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Mengoni a Firenze
l’opera fiorentina di giuseppe mengoni dalla consulenza alla definizione del progetto
Mengoni a Firenze Quando il municipio fiorentino chiede una consulenza a Giuseppe Mengoni sui progetti per il nuovo mercato centrale l’ingegnere architetto ha già progettato e in parte realizzato opere importanti per committenze in prevalenza pubbliche1. Opere che lo hanno indotto a confrontarsi con tematiche proprie della cultura architettonica e urbana dell’Europa del secondo Ottocento, a cimentarsi con le tecniche costruttive e con le tecnologie produttive più avanzate: linee ferroviarie e stazioni, dove ha maturato una solida esperienza sugli usi del ferro e sulle sue combinazioni con il vetro e con la muratura tradizionale sotto la direzione dell’ingegnere Jean Louis Protche2 e studi per la stazione di Bologna; sistemazioni urbanistiche nel cuore delle città investite da ampi sventramenti del tessuto urbano antico quali Bologna (progetto di riordinamento di porta Saragozza) e Milano (vincitore del concorso per la sistemazione di piazza del Duomo per maggiore pragmatismo, completezza e funzionalità del disegno urbano3); restauro di edifici civili e rifunzionalizzazione di complessi religiosi soppressi secondo criteri in linea con le audaci teorie di Viollet-le-Duc (facciata del palazzo Poggi-Cavazza di Bologna; trasformazione di un convento francescano nella sede municipale di Castel Bolognese; progetto di restauro della copertura del palazzo Pubblico di Piacenza; palazzo municipale di Malalbergo). Un’ampia casistica di tipologie architettoniche che Mengoni elabora seguendo una metodologia progettuale conforme a quella corrente ottocentesca dove, in funzione del «decoro» della ‘scena urbana’, si conferisce valore predominante alla facciata, elaborandola secondo repertori stilistici legati al passato ma adeguati ai nuovi temi e ai nuovi usi, svincolandola dalla distribuzione interna risolta per lo più in maniera meccanica e ripetitiva. Ma le commesse più significative, cui si lega la sua fama di «valente Architetto», riguardano due opere emblematiche per la società borghese dell’epoca e per le città in cui si inseriscono, due fra le realtà urbane più dinamiche del Regno, dove il precoce sviluppo di linee ferroviarie ha indubbiamente rivestito un ruolo determinante: la galleria Vittorio Emanuele II di Milano
1 Mengoni si era formato alla facoltà di Fisica Matematica dell’Università di Bologna, seguendo nel contempo corsi di prospettiva e di architettura e ornato presso l’Accademia bolognese. Un primo regesto delle opere in Fontana, Pirazzoli, Giuseppe Mengoni 1829-1877, cit. Rettifiche e integrazioni in Piersensini, Mengoni, Giuseppe, cit., e Guccini, Fare l’Italia, ridisegnare la città, cit. 2 Sull’ingegnere capo delle Strade ferrate del Lombardo-Veneto e dell’Italia centrale cui si deve la realizzazione della Porrettana, il primo collegamento ferroviario attraverso l’Appennino, vedi A. Giuntini, Jean Louis Protche, ingegnere ferroviario lorenese in Italia. Un breve profilo biografico (1818-1886), «Il Carrobbio», XIII (1987), pp. 239-246. 3 Selvafolta (a cura di), Sotto il cielo di cristallo, cit., p. 10.
pagina a fronte Fig. 31 Giuseppe Mengoni, fotografia di Raffaello Ferretti, Roma, BIM, Carte Cortini, b. 2.
