MasterX Magazine maggio 2024

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L’intervista

Carmine Monaco: Gomorra mi ha aperto le porte

L’indagine

Come le nuove generazioni decidono liceo e Università _ p.10

Europee 2024 La guida facile per votare in modo consapevole _ p.15

Diritti Percorsi di transizione, attraverso sogni e paure dei ragazzi _ p.24

MasterX

A TE LA SCELTA

Carriera, amore, vita: sembra tutto nelle nostre mani. Ma è davvero così?

Anno XXII | Numero 3 | Maggio 2024 | www.masterx.iulm.it
Periodico del master in giornalismo dell’Università IULM Facoltà di comunicazione

Diretto da:

DANIELE MANCA (responsabile)

Progetto grafico: ADRIANO ATTUS

In redazione: Elena Capilupi, Valentina Cappelli, Andrea Carrabino, Umberto Cascone, Filippo Riccardo di Chio, Andrea di Tullio, Christian Leo Dufour, Thomas Fox, Sara Leombruno, Alessandra Pellegrino, Ivan Torneo, Letizia Triglione, Erica Vailati, Davide Aldrigo, Elena Betti, Elena Cecchetto, Serena Del Fiore, Alessandro Dowlatshahi, Vittoria Giulia Fassola, Alberto Manni, Glenda Veronica Matrecano, Cosimo Mazzotta, Francesca Neri, Tommaso Ponzi, Riccardo Rimondini, Rebecca Saibene, Ettore Saladini, Giulia Spini

Registrazione: Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002

Stampa: RS Print Time S.r.l

Master in Giornalismo Iulm

Direttore strategico: Daniele Manca

Coordinatrice organizzativa: Marta Zanichelli

Coordinatore didattico: Ugo Savoia

Responsabile laboratorio digitale: Paolo

Liguori

Tutor: Sara Foglieni

Docenti:

Anthony Adornato (Mobile Journalism)

Adriano Attus (Art director e grafica digitale)

Federico Badaloni (Architettura dell’informazione)

Luca Barnabé (Giornalismo, cinema e spettacolo)

Ivan Berni (Storia del giornalismo)

Silvia Brasca (Fact checking and Fake news)

Federico Calamante (Giornalismo e narrazione)

Marco Capovilla (Fotogiornalismo)

Marco Castelnuovo (Social Media curation)

Maria Piera Ceci (Giornalismo radiofonico)

Pierluigi Comerio (Idoneità professionale)

Mario Consani (Deontologia)

Cipriana Dall’Orto (Giornalismo periodico)

Giovanni Delbecchi (Critica giornalismo Tv)

Andrea Delogu (Gestione dell’impresa editoriale)

Luca De Vito (Videoediting)

Guido Formigoni (Storia contemporanea)

Alessandro Galimberti (Diritto d’autore)

Paolo Giovannetti (Critica del linguaggio giornalistico II)

Alessio Lasta (Reportage televisivo)

Stefania Lazzaroni (Comunicazione istituzionale)

Nino Luca (Videogiornalismo)

Bruno Luverà (Giornalismo Tv)

Caterina Malavenda (Diritto penale e Diritto del giornalismo)

Matteo Marani (Giornalismo sportivo)

Anna Meldolesi (Giornalismo scientifico)

Alberto Mingardi (Giornalismo e politica)

Micaela Nasca (Laboratorio di pratica televisiva)

Elisa Pasino (Tecniche dell’ufficio stampa)

Martina Pennisi (Social Media Curation I)

Aldo Preda (Giornalismo radiofonico II)

Davide Preti (Tecniche di montaggio)

Roberto Rho (Giornalismo economicoGiornalismo quotidiano)

Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza)

Federica Seneghini (Social Media Curation II)

Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia)

Marta Zanichelli (Publishing digitale)

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Editoriale

Pillola azzurra o pillola rossa di Sara Leombruno e Filippo di Chio

Eutanasia: liberi fino alla fine di Andrea Carrabino

Obietto: l’aborto non rispetta la vita di Valentina Cappelli

Ho fatto legge, sarò avvocato? di Erica Vailati e Andrea Carrabino

La Gomorra di ’O Track: «Tutti possono scegliere»

Intervista a Carmine Monaco di Letizia Triglione

Esiste il libero arbitrio? di Ivan Torneo

Europee for dummies di Elena Capilupi e Alessandra Pellegrino

Basta un voto per contare? di Thomas Fox

Chi sono? Lo decido solo io di Elena Betti, Elena Cecchetto e Cosimo Mazzotta

Le Olimpiadi dove il doping è permesso di Davide Aldrigo

Il potere di un solo click di Ivan Torneo

Colpevole di libertà di Umberto Cascone

SOMMARIO COLOPHON 2 | MASTERX | MAGGIO 2024
M asterX MAGGIO 2024 - N° 3 - ANNO XXII

Sara Leombruno e Filippo di Chio

Master in Giornalismo

PILLOLA AZZURRA O PILLOLA ROSSA

«Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità», scriveva l’autrice J.K. Rowling nel secondo dei sette capitoli della saga letteraria Harry Potter. In effetti, al di là delle esperienze, delle attitudini comportamentali e delle abilità di ognuno di noi, è il modo in cui scegliamo di comportarci davanti a un bivio a determinare chi siamo. «Pillola azzurra, domani ti sveglierai in camera tua e crederai a ciò che vorrai. Pillola rossa, resti nel Paese delle Meraviglie e vedrai quanto è profonda la tana del Bianconiglio». Il dilemma proposto da Neo in Matrix sembra un semplice 50-50. Ma scegliere non è sempre così facile.

liberi, quando?

Cosa dobbiamo fare, quindi, quando non scegliere sembra l’alternativa migliore? È giusto restare immobili, aspettando che il corso degli eventi decida per noi, o raccogliere il coraggio per farlo? Se è vero che da quando veniamo al mondo ogni decisione che prendiamo è inevitabilmente influenzata, contaminata, orientata da chi e cosa ci circonda, i veri cambiamenti della vita dipendono da quei pochi attimi in cui ci prendiamo ogni responsabilità. Anzi, potremmo azzardare a dire che - a quanto ci sembra - è solo in quei casi che possiamo dirci finalmente liberi. Come se quel coraggio fosse l’unico modo per poter cominciare da zero, nonostante gli innumerevoli rischi. Scegliere comporta sempre un prezzo, perché vuol dire rinunciare a qualcosa o a una persona in funzione di un’al-

tra o di sé stessi.

Dalla libertà di esprimere una preferenza in una cabina elettorale al “doppio click” sui social media. Dalla progettazione del proprio percorso scolastico fino all’identità di genere e al fine vita. Un’infinità di opzioni e suggestioni ci investono fino a lasciarci quasi senza respiro. Ma rimane una grande domanda di fondo: siamo davvero liberi?

La mente e il cuore, nel frattempo, sono intrappolati in continui bilanci tra costi e benefici. La paura paralizzante sovrasta il desiderio di andare avanti. Il passato, infarcito di ricordi, buchi dell’affettività e mancanza d’amore si interseca con il desiderio di un futuro migliore, compromettendo il presente.

nel paese dell’indecisione Volenti o nolenti, il cambiamento è l’unica costante della vita. E la paura che ne deriva fa parte dell’ordine naturale delle cose. Scegliere potrebbe non portare a ciò che speravamo e la verità è che non possiamo prevederlo. Ma tirarsi indietro potrebbe farci perdere molto di più. Personalità, opportunità e piacevoli sorprese. Quindi, mentre ti troverai di fronte alla prossima grande decisione, ricorda che l’incertezza non è per forza un gigante da temere, ma un passaggio verso cose nuove. Potrai optare di rimanere dove sei, sicuro ma statico. O potrai fare un respiro profondo e saltare nel fiume. Lasciandoti portare dalle sue correnti verso possibilità che, forse, non avresti mai pensato di apprezzare.

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Indecisione. Alice dispersa nel Paese delle Meraviglie, in una scena del cartone animato Alice in Wonderland (1951)

EUTANASIA Liberi fino alla fine

Da Dj Fabo a Federico Carboni, le storie che hanno segnato la lotta di Marco Cappato per «un diritto fondamentale»: la scelta di morire

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nato da quella terra religiosa dal sapore mistico. E così lo sconosciuto Fabiano Antoniani divenne noto a tutti con lo pseudonimo di “dj Fabo”.

Fabiano Antoniani era il tipico ragazzo italiano: amava uscire la sera con gli amici, divertirsi al bar o in discoteca e godersi ogni istante della propria vita. Come molti suoi coetanei seguiva con grande interesse lo sport, in particolare la motocross. Ma la sua passione più grande è sempre stata la musica, declinata in ogni sua sfaccettatura. Fin da quando era solo un bambino aveva infatti iniziato a suonare la chitarra. E presto riuscì a trasformare quella passione in un lavoro. Il giovane, con in tasca un diploma da geometra, lasciò il suo posto fisso a Milano per intraprendere la carriera da disk jockey in giro per il mondo. Prima a Ibiza, il paradiso della movida. Poi in India, affasci- >

dal paradiso all’inferno Ma quello che sembrava un sogno a occhi aperti si trasformò presto in un incubo senza fine. Dopo una serata trascorsa in un locale milanese, la vita di dj Fabo cambiò per sempre. Durante il tragitto di ritorno a casa, uscì di strada con la macchina, sbatté contro un veicolo fermo in sosta e fu sbalzato fuori dall’auto. Una tragedia evitabile, dato che non aveva la cintura di sicurezza allacciata. Il grave incidente lo rese cieco e tetraplegico, trasformando la sua vita in un vero e proprio inferno. Dopo diversi anni di terapie invasive,

il disk jockey maturò la consapevolezza di voler mettere fine alla propria esistenza. «Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione, non trovando più il senso della mia vita ora. Fermamente deciso, trovo più dignitoso e coerente, per la persona che sono, terminare questa mia agonia», aveva confessato.

signor presidente, le chiediamo Da qui la disperata richiesta di aiuto, con un appello diretto al capo dello Stato italiano Sergio Mattarella: «Signor Presidente, sappiamo che non spetta a lei approvare le leggi. Le chiediamo però di intervenire affinché una decisione sia presa. Per lasciare che ciascuno sia libero di scegliere fino alla fine». Questo videomessaggio, diventato fin da subito virale sui social network, non sortì però l’effetto spe-

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Di Andrea Carrabino

ATTUALITÀ | EUTANASIA

rato. La legge sul testamento biologico, infatti, era stata rinviata dal Parlamento italiano già per la terza volta. L’ostruzionismo di Camera e Senato sembrava avere un solo scopo: nel nostro Paese non si deve poter scegliere di morire. Così Fabiano Antoniani decise di recarsi in Svizzera dove in apposite cliniche è possibile ricorrere al cosiddetto “suicidio assistito”, ovvero l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico. Per poter essere sottoposti a questo trattamento devono essere rispettati alcuni requisiti. La persona che ne fa richiesta deve essere pienamente capace di intendere e volere, deve avere una patologia irreversibile portatrice di gravi sofferenze fisiche o psichiche e deve sopravvivere grazie a trattamenti di sostegno vitale. Il suicidio assistito non deve essere confuso con l’eutanasia, che invece indica gli interventi medici che prevedono la somministrazione diretta di un farmaco letale al paziente.

finalmente libero dal dolore

«Volevo provare a superare proibizioni violente, che il Parlamento non voleva riformare»

taglie di questo tipo ogni rischio si cela dietro l’angolo. Soprattutto se si tratta di azioni di disobbedienza civile. L’attivista milanese, nel corso della sua carriera politica, ha infatti affrontato ben «due processi sul fine vita in Italia e uno sulla cannabis a Manchester, in Inghilterra». Poi è stato arrestato in Gran Bretagna e ha anche subito alcuni fermi di polizia a Mosca, Bruxelles e Roma. Nel 2007 fu aggredito in Russia da un gruppo di naziskin mentre cercava di consegnare al sindaco della capitale Jurij Michajlovi Lužkov una lettera firmata da 50 deputati europei e italiani che sollecitava le autorità locali ad autorizzare lo svolgimento del Gay pride. Manco a dirlo, la polizia lo arrestò all’istante. Salvo poi scarcerarlo dopo poche ore senza processo. Un’esperienza traumatica, che lo stesso Cappato definisce come «la più pericolosa della mia vita».

al servizio degli altri

Dj Fabo, dopo anni di sofferenza, morì nella clinica “Dignitas” di Zurigo il 27 febbraio 2017 grazie proprio al suicidio assistito. Come lui stesso aveva annunciato sul suo profilo Twitter: «Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato purtroppo con le mie forze e non con l’aiuto dello Stato italiano. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore». L’uomo citato da Fabiano si chiama Marco Cappato. E non era la prima volta che si prestava ad azioni umanitarie di questo tipo. L’attivista, nato a Milano nel 1971, ha scelto da anni di realizzare iniziative di disobbedienza civile in materia di droghe, libertà sessuali e di espressione, ricerca scientifica e fine vita. Il motivo? Lo spiega lui stesso: «Per provare a superare proibizioni violente, che però il nostro Parlamento non vuole riformare». Nel 1991, appena 20enne, intraprese la carriera politica, iscrivendosi al Partito radicale italiano (Pr). E, grazie al suo impegno, nel corso del tempo diventò uno dei militanti di spicco del movimento. Prima come Europarlamentare a Bruxelles, poi come deputato della Repubblica italiana. Dopo il suo ingresso tra le fila dei Radicali conobbe Marco Pannella, l’uomo dal quale trasse ispirazione per gli anni avvenire. Lo storico segretario del Pr è da sempre considerato uno dei protagonisti indiscussi delle battaglie civili italiane tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Basti ricordare i suoi celebri scioperi della sete e della fame, con l’intenzione di affermare la legalità o, secondo le sue parole, il «diritto alla vita e la vita del diritto». Metodi tipici della lotta politica non violenta, resi popolari dal Mahatma Gandhi e dal reverendo Martin Luther King.

i pericoli dell’attivismo

Nel solco della strada tracciata da Pannella, Cappato scelse di dedicare la propria vita all’attivismo sociale. A partire dall’iniziativa proibizionista: «La prima che mi appassionò veramente». Ma quando si portano avanti bat-

Ma il desiderio di battersi per ciò in cui si crede è sempre stato più forte della paura di scontrarsi con la giustizia, in ogni sua forma. «Ho la speranza che tutte le istanze sociali che difendo possano risolversi attraverso riforme – spiega l’attivista - come in parte è già accaduto con la Corte costituzionale sull’aiuto al suicidio». Cappato ha «accompagnato personalmente» tre persone in Svizzera per mettere

VITA DA ATTIVISTA

In alto, Marco Cappato durante un corteo per la legalizzazione dell’eutanasia. A destra, l’abbraccio nella corte d’Appello di Milano tra Cappato e Valeria Imbrogno, compagna di Dj Fabo

fine alla propria vita. Infatti, oltre al già citato dj Fabo, l’attivista si è autodenunciato per aver aiutato nel 2015 Dominique Velati, infermiera piemontese malata terminale con un tumore al colon, a ottenere l’eutanasia. Così come per Davide Trentini, barista toscano affetto da sclerosi multipla. «Faccio quello che ritengo un mio dovere, al servizio della persona che lo chiede, e che mi ha sempre trasmesso serenità e determinazione», afferma l’ex radicale.

qualcosa inizia a muoversi

Grazie anche alle battaglie portate avanti da organizzazioni no profit come l’Associazione “Luca Coscioni” – della quale Marco Cappato è tesoriere – nel nostro Paese si sono fatti molti passi avanti sul tema del fine vita. «In meno di 10 anni – ha ricordato l’attivista milaneseabbiamo ottenuto importanti successi, come la legalizzazione dell’interruzione delle terapie, del testamento biologico e, in parte, anche del suicidio assistito. Le resistenze arrivano quasi tutte da parte del ceto politico – aggiunge l’ex radicale - ma la gente è in gran parte d’accordo». In Italia, la Costituzione riconosce che nessuno può essere obbligato ad alcun trattamento sanitario contro la propria volontà e prevede altresì che la libertà personale sia inviolabile. Con la sentenza 242/2019 la Corte Costituzionale, grazie alla disobbedienza civile di Cappato per l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani, ha riconosciuto anche il diritto al suicidio medicalmente assistito per le persone che rispettino i requisiti sopra elencati.

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Il 16 giugno 2022, Federico Carboni, conosciuto prima della sua morte con il nome di fantasia “Mario”, è stato il primo italiano a ottenere il suicidio medicalmente assistito legalmente nel nostro Paese. «Questi risultati – si legge sul sito dell’associazione no profit - sarebbero stati impossibili senza il coraggio delle tante persone malate che hanno lottato pubblicamente per veder rispettate le proprie volontà». Ciò che ancora manca nel nostro ordinamento giuridico è una legge che preveda la possibilità di aiuto medico alla morte volontaria per persone che non dipendono da trattamenti di sostegno vitale.

l’ultimo ostacolo

In questo senso, risulta ancora centrale il tema della persuasione dell’opinione pubblica. Lo stesso Cappato sostiene che non sia semplice scegliere di porre fine alla propria vita. «Bisogna trovarcisi per poterlo dire. E comunque – sottolinea l’attivista milanese - ogni condizione è diversa». Rimane però un da compiere un passo fondamentale: spiegare alla popolazione che «se una persona non vorrà usufruire dell’eutanasia, avrà tutto il diritto di non farlo». Il problema – precisa l’ex radicale - «è quando qualcuno pretende di proibirlo a chi invece vuole farlo». Ciascuno stabilisce quanto è importante per sé stesso, senza però condannare a priori le decisioni degli altri. «In generale – conclude Cappato – la scelta di morire dovrebbe essere riconosciuto come un diritto umano fondamentale».

I CASI Quando la morte è l’opzione più dolce

HENK PRINS

Il medico che pose fine a una sofferenza senza speranza

In Olanda, nel 1993 il dottor Henk Prins, su espressa richiesta dei genitori, decise di porre fine alla vita di una neonata. Rianne, di appena tre giorni, era nata idrocefala, con il cervello poco sviluppato, la spina bifida e gli arti deformi. Secondo il medico, la bambina non sarebbe sopravvissuta e avrebbe vissuto in stato vegetativo tra continui dolori. Due anni dopo, il tribunale di Alkmaar prosciolse il dottor Prins dall’accusa di omicidio premeditato ritenendo che avesse agito in stato di necessità, trattandosi di sofferenze senza speranza.

