). In norme, cioè, che incorporando i valori, i sentimenti di giustizia, le decisioni politiche di un dato momento conducano all’affermazione, in quel momento, di determinati diritti (9).
La regola attua il principio, dandovi svolgimento e specificazione, motivo per cui il diritto deve trovare necessariamente fondamento in un principio, cui una regola ha dato svolgimento, dettando la disciplina ed articolando la tutela del diritto ivi enunciato (10).
Il diritto trova tutela in una regola, che è attuativa di un principio, ma può accadere che il principio riconosca il diritto senza, al contempo, imporre né esigere una misura particolare di tutela. In questo modo, possono essere compatibili con il principio regole che accordano al diritto tutele differenti, per forma, misura ed intensità. Tutte legittime, almeno fin tanto che non interviene un diverso ed ulteriore principio (ad esempio eurounitario), che sollecita soluzioni diverse e più mirate.
Vero è anche che la regola sul diritto può trovare copertura in un principio che, tuttavia, non lo enuncia compiutamente. Ciò accade tutte le volte in cui il diritto, pur non essendo enunciato dal principio, è in qualche modo ad esso sussumibile, in termini di evoluzione, espressione, specificazione. Così, ad esempio, il contraddittorio e quindi il diritto al suo esperimento trova (può trovare) fondamento sia nell’art. 97 Cost., sul principio di Buona amministrazione, sia nell’art. 24 Cost., sul diritto di difesa; ciò, pur non essendo enunciato in nessuna di dette previsioni. Questo non toglie che la regola trovi copertura in
(7) Sulla differenza tra regole e principi cfr. g. Pino, Problemi del diritto “per principi”, in F. Sorrentino - G. Pino, Le fonti in generale e l’interpretazione, Torino, 2021, 346; cfr. anche g. Melis, L’interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003, 305, che puntualmente osserva come «l’individuazione dei principi non costituisca un giudizio di fatto, bensì un giudizio derivante da una valutazione». (8) Come rileva a. CarraTTa, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il “giusto processo” per la tutela dei “diritti di natura civile”, in F. Bilancia - C. Califano - L. Del Federico - P. Puoti (a cura di), Convenzione europea dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, Torino, 2014, 14, «i diritti dei cittadini traggono origine non dalla legge, ma dalla Costituzione». (9) r. guasTini, Principi di diritto, cit., 687. (10) r. guasTini, ult. op. cit., 688.
un principio, ma, semmai, induce a chiarire che i principi, che danno copertura alle regole, possono esse espressi come pure impliciti (11).
I principi, infatti, possono essere formalizzati in un testo quanto essere immanenti al sistema (12). I principi possono così essere codificati in disposizioni testuali, ad esempio articoli costituzionali, come pure essere rinvenibili in via solo interpretativa, combinando diversi testi (13). In ogni caso, però, in quanto norma a tenore generale (14), il principio, anche quando viene codificato, tende a sublimarsi in un valore assiologico, che va ben oltre il testo scritto (l’articolo), per divenire immanente al sistema nel suo complesso, evincibile solo per interpretazione sistematica (15).
Tutto questo rende complessa l’individuazione dei diritti del contribuente. Peraltro, una simile ricognizione sconta un’ulteriore difficoltà, che attiene alla verifica della conformità tra regola e principio. Verifica, questa, che si snoda lungo due direttive: una discendente, dal principio alla regola, per vedere come il diritto, enunciato dal principio, abbia trovato concreta attuazione nella regola, ed una ascendente, dalla regola al principio, per vedere se e come la regola abbia dato corretta attuazione al principio.
2. Forme e modelli di tutela dei diritti. – Solo se ed in quanto una data pretesa ottiene (può ottenere) tutela e, così, essere salvaguardata, nonché dalle dimensioni di detta salvaguardia, è concretamente possibile affermare l’esistenza di una situazione identificabile come diritto (16).
A sua volta, la tutela del diritto passa per l’individuazione della fonte, dal momento che la forza di un diritto sta nella forza della fonte che lo afferma. Sicché, dal momento che il diritto trova fondamento in un principio, ecco
(11) Come evidenzia F. Modugno, Principi generali dell’ordinamento, cit., 5, «il principio si differenzia dalla norma …per essere … essenzialmente implicito, anche se eventualmente enucleabile da una o più disposizioni»; g. alPa, I principi generali, cit., 11; per Bobbio, i principi sono norme giuridiche estratte per via induttiva da regole di diritto positivo (n. BoBBio, Principi generali del diritto, in Noviss. dig. it., XIII, Torino, 1966, 887). (12) A. Fedele, Il valore dei principi nella giurisprudenza tributaria, in Riv. dir. trib., 2013, 875. (13) S. BarTole, Principi generali del diritto. a) Diritto costituzionale, cit., 516. (14) g. Pino, Problemi del diritto “per principi”, cit., 346. (15) A. Fedele, ult. op. cit., 875. (16) Come osservano C. M. BianCa - g. PaTTi. - s. PaTTi, Lessico di Diritto Civile, Milano, 1995, 287, «il diritto soggettivo è una posizione di vantaggio tutelata dalla norma giuridica»
allora che la forza del diritto sta, innanzitutto, nella forza del principio che lo enuncia.
Sono le fonti da cui è possibile evincere il principio a fornire la cifra del principio stesso (17). Un principio che sia desumibile da norme di rango costituzionale assumerà pari grado e potrà, così, assurgere a rango di ‘principio fondamentale’ (18). Viceversa, i principi che ricevono riconoscimento quali principi generali dell’ordinamento avranno inevitabilmente una portata più ridotta: giacché desunti per interpretazione sistematica di norme di rango ordinario, avranno il valore delle leggi (19). Per l’effetto, la loro legittimità passa anche per la conformità con i principi fondamentali.
Da ciò discende, poi, che il diritto che riesce a trovare riconoscimento in una norma sovraordinata potrà ricevere tutela non solo orizzontale (contro l’Amministrazione) ma anche verticale (verso il Legislatore); viceversa, se viene affermato solo ad un livello ordinario, potrà avere al più salvaguardia orizzontale, ma non pure verticale. La tutela del diritto finisce, in questo modo, per articolarsi su più livelli, almeno tanti quanti sono quelli in cui viene operato il riconoscimento del diritto stesso: a livello di principi, prima, e di regole, poi.
3. Lo Statuto dei diritti del contribuente, tra diritti di buona legislazione e diritti di buona amministrazione. – Ai sensi dell’art. 1 della L. 27 luglio 2000, n. 212, che ha introdotto lo “Statuto dei diritti del contribuente” (20), «le disposizioni della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario». Lo Statuto compie così un’autoqualificazione delle proprie previsioni, facendole assurgere a principi generali dell’ordinamento tributario. A previsioni, quindi, idealmente connotate da un’importante cifra assiologica ed espressione dei valori fondanti ed immanenti dell’intero ordinamento tributario (21). Ebbene, e al di là del valore e dell’efficacia di detta qualificazione, è evidente che, così
(17) S. BarTole, Principi generali del diritto. a) Diritto costituzionale, cit., 514. (18) g. Pino, Problemi del diritto “per principi”, cit., 350; S. BarTole, Principi generali del diritto. a) Diritto costituzionale, cit., 514. (19) A. Fedele, Il valore dei principi nella giurisprudenza tributaria, cit., 875. (20) In argomento G. Marongiu, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2010; a. FanTozzi - a. Fedele, Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005. (21) Ciò, sull’assunto che i principi siano portatori dei valori, degli interessi e quindi delle scelte politiche sottese ad un dato ordinamento; r. guasTini, Principi di diritto, cit., 687.
operando, lo Statuto si vuole affermare come fondamentale strumento ricostruttivo e ricognitivo dei diritti del contribuente (22).
Lo Statuto ha infatti, ed indubbiamente, il grande merito di aver operato un primo tentativo di ricostruzione ed enumerazione dei diritti del contribuente. Si tratta di una ricognizione che, pur non esaustiva, appare non di meno assai ampia e particolarmente apprezzabile. Questo, soprattutto ove si consideri il carattere estremamente casistico ed asistematico dell’ordinamento tributario, che rende alquanto problematico riconoscere e schematizzare i diritti per il contribuente (23). Peraltro, si tratta di una ricognizione di diritti che, come lo Statuto ha cura di chiarire, vanno ricercati in fonti ulteriori, quali segnatamente la Costituzione ed i principi generali dell’ordinamento tributario. Insomma, lo Statuto chiarisce che non vuole essere fonte primigenia dei diritti che enuncia. Esso, piuttosto, si offre come un mero strumento di ricognizione di tali diritti, che devono intendersi come già presenti e rinvenibili nell’ordinamento, in quanto sanciti da norme di rango costituzionali ovvero immanenti nell’ordinamento stesso, giacché riconducibili a principi generali (24).
Questa peculiare connotazione dello Statuto, di strumento di ricognizione dei diritti riconducibili alle fonti costituzionali ovvero ai principi generali dell’ordinamento, si mostra fondamentale per comprenderne l’operatività e l’efficacia.
I diritti affermati dallo Statuto sono in concreto riconducili a due macrosistemi: i diritti sulla buona legislazione ed i diritti sulla buona amministrazione (25).
I primi (artt. 1-4), ossia i diritti sulla buona legislazione, sono quei diritti che si sostanziano nella previsione di precisi condizionamenti e limiti per l’attività del Legislatore. Viene così in considerazione il diritto ad un utilizzo limitato e necessitato di norme intepretative (art. 1), il diritto alla chiarezza ed alla trasparenza delle disposizioni tributarie (art. 2), il diritto a non subire la retroattività delle leggi (art. 3) (26) ovvero a non vedere prorogati i termini
(22) G. Marongiu, Lo Statuto dei diritti del contribuente, cit., 50 (23) L. Perrone, Valenza ed efficacia dei principi contenuti nello Statuto del Contribuente, in L. Perrone - C. Berliri (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 433. (24) L. Perrone, ult. op. cit., 437. (25) G. Melis, L’interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003, 362. (26) a. ConTrino, Modifiche fiscali in corso di periodo e divieto di retroattività “non autentica” nello Statuto del contribuente, in Rass. trib., 2012, 589
di prescrizione e decadenza (art. 3, co. 3) ecc. Si tratta di diritti, tutti questi, che giungono ad imporre al Legislatore precisi limiti. L’osservanza di questi diritti si compendia, infatti, nella limitazione per il Legislatore ad emanare indiscriminatamente leggi interpretative, oppure leggi poco chiare ovvero leggi retroattive ecc. Tali diritti finiscono così per assurgere a strumento di disciplina della produzione di norme, proprio perché congegnati per limitare e condizionare il Legislatore nell’emanazione di leggi.
Accanto ai diritti sulla buona legislazione vi sono, poi, i diritti sulla buona amministrazione (27). Si tratta di un compendio di diritti concepiti per contenere l’azione degli enti impositori, mediante la fissazione di criteri, parametri e regole dell’azione impositiva e di quella riscossiva. Vengono in considerazione (artt. 5- 15 dello Statuto) i diritti relativi all’obbligo di motivazione (art. 7), alla collaborazione ed alla tutela della buona fede (art. 10), al contraddittorio (art. 10-bis), all’improcedibilità dell’azione impositiva prima dei sessanta giorni dal rilascio del PVC (art. 12, co. 7) ecc. Una serie di previsioni che sviluppano una successione di situazioni tutelabili per il contribuente, ascrivibili in linea di principio come diritti, congeniati in forma di limiti all’attività degli enti impositori. 3.1. I diritti di buona legislazione. – Quando lo Statuto afferma diritti sulla buona legislazione, ossia diritti che mirano a condizionare l’attività del Legislatore, la tutela di tali diritti si traduce in un problema di conflitto tra fonti. Ebbene, è chiaro che se i diritti affermati dallo Statuto si compendiano in regole concepite per condizionare il se ed il come dell’emanazione di norme di legge, diviene inevitabile giungere ad ipotizzare, per loro salvaguardia, una sorta di idoneità dello Statuto a condizionare l’azione del Legislatore futuro. Sennonché, lo Statuto, avendo rango di legge, non è strutturalmente in grado di impedire, né condizionare, il Legislatore futuro (28).
Nonostante l’operata autoqualificazione, non appare infatti possibile riconoscere allo Statuto il rango proprio di una fonte normativa di livello superiore rispetto alle leggi ordinarie.
(27) F. MosCheTTi, Il principio democratico sotteso allo Statuto dei diritti del contribuente e la sua forza espansiva, in Riv. dir. trib., 201, 731 (28) l. CasTaldi, I vincoli statutari alla esegesi legislativa in materia tributaria, in Dir. prat. trib., 2011, 955
Il nostro ordinamento non conosce le fonti intermedie tra le norme costituzionali e le leggi ordinarie (29). La Corte Costituzionale ha così avuto gioco relativamente facile nel dichiarare infondate le questioni di costituzionalità sollevate su asserite violazioni dello Statuto; e ciò, proprio in ragione del rango di legge ordinaria che viene riconosciuto allo Statuto (30). Dal momento che le leggi adottate con il procedimento e quindi con il rango di fonti legislative hanno, tutte, la medesima forza attiva e passiva, e vanno pertanto collocate in posizione di ideale parità (31), lo Statuto, che ha forza di legge, non si può porre ad un livello superiore. Di conseguenza, non può essere concepito come legge di attuazione della Costituzione in senso stretto (32) e ben può essere derogato dal Legislatore (33).
Dal momento che non è possibile accordare allo Statuto forza attiva e passiva superiore a quella propria delle leggi ordinarie, lo Statuto può allora essere violato e derogato (34). Da ciò consegue, inevitabilmente, che i diritti di buona legislazione enunciati dallo Statuto possono restare (e di fatto sono) pregiudicati (ciò accade, ad esempio, con riguardo all’art. 3, co. 3, dove si vorrebbe inibire la possibilità di prorogare i termini di prescrizione e di decadenza degli accertamenti, che, di contro, sono sovente oggetto di proroga (35)).
(29) V. CrisaFulli, Lezioni di diritto Costituzionale, Padova, 1984, 144. (30) Corte Cost. n. 185/2009; n. 58/2009; n. 41/2008; n. 180/2007; cfr. E. alBanesi, La scrittura delle disposizioni tributarie. Profili di diritto costituzionale e tecnica legislativa, in AA.VV., Per un nuovo ordinamento tributario, a cura di C. Glendi - G. Corasaniti - C. Corrado Oliva – P. de’ Capitani di Vimercate tomo I, Milano, 2019, p. 35 (31) L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1992, 87 (32) V. MasTroiaCovo, L’efficacia della norma tributaria nel tempo, in A. FanTozzi - A. Fedele (a cura di), Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 7. (33) Così, espressamente Cass., sez. trib., 31 gennaio 2019, n. 2870, secondo cui gli artt. 1 e 3 della L. n. 212/2000 «non hanno valenza superiore a quella della legge ordinaria (con la quale sono adottate)»; cfr. anche Cass, sez. trib., 7 novembre 2012, n. 19225. Dal canto suo, la Corte costituzionale ha precisato, in diverse occasioni, che le previsioni statutarie non costituiscono parametro idoneo a fondare un giudizio di legittimità costituzionale; cfr. Corte Cost. Ord. n. 180 del 2007 (cfr. anche Corte Cost. ord. n. 428 del 2006 e n. 216 del 2004). (34) Dal momento che lo Statuto si compendia di norme di portata generale, può essere derogato ma non pure abrogato dalle previsioni, successive; questo perché le disposizioni successive si pongono, rispetto allo Statuto, in un rapporto di specialità; V. MasTroiaCovo, L’efficacia della norma tributaria nel tempo, cit., 25-26. (35) Ad esempio, con l’art. 157 del Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34), si è disposto che gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni, di recupero dei crediti di imposta, di liquidazione, di rettifica e liquidazione, relativi ad atti o imposte per i quali i termini di decadenza scadono tra l’8 marzo e il 31 dicembre 2020, devono essere emessi entro il 31 dicembre 2020 ma debbono poi essere notificati tra il 1° gennaio 2021 e 28 febbraio
Questo non significa, però, che lo Statuto resti privo di ogni valenza concreta e che l’enunciazione dei diritti sulla buona legislazione, ivi operata, non costituisca altro che una mera enunciazione programmatica, di buon auspicio, ma fine a sé stessa.
È vero invece il contrario. Ad avviso della giurisprudenza, seguita sul punto dalla dottrina (36), alle predette clausole di autoqualificazione deve infatti essere attribuito un preciso valore prescrittivo. Segnatamente, e proprio perché «attuative delle norme costituzionali richiamate e come “principi generali dell’ordinamento tributario”» (37), le regole enunciate dallo Statuto finiscono per costituire un fondamentale strumento ermeneutico.
Le disposizioni statutarie, in quanto attuative delle norme costituzionali e dei principi generali, vincolano l’interprete; ciò, in ragione del fondamentale canone ermeneutico della “interpretazione adeguatrice” a Costituzione (su cui anche infra). L’interpretazione conforme a Statuto si risolve, in definitiva, nell’interpretazione conforme alle norme costituzionali ed ai principi generali, che lo Statuto dichiara esplicitamente di attuare nell’ordinamento tributario. Ecco allora che, attraverso lo Statuto, l’interprete può e deve ricavare il senso delle altre norme, in modo da renderle compatibili con i principi costituzionali ed ordinamentali (38). Questo significa che, nel dubbio interpretativo di una previsione, deve prevalere la soluzione che si mostra più in linea e conforme con le previsioni dello Statuto.