(1865-1867) e il palazzo di Residenza della Cassa di Risparmio di Bologna (1867-1877). Milano è la città più moderna e cosmopolita del paese, Bologna è un nodo ferroviario strategico tra il Nord e il Sud dell’Italia che gradualmente si stanno cementando4 . Quando Mengoni accetta l’incarico di consulente del governo locale della nuova capitale la Galleria milanese è stata da poco ultimata nella sua ardita monumentalità, sebbene manchi ancora l’arcone di ingresso da piazza del Duomo, mentre della nuova sede dell’istituto di credito bolognese sono in corso di stesura i progetti di massima. È grazie ai due interventi, le cui vicende si intrecceranno con quelle dei nuovi mercati fiorentini5, che l’architetto consolida legami di amicizia con personaggi influenti sicuramente alla base della sua chiamata a Firenze: Antonio Beretta6, il primo sindaco di Milano (1860-1867), cui si deve l’avvio del grandioso programma di trasformazione del centro urbano, e il marchese Carlo Bevilacqua7, direttore generale del Consiglio d’amministrazione della Cassa di Risparmio di Bologna (1837-1875), oltreché consigliere comunale e presidente del Consiglio provinciale della città di cui resterà consigliere (1860-1875), entrambi strenui sostenitori dei progetti di Mengoni e nel contempo vicini alla figura di Peruzzi, come testimoniano i carteggi intercorsi8. Beretta è intimo amico di Ubaldino, laddove i rapporti tra Peruzzi e il marchese Bevilacqua, pur improntati a reciproca stima, sono talvolta mediati dalla complicità del conte ravennate Giuseppe Pasolini9 , consigliere comunale fiorentino e membro di importanti commissioni fra cui quella per i nuovi mercati della città. Pasolini è legato a tutte e tre le figure ma soprattutto a quella del conte Cambray Digny, sindaco di Firenze quando Mengoni invia a Peruzzi l’invito per partecipare all’inaugurazione della Galleria, guadagnandosi forse in quella occasione la prestigiosa commissione fiorentina10 . La fine dell’anno 1867 segna la presa di coscienza da parte delle maggiori nazioni del mondo delle loro condizioni economiche postesi a confronto nell’Esposizione universale di Parigi (1o aprile-3
4 Cfr. O. Selvafolta, Milano e la Lombardia, e F. Ceccarelli, Bologna e la Romagna, in Restucci (a cura di), Storia dell’architettura italiana. L’Ottocento, cit., vol. 1, pp. 46-101 e 142-165. 5 Al contrario dei mercati coperti, le altre due opere di Mengoni hanno riscosso un approfondito interesse, soprattutto la Galleria, oggetto di molteplici ricerche. La recente digitalizzazione di nuovi documenti riguardanti l’edificio bolognese, potrebbe aiutare a chiarire gli scambi fra i diversi cantieri che procedettero in parallelo <https://asisp.intesasanpaolo.com/intesa-web>. 6 N. Foà, Beretta, Antonio, in DBI, 9 (1967). Della solida amicizia con Beretta si ha notizia dalla storiografia sulla Galleria. 7 M. Calzavarini, Bevilacqua Ariosti, Carlo, in DBI, 9 (1967). Mengoni aveva ricevuto l’incarico da Luigi Bevilacqua, vice segretario dell’Istituto, sebbene risalisse a sei anni prima un suo iniziale coinvolgimento per opera del fratello direttore, Carlo Bevilacqua, il vero ispiratore dell’operazione, cfr. Roversi, Documenti inediti sulla costruzione del palazzo della Cassa di Risparmio in Bologna, cit., pp. 345-360; Id., Il Palazzo della Cassa di Risparmio in Bologna (1877-1977), cit., pp. 42 ss., 81-84. 8 BNCF, U. Peruzzi: VI, 36 e Appendice, IV, 4. Lettere di Antonio Beretta (1862-1874), inedite; VI, 104. Lettere del marchese Carlo Bevilacqua (1860-1874), inedite. Bevilacqua faceva parte della commissione Reale della prima Esposizione Nazionale (Firenze 1861) quando Peruzzi era ministro dei Lavori Pubblici. 9 Ivi, U. Peruzzi, XXV, 39, XLI, 11 e XLI, 12. Lettere del conte Giuseppe Pasolini dall’Onda (1849-1876), inedite. Grazie alla moglie Antonia Bassi fu introdotto nell’ambiente aristocratico di Milano, città in cui avrebbe rivestito la carica di governatore (18601862); prefetto di Torino (1862-1864) e poi commissario regio a Venezia (1866), dal 1865 partecipò attivamente alla vicenda politico-amministrativa di Firenze capitale (G.L. Fruci, Pasolini dall’Onda, Giuseppe, in DBI, 81, 2014). 10 La firma del documento ufficiale di inaugurazione della Galleria costituì l’ultimo atto testamentario dell’Amministrazione Beretta. Avversato dalle polemiche sul metodo con cui aveva gestito gli espropri il Sindaco si era dimesso il 18 luglio 1867 (Gioeni, L’affaire Mengoni, cit., pp. 91-92), anche se rimase in carica fino allo scioglimento del Consiglio comunale, il 22 ottobre: ASCMi, Atti del Municipio di Milano. Annata 1867, Milano, Coi Tipi di Luigi di Giacomo Pirola, 1867, pp. 388, 418.