HUGO CLAUS

Lo scrittore che preferì morire per non dimenticare

In Belgio suscitò molto scalpore la vicenda di Hugo Claus, più volte candidato al premio Nobel per la Letteratura. Il celebre scrittore, poeta, drammaturgo e regista fiammingo era affetto da una grave forma di Alzheimer. Così, all’età di 79 anni, scelse di morire tramite sedazione palliativa, un’eutanasia attiva tramite la somministrazione di farmaci. Il trattamento medico fu praticato al Middelheim-ziekenhuis di Anversa il 19 marzo 2008. In Belgio, l’eutanasia è legale sin dal 2002. E dal 2014 è estesa anche ai minori di 18 anni.

LUCIO MAGRI

Il comunista che cantò

“Senza amore si vive, ma senza di te no”

Lucio Magri è stato un membro del Partito comunista italiano e tra i fondatori de Il Manifesto. Anche se nel 1969, dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia durante la Primavera di Praga, verrà radiato dal suo partito perché in dissenso con la linea del segretario Palmiro Togliatti. Salvo poi rientrare tra le sue file 15 anni dopo. Nel 2011 la sua vita cambiò per sempre. Dopo la morte di sua moglie, entrò in depressione. Così decise di recarsi in Svizzera dove chiese ad un medico amico di aiutarlo nella procedura di suicidio assistito.

DRIES E EUGENIE VAN AGT

I coniugi che chiusero gli occhi tenendosi per mano

Dries van Agt è stato primo ministro dei Paesi Bassi dal 1977 al 1982. Nel corso della sua carriera politica, si impegnò a fondo per la giustizia sociale e i diritti. Da oltre sessant’anni era sposato con Eugenie Krekelberg. E insieme hanno costruito una vita basata su valori condivisi, nel sostegno reciproco. Nel 2019, l’ex premier ha subito un’emorragia cerebrale da cui non si è mai ripreso. I due coniugi, cinque anni dopo, hanno scelto di porre fine alla loro vita. A 93 anni, sono morti insieme: mano nella mano a Nijmegen, la loro città natale.

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PRO VITA O NO?

Da sinistra: Mario Meroni, ex primario di Ginecologia all’ospedale Niguarda; un cartellone pubblicitario della campagna “Libera di abortire”. A destra, manifestante durante un corteo sul diritto all’aborto.

Io obietto: l’aborto non rispetta la vita

Convinto sostenitore del diritto alla vita delle madri ma anche dei feti che portano in grembo. Mario Meroni - ex primario di Ginecologia al Niguarda di Milano - rivendica la libertà di dire no all’interruzione volontaria di gravidanza

Di Valentina Cappelli

Era il 1976. Mario Meroni era uno studente di medicina quando l’esplosione di un’azienda a Seveso causò la dispersione di una nube di diossina per tutta la Brianza. «I radicali tentarono di utilizzare il disastro per introdurre l’aborto in Italia, ma io non approvavo», racconta l’ex primario di Ginecologia dell’ospedale Niguarda di Milano. Il dottor Meroni, obiettore di coscienza, aveva scoperto di essere di fronte «a una grande menzogna»: la diossina non provocava malformazioni al feto ma veniva solo usata come «cavallo di Troia» per legalizzare l’interruzione della gravidanza. «Da quel momento ho deciso di fare il ginecologo. Non perché sono contro l’aborto, ma perché voglio aiutare il prossimo. E continuo a farlo ora che ho 70 anni».

Cosa significa essere obiettore di coscienza?

Significa avere dei valori che non si è disposti a relativizzare. Viviamo in un mondo in cui tutto viene messo in discussione, ma ci sono dei principi indiscutibili come il rispetto della vita, dei diritti della mamma e dell’individuo che porta in grembo. Vuol dire riconoscere che il feto è un essere umano.

Quali sono le ragioni di questa scelta?

Le ragioni sono di tipo culturale, e la nostra è una cultura cattolica. L’UE ha votato a favore dell’inserimento dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Lo trovo mostruoso, perché l’Europa è nata e cresciuta sui valori del Cristianesimo. È evidente che debba esserci una legislazione che consenta l’aborto, ma i principi fondanti devono essere altri: il rispetto della donna e l’insegnamento della contraccezione. Non il diritto di far fuori un essere umano.

Quindi è una questione etica?

possa esercitarlo. Però che debba essere io a farlo la trovo una forzatura inaccettabile. Sarebbe come costringermi a rubare: lo riterrei comunque un reato.

Cos’è l’aborto per un obiettore?

Il diritto all’aborto nasce dalla violazione di altri diritti. Se una donna - o il suo partner maschile - utilizzassero la contraccezione o, peggio, se non esistesse la violenza sessuale, non ci sarebbe bisogno di abortire. In 42 anni di professione non ho mai trovato una donna felice di abortire per far valere i propri diritti. La donna abortisce piangendo, perché le è successa una cosa che non doveva capitare. Non è certo una scelta a cuor leggero.

La donna abortisce piangendo, non è mai una scelta fatta a cuor leggero M.M.

Rispetto la vita del nascituro tanto quanto quella della mamma. Se il feto ha tre mesi di vita lo posso ammazzare, se ne ha sedici no? È assurdo. Che poi la donna decida di abortire per una serie di problemi – come il fallimento della contraccezione o del rapporto con il partner – lo posso capire ma non lo approvo. È un suo diritto e noi medici facciamo in modo che

Qual è il tasso di obiezione nel suo ospedale?

Vent’anni fa c’erano solo due medici su sedici che praticavano l’aborto. Nel corso degli anni la situazione si è ribaltata. Oggi i giovani ginecologi sono tutti non obiettori. Nel mio ospedale tutti i nuovi assunti praticano le IVG, tranne una dottoressa. Ma si parla di un solo obiettore su una dozzina di ginecologi. E lo stesso vale per ostetriche e infermieri. Oggi i medici sono disposti a relativizzare il diritto del nascituro in favore di quello della madre.

Ma in Italia ci sono ospedali con il 100% di medici obiettori, anche in Lombardia... Le statistiche sono sbagliate: in Lombardia

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non è così. Ma so che in altre regioni accade. Gli ospedali in questione non riescono a garantire lo svolgimento dell’IVG.

Questa pratica è contro la legge 194/1978 sull’aborto?

È proprio quella legge a prevedere l’obiezione di coscienza, non c’è nulla di illegale nell’utilizzarla. Ma per ottemperare alla 194 nel suo complesso, chi dirige l’ospedale deve fare in modo che all’interno della struttura l’IVG venga garantita. L’obiezione di coscienza, quindi, non rimuove la necessità di rispettare una legge dello Stato.

E lei, da direttore, lo ha sempre fatto?

Quando è stato introdotto l’aborto medico in Italia (con il metodo farmacologico, ndr), tutti i direttori degli ospedali milanesi si sono riuniti per creare un protocollo comune. Tra tutti loro l’unico obiettore ero io. E la prima IVG farmacologica a Milano è stata fatta proprio nel mio ospedale. La mia obiezione di coscienza non ha mai ostacolato l’attuazione della legge 194.

Quindi le donne non hanno difficoltà ad accedere all’IVG?

Faccio un parallelismo con l’oncologia. Una paziente con il cancro non può essere curata in tutti gli ospedali perché alcuni non hanno le strutture necessarie. Probabilmente quella paziente dovrà spostarsi dalla provincia in città, dove ci sono tanti centri oncologici. Perché lo stesso non dovrebbe avvenire per le IVG? Non capisco perché l’aborto debba avere più diritti rispetto alla cura del cancro.

La tua scelta uccide la mia libertà

Mezza Italia manca ancora di strutture che offrano l’interruzione di gravidanza. E in Senato è stato votato un decreto Pnrr per la presenza di sportelli pro-vita nei consultori

Di Valentina Cappelli

Essere madre è una libera scelta, ma non è sempre facile esercitarla. In Italia, più del 63% dei medici ginecologi è obiettore di coscienza. Ciò significa che circa tre operatori sanitari su cinque si rifiutano, per motivi etici o religiosi, di praticare l’aborto. Nel nostro Paese, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è un diritto da soli 46 anni. Nello specifico dal 1978, quando la legge n.194 ha consentito a tutte le donne di farvi ricorso entro i primi 90 giorni, qualunque sia il motivo della loro decisione. Ma è davvero così? Quanto questa scelta è davvero autodeterminata?

neppure un aiuto

Secondo il report Mai dati dell’associazione Luca Coscioni, la situazione è critica soprattutto in alcune regioni italiane. In 11, per l’esattezza, ci sono strutture ospedaliere che non hanno neanche un medico che pratichi le IVG. Tra queste, sorprende la Lombardia: in ben cinque ospedali lombardi, il 100% dei ginecologi sarebbe obiettore. Ma non è nulla in confronto ad altre realtà territoriali, dove abortire risulta quasi impossibile. In Molise, ad esempio, ci sarebbero soltanto due ginecologi non obiettori per tutta la regione: uno a tempo pieno, uno a tempo parziale. Seguono la Puglia (con otto ospedali con obiezione al 100% su 35 totali) e le Marche (con due ospedali su 17 che non praticano le IVG).

lascio tutto e cambio vita

gio 2022, ha scoperto di essere incinta. Una gravidanza non voluta e nessun dubbio sul da farsi. Ma da lì è iniziato il suo calvario. A Taranto la maggior parte dei medici è obiettore di coscienza. Solo all’ospedale Santissima Annunziata, il 95% dei ginecologi non pratica le IVG. A questo si sono aggiunte le ramanzine degli specialisti, figlie di un retaggio culturale ancora troppo radicato sul territorio. «Non è possibile che alla tua età non sappia che bisogna prendere precauzioni», si è sentita urlare addosso dal suo medico di fiducia. E dopo una serie di “no”, intrisi di giudizio morale e disapprovazione, Anna è stata costretta a tornare a Milano per interrompere la gravidanza all’ospedale Mangiagalli.

Più del 63% dei medici ginecologi è obiettore di coscienza, con vette dell’85% in Basilicata e Molise

Si tratta in ogni caso di una percentuale altissima, che costringe le donne che vogliono interrompere una gravidanza ad affrontare un vero e proprio percorso a ostacoli per veder realizzato il loro diritto. Alcune sono costrette a cambiare provincia, o addirittura regione, per esercitare la loro scelta. Lo dimostra la storia di Anna (nome di fantasia), studentessa 22enne, pugliese d’origine e milanese d’adozione. La ragazza si trovava nel suo paesino in provincia di Taranto quando, nel mag-

violenza fisica e mentale Il suo non è certamente l’unico caso in cui le strutture sanitarie – ma anche le istituzioni politiche – prendono iniziative volte a dissuadere la donna dalla sua scelta. Nel maggio 2023, ad esempio, l’associazione Pro vita e Famiglia ha depositato una proposta di legge per obbligare le donne a sentire il battito cardiaco del feto. E si punta ad aprire sportelli «pro vita» in tutti i consultori. In Abruzzo, regione con l’83,8% di obiettori, è stata emanata una circolare volta a contrastrare le linee guida del Ministero della Salute in modo da rendere l’accesso all’aborto farmacologico sempre più complicato. Ma in Italia ci sono anche iniziative che si oppongono a questo sistema, ritenuto da molti retrogrado. Un esempio è la campagna Libera di Abortire, portata avanti per garantire il libero accesso all’IVG tramite una proposta di legge di iniziativa popolare. Secondo l’associazione, infatti, l’attuale legge n.194 «non garantisce un vero diritto all’aborto ma lo consente in determinati e specifici casi. Ha avuto il merito di arginare la piaga dell’aborto clandestino, ma non ha garantito l’autonomo diritto di scelta». Il vero rispetto dell’autonomia riproduttiva è quindi un traguardo ancora da raggiungere, per far sì che la maternità sia davvero una decisione libera e autodeterminata.

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Amico mio, vengo con te?

Nel delicato passaggio tra scuola media e liceo, i ragazzi si sentono spesso disorientati. E per decidere si affidano ai pareri di chi dovrebbe conoscerli meglio

“Ma sarai l’unica a fare il linguistico, sarai da sola”». Non solo gli amici. Anche i genitori possono condizionare le scelte dei figli. Ma forse per istinto di ribellione, così forte quando si è adolescenti, molti ragazzi non si lasciano facilmente persuadere. «La scelta dell’Istituto tecnico industriale statale (Itis) – rivela Marco - non è stata molto supportata dai miei: credevano che ci andassero solo i pelandroni. Avrebbero preferito un liceo classico». Anche Alice, diplomata allo scientifico, non ha ascoltato il consiglio dei suoi genitori «perché ho sempre desiderato diventare un medico».

faccio quello che mi pare

Nell’arco della vita prendiamo una miriade di decisioni. Ma non è sempre così scontato azzeccare l’opzione giusta, a 12 anni così come a 70. A volte anche la scelta più insignificante può condizionare il nostro futuro. Come in Mr. Nobody, celebre film del 2009 di Jaco Van Dormael. Nella pellicola sono presenti più linee narrative, ognuna delle quali racconta un percorso di vita alternativo del personaggio principale. «Non si torna indietro – spiega Nemo Nobody - Per questo è difficile scegliere. Devi fare la scelta giusta. Ma finché non scegli, tutto resta ancora possibile».

se potessi tornare indietro

Quando si è ancora adolescenti è difficile essere già artefici del proprio destino. Molte nostre decisioni sono condizionate dall’ambiente in cui viviamo: dai genitori, dalle conoscenze, da ciò che guardiamo sui social o in tv. Quante volte abbiamo scelto di praticare uno sport solo per stare con i nostri amici? O abbiamo imitato il taglio di capelli dei nostri compagni per sentirci parte di un gruppo? Figuriamoci scegliere a quale liceo iscriversi. Secondo un rapporto del 2016 condotto da AlmaDiploma, «c’è dis-orientamento tra gli adolescenti a scuola». Quasi metà degli studenti italiani si è

infatti pentita della scelta fatta a 12 anni. Su 40mila diplomati a luglio 2016, nelle sei regioni che hanno aderito al progetto, il 47% tornerebbe ai tempi dell’iscrizione alle superiori. La quota degli ex studenti che avrebbe voluto cambiare percorso sale al 52% tra chi viene dalle scuole professionali, al 48% tra gli istituti tecnici. E si attesta al 45% tra i liceali.

io e gli altri

Per comprendere se gli studenti italiani si siano pentiti o meno della scelta delle superiori, abbiamo raccolto le storie di alcuni di loro che, per ragioni di privacy, chiameremo con nomi di fantasia. «Mi sono diplomato al liceo scientifico – racconta Massimo – Ma avrei dovuto frequentare il classico, perché più incline ai miei interessi». La sua scelta è stata condizionata soprattutto dai suoi vecchi compagni delle medie. Alcuni sono stati addirittura influenzati dalle esperienze dei parenti: «Per me il liceo classico è stata una scelta di comodità – afferma Riccardo - Nella stessa scuola c’erano anche i miei fratelli più grandi, anche se frequentavano indirizzi diversi». Giorgia, invece, non si è lasciata ammaliare dalle amicizie, preferendo decidere in autonomia il proprio percorso scolastico: «Quasi tutti i miei ex compagni hanno scelto un istituto diverso dal mio. C’è stato un momento in cui alcuni di loro mi hanno fatta sentire sbagliata, dicendomi:

Non sempre, quindi, gli studenti si lasciano influenzare. «Ho frequentato l’Itis. Ed è stata una mia scelta», spiega Pietro. La decisione è stata il frutto di un’attenta analisi sociologica: «Tutti devono avere una formazione base di informatica perché credo che sarà sempre più presente nelle nostre vite». Nelle scelte degli studenti, però, vengono anche presi in considerazione i propri interessi scolastici. «Ho frequentato il liceo di scienze umane perché da piccola mi è sempre piaciuto studiare le materie umanistiche e scrivere i temi», confessa Sofia. Addirittura, in alcuni casi, la decisione dipende soltanto dalla comodità negli spostamenti. «Il liceo classico era vicino a casa mia, 100 metri in linea d’aria», sostiene Mattia. Come per Claudia: «Scegliere il classico è stato semplice: già alle medie avevo frequentato dei corsi per imparare il greco e il latino».

non è mai troppo tardi

Per quanto possa sembrare decisiva, la scelta della scuola superiore non è così determinante per la carriera. Non è detto infatti che chi frequenti un liceo scientifico poi non possa iscriversi a una facoltà umanistica. Così come chi ha un diploma di liceo classico non possa studiare economia. Non esiste una scelta giusta: è solo questione di fortuna. «Ognuna di quelle vite è quella giusta – ricorda ancora Nemo Nobody - ogni percorso è il giusto percorso. Ogni cosa avrebbe potuto essere un’altra e avrebbe avuto lo stesso profondo significato».

10 | MASTERX | MAGGIO 2024 2024 SOCIETÀ | STORIE TRA I BANCHI
Di Andrea Carrabino ed Erica Vailati QUESTIONE DI AMICIZIA. Molti studenti si lasciano condizionare dagli ex compagni nella scelta delle superiori. Il 47% di loro vorrebbe poter tornare indietro

Ho fatto legge, sarò avvocato?