È evidente che, per questa via, lo Statuto assume però anche un altro e più pregnante significato. Nel momento stesso in cui l’interpretazione di una legge in conformità dello Statuto si afferma come l’interpretazione conforme a Costituzione, è chiaro che, laddove ciò non sia possibile, nel senso che non è praticabile un’interpretazione conforme con lo Statuto, ciò si traduce in un indice di possibile conflitto con la Costituzione. Ancorché il contrasto di una legge con una disposizione dello Statuto non integri, di per sé, una violazione
2022. (36) L. Perrone, Valenza ed efficacia dei principi contenuti nello Statuto del Contribuente, cit., 436; V. MasTroiaCovo, Efficacia dei principi dello Statuto e affidamento del contribuente, in Riv. dir. trib., 2003, 268; A. CarinCi - T. Tassani, Manuale di diritto tributario, Torino, 2021, 237; s. dorigo, Il divieto di retroattività delle norme tributarie: spunti ricostruttivi a partire da una recente sentenza sull’abuso del diritto, in Riv. dir. trib., 2013, 603. (37) Così Cass. 10 dicembre 2002, n. 17576. (38) Cass. 30 marzo 2001, n. 4760.
costituzionale, non di meno, proprio perché in questo modo si viola una previsione che è attuazione di una norma costituzionale, la violazione dello Statuto finisce per divenire un indice sintomatico della possibile violazione di una norma costituzionale (39). Lo Statuto assurge, in questa maniera, a parametro mediato di legittimità delle norme. 3.2. I diritti di buona amministrazione. – Il discorso si pone ovviamente in termini differenti quando lo Statuto riconosce diritti di buona amministrazione (40).
In questo caso, non viene infatti più in considerazione un rapporto tra fonti, posto che il destinatario dell’enunciazione del diritto diventa l’Autorità fiscale e non più il Legislatore. In questo caso, invero, viene introdotto un limite per l’azione di detta Autorità e non del Legislatore.
I diritti di buona amministrazione, diversamente da quelli di buona legislazione, sono diritti che vengono affermati e riconosciuti attraverso la previsione di regole che si compendiano, a loro volta, nella prescrizione di forme e modi di azione cui deve sottostare l’ente impositore. La previsione dello Statuto, che afferma un diritto, finisce in questo modo per articolarsi in una regola tesa a condizionare la legittimità di atti amministrativi. Ebbene, dal momento che l’atto amministrativo, di imposizione o di riscossione, per essere legittimo deve essere conforme ai parametri legali, ecco allora che deve rispettare anche le regole dettate dallo Statuto.
Il problema, tuttavia, è che spesso detta disciplina non risulta compiuta. Ciò accade, in particolare, in tutti i casi in cui lo Statuto fissa una precisa modalità di azione dell’Amministrazione, omettendo però di dettare la sanzione per il caso di inosservanza delle prescrizioni così articolate. È evidente, infatti, che l’enunciazione del diritto come condizione di legittimità di un atto ovvero di un’attività dell’ente impositore non può dirsi completa come regola, laddove manchi la previsione delle conseguenze di un eventuale inadempimento.
In questi casi, l’affermazione del diritto rimane, essenzialmente, allo stadio di mera enunciazione di un principio, cui difetta una regola di attuazione e svolgimento; questa, per l’effetto, deve allora essere ricercata dall’interprete, chiamato a dare contenuto al principio enunciativo del diritto. Il problema, in
(39) Cass. 29 dicembre 2021, n. 41903. (40) In argomento, ampiamente d. MazzagreCo, I limiti all’attività impositiva nello Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2011
questo contesto, è che lo Statuto adotta, al riguardo, soluzioni assai differenziate, che rendono estremamente difficile condurre una lettura unitaria.
Così, ad esempio, all’art. 6, co. 5, si prevede che, in presenza di «incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione», prima di poter procedere alla riscossione deve essere ascoltato il contribuente; questo, con la precisazione che, se l’Agenzia non invita il contribuente a fornire i chiarimenti necessari, sono nulli i provvedimenti emessi successivamente. Il diritto del contribuente ad essere ascoltato, prima dell’adozione di un atto impositivo, è qui espressamente tutelato con la sanzione della nullità degli atti emessi in violazione di detto diritto. Tant’è che, come è noto, alla stregua di tale previsione, è oggi consolidato l’insegnamento per cui è nulla la cartella di pagamento con cui viene formalizzato l’esito di un controllo automatizzato, laddove non sia stata preceduta dall’avviso di irregolarità (41). Soluzioni analoghe sono poi previste anche per altri casi. Così, è comminata la nullità per l’ipotesi in cui la contestazione di abuso del diritto non sia preceduta dalla notifica di una richiesta di chiarimenti (art. 10-bis, co. 6), ovvero il successivo avviso di accertamento non sia dotato di motivazione rinforzata (art. 10-bis, co. 8) (42). Casi, tutti questi, in cui il diritto disciplinato dallo Statuto trova riconoscimento in una regola idealmente compiuta.
Al contempo, vi sono altre ipotesi dove, invece, non è prevista alcuna sanzione. Dove, cioè, l’enunciazione di un diritto, attraverso la prescrizione di particolari condizionalità all’azione dell’ente impositore, manca della specificazione delle conseguenze per il caso di violazione del diritto stesso. Questo accade, ad esempio, in tema di conoscenza degli atti e semplificazione (art. 6), oppure di permanenza dei verificatori presso l’azienda (art. 12, co. 5). In questi casi, è di fatto lasciato alla giurisprudenza ed agli interpreti il compito di
(41) Cfr. Cass. del 28 giugno 2019, n. 17479; Cass. del 17 dicembre 2019, n. 33344; Cass. del 30 giugno 2021, n. 18405. La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, si mostra poi ferma nel chiarire che l’obbligo del contraddittorio preventivo è configurabile solamente quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, questa, che non ricorre quando la cartella sia stata emessa in ragione del mero mancato pagamento di quanto risultante dalla dichiarazione. In argomento, a. CarinCi, Il ruolo tra pluralità di atti ed unicità della funzione, in Riv. dir. trib., 2008, 244; A. CarinCi - T. Tassani, Manuale di diritto tributario, Torino, 2021, 237. (42) a. ConTrino - a. MarCheselli, Procedimento di accertamento dell’abuso, contraddittorio anticipato e scelte difensive, in C. glendi -C. Consolo - a. ConTrino, Abuso del diritto e novità sul processo tributario, Milano, 2016, 36.
comprendere se, come e con che intensità deve essere concepita una reazione all’eventuale violazione del diritto enunciato dallo Statuto.
Sennonché, anche qui non esiste una risposta unitaria. Mentre in taluni casi la violazione della prescrizione Statutaria viene relegata al rango di mera irregolarità, con effetti limitati al solo contribuente (remissione in termini) (43) o addirittura senza conseguenze (44), in altri casi la reazione elaborata dalla giurisprudenza è stata concepita in termini assai rigorosi: ciò è quanto accade nel caso di violazione del termine di 60 giorni dall’emissione del PVC per notificare l’avviso di accertamento (45). Soluzioni diverse a problemi in parte simili, senza però che, a monte, si possa riscontrare un’adeguata consapevolezza del ruolo e del significato del diritto di volta in volta coinvolto e, così, del principio cui lo stesso va ricondotto. Prevale insomma la convinzione di un percorso ancora in evoluzione, quello dell’individuazione, del riconoscimento e quindi della tutela dei diritti del contribuente; un percorso che, tuttavia, può essere intrapreso con una acquisita consapevolezza, in prima battuta, delle diverse fonti dove rinvenire i diritti del contribuente.
3.3. Il ruolo dello Statuto. – Dall’analisi condotta emerge un quadro assai composito circa il ruolo che può svolgere lo Statuto. Lo Statuto non è, né può essere, relegato a mera enunciazione di buone intenzioni; esso costituisce, invero, una prima fondamentale ricognizione di quelli che possono essere (alcuni) diritti del contribuente (46). Ma, appunto, si tratta di una ricognizio-
(43) Ad avviso della giurisprudenza (cfr. Cass. del 17 giugno 2021, n. 17237), l’omessa indicazione, nell’atto impositivo, delle informazioni relative all’autorità cui proporre ricorso e del termine entro cui il destinatario può impugnare non determina l’invalidità del provvedimento, ma comporta sul piano processuale, avuto riguardo alle circostanze concrete, la scusabilità dell’errore, con conseguente possibilità di remissione in termini. (44) Ciò è quanto accade per la violazione dei termini di permanenza degli operatori ex art. 12, co. 5, dove la giurisprudenza, nonostante il tenore della norma («non può superare») è ferma nel ritenere priva di conseguenze detta violazione. In particolare, per la natura meramente ordinatoria del termine di cui all’art. 12, co. 5, cfr. Cass. del 15 aprile 2015, n. 7584; in argomento, cfr. F. Tundo, La durata delle verifiche tributarie nuovamente al vaglio della Corte di cassazione, in Rass. trib., 2015, 1014 (45) Cfr. ex plurimis, Cass. del 30 giugno 2021, n. 18413; Cass. del 05 novembre 2020, n. 24793; Cass. del 15 gennaio 2019, n. 701, su cui il commento di F. Tundo, Contraddittorio: la cassazione recupera la funzione nomofilattica e supera la “riforma” in itinere, in Corr. trib. 2019, 678. (46) Come osserva G. Melis, L’interpretazione nel diritto tributario, cit., 362, con l’emanazione dello Statuto «il panorama dei “principi tributari” comincia ad assumere una sua non trascurabile fisionomia».
ne, nel senso che i diritti affermati dallo Statuto non trovano origine nello Statuto, ma ivi solamente un’enunciazione, potendo invece ritrovare la loro fonte direttamente nelle norme costituzionali ovvero nei principi ordinamentali (47). Sono, insomma, diritti già presenti nel sistema, che lo Statuto intende solo richiamare per ribadirne la valenza. Ma non solo: oggi, per effetto della crescente importanza assunta da altre fonti extraordinamentali come il diritto eurounitario o la CEDU, i diritti dello Statuto possono trovare conferma anche all’interno di questi ulteriori compendi normativi (48).
Questo diventa un profilo fondamentale, perché consente ovviamente di dare nuova forza allo Statuto, che non è più lasciato ‘da solo’ a difendere i diritti che enuncia. Al contempo, impone di ricercare su altri livelli il riconoscimento di quei diritti, in modo da poterne articolare la tutela coinvolgendo i diversi piani in cui quelli trovano espressione. Inoltre, proprio perché lo Statuto si limita a riprendere diritti che trovano riconoscimento altrove, è chiaro che la dimensione di quel diritto non è necessariamente esaurita da quanto affermato dallo Statuto. Ben può accadere, difatti, che il diritto trovi nello Statuto un’enunciazione connotata però da limiti e condizionamenti. Si tratta, allora, di verificare se e come detti limiti siano attuali e giustificati, alla luce delle fonti sovraordinate in cui il diritto, enunciato dallo Statuto, può trovare primario riconoscimento.
Ciò accade, ad esempio, con il diritto al contraddittorio.
Lo Statuto non lo enuncia propriamente in termini di diritto, né formula un principio al riguardo, limitandosi semmai a prevedere talune specifiche regole che, comunque, lo presuppongono: è il caso dell’art. 6, co. 5, nonché dell’art. 10-bis (49).
(47) d. MazzagreCo, I limiti all’attività impositiva nello statuto dei diritti del contribuente, cit. 2 (48) a. MarCheselli, Lo Statuto del contribuente: condivisione dei principi comunitari e nazionali, riflessi sulla validità per gli atti, in Dir. prat. trib., 2011, 521 (49) Non anche dell’art. 12, co. 7. A parere di chi scrive, difatti, e nonostante l’opinione contraria della Cassazione, detto articolo integra una mera ipotesi di improcedibilità, ma non anche di contraddittorio; ciò, per l’assorbente ragione che, ad avviso della Cassazione, l’avviso di accertamento, che non menzioni le osservazioni del contribuente ex art. 12, co. 7, della l. n. 212 del 2000, è perfettamente valido, atteso che l’Ufficio non ha l’obbligo di motivare l’atto impositivo in relazione alle osservazioni formulate dal contribuente sul contenuto del processo verbale di contestazione, (Cass. 23 dicembre 2021, n. 41444); insomma, non è previsto alcun obbligo per l’Agenzia di dare conto, ossia contraddire, alle osservazioni formulate dal contribuente.
A questo, punto, preso atto che lo Statuto opera una sostanziale ricognizione dei vari diritti affermati da fonti sovraordinate, si dovrebbe concludere nel senso di un pieno riconoscimento dell’operatività del diritto al contraddittorio, ben oltre gli angusti confini tratteggiati dallo Statuto. Soprattutto quando poi è possibile ritrovare il fondamento di un tale diritto addirittura nel diritto eurounitario. Come noto, però, la giurisprudenza di legittimità si mostra sul punto di diverso avviso, giungendo a negare l’operatività dell’istituto del contraddittorio preventivo in termini generali, fuori cioè dall’ambito dei tributi armonizzati (50). Si tratta, non di meno, di una posizione di retroguardia, che trascura una molteplicità di elementi anche normativi. Di una soluzione, quindi, che si auspica possa essere presto superata dalla compiuta valorizzazione del principio e, per questa via, del diritto al contraddittorio preventivo (51).
Considerazioni analoghe possono poi essere formulate anche per il tema della tutela dell’affidamento. Anche qui, lo Statuto, offre una disciplina (art. 10) che, nel prevedere il diritto alla tutela dell’affidamento, pone numerose limitazioni. Limitazioni che, però, sembrerebbero oggi troppo anguste e non in linea con le tendenze che emergono soprattutto a livello unionale (52).
Si realizza, in sostanza, un andamento circolare, dove lo Statuto si pone come momento di raccordo e ricognizione dei diritti del contribuente evincibili dal sistema ma anche come strumento di interpretazione del sistema. Di un sistema che, a sua volta, nella molteplicità di fonti che oramai lo connota, diventa criterio di lettura ed interpretazione dello Statuto, nonché mezzo per portare ad esprimere in pieno le sue potenzialità.
(50) a. CarinCi - d. deoTTo, Il contraddittorio tra regola e principio: considerazioni critiche sul revirement della suprema corte, in il fisco, 2016, 207. (51) In argomento, ampiamente F. Tundo, Procedimento tributario e difesa del contribuente, Milano, 2013, 301; s. la rosa, Cinque quesiti in tema di “contraddittorio endoprocedimentale” tributario, in Riv. dir. trib., 2020, 296; A. CoMelli, I diritti della difesa, in materia tributaria, alla stregua del diritto dell’Unione Europea e, segnatamente, il “droit d’etre entendu” e il diritto ad un processo equo, in Dir. prat. trib., 2020, 1315. Incidentalmente si osserva che la soluzione al problema del contraddittorio non può certo essere rinvenuta nella previsione dell’art. 5-ter (Invito obbligatorio) del D.Lgs. n. 218/1997, stante le ampie limitazioni ivi dettate per l’operatività di tale previsione (rilascio di copia del processo verbale, accertamenti parziali, urgenza e fondato pericolo per la riscossione). (52) M. logozzo, I principi di buona fede e del legittimo affidamento: tutela “piena” o “parziale”?, in Dir. prat. trib., 2018, 2325.
4. La tutela del contribuente nella Costituzione. – Nella nostra Carta Costituzionale vi sono diverse norme destinate a regolare il rapporto tributario (53). Questo è vero, ma è altrettanto vero che poi risulta indubbiamente difficile rintracciare, tra quelle norme, una compiuta enunciazione di diritti per il contribuente.
Vi sono, indubbiamente, disposizioni che, nel tracciare limiti all’iniziativa del Legislatore, consentono di articolare, in positivo, puntuali diritti per il contribuente. L’art. 23 (54), come e soprattutto l’art. 53 (55), nel condizionare l’attività legislativa fissando vincoli, condizioni e limiti, inevitabilmente ritagliano situazioni soggettive tutelabili in capo al contribuente, ossia diritti (56). Il problema, semmai, diventa quello di verificare come in concreto queste previsioni trovino ed abbiano trovato concreta lettura e riconoscimento ad opera della giurisprudenza della Corte Costituzionale (57). È noto, al riguardo, come in effetti la Consulta operi un bilanciamento, nell’applicazione di dette previsioni, tra interesse del contribuente ed interesse fiscale, dove spesso il secondo prevale sul primo (58). L’interesse fiscale, nella giurisprudenza costituzionale,
(53) P. Boria, I principi costituzionali dell’ordinamento fiscale, in A. FanTozzi (a cura di), Diritto tributario, Milano, 2012, 59. (54) Sull’art. 23 Cost., si veda ampiamente A. Fedele, Art. 23 cost. in Comm. Cost. Branca, Bologna-Roma, 1978; id., La riserva di legge, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, Padova, 12994, I, 157; L. CarPenTieri, Le fonti del diritto tributario, in A. Fantozzi (a cura di) Diritto tributario, Milano, 2012, 139. (55) In argomento, F. BaTisToni Ferrara, voce Capacità contributiva, in Enciclopedia del diritto, Aggiornamento, III; id., Art.53, in Commentario della Costituzione, Bologna, 1994; F. MosCheTTi (a cura di), La capacità contributiva, Padova, 1993; id., voce Capacità contributiva, in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988; g. gaFFuri, La nozione di capacità contributiva e un essenziale confronto di idee, Milano, 2016. (56) e. de MiTa, L’influsso della giurisprudenza della Corte Costituzionale sul diritto tributario, in Riv. dir. fin. e sc. delle fin., 1981, I, 594; A. Fedele, Il presupposto del tributo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giur. Cost., 1967, 965; S. la rosa, Riflessioni sugli «interventi guida» della Corte Costituzionale in tema di eguaglianza e capacità contributiva, in L’evoluzione dell’Ordinamento tributario italiano, Atti del Convegno “I settanta anni di Diritto e pratica tributaria”, Genova 2 – 3 Luglio, Padova, 2000, 185. (57) È stata osservata una certa tendenza da parte della Corte Costituzionale a svalutare la funzione “garantista” dell’art.53, quale limite all’imposizione; così, in particolare, L. Perrone, Appunti sulle garanzie costituzionali in materia tributaria, in Riv. dir. trib., 1997, I, 585; F. Bosello, La fiscalità fra crisi del sistema e crisi del diritto, in Riv. dir. trib., 1998, I, 1073. (58) g. Melis, L’interpretazione nel diritto tributario, cit., 341.
