Paolo Giovannetti (Critica del linguaggio giornalistico II)
Luca De Vito (Cronaca locale e Produzione multimediale I e II)
Alessandro Galimberti (Deontologia e copyright)
Alessio Lasta (Reportage televisivo)
Stefania Lazzaroni (Comunicazione istituzionale)
Paolo Giovannetti (Critica del linguaggio giornalistico)
Alessio Lasta (Reportage televisivo)
Nino Luca (Videogiornalismo)
Stefania Lazzaroni (Comunicazione istituzionale)
Bruno Luverà (Giornalismo Tv)
Nino Luca (Videogiornalismo)
Bruno Luverà (Giornalismo Tv)
Caterina Malavenda (Diritto penale e Diritto del giornalismo)
Caterina Malavenda (Diritto e procedura penale)
Matteo Marani (Giornalismo sportivo)
Matteo Marani (Giornalismo sportivo)
Anna Meldolesi (Giornalismo scientifico)
Anna Meldolesi (Giornalismo scientifico)
Alberto Mingardi (Giornalismo e politica)
Alberto Mingardi (Giornalismo e politica)
Micaela Nasca (Redazione digitale e Laboratorio di pratica televisiva)
Micaela Nasca (Laboratorio di pratica televisiva e laboratorio televisivo e riprese video)
Matteo Novarini (Storia del giornalismo)
Matteo Novarini (Storia del giornalismo)
Elisa Pasino (Tecniche dell’ufficio stampa)
Elisa Pasino (Tecniche dell’ufficio stampa)
Enrico Palumbo (Storia contemporanea)
Enrico Palumbo (Storia contemporanea)
Quand’è che abbiamo smesso di crescere di Ettore Saladini
L’inganno dei sussidi di Alessandro Dowlatshahi
Un fiocco azzurro dopo 30 anni di Cosimo Mazzotta
Infertilità: è l’età che conta sul serio di Glenda Veronica Matrecano
Mappa
Mondo che invecchia, mondo che cresce
Non si è mai in troppi per essere felici di Rebecca Saibene, Davide Aldrigo «Essere una buona madre significa essere una donna di successo» di Elena Betti, Elena Cecchetto
L’infertilità come il lutto di Elena Betti, Elena Cecchetto
Una parte del mondo che cresce di Francesca Neri
Martina Pennisi (Social Media Curation I)
Martina Pennisi (Social Media Curation I personal branding)
Aldo Preda (Giornalismo radiofonico II)
Aldo Preda (Giornalismo radiofonico II)
Davide Preti (Tecniche di montaggio)
Davide Preti (Tecniche di ripresa digitale I e II)
IULM per tutti con “IULM for the city” di Pietro Santini, Riccardo Severino 3 5 8 10 12 14 16 20 22 24 26
Roberto Rho (Giornalismo economico e Giornalismo quotidiano)
Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza)
Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza)
Federica Seneghini (Social Media Curation II)
Federica Seneghini (Social Media Curation II)
Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia)
Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia)
Marta Zanichelli (Publishing digitale)
Marta Zanichelli (Publishing digitale)
Vittoria Giulia Fassola Master in Giornalismo
LA DENATALITÀ SI
COMBATTE INVESTENDO SULLE
DONNE
Nel 1968 Paul e Anne Ehrlich, nel loro libro The Population Bomb, scrissero: «Dobbiamo iniziare immediatamente ad attuare misure per ridurre la crescita della popolazione umana». Parole che, lette oggi, in un’epoca in cui gli asili vengono sostituiti dalle case di cura e i punti nascita chiudono per inattività, suonano quasi distopiche.
Eppure, c’è stato un tempo in cui si temeva che la crescita demografica incontrollata, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, avrebbe portato a carestie, conflitti per le risorse e a un generale declino della qualità della vita.
Dalle previsioni di caos smodato si è passati, ora, a un silenzioso inverno demografico. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2100 l’Italia avrà venti milioni di abitanti in meno rispetto a quelli attuali.
Una prospettiva drammatica che l’ex premier Mario Draghi ha riassunto nel 2021 definendo il Bel Paese del futuro uno «Stato che scompare». E come contrastare questo declino demografico?
Le nazioni di tutto il mondo stanno cercando risposte. Alcuni paesi puntano su incentivi economici per sostenere le famiglie; altri su congedi di maternità più flessibili e retribuiti; altri ancora investono in campagne mediatiche per promuovere la genitorialità. Misure che, sebbene nobili, ignorano un fattore cruciale: le donne.
Con l’aumento dell’accesso all’istruzione, al lavoro e ai diritti civili, come l’aborto, anche la concezione della maternità è cambiata. L’idea che essere madri sia la massima espressione della realizzazione personale di una donna è stata messa in discussione. Oggi si studia di più, si lavora più a lungo e la possibilità di avere figli, o di non averne affatto, è diventata una scelta consapevole. Un privilegio inestimabile che, però, porta con sé una nuova sfida: quella di essere davvero libere di fare ciò che vogliamo.
In una società dove la decisione di diventare madri, o meno, continua a essere oggetto di giudizio, è fondamentale ascoltare il proprio istinto. Perché, a ben vedere, la citazione di Mario Draghi era incompleta: «L’Italia senza figli è uno Stato che scompare», è vero, ma prima di questo Draghi ha detto anche: «Lo Stato investa sulle donne». Ed è forse qui che risiede la chiave per invertire la rotta.
Giulia Spini
Master in Giornalismo
MATERNITÀ O
LAVORO: ACCORDO (IR)RAGGIUNGIBILE
L’Italia invecchia. Un dato ormai consolidato che ci pone di fronte a una sfida demografica senza precedenti. Le culle vuote aumentano sempre di più, e le cause di questa denatalità sono molteplici: l’instabilità economica, la difficoltà a conciliare vita privata e professionale, il caro vita, e molto altro.
Ma la questione più critica riguarda i diritti delle donne e il loro ruolo nella società. Secondo Sfera Media Group, otto donne su dieci dichiarano di aver subìto conseguenze negative sulla vita lavorativa dopo la nascita di un figlio, dovute alla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. Simone de Beauvoir diceva: «Essere donna non è un dato naturale, ma il risultato di una storia.
Maternità: obbligo morale o scelta personale?
Non c’è un destino biologico e psicologico che definisce la donna in quanto tale.
Tale destino è la conseguenza della storia della civiltà». Per troppo tempo, la maternità è stata vista come un destino ineluttabile, un obbligo sociale che limitava le aspirazioni e le libertà delle donne.
Molte di loro si sentono obbligate a mettere al mondo un figlio solo per rispondere alle aspettative della società o della famiglia.
La controtendenza da mettere in atto è garantire a tutte le donne le condizioni necessarie per poter esercitare questo diritto. Insegna la Spagna con sedici settimane di congedo parentale per entrambi i genitori.
È chiaro che si debba intervenire su più fronti. Innanzitutto, è fondamentale promuovere politiche familiari che sostengano concretamente le famiglie con figli, offrendo servizi di conciliazione vita-lavoro, asili nido accessibili e un sistema di congedi parentali più flessibile. Solo attraverso un’attuazione concreta di politiche sociali innovative e di una profonda trasformazione culturale potremo costruire una società più equa, in cui le donne possano realizzare pienamente le proprie aspirazioni, sia personali che professionali.
La crisi demografica che l’Italia sta affrontando è un’opportunità per riflettere sul nostro modello di società e per costruire un futuro migliore per le nuove generazioni.
Per concludere con una citazione di Malala Yousafzai: «Ho alzato la voce, non in modo da poter urlare, ma in modo da poter far sentire quelli senza voce. Non possiamo avere successo quando metà di noi rimane indietro».
Nel 2100 l’Italia avrà venti milioni di abitanti in meno rispetto a quelli attuali
Fonte: Upixa
QUAND’È che abbiamo smesso di crescere
Dall’ottimismo del baby boom alla crisi demografica. L’Italia è da più di trent’anni un Paese a crescita zero, in cui il numero di morti supera annualmente quello delle nascite
Di Ettore Saladini
È il 1993. Enrico Ruggeri trionfa al Festival di Sanremo con Mistero. La Juventus vince la sua terza Coppa Uefa grazie ai gol di Dino e Roberto Baggio. Muore Federico Fellini. La Prima Repubblica crolla sotto i colpi di Mani Pulite. La Strage di via Palestro. La nascita dell’Unione Europea con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht.
Nella confusione degli eventi, si registra una svolta fondamentale anche nella demografia del nostro Paese. Per la prima volta nella storia, infatti, le morti superano le nascite. Il numero di decessi raggiunge quota 585.000 mentre i neonati si fermano a 549.000. Un saldo naturale negativo di 36.000 unità. Nel 1993 l’Italia diventa per la prima volta un Paese a “crescita zero” e lo rimarrà fino a oggi, con un’unica eccezione nel 2004.
Il declino naturale della popolazione da quell’anno si consolida come una tendenza stabile. Ultimo record negativo, nel 2023, quando sono nati 379.890 bambini, 13mila in meno rispetto al 2022, con un saldo naturale negativo di 281.000 unità. Il che significa che per ogni 1.000 residenti sono nati poco più di sei infanti. Un trend che sta proseguendo anche nel 2024. Tra gennaio e luglio si sono registrate 4.600 nascite in meno rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente.