La facoltà universitaria sembra decisiva per la vita. Genitori pressanti, mercato del lavoro e un futuro incerto: così la scelta è accompagnata dalla paura di sbagliare

«Il mio desiderio, fin da bambina, era diventare un’archeologa. All’università mi sarebbe piaciuto frequentare filosofia o lettere. Alla fine ho scelto giurisprudenza. Dopo essermi laureata, però, ho intrapreso un percorso diverso. Non diventerò mai avvocato». L’esperienza di Claudia (nome di fantasia) non è un caso isolato. Come lei molti altri ragazzi e ragazze, guardandosi indietro, hanno dei dubbi sulla scelta dei loro studi universitari. Punti di domanda che, secondo un rapporto di AlmaDiploma del 2023, sorgono in uno studente su sei. A distanza di un anno dalla maturità il 6,8% dei diplomati nel 2022 ha abbandonato l’università, mentre il 9,3% ha cambiato facoltà o ateneo. Percentuali che crescono dopo tre anni dall’immatricolazione, 9,3% nel primo caso e 14,9% nel secondo.

camminando a tentoni

Le motivazioni sono diverse. La più diffusa è l’insoddisfazione per il percorso intrapreso. La delusione delle aspettative che ci creiamo quando prendiamo una decisione che, più che una solida certezza, è un salto a occhi chiusi. Ma quando li apriamo per capire se siamo caduti in piedi, a volte ci rendiamo conto di aver saltato dalla parte sbagliata. Come è capitato a

Mattia: «All’inizio ho scelto giurisprudenza, in parte condizionato dai miei genitori. Pensavano che questa facoltà mi avrebbe garantito una buona carriera. Poi ho mollato perché la trovavo noiosa e ho optato per neuroscienze. I miei hanno continuato a sostenermi». La prospettiva lavorativa dopo la laurea è uno dei fattori che influenzano di più la scelta dell’università. Soprattutto quando si vogliono seguire le orme dei propri genitori. «Ho avuto ampia libertà, anche se i miei mi hanno sconsigliato di intraprendere studi che poi mi avrebbero consentito di trovare un lavoro stabile e ben pagato», racconta Massimo, che fin da bambino pensava di diventare come suo padre. «Stesso percorso scolastico, stessa professione. Avrei ereditato i suoi uffici. Per questo dopo il diploma mi sono iscritto a economia, ma recarmi ogni giorno in università era come timbrare il cartellino. Mi deprimeva il pensiero che quella sarebbe stata la mia vita. Dopo tre anni ho lasciato economia per frequentare scienze politiche. Una scelta vincente».

mamma, dammi una mano Un ripensamento, in alcuni casi, si trasforma in uno scoglio in cui si rimane incagliati. Come è successo a Christian: «Dopo il liceo linguistico, mi sono iscritto alla facoltà di scienze politiche e relazioni internazionali. In questo modo, ho unito i miei due principali interes-

si, la politica e le lingue straniere. Ne dovevo scegliere due e ho pensato di proseguire con inglese e francese. Tornassi indietro, però, opterei per spagnolo. A distanza di sei anni non sono ancora riuscito a laurearmi: mi manca proprio un esame di francese». Alle aspettative future si aggiunge il parere dei propri genitori: se per molti rappresentano modelli da seguire, per altri sono consiglieri di fiducia a cui affidarsi in momenti cruciali. «Quando ho scelto scienze sociali, i miei mi hanno supportato fin da subito – spiega Marco – perché anche mio padre aveva frequentato la stessa facoltà».

la coerenza soffoca

Se non sono le prospettive future e l’opinione dei genitori, a indirizzare la scelta degli studenti è la scuola superiore. Come è accaduto a Sofia: «Mi sono iscritta a psicologia perché probabilmente era l’unica strada percorribile dopo aver frequentato il liceo delle scienze umane. Mia madre ha i miei stessi interessi, quindi in parte sono stata condizionata da lei, ma in positivo. I miei sono sempre stati aperti, mi hanno lasciata libera di decidere in autonomia senza spingermi a fare qualcosa che non sentissi mio». Altre volte, invece, succede l’esatto contrario. «Alle superiori ho studiato informatica – racconta Pietro –. All’università, invece, mi sono iscritto a comunicazione, cambiando totalmente percorso. Ma se tornassi indietro, rifarei le stesse scelte». Le pressioni esterne, per molti, sono il principale ostacolo da superare nei momenti in cui bisogna prendere una decisione che, all’inizio, sembra essere vincolante. “Se scelgo giurisprudenza, diventerò avvocato”. “Se mi iscrivo a economia, lavorerò come commercialista”. La sensazione è quella di essere di fronte a un incrocio a più strade, dovendone scegliere una senza sapere con certezza dove porterà. E con l’impressione, una volta presa la decisione, di non poter fare inversione di marcia. Poi, dopo anni di studio, notti insonni passate sui libri e lezioni trascorse a prendere appunti pensando “questo lo può chiedere all’esame”, ci si accorge di poter cambiare. Sia in corsa, sia una volta arrivati alla fine.

MAGGIO 2024 | MASTERX | 11 STORIE TRA I BANCHI | SOCIETÀ
Di TUTTA CONVENIENZA. La prospettiva lavorativa dopo la laurea è uno dei fattori che influenzano di più la scelta dell’Università

Nell’ultimo anno in Campania 228 genitori sono stati denunciati per non aver garantito la presenza in aula dei propri figli. La Regione, e in particolare la città di Napoli, continua ad affrontare la sfida della dispersione scolastica. Questi giovani, come suggerisce il procuratore generale del capoluogo Antonio Gialanella, potrebbero rappresentare «le nuove leve della criminalità organizzata». Ma esiste sempre la possibilità di scegliere. Carmine Monaco, 32 anni, celebre per aver interpretato il ruolo di ’O Track nella serie tv di Stefano Sollima Gomorra, ne è la prova vivente. Cresciuto bazzicando per le strette strade dei Quartieri Spagnoli, da vero scugnizzo napoletano, sa cosa vuol dire affacciarsi dalla finestra e vedere gente spacciare agli angoli delle strade, assistere a un omicidio, essere discriminato a scuola perchè non si proviene dalla cosiddetta “Napoli bene”. La vita gli ha fatto da maestra, da guida, fino alla grande opportunità di diventare un attore e così allontanarsi da quelle strade malavitose che hanno percorso molti suoi amici. Da ragazzo sperava di comparire sul grande schermo, ma ora sogna più in grande: ha in mente di produrre un proprio film. Carmine, però, non ha dimenticato le sue origini. Continua ad aiutare i giovani del quartiere in cerca di un lavoro onesto, poiché secondo lui «pensare di non avere una scelta è solo una scusante: tutti possono fare qualcosa di buono».

Racconta la tua storia. Che tipo di bambino eri?

Io sono uno scugnizzo verace dei Quartieri Spagnoli, sono nato qui e vivo ancora qui perchè è un luogo che amo. Da bambino sono cresciuto nei vicoletti, fra tanti ragazzi per bene, ma anche tanti disagiati. Nel percorso della mia vita ho perso tanti amici: qualcuno è andato in galera, qualcuno è morto, ma io non sono mai stato un criminale. Ero un bimbo sveglio, se uno mi rompeva lo picchiavo a prescindere. E poi dopo - a differenza dei giorni d’oggi - si giocava a pallone insieme. In questi anni si vedono le baby gang con le pistole, ma prima non esistevano queste cose. La pistola l’aveva il criminale grande, non i ragazzini.

Ma cosa vuol dire scugnizzo?

È un bambino che cresce per strada, che non ha pregiudizi sulla gente. «Questo è uno spacciatore o carabiniere? È comunque amico mio». Siamo tutti amici a prescindere da quello che uno fa o non fa. Apprendi tutta la furbizia di Napoli: prendi la frase bella dal filosofo dei Quartieri ma anche dal criminale. Impari ad agire in ogni contesto perché conosci tutte le personalità della città. Lo scugnizzo è un camaleonte. Quando abiti in una zona in cui vedi la persona più povera a fianco a quella più ricca apprendi entrambe le cose, come se vivessi più vite.

Qual è il ricordo più significativo di quegli anni?

Ho visto tante cose, il mio quartiere era malfamato. Circa 15 anni fa c’era il coprifuoco. Oggi invece è la zona più in e alla moda di Napoli perché è stato rivalutato. Quando avevo 10 anni, mentre giocavo a calcio con un amico, ho visto davanti ai miei occhi un uomo ammazzato da un ragazzo in scooter, si trattava di una lite tra i clan dell’epoca. Tra quelle strade poteva capitare anche questo.

Che rapporti avevi con i tuoi coetanei?

Io odio l’abuso in generale. Sono sempre stato un bullo contro i bulli, nel senso che anche se un mio amico pestava un ragazzo lo fermavo, non si doveva esagerare altrimenti si finiva a litigare con me. Io me lo sono fatta con la peggio gente, mi sono confrontato con persone che probabilmente non usciranno più dalla galera. Ora come allora mi espongo per difendere gli altri. La gente lo sa e mi vuole bene, sono un punto di riferimento per loro.

INTERVISTA 12 | MASTERX | MAGGIO 2024 Carmine Monaco Attore DALLA STRADA ALLO SCHERMO, LA GOMORRA DI ’O TRACK: «TUTTI POSSONO SCEGLIERE»

Ti piaceva andare a scuola?

Io oggi ho un diploma, una laurea, parlo spagnolo, ma prima non andavo a scuola. Tanto tempo fa era un ambiente razzista, nella nostra classe c’erano solo ragazzi disagiati da Secondigliano o dai Quartieri Spagnoli. Non potevi trovare quello della “Napoli bene”. In altre c’era solo gente di Posillipo o del Vomero, c’erano i figli di papà. Io da bambino percepivo questa cosa e ne soffrivo. In più, a uno scugnizzo cresciuto per strada non puoi imporgli di imparare una cosa. Non funzionava non perché non ero intelligente o non mi piacesse, ma perché non era la formula per farmi entrare in testa le cose. All’epoca se non volevi studiare eri libero di farlo, a casa ti dicevano: «Basta che vai a fatica’». C’era molta ignoranza. Io a mio figlio non farei mai questo.

Cosa ti hanno insegnato i tuoi genitori? E invece com’era il rapporto con tuo zio?

Quando ero più piccolo, mio padre Ciro mi ha insegnato il rispetto e l’educazione. Era molto serio e severo. All’epoca c’era un’idea che oggi non esiste più per fortuna, si diceva: «Mazz’ e panell’ fann ’e figli bell, panell’ senza mazz’ fann ’e figli pazz». Significa che più picchi i figli più crescono bene. Era tutto diverso. Mamma Maria, invece, mi ha insegnato il perdono, era molto buona. Devo a loro ogni cosa: la mia personalità, il mio essere, la mia educazione. Invece mio zio, il fratello di papà, ha fatto 25 anni di carcere perché faceva parte di un clan, è stato condannato per omicidio. Alla fine è buono, ma è stato un killer e anche se è sangue del mio sangue ha sbagliato.

Com’è nata la tua passione per la recitazione?

Ho iniziato con un cortometraggio che si chiama Largo Baracche, racconta un po’ la storia di noi ragazzi del quartiere. Io non avevo il sogno di fare l’attore, mi sono appassionato mano a mano. Quando ho incontrato il regista Gaetano Di Vaio mi ha detto: «Se fai questa cosa ti pago». Io solo a sentire il ‘ti pago’ ho detto: «Va bene, facciamolo». Non mi importava della professione in sé. Poi, alla fine delle riprese, al momento della retribuzione, mi ha urlato: «Oh ma ti sei dimenticato i soldi». Mi sono detto: «Cavolo, questo è il mestiere che devo fare».

Ci sono tanti ragazzi della tua zona con il tuo stesso sogno?

Molti invece di spacciare mi chiedono: «Carminie’, come posso fare la comparsa?». Io cerco di aiutare tutti nel mio piccolo. Qualcuno di loro è stato anche scelto per recitare nella serie Mare Fuori, un po’ di ragazzi bravi li abbiamo. Per esempio Maria Esposito, che interpreta il ruolo di Rosa Ricci, viene dalle nostre zone, abita in un vicoletto vicino a me. In questi posti dimenticati dallo Stato e dalle varie istituzioni, si nascondono grandi talenti. Solo chi soffre ha qualcosa da raccontare. Non esiste scuola che possa insegnare a qualcuno a recitare. Per fortuna ci sono registi che buttano un occhio da queste parti. Dopo tutto, come fai a interpretare un personaggio se non conosci quelle realtà, senza quel bagaglio di istruzione che ti dà la strada?

Oggi Napoli offre ai giovani più possibilità di scegliere cosa fare nella loro vita?

La situazione è migliorata tantissimo rispetto a quando io ero adoloscente. Di lavoro ancora non ce n’è tanto, ma il turismo è esploso. Sembra quasi che il mondo abbia riscoperto Napoli. Ora per un ragazzo è molto più facile trovare lavoro. Un giovane che ha a che fare con il mondo della criminalità può cercare altre strade, per quanto sia pericoloso uscire da certi contesti. All’epoca lo si faceva per guadagnare, ora non ce n’è bisogno, si può lavorare onestamente. Chi cade oggi in queste cose è uno stupido oppure non è seguito a sufficienza dalla famiglia.

Quando ero giovane i ragazzi erano liberi di non studiare. Io questo a mio figlio non lo farei mai

carMine Monaco

Cosa diresti oggi a quel bambino cresciuto nei Quartieri Spagnoli? Non avevo idea che avrei fatto l’attore. Lo sognavo, ma non ero in grado di vederlo come un futuro concreto. Quando non c’è l’opportunità, resta solamente un’idea. A quel ragazzo dico: “Bravo, hai capito che nei sogni bisogna crederci. Ma il percorso è ancora lungo. Devi rimanere umile”. Dopo aver lottato e avercela fatta, è sempre bello avere ragione.

Come sei entrato in contatto con Stefano Sollima, il regista della serie tv Gomorra?

Avevamo un’associazione che si chiamava Socialmente Pericolosi. Abbiamo girato il cortometraggio che poi si è aggiudicato il primo premio del Festival del Cinema di Roma nel 2014, avevo solo 19 anni. Nella giuria c’era Stefano Sollima, che mi disse: «Vieni al provino, voglio vedere come te la cavi». E io ci sono andato. Ho gareggiato contro altri 2000 ragazzi per interpretare ’O Track, mi sono impegnato tantissimo. Ci credevo fino in fondo, dopo tutto quello che avevo passato nella mia vita non ero spaventato. Io amo il mio mestiere, l’ho amato fin da subito, da dopo il primo ciak. Vedevo che gli altri si complimentavano con me, nonostante io non ne capissi niente. In fondo ero un autodidatta. Mi dicevo: «Vabbè, se lo dice Sollima che sono bravo, allora lo sarò veramente».

Che progetti hai per il futuro?

Innanzitutto vorrei girare un altro film con James Franco dopo Hey Joe, che uscirà a breve. In futuro, invece, spero di esordire con un prodotto personale. A me basta continuare a lavorare in questo settore. Io sono un ragazzo umile, non mi importa se devo fare l’attore, il regista, produrre la colonna sonora, occuparmi della scrittura. Io faccio tutto quello che è cinema a 360 gradi.

In cosa ti sei riconosciuto nel personaggio di ’O Track? Il suo nome significa “fuoco d’artificio”, ’O tric trac in napoletano, per il suo carattere irruento. In Gomorra io l’ho solo interpretato, ma il mio modo di fare è esattamente quello. In lui di Carmine c’è tutto: ’O Track l’ho praticamente costruito io. Ho preso diversi atteggiamenti che ho visto per strada dai criminali e li ho portati sullo schermo. Ho rubato qualcosa dalle persone che ho incontrato nel percorso della mia vita. ’O Track è nel mio cuore, rappresenta il 50% di me, anzi di più, il 70%. In lui c’è la mia grinta.

Che messaggio vuoi dare ai giovani che sentono di non avere una scelta?

Dire di non avere una scelta è solo una scusante per giustificare i propri problemi e le proprie azioni. Tutti possono fare qualcosa di buono. Quando si entra nei giri della criminalità, lo si fa perché lo si vuole. Chi crede di non avere opportunità è un bugiardo e mente a se stesso. Sicuramente nella vita gli saranno capitate occasioni oneste e non è stato in grado di prenderle al volo. Io sono molto attivo su Instagram e contatto i ragazzi, dando loro la chance di capire se il settore cinematografico è quello giusto per loro. A tutti questi giovani dico che bisogna avere coraggio. Io ho lasciato un posto fisso: dovevo scegliere se andare a lavorare sulle navi da crociera o tentare il provino per Gomorra. Bisogna buttarsi, anche se a volte si può uscire sconfitti. Basta non perdere l’incontro, ma per un round si può cadere a terra.

CARMINE MONACO

Nato a Napoli il 27 maggio 1991, cresce nei Quartieri Spagnoli. Si avvicina al cinema grazie all’associazione Socialmente Pericolosi ed è celebre per la sua interpretazione di ’OTrack nella serie tv Gomorra di Sollima

INTERVISTA MAGGIO 2024 | MASTERX | 13
LA SERIE. Carmine Monaco con Salvatore Esposito in una scena di Gomorra 2

Esiste il libero arbitrio?

Tutti pensiamo di poter essere liberi di scegliere ciò che vogliamo, ma per le neuroscienze la risposta potrebbe non essere così scontata

13 settembre 1848. Un operaio statunitense sta partecipando alla costruzione della linea ferroviaria che passerà per la città di Cavendish, nel Vermont. Inserisce una carica per far saltare in aria una roccia che blocca il passaggio. Qualcosa va storto e c’è un’esplosione accidentale. Un tubo gli si conficca nel cranio e distrugge gran parte del lobo frontale. Phineas Gage – questo il nome dell’uomo – si alza in piedi ed è cosciente. Ma da lavoratore affidabile ed energico quale era, diventa impulsivo, volgare e violento. Un cambiamento che apre a interrogativi fondamentali: se come il comportamento anche il libero arbitrio dipende dal corretto funzionamento del cervello, possiamo davvero definire “libere” le scelte di Gage dopo il trauma? Dove si troverebbe la parte del cervello che regola il libero arbitrio?

il controllo che non c’è

La storia di Phineas Gage suggerisce che le decisioni su come comportarci siano vincolate all’integrità delle strutture cerebrali, e che lesioni a specifiche aree possano letteralmente “rubare” ad un individuo la capacità di esercitare controllo razionale sui propri comportamenti. Ma questo controllo razionale esiste davvero? A quanto pare no. Così sembra emergere dalle ricerche e dalle pubblicazioni di una crescente parte della comunità scientifica. Nel 2023 Robert Sapolsky, neurobiologo di Stanford, ha pubblicato

Determined: A Science of Life Without Free Will, suggerendo che la scienza potrebbe dimostrare l’inesistenza del libero arbitrio. Liberarsi del libero arbitrio «colpisce completamente il nostro senso di identità e autonomia», sostiene il dottor Sapolsky, e questo rende l’idea di un mondo senza di esso «particolarmente difficile da accettare».

il controllo che non c’è

stigiosa borsa di studio della della MacArthur Foundation – lo vede come «liberatorio». In particolare per alcuni gruppi di persone, per le quali «la vita significa essere incolpati, puniti, privati e ignorati per cose su cui non hanno alcun controllo». Eppure la disputa nelle neuroscienze su quanto libero arbitrio abbiano le persone nel prendere le proprie decisioni va avanti da decenni.

