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i mercati coperti di giuseppe mengoni • rita panattoni
Palermo Mentre si va consolidando il riconoscimento internazionale del nuovo Stato unitario, le differenziazioni interne al Regno si presentano nel segno di una sostanziale dicotomia tra il nord della penisola, più avanzato e operoso, e il sud, ai margini dello sviluppo socio-economico (dove però la ricchezza aumenta dall’entroterra alle coste e dalle campagne alle città), per il quale sarà coniata l’espressione «questione meridionale». Nella situazione di immobilismo, che accomuna le regioni dell’ex Regno delle Due Sicilie, spicca il caso di Palermo36, con il quale si chiude la rassegna sui mercati coperti del secondo Ottocento ideati nel periodo in cui Mengoni è chiamato a progettare i nuovi mercati di Firenze capitale. L’unicità della vicenda palermitana concernerà solo i presupposti della questione e non il suo sviluppo, che non sarà dissimile da quello di altre situazioni diffuse soprattutto al Sud. La diversità di consuetudini peserà infatti, forse più del clima e delle tradizioni costruttive, sull’insuccesso della moderna tipologia architettonica persino in un’area geografica come quella di Napoli e della sua provincia, dove da tempo sono attive importanti industrie siderurgiche. Dopo l’annessione al Regno d’Italia, l’amministrazione comunale di Palermo pianifica di modernizzare la città attraverso radicali trasformazioni che risanino il tessuto urbano e lo corredino di nuove attrezzature pubbliche, fra le quali si prevedono sei mercati coperti: quattro interni, per ciascuno dei Mandamenti in cui è suddiviso il centro storico (Tribunali, Castellammare, Monte di Pietà e Palazzo Reale), e due esterni, nei terreni liberi a ridosso degli Orti Carella (attuale via Cavour) e nei pressi dell’area portuale. Lo scopo è quello di sostituire i vecchi mercati, più simili a suk che alle strutture funzionali di altre realtà italiane, ma in particolare nordeuropee, nel tentativo di riordinare la vendita al dettaglio soppiantando il mercato «di strada» diffuso nei rioni affollati e di difficile controllo. La questione resta aperta fino al 1864, quando l’ingegnere mandamentale Giuseppe Damiani Almeyda viene incaricato di progettare un tipo generico di «piazza-mercato» da costruirsi in città a prescindere dall’ubicazione. Una sorta di prototipo da replicare in diverse condizioni contestuali, che si segnala per il livello di astrazione dell’architettura focalizzata sull’edificio, sull’eleganza della struttura portante metallica, sulla cura dei dettagli, sullo sfruttamento tecnologico ed estetico dei materiali, con i percorsi protetti da coperture in ferro-vetro come gallerie. Tutto ciò testimonia l’interesse verso le moderne tipologie architettoniche che connotano la città del secondo Ottocento come «nodi monumentali»37, dimostrando la conoscenza di quanto si va attuando a Parigi. La proposta di Damiani Almeyda resta senza esito, anche per l’entità dei costi di esproprio, ma il tema dei nuovi mercati diviene oggetto di discussioni che condurranno il Consiglio comunale a scegliere altre R. La Duca, I mercati di Palermo, Sellerio, Palermo 1994; E. Mauro, I nuovi mercati, in G. Pirrone, Palermo, una capitale. Dal Settecento al Liberty, Electa, Milano 1989, pp. 65-67; G. Fatta, T. Campisi, C. Vinci, Mercati coperti a Palermo: un capitolo perduto di architettura e tecnica, Palumbo, Palermo 2013, pp. 57 ss. 37 A.M. Fundarò, Palermo 1860-1880: una analisi urbana attraverso progetti ed architetture di Giuseppe Damiani Almeyda, Stass, Palermo 1974, pp. 23-26.
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