novembre) emblema dell’apoteosi politica ed economica del Secondo Impero, spettacolarizzazione urbana di risonanza mondiale delle sue conquiste nel campo della scienza e della tecnica delle costruzioni, amplificata nell’immaginario collettivo dai nuovi mezzi di comunicazione visiva come le grandi riviste illustrate e la fotografia11. Mentre la Francia si conferma al culmine della sua potenza, l’Italia (anche a causa dei problemi politici) prende atto dei suoi gravi ritardi nei confronti delle innovazioni tecnologiche e del processo di industrializzazione12. Il ritardo italiano è espresso dallo stesso linguaggio architettonico del settore a lei riservato – per altro non esiguo – il cui fronte, allestito dall’architetto Antonio Cipolla13 in forme eclettiche di gusto neorinascimentale, contrasta manifestamente con la struttura metallica della sede dell’Esposizione, opera di un giovane Gustave Eiffel a fianco dell’ingegnere Pierre Guillaume Frédéric Le Play14. Dopo gli apprezzamenti iniziali rivolti alla sezione italiana:
[…] In nessun altro paese è altrettanto marcato il nesso fra le arti e l’industria, la fusione di questi due elementi e la tendenza dell’artigianato a rilevare e nobilitare la materia […]. Nel traversare le sale e nel constatare lo sforzo individuale di cui offre testimonianza ogni prodotto, voi comprendete quale avvenire sia serbato all’Italia quando avrà completamente acquistata l’azione collettiva che ancora gli manca, e l’unità d’impulso15
sopraggiungono perentori i pregiudizi con l’auspicio che il giovane Regno d’Italia possa presto fabbricare da sé le proprie macchine senza doverle importare dall’Inghilterra:
[…] questo paese non è ricco […] nessuna macchina è in movimento; quasi tutti i costruttori si limitarono ad inviare dei modelli il cui trasporto è meno costoso delle macchine stesse. Oltreché, questi artisti, questi musici, questi scultori ispirati, questi pittori eccellenti sono spesso spaventati dalle rozze macchine. Abituati al marmo essi disdegnano il ferro. Gli espositori meccanici si nomano Cuppy o Westermann, strani nomi italiani, per verità16 .
È dunque plausibile che sulla scelta di chiamare Mengoni abbiano influito una serie di circostanze e di fattori in apparenza slegati fra loro, ma la cui combinazione ha poi suggerito al municipio fiorentino
11 L. Aimone, C. Olmo, Le Esposizioni Universali 1851-1900. Il progresso in scena, Allemandi, Torino 1990; P. Di Stasio, 1867. Esposizione Universale di Parigi (1o aprile – 3 aprile – 3 novembre), in A. Baculo Giusti, S. Gallo, M. Mangone, Le grandi esposizioni nel mondo 1851-1900. Dall’edificio città alla città di edifici. Dal Crystal Palace alla White City, Liguori, Napoli 1988, pp. 126-129 (scheda); A.C.T. Geppert, M. Baioni, Esposizioni in Europa fra Otto e Novecento. Spazi, organizzazione, rappresentazioni, numero monografico di «Memoria e Ricerca», 17 (2004). Sui nuovi mezzi di diffusione delle immagini, vedi L. Tomassini, Fantasmagorie, rispecchiamenti, battaglie di immagini. Alle origini dell’immaginario sociale delle esposizioni universali, in Fontana, Pellegrino (a cura di), Esposizioni Universali in Europa, cit., pp. 161-179. 12 G. Bigatti, S. Onger (a cura di), Arti Tecnologia Progetto. Le esposizioni d’industria in Italia prima dell’Unità, Angeli, Milano 2007; Pellegrino, La città più artigiana d’Italia, cit., pp. 53-54; L. Patetta, I risorgimenti nazionali, il progresso e i revival in Europa. Il ritardo dell’Italia, in L. Mozzoni, S. Santini (a cura di), Architettura dell’Eclettismo. Il dibattito sull’architettura per l’Italia unita, Atti del convegno (Jesi 2010), Liguori, Napoli 2011, pp. 1-27. 13 P. Portoghesi, Antonio Cipolla architetto del Risorgimento, Gangemi, Roma 2012. Allievo di Enrico Alvino, Antonio Cipolla era attivo a Firenze, dove si stava occupando della nuova sede centrale della Banca Nazionale (1865-1869, poi Banca d’Italia), dopo aver progettato la sede bolognese dell’istituto, cfr. G. Miano, Cipolla, Antonio, in DBI, 25 (1981). 14 M.C. Buscioni, Esposizioni e “Stile Nazionale” (1861-1925). Il linguaggio dell’architettura nei padiglioni italiani delle grandi Kermesses nazionali ed internazionali, Alinea, Firenze 1990, pp. 45-53. 15 C. Vittori, L’Italia all’Esposizione universale, in F. Ducuing, L’esposizione universale del 1867 illustrata. Pubblicazione internazionale autorizzata dalla commissione imperiale dell’esposizione, Sonzogno, Milano 1867, vol. I, pp. 259-263: 259. 16 C. Boissay, Galleria delle Macchine italiane, ivi, vol. III, p. 838. Su Cuppy (Guppy) infra Thomas Richard Guppy da Bristol a Napoli.