È difficile accettare che non siamo indipendenti, questo impatta sul nostro senso di identità e autonomia

il controllo che non c’è Facciamo un altro salto indietro nel tempo, negli anni ’70, quando questa diatriba ha avuto inizio. Benjamin Libet con vari esperimenti elettroencefalografici dimostrò che da mezzo secondo fino a un secondo e mezzo prima della consapevolezza cosciente dell’intenzione di eseguire un movimento, le persone emettono un’attività cerebrale che predice questo movimento. In sostanza, il cervello decide cosa fare prima ancora di rendercene consapevoli.

il controllo che non c’è

Le conseguenze di una simile scoperta sono difficili anche solo da immaginare. In assenza del libero arbitrio nessuno potrebbe essere ritenuto responsabile del proprio comportamento, buono o cattivo che sia. Il dottor Sapolsky – tra l’altro anche vincitore della pre-

Secondo Sapolsky «quando la maggior parte delle persone pensa di discernere il libero arbitrio, intende che è appena successo qualcosa: qualcuno ha premuto il grilletto. Comprendevano le conseguenze e sapevano che erano disponibili comportamenti alternativi».

Per il neurobiologo dovremmo chiederci da dove viene quell’intento. La risposta? Dai pensieri, dalle situazioni e da ciò che si è vissuto nei minuti, nei giorni e negli anni precedenti a quell’azione. Il libero arbitrio, insomma, non è immediato e non ne abbiamo il pieno controllo. «Perché questo tipo di libero arbitrio esista», continua Sapolsky, «dovrebbe funzionare a livello biologico in modo completamente indipendente dalla storia di quell’organismo».

il controllo che non c’è

Un esempio? «Gli studi dimostrano che se si è seduti in una stanza con un odore terribile, le persone diventano socialmente più conservatrici», sottolinea Sapolsky. Le cause di questa semplice scelta indotta sono molto più complesse di quanto si creda. «Parte di ciò ha a che fare con la genetica: qual è la composizione dei loro recettori olfattivi? Con l’infanzia: che condizionamento hanno avuto verso odori particolari? Tutto influisce sul risultato», conclude Sapolsky. Anche la lettura di questo articolo, di questa frase e di questa parola, insomma, non sarebbe una libera scelta. Non nel modo in cui abbiamo sempre concepito di essere “liberi”. Una prospettiva a tratti agghiacciante, che ci induce a riflettere sulle nostre vite, sui meriti e i talenti di ognuno di noi, sulle scelte e sugli errori. D’altronde, come ha riferito Sapolsky durante una intervista al New York Times, «gran parte della miseria dell’umanità è dovuta ai miti del libero arbitrio».

14 | MASTERX | MAGGIO 2024 14 | MASTERX | MAGGIO 2024
Di Ivan Torneo SENZA CONTROLLO. Sono decenni che i neuroscienziati dibattono sul modo in cui decidiamo
SOCIETÀ | NEUROSCIENZE

Come funziona?

Architettura e funzionamento dell’Unione Europea _ p.16

Per cosa si vota? Cosa succede nella cabina elettorale in 5 brevi step _ p.18

La mappa Sotto la lente d’ingrandimento le sorti di dieci Paesi _ p.20

LA GUIDA DI MASTERX

EUROPA Speciale elezioni

Votare: sì o no?

Perché ha senso (o meno) tracciare una X su un foglio _ p.22

GUIDA GALATTICA PER ASTENSIONISTI

Un tuffo nell’Unione Europea in previsione del voto di giugno, per capire perché vale la pena votare

IL GIOIELLO CHIAMATO EUROPA 1 2

Organismo sovranazionale complesso e organizzato, l’Unione Europea si regge su un preciso equilibrio tra diverse istituzioni. Lo scopo? Mantenere armonia e libertà

Di Ettore Saladini

L’Unione Europea è un capolavoro di ingegneria costituzionale. Un sistema unico nel panorama giuridico mondiale. Non è uno Stato federale, né una confederazione e tantomeno un’organizzazione internazionale. Ma un esperimento ibrido, risultato di un’evoluzione costante e complessa che, al giorno d’oggi, fa somigliare Bruxelles a un sistema Presidenziale Bicamerale sui generis. Tradotto, nell’Unione Europea è possibile identificare un capo di Stato (Consiglio Europeo); un esecutivo (Commissione Europea); una camera bassa, ovvero eletta (Parlamento UE), e una camera alta, espressione dei governi degli Stati (Consiglio dell’UE).

Dal Trattato di Lisbona del 2007, l’architettura istituzionale ha subito un processo noto come “parlamentarizzazione”. Il documento ha rafforzato la natura democratica dell’Unione, ampliando i poteri del Parlamento Europeo ai danni della Commissione e del Consiglio dell’UE. Questa dinamica si è riflessa nel potere della camera di eleggere il Presidente della Commissione e nell’aumento di poteri in materia di bilancio e nel processo legislativo ordinario. A tutto questo va aggiunto il già presente strumento della mozione di sfiducia verso la Commissione. Il quadro istituzionale è completato da altre tre istituzioni. La Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE), responsabile dell’osservanza del diritto comunitario, la Banca centrale europea (BCE), responsabile della politica monetaria e la Corte dei conti europea (CUE), che vigila sulle entrate e le uscite dell’Unione.

Tra leggi, bilancio e supervisione

DALLA PENNA A STRASBURGO

Il Parlamento Europeo è l’unica istituzione direttamente eletta dai cittadini e, per questo, può essere considerata la camera bassa dell’Unione. Nei sistemi bicamerali il potere legislativo è infatti condiviso da una “camera bassa”, il ramo del parlamento eletto, e da una “camera alta”, rappresentazione proporzionale dei singoli enti territoriali.

ISTITUZIONI A BRACCETTO L’elezione del Parlamento europeo è a suffragio universale e ha una durata di cinque anni. Al suo interno, i parlamentari non sono organizzati per nazionalità, ma per gruppi politici che condividono una stessa famiglia ideologica.

Il Parlamento condivide con il Consiglio dell’UE la funzione legislativa e la funzione di bilancio, fatta eccezione per gli ambiti di difesa e affari esteri dove ha un ruolo consultivo. È importante sottolineare che questi due organi non hanno il potere di iniziativa legislativa (prerogativa della Commissione), ma unicamente di attuazione e modifica. Il Presidente, eletto ogni due anni e mezzo, ha il ruolo di sovrintedere ai lavori.

BIG BROTHER IS WATCHING YOU È proprio nei confronti della Commissione, però, che si esprime il ruolo fondamentale del Parlamento UE: la legittimazione democratica dell’esecutivo europeo. Infatti, da un lato le elezioni europee portano all’investitura da parte del Consiglio Europeo del presidente della Commissione. Questi sarà il candidato della lista vincitrice, come in una qualsiasi forma di governo parlamentare. Dall’altro, il Parlamento esercita un controllo sull’esecutivo tramite interrogazioni parlamentari, commissioni d’inchiesta e il voto di sfiducia a maggioranza di due terzi.

Sicurezza e politica estera

A FLUSSO CONTINUO

Se il Parlamento europeo è la camera bassa, la camera alta dell’Unione è rappresentata dal Consiglio dell’UE. L’istituzione non è eletta, ma è composta dai ministri di ogni singolo Stato membro e la presidenza è esercitata a rotazione ogni sei mesi. Per favorire un continuo aggiornamento delle politiche, non ha membri permanenti.

AL DI LÀ DEI CONFINI

Si riunisce in dieci formazioni, ognuna corrispondente al settore di discussione. Per esempio, al Consiglio “Affari economici e finanziari” si riuniscono tutti i ministri delle finanze di ogni Stato. Insieme al Parlamento Europeo negozia e adotta le leggi proposte dalla Commissione e approva il bilancio annuale dell’UE. A differenza dell’altra camera, però, elabora la politica estera e di sicurezza dell’Unione sulla base degli orientamenti del Consiglio Europeo. La commissione responsabile dell’ambito è il Consiglio “Affari esteri”, unica ad avere un presidente permanente, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e per la Sicurezza dell’UE.

PER POCO PIÙ DI METÀ

Ha anche il potere di firmare gli accordi tra l’Unione e paesi terzi o organizzazioni internazionali. All’interno del Consiglio UE, le decisioni vengono adottate a maggioranza qualificata, ovvero dal 55% dei Paesi, corrispondenti a 15 Stati su 27, pari al 65% della popolazione. Tranne che per la politica estera e quella fiscale, dove la procedura richiede l’unanimità. E le procedure amministrative, dove è richiesta solamente la maggioranza semplice. Quattro stati membri possono però porre il loro veto a patto che rappresentino almeno il 35% della popolazione totale dell’UE.

ELEZIONI | STRUTTURA EUROPEA 16 | MASTERX | MAGGIO 2024

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LA COMMISSIONE

Il “governo” europeo che legifera

UNO CIASCUNO

La Commissione Europea può essere considerata il governo dell’Unione. È composta da un gruppo di 27 commissari, uno per ogni Stato membro. Ed è posta sotto la direzione del Presidente della Commissione, in carica per cinque anni. Per esempio, nell’ultima legislatura europea, il commissario per l’Italia è stato Paolo Gentiloni ed è stato assegnato all’economia.

MINISTRI E MINISTERI EUROPEI

La squadra viene presentata dal candidato presidente su suggerimento dei singoli Stati membri e deve ricevere l’approvazione prima del Consiglio europeo e, in seguito, del Parlamento. La Commissione ha una natura duplice e alquanto attiva all’interno della strategia dell’UE. Da un lato, è un organo politico e opera come un gabinetto di ministri responsabile di fronte al Parlamento, che ha un ruolo fondamentale nell’elezione del Presidente e dei commissari e che può sempre sfiduciare l’istituzione. Dall’altro, la Commissione agisce anche come organo amministrativo, operando tecnicamente proprio come i ministeri di un singolo Stato.

LEGGI E DANARI

Per quanto riguarda i ruoli, la Commissione è l’unica istituzione con il potere di iniziativa legislativa. Vale ha dire, ha il compito di proporre al Parlamento e al Consiglio dell’UE le leggi da adottare, per sottoporle al vaglio delle due assemblee. Inoltre, prepara il bilancio da sottoporre all’approvazione delle camere, stabilisce le priorità di spesa, fa da portavoce dell’Unione presso gli organismi internazionali, negozia accordi internazionali e garantisce insieme alla Corte di Giustizia che il diritto UE sia applicato correttamente in tutti gli Stati.

IL CONSIGLIO EUROPEO

L’assemblea

degli uomini al vertice

CRÈME DE LA CRÈME

Il Consiglio Europeo può essere definito il “Capo di Stato” dell’Unione. L’istituzione, infatti, è composta dai capi di governo o di Stato dei Paesi membri, affiancati dal presidente del Consiglio europeo e dal suo omologo della Commissione. Proprio per questa collaborazione tra i vertici delle istituzioni è il livello più alto di collaborazione tra gli Stati membri.

GLI OPERAI DELLA LEADERSHIP

Il presidente del Consiglio europeo incarna l’Unione Europea nei confronti dell’esterno. Viene eletto all’unanimità dai membri stessi dell’istituzione per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una sola volta. È il caso dell’attuale presidente Charles Michel. Il compito del Consiglio è quello di definire gli orientamenti e le priorità di Bruxelles, di gestire questioni complesse che non possono essere affrontate a livelli più bassi, definire la politica comune estera e di sicurezza dell’UE. Inoltre nomina ed elegge i candidati di alto profilo, come i presidenti della BCE e la Commissione. Nonché nomina l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e per la Sicurezza dell’UE

NULLA OSTA

Il Consiglio europeo si riunisce trimestralmente ma il presidente può indire riunioni informali o straordinarie, se necessario. In generale, il processo decisionale si articola attraverso il consensus, ovvero la risoluzione per essere approvata non deve ricevere obiezioni formali da parte degli Stati membri. Non è necessaria, quindi, un’approvazione. In alcuni casi, però, il Consiglio Europeo deve ottenere l’unanimità. Tra le altre, si tratta di decisioni in ambiti di politica estera e sicurezza, di adesione all’Unione di un nuovo membro, di concessione di nuovi diritti ai cittadini.

LE ALTRE ISTITUZIONI

L’economia e la giustizia dell’Unione

QUESTIONI DI EURO

La Corte dei Conti dell’UE è il revisore dell’Unione che tutela gli interessi dei contribuenti europei. Non ha poteri legali, ma opera per migliorare la gestione della Commissione europea del bilancio e riferisce sullo Stato delle finanze. È composta da un membro per ogni Stato, nominato dal Consiglio previa consultazione del Parlamento per periodi di 6 anni rinnovabili.

STONKS O NOT STONKS?

La Banca Centrale Europea ha il compito di gestire l’euro e di definire la politica economica e monetaria dell’Unione. Il suo mantra è mantenere la stabilità dei prezzi e l’equilibrio del sistema. Per farlo la BCE fissa i tassi d’interesse con i quali concede prestiti alle banche dell’eurozona, controllando offerta di moneta e inflazione. Gestisce le riserve di valuta estera, vigila sulla solidità degli istituti creditizi e assicura l’emissione di banconote. Il presidente della BCE è nominato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata “rafforzata”, su raccomandazione del consiglio e previa consultazione del Parlamento europeo e del Consiglio direttivo della banca.

MARTELLETTO COMUNITARIO

La Corte di giustizia dell’UE si divide in Corte e Tribunale. In generale, ha il compito di garantire che il diritto comunitario sia compreso e applicato in maniera uniforme in tutti gli Stati membri. Ma anche di dirimere le controversie tra governi nazionali e istituzioni europee. In alcuni casi, possono ricorrere alla corte cittadini, imprese o anche organizzazioni che vogliono intraprendere un’azione legale contro un’istituzione dell’Unione Europea. I giudici e gli avvocati generali sono nominati in maniera congiunta dai governi per un mandato rinnovabile di sei anni. FOCUS

1. LE 12 DELL’AVE MARIA

La bandiera dell’UE è composta da un cerchio di 12 stelle dorate su sfondo blu. Il cerchio è simbolo di unità e le stelle non rappresentano gli Stati membri. Il 12 significa armonia e perfezione. Sono 12 gli apostoli, le fatiche di Ercole, i mesi dell’anno e… le stelle europee.

2.

Nell’UE l’unica forma di presidenzialismo, dove capo di Stato e di governo coincidono, è Cipro. Portogallo e Francia sono invece repubbliche semipresidenziali: il Presidente è eletto direttamente, ma non è il capo del governo. Gli altri Stati sono repubbliche parlamentari o monarchie costituzionali.

3. PORCA TROIKA

Il termine troika (in russo “terzina”) indica BCE, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale, i tre organismi responsabili dei piani di salvataggio dei Paesi dell’eurozona a rischio default.

CAPIRE LA UE ATTRAVERSO LE IMMAGINI
CIPRO, CASO ISOLATO

EUROPEE FOR DUMMIES

L’8 e il 9 giugno in tutta l’UE si voterà per il Parlamento europeo. Ecco il manuale in 5 semplici punti per arrivare preparati nella cabina elettorale

Di Elena Capilupi e Alessandra Pellegrino

Sono in arrivo le elezioni europee e la Commissione è preoccupata per una possibile scarsa partecipazione dei giovani ai seggi. In realtà sono proprio loro ad essere cittadini attivi che contribuiscono a definire l’agenda politica internazionale e non solo. Non è un caso che cinque Stati membri dell’UE - Germania, Austria, Belgio, Grecia e Malta - ovvero un quarto della popolazione totale dell’Unione, abbiano esteso il diritto di voto a chi ha compiuto 16 anni. Nell’ultimo periodo, le nuove generazioni si sono dimostrate particolarmente vulnerabili agli shock globali come crisi finanziarie, pandemie e fluttuazioni del mercato del lavoro. Questi i principali temi che hanno reso necessario compiere azioni concrete per richiamare l’attenzione dei giovani su alcune tematiche. Tra queste la transizione verde e digitale, la promozione di politiche che diano priorità alle generazioni future, l’impegno attivo nella comunità in cui si risiede e la creazione di una dimensione giovanile in tutte le politiche dell’Unione. «Il nostro compito di decisori politici non è semplicemente quello di ascoltare i giovani, ma anche quello di farli assurgere, insieme alle loro voci, a livelli di uguaglianza e a posizioni di responsabilità». Queste le parole di Katrina Leitane, Presidente del gruppo giovani del Comitato economico sociale europeo (CESE). Si tratta di un organo consultivo che comprende rappresentanti di organizzazioni di lavoratori, datori di lavoro e altri gruppi e che formula pareri e questioni, fungendo da ponte tra le istituzioni decisionali dell’Unione Europea e i cittadini.

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CHI

VOTA?

Maggiorenni, italiani e non, fuorisede

INIZIO GIUGNO AI SEGGI

Hai almeno 18 anni? Se la risposta è sì, siamo felici di comunicarti che con documento e tessera elettorale potrai votare alle elezioni europee in Italia, l’8 e il 9 giugno. Sai chi altro può farlo? Tutti i cittadini italiani o dell’UE con residenza legale in Italia. Ma anche i cittadini europei che votano in Italia, dopo essersi registrati sul sito del Comune di residenza. Una volta compilato il modulo, entro il novantesimo giorno prima delle elezioni, si ottiene l’iscrizione alla lista elettorale aggiunta e l’invio a domicilio della tessera elettorale con l’indicazione del seggio.

VOTO DALL’ESTERO

Per quanto riguarda, invece, i cittadini italiani residenti in altri Paesi Ue, possono votare purché iscritti d’ufficio nell’Aire del Comune d’origine. Se invece ci si trovano temporaneamente, rimangono registrati nelle liste del comune italiano di residenza. I cittadini votanti da un Paese extra-europeo sono anche loro iscritti nell’Aire del Comune di origine e possono votare solo facendovi ritorno, dopo aver ricevuto comunicazione su data e orario della votazione.

COS’È L’AIRE

L’ Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero viene istituita nel 1988 ed è gestita dai Comuni attraverso dati e informazioni provenienti dalle Rappresentanze consolari all’estero. L’iscrizione all’Aire è un diritto/ dovere del cittadino e permette di usufruire dei servizi forniti dalla Rappresentanze all’estero. Garantisce la possibilità di votare per corrispondenza per elezioni politiche e referendum (ma anche per le europee); consente il rilascio dei documenti di identità, di viaggio e certificazioni di competenza delle Rappresentanze all’estero e il rinnovo della patente.

PER COSA SI VOTA?

720 deputati, tra divisioni e responsabilità

I 76 TRICOLORI

Se stai ancora leggendo significa che vuoi sapere per cosa andrai a votare.