è stato infatti sovente riconosciuto come idoneo a giustificare deroghe della disciplina fiscale a favore del fisco, in deroga al diritto comune (59).
Pur con questi limiti, rimane comunque acquisito che gli artt. 23 e 53 consentono di enucleare diritti per il contribuente (ma anche doveri (60)). Si tratta di diritti, che, segnatamente, attengono al se, al quantum ed al quando dell’imposizione, in quanto fissano i criteri che devono presiedere la conformazione della pretesa tributaria, ossia i suoi caratteri strutturali (soggetti passivi, base imponibile, presupposto ed aliquota) (61).
Ma è possibile andare oltre. L’invocazione di quelle medesime previsioni e, per quella via, dei diritti che le stesse consentono di tutelare, può essere ipotizzato anche con riferimento alla legittimità della disciplina formale/procedimentale; ciò, però, solo nella misura in cui quest’ultima sia in grado concretamente di impattare sulla conformazione strutturale del prelievo. Quando, in altri termini, da disciplina formale sul quomodo dell’imposizione finisce per divenire disciplina sostanziale sulla struttura del tributo (dal come al quanto si deve pagare); ciò accade, ad esempio, con il tema delle presunzioni (62).
I diritti del contribuente, che trovano copertura nelle norme costituzionali ora evocate, ricevono tutela non solo e semplicemente nei confronti del legislatore ma, inevitabilmente, anche nei confronti dell’Autorità fiscale. Ciò, segnatamente, nella misura in cui, trovando riconoscimento a livello costituzionale, condizionano la legittimità e la validità delle leggi che informano l’attività dell’Autorità fiscale. È chiaro che la violazione del diritto da parte di un atto amministrativo può trovare tutela nel dettato costituzionale solo in via mediata, posto che il sindacato costituzionale può interessare solo gli atti aventi forza di legge (63). È altrettanto chiaro, però, che l’atto amministrativo,
(59) g. Melis, ult. op. cit., 324. (60) Sui doveri, si veda il bel saggio di E. de MiTa, I doveri costituzionali, in E. De Mita, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 2006, 1, nonché A. Fedele, Dovere tributario e garanzie dell’iniziativa economica e della proprietà nella Costituzione italiana, in B. Pezzini - C. saCCheTTo (a cura di), Dalle Costituzioni nazionali alla Costituzione europea, Atti del Convegno del 29-30 ottobre 1999, Milano, 2001, 19. (61) Come rileva Melis, «il nucleo centrale di ciascuna imposta ruota infatti attorno ad un modulo sostanzialmente uniforme» (g. Melis, L’interpretazione nel diritto tributario, cit., 342). (62) P. Boria, I principi costituzionali dell’ordinamento fiscale, cit., 97. Sul punto, le suggestive riflessioni di a. MarCheselli, La farmacia dei sani – Episodio 1 – Uso e abuso della retroattività nel diritto procedimentale tributario (l’efficacia nel tempo delle regole sugli accertamenti), in Riv. dir. trib., 24 gennaio 2022. (63) Art. 23 L. 11 marzo 1953, n. 87.
che si ritiene lesivo di un diritto che trova copertura in una norma costituzionale, può trovare censura contestando la legittimità costituzionale della norma di legge che ha consentito e legittimato l’adozione di quell’atto.
Il ruolo della Carta costituzionale, sul piano della tutela del contribuente, non si esaurisce però a questo.
Le maggiori tutele per il contribuente sembrano, infatti, poter discendere, piuttosto che dalle previsioni sopra richiamate, da una più articolata ed ampia trama costituzionale, fatta di ben altre disposizioni, dove comunque quelle prime previsioni si collocano (64). Vengono in evidenza norme ulteriori rispetto a quelle richiamate, certamente con fini ed obiettivi diversi, che travalicano la materia tributaria, ma che, non di meno, consentono di articolare forme e modelli di tutela anche per il contribuente. Che consentono, soprattutto, di affermare diritti che non sono solo del, ma che possono essere anche per il contribuente. I diritti per il contribuente riescono, per questa via, a trovare riconoscimento in previsioni ulteriori della Carta costituzionale, che, anche se in via indiretta od implicita, permettono comunque di affermare la configurabilità di pretese tutelabili in capo anche al contribuente (65).
Per questa via diviene possibile ricercare, nella complessiva trama costituzionale, l’affermazione di principi che, in modo diretto o indiretto, possono offrire copertura e tutelare anche i diritti del contribuente: l’art. 3, sull’uguaglianza, l’art. 14 sull’inviolabilità del domicilio, ma anche l’art. 24 sul diritto di difesa, l’art. 97 sulla buona amministrazione e l’art. 111 sul giusto processo. Anche qui, ovviamente, la tensione finisce poi per divenire tutta tra tutela delle ragioni del contribuente ed interesse fiscale, per stabilire fino a che punto la salvaguardia di quest’ultimo può spingersi a comprimere norme, valori e principi che, per la loro ideale pervasività, sono enunciativi di diritti che non sono appannaggio esclusivo del tema tributario (66).
(64) Come osserva Melis «non va infatti immaginato che i richiamati principi costituzionali vivano come “monadi” nel sistema costituzionale» (g. Melis, L’interpretazione nel diritto tributario, cit., 328). (65) Ciò, ad esempio, è quanto si può sostenere con riguardo al diritto al contraddittorio endoprocedimentale, che può ricevere copertura dall’art. 97 Cost. sulla buona amministrazione; A. CarinCi - T. Tassani, Manuale di diritto tributario, cit., 307; A. CarinCi - d. deoTTo, Il contraddittorio tra regola e principio: considerazioni critiche sul revirement della suprema corte), cit., 207. (66) Bosello parlava, in merito all’applicazione delle norme costituzionali in materia tributaria, di “applicazione attenuata”; cfr. F. Bosello, La fiscalità tra crisi del sistema e crisi del diritto, in Riv. dir. trib., 1998, 1073.
Pur con tutti i limiti che l’esperienza purtroppo insegna, diventa possibile far calare il tema costituzionale, articolato in una pluralità di previsioni e principi, sul giudizio avente ad oggetto il singolo rapporto con il contribuente; ciò, ben oltre gli angusti spazi offerti dalla previsione e dalla tutela dell’art. 53 e dell’art. 23. La trama costituzionale, infatti, può diventare, nella sua globale articolazione un parametro diffuso e pervasivo di verifica della legittimità dell’azione amministrativa (67). Un parametro, insomma, che consente di sindacare non solo il se ed il quanto, ma anche il come dell’imposizione.
La Costituzione come presidio dei diritti, quindi; il problema diviene allora il come attivare detto presidio. 4.1. L’interpretazione costituzionalmente orientata. – La salvaguardia dei diritti alla stregua delle previsioni costituzionali può seguire, essenzialmente, due strade.
Innanzitutto, quella classica del rinvio incidentale di costituzionalità ex art. 23 L. 11 marzo 1953, n. 87.
Nel nostro sistema, ispirato al modello del controllo accentrato di costituzionalità (68), per la salvaguardia di un diritto che trova riconoscimento in una norma costituzionale, ove il pregiudizio possa essere riferito segnatamente ad una norma di legge, occorre l’intervento della Corte Costituzionale. È solo alla Consulta che compete, infatti, il ruolo di verificare la conformità a Costituzione delle norme di rango legislativo (69). Proprio per questo è previsto il rinvio pregiudiziale.
Negli ultimi tempi, si è però affermato un differente strumento, che, in qualche modo, ribalta completamente la prospettiva tradizionale.
A fronte del controllo accentrato in capo alla Consulta circa la costituzionalità di una previsione, se ne è progressivamente imposto uno che evoca, invece, un controllo diffuso. Un controllo, in particolare, esteso a tutti i giudizi e a tutti i giudici. Questi ultimi, una volta richiesti di applicare una previsione di legge, sono infatti chiamati a preferire, tra le diverse opzioni ermeneutiche
(67) Come osserva Fedele, «pur essendo le disposizioni costituzionali ad un primo esame riferibili prevalentemente all’attività di produzione normativa (quindi essenzialmente al legislatore), non si può neppure escludere una loro diretta incidenza su posizioni giuridiche o rapporti facenti capo ai singoli soggetti in relazione a concrete situazioni di fatto» (a. Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 76). (68) T. MarTines, Diritto costituzionale, Milano, 1997, 583. (69) Sugli atti soggetti al sindacato di costituzionalità, cfr. T. MarTines, Diritto costituzionale, cit., 598.
praticabili ai sensi dell’art. 12 delle Preleggi, quelle e solo quelle che appaiono conformi con il dato costituzionale (70). Si tratta del criterio interpretativo secundum costitutionem (71).
L’interpretazione secondo costituzione costituisce una vicenda che ha assunto, in tempi recenti, una compiuta sistemazione, anche e soprattutto ad opera dell’azione della Corte Costituzionale (72). Questa, invero, richiede oggi ai giudici, nel vaglio preliminare funzionale al rinvio alla Corte, una verifica sulla non configurabilità assoluta di un’interpretazione della norma censurata in modo conforme alla Costituzione (73). Pena, diversamente, l’inammissibilità del rinvio, sanzionato addirittura con ordinanza (74).
Per questa via, si è imposta l’interpretazione costituzionalmente orientata, che è divenuta un passaggio imprescindibile nel ragionamento sotteso al rinvio pregiudiziale di costituzionalità, proprio nella misura in cui la Corte ha finito per richiederlo come condizione del rinvio stesso (75). Ma soprattutto, in questo modo, l’interpretazione conforme è progressivamente divenuta un patrimonio diffuso nel ragionamento giuridico dei giudici ed uno strumento abituale di ogni processo decisorio.
La verifica di compatibilità con la Costituzione è divenuta, insomma, strumento decisorio, a tutti i livelli. Al contempo, la Costituzione ha finito per assumere un valore ed un portato differente sul funzionamento dell’intero sistema (76).
(70) Si assiste, in questo modo «ad una sorta di fusione tra interpretazione della legge ed interpretazione della costituzione» (g. Pino, L’interpretazione nello Stato costituzionale, in F. sorrenTino - G. Pino, Le fonti in generale e l’interpretazione, Torino, 2021, 338). (71) L. iannuCCilli (a cura di), L’interpretazione secundum constitutionem tra Corte costituzionale e giudici comuni brevi note sul tema, Corte Costituzionale - Servizio Studi e massimario, 2009 (72) L. iannuCCilli (a cura di), L’interpretazione secundum constitutionem tra Corte costituzionale e giudici comuni brevi note sul tema, cit., 13. (73) «Negli ultimi anni la Corte ha infatti esteso l’ambito di applicazione della pronuncia di manifesta infondatezza fino al punto di utilizzarla per proporre una lettura della norma impugnata conforme a Costituzione e diversa da quella prescelta dal giudice a quo» (P. BerTelli, L’uso dell’ordinanza di manifesta infondatezza: logiche e «seguito» di una tecnica di giudizio anomala, in R. Bin - G. Brunelli - A. PuggioTTo - P. veronesi (a cura di), «Effettività» e «seguito» delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, Napoli, 2006, 5). (74) P. BerTelli, L’uso dell’ordinanza di manifesta infondatezza: logiche e «seguito» di una tecnica di giudizio anomala, cit., 20. (75) P. BerTelli, ult. op. cit., 19. (76) «Le norme costituzionali non sono più considerate (solo) come un limite alla legislazione, ma sono viste come il “fondamento” di tutto l’ordinamento giuridico», g. Pino,
L’affermazione dell’interpretazione secundum costitutionem ha comportato, infatti, l’affermazione di un giudizio di costituzionalità a carattere diffuso, nella misura in cui la conformità/non conformità di una determinata soluzione ermeneutica ha finito per divenire parametro di giudizio: tra le diverse opzioni interpretative il giudice tenderà, dovrà tendere, inevitabilmente a preferire quella che si mostra conforme alla Carta costituzionale (77).
Ebbene, tutto ciò diviene importante per il tema tributario sotto molteplici aspetti.
Innanzitutto, perché recupera immediato valore prescrittivo allo Statuto dei diritti del contribuente. Nella misura in cui – come visto – lo Statuto è oggi concepito come attuazione dei principi costituzionali da far valere, essenzialmente, in via interpretativa, tale per cui la conformità allo Statuto costituisce indizio di conformità alla Costituzione, l’interpretazione costituzionalmente conforme conduce, inevitabilmente, a dare risalto e valore allo Statuto. Le norme statutarie divengono, così, parametro di funzionamento delle norme ordinarie, dal momento che queste possono operare solo alla stregua dell’interpretazione conforme allo Statuto: la soluzione interpretativa allineata con lo Statuto diventa, su queste premesse, la soluzione interpretativa che deve imporsi su tutte le altre.
In secondo luogo, l’interpretazione costituzionalmente conforme consente una maggiore pervasività dei principi costituzionali (tutti) all’interno del discorso giuridico (78). La Costituzione cessa infatti di essere mero parametro di legittimità delle norme per divenire, piuttosto, strumento di soluzione dei conflitti (79); ciò, nella misura in cui le norme ed i principi ritraibili dalla
L’interpretazione nello Stato costituzionale, cit., 339; G. Tarello, l’interpretazione della legge, Milano, 1980, 335. (77) Rileva come da tempo si sia diffusa la prassi di utilizzare i principi della Costituzione in chiave interpretativa per imporre, nei casi in cui una determinata disposizione si presti a più interpretazioni, tra le diverse possibili quella che consente di rispettare il dettato della Costituzione, g. Melis, L’interpretazione nel diritto tributario, cit., 311. (78) Così L. iannuCCilli (a cura di), L’interpretazione secundum constitutionem tra Corte costituzionale e giudici comuni brevi note sul tema, cit., secondo cui «L’ordinamento è ricondotto ad unità nel segno dei valori costituzionali» (16). (79) Come è stato osservato, «Risulta geometricamente dilatata la possibilità dei giudici comuni di invocare principi costituzionali – in qualche loro formulazione o riformulazione – in sede di applicazione diretta della costituzione a rapporti tra privati» (così g. Pino, L’interpretazione nello Stato costituzionale, cit., 344). Si esprime in termini di «espansione della norma costituzionale come fattore di ri-elaborazione (e non semplicemente come limite esterno) dell’esperienza giuridica in tuti i settori», A. d’aloia - P. TorreTTa, Sentenze
stessa finiscono per essere direttamente impiegati per imporre le soluzioni interpretative ad essi conformi (80).
Diviene in questo modo possibile ipotizzare un ulteriore livello di pervasività del precetto costituzionale, che non ha più bisogno della Corte Costituzionale per irradiare la sua portata effettuale (81). Si può infatti arrivare ad ipotizzare che, non solo i giudici, nella attività di interpretazione, siano chiamati ad utilizzare direttamente norme e principi costituzionali, ma anche l’Amministrazione, nell’esercizio delle sue funzioni ed attività, quando ciò comporti l’attuazione di regole giuridiche. Perché, come accade con il giudice, si può esigere anche all’Amministrazione, chiamata, in quanto operatore del diritto, ad interpretare il diritto, di farlo nel senso conforme a Costituzione. In questo modo, la conformità ai principi costituzionali verrebbe assicurata prima ed a prescindere del coinvolgimento del giudice. 4.2. Il giudizio incidentale di costituzionalità. – Ai sensi dell’art. 134 della Costituzione, la Corte Costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità «delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni». Il giudizio innanzi alla Corte costituzionale può essere in via incidentale ovvero in via principale (82). Mentre questo secondo riconosce allo Stato ed alle Regioni (nonché alle province autonome di Trento e di Bolzano) il diritto di presentare direttamente un ricorso di costituzionalità, il ricorso in via incidentale permette a chiunque di sollevare una questione di legittimità costituzionale. Occorre, però, che sussistano precise condizioni (83).
interpretative di rigetto, «seguito» giudiziario, certezza e stabilità del diritto «conforme a Costituzione», in R. Bin - G. Brunelli - A. PuggioTTo - P. veronesi (a cura di), «Effettività» e «seguito» delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, Napoli, 2006, 29. (80) Così, «La norma costituzionale abbandona una posizione meramente ‘esterna’, di confine invalicabile della funzione legislativa, per irrompere dinamicamente e condizionare le branche ‘ordinarie’ del diritto nel loro sviluppo interpretativo e applicativo, di fatto costringendo il controllo di legittimità costituzionale a seguirla su questo terreno» (A. d’aloia - P. TorreTTa, Sentenze interpretative di rigetto, «seguito» giudiziario, certezza e stabilità del diritto «conforme a Costituzione», cit., 27). (81) Si è osservato che «Il procedimento incidentale davanti alla Corte appare così solo una fase eventuale e non più fisiologica del sindacato di legittimità costituzionale, prevalentemente svolto in modo “diffuso” dai giudici» (L. iannuCCilli (a cura di), L’interpretazione secundum constitutionem tra Corte costituzionale e giudici comuni brevi note sul tema, cit., 17). (82) L. Costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, artt. 1 e 2 (83) Il riscontro delle condizioni (giurisdizione e competenza dell’autorità rimettente,
4.2.1. Le condizioni per il ricorso incidentale: l’esistenza di un giudizio innanzi ad un’autorità giudiziaria. – La prima condizione richiesta per il ricorso incidentale è l’esistenza di un giudizio. Per adire la Corte occorre, infatti, che il dubbio di costituzionalità sia sorto nell’ambito di una vicenda contenziosa, promossa innanzi ad un’autorità giudiziale (84). Questo ha tradizionalmente rappresentato il primo ostacolo e presidio del giudizio di legittimità cd. incidentale.