un nome: il suo! L’assenza di altri potenziali nominativi nei documenti pubblici e privati finora esaminati conforterebbe la supposizione. La capacità con la quale l’architetto bolognese era riuscito a gestire il cantiere di un’opera di dimensioni eccezionali per l’epoca come la Galleria di Milano, realizzandola in poco più di due anni, non dev’essere passata inosservata a coloro i quali dovevano risolvere in tempi brevi una questione spinosa e ormai inderogabile come quella di un nuovo mercato per la capitale, che si trascinava da anni. Come del resto devono aver fatto riflettere la sagacia mostrata da Mengoni nel reperire a Londra i fondi necessari per l’attuazione dell’impresa e la sua abilità nell’abbinare la tecnica costruttiva tradizionale alle nuove tecnologie del ferro e del vetro prodotti in serie. In effetti, fu forse grazie ai suoi legami con l’alta finanza britannica se egli figura fra i membri Onorari e Corrispondenti del Royal Institute of British Architects dal 26 giugno 186517, il prestigioso istituto londinese che annovera fra i soci fondatori ed eletti architetti particolarmente legati all’uso del binomio ferro-vetro, come Decimus Burton, Horace Jones, Charles Fowler, gli ultimi due – come abbiamo visto – autori di importanti mercati coperti nella capitale inglese. Mengoni si era formato sul campo viaggiando molto in paesi fra i più evoluti sul piano politico, economico, sociale e culturale, dai quali cerca di trarre le migliori strategie: dalla Francia del Secondo Impero e dal sodalizio tra Napoleone III e il Barone Haussmann la gestione tecnica e il coordinamento delle attività del cantiere, dal Regno Unito di Lord Palmerston e di Lord Russell la gestione finanziaria dell’operazione, da entrambi i paesi più avanzati d’Europa la sperimentazione di nuove tecnologie costruttive applicate a nuove tipologie architettoniche in una fase in cui gli architetti non hanno ancora la piena consapevolezza della valenza anche estetica delle costruzioni metalliche, palesata dall’opera di Labrouste18. Oltre a ciò, la perizia riconosciuta all’ingegnere architetto italiano nell’uso del binomio ferro-vetro per l’immensa copertura della Galleria, quando ancora non era concluso il cantiere delle Halles, deve aver inciso in modo determinante sulla decisione dell’Amministrazione comunale di ricorrere alla sua consulenza ai fini di quell’auspicata legittimazione che la classe dirigente nazionale, anche attraverso la modernizzazione della capitale, ambiva ad acquisire sulla scena europea. Lo stesso Peruzzi nel giustificare di fronte ai consiglieri quel provvedimento affermerà che la Giunta aveva scelto «l’Ingegnere Mengoni […] perché tra tutti gli Architetti italiani ha condotto la più gran costruzione mista di ferro e muramento, la Galleria Vittorio Emanuele a Milano; ed è noto
17 RIBA, Membership Register (Early Series) 1834-1892, (ref. 5.4.1). Il decesso di Mengoni fu comunicato nell’assemblea ordinaria del 21 gennaio 1878. Cfr. Royal Institute of British Architects, List of the Members; Contributions to the Collection and Library; proceedings at the ordinary and other general meetings, papers read, &c., The Institute, London 1873, pp. 12-14: 13. Purtroppo il volume di manoscritti sui membri Onorari e Corrispondenti che avrebbe incluso l’anno in questione (volume 3, aprile 1857 - dicembre 1865) è dichiarato mancante da prima delle pubblicazioni di A. Mace, The Royal Institute of British Architects. A Guide to its Archive and History, Mansell Publishing Ltd, London New York 1986; Ead., Architecture in Manuscript, 16011996. Guide to the British Architectural Library Manuscripts and Archives Collection, Mansell Publishing Ltd, London 1998. Vedi Tesi di Dottorato, par. II.2, pp. 75-77. 18 Una padronanza espressiva delle strutture in ferro sembra raggiungersi con Louis-Auguste Boileau, autore di Le Fer, principal élément constructif de la nouvelle architecture, Paris 1871, e con Eiffel, la cui Torre consacrerà l’utilizzo del materiale, sebbene resti «difficile capire quando il gusto dei progettisti per le strutture in ferro si sia affermato anche come precisa scelta di stile»: Pevsner, I pionieri dell’architettura moderna, cit., p. 148.