1946-1964: il baby boom
Se il 1993 è stato il primo vero annus horribilis per la demografia italiana, il 1964 è stato l’esatto opposto. È, infatti, il periodo in cui l’Italia ha raggiunto il record di nascite della sua storia: 1milione e 35.207 nati.
dentali fino alla metà degli Anni ’60. L’Italia, per usare un eufemismo, usciva con le ossa rotte dalla Seconda guerra mondiale e si avviava verso una fase di ricostruzione, guidata da un diffuso senso di speranza e di fiducia nel futuro. Fattori che si riflessero in famiglie numerose e in un aumento costante della popolazione che passò dai 45 milioni del 1950 ai 50 milioni del 1965.
Nel 1946, il tasso di natalità si attestava già a un robusto 19,1 bambini ogni 1000 abitanti. Negli anni successivi rimase su valori simili: 19,3 nel 1950, 18,8 nel 1955, 18,4 nel 1960 e 18,2 nel 1964. Tradotto, ogni anno nascevano più di 1 milione di bambini e le famiglie avevano mediamente tra i 2,5 e i 3 figli.
Una crescita spinta da diverse ragioni. L’Italia stava vivendo il cosiddetto “miracolo economico”. Il tessuto sociale del Paese venne trasformato da una rapida industrializzazione che garantì un miglioramento delle condizioni di vita.
Inoltre, la società dell’epoca era ancora fortemente influenzata da valori tradizionali e cattolici. La famiglia patriarcale era considerata un pilastro fondamentale e il ruolo della donna era strettamente legato alla maternità e alla cura della casa. La contraccezione era poco diffusa e l’aborto era ancora illegale.
Le coppie si sposavano molto giovani, l’età media al primo matrimonio era intorno ai 23 anni per le donne e 26 anni per gli uomini.
il declino degli anni ‘70 e ‘80
Il decennio successivo segna un calo drastico delle nascite. Nel 1970, il tasso di natalità è di 16,6 bambini ogni 1000 abitanti, nel 1975 scende a 14,5, nel 1980 a 12,6 e alla fine del decennio declina vorticosamente a 10.
Il 1964 chiude un periodo conosciuto in demografia con la locuzione “baby boom”. Ovvero, l’improvviso aumento demografico che ha investito nel dopoguerra i Paesi occi- >
In questo contesto, il cambiamento è guidato
I CASI
L’Italia dal boom al declino
1. BABY BOOM (1946-1965)
Tra il 1946 e il 1964, spinto dal miracolo economico, dai valori tradizionali e dalla fiducia nel futuro, il tasso di natalità supera i 19 nati ogni 1.000 abitanti. Nel 1964 si tocca il record di 1 milione e 35.207 bambini. Le famiglie sono numerose, con 2,5/3 figli in media. Tra il 1950 e il 1965 la popolazione italiana cresce da 45 milioni a 50 milioni.
da una vera e propria rivoluzione sociale in cui ha avuto un ruolo chiave l’emancipazione femminile. Molte donne preferivano posticipare la maternità oppure scegliere di avere meno figli, aiutate anche dalla disponibilità di metodi contraccettivi e dall’approvazione della legge sull’aborto nel 1978.
Al tutto, si aggiungono anche un inedito bisogno di autorealizzazione personale, estraneo a molte persone durante il baby boom, e l’aumento dei costi per crescere un figlio legato all’instabilità economica degli Anni ’70. Insomma, uomini e donne diventano maggiormente consapevoli e responsabili delle loro scelte riproduttive. Le coppie cominciano a sposarsi più tardi e a preferire famiglie più piccole.
gli anni ‘90: le culle vuote
Negli Anni ‘90 entra nelle case degli italiani l’espressione “culle vuote”. La soglia simbolica dei 10 bambini ogni 1000 abitanti toccata alla fine del decennio successivo viene abbattuta nel 1990 quando scende a 9,9 fino ad arrivare, gradualmente, ai 9,3 bambini del 1999. Anche il numero medio di figli per donna tocca un minimo storico, arrivando a 1,19 nel 1995, uno dei livelli più bassi al mondo e più basso dell’attuale 1,20.
La società stava cambiando profondamente. Molti giovani si trovavano ad affrontare un mercato del lavoro sempre più precario, con poche certezze economiche e scarse opportunità di stabilità. Le coppie decidevano di sposarsi più tardi e spesso rinviavano la scelta di avere figli. Inoltre, si diffusero nuovi modelli familiari, come le convivenze al posto dei matrimoni tradizionali.
A questi fattori si aggiungono anche cambiamenti culturali e sociali. La ricerca di una realizzazione personale e professionale, soprattutto da parte delle donne, diventa una priorità. Il desiderio di indipendenza e la difficoltà a conciliare lavoro e famiglia contribuiscono ulteriormente al calo delle nascite.
il nuovo millennio e un tentativo di ripresa
Con il nuovo millennio e il tasso di natalità inizia lentamente a risalire. Nel 2004, per la prima volta dal 1993, il saldo naturale torna
Negli Anni ’70 la natalità cala drasticamente, fino ad arrivare a 10 nati ogni 1000 abitanti del 1980. Un declino causato da una rivoluzione sociale.
Emancipazione femminile, uso di contraccettivi, la legge sull’aborto nel 1978. Le coppie posticipano i matrimoni, preferiscono famiglie più piccole.
positivo. Nascono 564.599 bambini e muoiono 546.658 persone. Un saldo pari a 15.941 unità. Dall’anno successivo, l’Italia torna a essere un Paese a crescita zero, ma le nascite continuano lievemente ad aumentare. Nel 2005, si toccano i 9,8 bambini per 1000 abitanti fino a raggiungere i 10 del 2008. Aumenta di conseguenza anche il numero medio di figli per donna che arriva all’apice degli 1,45 dello stesso anno. Quest’inversione di tendenza è dovuta in gran
IL GRAFICO
Trend simile, numeri diversi
Il tasso di natalità in Italia dal 1950 a oggi ha seguito un declino costante
Fonte: UN,World Population Prospects
Il tasso di fertilità è calato. Dopo il boom negli Anni ‘60, il numero di figli per donna è passato da 2,6 circa all’attuale 1,20
Fonte: UN,World Population Prospects
parte all’apporto della migrazione. Le donne straniere avevano tassi di fecondità più elevati rispetto alle italiane. Molte famiglie di immigrati contribuirono a sostenere il numero delle nascite, mentre per le donne italiane il tasso rimase comunque basso, intorno a 1,3 figli per donna.
La crescita economica dei primi anni 2000 porta un po’ di ottimismo, ma le sfide legate alla precarietà lavorativa e alla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia erano ancora presenti. È stato solamente un momento di transizione, come sarebbe apparso evidente negli anni successivi.
il declino attuale (2010-2024)
A partire dal 2010, infatti, le nascite tornano a calare, continuando a diminuire negli anni successivi. Nel 2015 il tasso di natalità si attesta agli 8 bambini, nel 2019 scende a 7,3 fino ad arrivare all’ultima rilevazione ISTAT del 2023 quando i neonati ogni 1000 abitanti sono solamente poco più di 6.
Ovviamente, è sceso anche il numero medio di figli per donna che nel 2023 ha toccato l’1,20 con un’età media del primo parto a poco più di 32 anni. È uno dei dati più bassi del mondo, insieme a quelli della Corea del Sud (0,72), di Taiwan (1,11), di Malta (1,13) e della Spagna (1,2). Il livello necessario per raggiungere la sostituzione generazionale dovrebbe essere quasi il doppio, pari a 2,1 figli per donna. Senza dubbio, a interrompere la crescita dei primi Anni 2000 è intervenuta crisi economica del 2008, lasciando molte coppie nell’incertezza finanziaria. La precarietà lavorativa e la mancanza di politiche familiari efficaci scoraggiano ulteriormente le nascite. La situazione diventa ancora più critica con la pandemia di Covid-19, che nel 2020 porta a un drastico aumento dei decessi e a un ulteriore calo delle nascite. Le difficoltà economiche, i costi elevati per crescere un figlio e la scarsa disponibilità di servizi per l’infanzia hanno reso il desiderio di genitorialità sempre più difficile da realizzare per molti italiani. Un declino che sembra inarrestabile. L’Istat ha già preannunciato che il 2024 segnerà un nuovo record negativo per i tassi di natalità che proseguirà nei prossimi anni.
2. IL DECLINO DEGLI ANNI ’70 E ’80
3. GLI ANNI ’90 E LE CULLE VUOTE
Negli Anni ’90 entra nei vocabolari degli italiani l’espressione “culle vuote”. La natalità scende sotto la soglia dei 10 bambini ogni 1000 abitanti, passando a 9,9 nel 1990 e arrivando a 9,3 nel 1999. Nel 1993, per la prima volta nella storia, l’Italia diventa un Paese a crescita zero. Il numero dei morti supera il numero dei nati di 36.000 unità.