La legittimazione ad attivare l’incidente di costituzionalità è legata alla qualità di “giudice” o di “autorità giurisdizionale” del soggetto che investe della questione la Corte, nonché alla sussistenza di un “giudizio” (o “causa”), nel corso del quale il quesito viene sollevato o rilevato d’ufficio (85). Sono questi, il profilo soggettivo e quello oggettivo, i due presupposti imprescindibili ai fini dell’operatività del rimedio (86). In via pregiudiziale, occorre pertanto verificare la legittimazione del rimettente a sottoporre il quesito alla Corte, posto che un eventuale difetto di legittimazione comporta, in via assorbente rispetto ad eventuali altre ragioni ostative, una pronuncia processuale di (manifesta) inammissibilità (87).
Ebbene, già a seguito della riforma del 1972 (88), ma soprattutto in ragione della novella del 1992 (89), la legittimazione a quo delle commissioni tributarie per il rinvio di costituzionalità è stata sempre riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale; ciò segnatamente, in linea con il compiuto ri-
dell’interesse ad agire, della legittimazione delle parti e dei presupposti di esistenza del giudizio principale) è rimesso alla valutazione del giudice a quo, attenendo alla rilevanza dell’incidente di costituzionalità e non è suscettibile di riesame ove sorretto da una motivazione non implausibile (Corte Cost. sent. n. 50/2007, n. 173/1994 e n. 124/1968). Non rientra tra i poteri della Corte «quello di sindacare, in sede di ammissibilità, la validità dei presupposti di esistenza del giudizio a quo, a meno che questi non risultino manifestamente, incontrovertibilmente o macroscopicamente carenti» (Corte Cost. sent. n. 62/1992). (84) Art. 23, primo comma, della L. 11 marzo 1953, n. 87; T. MarTines, Diritto costituzionale, cit., 603. (85) Pertanto, non è consentito sollevare questione di costituzionalità innanzi alla Corte nell’ambito di un’attività di natura amministrativa. (86) Occorre, in sostanza, un interesse alla tutela giurisdizionale, senza il quale «mancherebbe la causa giuridica valida e del processo principale e del processo costituzionale» (Corte Cost., Ordinanza n. 48/1957). (87) r. nevola, La legittimazione ad attivare il giudizio incidentale di costituzionalità: giudice a quo e processo principale nella giurisprudenza della Corte, in Quaderno processuale del Servizio Studi – Corte Costituzionale, 2016, 12. (88) d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. (89) D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
conoscimento della loro natura giurisdizionale (90). Non vi è quindi dubbio alcuno che la questione di costituzionalità possa essere sollevata nell’ambito del giudizio tributario, anche presso le Commissioni tributarie (91).
Il dubbio di costituzionalità può poi essere sollevato d’ufficio dal giudice oppure promosso su istanza di parte (92).
La questione di legittimità (salvo nell’eventualità in cui sia intervenuta una sentenza di rigetto della Corte (93)) è peraltro riproponibile anche nel medesimo grado di giudizio ovvero in un grado successivo; ciò, in ragione del potere-dovere del giudice di promuovere anche d’ufficio la questione. La questione può essere sollevata per la prima volta in Cassazione nonché in sede di rinvio. Addirittura, qui, e nonostante il vincolo che tipicamente limita questo giudizio, la questione può essere promossa sulla medesima norma su cui si basa il principio di diritto formulato dalla Corte, posto che l’effetto vincolante di detto principio nel giudizio di rinvio opera con esclusivo riferimento all’interpretazione del contenuto della norma, non anche con riguardo alla sua validità costituzionale, la cui verifica non compete al giudice ordinario (94).
Il giudice che dubiti della costituzionalità di una legge applicabile al caso in decisione, non può disapplicare detta legge, ma deve sospendere il processo per sollevare la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale. Il giudice non può nemmeno limitarsi a sospendere il processo che pende dinanzi a lui, in attesa che la Corte decida la questione sollevata da altro giudice; se dubita della legittimità costituzionale di una norma, il giudice deve rinviare alla Corte, sospendendo il giudizio (95).
(90) Detta natura era già stata riconosciuta nel vigore del previgente regime, quello del D.P.R. n. 636/1972; cfr Corte Cost. sent. nn. 196/1982 e 287/1974. (91) La Corte Cost., con sent. n. 111/1998, ha riconosciuto legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale anche al presidente di Commissione tributaria, in ragione del fatto che al Presidente sono attribuiti specifici poteri, tra cui anche quello di dichiarare l’estinzione del processo. (92) Art. 23, L. 11 marzo 1953, n. 87. (93) Anche se, «l’effetto preclusivo alla riproposizione di questioni nel corso dello stesso giudizio deve ritenersi operante soltanto allorché risultino identici tutti e tre gli elementi che compongono la questione (norme impugnate, profili d’incostituzionalità dedotti, argomentazioni svolte a sostegno della ritenuta incostituzionalità)»; così Corte Cost. sent. n. 225/1994. (94) Cass. del 21 dicembre 2007, n. 27082. (95) C. Mandrioli - a. CarraTTa, Diritto processuale civile, II, Torino, 2016, 371.
4.2.2. Le altre condizioni (rilevanza, non manifesta infondatezza, impossibilità di un’interpretazione adeguatrice). – Per poter procedere con il rinvio, il giudice a quo deve effettuare tre verifiche pregiudiziali: a) accertare che il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale (cd. condizione della rilevanza); b) giudicare la questione di costituzionalità ‘non manifestamente infondata’ (96); c) verificare che non sia possibile assegnare alla disposizione enunciata un’interpretazione costituzionalmente conforme.
La rilevanza «esprime il rapporto che dovrebbe correre fra la soluzione della questione e la definizione del giudizio in corso» (97), in termini di nesso di pregiudizialità (98). La questione di costituzionalità si deve porre, insomma, come un presupposto necessario del giudizio a quo, con un’incidenza sulle norme che il giudice è chiamato ad applicare (99). La questione deve cioè coinvolgere le leggi e/o le disposizioni di legge delle quali il giudice debba, in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente, fare applicazione (100).
In ordine alla condizione di ‘non manifesta infondatezza’, il giudice deve compiere una valutazione circa la configurabilità di un dubbio di costituzionalità plausibile, sì da escludere le questioni prive di un minimo di verosimiglianza, sollevate per fini meramente dilatori. L’obiettivo sotteso a detta condizione è, con ogni evidenza, quello di predisporre un filtro contro manovre dilatorie nel giudizio a quo.
Infine, accanto alle condizioni positive della rilevanza e della non manifesta infondatezza, la giurisprudenza della Corte è giunta a valorizzare – come anticipato - il requisito del ‘sufficiente sforzo interpretativo’ da parte del giudice a quo. La Corte richiede, in sostanza, che il giudice esperisca ogni possibile tentativo per rinvenire una ‘interpretazione adeguatrice’ della norma censurata, ossia conforme a Costituzione (101). Invero, ricorda la Corte, «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile
(96) Art. 23, 2° co., l. n. 87 del 1953. (97) Corte Cost. sent. n. 13/1965; R. nevola - d. diaCo - M. Boni (a cura di), Il requisito della rilevanza della questione incidentale di legittimità costituzionale, Quaderno processuale del Servizio Studi – Corte Costituzionale, 2016, 13. (98) Corte Cost. n. 77/1983. (99) Corte Cost. sent. n. 45/1972. (100) Corte Cost. sent. n. 142/1968; nonché Corte Cost. sent n. 216/1993; Corte Cost. ord. n. 23/2004. (101) Va escluso il rinvio alla Consulta se è possibile adottare un’interpretazione conforme a Costituzione; g. Melis, L’interpretazione nel diritto tributario, cit., 314
darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» (102). Tutto ciò significa che è configurabile un vero e proprio dovere del giudice a quo nel tentare un’interpretazione conforme a Costituzione, che eviti il giudizio di costituzionalità (103). Non basta più l’esistenza di un dubbio sulla costituzionalità della norma, ma occorre avvicinarsi alla certezza in tal senso che, vagliate tutte le soluzioni interpretative possibili, non se ne ravvisa neanche una in grado di adeguarsi al dettato costituzionale (104).
4.2.3. Il giudizio. – L’atto di promovimento, ossia l’atto che introduce il giudizio davanti alla Corte, ha la forma dell’ordinanza di rimessione (105), che deve indicare, a pena di inammissibilità, le disposizioni impugnate, le disposizioni costituzionali e quelle interposte che si ritengono lese, nonché sotto quali aspetti le norme impugnate si ritengono in contrasto con le norme parametro. A meno che si tratti di un mero errore materiale, se vengono indicate disposizioni inappropriate la questione è ritenuta inammissibile.
A partire dal 3 dicembre 2021 è attivo il processo telematico innanzi alla Corte Costituzionale. Ciò significa che l’ordinanza con cui il giudice solleva la questione di costituzionalità, insieme con gli atti e con la prova delle eseguite notificazioni, deve essere trasmessa con modalità telematica (106). Allo stesso modo, la costituzione delle parti deve essere effettuata mediante modalità telematica, come pure gli interventi, gli accessi agli atti, i depositi nonché le comunicazioni e notificazioni, che sono tutti con modalità telematica (107).
Ad esito del giudizio di costituzionalità, ai sensi dell’art. 297 c.p.c il giudizio di merito rimasto sospeso deve essere riassunto entro tre mesi (108). Il
(102) Corte cost. sent. n. 356/1996. (103) P. BerTelli, L’uso dell’ordinanza di manifesta infondatezza: logiche e «seguito» di una tecnica di giudizio anomala, cit., 16. (104) T. guarnier, L’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale tra interpretazione conforme e rilevanza. un uso improprio delle formule decisionali?, in Giur. it., 2007, 1895. (105) Nei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi in via principale e nei giudizi per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni e tra poteri dello Stato l’atto di promovimento ha, invece, la forma del ricorso. (106) Art. 1 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, come modificato dalla Deliberazione del 22 luglio 2021. (107) Art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, come modificato dalla Deliberazione del 22 luglio 2021. (108) Nel processo tributario, il termine per la riassunzione del processo sospeso è di
dies a quo decorre dalla comunicazione della sentenza da parte della cancelleria del giudice che ha disposto la sospensione (109).
In generale, le norme dichiarate incostituzionali non possono trovare applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (110). Ciò significa che la norma dichiarata incostituzionale non può più essere applicata in tutte le vicende ancora pendenti, ovvero che non siano state definite per effetto di un giudicato o dell’intervenuta definitività dell’atto (cd. rapporti esauriti) (111). In linea di principio, poi, la sentenza di accoglimento comporta l’eliminazione ex tunc della norma denunciata, anche se non sono mancati casi in cui la Corte ha modulato diversamente gli effetti temporali delle proprie pronunce, fissando un momento di decorrenza e/o di efficacia della decisione (112).
5. Il diritto eurounitario come strumento di affermazione di diritti per il contribuente.
5.1. Il Diritto dell’Unione europea alla prova dei suoi confini. – La trama offerta dal diritto eurounitario offre molteplici spunti di indagine nell’ambito dei diritti del contribuente (113). A rilevare, a questi fini, non sono però solamente le regole enunciate nelle fonti proprie di tale diritto (Trattati, regola-
6 mesi (art. 43 D.Lgs. n. 546/1992), ma, sembrerebbe, per i soli casi di cui all’art. 39, tra i quali non è compreso il rinvio alla Corte di Giustizia. Per detta ragione, si deve ritenere qui applicabile, ai sensi dell’art. 2 del medesimo decreto, l’art. 297 c.p.c., che prevede oggi un termine di tre mesi. (109) C. Mandrioli - a. CarraTTa, Diritto processuale civile, cit., 376; Cass. 7 febbraio 2006, n. 2616. (110) Art. 30, co. 3, L. 11 marzo 1953, n. 87. (111) Sulle possibili preclusioni processuali che possono limitare in qualche modo gli effetti della pronuncia di incostituzionalità, si veda C. Mainardis, Effetti delle decisioni di incostituzionalità e preclusioni processuali (qualche osservazione su un orientamento della Cassazione civile), in R. Bin - G. Brunelli - A. PuggioTTo - P. veronesi (a cura di), «Effettività» e «seguito» delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, Napoli, 2006, 127. (112) Ad esempio con la sentenza n. 10/2015, in tema di Tobin Tax, la Corte ha spostato gli effetti della pronuncia al giorno successivo alla pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale. (113) In argomento, L. del FederiCo, Gli atti impositivi viziati per violazione del diritto comunitario, in A. di PieTro - A. Fedele - A.F. uriCChio (a cura di), Sistema impositivo e ordinamento dei tributi, Bari, 2014, vol. II, 441.
menti e direttive), quanto e soprattutto i principi che, in quella trama, possono essere rinvenuti a fondamento di diritti anche per il contribuente.
Un contributo importante, nell’affermazione del diritto eurounitario quale fonte di diritti per il contribuente, è certamente offerto dalla progressiva espansione di tale diritto ben oltre i confini che, nell’assetto originario, erano stati concepiti per definirne l’operatività. Se il diritto comunitario, prima, e quello unionale, poi, sono stati progettati per funzionare secondo un rigido criterio di competenza (114), tale per cui, in ossequio al principio di attribuzione, l’Unione può agire solo nelle materie a lei riservate (115), va osservato come, di fatto, quei limiti appaiano oggi in larga misura superati.
Ciò è avvenuto in ragione di molteplici fattori.
Innanzitutto, per la scelta di ampliare l’operatività del diritto eurounitario anche ad ambiti originariamente riservati ai singoli Stati o almeno rispetto ai quali l’intervento della Comunità era stato concepito per restare marginale.
Questo è accaduto, ad esempio, in materia di imposte dirette. Qui, in effetti, è prevista una competenza concorrente, articolata peraltro in termini molto rarefatti ed indeterminati (116); non di meno, ciò ha consentito l’adozione di importanti direttive (la Direttiva sulle riorganizzazioni societarie (117), la Direttiva Madri-figlie (118) e la Direttiva interessi e royalties (119)). Ebbene, in ragione dell’adozione di queste direttive, stante la regola di cui all’art. 2, par. 2 secondo capoverso, del TFUE, in forza della quale, nel caso di legislazione concorrete, ove l’Unione abbia normato «gli Stati membri esercitano la loro
(114) Ai sensi dell’art. 5 del TUE, par. 2, «In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri»; P. WaTTel - o. Marres - h. verMeulen (a cura di), Terra-Wattel, European tax law, UK, 2019, 11. (115) Cfr. artt. 2-6 del TFUE. (116) La base normativa per l’adozione di queste direttive appare in effetti assai labile, posto che il loro fondamento è tutto e solo nella competenza ad adottare «direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno» (art. 115 TFUE e, in precedenza, art. 100 del Tratto CEE). (117) La direttiva del Consiglio n. 90/434, poi modificata dalla Direttiva 2005/19/CE rappresenta, invero, il primo importante intervento della Comunità nel settore della fiscalità diretta; cfr. a. CarinCi, Il regime comunitario, in Lo stato della fiscalità nell’Unione europea. L’esperienza e l’efficacia dell’armonizzazione, Scuola di Polizia tributaria, 2003, 509. (118) Direttiva 90/435/CEE, poi rifusa nella Direttiva 2011/96/UE. (119) Direttiva 2003/49.
competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria» (120), la disciplina di questi comparti è oggi, in modo pressoché compiuto, di matrice unionale. Si tratta, certamente, di comparti estremamente circoscritti che, tuttavia, rivestono un ruolo dirimente per taluni aspetti di funzionamento delle imprese. Ebbene, la disciplina eurounitaria è potuta penetrare, in questo modo, in ambiti (la fiscalità diretta) tradizionalmente riservati alla competenza statale, con soluzioni che si sono mostrate assai più invasive di quanto, idealmente, ci si sarebbe potuto aspettare, stante le premesse da cui si era partiti.
Un secondo fattore di ‘invasione’ è integrato dalla scelta autonoma degli Stati di disciplinare ambiti di propria competenza, articolando la relativa disciplina sul modello offerto dal diritto eurounitario; ciò, segnatamente, con l’obiettivo di evitare discriminazioni nei confronti dei cittadini nazionali, possibili distorsioni di concorrenza, oppure semplicemente per prevedere una procedura unica in situazioni paragonabili (121). Tutto questo ha comportato che le soluzioni dettate per situazioni puramente interne sono risultate, alla fine, conformi a quelle adottate dal diritto dell’Unione europea. Ebbene, una simile scelta risulta poi foriera di importanti conseguenze, perché la Corte di giustizia è assolutamente ferma nel ritenere che «quando una normativa nazionale si conforma per le soluzioni che essa apporta a situazioni puramente interne a quelle adottate dal diritto dell’Unione […] esiste un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate» (122). Questo significa, in definitiva, che anche la disciplina nazionale, dettata con riguardo ad ambiti riservati alla potestà normativa del Paese membro, può diventare oggetto di un giudizio innanzi alla Corte di giustizia (123).
(120) P. laroMa Jezzi, Integrazione negativa e fiscalità diretta. L’impatto delle libertà fondamentali sui sistemi tributari dell’Unione europea, Pisa, 2012, 17. (121) Come avvenuto con l’art. 177, co. 2, T.U.I.R. modificato dall’art. 1 del D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 199, emanato in attuazione della direttiva 2005/19/CE, che ha modificato la direttiva 90/434/CEE. Si è trattato, qui, di una modifica voluta segnatamente per conformare l’ordinamento interno alla direttiva 2005/19/CE, modificativa della direttiva 90/434/CEE. (122) CG del 30/01/2020, I.G.I. Srl contro Maria Grazia Cicenia e altri, C-394/18, punto
46.