Con queste elezioni, che si svolgono ogni cinque anni, i cittadini dell’UE eleggono i propri rappresentanti come membri del Parlamento europeo. Saranno 720 gli eurodeputati da definire, 15 in più rispetto alla scorsa tornata elettorale. In generale il numero totale di rappresentati viene deciso prima di ogni elezione e non può superare i 750 oltre al presidente. Quest’anno l’Italia si recherà alle urne per eleggere 76 membri del Parlamento.

IL RUOLO DEGLI EURODEPUTATI

Gli eletti avranno la responsabilità di essere i portavoce degli interessi dei cittadini dell’UE a livello europeo. Hanno il compito di creare e approvare tutte le nuove disposizioni che regolamentano la vita dei cittadini della comunità europea. Gli ambiti di competenza sono il sostegno dell’economia, la lotta contro la povertà, il cambiamento climatico e le questioni legate alla sicurezza. Non solo: devono essere garanti del funzionamento democratico delle istituzioni UE.

MICRO E MACRO PARTITI

I deputati hanno il dovere di mettere in risalto importanti temi politici, economici e sociali. È fondamentale per loro sostenere i valori dell’Unione Europea come il rispetto dei diritti umani, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza e lo Stato di diritto.

N.B: alle europee si vota per i partiti nazionali. Una volta eletti, però, molti eurodeputati nel Parlamento di Strasburgo scelgono di aderire a un gruppo politico transnazionale (Partito Popolare, Socialisti e Democratici, ecc). La maggior parte dei partiti nazionali non a caso è affiliata a un partito europeo.

SEZIONE | ARGOMENTO 18 | LABIULM | GENNAIO 2016 ELEZIONI | GUIDA AL VOTO MASTERX | MAGGIO 2024

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DOVE SI VOTA?

No al web e alla posta, ma di persona

PRENDI LA TESSERA ED ESCI

Se pensavi di votare comodamente da casa o per posta, brutte notizie. Per queste europee non sarà possibile. Se sei un cittadino italiano o di uno Stato membro e voti in Italia dovrai recarti al seggio elettorale in cui sei iscritto, come è indicato sulla tessera elettorale. Non hai ancora la tessera? Rivolgiti al tuo comune di residenza. Queste elezioni prevedono, inoltre, particolari condizioni di voto: degenti in ospedale, elettori affetti da infermità che non permettono l’allontanamento dall’abitazione e detenuti, voteranno in sezioni diverse dalla propria.

ITALIANI NON RESIDENTI

Ogni cittadino italiano che ha trasferito la residenza in un altro Stato membro dell’UE ed è iscritto all’Aire, può votare nei seggi elettorali allestiti dalle sedi diplomatico-consolari italiane del Paese in cui risiede. Per farlo il Ministero dell’Interno invierà un certificato elettorale alla loro residenza estera, con informazioni su date e ora del voto. In alternativa si può scegliere di votare per i rappresentanti del Paese in cui si risiede.

BYE BYE DIVANO

Se però vuoi tornare a votare in Italia puoi sempre farlo nel Comune italiano nelle cui liste elettorali sei iscritto, comunicandolo precedentemente al Sindaco. Per i cittadini italiani che votano da un Paese non appartenente all’UE, lo si può fare solo ed esclusivamente recandosi nel Comune italiano di residenza. Per le europee non è data in nessun caso la possibilità di voto per corrispondenza. Gli aventi diritto non potranno neanche esprimere la loro preferenza tramite sistemi online o per procura. È sempre necessaria la presenza fisica nel seggio elettorale.

COME SI VOTA?

Schede nulle e soglia di sbarramento

MERITOCRAZIA PROPORZIONALE

Nel nostro Paese il voto è un diritto e non è obbligatorio. Secondo l’articolo 48 della Costituzione italiana «il suo esercizio è un dovere civico». Ai sensi della legge elettorale europea, tutti i Paesi membri devono adottare un sistema elettorale proporzionale. Questo significa che l’assegnazione dei seggi avviene in modo da assicurare alle diverse liste un numero di posti proporzionale ai voti ricevuti. L’Italia, nello specifico, usa il voto di preferenza. Gli elettori avranno la possibilità di indicare, nell’ambito della medesima lista, da una a tre preferenze a patto che i candidati siano di sesso diverso.

LE REGOLE DI PARTECIPAZIONE

Il numero di seggi è diviso tra le 5 circoscrizioni elettorali europee in base alla popolazione residente in quell’area. Una volta stabilito quanti posti spettano a ogni partito, vengono individuati i candidati che hanno ricevuto il maggior numero di voti. Esiste una soglia di sbarramento, che per le elezione dei membri italiani al Parlamento europeo è stata fissata al 4%. Le diverse liste devono conseguire almeno questa percentuale di voti a livello nazionale.

A OGNUNO I SUOI

Tutti i partiti o gruppi hanno un numero limite di candidati che possono presentare in lista. Un numero che è definito diversamente di circoscrizione in circoscrizione. Proprio tra questi nomi gli elettori dovranno compiere la loro scelta nella cabina elettorale. La preferenza dei votanti potrà essere espressa solo nei confronti dei candidati della loro circoscrizione di residenza, pena l’annullamento della scheda. La penisola italiana è suddivisa in cinque aree elettorali sovra-regionali: Nord-Occidentale, Nord-Orientale, Centrale, Meridionale, Insulare.

CHI PUÒ CANDIDARSI?

Over 25 e inseriti in liste di partito

NO AGLI UNDER 25

Manca poco alla fine, e saprai tutto sul funzionamento delle europee. I candidati, presentati in lista da ciascun partito o gruppo politico, devono essere: cittadini italiani che abbiano compiuto 25 anni entro il giorno fissato per le elezioni, oppure cittadini di altri Stati membri residenti in Italia e iscritti nelle apposite liste aggiunte. Questi non devono essere decaduti dal diritto di eleggibilità nel Paese membro di origine e non possono candidarsi in più Paesi membri dell’UE. Potrebbe, inoltre, essere richiesto un documento che dimostri l’assenza di precedenti penali del candidato.

LA X SUL FOGLIO

Se si decide di votare o di candidarsi nel Paese in cui si risiede, non è possibile farlo anche nel Paese d’origine. Si può votare solamente per un partito o gruppi politici che abbiano depositato regolarmente il proprio contrassegno presso il Ministero dell’Interno e abbiano, in un momento successivo, presentato le proprie liste di candidati agli uffici elettorali costituiti presso le Corti d’Appello dei capoluoghi di circoscrizione.

CONTRO GLI HACKER

Ma non finisce qui. Le liste dei candidati devono essere sottoscritte da non meno di 30mila e non più di 35mila elettori della circoscrizione. In fase di voto il compito delle autorità e delle forze di polizia nazionali sarà quello di verificare che il processo di voto sia regolare e libero da qualunque influenza esterna o manipolazione. In modo particolare dovranno proteggere tutte le reti e i sistemi informatici dal pericolo di cyber-attacchi.

Sei arrivato fin qui? Ora per te il funzionamento delle elezioni europee non ha più nessun segreto.

CURIOSITÀ 3 COSE CHE FORSE NON SAPEVI

1. STELLE TRA STELLE

La Commissione vorrebbe alcune star internazionali come testimonial della campagna per il voto. Da Taylor Swift ai Maneskin, da Rosalìa a Stromae. L’obiettivo è convincere i cittadini, soprattutto i giovani, a partecipare attivamente.

2. VIA DI CASA

Sei un fuorisede e vuoi votare?

Da quest’anno potrai farlo. Il Ministero dell’Interno ha deciso che potranno votare alle europee anche gli studenti lontani da almeno tre mesi dalla loro città di residenza. Per farlo bisogna presentare una domanda di ammissione entro il 4 maggio.

3. OCCHIO ALL’AI

Le potenziali minacce create con l’AI saranno identificate da un team istituito da Meta che si occuperà di contrastare l’abuso di intelligenza artificiale generativa per creare fake news. L’azienda statunitense ha già sottoscritto un impegno per etichettare le false informazioni con standard comuni.

ARGOMENTO | SEZIONE GENNAIO 2016 | LABIULM | 19

STATE ATTENTI A QUEI DIECI

SPAGNA

Pedro-PP, praticamente il meglio di Santa Fe Nel novembre 2023 il premier socialista Pedro Sánchez è tornato in carica dopo che i vincitori alle elezioni del luglio precedente, i Populares (PP) di Alberto Nuñez Feijóo, non sono riusciti a formare un esecutivo. Determinante l’accordo con i movimenti indipendentisti catalani, rifuggito dalla destra e sposato invece dal leader socialista. Quale linea avrà convinto di più gli spagnoli? Lo scopriremo a giugno.

PAESI BASSI

Il biondo ossigenato che vuole prendersi pure Bruxelles Il grande exploit sovranista di Geert Wilders, alla guida del Partito per la Libertà olandese, non è stato sufficiente a consegnargli la carica di primo ministro lo scorso novembre. Ma nonostante questo, il biondissimo leader è pronto

CANDIDATI BALCANICI

alla carica in Europa. Dal suo manifesto, per strizzare l’occhio a più persone, sparisce la Nexit (l’uscita dei Paesi Bassi dall’Unione Europea), e il gradimento in patria vola oltre il 32%. Sarà una buona spalla per i movimenti alleati in tutto il continente?

UNGHERIA

Buda-Pest, l’anima divisa dei conservatori ungheresi Ungheria è ormai sinonimo di Viktor Orbán, premier dal 2010. Euroscettico, sovranista, filo-russo, il primo ministro non sembra avere rivali nella sua lotta “per veto” alle politiche comuni. O forse no? Forse è emersa una nuova voce in terra magiara. È quella di Péter Magyar, ex alleato del premier in carica, che il 6 aprile ha guidato decine di migliaia di manifestanti per le strade di Budapest. La ricetta? Maggiore apertura, meno corruzione, pur mantenendo la linea conservatrice attualmente al potere. I suoi consensi sono stimati tra il 15 e il 21%. Vedremo.

Il pubblico non votante della prossima UE Alle europee guarderanno anche tre Stati balcanici: Montenegro, Macedonia e Albania. Tutti Paesi candidati all’ingresso nell’Unione da oltre un decennio ma piuttosto distanti dall’accesso vero e proprio. Lo sguardo vola verso partiti e governi amici, che possano mettere una buona parola in un’UE riassettata. Su tutti la Macedonia del Nord, il cui ingresso nella comunità continentale è ostacolato solo dal veto di Sofia (che chiede di inserire nella costituzione di Skopje un riferimento alla minoranza bulgara). U.C.

PORTOGALLO

Evoluzione verso il passato tra malcontento e dittatura I portoghesi hanno detto basta. Letteralmente. Alle elezioni del 10 marzo si è registrato l’exploit dei populisti di destra di Chega! (che vuol dire “basta”), passati dal 7 al 18% dei voti. La loro ideologia è composta di nazionalismo, derive ultraconservatrici, euroscetticismo, anti-islamismo e una spruzzata di nostalgia della feroce dittatura di Salazar. Che dote porteranno ai loro alleati

europei del gruppo Identità e Democrazia?

FRANCIA

E se Parigi questa volta rischiasse davvero Le Pen? Ci prova e ci riprova Marine Le Pen a portare in vetta alla politica francese e continentale il suo Rassemblement National Forse questa volta è quella buona? L’impegno della leader populista e ultra-conservatrice c’è. Cerca di raccogliere voti da ogni parte, anche cambiando alcune posizioni storiche. Ad esempio sull’Ucraina, che passa da boccone alla mercè di Vladimir Putin a «valorosa combattente per la resistenza».

SLOVACCHIA

Per Bratislava? In fondo a destra, e Putin ringrazia Prima l’elezione del premier sovranista Robert Fico, poi quella del suo compagno di partito Peter Pellegrini a presidente della Repubblica il 7 aprile, hanno trasformato la Slovacchia in una nuova oasi di populismo conservatore e filo-putiniano. Una nuova Ungheria, pronta a intromettersi nella politica comune con veti e

MAPPA 20 | MASTERX | MAGGIO 2024

ambiguità. Scontato chi uscirà vincitore dalle urne europee.

GERMANIA

Un’Alternativa tedesca come quella di cent’anni fa Se il governo di Berlino è il più a sinistra degli ultimi vent’anni, lo stesso non si può dire dell’opinione pubblica. I nazionalisti di Alternative für Deutschland sono ormai in piena ascesa. Islamofobi, xenofobi, razzisti e con tendenze apertamente neonaziste, i sondaggi li collocano attorno al 18% delle preferenze, sopra i socialdemocratici dell’SPD attualmente al governo. Un bel bacino di voti, che confluirà nelle casse di Identità e Democrazia, il gruppo europeo sovranista in cui AfD è entrata nel 2023.

POLONIA

Aquila strabica: in casa moderata, fuori sovranista Da Varsavia non ci si aspettavano minacce. Nonostante il partito più votato alle elezioni parlamentari dell’ottobre 2023 sia stato PiS (destra), il governo è finito nelle mani dell’europeista e liberale Donald

Tusk. La Polonia, dopo anni di tendenze reazionarie, era tornata nell’alveo democratico dell’Unione. Eppure, con il voto regionale del 7 aprile 2024, il partito dell’ex premier Mateusz Morawiecki ha riconfermato la prima posizione nel panorama politico nazionale. Per l’Europa non c’è storia: sarà la destra a trionfare.

SVEZIA Il Leone del Nord si ritinge la criniera di rosso Timida, arroccata nel suo dorato semi-isolazionismo scandinavo, la Svezia sembra colta da un improvviso sommovimento interno ed esterno. C’è stata la rottura della tradizionale neutralità, con l’ingresso nella Nato il 7 marzo 2024. Ma anche un cambio di colore al governo, retto da ottobre 2022 dai moderati di Ulf Kristersson dopo otto anni di reggenza socialdemocratica. Poco conta: i sondaggi danno il partito a capo dell’opposizione al 36%. Spetterà a loro rappresentare la maggioranza del Paese in Europa.

ITALIA

Quel divorzio all’italiana che passa per Strasburgo Che dire dell’Italia? Se Giorgia

Meloni sa di essere al primo posto per voti e preferenze, tra gli alleati la Lega ribolle: passerà dal 34% delle ultime europee a un misero 8% circa. Probabilmente sotto Forza

Italia. Ed è il leader leghista Matteo Salvini a far capire quanto il voto conterà: se Identità e Democrazia, come si attende, raggiungerà numeri storici e farà opposizione a Strasburgo, lo stesso potrebbe avvenire nella maggioranza di governo italiana.

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Chi vuole essere europeo

A cura di Umberto Cascone

Molti la vogliono, ma non tutti la ottengono. L’adesione all’Unione Europea è l’obiettivo di vari Stati del continente. Ma non è un processo semplice. In certi casi il lavoro da fare è tantissimo, e non è detto che la volontà politica di accedere all’Ue sia sufficiente a modificare costituzioni, regole, convenzioni. Sono otto i Paesi in attesa. Montenegro e Serbia hanno completato circa la metà delle procedure di adesione richieste. Più lontano è il benvenuto di Macedonia del Nord e Albania, dopo un decennio di candidatura faticano ad adeguarsi. Poi, tra 2022 e 2023, sull’onda della guerra in Ucraina si sono aggiunti altri quattro candidati. A chiudere il panorama balcanico ci pensa la Bosnia-Erzegovina, con le sue molte fratture etniche a rendere complesso il processo di pacificazione preliminare. C’è la Moldova, che vuole finalmente saldarsi al resto del continente e sentirsi protetta. Ma in questo caso il separatismo, quello transnistriano, rende complicati i negoziati. E sempre la frammentazione è il cruccio della Georgia, Paese considerato da molti più asiatico che europeo, che ha ottenuto lo status di candidato nel dicembre 2023. Infine c’è l’elefante nella stanza: l’Ucraina. Dopo un decennio di avvicinamento, ora le trattative per l’ingresso nell’Unione sono davvero in corso. Ma la guerra, calda e sanguinosa, preclude al momento i sogni di Kiev. Non solo quelli europei.

OLTROCEANO

El Salvador, democrazia o sicurezza

Ci sono Paesi nel mondo in cui le persone scelgono di sacrificare i principi democratici su cui si regge lo Stato in cambio di promesse di libertà. Lo fanno attraverso il voto, affidando nelle mani di un presidente antidemocratico i propri bisogni di sicurezza e incolumità. È il caso, ad esempio, dell’El Salvador. Nel piccolo Stato centroamericano, il 18 febbraio scorso il presidente Nayib Bukele ha addirittura raccolto l’84 per cento dei consensi della popolazione e si è riconfermato alla guida del governo con 58 congressisti su 60. Un chiaro ed evidente aggiramento del divieto costituzionale a ricoprire due mandati di fila.

Nonostante la statura autoritaria del personaggio, i salvadoregni hanno voluto fortemente la sua rielezione per via della politica securitaria - di contrasto alle gang criminali messa in atto da Bukele. E lo stato d’emergenza nazionale - prorogato per 24 volte in cinque anni - benché lesivo di molti diritti umani, è un compromesso accettato dalla maggior parte della popolazione. Se nel 2019 i morti uccisi erano 38 ogni 100mila abitanti, il 2023 si è chiuso con un indice di 2,3 omicidi, uno dei più bassi delle Americhe.

La situazione dell’El Salvador e la sua paradossale ‘democrazia del partito unico’ è un allarme per tutti quei Paesi democratici che rischiano di veder naufragare l’ideale di bene comune, dando credito a promesse securitarie di stampo dittatoriale.

MAPPA MAGGIO 2024 | MASTERX | 21
A cura di Alessandro Dowlatshahi

BASTA UN VOTO PER CONTARE?