4. I PRIMI ANNI 2000
Nel 2004 il saldo naturale torna positivo (+15.941), per poi ridiventare negativo. Nel 2005 si registrano 9,8 nati per 1000 abitanti per poi salire a 10 nel 2008. Il tasso di fecondità tocca 1,45 figli per donna grazie all’impatto delle migrazioni. Tuttavia, si rivela una tendenza temporanea che sfocia in cali drastici fino ai 6,7 bambini per 1000 abitanti del 2023.
Anche l’UE fa fatica
Crollano i tassi di natalità e di fecondità europei, ma la popolazione cresce grazie alle migrazioni
Di Ettore Saladini
Secondo l’ultima rilevazione di Eurostat, nel 2023, nei 27 Paesi membri sono nati complessivamente 3,665 milioni di bambini, a fronte di una popolazione di 448,8 milioni di abitanti. Si tratta di un doppio record negativo. Da un lato, è il numero più basso di nascite mai registrato dal 1961, anno di inizio dei censimenti europei. Dall’altro, è anche il più grande calo annuale nella storia demografica dell’UE, con una diminuzione del 5,5% rispetto al 2022, quando i bambini nati erano 3.879.509. Un dato che era già ben al di sotto dell’obiettivo di 4 milioni previsto dalle proiezioni demografiche a lungo termine.
La popolazione dei 27 è passata dai 354,5 milioni del 1960 ai 448,8 di oggi, un aumento di 94,7 milioni di persone. Negli ultimi dieci anni, il tasso di crescita medio è stato di 0,6 milioni di persone all’anno, mentre negli anni del boom arrivava a circa 2,9 milioni. Secondo alcuni analisti demografici, le cause di questo calo possono essere rintracciate in fattori comuni a tutti gli Stati membri, come il cambiamento climatico, l’incertezza lavorativa, economica e politica, la pandemia e l’aumento vertiginoso dell’inflazione degli ultimi anni. Fattori che si riflettono direttamente anche sul numero medio di bambini per donna. Numero che, per garantire stabile il numero di abitanti dovrebbe essere pari a 2,1 in assenza di immigrazione ed emigrazione. Nel periodo 2002-2022, però, il livello europeo più alto ha raggiunto solamente gli 1,57 bambini per donna nel 2008, 2010 e 2016.
i singoli stati Oltre all’Italia, con un tasso di 6,7 nascite ogni 1.000 abitanti, il podio dei peggiori Stati membri per tassi di natalità è composto da Spagna (6,9) e Grecia (7,3). In Spagna, nel 2022, sono nati 329.251 bambini, una diminuzione del 2,4% rispetto all’anno precedente. Il tasso di fertilità totale è sceso a 1,16 figli per donna, dall’1,19 del 2021. In Grecia, la situazione è simile: 7,3 nati ogni 1.000 abitanti, corrispondenti a un tasso di fertilità di 1,3 figli per donna. Sul lato opposto della classifica, i paesi con i tassi di natalità più alti sono Cipro (11,2 nascite ogni 1.000 abitanti), Francia (10,7) e Irlanda (10,5). Ognuno di questi paesi ha una propria ricetta per promuovere la natalità, fatta di valori culturali e politiche familiari.
In Francia, ad esempio, esiste un sistema avanzato di supporto alle famiglie, con asili nido accessibili, congedi parentali e agevolazioni fiscali. A ciò si aggiunge l’apporto delle donne di origine straniera, che presentano tassi di fertilità più alti rispetto alla media.
IL GRAFICO
Tutto il mondo è paese
Non solo in Italia, la maggior parte dei Paesi Europei è colpito da un “inverno demografico” senza precedenti
Tuttavia, anche tra i paesi con natalità più elevata, si osservano cali significativi. In Irlanda, il tasso di fertilità è sceso da 1,97 figli per donna del 2002 a 1,54 nel 2022. Simili diminuzioni sono state registrate in Finlandia (da 1,72 a 1,32) e a Malta (da 1,45 a 1,08).
Di tendenza opposta sono Romania e Bulgaria, passate rispettivamente da 1,27 e 1,23 a 1,71 e 1,65.
un saldo negativo, ma aiutato dai migranti
Come nel caso italiano, l’Unione Europea presenta da anni un saldo naturale negativo. Ovvero, ogni anno si celebrano più funerali che battesimi. Questo trend è iniziato nel 2012 e ha continuato a peggiorare costantemente negli anni, arrivando a -2,6 persone ogni 1000 abitanti, pari a circa 1.174.000 persone in meno nel 2023.
Nonostante questo quadro negativo, la popolazione europea negli ultimi due anni è cresciuta. E lo ha fatto grazie all’immigrazione. Dopo la flessione del 2020 e del 2021 dovuta alla pandemia, la popolazione dei 27 è salita dai 445.873 del 2021 ai 448,8 milioni di oggi. Nel 2022, si sono registrati più di 5 milioni di migranti extracomunitari e 1,5 milioni di migranti comunitari. La Germania ha accolto il 30% di questi migranti, pari a 2.072.000 persone, seguita dalla Spagna con il 18% (1.259.000) e da Francia e Italia con il 6% ognuno (circa 400.000 persone).
Gli effetti più positivi si sono visti proprio in Germania. Secondo l’Ufficio Federale di Statistica tedesco (Destatis), nel 2022 sono nati 738.819 bambini, circa il 7% in meno rispetto all’anno precedente. Un dato drammatico, il peggiore dal 2013, che si è confrontato con più di un milione di decessi, provocando un saldo naturale negativo di 328.000 unità. L’afflusso migratorio, però, ha permesso alla popolazione di crescere, compensando il calo demografico interno, e arrivando a 84,3 milioni dagli 83,2 di partenza.
Fonte: United Nations ESA
L’inganno dei sussidi
Le politiche family friendly non hanno quasi mai funzionato, né in Italia né altrove. Bonus e agevolazioni fiscali risultano misure inadeguate per combattere la crisi demografica
Di Alessandro Dowlatshahi
La bassa fecondità è lo spirito del nostro tempo, sostiene il demografo Massimo Livi Bacci. E non ha tutti i torti. Il calo del numero di figli per donna è infatti un fenomeno diffusissimo a livello globale in questi anni. Per come sono concepite oggi le nostre società, si tratta di una tendenza che potrebbe mettere seriamente a repentaglio il futuro economico degli Stati: la diminuzione generale delle nascite, unita al progressivo invecchiamento della popolazione, porterebbe infatti ad avere un numero di lavoratori relativamente basso se confrontato con la quota dei nuovi pensionati, e quindi insufficiente a garantire stabilità alla tenuta finanziaria nazionale.
buchi nell’acqua
Per questo motivo, negli ultimi decenni diversi governi hanno cercato di correre ai ripari, introducendo riforme e stanziando fondi per combattere la crisi demografica. Il problema, però, è che queste misure si sono dimostrate inadeguate. La curva delle nascite nei Paesi in cui sono state messe in atto politiche family friendly ha infatti continuato a scendere, a fronte di sostanziosi investimenti pubblici. E questo a riprova del fatto che i governi sbagliano a pensare che l’aumento dei tassi di fecondità sia in loro potere.
Prendiamo, ad esempio, il caso della Finlandia. Nel paese scandinavo, il tasso di fecondità delle donne è diminuito di quasi un terzo rispetto al 2010 (oggi è all’1,5), nonostante si-
ano state messe in atto dai governi misure di sostegno alle famiglie, quali l’assistenza alla maternità, il congedo di paternità e sussidi all’infanzia in età prescolare. Va peggio alla vicina Norvegia, che per risolvere il problema della culle vuote ha speso in incentivi alla natalità una quota superiore al 3 per cento del Pil (una cifra addirittura superiore alle spese per la difesa). Risultato? Tasso di fecondità all’1,4, ben al di sotto della soglia di guardia del 2,1 necessaria per garantire a una popolazione la possibilità di riprodursi.
Ma il fenomeno non è solo europeo. Al pari di Finlandia e Norvegia, anche il Giappone ha percorso la strada delle politiche per contrastare la denatalità senza sortire i risultati sperati. A partire dagli anni Novanta, Tokyo ha stanziato fondi per congedi parentali di un anno, ha aumentato i posti disponibili negli asili nido sovvenzionati e ha erogato assegni bimestrali per ogni famiglia con almeno un figlio. Inutile dire che si è trattato di un buco nell’acqua (oltre che nel bilancio), con il tasso di fecondità che è passato dall’1,57 della fine degli anni Ottanta all’1,2 del 2023. Insomma, bonus, agevolazioni fiscali e ogni altro mezzo di contrasto alla denatalità si sono rivelati inefficaci a invertire il trend del-
Meno ufficio, più letto
E se fosse un problema di sesso? Dal 2025, i lavoratori dell’area metropolitana di Tokyo potranno passare meno tempo in ufficio e più tempo sotto le coperte con il proprio partner. Quattro giorni di business, tre di calda intimità. Il Giappone, infatti, sta affrontando un’emergenza demografica definita dal premier Kishida «un rischio per il funzionamento della società». Sarà questa la soluzione? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto qualcuno da quelle parti avrà apprezzato.
le culle vuote un po’ ovunque. Eppure, come mostrato da un rapporto dell’Unfpa, tra il 1968 e il 2015 il numero dei Paesi che hanno deciso di attuare politiche mirate ad aumentare la fecondità è cresciuto da 19 a 55. Una tendenza che si spiega con la preoccupazione di molti governi di sostenere la demografia nazionale, ma che finora non ha prodotto i risultati attesi. Come mai?
falsa diagnosi
Il punto è che queste misure di sostegno alla natalità non centrano il problema, e finiscono per incentivare a fare figli donne che probabilmente li avrebbero comunque fatti. La falla nel sistema consiste nell’idea, diffusa un po’ ovunque, che il basso tasso di fecondità generale sia da collegare al fatto che sempre più donne preferiscano la “carriera” alla famiglia. Che spendano più tempo per la propria formazione (ritardando l’ingresso nel mondo del lavoro) e che per questo motivo facciano figli più tardi. Tuttavia, questa è una falsa diagnosi della situazione.