(123) r. g. ConTi, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Dalla pratica alla teoria, in www.europeanrights.eu.
Vi sono poi fattori propriamente endogeni di potenziamento della pervasività della normativa eurounitaria all’interno dei sistemi ordinamentali nazionali.
Innanzitutto, viene in considerazione il fenomeno delle cd. direttive self executing, ossia di quelle direttive sufficientemente precise ed incondizionate, che, secondo la pacifica giurisprudenza della Corte di Giustizia, sono immediatamente efficaci negli ordinamenti nazionali (124); ciò, indipendentemente dall’intervento di attuazione del legislatore nazionale, altrimenti necessario (trattandosi di direttive) (125). Con le direttive self executing, indubbiamente, si registra un cambio di passo nel diritto eurounitario, posto che viene fortemente ridimensionata l’intermediazione statale. E questo, chiaramente, amplia enormemente l’operatività diretta del diritto dell’Unione, dato che la fattispecie coinvolta finisce per essere regolata esclusivamente da fonti proprie di detto diritto.
Viene poi in considerazione un fenomeno per certi versi ancora più ‘eversivo’, ossia l’espansione oramai inarrestabile dei principi eurounitari. Nel tempo si è assistito ad una progressiva espansione dei principi tratti dal diritto dell’Unione, che sono vincolanti per il legislatore interno e possono essere ritenuti dotati di efficacia diretta, ancorché non siano sovente differenti dai principi ritraibili dalla Costituzione e garantiti dal sindacato costituzionale sulle leggi (126). Sono principi che possono essere diretta emanazione dalle fonti primarie (si pensi alle quattro libertà), come anche principi che sono frutto dell’elaborazione compiuta dalla Corte di Giustizia, quale sintesi delle esperienze costituzionali dei Paesi Membri (127). Ebbene, in entrambi i casi, si assiste ad una costante pervasività ed invasività di detti principi, ben oltre
(124) «Secondo la giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenza 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker, Racc. 53), le disposizioni di una direttiva che appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise possono essere richiamate dai singoli per opporsi a qualsiasi norma di diritto interno non conforme alla direttiva» CG del 25 maggio 1993, Finanzamt Muenchen III C. Gerhard Mohsche, C-193/91, Punto 17. (125) In argomento, P. PisTone, Diritto tributario europeo, Torino, 2020, 8. (126) V. onida, A cinquanta anni dalla sentenza «Costa/Enel»: riflettendo sui rapporti fra ordinamento interno e ordinamento comunitario alla luce della giurisprudenza, in B. Nascimbene (a cura di), Costa/Enel: Corte costituzionale e Corte di giustizia a confronto, cinquant’anni dopo, Milano, 2015, 51; a. di PieTro, Il giudice tributario come giudice europeo: dall’interpretazione all’attuazione delle norme europee, in Rass. trib., 2020, 19. (127) l. del FederiCo, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, pagg. 3; g. d’angelo, Integrazione europea e interpretazione nel diritto tributario, Milano, 2013, 37.
gli angusti confini tracciati per il diritto dell’Unione (128). La loro forte carica evocativa, come e soprattutto il loro indiscutibile tenore assiologico, che li pone a criteri primi di salvaguardia dell’intero progetto dell’Unione europea (nel senso che una loro eventuale violazione, comunque ed ovunque perpetrata, mette in discussione il progetto), comporta che detti principi non possano subire i condizionamenti propri delle regole, ossia le aree di competenza, ma debbano poter coinvolgere ogni ambito del diritto (129).
In questo modo, è possibile giungere al risultato, certo non scontato e forse neppure previsto, per cui le quattro libertà (130), come pure i principi del divieto di discriminazione (131), di proporzionalità (132), di buona fede (133) ecc. diventano patrimonio diffuso, imprescindibile ad ogni ragionamento giuridico; ciò, indipendentemente dal settore di impiego.
(128) Sui diversi principi, desumibili dai Trattati come dalle esperienze costituzionali, cfr. l. del FederiCo, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, ult. op. cit., pagg. 9 e ss; P. WaTTel - o. Marres - h. verMeulen (a cura di), Terra-Wattel, European tax law, cit., 20. (129) Parla di «progressiva relativizzazione della sovranità impositiva» ad opera dei principi, A. di PieTro, Introduzione, in A. di PieTro - T. Tassani (a cura di), I principi europei del diritto tributario, Milano, 2013, XVIII. Valorizza il piano assiologico-sostanziale della norma unionale, per giustificarne la prevalenza, oramai, su «qualsiasi settore materiale dell’ordinamento», g. Bizioli, Il processo di integrazione dei principi tributari nel rapporto fra ordinamento costituzionale, comunitario e diritto internazionale, Bergamo, 2008, 48; cfr. anche S. gianonCelli, I principi UE nella giurisprudenza tributaria della Cassazione: primato del diritto europeo e discriminazioni a rovescio, in Riv. trim. dir. trib., 2014, 613. (130) Ad esempio, sulla pervasività della libertà di circolazione dei capitali, cfr. CG del 18/06/2020, Commissione Europea contro Ungheria, C-78/18, punto 70, ove si afferma che «una misura statale che restringe la libertà di circolazione dei capitali può essere ammessa solo a condizione, in primo luogo, di essere giustificata da una delle ragioni menzionate all’articolo 65 TFUE o da una ragione imperativa di interesse generale e, in secondo luogo, di rispettare il principio di proporzionalità, il che implica che essa sia idonea a garantire, in modo coerente e sistematico, la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per conseguirlo [v., in tal senso, sentenza del 21 maggio 2019, Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli), C-235/17, EU:C:2019:432, punti da 59 a 61 e giurisprudenza ivi citata». Si veda anche CG del 6/09/2020, C-339/19, SC Romenergo SA e Aris Capital SA c. Autoritatea de Supraveghere Financiară, C-339/19, punti 37-38. (131) g. Bizioli, Il divieto di discriminazione fiscale, in C. saCCheTTo (a cura di), Principi di diritto tributario europeo e internazionale, Torino, 2011, 143. (132) A. Mondini, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’Iva europea, Pisa, 2012. (133) M. Trivellin, il principio di buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009.
5.2. La tutela dei diritti del contribuente nel diritto dell’Unione europea. – Preso atto della forza espansiva del diritto eurounitario, occorre adesso dare conto degli strumenti a disposizione del contribuente per ottenere piena tutela di quelle situazioni soggettive di vantaggio che, alla stregua di detto diritto, possono trovare riconoscimento.
Con l’affermazione dei principi del primato (134) e dell’effetto diretto (135), il diritto dell’Unione europea costituisce, oramai, una variabile costante, quanto imprescindibile, del ragionamento giuridico (136).
Ai sensi del principio del primato (137), le norme interne debbono essere emanate entro i limiti sanciti dai principi fondamentali dei Trattati e dalle norme derivate, senza potersi porre in contrasto con dette norme. Tale primato legittima e comporta il potere-dovere dei giudici di risolvere i conflitti tra la norma interna e quella unionale nei termini per cui, in caso di conflitto, il giudice deve imporre l’applicazione del diritto unionale, disapplicando la norma interna incompatibile (138). Il primato del diritto unionale si esprime così, non in termini gerarchici di abrogazione della norma nazionale in conflitto, bensì in termini di competenza, ossia con la non applicazione della norma na-
(134) Corte cost., 8 giugno 1984, n. 170 (causa Granital) «nelle materie riservate alla normazione della Comunità europea il giudice ordinario deve applicare direttamente la norma comunitaria … la quale prevale sulla legge nazionale incompatibile, anteriore o successiva». (135) g. Bizioli, Il processo di integrazione dei principi tributari nel rapporto fra ordinamento costituzionale, comunitario e diritto internazionale, cit., 63; r. alFano, Il potere di disapplicazione del giudice nel processo tributario, in Rass. trib., 2007, 830. (136) l. alBino, Il sistema delle fonti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2001, 923; P. laroMa Jezzi, Integrazione negativa e fiscalità diretta. L’impatto delle libertà fondamentali sui sistemi tributari dell’Unione europea, cit. 13. Come osserva Bizioli, «L’istituzione delle Comunità europee (la comunità internazionale ha sempre inciso poco sulla materia tributaria attraverso le norme consuetudinarie ed i principi generali) ha inferto un colpo definitivo alla concezione della Costituzione quale strumento monopolistico dei valori e principi della materia tributaria» (g. Bizioli, Il processo di integrazione dei principi tributari nel rapporto fra ordinamento costituzionale, comunitario e diritto internazionale, cit., 55). (137) M. Bisogno, Interpretazione e applicazione del diritto europeo da parte del giudice tributario, in F. aMaTuCCi (a cura di), Diritto processuale tributario, Torino, 2020, 36, nt. 4. (138) a. di PieTro, Il giudice tributario come giudice europeo: dall’interpretazione all’attuazione delle norme europee, cit., 19.
zionale (che ‘sopravvive’) (139) e l’applicazione, alla fattispecie considerata, della norma eurounitaria (140).
In ragione del principio dell’effetto diretto (141), invece, il diritto dell’Unione riconosce ai singoli tanto obblighi quanto diritti soggettivi e, così, situazioni giuridiche soggettive tutelabili dinanzi al giudice nazionale; ciò, a prescindere dal recepimento delle norme da parte dei singoli ordinamenti (142). Il diritto eurounitario può operare, insomma, nei medesimi termini del diritto nazionale, ferma la sua prevalenza su di esso (143).
La fonte unionale, in questo modo, sia essa una regola o un principio, stante la sua ideale prevalenza su quelle nazionali, diviene una condizione che deve essere necessariamente presa in considerazione nel momento in cui si deve definire il portato normativo da applicare ad una fattispecie (144). Non solo per i giudici, ma in generale per tutti i soggetti chiamati ad applicare il diritto (145);
(139) Corte cost., sent. n. 170/1984. (140) Peraltro, si distingue tra “disapplicazione”, intesa come sanzione di invalidità, dalla “non applicazione”, che invece coglie la mera non efficacia limitata al caso singolo; g. MarTiniCo, Il trattamento nazionale dei diritti europei: CEDU e diritto comunitario nell’applicazione dei giudici nazionali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, 691; F. aMaTuCCi, I vincoli posti dalla giurisprudenza comunitaria nei confronti della disciplina nazionale del rimborso d’imposta, in Riv. dir. trib., 2000, 307. (141) M. Bisogno, Interpretazione e applicazione del diritto europeo da parte del giudice tributario, cit., 36, nt. 5. (142) CG sentenza del 5 febbraio 1963, C-26/62, Van Gend en Loos, «la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli stati membri ma anche i loro cittadini»; P. PisTone, Diritto tributario europeo, cit., 8. (143) R. alFano, Il potere di disapplicazione del giudice nel processo tributario, cit., 830. (144) Come noto, per contenere l’espansione del diritto unionale, potenzialmente in grado di disapplicare anche le norme di rango costituzionale, la Corte costituzionale ha posto il freno sul piano dei diritti e dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, elaborando la giurisprudenza dei “controlimiti”; cfr. Corte cost., sentenza n. 183/1973; Corte cost. sentenza n. 232/1989; M. CarTaBia, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, 212; g. Bizioli, Il processo di integrazione dei principi tributari nel rapporto fra ordinamento costituzionale, comunitario e diritto internazionale, cit., 45. (145) La Corte costituzionale (n. 389 del 1989 e n. 113 del 1985) ha chiarito che «tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza o valore di legge) – tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi – sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con le norme» dell’Unione, nell’interpretazione datane dalla Corte di giustizia europea.
quindi, anche le amministrazioni pubbliche (146) e non limitatamente al diritto immediatamente applicabile (ossia regolamenti e direttive self executing) (147).
Tutto questo accade, con ogni evidenza, anche nel diritto tributario. Qui, in effetti, sembra prevalere ancora la divisione netta tra tributi cd. armonizzati (Iva e dazi doganali in primis), oggetto di intervento diretto del diritto unionale in quanto rientranti nelle rispettive sfere di competenza, e i tributi non armonizzati (le imposte sui redditi) (148). Sennonché, una simile distinzione può valere fino ad un certo punto. Indubbiamente le regole positivizzate nelle fonti unionali possono trovare riconoscimento solo con riguardo ai tributi armonizzati, cui dette regole fanno espresso riferimento; al contempo, però, relativamente ai principi, sicuramente per quelli che trovano riconoscimento direttamente nelle fonti primarie (come le libertà) ma anche e comunque per quei principi il cui valore assiologico può essere ricondotto agli obiettivi primari del progetto unionale, la predetta distinzione non può valere. L’applicazione di detti principi anche ai tributi cd. non armonizzati non può, insomma, essere messa in discussione.
Su queste premesse, si deve a questo punto osservare come l’affermazione concreta del diritto unionale possa avvenire alla stregua di percorsi diversi, i quali, a vario titolo, declinano il medesimo principio di prevalenza.
(146) l. del FederiCo, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, cit., 9; g. d’angelo, Integrazione europea e interpretazione nel diritto tributario, cit., 17; P. PisTone, Diritto tributario europeo, cit., 7. (147) «La prospettata distinzione, nell’ambito delle norme U.E. direttamente applicabili, fra i regolamenti, da un lato, e le direttive self-executing, dall’altro – al fine di ritenere solo le prime e non le seconde in grado di produrre l’obbligo di non applicazione in capo alla P.A. – si tradurrebbe nel parziale disconoscimento del c.d. effetto utile delle stesse direttive autoesecutive», così Cons. di Stato – Adunanza plenaria del 9/11/2021, n. 17. (148) Questa distinzione è stata valorizzata da Cass. SS.UU. del 9 dicembre 2015, n. 24823, che in base ad essa ha ritenuto non configurabile, come principio immanente dell’ordinamento, il diritto ad un contraddittorio endoprocedimentale per tutti i tributi, quanto piuttosto l’esistenza di due soluzioni distinte: il principio di matrice unionale del contraddittorio, limitatamente ai tributi armonizzati, e le singole puntuali regole di contraddittorio, di volta in volta previste dalle leggi speciali, per i tributi non armonizzati. Per una critica a tale soluzione, a. CarinCi - d. deoTTo, Il contraddittorio tra regola e principio: considerazioni critiche sul revirement della suprema corte, in il fisco, 2016, 207; in argomento anche a. Colli vignarelli, Il contraddittorio endoprocedimentale tra pronunce giurisprudenziali e scelte legislative “pro fisco”, in Dir. proc. trib., 2020, 211.
5.3. L’interpretazione conforme. – Innanzitutto, il primato del diritto dell’Unione si esprime nell’individuazione del materiale normativo da impiegare nella soluzione del caso concreto.
Il principio del primato comporta, infatti, il potere-dovere dei giudici comuni di risolvere i conflitti tra norma interna e norma unionale, disapplicando la norma interna incompatibile, per applicare in modo diretto ed immediato il diritto unionale (149). Nello stesso modo devono però esercitare tutti gli altri operatori del diritto (Amministrazioni pubbliche in primis) (150). Con l’importante differenza – come emergerà in seguito - che in caso di dubbio circa l’interpretazione della norma unionale (e quindi, indirettamente, in merito alla compatibilità di quella nazionale), solo i giudici possono rinviare alla Corte di giustizia, non anche gli altri operatori del diritto (che debbono, quindi, del caso sollecitare l’intervento di un giudice).
L’applicazione del diritto dell’Unione, in ragione dei principi del primato e dell’effetto diretto, si deve insomma imporre sempre, potendosi configurare un vero e proprio obbligo, per tutti gli operatori del diritto, di attendere ad un’interpretazione e quindi ad un’applicazione della norma, invocabile nel caso di specie, conforme al diritto dell’Unione (151). Questo significa che occorre attendere ad un’interpretazione del diritto nazionale assolutamente conforme alla norma eurounitaria (152); interpretazione che, del caso, può portare alla disapplicazione del diritto nazionale medesimo (153).
Sennonché un simile obbligo diviene, a sua volta, un potere ed una responsabilità, in capo ai giudici ed agli operatori del diritto nazionali, di interpretazione diretta ed applicazione autonoma del diritto dell’Unione (154). Come emergerà in seguito, invero, anche lo strumento del rinvio alla Corte
(149) C. Melillo, Il primato del diritto comunitario sul diritto interno e gli strumenti a disposizione del giudice (tributario) nazionale per la risoluzione delle antinomie tra norme (tributarie) nazionali e norme comunitarie, in Dir. prat. trib., 2009, 10045 (150) g. d’angelo, Integrazione europea e interpretazione nel diritto tributario, cit.,
19.
(151) g. d’angelo, ult. op. cit., 59; P. Boria, La tutela giurisdizionale dei diritti di matrice fiscale nell’ordinamento europeo, cit., 26. (152) CG, sentenza 13 novembre 1990, in causa C-106/89, Marleasing, punto 9. (153) l. del FederiCo, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, cit., 265. (154) In conformità «allo scopo che essa persegue»; CG sentenza 10 aprile 1984, in causa 14/83, Von Colson, punto 15.
di Giustizia presuppone, a monte, un compiuto esercizio di quel potere e di quella responsabilità. 5.4. Il rinvio pregiudiziale. – Quando si configura un dubbio circa la corretta interpretazione della norma unionale, la soluzione contemplata dal sistema è il rinvio pregiudiziale, di cui all’art. 267 del TFUE.