Diritto fondamentale, manifestazione di quella sovranità popolare su cui si fonda la democrazia. Ma a volte sembra che votare non influenzi le decisioni dei potenti

Di Thomas Fox

Cinque anni fa, alle ultime elezioni europee, quasi la metà degli italiani decise di disertare le urne. Per la precisione, gli astensionisti furono il 45.5% degli aventi diritto al voto. Certo, non si tratta di un fenomeno solo italiano e il valore medio dell’affluenza a livello europeo era persino più basso. Ma quella percentuale rimane, e racconta una realtà sempre più evidente: in Italia il primo partito è quello del non voto. Un partito che peraltro si ingrandisce di elezione in elezione: nel 1979, in occasione delle prime consultazioni europee a suffragio universale e diretto, solo il 14.3% degli italiani decise di non recarsi alle urne. Tale tendenza emerge anche guardando alle altre tipologie di voto. Alle prime politiche – quelle del 1948 – solo il 7.8% del corpo elettorale scelse di non votare. Nel 2022 questa percentuale si attestava invece al 36.1%, il valore più alto mai registrato in un’elezione politica nei quattro maggiori Paesi dell’Ue (Germania, Francia, Italia e Spagna). Rispetto alla precedente tornata elettorale – quella del 2018 – l’astensionismo era aumentato di quasi 9 punti percentuali. Una tale crescita non si era mai verificata nell’intera storia repubblicana. Tra disaffezione e sfiducia nei partiti e nelle istituzioni, questo fenomeno interessa soprattutto i giovani: alle ultime politiche l’astensionismo raggiungeva un picco del 42.7% negli elettori fra i 18 e i 34 anni. A conferma di una tendenza che cresce di intensità con l’andare del tempo e con l’avvento delle nuove generazioni. E che, a ogni elezione, riporta a galla sempre la stessa domanda: ha senso andare a votare?

SÌ NO

La politica plasma le nostre vite

IMPATTO SULLE DECISIONI

L’Europarlamento è co-decisore in oltre 80 aree e contribuisce all’allocazione e all’adozione del budget dell’Unione. Votare è dunque un modo per indirizzare l’attività delle istituzioni su una pluralità di tematiche che plasmano la vita quotidiana delle persone: dalle politiche sociali all’ambiente, dall’economia allo Stato di diritto, dalla sicurezza alla politica agricola comune. A maggior ragione considerando che quasi l’80% delle leggi in vigore in Italia sono europee o di derivazione europea.

CONTROLLO DELLE ISTITUZIONI

Il Parlamento europeo ha anche un potere di supervisione dell’operato delle altre istituzioni dell’Unione. Ha inoltre un ruolo nella nomina della Commissione europea: gli eurodeputati possono confermare o rifiutare il candidato alla presidenza proposto dal Consiglio europeo, nonché l’intera lista dei commissari. E possono esaminare le petizioni dei cittadini e rivolgere interrogazioni agli altri organi dell’Unione. Il voto è quindi un modo per rinsaldare il legame fra persone e istituzioni, consentendo alle prime di vigilare – attraverso i propri rappresentanti – sul corretto funzionamento dei vertici dell’Ue.

ESERCIZIO DELLA DEMOCRAZIA

La democrazia non va data per scontata: è un traguardo e una responsabilità collettiva che inizia con le persone, e che vive solo se diventa impegno per ogni cittadino. Decidendo di non votare, gli elettori rinunciano a esercitare un diritto ignoto a più della metà della popolazione mondiale, e conquistato in Europa attraverso le lotte delle precedenti generazioni. E chi non vota delega agli altri le decisioni che impatteranno sul suo futuro: il vuoto lasciato dagli astensionisti viene riempito dalle scelte altrui.

La nostra è solo una anonima X

DEFICIT DEMOCRATICO

Per quanto il Parlamento abbia un ruolo nell’adozione e nella modifica delle proposte legislative, il potere di iniziativa rimane in capo alla Commissione. In altre parole, gli eurodeputati si limitano ad approvare o rigettare leggi pensate dai commissari, redatte da un’oscura squadra di burocrati e influenzate dall’azione di migliaia di lobbisti regolarmente registrati a Bruxelles. In questo quadro, la sensazione è che i cittadini non abbiano un reale potere di influenzare, col voto, il processo decisionale.

SFIDUCIA E OPACITÀ

Molti elettori non si sentono rappresentati. Percepiscono i partiti come soggetti distanti, impermeabili alle reali esigenze dei cittadini e interessati solo ai loro giochi di potere. Le maggioranze vengono formate dopo il voto, senza che gli elettori possano esprimere la loro approvazione. Le liste dei candidati vengono stilate dall’alto, spesso senza che i cittadini conoscano i rappresentanti che sono chiamati a votare, né tantomeno i programmi politici. E senza che siano veramente consapevoli di quello che viene discusso a livello europeo. La distanza e l’opacità della politica rendono il voto inutile.

IMPATTO ZERO

Più in generale, la democrazia non può ridursi al tracciare una x, ogni cinque anni, su una scheda elettorale. Andare alle urne è uno spreco di tempo ed energia, perché il singolo voto ha un impatto sostanzialmente nullo sull’esito della consultazione e sulle scelte dei politici. Esistono modi più efficaci per far sentire la propria voce: l’astensionismo può essere una scelta migliore che votare “il meno peggio”, in quanto piccola “rivolta” contro la totale mancanza di potere nelle mani dei cittadini.

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Tutto cuore, poca testa

Anche se l’essere umano si autodefinisce animale razionale, le scienze attestano le emozioni come punto focale del processo decisionale

Compiere una scelta, dalla più banale alla più importante, può sembrare qualcosa di naturale. Un’azione che quotidianamente facciamo: da cosa mangiare a cena a quali capi di abbigliamento acquistare. Il processo decisionale cela in realtà al suo interno un meccanismo cerebrale guidato dalle emozioni. Non siamo quindi così razionali come pensiamo ma, piuttosto, siamo prevedibilmente irrazionali.

parola all’esperto

Vincenzo Russo, Direttore Scientifico del Centro di Ricerca di Neuromarketing Behavior and Brain Lab e professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing dell’Università IULM, spiega come si sviluppa il processo decisionale e quali sono le variabili che lo influenzano. «Per anni si è pensato che i consumatori agissero affidandosi alla propria razionalità e, in questo senso, le emozioni sono sempre state considerate un elemento laterale e disturbante del processo decisionale, da non tenere in considerazione. Questo snobismo nei confronti delle emozioni è dovuto al loro essere generate non dalla prestigiosa e più recente corteccia pre-frontale ma dall’ipotalamo, situato nella zona sottocorticale del cervello».

il ruolo chiave delle emozioni

L’esperienza quotidiana, l’economia comportamentale e le neuroscienze hanno in realtà dimostrato che «le emozioni sono elementi primari e cogenti nel processo di scelta e sono quindi tutt’altro che disturbanti». Già nel 1978 Herbert Simon, premio Nobel per l’economia, sosteneva che l’uomo non è razionale, ma limitatamente razionale. In quanto le decisioni che prende sono l’esito di una ricerca caratterizzata da semplificazioni e scorciatoie, e non da ragionamento deduttivo. Per decidere, quindi, l’essere umano si serve di elementi caratterizzati da una forte connotazione emotiva che possano soddisfarlo (come prezzo, provenienza o brand) e non di tutte le informazioni possibili.

scorciatoie decisionali

nale del genere umano ma anche il suo essere prevedibilmente irrazionale», conferma Vincenzo Russo. Questo perché le emozioni, che soltanto fino a qualche anno fa sembravano essere variabili che potevano non essere tenute in considerazione, sono in realtà «ciò che guida e condiziona il processo decisionale». Questo modo di prendere le scelte è in parte riconducibile al sistema cognitivo. Un complesso sistema di interconnessioni cerebrali che tende a semplificare e a usare delle scorciatoie decisionali per risparmiare energia. «È quindi la ragione che ci porta a pensare ma sono le emozioni che ci spingono ad agire».

Oggi le ricerche confermano che l’essere umano è prevedibilmente irrazionale

«Oggi le ricerche neuroscientifiche confermano non solo l’essere limitatamente razio -

quando scegliere è marketing Facili applicazioni di quanto le emozioni possano influenzare le decisioni si possono localizzare nel marketing dei prezzi. «La valutazione del costo di un prodotto o di un servizio è fortemente connotata da emozioni e irrazionalità». Questo processo di valutazione solitamente si basa su due elementi: il confronto con qualcos’altro e la differenza tra la valutazione soggettiva di un prezzo e la sua valutazione oggettiva. Un’incongruenza che può essere facilmente compresa attraverso un semplice esempio. «Un’etichetta che riporta che la carne è “grassa al 25%” ha un effetto emozionale diverso e più negativo di un’e-

tichetta che riporta che la carne è “magra al 75%”. Eppure in realtà le due etichette riportano la stessa informazione. La percezione che ne ha il consumatore è però diversa».

macchine emotive

«Allo stesso modo un articolo scientifico che riporta l’affermazione “una nuova cura ha consentito a 90 persone su 100 di salvarsi” sortisce un effetto diverso rispetto alla frase “una nuova cura ha causato la morte di 10 persone su 100” nonostante le due frasi riportino gli stessi dati». Questa percezione è spiegata dall’Effetto Framing. Secondo quest’ultimo la valutazione dei prodotti è profondamente influenzata dal modo in cui le informazioni vengono presentate. Spesso l’acquirente si serve di “scorciatoie decisionali”, dette euristiche, attraverso le quali non applica un calcolo razionale ma si affida a una preferenza spontanea per le opzioni che sono “incorniciate” in maniera più positiva. Appartengono cioè a frame preesistenti che il nostro cervello associa a sensazioni piacevoli. Nei processi euristici assumono un ruolo determinante le emozioni, poiché sono strettamente legate alle semplificazioni e guidano la lettura delle variabili secondo il semplice criterio buono-cattivo aiutando a decidere. «Aveva quindi ragione Antonio Damasio, quando nel suo saggio L’Errore di Cartesio, scrisse “non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”», conclude il professor Russo.

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GUERRA PERSA. Secondo esperti di neuromarketing, è troppo sottovalutata la centralità delle emozioni
NEUROSCIENZE | SOCIETÀ

Chi sono? Posso deciderlo

Il cambiamento di sesso è il processo che una persona attraversa per riconciliare il genere biologico con quello in cui si identifica. Può costare fino a 9000 euro, e in Italia non può essere intrapreso prima dei 16 anni

La popolazione transgender è difficile da intercettare. Secondo Matteo Marconi, ricercatore del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto superiore della Sanità, sarebbe necessario effettuare uno studio capillare a livello nazionale per comprendere al meglio la diffusione della “disforia di genere”. Ossia un senso di notevole disagio o di difficoltà di funzionamento correlati alla sensazione che il proprio sesso anatomico sia incompatibile con la propria identità di genere. Per ovviare a questo problema, l’Iss ha

reclutato 961 persone a cavallo tra il 2020 e il 2021. A queste ha sottoposto due questionari per raccogliere informazioni socio-anagrafiche e sul percorso di transizione (uso di ormoni, trattamento chirurgico, accesso al supporto psicologico). Gli unici dati rilevati arrivano dai centri per l’adeguamento di genere e risalgono al 2022. I numeri evidenziano che il fenomeno è in notevole aumento: si stima interessi lo 0,5-1% della popolazione italiana, quindi circa 500mila persone. In particolare, le statistiche indicano che i casi più frequenti riguardino individui biologicamente maschi che vogliono adeguare l’identità a quella femminile. Ancora non ci sono numeri certi, ma si stima siano compresi tra uno ogni 12mila persone e uno ogni 45mila. Al contempo, le femmine che chiedono l’adeguamento all’identità maschile varierebbero da uno ogni 30mila e uno ogni 200mila.

quanto costa cambiare sesso?

Il prezzo medio per eseguire una transizione di genere si aggira intorno ai 9mila euro. Nello specifico una consulenza con uno psicologo costa tra gli 80 e i 100 euro. Prima dell’intervento viene verificato lo stato di salute generale del paziente: il prezzo di queste visite dipende dal laboratorio e dagli accertamenti richiesti e si va da un minino di 30 a un massimo di 100 euro. I costi più ingenti sono

DUE VITE IN UNA.

A sinistra, un corteo di giovani organizzato da Arcigay a Roma. Sopra, l’ingresso dell’Ospedale Careggi di Firenze, unica struttura in cui i trattamenti sono permessi dai 14 anni. A destra, manifestazione per i diritti trans

quelli dell’intervento chirurgico, che va da un minimo di 1500-2000 euro per le procedure più semplici, a oltre 6mila. Inoltre, molti pazienti optano per eseguire altri interventi complementari come la chirurgia plastica facciale o modellamenti del corpo con lipofilling o protesi. Alcune cure ormonali e alcuni farmaci vengono coperti dal Servizio Sanitario Pubblico, così come alcune delle procedure chirurgiche. È però necessario che siano soddisfatti dei requisiti: aver seguito un percorso psicoterapeutico per almeno due anni, esser maggiorenni, aver eseguito un trattamento ormonale e possedere un certificato di diagnosi di disforia di genere.

quando è possibile iniziare la transizione? Sono sempre di più i minori che chiedono di intraprendere il percorso di transizione. Come racconta Paolo Valerio, presidente dell’Osservatorio nazionale identità di genere, nel loro centro di Napoli «si è passati da un singolo minore nel 2005 a 31 nel 2018». Ma l’aumento non si limita ai confini nazionali, tanto che la Portman Clinic ha registrato a Londra un incremento del 400%. Questa crescita deriva soprattutto dal maggiore accesso alle informazioni sul tema, che permette ai ragazzi di avere maggiore consapevolezza sul proprio genere. In Spagna, viste le richieste, nel febbraio 2023 è stata approvata la ley trans,

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Di Elena Betti, Elena Cecchetto e Cosimo Mazzotta
DIRITTI | TRANSIZIONI

solo io

una legge che ha permesso ai ragazzi tra i 14 e i 16 anni di cambiare sesso anagrafico senza obbligo di attestazione medica di disforia di genere e terapia ormonale. In Italia, invece, il percorso può essere intrapreso solo a partire dai 16 anni e col consenso dei genitori, o a 18 anche senza quest’ultimo. L’unica eccezione è rappresentata dall’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze. In questa struttura è possibile accedere ai trattamenti per la disforia già dai 14 anni.

marcia indetro

A riguardo non sono mancate polemiche. Secondo il capogruppo al Senato di Forza Italia Maurizio Gasparri, ai minori non veniva fornita abbastanza assistenza psicoterapeutica e psichiatrica per affrontare il processo di transizione. Si tratterebbe, dunque, di una scelta non del tutto consapevole, che potrebbe portare a interrompere il percorso e invertirlo. Questo fenomeno prende il nome di detransizione e riguarderebbe circa il 7% dei giovani che hanno scelto di cambiare genere in età infantile. Lo conferma uno studio dell’Università di Princeton (negli Stati Uniti) basato su un campione di 317 ragazzi. Ciascuno con percorsi di transizione differenti: tra chi aveva fatto ricorso alla terapia ormonale e alla chirurgia, e chi invece aveva solo cambiato nome o pronomi.

Benvenuto Edoardo, ti ho tanto aspettato

Oltre 130mila followers su Tiktok e un passato non proprio LGBT-friendly. Dopo una prima fase di negazione, Edoardo ha scoperto il suo vero io intraprendendo il percorso di transizione

Edoardo Zedda ha 18 anni, vive in una città del sud della Sardegna e frequenta il quinto anno del liceo economico sociale Eleonora D’Arborea di Cagliari. Un ragazzo come tanti altri, ma la cui vita cambia radicalmente in terza media. È infatti a 13 anni che Edoardo capisce davvero chi è. «Provavo un grosso disagio nei confronti del mio corpo. Pensavo fosse dovuto al mio peso eccessivo, essendo obeso di secondo grado. Invece dopo aver perso 57kg ancora non sopportavo le mie forme. Volevo eliminarle». Un primo segnale che non asseconda troppo, vista la considerazione negativa che fino ad allora provava verso il mondo LGBT. Sarà solo dopo il coming out della sua migliore amica che Edoardo comincerà gradualmente ad ammorbidirsi, aprendo la mente anche sulla sua stessa situazione. Le notti insonni passate a riflettere e le innumerevoli ricerche su Internet riusciranno però a dare un nome a quella sensazione che aveva azzerato la sua voglia di vivere: si tratta di disforia di genere.

tra terapie e scuola

Dopo aver preso coscienza della propria identità, Edoardo intraprende il percorso obbligatorio con lo psichiatra specializzato, che gli rilascia una relazione dove attesta la disforia. È poi l’endocrinologo, anche lui specializzato in disforia, a prescrivergli la terapia ormonale mascolinizzante. Un anno e mezzo dopo, può finalmente dare avvio all’iter lega-

le per il cambio documenti e per il consenso alle operazioni. «Io avrò la prima sentenza l’11 settembre 2024. Dopo la seconda verrà attivato il procedimento all’anagrafe e avrò l’autorizzazione per le operazioni di mastectomia, isterectomia e falloplastica. La rimozione delle ovaie è invece possibile senza consenso, in quanto è un intervento attuato anche su donne cisgender». Nel mentre Edoardo avvia la carriera alias, un progetto scolastico che permette alle persone transgender con diagnosi certificata di cambiare nome sul registro elettronico. «L’ho scoperta e attivata nello stesso anno. Mi ha salvato, perché alcuni professori usavano per puro dispetto il mio deadname (il suo nome di nascita). Ora mi chiamano tutti Edoardo… e sono obbligati a farlo».

litigare allo specchio

Il percorso di Edoardo, però, non è ancora finito. La disforia spesso si fa sentire, prende completamente il sopravvento e gli strappa via ogni briciola di vivacità. Fino, a volte, a bloccarlo tutto il giorno a letto. Più va avanti e più sente delle mancanze, come il non potersi cambiare davanti agli altri o l’indossare pantaloni eleganti a causa dei fianchi, che continua a vedere troppo sporgenti. Tratti che gli ricordano un corpo femminile in cui non si è mai riconosciuto. Vorrebbe guardarsi fiero allo specchio, smettendola di sentirsi una persona sbagliata. Vorrebbe finalmente sentirsi giusto. «Ho la paura costante di non fare abbastanza, di non dare abbastanza. Vorrei solo sentirmi all’altezza».

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TRANSIZIONI | DIRITTI

SUPER-UOMINI.