Il ritardo nell’avere figli per questa categoria di donne c’è, ma non è così grande rispetto a qualche anno fa. Prendiamo, ad esempio, gli Stati Uniti: nel 2000 in media una donna istruita concepiva il suo primo figlio a ventott’anni, mentre oggi a trenta. E allora? Allora non è alle donne che hanno “scelto la carriera” che lo Stato deve rivolgersi, bensì alle donne più povere e più giovani.
Di fatto, il calo del tasso di fecondità degli ultimi trent’anni è causato principalmente da un crollo delle nascite tra le donne sotto i diciannove anni. Si calcola che oggi negli Stati Uniti circa due terzi delle donne senza laurea sui vent’anni non hanno figli. Nel 1994 vent’anni era l’età media di una donna che diventava madre per la prima volta. Dati, questi, che potrebbero (e dovrebbero) far riflettere alcuni politici sul modo in cui vengono pianificate le mosse per fronteggiare la crisi demografica.
Foto. L’interno della Camera dei Deputati italiana
GIAPPONE
Legge di bilancio e natalità: fallimento annunciato
Le politiche family friendly non hanno quasi mai funzionato, né in Italia né altrove. Bonus e agevolazioni fiscali risultano misure inadeguate per combattere la crisi demografica
Di A.D.
«Anche quest’anno, con un ampio ventaglio di misure e oltre un miliardo e mezzo di investimenti, il governo Meloni mette le famiglie e la natalità al centro delle proprie politiche di bilancio, con scelte coraggiose e una direzione ben determinata». Così Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità aveva commentato, a metà ottobre, il piano dell’esecutivo italiano per far fronte al problema delle culle vuote. Sussidi, agevolazioni e bonus che dovrebbero incentivare le nascite nel Paese, ma che molto probabilmente saranno l’ennesimo pannicello caldo su una problematica molto complessa.
le principali misure
I dati pubblicati a ottobre dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) hanno risollevato il dibattito attorno al calo delle nascite in Italia: nel 2023 nel nostro Paese sono nati 379.890 bambini e bambine, il 3,4 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Il trend delle culle vuote in Italia ha avuto inizio nel 2008 ed è proseguito di anno in anno. Per far fronte a questo fenomeno, i governi che si sono susseguiti hanno messo mano al portafoglio. E Meloni non ha fatto eccezione. Per il 2025, il valore degli interventi previsti in favore della famiglia sarà pari allo 0,078 per cento del Pil, cioè circa un miliardo e mezzo di euro. Le misure, inserite agli articoli dal 31 al 35 della legge di bilancio, ricalcano quelle introdotte negli scorsi anni. Tra le misure principali ci sono: il bonus una tantum di mille euro per ogni nascita per le coppie con Isee inferiore a quarantamila euro; l’esclusione dell’Assegno Unico per il computo dell’Isee per la concessione di altri contributi; l’allargamento del numero di coppie che ha diritto al bonus-nido; l’allargamento da due a tre mesi dei congedi parentali retribuiti all’ottanta per cento; la parziale esenzione degli oneri contributivi per le madri di due o più figli, a condizione di un Isee inferiore a quarantamila euro.
Inoltre, nei quasi centocinquanta articoli della legge di bilancio, sono presenti altre misure rilevanti per le famiglie con figli. Il più significativo è il 16ter, nel quale vengono tagliate le possibili detrazioni fiscali per i contribuenti con un reddito di oltre di settantacinquemila euro lordi. La possibilità di detrazione, invece, resta piena per chi ha tre o più figli, e viene ridotta all’ottantacinque per cento per chi ha due figli, al settanta per cento per chi ne ha uno, al cinquanta per cento per chi non ha figli. Si tratta di una misura che riguarda solo la fascia alta dei contribuenti. Ma il segnale del governo è chiaro: nel tagliare si tenta di tutelare le famiglie numerose.
Non si può pensare di invertire il trend delle culle vuote, senza una proposta di svolta contributiva che riduca il peso fiscale e aumenti i redditi
la grande illusione Sperare che la strada dei bonus e degli incentivi possa condurre a un futuro con più nascite è però un’illusione. Certamente le misure adottate con la legge di bilancio contribuiranno ad alleggerire la spesa per i figli. Tuttavia, è assai difficile immaginare che strumenti di questo tipo possano mettere chi vuole avere figli nelle condizioni di farli. E questo perché i piani del governo si concentrano sulla ricerca di soluzioni immediate a problemi strutturali. Non si può infatti pensare di invertire il trend delle culle vuote, senza una proposta di svolta contributiva che riduca il peso fiscale e aumenti quello dei redditi.
Non solo. Misure come quelle introdotte dal governo potrebbero sì dare una mano alle famiglie, specialmente nei primissimi anni di vita dei figli, ma non ridurrebbero affatto gli oneri per gli anni successivi. Un aspetto, questo, che la Banca d’Italia aveva sottoposto all’attenzione del governo nel corso del dibattito parlamentare di presentazione della legge di bilancio, sostenendo che per incentivare la natalità più che i bonus abbiano valore «le misure che redistribuiscono o alleggeriscono il carico di lavoro domestico, quali l’ampliamento dell’offerta di asili nido e dei relativi sussidi alla frequenza».
I CASI
I CASI
Bonus bebè: un filo rosso dal Cavaliere in poi
1. SILVIO BERLUSCONI - 2004
«È il presidente del Consiglio a scriverti per porti probabilmente anche la prima domanda della tua vita: lo sai che la nuova legge finanziaria ti assegna un bonus di mille euro?». Con questa lettera indirizzata ai nuovi bebè (ma non ai primogeniti), Silvio Berlusconi promuoveva una campagna per incentivare la natalità in Italia.
2. ROMANO PRODI - 2006
Nel corso della campagna elettorale contro Berlusconi, Romano Prodi dichiarò che avrebbe dato «un assegno pari a 2.500 euro all’anno per ogni bimbo dai 0 ai 3 anni e fino alla maggiore età». Una volta a Palazzo Chigi, il Professore si rimangiò quanto promesso e spalmò i fondi per i nuovi nati tra assegni familiari, congedi e detrazioni.
3. MATTEO RENZI - 2014
Subentrato a Enrico Letta, che aveva rispolverato il Fondo di credito per i nuovi nati con la concessione di prestiti agevolati a chi faceva un figlio, Matteo Renzi fece incetta di sussidi: un “bonus bebè” da ottanta euro per un anno per le famiglie con un Isee fino a venticinquemila e un “bonus mamma domani”, una specie di premio alla nascita di ottocento euro, che non teneva conto del reddito familiare.
Un fiocco azzurro dopo
Dopo trent’anni di silenzio
nelle culle del borgo, Tizzola ha celebrato l’arrivo di Axel, un neonato che ha riportato la vita in un paese dove non nasceva un bambino dagli anni Novanta
Tizzola, rinunciando alle comodità della vita urbana. «Con l’arrivo di Axel non ci muoveremo mai più da qui – ha raccontato Simona –Mancano alcuni servizi essenziali, ma a pochi chilometri abbiamo il medico, la farmacia e la Croce Verde. E in caso di emergenza, sono tutti pronti a intervenire».
Appena appresa la notizia, i 25 abitanti di Tizzola si sono messi in fila davanti alla casa di Simona e Thomas, ansiosi di conoscere il nuovo arrivato.
Magari diventerà un esempio positivo per gli altri che potrebbero considerare di tornare o di stabilirsi qui. Un piccolo ambasciatore di Tizzola».
un fiocco azzurro in piazza
Tra le colline dell’Appennino reggiano, sorge il piccolo borgo di Tizzola. Con le sue case in pietra e le uniche due vie che la collegano al vicino comune di Villa Minozzo, in provincia di Reggio Emilia, Tizzola conserva un’intimità che pochi luoghi al mondo possono ancora vantare. Un posto che in molti definirebbero anonimo, privo di attrattiva o di opportunità per il futuro, ma che invece i residenti descrivono come incantevole. Immerso nel verde dell’altopiano emiliano, ad un’altitudine di ottocento metri sopra il livello del mare, Tizzola è caratterizzato da paesaggi mozzafiato e da un forte senso di comunità.
A novembre 2023, il borgo è apparso sui giornali di tutto il mondo per l’arrivo di Axel, il primo bambino nato dopo 30 anni. Il suo nome, scelto dai genitori in onore di Axl Rose, leader dei Guns N’ Roses, simboleggia la forza e il rinnovamento. La nascita di Axel, infatti, non è passata inosservata e ha rappresentato un vero e proprio nuovo inizio.