Come enunciato nelle Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia (155) «il rinvio pregiudiziale è un meccanismo fondamentale del diritto dell’Unione europea. Esso mira a garantire l’interpretazione e l’applicazione uniformi di tale diritto in seno all’Unione, fornendo ai giudici degli Stati membri uno strumento che consenta loro di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea (in prosieguo: la «Corte»), in via pregiudiziale, questioni riguardanti l’interpretazione del diritto dell’Unione o la validità di atti adottati dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione». Il rinvio pregiudiziale trova fondamento nell’art. 19, par. 3, lett. b) del TUE e nell’art. 267 del TFUE.
La finalità del rinvio pregiudiziale è quella di assicurare un’uniforme interpretazione del diritto unionale e, per questa via, una sua parimenti uniforme applicazione nel territorio dell’Unione, sì da contrastare possibili spinte “nazionalizzatrici” (156). Il rinvio pregiudiziale mira ad assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione, per garantire la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto nonché, in ultima istanza, il carattere peculiare dell’ordinamento istituito dai Trattati (157).
L’oggetto del cd. rinvio pregiudiziale è duplice (158): l’interpretazione del diritto unionale dei Trattati come del diritto derivato (regolamenti e direttive), da un lato e il giudizio sulla validità degli atti delle istituzioni, dall’altro.
(155) Raccomandazioni - Corte di giustizia dell’Unione europea, Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale, (2019/C-380/01) in GUUE del 8/11/2019. (156) D.U. galeTTa, Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE ed obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale: una rilettura nell’ottica del rapporto di cooperazione (leale) fra giudici, in Riv. it. dir. pubb. comun., 2012, 432. (157) CG sentenza del 6 marzo 2018, Achmea, C-284/16, punto 37. (158) Ai sensi dell’art. 267 del TFUE, «La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione».
Quando un giudice, nell’ambito di una controversia innanzi a lui intravede, come questione pregiudiziale alla soluzione della controversia, un dubbio circa l’interpretazione del diritto unionale ovvero circa la validità di un atto delle istituzioni unionali, può/deve investire del dubbio la Corte di Giustizia.
5.4.1. Le condizioni. – Il rinvio pregiudiziale può essere promosso in presenza di talune condizioni (159).
Innanzitutto, deve trattarsi di una questione, quella relativa all’interpretazione del diritto unionale ovvero la validità di un atto delle istituzioni, sollevata innanzi ad un’autorità giudiziaria. Con riferimento alla nozione di organo giurisdizionale, la posizione della Corte di Giustizia è nel senso di reputare che detta nozione costituisca una nozione autonoma (160) del diritto dell’Unione e non una da valutare alla stregua dei singoli ordinamenti (161).
Una seconda condizione è quella per cui deve trattarsi di una questione pregiudiziale rispetto alla soluzione di una controversia. Ciò a dire, occorre che la questione (interpretativa o di validità) si ponga quale premessa logico-giuridica per la soluzione della causa che il giudice è chiamato a risolvere (162).
Una terza condizione è quella per cui la questione pregiudiziale deve essere integrata dall’interpretazione del diritto dell’Unione ovvero dalla validità di un atto delle istituzioni dell’Unione. La Corte, infatti, può statuire sulla domanda di pronuncia pregiudiziale soltanto se il diritto dell’Unione torna concretamente applicabile nel procedimento principale. Di conseguenza, è necessario che il giudice del rinvio esponga compiutamente tutti gli elementi pertinenti, di fatto e di diritto, che caratterizzano la fattispecie in discussione e che lo inducono a ritenere applicabili, nel caso a processo, determinate disposizioni del diritto dell’Unione, la cui interpretazione/validità sia determinante
(159) P. BiavaTi - C. rasia, Civil procedure in the European Union, London, 2019, 60. (160) Sull’autonomia qualificatoria, cfr. P. PisTone, Diritto tributario europeo, cit., 18. (161) A tale riguardo, la Corte è ferma nel ritenere che, per individuare un’autorità giudiziaria, vadano valorizzati una pluralità di elementi, quali segnatamente a) il fondamento legale dell’organo, b) il suo carattere permanente, c) l’obbligatorietà della sua giurisdizione, d) la natura contraddittoria del procedimento, e) il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che f) sia indipendente. Ebbene, alla stregua di tali parametri, si ritiene che le commissioni tributarie rientrino a pieno titolo nella nozione di autorità giudiziaria, utile ai fini del rinvio; C. aTTardi, Il ruolo della Corte europea nel processo tributario, Milano, 2008, 19. (162) Come recita l’art. 267, par. 2 del TFUE, il giudice rinvia «qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto».
per la decisione (163). La Corte di Giustizia può prendere in considerazione, peraltro, soltanto questioni che scaturiscono da controversie reali e non fittizie (164).
Piuttosto, si evidenzia che la Corte di Giustizia non ha competenze rispetto al diritto nazionale, né le spetta risolvere la controversia a processo (165). La competenza pregiudiziale della Corte di giustizia UE è una competenza giurisdizionale a carattere non contenzioso (166), nel senso che la Corte non dirime una controversia, ma si limita a fornire al giudice di rinvio gli elementi necessari alla sua soluzione (167). Compito della Corte non è quindi quello di decidere la causa ma, solamente, di giudicare un quesito pregiudiziale, mentre la soluzione della controversia è e resta compito del giudice. Alla Corte spetta solo il compito di fornire l’interpretazione della norma ovvero il giudizio di validità sull’atto, mentre compete al giudice remittente trarne le debite conseguenze rispetto alla fattispecie a giudizio. La Corte di giustizia ha il compito di fornire al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione del diritto UE necessari a consentirgli di risolvere la controversia innanzi a lui penden-
(163) CG del 7 novembre 2019, C-569/19, OM c. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e a., punto 4, «In base a una giurisprudenza costante della Corte, nel contesto della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, l’esigenza di pervenire a un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto di fatto e di diritto nel quale si inseriscono le questioni da esso sollevate o che, quantomeno, illustri le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Infatti, la Corte può unicamente pronunciarsi sull’interpretazione di un testo dell’Unione in base ai fatti che le sono indicati dal giudice nazionale (ordinanza dell’8 maggio 2019, Mitliv Exim, C9/19, non pubblicata, EU:C:2019:397, punto 15 e giurisprudenza ivi citata). La decisione di rinvio deve inoltre indicare i motivi precisi che hanno indotto il giudice nazionale ad interrogarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione e a ritenere necessaria la presentazione di una questione pregiudiziale alla Corte (sentenza del 19 dicembre 2018, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C357/17, EU:C:2018:1026, punto 29)». (164) P. BiavaTi, Diritto processuale dell’Unione europea, Milano, 2015, 34. (165) Raccomandazioni - Corte di giustizia dell’Unione europea, Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale, (2019/C-380/01), punto 8, «La domanda di pronuncia pregiudiziale deve riguardare l’interpretazione o la validità del diritto dell’Unione, e non l’interpretazione delle norme del diritto nazionale o questioni di fatto sollevate nell’ambito del procedimento principale». (166) r. g. ConTi, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Dalla pratica alla teoria, in www.europeanrights.eu (167) D.U. galeTTa, Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE ed obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale: una rilettura nell’ottica del rapporto di cooperazione (leale) fra giudici, cit., 439.
te (168). È però davanti al giudice nazionale che la controversia che oppone le parti si incardina, si sviluppa e si conclude (169).
Per le medesime ragioni, non compete alla Corte il compito di giudicare la conformità né la compatibilità al diritto dell’Unione di una previsione nazionale; detto compito spetta al giudice remittente, che lo deve assolvere alla stregua della lettura della norma unionale offerta dalla Corte (170). Sennonché, negli ultimi tempi, si è affermata una soluzione spuria di rinvio, con un uso anomalo ed ‘alternativo’ di tale strumento. Vengono così sottoposti alla Corte quesiti che, solo in via mediata, vertono sulla portata di un principio o di una norma del diritto UE, laddove, in verità, viene messa in discussione una norma od una prassi di diritto interno con l’obiettivo di saggiarne la compatibilità col diritto UE (171). In questo modo, la Corte di giustizia, che pure formalmente non si pronuncia sulla legge interna (né sulla sua interpretazione, né sulla sua validità) opera di fatto un sindacato di conformità delle leggi interne rispetto ai vincoli eurounitari che le stesse debbono comunque rispettare (172). La pronuncia della Corte cessa così di essere meramente interpretativa per integrare, piuttosto, un giudizio sulla compatibilità unionale della norma nazionale. Per l’effetto, al giudice remittente residua poi, con ogni evidenza, poco margine. Ad esito della decisione della Corte, il giudice non potrà infatti che disapplicare la norma nazionale giudicata incompatibile con il diritto dell’Unione, salvo optare, res melia perpensa, per non impiegare, ai
(168) r. adaM - a. Tizzano, Lineamenti di diritto dell’Unione europea, Torino, 2010, 335. (169) r. adaM - a. Tizzano, ult. op. cit., 331. (170) «Occorre ricordare, a tale riguardo, che, se è vero che non spetta alla Corte pronunciarsi, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, sulla compatibilità di una normativa nazionale con le norme del diritto dell’Unione, essa è competente a fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi interpretativi attinenti a tale diritto che gli consentano di pronunciarsi su tale compatibilità per la definizione della causa della quale è investito (v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2010, Pannon Gép Centrum, C368/09, EU:C:2010:441, punto 28 e giurisprudenza ivi citata)», CGE del 15 aprile 2021, C-935/19, Grupa Warzywna Sp. z o.o. c. Dyrektor, punto 20. (171) g. Melis, L’interpretazione del diritto tributario europeo e internazionale, in C. Sacchetto (a cura di), Principi di diritto tributario europeo e internazionale, Torino, 2011, 18; a. Barone, Giustizia comunitaria e funzioni interne, Bari, 2008, 13. (172) V. onida, A cinquanta anni dalla sentenza «Costa/Enel»: riflettendo sui rapporti fra ordinamento interno e ordinamento comunitario alla luce della giurisprudenza, cit., 50.
fini della decisione finale, la norma unionale che ha determinato l’incompatibilità della norma censurata (173).
La decisione se ricorrere alla Corte di Giustizia costituisce una prerogativa dei giudici. Nel modello congegnato dall’articolo 267 TFUE, l’iniziativa delle parti è auspicata ma non è determinante (174). Le parti possono sollecitare il rinvio, ma non possono imporre il rinvio ai giudici, che restano indipendenti nell’esercizio del potere di decidere il rinvio pregiudiziale (175). Non basta, quindi, che una parte sostenga che la controversia ponga una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, perché il giudice sia perciò solo obbligato a disporre il rinvio (176). Le parti possono sollecitare il rinvio, ma la decisione resta del giudice. Per l’effetto, non integra un vizio della sentenza, eventualmente lamentabile come motivo di impugnazione, il non aver disposto il rinvio, ancorché sollecitato (177).
Spetta solo al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità della decisione finale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, tanto la necessità quanto la rilevanza delle questioni da sottoporre alla Corte (178). La determinazione e la formulazione del quesito competono unicamente al giudice nazionale e le parti in causa non ne possono modificare il tenore (179).
Si palesa così come lo strumento del rinvio pregiudiziale realizzi inevitabilmente un sistema composito in cui, ferma la riserva a favore della Corte circa il giudizio finale in merito all’interpretazione e la validità degli atti, inevitabilmente si finisce per ammettere un giudizio diffuso (di responsabilità dei giudici) su entrambi questi profili. Un giudizio diffuso che implica e comporta una profonda cooperazione tra giudice dell’Unione e giudici nazionali (180).
(173) r. g. ConTi, Le sentenze interpretative della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia tributaria e i loro effetti negli ordinamenti nazionali, in A. giordano (a cura di), Diritto europeo e internazionale, Milano, 2020, 128. (174) CG del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi, C-136/12, punto 28; CG del 3 giugno 2021, Bankia, C-910/19, punto 22. (175) CG del 22 novembre 1978, Mattheus, C-93/78, punto 5. (176) CG del 6 ottobre 1982, Cilfit e a., C-283/81, punto 9. (177) C. aTTardi, Il ruolo della Corte europea nel processo tributario, cit., 32. (178) CG del 26 maggio 2011, Stichting Natuur en Milieu e a., punto 47; CG del 9 settembre 2015, X e van Dijk, C-72/14 e C-197/14, punto 57; CG del 12 maggio 2021, Altenrhein Luftfahrt, C-70/20, punto 25; C. aTTardi, Il ruolo della Corte europea nel processo tributario, cit., 20. (179) CG del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi, C-136/12, punto 29. (180) «Il procedimento pregiudiziale si basa su una stretta cooperazione tra la Corte e
Proprio perché concepito come rinvio pregiudiziale, occorre, infatti, una previa valutazione da parte del giudice remittente che, così, è chiamato a compiere una prima valutazione di merito circa la fondatezza e la rilevanza del dubbio (interpretativo o di validità). Valutazione di merito che, inevitabilmente, porta con sé un potere di giudizio su questi aspetti, che resta in capo al singolo giudice. Un potere di giudizio che, peraltro, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha inteso addirittura ampliare.
Il rinvio alla Corte di Giustizia costituisce una facoltà del giudice; ma ciò solamente nelle fasi di merito (181). Per i giudici avverso le cui decisioni non è possibile proporre alcun ulteriore ricorso giurisdizionale di diritto interno, come è il caso della Cassazione (182), il rinvio in caso di dubbio sull’interpretazione o invalidità è obbligatorio (183). Obbligo, questo, sanzionato con una precisa responsabilità dello Stato (184).
i giudici degli Stati membri», così Raccomandazioni - Corte di giustizia dell’Unione europea, Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale, (2019/C 380/01), punto 2. (181) Anche in sede di rinvio, a seguito di pronuncia della Corte di Cassazione, il giudice può formulare un quesito alla Corte di Giustizia, con la conseguenza che, a seguito della decisione della Corte, potrebbe risultare inapplicabile il principio di diritto espresso dalla Cassazione; CG del 5 ottobre 2010, Elchinov, C-173/09; CG del 15 gennaio 2013, Križan, C-416/10; cfr. r. g. ConTi, Le sentenze interpretative della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia tributaria e i loro effetti negli ordinamenti nazionali, cit., 124; C. aTTardi, Il ruolo della Corte europea nel processo tributario, cit., 26. (182) Per l’applicazione d’ufficio del diritto comunitario nel giudizio per Cassazione, cfr. Corte di Cassazione, SS.UU. del 18/12/2006, n. 26948/2006; cfr. F. gallo, L’applicazione d’ufficio del diritto comunitario da parte del giudice nazionale nel processo tributario e nel giudizio di Cassazione (Atti del Convegno “L’applicazione del diritto comunitario nella giurisprudenza della Sezione tributaria della Corte di Cassazione”, in Rass. trib., 2003, 313. (183) Art. 267, par. 3 TFUE; cfr. CG del 15 marzo 2017, Aquino, C3/16, punto 42. In caso di inosservanza di detto obbligo, si configura la responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione; M. Bisogno, Interpretazione e applicazione del diritto europeo da parte del giudice tributario, cit., 45. (184) La mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, integra espressamente un’ipotesi di violazione manifesta del Diritto dell’Unione europea, ai sensi dell’art 2, co. 3-bis, L. 13 aprile 1988, n. 117. In attuazione del principio consolidato del diritto europeo in tema di responsabilità dello Stato membro per i danni causati dalla violazione del diritto dell’Unione, imputabile al potere legislativo, a quello esecutivo oppure a quello giudiziario (CG 30 settembre 2003, C-224/01, Köbler c. Republik Österreich; CG 13 giugno 2006 C-173/03, Traghetti del Mediterraneo spa c. Repubblica italiana), è stata prevista la responsabilità dello Stato per i danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati da responsabilità del giudice per colpa grave, espressamente individuata nella «violazione manifesta …del diritto dell’Unione europea» (art. 2,
In realtà, il rigore di tale prescrizione è stato nel tempo mitigato. In particolare, in base alla c.d. “giurisprudenza Cilfit”, i giudici nazionali di ultima istanza non sono sempre sottoposti all’obbligo di rinvio pregiudiziale (185).
In particolare, un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno, può ritenersi esonerato dall’obbligo del rinvio quando abbia constatato che: a) la questione sollevata non è rilevante, ovvero non appaia in alcun modo idonea ad influire sull’esito della controversia (186); b) la disposizione del diritto dell’Unione è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte, nel senso che la questione è materialmente identica ad altra sollevata in relazione ad analoga fattispecie, già decisa, ovvero vi è una giurisprudenza consolidata della Corte, che risolve il punto di diritto, anche in mancanza di una stretta identità delle questioni controverse (cd. teoria dell’acte éclairé) (187); c) la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (cd. teoria dell’acte clair) (188).
co. 3, L. 13 aprile 1988, n. 117). Violazione manifesta che, a sua volta, la norma specifica doversi identificare, segnatamente, alla stregua del grado di chiarezza e precisione delle norme violate, dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza, della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, ovvero del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Critico sul punto, sull’assunto che la responsabilità dello Stato, per violazione perpetrata dall’autorità giudiziaria, non può trovare disciplina nella L. n. 117/1988, che si occupa invece di responsabilità del Magistrato e solo vicaria dello Stato, C. CasTronovo, La commedia degli errori nella responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto europeo ad opera del potere giudiziario, in Europa e dir. priv., 2012, 945. In tema, anche D. Corraro, Dies a quo per l’azione di responsabilità` civile dei magistrati e revocazione “apicale”, in Dir. prat. trib., 2021, 2888. (185) g. Melis, L’interpretazione del diritto tributario europeo e internazionale, in C. saCCheTTo (a cura di), Principi di diritto tributario europeo e internazionale, cit., 22; C. aTTardi, Il ruolo della Corte europea nel processo tributario, cit., 25; C. Melillo, Il primato del diritto comunitario sul diritto interno e gli strumenti a disposizione del giudice (tributario) nazionale per la risoluzione delle antinomie tra norme (tributarie) nazionali e norme comunitarie, cit., 10045. (186) CG 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management, Catania Multiservizi Spa c. Rete Ferroviaria Italiana Spa, C-561/19, punto 34. (187) CG del 6 ottobre 1982, Cilfit e a., C-283/81, punti 13 e 14; CG del 4 novembre 1997, Parfums Christian Dior, C337/95, punto 29; CG del 2 aprile 2009, Pedro IV Servicios, C260/07, punto 36. (188) CG del 6 ottobre 1982, Cilfit e a., C-283/81, punto 21; CG del 15 settembre 2005, Intermodal Transports, C495/03, punto 33; CG del 4 ottobre 2018, Commissione/Francia, C-416/17, punto 110; CG del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a., C-160/14, punto 38; P. PisTone, Diritto tributario europeo, cit., 47; M. Bisogno, Interpretazione e applicazione del diritto europeo da parte del giudice tributario, cit., 44. In questo caso, occorre però che il
Infine, un organo giurisdizionale nazionale di ultima istanza può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale per motivi di irricevibilità inerenti al procedimento previsto dinanzi a tale giudice, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (189). Questo significa che se, in forza delle norme processuali dello Stato membro interessato, rispettose dei principi di equivalenza e di effettività, i motivi sollevati dinanzi al giudice di ultima istanza sono irricevibili, la domanda di pronuncia pregiudiziale va reputata non necessaria né rilevante (190).