A destra a partire dall’alto: l’atleta canadese

Ben Johnson; il ciclista Lance Armstrong e l’italiano Alex Schwazer. Al centro, il nuotatore medaglia olimpica

James Magnussen, che partecipera ai Giochi

A sinistra, Aron D’Souza, sponsor degli E+

Enhanced Games: se il doping

La folle idea di un imprenditore australiano. Un via libera deprecato da molti, quello del “potenziamento” nello sport. Ma c’è chi ha già scelto di aderire per testare i limiti dell’essere umano

Moore, giornalista del Guardian, ha definito la finale di Seoul «la gara più sporca della storia». Erano tempi in cui l’uso delle sostanze proibite era un segreto da portarsi nella tomba. E sarebbe lecito aspettarsi che sia ancora così. Se non fosse per la recente proposta - tuttora in lavorazione - di organizzare una competizione sportiva libera da restrizioni di questo tipo.

il paradosso di un’ambizione

Seoul, 24 settembre 1988. Finale olimpica dei 100 metri piani. A trionfare è Ben Johnson, che ferma il cronometro su un roboante 9”79. Medaglia d’oro e nuovo record del mondo per il canadese. Ma due giorni dopo la favola finisce: Johnson viene trovato positivo ad un controllo antidoping. Spogliato della medaglia e squalificato per due anni, non gli rimarrà che un mesto finale di carriera, conclusa nel 2002 senza più raggiungere i fasti del passato. La delusione, però, non ricade tutta sulle sue spalle. Perché degli otto finalisti di quella gara, in sei sono risultati dopati almeno una volta in carriera. Per questo motivo Richard

Enhanced Games, letteralmente Giochi potenziati. È il nome - piuttosto promozionale - che il businessman australiano Aron D’Souza ha scelto per lanciare la sua idea di rivoluzione sportiva. Ispirato dall’aver visto che in una palestra molti avventori facevano palese uso di steroidi, l’imprenditore fantasticò di regolarizzare questa pratica all’interno di una competizione internazionale. In quella che, a suo dire, rappresenterebbe una «versione migliorata dei Giochi olimpici», la cui organizzazione viene giudicata avida e corrotta. In altre parole, il piano di D’Souza e del suo socio, il miliardario tedesco Christian Angermayer, è quello di allestire per il 2025 – tempo di trovare investitori e mettere a punto la logistica – un evento sportivo senza precedenti, dove gli atleti possano gareggiare liberi dalle restrizioni dell’anti-doping. Lo scopo? Superare le barriere della biologia e raggiungere risultati da record. Ancora non sono

state confermate le discipline di gara, ma si tratterebbe verosimilmente di sport individuali con una prestazione misurabile, come atletica, nuoto, sollevamento pesi e ginnastica. Non c’è dubbio che l’obiettivo principe sia quello di guadagnare spettacolarizzando prestazioni al di là dei limiti umani. Ma come si risponde alle obiezioni che sostanziano il concetto stesso di anti-doping, ovvero le preoccupazioni per la salute degli atleti? La risposta di D’Souza è quantomeno surreale. A suo modo di vedere, la libertà di assumere farmaci alla luce del sole rende la competizione «più sicura», perché gli atleti potenziati sceglierebbero in coscienza cosa assumere, quando gareggiare e soprattutto riceverebbero adeguato supporto medico prima, durante e dopo le competizioni.

questione di termini

In fondo, sembra di leggere tra le righe, è tutta una questione di termini. Come se per legittimare un’aberrazione bastasse cambiarla di segno. Parlare di «potenziati» invece che «dopati», di più «sicuro» al posto che «spregiudicato», di «Olimpiadi del futuro» invece che di oblio di quei valori che i Giochi, non senza fatica, aspirano a incarnare. A questo punto sembra quasi naturale che la manifestazione si sia impadronita dello slogan per il diritto all’aborto «my body, my choice» e che sul sito ufficiale gli atleti siano espressamente

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Di Davide Aldrigo
SPORT | DOPING

doping è permesso

invitati a fare coming out come «potenziati». Il passo successivo è spargere ovunque questo capovolgimento, raccontandolo come se fosse normale. La notizia più fresca a proposito degli Enhanced Games è infatti il casting di atleti per un documentario sull’evento co-prodotto dalle società di Ridley Scott e Rob McElhenney (già produttore, insieme a Ryan Reynolds, del docu-reality Welcome to Wrexham, che racconta l’acquisto da parte dei due attori di una piccola squadra di calcio gallese).

aberrazione o futuro dello sport?

L’annuncio dell’evento, come da aspettative, ha suscitato aspre critiche da federazioni ed atleti. Sebastian Coe, presidente della World Athletics (la federazione internazionale di atletica leggera), ha prontamente liquidato gli Enhanced Games come qualcosa che «nessuno potrebbe mai prendere seriamente». Mentre la ciclista oro olimpico Anna Meares non ha esitato a definire la competizione «scorretta e pericolosa». Ma forse le parole più significative provengono da un altro ciclista, Joe Papp, sospeso proprio per doping nel 2006: «Il doping libero per tutti invita semplicemente la persona più ambiziosa a essere la persona più spericolata e a prendere quanti più farmaci sia possibile assumere senza uccidersi». Nonostante l’aperta condanna dei più, non è mancato chi si è già detto pronto

ad aderire all’iniziativa. L’esempio più illustre in questo senso porta il nome di James Magnussen, nuotatore australiano medagliato alle Olimpiadi di Londra 2012. Pochi giorni fa Magnussen, ritiratosi nel 2019, ha palesato l’intenzione di rientrare in vasca, «potenziato», con l’obiettivo di infrangere il record del mondo nei 50 metri stile libero. Qualora questo accadesse, D’Souza ha promesso un ulteriore incentivo pari a un milione di dollari di ricompensa.

fino a dove è giusto essere liberi?

«Hai la stoffa per diventare una superstar globale? Stiamo cercando 10 atleti che saranno pagati 100mila dollari per essere protagonisti del documentario». Sono dichiarazioni come queste a far capire come gli Enhanced Games, prima ancora che un evento sportivo, propongano una forma di pericolosa libertà assoluta. La scelta di competere sotto effetto di sostanze dopanti viene delegata interamente alla coscienza individuale degli atleti, che se ne assumono ogni responsabilità. È un sistema in cui la necessità di fornire intrattenimento sbanda fino alla soppressione dei limiti che hanno reso lo sport in grado di emozionare e far sognare. Ma dove viene meno l’interesse a delimitare i confini di ciò che si può o non si può fare, ci sarà sempre qualcuno pronto a dimenticare i valori dello sport. Confondendo l’anarchia per emancipazione.

Quando essere enhanced era proibito...

Il doping è una piaga che da sempre investe il mondo dello sport. Il primo caso documentato risale al 1904 quando Thomas Hicks vince la maratona ai Giochi Olimpici di Saint-Louis grazie a un aiuto “esterno”, quello del suo allenatore. L’americano non viene squalificato perché non esiste ancora il Tribunale antidoping, ma da lì parte tutto. La prima espulsione ufficiale arriva nel 1968 a Città del Messico, quando il pentatleta svedese Hans Liljenwall viene trovato con una quantità di alcol nel corpo superiore al consentito. Da quel giorno in poi un po’ tutto lo sport si macchia di positività.

Dopo il caso di Ben Johnson nel 1988, anche il più celebre sportivo dell’epoca cade nel doping. Diego Armando Maradona viene squalificato due volte: la prima nel 1991 per la positività alla cocaina, la seconda durante i Mondiali 1994 per il valore insolito di efredina. Ma se nel calcio i casi sono rari, uno degli sport storicamente più colpiti è il ciclismo. Basti pensare a Lance Armstrong. L’americano aveva conquistato per sette volte consecutive, dal 1999 al 2005, il Tour de France, ma queste vittorie più tutte quelle ottenute dopo il 1° gennaio 1998 gli sono state cancellate. Armstrong in accordo con la sua squadra, la US Postal, aveva usato le trasfusioni per migliorare le sue prestazioni.

Un po’ come ha fatto la Russia, orchestrando un doping di Stato. A fine 2014 la Commissione della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, ha certificato che Mosca aveva creato un’organizzazione interamente votata alla manipolazione dei risultati. Cinque atleti sono stati radiati a vita e molti altri squalificati. Da Pyeongchang 2018, ed è in vigore ancora oggi, la Russia gareggia alle Olimpiadi senza bandiera.

Ma la storia del doping è fatta anche di atleti che dopo essere risultati colpevoli una volta sono stati sistematicamente accusati. È il caso di Alex Schwazer. Il marciatore azzurro alla vigilia delle Olimpiadi di Londra 2012 viene squalificato dal Tribunale Nazionale Antidoping. Scontata la pena, uno Schwazer pentito torna per partecipare a Rio 2016, ma viene fermato di nuovo. Stessa identica storia prima di Tokyo 2020 e di Parigi 2024. Una vicenda oscura e apparentemente senza fine, che dimostra come il doping sia una macchia indelebile sulla carriera e sull’immagine di un’atleta.

MAGGIO 2024 | MASTERX | 27
DOPING | SPORT

L’esercito dei followers

Ogni giorno molti sono chiamati a difendersi dai leoni da tastiera. Non sempre però un like o un follow significano mera approvazione

tro una forma aggressiva di sarcoma. Fin dalla diagnosi, avvenuta nel 2022 a seguito della scoperta di un nodulo sul collo, la cantante ha reso la sua battaglia contro il cancro pubblica.

il successo e la ricaduta

«Spero risponda a Dio mentre esala il suo ultimo respiro. Che punisca queste fecce di sionisti». È solo uno dei tanti commenti che è possibile trovare sotto il post in memoria di Catherine Janice Ipsan, in arte Cat Janice, cantante statunitense scomparsa a 31 anni lo scorso febbraio. Nessuna frase controversa sul conflitto, nessuna presa di posizione. A scatenare l’ira del web contro Catherine è stato solo un follow su Instagram. Per la precisione, quello all’account dello Stato di Israele. Questa ondata di odio arriva proprio negli ultimi giorni di vita di Cat Janice, mentre combatte con-

Le prime notizie, però, sono positive: dopo vari cicli di chemioterapia, Catherine viene dichiarata guarita. All’inizio di quest’anno l’annuncio sui social di un peggioramento. Cat Janice pubblica la sua ultima canzone Dance You Outta My Head. Per lei è speciale: vuole che diventi virale per suo figlio Loren di 7 anni, al quale lascia tutti i diritti della sua musica. Per questo si rivolge ai social, chiedendo aiuto. E TikTok risponde. Il brano rientra nella Billboard Top 50 della piattaforma. Tuttavia, in mezzo all’immenso supporto che Cat riceve, si nasconde qualche offesa. Quello che inizia come un bisbiglio di qualche creator diventa in breve un grido collettivo. Qualcuno fa notare che la cantante segue su Instagram l’account ufficiale del governo israeliano. Si sparge la voce che la cantante sia una «sostenitrice del genocidio a Gaza». Mentre monta la polemica, Cat Janice peggiora. Non si batte contro gli haters, perché spende ogni sua forza contro la malattia che poco dopo avrà la meglio. Cathe-

OVERSHARENTING

Quando le le foto dei figli diventano un pericolo

Panorami, cibo, selfie e… bambini. Nell’era del social sharing, ogni dettaglio della nostra vita diventa un contenuto da dare in pasto al web in cambio di qualche like. Ma spesso si sceglie anche per chi non può. Ormai i bambini sbarcano sui social prima ancora di essere nati. Dalle foto delle ecografie ai video dei gender reveal party, per poi coprire tutte le principali tappe della vita del minore. La Società Italiana di Pediatria stima che in anno un genitore condivida in media 300 foto dei figli. Un fenomeno chiamato sharenting, da share - condividere - e parenting - essere genitori. Il più grande pericolo riguarda la diffusione di foto su siti pedopornografici. Secondo uno studio della Commissione australiana per la sicurezza online, il 50% dei contenuti che circolano su questi portali è “rubato” dai social e dai post dei genitori. Attenti anche al furto di identità e di dati sensibili. Quando la condivisione diventa eccessiva si parla poi di oversharenting. Costruire un “dossier digitale” del bambino, oltre che offrire il fianco a bullismo e cyberbullismo, può anche avere ripercussioni psicologiche sui minori. Ma soprattutto, condividere ogni secondo di vita dei bambini equivale a privarli di un diritto: quello di costruirsi da soli la propria identità. R.S. e G.S.

rine se ne va e tutto ciò che resta di lei online è una reputazione distrutta. Un ricordo distorto, costruito da persone che non la conoscono ma che comunque hanno deciso chi era e in che cosa credeva.

un cuore diviso in quattro

I social sono capaci di glorificare e distruggere sulla base di un like o un follow. In un solo minuto - secondo l’infografica annuale Data never sleeps - su Facebook vengono messi più di 4 milioni di like. In un giorno su Instagram vengono compiute più di 3,5 miliardi di azioni. Ma noi siamo davvero le nostre interazioni? Non sappiamo perché Cat Janice seguisse Israele. Il suo follow non è sinonimo di schieramento contro il popolo palestinese. Proprio come seguire sui social un politico non significa condividerne i valori e appoggiarne ogni pensiero. In altre parole, un like o un follow non significano sempre e solo cieca approvazione. Quindi, con che criterio compiamo queste azioni? Secondo il modello delle quattro orecchie di Schulz Von Thun, possiamo individuare quattro categorie di motivazioni: quella di relazione, quella di rilevanza, quella di contenuto e quella di appello. Nella prima casistica rientrano i “mi piace” messi per mostrare o consolidare relazioni sociali, mentre nella seconda quelli utilizzati per esprimere approvazione per il messaggio, per semplice empatia o per interessi comuni. Nel caso delle motivazioni di appello rientrano i like per auto-promuoversi o ottenere in cambio approvazione. Infine, le motivazioni di rilevanza comprendono il semplice gradimento del contenuto o la volontà di segnalarne la presa visione. Tuttavia, questo modello non prende in considerazione le motivazioni non comunicative che ci spingono a mettere like. Spesso, infatti, interagiamo con un contenuto solo per abitudine, quasi per un riflesso involontario e senza ragioni specifiche. Altre volte lo facciamo perché condizionati dai “mi piace” degli altri. Infine, spesso lo facciamo per raccogliere informazioni, per continuare a riceverle o per renderle facilmente reperibili.

leoni da tastiera

Il linguaggio utilizzato sui social apre le porte a infinite interpretazioni, che purtroppo in alcuni casi possono avere una connotazione negativa e dare origine a gogne mediatiche. La capacità di analisi del contesto è infatti l’elemento mancante in vicende come quella di Cat Janice. Un topic fortemente discusso, quello della gogna mediatica, che è stato ripreso anche dal giornalista e scrittore inglese Jon Ronson ne I giustizieri della rete. La pubblica umiliazione ai tempi di Internet. Pubblicato nel 2015, mostra come Facebook e Twitter – i social più utilizzati all’epoca – fomentassero i peggiori istinti moralizzatori delle persone, dando luogo a ciò che conosciamo come gogna pubblica. Una situazione che ad oggi purtroppo non sembra migliorare.

28 | MASTERX | MAGGIO 2024
Di Rebecca Saibene e Giulia Spini
TECNOLOGIA | SOCIAL MEDIA

Il potere di un solo click

Il problema del consenso ai dati personali e delle violazioni della privacy è attuale. Ma quanto valgono queste informazioni?

Ci è successo un milione di volte. Entriamo in un sito web per iscriverci, per vedere un video, leggere una notizia, una ricetta di cucina, un tutorial. E pochi secondi dopo essere dentro si apre una finestra pop-up. “Accetta i cookies”, “Accetta il trattamento dei dati personali”, “Continua senza accettare”, “Accetta tutto”: chiunque navighi su Internet legge queste frasi più volte al giorno. Ma cosa significa davvero dare – o non dare – il consenso al trattamento dei propri dati personali a un sito web? E perché è una domanda così cruciale per le aziende e i consumatori del web?

biscotti d’identità

Il consenso dei dati personali si riferisce all’autorizzazione esplicita e informata che un individuo fornisce prima che le sue informazioni personali siano raccolte, elaborate o condivise da siti, applicazioni o servizi digitali. Questo principio è fondamentale per garantire che gli utenti mantengano il controllo sui propri dati, in linea con normative come il GDPR (General Data Protection Regulation) dell’Unione Europea applicato dal 25 maggio 2018. Secondo il GDPR i dati personali si riferiscono a qualsiasi informazione che possa identificare direttamente o indirettamente un individuo, come nomi, indirizzi, mail e indirizzi IP. La maggior parte di queste rilevazioni, utilissime

per le aziende, avviene attraverso i cosiddetti cookies. Si tratta di piccoli file di testo memorizzati sul dispositivo del consumatore. Essi consentono ai siti web di ricordare informazioni su chi visualizza e interagisce con le loro pagine, in che modo lo fanno o quanto indugiano su determinate parti della pagina.

rivenditori di dati

I cookies sono essenziali per alcune funzionalità del sito web. Per esempio in un sito di e-commerce sono indispensabili per permettere alla pagina di ricordare quali articoli hai aggiunto al tuo carrello prima di ordinarli. Ma se da un lato ci aiutano, dall’altro i cookies più pericolosi possono tenere traccia di quali siti web hai visitato per dedurre caratteristiche, gusti e preferenze su di te. Tutte queste informazioni sono poi catalogate e riordinate in vari database. Enormi banche dati gestite, rivendute e perfezionate dai data brokers. Al mondo ce ne sono almeno 4mila, alcuni molto più grandi degli altri. Sono i cosiddetti super data brokers: Acxiom, Nielsen, Oracle, Experian e Salesforce. Solo Acxiom ha all’attivo 23mila server il cui unico scopo è acquisire e analizzare dati personali dei consumatori attraverso circa 3mila data points a persona.

dentro la tana del coniglio

Gli agglomerati di dati sono venduti un’infinità di volte tramite la sola accettazione iniziale dei cookies

in Europa, dietro ai dati c’è un’economia da 184 miliardi di euro l’anno. Lo dice il rapporto del 2020 sul Valore economico dei dati aperti dell’Unione europea. Un’economia destinata a crescere a dismisura. Secondo le previsioni contenute nel documento, infatti, il commercio dietro ai dati personali raggiungerà un valore compreso tra 199 e 334 miliardi di euro entro la fine del 2025. E per vendere queste informazioni si tengono delle vere e proprie aste tra broker. Qui gli agglomerati di dati sono venduti e rivenduti un numero infinito di volte, tramite sola accettazione dei cookies iniziale dell’utente, ignaro di tutto questo procedimento. In Europa le tiene un ente privato belga – lo Iab – che il 7 marzo 2024 è stato fermato dall’Ue. Il suo commercio, infatti, andava contro le norme contenute nel Gdpr.

per pochi spiccioli

Un report di maggio 2021 della Taskforce on Innovation, Growth and Regulatory Reform del Regno Unito ha calcolato che, in media, una mail possa valere fino a 89 dollari, e che i dati registrati e ottenuti nel tempo da una persona valgono sul mercato in media fra i 2mila e i 3mila dollari. Una cifra che dà una prospettiva inedita sul potere che esercita un singolo click sulle nostre vite e sull’economia virtuale. Solo

Da tenere in considerazione, in quest’ottica, ci sono anche le società online che pagano piccole somme agli utenti che rispondono ai loro sondaggi. Siti come PollPay e MultiPolls. In quest’ultimo i pagamenti per ogni sondaggio possono variare da 5-6 centesimi, fino a quasi un euro. Uno dei modi più aperti – e al tempo stesso più scaltri – per estorcere informazioni ai consumatori. Ma davvero la prospettiva di accumulare un’elemosina da pochi centesimi è un impulso adeguato per indurci a sbandierare informazioni?