In un paese così piccolo, dove vivono solo 25 persone, questo evento ha rappresentato un qualcosa di straordinario. Anche per questo motivo, il tradizionale fiocco azzurro, che viene solitamente appeso alla porta di casa, è stato collocato nella piazza principale, quasi a voler coinvolgere l’intero paese nella celebrazione.
un ritorno alle radici
«Non esistendo più il punto nascite all’ospedale del vicino comune di Castelnovo Monti, abbiamo scelto di programmare un parto cesareo e tutto è andato bene - ha raccontato Simona Albertini, madre di Axel, che solo dopo 3 giorni dal parto ha deciso di ritornare in montagna - La scelta di partorire all’ospedale di Reggio Emilia è stata fatta per evitare il rischio del parto in ambulanza o in elicottero, come è già accaduto in passato». Simona, 41 anni, è un’autentica figlia dell’Appennino, mentre il marito, Thomas Richeldi, viene dalla provincia di Modena. I due, dopo aver lavorato per quattordici anni a Reggio Emilia, hanno optato per un ritorno alle radici. Così, hanno «dato un calcio alla città» per vivere nella tranquillità montana di
«Qui siamo tutti parte di una grande famiglia. Ognuno conosce l’altro e le relazioni interpersonali sono fortemente valorizzate» hanno specificato i neo genitori, aggiungendo: «La gente di montagna è molto solidale. Anche per questo, siamo felici che il nostro piccolo cresca qui, in un ambiente sano, circondato dalla natura e da valori autentici».
axel il simbolo di una nuova vita
«Nel nostro piccolo abbiamo dato un segnale di rinascita, in controtendenza rispetto al calo demografico del nostro Appennino» ha detto scherzando il padre di Axel. Tizzola è infatti nella lista, fornita da ISTAT, dei paesi con il tasso di natalità più basso in Italia. Ma non è un caso isolato. Nella zona sono molti i borghi abitati da poche persone, per la maggior parte anziane.
«Non di rado capita il festeggiamento di qualche centenario ed è curioso pensare che nostro figlio possa crescere circondato da tanta esperienza – hanno raccontato i genitori -
e Thomas
i genitori di Axel.
In alto il braccialetto di loro figlio, nato a novembre 2023
La nascita di Axel, infatti, ha rappresentato non solo una gioia personale per i parenti, ma anche un segnale positivo per il futuro del borgo. Con l’arrivo del nuovo nato, il borgo conta ora 26 abitanti, ma la comunità è determinata a mantenere viva la propria identità e a lavorare insieme per costruire un futuro migliore. I residenti sperano, infatti, che questo evento possa attrarre nuove famiglie e stimolare la rinascita demografica in un’area che ha visto un calo significativo della popolazione.
un paese che scompare
Il caso di Tizzola è un simbolo potente in un’Italia che sta affrontando una crisi demografica senza precedenti. Secondo gli ultimi dati ISTAT, il Paese ha registrato nel 2023 il tasso di natalità più basso della sua storia, con alcune zone più colpite rispetto ad altre. Non solo nelle aree di montagna dell’Emilia-Romagna, ma anche in Molise, si continua a registrare un forte calo della popolazione, perfino superiore alla media nazionale.
A Capracotta, in provincia di Isernia, la popolazione è passata da 5000 persone alle attuali 800. E oltre alla diminuzione, si parla anche di un notevole invecchiamento.
«Al posto della scuola materna ora c’è una casa di cura – racconta Concetta D’Andrea, 96 anni, residente nel piccolo borgo – C’erano
Di Cosimo Mazzotta
Foto di famiglia
Simona Albertini
Richeldi,
30 anni
così tante famiglie. Ora non c’è più nessuno». A circa mezz’ora di distanza, nella cittadina di Agnone, il reparto maternità ha chiuso un decennio fa perché registrava meno di 500 nascite all’anno, il minimo nazionale per restare aperto. «Una volta si sentivano i bambini piangere nella nursery, ed era come musica - ha detto Enrica Sciullo, un’ex infermiera del reparto di ginecologia e ostetricia che ora si occupa principalmente di pazienti più anziani - Ora c’è silenzio e una gran sensazione di vuoto». Di questo vuoto, di cosa accade a un “Paese che scompare” - come Mario Draghi ha definito l’Italia nel 2021 - ne parlano ormai molte ricerche. Secondo la rivista medica Lancet, «l’Italia si dimezzerà nel 2100». Significherebbe perdere trenta milioni di italiani entro la fine del secolo.
un esempio contro la denatalità
Mentre i centri urbani continuano a lottare contro il calo demografico, piccoli borghi come Tizzola dimostrano che, anche nelle realtà più piccole, possono nascere grandi opportunità. L’arrivo di Axel è un invito a ripensare il significato di comunità, famiglia e qualità della vita.
La scelta dei suoi genitori dimostra che, anche in un mondo globalizzato, c’è spazio per valorizzare le radici e riscoprire la bellezza dei piccoli luoghi. E chissà, magari tra qualche anno, il suono delle campane di Tizzola non si sentirà più solo in chiesa, ma anche all’interno di una scuola riaperta.
Il borgo. Castel di Tora si trova nel Lazio e conta 266 abitanti. È parte del club dei borghi più belli d’Italia.
Castel di Tora: il paese dei record
Il comune del reatino ha registrato un sorprendente +2,25% di nuovi nati, nel 2023, in rapporto alla popolazione. Il segreto? Economia e bellezza del territorio.
Di Tommaso Ponzi
In un piccolo comune in provincia di Rieti si è registrato il record opposto. Due chiese, un ufficio postale, un supermercato e tanti ristoranti e agriturismi. Non c’è una scuola, un asilo nido e l’ospedale più vicino si trova a oltre mezz’ora d’auto. È Castel di Tora. Il borgo montano di appena 266 abitanti, situato sulla sponda del lago del Turano a cavallo tra il Lazio e l’Umbria, ha concluso il 2023 con un sorprendente +6 nuovi nati. In termini assoluti si tratta di una crescita minima. Ma in rapporto alla popolazione il balzo è sorprendente: gli abitanti di Castel di Tora sono cresciuti del 2,25%. In sostanza, ci sono stati 22,5 nuovi nati ogni mille abitanti. Questo incremento ha portato il piccolo comune del reatino in cima alla classifica della natalità rapportata alla popolazione, dopo dieci anni in cui sono state registrate solo tre nuove nascite, come evidenziano i dati Istat.
incentivi e natalità
Com’è possibile che in un piccolo borgo, a 600 metri di altitudine, lontano dalle città e dai servizi, si sia registrato un tasso di natalità così alto? Forse gli incentivi, due quelli disponibili. Uno erogato tramite un fondo del ministero, attivo da sei anni. Questo fornisce contributi ai comuni per aiutare le famiglie nelle spese relative agli asili nido. L’altro incentivo proviene da un fondo della Regione Lazio, che aiuta chi sceglie di trasferire la residenza in un piccolo borgo, o di restarvi. Ma i bonus erogati sono di importi esigui, come ci racconta Cesarina D’Alessandro, sindaca di Castel di Tora da 11 anni,
oggi al terzo mandato. «Poche famiglie usufruiscono dei contributi del ministero e della Regione, e questi sono di importi minimi», spiega la sindaca. Infatti, i bonus non sono la principale ragione del boom di nuove nascite nel piccolo borgo. Il motivo è un altro.
le altre ragioni del “baby boom” reatino Per prima cosa, Castel di Tora è tra i primi dieci comuni fondatori dei Borghi più belli d’Italia, l’associazione nata nel 2001 con scopo la promozione di località di alto valore storico, culturale e paesaggistico che oggi conta 363 comuni membri. Con un’economia fortemente incentrata sul turismo, ha visto crescere il numero delle attività ricettive e queste hanno impiegato principalmente i giovani, favorendo un fenomeno di migrazione al contrario.
il segreto di castel di tora
«C’è stato un rientro al paese d’origine, soprattutto dopo la pandemia. Molte persone che abitavano a Roma hanno deciso di tornare a Castel di Tora per un interesse economico. Alcuni hanno convertito la propria seconda abitazione in case vacanze o bed and breakfast, altri hanno fondato attività come ristoranti e agriturismi», aggiunge la sindaca.
E queste coppie, una volta trovato un lavoro stabile in questo affascinante borgo, hanno deciso di mettere su famiglia. Quindi, il modello costituito dal binomio economia solida e bellezza del territorio, che ha reso Castel di Tora primo comune italiano per nascite, sembra quello vincente. Se tutti i comuni fossero un po’ Castel di Tora, sarebbe possibile invertire il trend della denatalità che affligge il nostro Paese.