Le ipotesi ora elencate costituiscono tutte quante situazioni in cui si ritiene che non operi l’obbligo di cui all’art. 267, par. 3, TFUE. La motivazione della decisione di non operare il rinvio deve comunque far emergere le ragioni giustificative (che la questione di diritto dell’Unione sollevata non è rilevante, oppure che l’interpretazione della disposizione è fondata sulla giurisprudenza della Corte ovvero si impone con un’evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi) (191).
giudice di ultima istanza verifichi che la stessa evidenza si imporrebbe altresì ai giudici di ultima istanza degli altri Stati membri e alla Corte, del caso tenendo altresì conto delle divergenze tra le versioni linguistiche di tale disposizione di cui è a conoscenza, segnatamente quando tali divergenze sono esposte dalle parti e sono comprovate (CG 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Manage.ment, Catania Multiservizi Spa c. Rete Ferroviaria Italiana Spa, C-561/19, punti 4046). Ciò significa che in presenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti – in seno agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro o tra organi giurisdizionali di Stati membri diversi – relativi all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia, il giudice nazionale di ultima istanza deve prestare particolare attenzione nella sua valutazione riguardo a un’eventuale assenza di ragionevole dubbio quanto all’interpretazione corretta della disposizione dell’Unione di cui trattasi (CG 6 ottobre 2021, cit., punto 49). (189) CG del 14 dicembre 1995, van Schijndel e van Veen, C-430/93 e C-431/93, punto 17; CG del 15 marzo 2017, Aquino, C-3/16, punto 56. In merito al principio di effettività, esso comporta che le norme processuali nazionali non devono essere tali da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (CG 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management, Catania Multiservizi Spa c. Rete Ferroviaria Italiana Spa, C561/19, punto 63). Quanto al principio di equivalenza, esso richiede che la disciplina dei ricorsi si applichi indistintamente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli simili fondati sulla violazione del diritto interno (CG del 15 marzo 2017, Aquino, C3/16, punto 50). (190) CG del 15 marzo 2017, Aquino, C-3/16, punto 44. (191) CG 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management, Catania Multiservizi SpA c. Rete Ferroviaria Italiana SpA, C-561/19, punto 51.
5.4.2. La procedura. – Se il giudice ritiene di investire la Corte di giustizia di una questione interpretativa o di validità di un atto (192) deve, innanzitutto, sospendere il processo e, con ordinanza, disporre il rinvio alla Corte (193). Si tratta di un’ipotesi specifica, non riconducibile a quelle sulla sospensione del giudizio, di cui all’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992.
L’ordinanza deve essere trasmessa alla cancelleria della Corte, in via telematica (usando l’applicazione e-Curia) o postale, con il fascicolo del procedimento principale.
Ai sensi dell’art. 94 del Regolamento di procedura della Corte, ogni domanda di pronuncia pregiudiziale deve contenere (194): a) un’illustrazione sommaria dell’oggetto della controversia, nonché dei fatti rilevanti; b) il contenuto delle norme nazionali applicabili alla fattispecie, nonché la giurisprudenza nazionale in materia; c) l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento con la normativa nazionale applicabile alla causa principale (195). Occorre, quindi, che il giudice del rinvio definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate, spiegando l’ipotesi di fatto in cui si pone la questione (196). I paragrafi in cui si articola la decisione di rinvio vanno numerati, allo scopo di agevolarne la lettura.
La procedura di rinvio pregiudiziale si compone di due fasi, una scritta ed una (eventuale) orale (197). Nella fase scritta, le parti presentano propri atti alla Corte mentre la fase orale si compone di due momenti: l’audizione delle parti e degli interessati, di cui all’art. 23 dello Statuto, e la presentazione delle conclusioni da parte dell’Avvocato generale (198).
(192) Un atto può essere dichiarato invalido per incompatibilità con norme dell’ordinamento comunitario, come pure con i principi generali del diritto comunitario ed addirittura con i principi generali del diritto internazionale. (193) Art. 3, L. 13 marzo 1958, n. 204. (194) g. grasso, sub art. 94, C. aMalFiTano - M. Condinanzi - P. iannuCCelli (a cura di), Le regole del processo dinanzi al giudice dell’Unione europea, Napoli, 2017, 586. (195) CG del 7 novembre 2019, C-569/19, OM c. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e a., punto 5. (196) CG del 26 gennaio 1993, cause riunite C320/90, C-321/90 e C322/90, Telemarsicabruzzo e a., punto 6; CG del 9 settembre 2004, causa C-72/03, Carbonati Apuani Srl c. Comune di Carrara, punto 10 (197) P. Boria, La tutela giurisdizionale dei diritti di matrice fiscale nell’ordinamento europeo, in F. Amatucci (a cura di), Diritto processuale tributario, Torino, 2020, 23. (198) Regolamenti interni e di procedura - Istruzioni pratiche alle parti, relative alle
Dopo la pronuncia della decisione che definisce la causa, la cancelleria provvede a notificarla alle parti (oggi, mediante applicativo e-Curia), nonché al giudice del rinvio (199). Entro tre mesi dalla notifica della decisione a cura della cancelleria, quando cioè è cessata la causa di sospensione del giudizio, la parte più diligente (in difetto, il giudizio si estingue) deve procedere alla riassunzione della causa, ai sensi dell’art. 297 c.p.c. (200)
5.4.3. Gli effetti. – Gli effetti della sentenza della Corte di Giustizia su un rinvio pregiudiziale sono diversi, a seconda che l’oggetto sia stato l’interpretazione di una norma unionale ovvero l’invalidità di un atto.
In linea generale, il giudice è tenuto a disapplicare le norme di diritto interno che risultano in contrasto con le norme unionali.
La sentenza interpretativa vincola il giudice a quo (nonché quelli dei successivi gradi di giudizio, chiamati ad esprimersi sulla medesima causa), il quale è tenuto ad applicare la norma eurounitaria disapplicando, eventualmente, quella nazionale incompatibile. La mancata considerazione da parte del giudice a quo della decisione resa dalla Corte di Giustizia costituisce motivo di gravame della sentenza resa dallo stesso (201).
Le sentenze interpretative possono però svolgere altresì un’efficacia extraprocessuale, al di fuori cioè del giudizio da cui è scaturito il rinvio. Tutti i giudici, difatti, sono tenuti, in linea di principio, ad applicare l’interpretazione della Corte, salvo ovviamente che la ritengano non confacente al caso a giudizio (202) ovvero reputino di sottoporre la questione, in altra veste o con nuovi
cause proposte dinanzi alla Corte, punto 49 (199) Art. 88 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia; F. sPiTaleri, sub art. 88, C. aMalFiTano - M. Condinanzi - P. iannuCCelli (a cura di), Le regole del processo dinanzi al giudice dell’Unione europea, Napoli, 2017, 574. (200) Anche in questo caso, in assenza di una specifica previsione, si deve ritenere applicabile l’art. 297 c.p.c., che prevede oggi un termine di tre mesi; A. MarCheselli, Accertamenti tributari e difesa del contribuente, Milano, 2018, 24; C. aTTardi, Il ruolo della Corte europea nel processo tributario, cit., 30. Detto termine, ad ogni modo, torna applicabile in caso di rinvio disposto dalla Cassazione. (201) C. aTTardi, ult. op. cit., 35; C. Melillo, Il primato del diritto comunitario sul diritto interno e gli strumenti a disposizione del giudice (tributario) nazionale per la risoluzione delle antinomie tra norme (tributarie) nazionali e norme comunitarie, cit., 10045. (202) r. g. ConTi, Le sentenze interpretative della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia tributaria e i loro effetti negli ordinamenti nazionali, cit., 126; a. Barone, Giustizia comunitaria e funzioni interne, cit., 15; T. guarnier, Ruolo e funzioni del rinvio pregiudiziale nell’interpretazione delle direttive dell’Unione europea: il caso della relazione
argomenti, alla Corte (203). Non sono però solo i giudici i soggetti tenuti a dare compiuto riconoscimento alla pronuncia interpretativa della Corte, ma anche le autorità amministrative (204).
Più articolato il discorso con riguardo alle pronunce di invalidità.
La sentenza che accerta la validità dell’atto spiega i suoi effetti limitatamente al caso di specie, in modo da lasciare intatta la possibilità che, in altro giudizio, la validità dell’atto possa essere contestata per motivi diversi. Se la Corte dichiara l’invalidità di un atto, invece, tale dichiarazione spiega i suoi effetti erga omnes. Una volta dichiarata l’invalidità dell’atto, l’atto è infatti caducato nei confronti di tutti.
In merito agli effetti temporali, questi sono ordinariamente quelli propri di una decisione con effetti dichiarativi (205), nel senso che, stabilendo l’interpretazione ovvero la validità di un atto, operano naturalmente fin dall’origine (206). In talune occasioni, tuttavia, la Corte per tutelare esigenze come la certezza del diritto ovvero l’affidamento in buona fede, ha modulato diversamente gli effetti delle proprie decisioni (207).
Il fatto che le disposizioni di cui si chiede l’interpretazione siano già state interpretate dalla Corte, non ostacola una nuova pronuncia da parte della stessa (208). L’autorità della sentenza pregiudiziale non osta, infatti, a che il giudice nazionale destinatario della sentenza possa ritenere necessario rivolgersi nuovamente alla Corte, prima di dirimere la controversia di cui al procedimento principale (209).
6. La CEDU e i diritti del contribuente. – La Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) (210) ha assunto un rilievo crescente anche nella
fra giudici italiani e Corte di Giustizia, 2017, in www.federalismi.it. (203) «La portata dei precedenti è dunque di grande autorevolezza, ma non tale da vincolare la Corte», P. BiavaTi, Diritto processuale dell’Unione europea, cit., 34. (204) Corte cost. n. 389 del 1989; cfr. anche Corte Cost. n. 113 del 1985. (205) P. BiavaTi, ult. op. cit., 432. (206) P. Boria, La tutela giurisdizionale dei diritti di matrice fiscale nell’ordinamento europeo, cit., 21. (207) Ad esempio, CG del 9 settembre 2004, causa C-72/03, Carbonati Apuani Srl c. Comune di Carrara, punto 40, ha limitato l’efficacia retrospettiva della pronuncia in ossequio alla certezza del diritto. (208) CG del 17 luglio 2014, Torresi, C58/13 e C59/13, punto 32; CG 3 marzo 2020, Tesco-Global Áruházak, C323/18, punto 46. (209) CG del 6 marzo 2003, Kaba, C466/00, punto 39. (210) La Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e le libertà
materia tributaria (211). Nonostante originarie preclusioni, dovute soprattutto alla giurisprudenza della Corte EDU (212), che rendevano difficilmente ipotizzabile l’invocazione della Convenzione nella materia tributaria, negli ultimi tempi sono cresciuti i casi in cui la Corte ha riconosciuto una simile possibilità (213). Da qui, l’attenzione crescente al tema CEDU e alle tutele delle situazioni di vantaggio che il contribuente può reclamare alla stregua della Convenzione.
La Convenzione può così essere concepita oggi come enunciativa di principi, portatori di diritti, anche per il contribuente (214). Grazie all’opera interpretativa, fortemente espansiva, intrapresa dalla Corte EDU negli ultimi tempi, l’applicazione della Convenzione si è spinta in profondità anche nelle tematiche tributarie (215).
Tramite la Convenzione sono stati affermati diritti che però non sono necessariamente diritti nuovi; sono diritti, piuttosto, che spesso evocano valori e principi che trovano altrimenti riconoscimento, o in seno alla nostra Costi-
fondamentali, firmata nel 1950, entrata in vigore nel 1953 e ratificata in Italia con L. ordinaria 4 agosto 1955, n. 848, con l’obiettivo di garantire un livello minimo di tutela dei diritti fondamentali della persona, lasciando tuttavia liberi gli Stati di offrire una regolamentazione in melius di tali diritti. (211) In argomento, ampiamente F. BilanCia - C. CaliFano - l. del FederiCo - P. PuoTi (a cura di), Convenzione europea dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, cit. (212) Sulla ritrosia della Corte verso l’applicazione della Convenzione al diritto tributario, cfr. M. greggi, Giusto processo e diritto tributario europeo: la prova testimoniale nell’applicazione della CEDU (caso Jussila), in Rass. trib., 2007, 228; a. Merone, Civiltà fiscale, CEDU e diritti del contribuente, in Dir. proc. trib., 2021, 51; a. Perrone, Art. 6 della Cedu, diritti fondamentali e processo tributario: una riflessione teorica, in Riv. dir. trib., 2013, 919. (213) Si è così osservato che «l’interesse per la CEDU e per i diritti in essa garantiti si sia manifestato con un certo ritardo in ambito tributario»; così g. Melis - a. Persiani, Il principio di giusto bilanciamento tra interesse fiscale e diritti proprietari nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di riscossione tributaria, in F. BilanCia - C. CaliFano - l. del FederiCo - P. PuoTi (a cura di), Convenzione europea dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, cit., 249. (214) a. Merone, Civiltà fiscale, CEDU e diritti del contribuente, cit., 52 (215) Si è potuto invero invocare la Convenzione con riguardo alle agevolazioni tributarie (Corte EDU del 26 marzo 1992, Editions Périscope c. Francia), in materia di rimborsi (Corte EDU del 3 ottobre 2003, Buffalo c. Italia) ovvero sulle verifiche fiscali (Corte EDU del 21 febbraio 2008, Ravon c. Francia); l. del FederiCo, Quadro teorico e itinerari giurisprudenziali per giungere all’applicazione della CEDU in materia tributaria, in F. BilanCia - C. CaliFano - l. del FederiCo - P. PuoTi (a cura di), Convenzione europea dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, cit., 81.
tuzione oppure nella trama del diritto eurounitario. Non di meno, il riconoscimento di tali diritti da parte della Convenzione, non solo ne rafforza il valore e la portata, ma ne consente un ampliamento di operatività, oltre ad offrire ulteriori strumenti di tutela (216). Da qui, l’interesse nuovo che la Convenzione può indubbiamente suscitare. 6.1. Gli strumenti di tutela dei diritti enunciati dalla CEDU. – L’applicazione della Convenzione e, con essa, l’affermazione dei diritti ivi enunciati, può avvenire secondo due differenti modalità: una modalità ordinaria e tipica, che fa capo al ricorso innanzi alla Corte ed una modalità più recente e figlia della prassi, che fa invece capo ad un coinvolgimento diretto dei giudici nazionali.
6.2. Il ricorso innanzi alla Corte EDU. – Il ricorso alla Corte EDU (217) è connotato da regole formali particolarmente rigorose, sebbene la procedura, di per sé, non presenti particolari complessità. Il formalismo, infatti, si registra nella fase propriamente di innesco, salvo poi idealmente temperarsi nelle fasi successive dove, al più, è imposto un onere di collaborazione stringente alle parti (218). Le lingue ufficiali della Corte sono il francese e l’inglese; non di meno, gli atti possono essere redatti in una delle lingue ufficiali di uno degli Stati contraenti, fino al momento in cui il ricorso viene portato a conoscenza dello Stato convenuto (219).
Il ricorso può essere presentato da chiunque, persone fisiche o giuridiche, ritenga di aver subito una violazione dei propri diritti fondamentali contemplati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ovvero dai suoi protocolli aggiuntivi (220).
(216) Si esprime in termini di «indiscusso sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali», g. PisTorio, Corte costituzionale e CEDU, in www.treccani.it. (217) La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) è un organo giurisdizionale internazionale indipendente, il cui compito è quello di giudicare in ordine alle violazioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). (218) Ai sensi dell’art. 44C del Regolamento della Corte Edu, «Quando una parte omette di presentare le prove o le informazioni richieste dalla Corte o di divulgare di propria iniziativa informazioni pertinenti, o quando dimostra in altro modo una mancanza di partecipazione effettiva alla procedura, la Corte può trarre dal suo comportamento le conclusioni che ritiene appropriate»; a. saCCuCCi, sub art. 34 in S. BarTole - P. de sena - v. zagreBelsky (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, Padova, 2012, 646. (219) Art.35 Regolamento della Corte Edu. (220) Art. 34 CEDU; a. saCCuCCi, sub art. 34 in S. BarTole - P. de sena - v. zagreBelsky (a cura di) Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, cit., 626.