Magari le stesse informazioni che, nella vita reale, eviteremmo di dire a degli sconosciuti? La prassi, comunque, è che per ottenere ciò che vogliamo da un sito, siamo spesso “spinti” ad accettare il trattamento dei dati personali imposto dal sito stesso. Una dinamica che, per il momento, possiamo soltanto subire. Ma della quale è bene essere consapevoli.

MAGGIO 2024 | MASTERX | 29
ATTENTI A Basta cliccare “Acconsento” per dare il via a una vendita a catena di dati ACCETTO Secondo una ricerca, il mercato antiprivacy nel 2025 varrà almeno 200 miliardi
PRIVACY | TECNOLOGIA
ACCONSENTO. Acxiom, big del data marketing, usa 23mila server per acquisire informazioni

Accesso negato, ritenta

Dal rifiuto di Apple allo sblocco dello smartphone di un terrorista, si è ormai accesa la disputa tra chi tiene alla sua privacy e chi preferisce la sicurezza

Apple ha avuto il coraggio (o forse la faccia tosta) di dire “no” all’FBI, l’agenzia federale investigativa statunitense. Non voleva tradire il suo punto di forza: la privacy degli utenti. Siamo a fine 2015 e la California è sconvolta per l’attacco terroristico in cui, a San Bernardino, 14 persone rimasero uccise e 22 ferite in una sparatoria di massa. A compiere l’attentato una coppia che prese di mira un evento del Dipartimento della sanità pubblica e una festa di Natale. I due si erano radicalizzati esprimendo un impegno per il jihadismo e il martirio in messaggi privati l’un l’altro. Gli investigatori recuperarono lo smartphone di uno dei due terroristi ma si trovarono di fronte a un problema: la funzione di crittografia avanzata del sistema operativo iOS 9 di Apple cifrava tutti i dati impedendone l’accesso, e addirittura cancellando la memoria del telefono, a chiunque non fosse il proprietario. L’intelligence Usa dichiarò di non essere in grado di recuperare i dati, pertanto fu chiesto all’azienda di Cupertino di trovare un modo che violasse il sistema di sicurezza dell’iPhone. Risposta? No.

l’individuo prima della comunità?

Qui è insita la questione di morale personale (o forse più di etica collettiva) che ha portato la comunità tecnologica a dividersi. È più im-

portante raccogliere quante più prove possibili contro i criminali per arrivare a una condanna o la privacy personale travalica tutto? Una lotta che vede contrapposti il diritto alla riservatezza e la sicurezza nazionale. Apple preferì una causa legale piuttosto che “invadere” la riservatezza, anche di un terrorista, per evitare che questo episodio potesse creare un pericoloso precedente. Oltre, naturalmente, alle preoccupazioni sia economiche sia d’immagine che l’azienda avrebbe subìto se a ogni richiesta delle autorità i telefoni dei loro clienti avrebbero potuto essere spiati. Anche perché nell’era in cui i dati personali sono la priorità per la grande maggioranza delle persone, la sicurezza informatica diventa il principio cardine che tiene in piedi le aziende. Ancora di più quelle tecnologiche.

Più è difficile ricavare informazioni

a guardare. Immediatamente hanno annunciato l’implementazione di nuovi software di crittografia che avrebbero reso gli smartphone ancora più sicuri. E il dibattito si è acceso ulteriormente. Le forze dell’ordine hanno espresso preoccupazione perché più diventa difficoltoso ottenere informazioni dai cellulari, più le indagini criminali diventano lunghe. Come ha affermato l’ex direttore dell’FBI James Comey: «Ci saranno zone al di fuori della portata della legge». Con il rischio che le indagini degli inquirenti possano essere private di elementi importanti: «Se noi non fossimo in grado di accedere ai telefoni dei criminali, questo cambierebbe il nostro mondo».

dai cellulari, più le indagini diventano lunghe

la stampa fa causa all’fbi L’FBI fu costretta a collaborare con la società australiana Azimuth Security per poter entrare nell’iPhone del criminale. Non era la prima volta che l’agenzia investigativa prelevava dati dagli smartphone, ma fino a quel momento le aziende produttrici dei dispositivi non erano mai state coinvolte. Il metodo con cui l’FBI riuscì a leggere il contenuto della memoria del telefono fu al centro della causa intentata da tre testate giornalistiche statunitensi, Associated Press, Vice News e USA Today contro l’agenzia federale. L’obiettivo era chiarire su quanti telefoni la soluzione alternativa di hacking potesse essere utilizzata e se l’FBI potesse adoperarla di nascosto in futuro. I federali vinsero la causa e non furono costretti a rivelare chi li avesse aiutati ad aggirare il sistema di sicurezza di iOS 9.

fra tecnologia e sicurezza

Apple e Google (che sviluppa Android, il sistema operativo concorrente) non sono rimaste

Accetteresti un biscotto da uno sconosciuto?

A ogni apertura di un sito Web dobbiamo fare una scelta: accettare o rifiutare i cookie. Questo è il risultato di una regolamentazione dell’Unione Europea del 2016 (GDPR) che vuole proteggere la privacy delle persone. Ed ecco perché il popup che ci chiede se accettarli compare in tutti i siti. Un cookie è un file che viene salvato nella memoria del PC dell’utente e memorizza le attività compiute nel sito Web. Quando premiamo “Accetta” un cookie viene scaricato nel computer e, la volta successiva che si ritorna sullo stesso sito, ne velocizza l’accesso. Questa tipologia di cookie si chiama “di prima parte”. Quelli “di terze parti” funzionano alla stessa maniera, ma condividono i dati raccolti con altri soggetti, come i social network. A quel punto, troveremo pubblicità mirata di prodotti simili a quelli che abbiamo visionato sul sito originario. Non esistono cookie “cattivi”, ma solo persone che li utilizzano per scopi volti a truffare. Ed è quindi fondamentale verificare se il sito a cui accediamo è veramente quello che vogliamo visitare. Tuttavia, se utilizziamo alcuni siti (come gli e-commerce) dobbiamo accettare per forza i cookie essenziali (di sessione) per poter sfruttare le funzioni come “aggiungi al carrello”. Ma si autoeliminano una volta chiusa la pagina!

la lotta del futuro

La lotta ai cybercriminali tramite sistemi di crittazione avanzata rischia di avere contraccolpi sul reperimento delle informazioni che vengono scambiate o memorizzate attraverso servizi di messaggistica o cloud storage. I sistemi di crittografia end-to-end impediscono la lettura dei dati anche da parte delle aziende proprietarie del servizio. Di fatto, Meta non può né leggere né tantomeno consegnare alle autorità i testi che i suoi utenti si scambiano tramite WhatsApp, Instagram e Facebook. La sfida che dobbiamo affrontare si barcamena fra il desiderio di costruire una crittografia forte per proteggere i dati personali dalle minacce informatiche e la necessità di avere un meccanismo di recupero di informazioni necessarie a garantire la sicurezza della collettività. Perché come disse l’ex presidente Usa Barack Obama dopo la disputa FBI-Apple: «Se è tecnologicamente possibile creare un dispositivo o un sistema impenetrabile, in cui la crittografia è così forte che non c’è chiave, non c’è porta, allora come possiamo arrestare la pedopornografia o sventare un complotto terroristico?».

30 | MASTERX | MAGGIO 2024
Di Andrea Di Tullio
TECNOLOGIA | PRIVACY

Colpevole di libertà

La prima Medaglia d’Oro mai conferita dall’Università Iulm

è quella insignita al designer Gaetano Pesce. Una cerimonia

In memoriam ricamata dai ricordi degli amici e dei parenti

Di Umberto Cascone

«Quando l’ho chiamato era commosso. Un’onorificenza? A lui? Che di premi e riconoscimenti ne ha avuti sempre pochissimi?». Inizia così il ricordo del rettore Gianni Canova, in un Auditorium IULM immerso in un silenzio irreale. Sono moltissime le persone che hanno scelto di riunirsi per ricordare Gaetano Pesce, maestro italiano dell’arte e del design del secondo Novecento, morto lo scorso 3 aprile.

ricordi e medaglie

Una serata, quella del 16 aprile, che doveva essere una festa, un’occasione per incontrare una personalità poliedrica come quella di Pesce. A metà febbraio il Senato accademico gli aveva conferito all’unanimità la Medaglia d’Oro per «l’innovazione, la comunicazione e l’eccellenza culturale». Un riconoscimento accademico nuovo, inedito, che un po’ lo spaventava, come ricorda il rettore Canova: «Mi disse chiaramente: “Va bene la medaglia, ma niente toghe!”». Sono molti gli amici e i colleghi che si danno il cambio sul palco per ricordare Pesce. Apre le danze Silvana Annicchiarico, design curator, che ricorda il carattere focoso e il rifiuto di qualunque etichetta che ha sempre caratterizzato il maestro. «Ha fatto di sé stesso un ossimoro vivente: era materico e concettuale, filosofico e pragmatico». Un tema ripreso dal preside della Facoltà di Arti e Turismo

IULM, Vincenzo Trione: «Non parlava né di arte, né di architettura, né di design. Tutto per lui doveva essere sporco, imperfetto». C’è spazio per i ricordi più personali, degli amici: Gilda Bojardi (direttrice di Interni), Luisa Delle Piane (gallerista), Aurelio Magistà (giornalista di Repubblica), Luca Fuso (CEO di Cassina), Romeo Sozzi (Promemoria e Bottega Ghianda). E dei collaboratori più stretti: Giulia Tosciri (responsabile del suo studio a New York), Alessandro Byther (che coordina il workshop nella Grande Mela) e Giuliano Caimi.

la lotta del futuro

Un ricordo vivido, scevro dalle memorie professionali, lo consegnano altri due amici: Giampiero Mughini («Vivergli accanto era una meraviglia») e Vittorio Sgarbi («Con lui il gioco prendeva il posto della serietà. E io non troverò più un compagno di giochi come lui»). In chiusura, il professor Canova torna sul palco accompagnato da Milena e Jacopo, i figli di Gaetano Pesce. Sono loro, con occhi lucidi e arrossati, a ricevere la Medaglia d’Oro. Nel silenzio della sala, così simile a quello del design italiano all’indomani della morte del maestro, risuona la sentenza del rettore: «Pesce era un uomo libero: la colpa più grave in un Paese come il nostro, che da troppo tempo premia l’appartenenza più che l’intelligenza». Un applauso chiude la serata mentre dal palco, per la prima volta dall’inizio del memoriale, Milena e Jacopo sorridono.

LA MOSTRA IULM, ecco il teatro magico di Villoresi

Una nuova avventura per l’arte in IULM. Il 15 aprile è stata inaugurata, in Exhibition Hall, la mostra Le avventure della visione di Virgilio Villoresi. Visitabile fino al 15 maggio, l’allestimento va ad arricchire TAM TAM, il Museo diffuso della Comunicazione dell’Università IULM inaugurato lo scorso ottobre.

La mostra si lega a doppio filo alla parola dell’anno 2024, scelta dagli studenti dell’Ateneo: “Avventura”. Villoresi, fiesolano classe 1980, realizza le sue opere audiovisive in maniera artigianale, attingendo a tecniche e apparecchiature del XIX e XX secolo, ormai datate, per generare una narrazione che leghi in maniera inestricabile passato e presente. Un teatro magico che porta il visitatore in un mondo a tratti onirico, eppure del tutto riconoscibile.

Le avventure della visione si inserisce negli eventi IULM dedicati a Fuorisalone 2024, il calendario di iniziative che costellano la città di Milano nella settimana del Salone del Mobile che va dal 15 al 21 aprile. Nello stesso ambito, sempre il 15 aprile, è stata inaugurata l’opera Il pensatore di Ugo Nespolo, già impegnato nel progetto TAM TAM. La gigantesca figura, ispirata all’omonima statua bronzea di August Rodin e alla silohuette esposta nell’atrio di IULM 1, è stata collocata di fronte all’ingresso principale dell’Ateneo milanese.

MAGGIO 2024 | MASTERX | 31
EVENTI | IULM
IL PREMIO. Milena e Jacopo Pesce (sx e centro) ricevono da Silvana Annicchiarico la Medaglia d’Oro A cura di Umberto Cascone

Aristotele (IV secolo a.C.)

Per lui la scelta è un atto razionale, diverso dal desiderio perché sempre orientato verso un fine specifico. Precede dunque l’azione, non è un impulso spontaneo e dimostra la volontà razionale dell’uomo di vivere secondo la virtù. Per il filosofo, il fine di ogni azione è il bene. Per questo, la scelta deve riguardare i mezzi per raggiungere il massimo bene e non può prescindere dalla ragione.

David Hume (1711-1776)

Sostiene che il concetto di scelta sia legato all’esperienza e alla percezione individuale.

Secondo Hume, le decisioni sono il risultato di desideri e inclinazioni personali invece che di volontà indipendenti.

Critica l’idea di una libertà assoluta nella volontà, proponendo che ogni scelta sia condizionata dal passato e dalle impressioni sensoriali, che influenzano le nostre azioni future.

Epicuro (IV-III sec. a.C.)

Considerava la scelta come strumento fondamentale per raggiungere l’atarassia, uno stato di serenità interiore. Per lui, la scelta è guidata dal desiderio di evitare il dolore e perseguire il piacere, per raggiungere una vita moderata e riflessiva. Il saggio sceglie ciò che porta a un piacere duraturo, evitando piaceri effimeri che causano sofferenze future, cercando una vita di saggezza e autorealizzazione.

Friedrich Nietzsche (1844-1900)

Martha Nussbaum (1947-) Sostiene la capacità di scelta come aspetto fondamentale della dignità e del benessere. Secondo lei, le scelte devono essere supportate da una struttura sociale che garantisca alcune “capacità”, come l’educazione e la salute, per permettere agli individui di realizzare pienamente il loro potenziale umano. Le scelte sono quindi piena espressione di libertà personale.

Buddha (VI sec. a.C.)

Secondo lui, le scelte sono centrali nel cammino verso l’illuminazione.

Ogni scelta può condurre al karma, una forza che deriva dalle azioni passate e influisce su quelle future. Il Buddha insegna che la giusta intenzione è essenziale per fare scelte che liberino dal desiderio, fulcro della sofferenza umana. Meditando, gli individui possono sviluppare la saggezza per raggiungere la pace interiore.

Esplora le scelte attraverso l’idea di “volontà di potenza”, sostenendo che sono mosse dal desiderio di affermazione e superamento di sé. Scegliere non è solo selezione tra opzioni, ma è un’espressione dell’individuo che cerca di imporre i propri valori al mondo. Nietzsche critica le convenzioni morali come limitazioni alla libertà, perché solo scegliendo l’individuo può diventare chi veramente è.

Michael Sandel (1953-) Nel suo libro What Money Can’t Buy, Michael Sandel attua una critica morale sulla pervasività del mercato nella sfera delle scelte personali, argomentando che alcune cose nella vita dovrebbero essere al di fuori del dominio del mercato stesso, perché l’etica non può essere comprata o venduta. L’autore mette in discussione la qualità della scelta in un’era dominata dal capitalismo.

Una scelta arbitraria

Ripercorrere l’evoluzione del pensiero umano intorno ai concetti di “scelta” e “libero arbitrio” a partire da undici filosofi: chiaramente una scelta arbitraria, la nostra. Sono molti altri, infatti, i ricercatori che hanno dato contributi fondamentali su questi temi: i matematici Pascal, Fermat e Bayes tra ‘600 e ‘700 hanno iniziato gli studi sul calcolo delle probabilità e sulla statistica, alla base della teoria della decisione. E gli psicologi Kahneman (Nobel nel 2002) e Tversky, pionieri della teoria della scelta in economia, e Thaler (Nobel nel 2017) e Sunstein negli studi di economia comportamentale. E i neuroscienziati Damasio e LeDoux, studiosi dei rapporti tra cervello emotivo e cervello razionale nel “decision making”. Oltre a sociologi, antropologi, studiosi di scienza politica e altri ancora. Marco Capovilla – docente Master in Giornalismo IULM

Epitteto (I-II sec. d.C.)

Crede che la scelta sia centrale nella filosofia stoica, che sostiene il controllo sulle proprie reazioni interne piuttosto che sugli eventi esterni. Secondo lui la libertà deriva dalla capacità di scegliere. Per il filosofo, è importante saper distinguere tra ciò che è in nostro potere e ciò che non lo è. La saggezza e la serenità dipendono, dunque, dalla capacità di saper accettare le cose che non possiamo controllare.

Jean-Paul Sartre (1905-1980)

Esistenzialista, afferma che l’essere umano è condannato a essere libero: ogni scelta è un atto di creazione del sé. Per Sartre, non esistono natura umana o sorti predefinite. Ogni individuo è completamente responsabile delle proprie decisioni. Questa libertà assoluta è tanto liberatoria quanto angosciante, poiché ogni scelta modella l’essenza dell’individuo e il suo rapporto con il mondo.

Judith Butler (1956-) Conosciuta come la filosofa dell’identità di genere, Judith Butler esamina le scelte sostenendo che molte di esse, specialmente quelle legate all’identità personale, sono in realtà costruite socialmente e meno autonome di quanto si possa pensare. L’identità, dunque, non è una decisione individuale, ma è un atto di espropriazione del sé, che deve farsi sociale per appropriarsi della propria natura.

Al-Ghazali (1057-1111)

Interpreta la scelta attraverso la lente della moralità e della spiritualità. Sostiene che debba essere guidata dalla ricerca di una vita in accordo con la volontà di Dio, poiché solo così si possono raggiungere la verità e la felicità eterna. La capacità di scegliere correttamente si affina attraverso la conoscenza religiosa e la pratica spirituale, essenziali per il discernimento tra il bene e il male.

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