Infertilità: è l’età che conta
Il desiderio di maternità accomuna molte donne che però, spesso, si devono scontrare con i fattori, biologici o patologici, che possono influire negativamente sul concepimento. È però importante ricordare che la scienza può rimediare a quello che per la natura può rappresentare un ostacolo
Di Glenda Veronica Matrecano
Età della donna, infezioni e patologie sono fattori che contribuiscono a incrementare il tasso di denatalità del nostro paese. Il dott. Domenico Vitobello, Responsabile dell’Unità Operativa di Ginecologia dell’Ospedale Humanitas di Rozzano, spiega nel dettaglio cosa può rendere difficile il concepimento.
età
«L’età è un fattore determinante per le donne che desiderano avere un bambino. Il periodo in cui la donna è più fertile è quello intorno ai 24 anni. Dai 30 in poi sia il numero dei follicoli che la qualità dell’ovulo cominciano a diminuire» - afferma - «l’età materna, a causa
dei canoni di realizzazione personale e professionale stabiliti dalla società odierna, si sta alzando sempre di più e, di conseguenza, le donne ricercano una gravidanza sempre più tardi. Con l’aumentare dell’età aumenta anche il rischio di non riuscire a concepire naturalmente».
multifattorialità
«Bisogna stare molto attenti quando si parla di patologie. Spesso la causa della fatica della donna nel concepire è multifattoriale, è causata da diversi fattori non riconducibili ad un’unica causa o patologia. È quindi necessario prestare molta attenzione nella comunicazione con la paziente e indagare i singoli fattori» afferma il dottore.
endometriosi
L’endometriosi è un’infiammazione cronica benigna degli organi genitali femminili e del peritoneo pelvico, causata dalla presenza anomala, in questi organi, di cellule endometriali che, normalmente, si trovano all’interno dell’utero.
Nell’endometriosi, quindi, il tessuto endometriale va a posizionarsi in sedi diverse da quella fisiologica.
«È sbagliato dire ad una donna che presenta endometriosi “non puoi avere figli” perché non è sempre così. Come ogni patologia, anche l’endometriosi ha vari stadi e molteplici fattori correlati che possono provocare difficoltà nel concepimento o, al contrario, non causare nessun disagio nella ricerca di prole. Ogni caso va analizzato singolarmente, generalizzare è errato» afferma il dott. Domenico Vitobello.
malattie sessualmente trasmesse «Le malattie sessualmente trasmesse sono le infezioni. Il rischio di contrarle si lega alla precocità dei rapporti e al numero dei partner» dice il dottore. «Tra le infezioni più facilmente riscontrabili nelle donne c’è la clamidia.
Il Clamidia Trachomatis, il batterio responsabile dell’infezione, quando infetta le tube crea delle aderenze all’interno di esse e ne provoca la chiusura. Risulta quindi impossibile per l’ovulo passare per raggiungere l’utero e, di conseguenza, la donna non riesce a rimanere incinta». Il dott. Vitobello conclude: «Spesso l’infezione è asintomatica e la paziente si accorge di averla solamente dopo aver effettuato l’analisi delle tube. Si tratta di un quadro infettivo al quale è possibile porre rimedio».
patologie benigne
I miomi uterini, o fibromi, sono un tipo di tumore benigno che colpisce l’apparato genitale femminile. «Sono noduli che si formano all’interno dell’utero, possono essere di piccole o di grandi dimensioni e sono facilmente diagnosticabili. La loro presenza può ostacolare il concepimento o, in altri casi, provocare aborti ripetuti durante il primo trimestre» dichiara Vitobello.
«Allo stesso modo anche altre alterazioni uterine, come ad esempio i polipi presenti nel tratto endometriale o cervicale dell’utero possono provocare aborti spontanei».
malattie autoimmuni
«Quella delle malattie autoimmuni è una sfera ancora abbastanza sconosciuta, ciò che è certo è che possono interferire con il conce-
conta sul serio
pimento. Malattie come, ad esempio, il lupus, la sclerodermia o la fibromialgia possono minare l’attecchimento dell’embrione. Quest’ultimo riesce a entrare nell’utero ma fa fatica a mettere radici e quindi si verifica, anche in questo caso, l’aborto del primo trimestre», dice il dottore.
stili di vita sregolati
«L’abitudine al fumo, l’obesità e il diabete, tipici dei paesi industrializzati, sono fattori che compromettono la qualità dell’ovulo, dell’ovulazione e del successivo attecchimento dell’embrione. Sono altri casi in cui è possibile assistere a episodi di aborto spontaneo durante il primo trimestre» conclude il dott. Vitobello.
sindrome dell’ovaio policistico
«L’ovaio policistico contiene tanti follicoli che sono pronti per essere ovulati ma rimangono come congelati. Accade perché spesso, nelle pazienti che ne soffrono, l’ovaio è un po’ più spesso del normale ed è presente un’alterazione metabolica.
La maggiore produzione di androgeni (ormoni maschili) inibisce gli ormoni femminili e, di conseguenza, inibisce l’ovulazione provocando, inoltre, iperinsulinemia, acne, e irsutismo, oltre che difficoltà nel concepimento».
iperprolattinemia
L’iperprolattinemia è una condizione caratterizzata da alti livelli di prolattina nel sangue. «La prolattina è un ormone che viene prodotto dall’ipofisi, una ghiandola endocrina del cervello, quando la donna deve allattare. Quando si sviluppa un adenoma ipofisario, la
Intervistato. Il Dott. Domenico Vitobello, Responsabile dell’Unità Operativa di Ginecologia dell’Ospedale Humanitas di Rozzano
UOMINI
A cura di G.V.M.
Infertilità maschile: l’altro lato della medaglia
ghiandola produce prolattina in eccesso. L’aumento della presenza di questo ormone nel sangue inibisce l’ovulazione e, di conseguenza, può rendere difficile il concepimento».
sterilità
Come detto in precedenza la prima causa che rende difficile alle coppie la ricerca di prole è l’età che comporta l’invecchiamento degli ovuli e la diminuzione dei follicoli o la presenza di infezioni come la clamidia o, ancora, la formazione di patologie benigne a carico di utero e di endometrio come, ad esempio, i fibromi o i polipi. «È così per circa il 30% delle coppie. Per il restante 70% dei casi delle coppie che fanno fatica a concepire, noi ginecologi non riusciamo a trovare la causa della difficoltà. Probabilmente ci sono ancora molte cose, molti fattori di cui non siamo a conoscenza» dice il dottore. «È però inutile “impazzire” se la gravidanza non arriva naturalmente. Il ricorso alla fecondazione assistita, in questi casi, è una valida soluzione».
conclusioni «Nel caso in cui non dovesse essere possibile curare e porre rimedio ai fattori che impediscono un concepimento naturale, resta sempre accessibile il percorso della fecondazione assistita. Può essere “omologa” quando vengono utilizzati gameti (spermatozoi e ovociti) stessi della coppia, oppure “eterologa” quando i gameti vengono donati da individui esterni alla coppia. Anche nel caso del ricorso alla fecondazione assistita è importante ricordare che il primo fattore citato, l’età materna, è fondamentale» conclude il dott. Vitobello.
Stile di vita, condizioni patologiche e infezioni sono, anche per quanto riguarda il sesso maschile, alcuni dei fattori che possono provocare infertilità e, di conseguenza, contribuire al tasso di denatalità del nostro paese. Tra le patologie principali più diffuse, che determinano questa problematica, c’è il varicocele. Quest’ultimo consiste in un rigonfiamento anomalo delle vene del testicolo che provoca un ristagno di sangue, una scarsa ossigenazione dei tessuti e un aumento della temperatura che fa sì che gli spermatozoi, risentendo di questa situazione, diventino meno reattivi e alterati dal punto di vista morfologico. La patologia tumorale, invece, può determinare un quadro di “infertilità iatrogena”. Si tratta di una sterilità, generalmente temporanea, che è causata dall’assunzione di determinati farmaci. Nel caso dei tumori, le cure necessarie a contrastare la malattia, quali radioterapia e/o chemioterapia, possono inficiare la qualità e la sopravvivenza degli spermatozoi e, di conseguenza, determinare infertilità se non precedute da crioconservazione del liquido seminale. Analogamente alla controparte femminile, alcune infezioni sessualmente trasmesse quali la clamidia, la gonorrea e il micoplasma possono minare la fertilità dell’uomo. Infatti, infezioni di questo tipo possono provocare stenosi uretrali causa di restringimenti fibrotici lungo il canale uretrale che determinano difficoltà nella minzione e nell’emissione del liquido seminale. Anche alcuni interventi chirurgici eseguiti endoscopicamente a scopo disostruttivo prostatico o per contrastare, ad esempio, una patologia vescicale, sono causa indiretta di infertilità. Questo accade perché determinano, quasi nel 100% dei casi, una problematica di eiaculazione retrograda. Ciò si traduce in una mancata emissione di liquido seminale a seguito del rapporto, il liquido viene poi emesso in occasione della prima minzione risultando quindi “inutilizzabile” a scopo riproduttivo. In conclusione, le cause di infertilità maschile sono diverse e rintracciabili in differenti patologie, proprio come accade per la parte femminile. Ciò che accomuna uomini e donne è la possibilità di ricorrere all’aiuto della medicina nel caso in cui concepire risulti difficile.
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NIGER
I campioni di fertilità
Il Niger, con una natalità di 46,6 nascite/1000 abitanti e una media di 7 figli per donna (stime 2024), ha il TFT (tasso di fertilità totale) più alto nel mondo. A partire dal 2020, il 70% della popolazione ha meno di 25 anni. Tra i fattori che contribuiscono all’alto TFT sono anche le disuguaglianze di genere, tra cui la mancanza di opportunità educative per le donne e matrimoni e parti precoci.