Il ricorso deve essere presentato compilando un particolare formulario, che può essere reperito scaricandolo dal sito istituzionale della Corte. Il formulario va compilato dettagliatamente e compiutamente, in tutte le sue parti (221). Si tratta in sostanza, di completare una serie di quadri in cui sono richiesti elementi attinenti all’identificazione del ricorrente, dello Stato contro cui è promosso il ricorso, all’esposizione dei fatti e alle violazioni della Convenzione lamentate. L’omessa o incompleta compilazione del formulario può comportare l’omessa registrazione del ricorso da parte dell’Ufficio centrale della Corte e, quindi, precluderne l’esame. Si tratta di un esame di natura puramente amministrativa e non giurisdizionale.
Il ricorso va presentato entro quattro mesi dal deposito della decisione interna ultima e definitiva (222). Il ricorso deve essere spedito per posta raccomandata all’indirizzo riportato in calce al formulario e si considera introdotto alla data di invio, facendo fede la data del timbro postale (223). Il ricorrente non necessita di un difensore per l’introduzione del ricorso, che diviene invece necessario nel momento in cui il ricorso è dichiarato ammissibile e trasmesso al Governo dello Stato convenuto, ossia per l’inizio e la prosecuzione della procedura di merito (224).
Successivamente, il ricorso deve superare ulteriori verifiche prima che la Corte possa giudicarne il merito. Si tratta di verifiche non propriamente giurisdizionali, in quanto non le compie la Corte, ancorché siano dirette ad essere formalizzate da un giudizio della Corte. Per valutare la ricevibilità del ricorso, questo viene assegnato alla divisione giuridica competente per lo Stato contro cui è proposto il ricorso per verificare che il ricorso possegga i requisiti essenziali, ossia le condizioni di ricevibilità, per essere sottoposto alla Corte (225).
(221) Art. 47 del Regolamento della Corte. (222) L’originario termine di sei mesi è stato così ridotto per effetto della ratifica del Protocollo n. 15. Il calcolo del termine va fatto senza prendere in considerazione alcun tipo di festività o sospensione feriale, onde evitare che il termine possa variare da nazione a nazione. (223) Art. 47, par. 6 a). (224) Art. 36 Regolamento Corte Edu; C. CaliFano, Strumenti processuali per l’acceso del contribuente alla Corte europea dei diritti dell’Uomo, in F. BilanCia - C. CaliFan - l. del FederiCo - P. PuoTi (a cura di), Convenzione europea dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, cit., 446. (225) Art. 35 CEDU; C. CaliFano, Strumenti processuali per l’acceso del contribuente alla Corte europea dei diritti dell’Uomo, in F. BilanCia - C. CaliFano - l. del FederiCo - P. PuoTi (a cura di), Convenzione europea dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, cit., 435.
Tra le diverse condizioni, particolare interesse riveste quella integrata dal previo esaurimento delle vie di ricorso interne. Questo perché la tutela dei diritti deve essere offerta, in prima battuta, dai singoli sistemi nazionali (226). Da ciò consegue che il soddisfacimento di detta condizione esige che siano esauriti tutti i gradi che, nell’ambito dell’ordinamento statale, il ricorrente ha a disposizione per far valere le proprie ragioni ed ottenere il riconoscimento del diritto asseritamente violato. Occorre altresì che il ricorrente abbia lamentato davanti agli organi nazionali la violazione in seguito sollecitata in sede internazionale (227). Il previo esaurimento di tutte le vie di ricorso interno tuttavia non è richiesto nel caso in cui un simile ricorso sarebbe, con ogni evidenza, votato a sicuro insuccesso. Ciò si verifica, segnatamente, in presenza di una consolidata giurisprudenza nazionale, che rende assolutamente prevedibile l’esito (negativo) di un eventuale giudizio; in un caso simile, il ricorso interno non deve essere esperito necessariamente (traducendosi, una siffatta condizione, in un mero spreco di tempo) (228).
L’intero procedimento innanzi alla Corte EDU è documentale, nel senso che solamente in rari casi la Corte decide di tenere udienza e solo quando l’importanza e la complessità del caso rendono necessario un confronto tra le parti ed eventuali terzi coinvolti.
Nel caso sia acclarata la violazione delle norme convenzionali, gli Stati sono tenuti a porre fine al comportamento antigiuridico e a garantire alle vittime una riparazione idonea a ripristinare la situazione anteriore all’illecito (229). Se la natura della violazione consente una restitutio in integrum, grava sullo Stato convenuto il dovere di effettuarla (230). Di contro, se il diritto dello Stato non permette di riparare, se non in modo incompleto (231),
(226) C. PiTea, sub art. 35, in S. BarTole - P. de sena - v. zagreBelsky (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, cit., 656. (227) C. PiTea, sub art. 35, cit., 662. (228) Corte Edu, GC, Kleyn e altri c. Paesi Bassi, del 6 maggio 2003; C. PiTea, sub art. 35, cit., 666; A. guazzaroTTi, La CEDU e l’ordinamento nazionale: tendenze giurisprudenziali e nuove esigenze teoriche, in Quaderni costituzionali, 3/2006, pagg. 491 e ss. (229) Art. 41 della CEDU; g. BarTolini, sub art. 41, in S. BarTole - P. de sena - v. zagreBelsky (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, Padova, 2012, 656; P. Pirrone, L’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo, Milano, 2004, 3. (230) Corte EDU del 22 dicembre 2009 Guiso-Gallisay c. Italia; Corte EDU del 16 marzo 2010, Di Belmonte c. Italia. (231) La Corte non può ordinare allo Stato responsabile l’abrogazione o l’emanazione di norme interne, né la modifica di una prassi amministrativa o giudiziaria; così P. Pirrone,
le conseguenze della violazione, la Corte accorda un’equa soddisfazione alla parte lesa (232). 6.3. L’invocazione diretta della Convenzione in ambito nazionale. – Prima della riforma costituzionale del 2001, tutti i Trattati internazionali producevano effetti nell’ordinamento italiano solo mediante l’atto di recepimento, ossia in ragione della legge di ratifica. Lo scenario è cambiato completamente con la riforma costituzionale del 2001, che ha innovato l’art. 117, co. 1, Cost. introducendo come vincolo all’esercizio della potestà legislativa il rispetto dei vincoli derivanti «dagli obblighi internazionali» (233). Per effetto di tale modifica è cambiato il ruolo della CEDU all’interno dell’ordinamento, in modi e termini che, tuttavia, solo in tempi recenti hanno trovato una loro sistemazione.
Un primo importante passaggio sono state le note sentenze gemelle della Corte Costituzionale (la n. 348 e la n. 349 del 2007), con cui la Corte, partendo dalla qualificazione delle norme CEDU come “norme interposte” è giunta a ritenere che i giudici ordinari non possono disapplicare le norme interne per dare diretta applicazione e quelle della Convenzione, né le norme della Convenzione possono risultare in contrasto con le norme della Costituzione. In caso di conflitto tra una norma interna e la Convenzione, si deve rimettere alla Corte costituzionale il giudizio di costituzionalità rispetto all’art. 117.
Con le sentenze gemelle, la Corte Costituzionale, fortemente preoccupata da una distorta applicazione dell’art. 117, co. 1, Cost. ad opera dei giudici di merito (234), è voluta intervenire per porre un argine alla tendenza di disapplicare le norme interne ritenute in conflitto con norme della CEDU (235). Osserva così la Corte che le norme internazionali pattizie, se vincolano lo Stato, «non producono effetti diretti nell’ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in even-
L’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo, cit., 58. (232) P. Pirrone, L’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo, cit., 46. (233) g. PisTorio, Corte costituzionale e CEDU, in www.treccani.it. (234) Parla, al riguardo, di «pericolosa prassi giurisprudenziale» g. MarTiniCo, Il trattamento nazionale dei diritti europei: CEDU e diritto comunitario nell’applicazione dei giudici nazionali, cit., 691. (235) e. laMarque, I poteri del giudice comune nel rapporto con la Corte costituzionale e le Corti europee, in Questione Giustizia, 2020, fasc. 4, 89.
tuale contrasto» (236). Di conseguenza, fermo il preliminare esperimento del tentativo di interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, «entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme» (237), nel caso in cui questo non sia possibile, il giudice è chiamato ad investire la Corte della questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 (238). Spetta solo alla Corte costituzionale vagliare la legittimità della norma censurata rispetto alla norma convenzionale, quale risulta ad esito dell’interpretazione offerta della Corte di Strasburgo, che resta insindacabile (239).
È però solo con la successiva sentenza n. 49/2015 che la Corte ha precisato le direttive entro cui deve muoversi il giudice ordinario rispetto alla CEDU. A seguito di questa sentenza, il giudice si deve ritenere oggi idealmente vincolato a seguire una precisa gerarchia di verifiche, in ordine all’applicazione della CEDU nell’ambito di controversie nazionali. Questo perché, ad avviso della Corte, a parte il caso di sentenze pilota (240), sono vincolanti per il giudice nazionale solo le sentenze della Corte EDU espressive di un orientamento consolidato, mentre quelle che non lo sono non sono assolutamente vincolanti (241). Ad avviso della Corte Costituzionale, difatti, quando la sentenza della
(236) Corte cost. n. 348/2007. (237) Corte cost. n. 349/2007. (238) g. PisTorio, Corte costituzionale e CEDU, in www.treccani.it; F. Tesauro, Tutela del contribuente nel sistema della CEDU, in F. BilanCia - C. CaliFano - l. del FederiCo - P. PuoTi (a cura di), Convenzione europea dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, cit., 369. (239) Corte cost. n. 348/2007, n. 349/2007, n. 113/2011; g. PisTorio, Corte costituzionale e CEDU, in www.treccani.it; v. sCiaraBBa, La Corte Edu tra Corte costituzionale e giudici comuni, in www.questionegiustizia.it. (240) Ai sensi dell’art. 61 del Regolamento della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, si ricorre alla sentenza pilota quando i fatti all’origine di un ricorso conclamano «l’esistenza, nella Parte contraente interessata, di un problema strutturale o sistemico o di un’altra disfunzione simile che ha dato luogo o potrebbe dare luogo alla presentazione di altri ricorsi analoghi». Inoltre, nella sentenza pilota la Corte è chiamata ad indicare la natura del problema strutturale o sistemico nonché il tipo di misure riparatorie che la Parte contraente interessata deve adottare a livello interno, in applicazione del dispositivo della sentenza. Sulla nozione di sentenza pilota cfr. P. Pirrone, sub art. 46, in S. BarTole - P. de sena - v. zagreBelsky (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, Padova, 2012, 747. (241) La Corte ha elaborato, a tale riguardo, degli «indici idonei ad orientare il giudice nazionale nel suo percorso di discernimento», quali, segnatamente, la creatività del principio affermato rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo o di contrasto nei confronti di altre pronunce della Corte; la ricorrenza di opinioni dissenzienti; la circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice senza l’avallo
Corte EDU non è una sentenza pilota, né espressione di una giurisprudenza consolidata, «non vi è alcuna ragione che obblighi il giudice comune a condividere la linea interpretativa adottata dalla Corte EDU per decidere una peculiare controversia» (242). Al contempo, in tutti i casi in cui il giudice sia obbligato a dare seguito alla giurisprudenza della Corte EDU (243), ma rilevi un possibile contrasto con una norma interna, deve sollevare questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost. (244).
In conclusione, l’applicazione diretta della Convenzione, come interpretata dalla Corte EDU, incontra, oggi, molti condizionamenti (245). La Convenzione costituisce, certamente, un parametro di interpretazione costituzionalmente orientata delle leggi ordinarie, che debbono essere applicate in conformità con la Convenzione stessa, come letta ed interpretata dalla Corte (246). Il giudice tuttavia rimane vincolato alla soluzione interpretativa della Corte Edu solo laddove detta soluzione sia riconducibile ad un orientamento consolidato (247). In caso di contrasto della norma convenzionale con quella nazionale, inoltre, il giudice non può operare alcuna disapplicazione della norma nazionale ma deve sollevare questione di costituzionalità per supposta violazione dell’art. 117 Cost. Un assetto complesso, quindi, che indubbiamente ridimensiona la portata della Convenzione, dato che, diversamente da quanto accade con il diritto eurounitario, non è qui consentito al giudice di disappli-
della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell’ordinamento giuridico nazionale. (242) Corte cost. sent. n. 49/2015. (243) Peraltro, la valorizzazione del vincolo interpretativo rispetto alla giurisprudenza della Corte Edu è stata fortemente mitigata dal ruolo riconosciuto al cd. “margine di apprezzamento” che opera essenzialmente quale «temperamento alla rigidità dei principi formulati in sede europea» (C. cost. sent. n. 311/2009 e sent. n. 317/2009). (244) Fermo restando che, ove rilevi il contrasto tra la giurisprudenza della Corte EDU e la Costituzione, il giudice deve sollevare questione di costituzionalità relativamente alla legge del 1955, che ha reso esecutiva la CEDU in Italia; e. laMarque, I poteri del giudice comune nel rapporto con la Corte costituzionale e le Corti europee, cit., 89; osserva che la CEDU «in quanto fonte sub-costituzionale, debba essere conforme alla Costituzione» g. MarTiniCo, Il trattamento nazionale dei diritti europei: CEDU e diritto comunitario nell’applicazione dei giudici nazionali, cit., 691. (245) Molto critico verso la soluzione professata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 49 è A. ruggeri, Il gioco a carte delle Corti, in Consultaonline, 2021, fasc. II, 523. (246) e. laMarque, ult. op. cit., 89. (247) Come riconosciuto in plurime occasioni dalla Corte costituzionale (sentenze n. 236/2011 e n. 311/2009), il giudice è tenuto ad uniformarsi alla «giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente».
care direttamente la norma nazionale in conflitto con la CEDU. Non di meno, seppure in via mediata ed indiretta, si riconosce ugualmente valore e spessore alla Convenzione, fuori e a prescindere dallo strumento ordinario del ricorso alla Corte Edu.
7. L’assetto multilivello dei principi come sfida e come opportunità nella difesa del contribuente. – Il quadro che emerge dalla ricognizione operata traccia un assetto multilivello delle fonti cui vanno ricercati e quindi rapportati i diritti del contribuente. Si tratta di un assetto multilivello connotato da una portata assiologica primaria, tale per cui i principi da cui è possibile enunciare diritti per il contribuente si pongono con una forza tale da vederli come destinati idealmente a prevalere nel conflitto con fonti di rango legislativo.
Vi è lo Statuto, che pur non avendo rango costituzionale costituisce criterio di interpretazione secundum constitutionem, che consente, per questa via, di imporre i diritti in esso enunciati ben oltre la forza che vi sarebbe propria quale legge ordinaria. Vi è il diritto eurounitario, che attraverso il principio di prevalenza può giungere alla disapplicazione della norma nazionale in conflitto. Infine, c’è la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, che quale fonte interposta si afferma come parametro di costituzionalità e, per questa via, si palesa anch’essa come strumento di integrazione del sistema dei diritti, con forza e spessore di rango costituzionale.
La particolarità di un sistema multilivello è tuttavia integrata, segnatamente, dal fatto che l’affermazione del complesso dei valori e dei principi passa per una molteplicità di fonti, con sistemi e modelli di elaborazione assai eterogenei. Si assiste così ad una combinazione di livelli normativi ma anche di sedi giudiziali, in ragione della quale i giudici nazionali si vedono coinvolti, interpreti e portatori di istanze e soluzioni espresse dai giudici costituzionali, eurounitari ed internazionali. Dove, quindi, il precedente giurisdizionale finisce per assumere un valore assolutamente nuovo e speciale, in un modello giuridico originariamente di civil law (248).
Ma non solo. Il quadro che si realizza, in questo modo, si offre assai ampio e composito, rappresentando una sfida di grande fascino per l’operatore e per
(248) Il precedente della Corte Edu non è un precedente vincolante, bensì un precedente persuasivo, che in quanto espresso da una Corte superiore, è dotato di forza di convincimento, di razionalità e di autorevolezza; così M. g. Civinini, Il valore del precedente nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, www.questionegiustizia.it
il giudice. Questi sono infatti chiamati a ragionare all’interno di un sistema multilivello di tutela dei diritti; un sistema multilivello che costringe il giudice a gestire fonti normative di rango, spessore e valore assiologico diverso, con le difficoltà che vi sono proprie nel decidere di volta in volta la fonte concretamente applicabile e che impone al professionista di gestire ragionamenti, strumenti argomentativi e pure procedimenti assai differenti.
Nel momento in cui i diritti trovano fonte e riconoscimento in un assetto così composito, è evidente che la loro tutela deve essere concepita su un piano multilivello (249). Un piano multilivello che esige dal giudice un ruolo complesso di garante della legalità statale, che si articola nell’interpretazione costituzionalmente conforme, nel regolare l’accesso alla Corte costituzionale e alla Corte di Giustizia, nonché, ed infine, nel garantire l’applicazione della Convenzione europea (250). Un piano che, al contempo, sollecita ai contribuenti l’elaborazione di strategie per tutti i livelli del sistema, sì da presidiare tutte le possibili opzioni di tutela, con una contaminazione di tecniche decisorie e di soluzioni processuali, invocate ed applicate ben oltre gli ambiti per cui sono state congegnate.
andrea CarinCi
(249) Come osserva a. randazzo, il ruolo dei giudiCi CoMuni e i loro raPPorTi Con la CorTe euroPea dei diriTTi dell’uoMo dinanzi alle “nuove doMande di giusTizia” , www.giustiziainsieme.it, «oggi, la protezione dei diritti (in risposta alle domande di giustizia) trova in più “attori del diritto”, nazionali e sovranazionali, una possibilità di soddisfazione, com’è tipico del costituzionalismo multilivello». (250) M. CarTaBia - a. CeloTTo, La giustizia costituzionale in Italia dopo la Carta di Nizza, in Giur. cost. 2002, 4493.