(Moisès Chiarelli)
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UGANDA
Più giovani e più veloci
L’Uganda ha una delle popolazioni più giovani e in più rapida crescita al mondo. Con 39,6 nascite ogni mille abitanti e 5,5 figli per donna nel 2022 si classifica al 5° posto per natalità. La fertilità effettiva supera quella desiderata, indicativa del bisogno insoddisfatto di contraccezione e di mancanza di sostegno governativo. L’età media è di 16,2 anni, la più bassa dopo quella del Niger.
(Matilde Liuzzi)
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MALI
Tanti figli, ma tante difficoltà
Il Mali ha una società giovane, in forte crescita grazie all’elevata fertilità (5.5 figli per donna). È il quarto paese al mondo per tasso di nascite, 40 ogni 1000 abitanti. Rimane elevato il tasso di morte per neonati (57,4), bambini e partorienti a causa di gravidanze precoci (19,2 anni), bassa educazione, mutilazione degli organi genitali femminili e mancanza di personale specializzato.
(Andrea Pagani)
IL MONDO CHE CRESCE
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ANGOLA
Mentre il mondo invecchia, l’Angola settuplica Dal 1960 a oggi la popolazione angolana è più che settuplicata passando da 5 milioni scarsi a 37.202.061 milioni.
Il tasso di natalità (41,1 figli per 1.000 abitanti) e il tasso di fertilità (5,7 bambini per donna) sono molto elevati, i secondi a livello mondiale. Nonostante ciò il Paese affronta ancora un’alta mortalità infantile (55,6 morti per 1.000 nati vivi) e materna (222 morti per 1.000 nati vivi).
(Marco Fedeli)
BENIN
Tasso di nascità alle stelle
Il Benin, con 14,2 milioni di abitanti, è il terzo classificato come paese con il più alto tasso di natalità: 40,72 nascite ogni 1000 abitanti.
Il tasso di crescita della popolazione è più del 3,3%. Il tasso di fertilità totale è di 5,39. Le morti infantili sono in percentuale di 54,3 ogni 1000 nascite.
I decessi per maternità sono di 397 unità per ogni 100mila bambini nati vivi.
L’età media è di 17 anni.
(Sara Pagano)
Foto. Cinque bambini sorridenti da Luanda, Angola
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UCRAINA
In guerra la natalità scende È dal 2022 che l’Ucraina è in guerra contro la Russia. Questi 2 anni di conflitto hanno inciso molto, innanzitutto sul tasso di natalità, che nel 2024 è il più basso al mondo. Le nascite infatti sono in media 6 ogni 1.000 abitanti. Il tasso di mortalità invece è il più alto al mondo, con una popolazione che secondo le Nazioni unite è scesa di circa 10 milioni di individui dall’inizio del conflitto.
(Chiara Brunello)
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ITALIA
Il Bel Paese dove non si nasce più
Con 7 nascite ogni 1.000 abitanti l'Italia è al 222º posto nella classifica mondiale per natalità. Questo pone il Paese tra quelli con i tassi più bassi. Tra il 2008 e il 2023 le nascite sono diminuite del 34%, con un tasso
di 1,2 figli per donna. Inoltre, l’età media in Italia è di 48,4 anni, la più alta in Europa. Ciò evidenzia un invecchiamento della popolazione che aggrava il problema demografico.
(Martina Testoni)
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COREA DEL SUD
Non solo K-Pop, la Corea come l’Italia
Con 7 nascite ogni mille abitanti la Corea del Sud si classifica al 223° posto per natalità. A partire dal 2020 la popolazione e la proiezione di essa sono in decrescita: dai 51,8 milioni attuali le stime prevedono si arriverà a soli 39,29 nel 2067.
Oltre alla bassa natalità, l’altro fattore importante è l’età media, 45,5 anni, la 15esima più alta al mondo. Il 30% della popolazione ha 55 o più anni.
(Roberto Manella)
IL MONDO CHE INVECCHIA
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MONACO
Piccolo Stato, grandi problemi Monaco si posiziona terzultimo (226°) nella classifica mondiale, con un tasso di natalità preoccupante: 6,5 nascite ogni 1000 abitanti. Inoltre, il secondo Stato più piccolo del mondo, è primo per età media più alta, con 56,9 anni.
Questo dato, combinato con la bassa natalità, accentua un grave e progressivo invecchiamento della popolazione.
(Manuela Perrone)
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GIAPPONE
Gli ultimi Samurai 6.9 nuovi nati ogni mille abitanti. Il Giappone, al 225esimo posto nella classifica globale, è uno degli ultimi Paesi per tasso di natalità. È pari a 42 la percentuale di donne, nate dal 2005, che non avrà mai figli. Un dato preoccupante che mette a rischio la crescita della popolazione, già ai minimi storici con -0,43%.
E che andrà a infierire sul tasso di fertilità: in media 1.4 figli per donna.
(Alyssa Cosma)
Foto. Una bambina con sua mamma per le strade di Seul in abiti tradizionali
Non si è mai in troppi per essere felici
Una sfida organizzativa, ma anche una fonte inesauribile di gioia. Una scelta che ribalta le paure comuni e celebra l’amore condiviso. Francesca Levi D’ancona, influencer e mamma di otto figli, racconta la sua famiglia
In un’Italia con il tasso di natalità ai minimi storici, avere una famiglia numerosa è un gesto anticonformista. Un salto nel vuoto che pochi hanno il coraggio di compiere. Eppure, c’è chi prende un bel respiro e si butta. Così ha fatto Francesca Levi d’Ancona, 39 anni, otto figli, un marito, Alessio, che la supporta in tutto e per tutto e 147.000 seguaci su Instagram. «Mia nonna diceva sempre che i figli non portano mai miseria. A noi non ne hanno portata». Mamma per scelta, influencer per caso, Francesca fin da bambina sogna la maternità: «Mi sono sempre vista mamma. Ho sempre preso
d’esempio la mia famiglia. Mi immaginavo con due figli. Due femmine per la precisione». Un sogno che diventa realtà quando a 27 anni incontra Alessio. I due si innamorano, Francesca rimane subito incinta, quindi decidono di sposarsi. Non hanno ancora un impiego fisso, ma hanno voglia di costruire una famiglia. «”Fai il bambino, poi le cose si aggiustano”, diceva mia nonna. L’ho ascoltata e così è stato». Francesca non si fa frenare dalle paure, il desiderio di diventare mamma è troppo forte. Nel 2017 nasce Paolo, il primo figlio. «Pianificare quand’è il momento migliore per una gravidanza spesso è controproducente. Se ci pensi troppo, poi non lo fai più. Prima o poi devi semplicemente buttarti». Francesca e Alessio cercano subito
Tutti insieme appassionatamente
Qui sopra solo alcune delle foto della famiglia della mamma-influencer Francesca Levi d’Ancona e di suo marito Alessio.
Di Davide Aldrigo e Rebecca Saibene
FAMIGLIE
Una casa non ci basta
A cura di D.A. e R.S.
Non tutti possono vantare 87 figli. Invece Nicola ed Elena, originari di Potenza, detengono a modo loro questo singolare primato. Oltre ai loro nove figli naturali, i coniugi Pergola hanno accolto nel corso degli anni 78 bambini e adolescenti dati loro in affido. Il trucco è avere la casa della famiglia e la casa-famiglia attigue l’una l’altra. Ma anche il cuore e il coraggio di aprire le porte di una casa in più per chi una casa non ce l’ha.
un secondo figlio, averne due è il sogno di entrambi. Così, arriva Silvia. «Cosa ci ha spinto a continuare? Un forte desiderio di apertura alla vita. Dopo il secondo figlio capisci cosa significa davvero. E della terza in poi è tutto più facile». La terzogenita, Maria, è la bambina dei sogni: «Non piangeva mai», racconta Francesca. «È stato tutto così semplice che ci siamo detti “facciamone un altro”.
Ho capito dopo che non era Maria a essere diversa ma che, in realtà, eravamo noi ad essere più esperti. E da lì ci abbiamo preso gusto». Ricapitolando: Paolo, il primogenito, nasce nel 2014. Nel 2015, nel 2017 e nel 2018 arrivano rispettivamente Silvia, Maria e Elena. Sara viene al mondo nel 2020, Anna nel 2022, e infine, le gemelle Lucia e Giulia sono le new entry del 2024.
gestire una famiglia xxl
Una scelta così grande non è priva di sfide. Per Francesca e Alessio l’organizzazione è un’arte che evolve con l’età dei figli: «Ogni anno cambia. Fino all’anno scorso erano sei, quest’anno sono otto. Ora ce ne sono due a casa e sei che vanno a scuola. L’anno scorso ce n’era una a casa e cinque fuori». Francesca e Alessio si dividono i compiti, con il fondamentale supporto dei nonni «A gestirne otto in due altrimenti non ci si fa». Nel pomeriggio, i bambini sono impegnati in varie attività, tra sport, catechismo e musica. «Hanno addirittura messo su una band: Paolo suona la chitarra, Silvia il pianoforte, Maria canta e Elena suona la batteria. Tra un po’ metteremo anche Sara al basso» racconta Francesca con orgoglio. Nonostante la fatica, lei e Alessio si impegnano al massimo per offrire ai loro figli una vita piena. «Siamo
I CASI
un po’ masochisti», scherza. «Mio marito lavora in banca. È il suo tempo libero. Il suo vero lavoro inizia quando torna a casa alle cinque».
il successo sui social
Una vita piena d’amore, di risate, di confusione. Un caos organizzato che nel 2018 conquista i social.
«Il mio vicino di casa, un amico, continuava a chiedermi di aprire un profilo su Instagram: “Pensa che solo il mio cane ha mille follower. I tuoi bellissimi bambini farebbero furore”». Francesca all’inizio è scettica, ma poi, anche grazie all’aiuto della dalla ragazza alla pari che vive con loro crea un account e posta qualche foto. Quello che all’inizio è solo un gioco, diventa presto una comunità sempre più grande. «Ho scoperto il lato bello dei social: condividere esperienze e creare una rete di supporto fra mamme», spiega.
I suoi post sono una finestra su una realtà autentica, imperfetta ma felice.
Per Francesca e Alessio la famiglia non è un limite, ma una possibilità: «Voglio dare un messaggio di speranza, condividere il nostro modo di vivere per far vedere che, anche in dieci, è possibile».
come si affrontano le critiche online Nell’immenso supporto che la sua famiglia riceve costantemente, però, si cela anche qualche critica: «Su cento cose belle che ti dicono, quell’unico commento cattivo ti destabilizza. Anche perché arriva alla tua famiglia, ai tuoi bambini, ed è quindi più difficile da mandar giù», confida Francesca, che con il tempo ha imparato a gestire la negatività: «All’inizio era difficile da accettare.
Mamme-Influencer: luci e ombre
2. LE TRADWIVES
Negli Stati Uniti, Ruby Franke, madre di quattro bambini con oltre 2,3 milioni di follower, è stata recentemente condannata per abusi sui figli. La sua sembrava la famiglia ideale, ma l’influencer costringeva i bambini a continue privazioni e a punizioni brutali, obbligandoli anche ad apparire online. Il suo è un triste esempio di come la sovraesposizione sui social possa alimentare una realtà disfunzionale e tragica.
Le tradwives sono mogli e madri americane famose sui social per i loro valori “antifemministi” e tradizionali. In opposizione ai principali movimenti di emancipazione, questa community rivendica con orgoglio il ruolo di genere assegnato loro dalla società, che le vuole casalinghe e mogli devote. Un’immagine che non le ha messe al riparo dagli haters, che invece le criticano per il fatto di essere donne bianche e benestanti.
1. RUBY FRANKE E LA CONDANNA PER ABUSI
Penso che una ragazza giovane o più fragile avrebbe smesso di pubblicare, ma io non mi fermo». A chi dice che le critiche sono il necessario prezzo da pagare per l’esposizione online Francesca ribatte: «Non sono d’accordo. E come se si permettessero di insultarti in faccia per strada e poi ti dicessero “eh sei uscito di casa, te la sei cercata”». Francesca, del resto, si tiene lontana da tutto ciò che è divisivo.
Cerca di non dare una linea troppo pesante alla sua pagina «Il mio profilo è un angolo di quotidianità, dove si parla di famiglia e di vita insieme. Se qualcuno cerca informazioni politiche, ci sono altri posti dove andare. Qui troverete solo Paolo che suona la chitarra, Silvia che fa le spaccate e tanto amore».
il momento giusto non esiste
Sui social è diventata un’ispirazione per molte mamme. A lei si affidano per un consiglio o una parola di conforto. «Mi scrivono spesso: “Se tu ce la fai con otto figli, allora posso farcela anch’io”. Voglio che il mio messaggio sia proprio questo: “Ce la potete fare. Serviranno sacrifici e non mancheranno le rinunce, ma si può trovare un equilibrio e essere felici”». Insomma, Francesca si è buttata, ha abbracciato il suo desiderio di maternità. Lei e Alessio non hanno pianificato tutto nei minimi dettagli. Anzi, hanno scelto di non aspettare il “momento giusto”. Ed è proprio questo il consiglio che Francesca dà a chi sta pensando di diventare genitore: «Buttatevi, che spesso la vita si aggiusta man mano che si va avanti. Non mi sono mai pentita. Né della ottava, né della settima, né della prima. Mai. Una grande verità è che dopo aver avuto un figlio, nessuno se ne pente».
Quando la condivisione dimentica la privacy
I genitori che scelgono di raccontare la propria famiglia online si trovano necessariamente a dover riflettere sulla tutela della privacy. Il dibattito è aperto e una risposta giusta non c’è
Di Davide Aldrigo e Rebecca Saibene
Da quando esistono i social, se non da quando esiste Internet, esiste anche il fenomeno dello sharenting. Crasi di sharing (“condividere”) e parent (“genitore”), con questo termine si intende la condivisione online di contenuti riguardanti i propri figli, un fenomeno che negli ultimi anni ha conosciuto una crescita esponenziale. Ma l’esposizione dei minori si accompagna sempre a un tema di privacy e solleva tanti interrogativi. È giusto postare i propri figli? È etico lucrare sulla loro immagine? E ancora: quanto della propria vita familiare si può condividere? Francesca Levi D’Ancona (@comefatecon6elepucci) ha una sua risposta: il criterio è «la mia personale sensibilità». Che nel suo caso si declina nel semplice rispetto della loro dignità, senza inutili esibizioni di momenti di debolezza, fragilità o disagio. «Io non metto la foto del figlio che si è sbucciato il ginocchio, ma un’altra mamma lo potrebbe fare, perché magari pensa che si debba mostrare tutto». Dipende dal tono che si sceglie di dare ai propri profili.
specializzati e trasversali
Fare la mamma può essere un business?
Nell’epoca di Instagram, sì. A patto di sapersi destreggiare tra accordi commerciali, servizi fotografici, outfit e sponsorizzazioni. Le mamme social sono ambite brand ambassador, con guadagni variabili in base ai follower. In un’intervista alla CBS, la blogger Carly Anderson ha dichiarato che una campagna ben preparata può fruttare dai 1.000 ai 3.000 dollari.
vita. Non solo le Kardashian, che hanno esteso a tutti i familiari, minori compresi, il loro regime di visibilità assoluta. Ci sono esempi anche in Italia. Sono donne già famose: attrici, conduttrici, modelle, influencer, che una volta diventate mamme dedicano ampio spazio ai figli, a volte fino a trasformare i loro profili social in album di famiglia.
La lista sarebbe lunga: da Belen Rodriguez ad Alice Campello, da Chiara Nasti ad Elisabetta Gregoraci. E anche la regina delle influencer, Chiara Ferragni, ha raccontato tutte le fasi della sua vita da mamma, dalle ecografie fino a compleanni, dentini, primi giorni di scuola. In questo caso, però, il passato è doveroso: dopo la separazione dal marito Fedez, Leone e Vittoria non sono più comparsi nelle foto postate dai genitori, se non di spalle. I due bimbi più ripresi d’Italia sono diventati meno che comparse, citati, evocati, esposti al giudizio dei social ma solo in contumacia.
L’ho capito solo tenendolo tra le mie braccia che era qualcosa di troppo perfetto e indifeso per esporlo sui social aurora ramazzotti
La sua linea non è adottata da tutti. Ci sono genitori che sentono di dover condividere tutto dei propri figli. Altri scelgono un tema specifico, una nicchia in cui si specializzano e per la quale diventano famosi. Come Serena Bellini, diventata virale su TikTok (@serena_puericultrice) con i video in cui prepara le merende per i suoi bambini, tutte rigorosamente nella “schiscetta”. Altri genitori, invece, si aprono ai temi più disparati, fino a far scivolare in secondo piano l’esperienza familiare: è il caso di Gaia Rota e Michele Cattaneo, su Instagram come @latendainsalotto. Sul loro profilo postano foto di viaggi, consigliano libri e musica, affrontano temi come cyberbullismo, violenza di genere, discriminazione e affettività. A volte il taglio scelto è prevalentemente educativo (“cose che non direi mai a mio figlio…”), ma è palese che Gaia e Michele non si limitino a fare i genitori trapiantati sui social.
il dovere di raccontare tutto Così come non possono fare i semplici genitori mamme ben più famose, per le quali è imprescindibile postare quella parte della propria
un mondo da cui proteggersi
D’altra parte, se per Chiara Ferragni quella di non postare più i figli è stata una decisione subita, probabilmente risultato di un accordo legale, c’è anche chi prende consapevolmente questa scelta per tutelarne la privacy. Aurora Ramazzotti, diventata mamma nel marzo 2023, lo ha dichiarato da subito. «Non sapete quanto vorrei poter condividere momenti di vita insieme a mio figlio con voi», ha spiegato ai follower. «Per me è privarmi del racconto di un pezzo di me che si evolve con lui». Ma la rinuncia è stata ben motivata: «L’ho capito solo tenendolo tra le mie braccia che era qualcosa di troppo perfetto e indifeso per esporlo a quello che si annida sui social (e di cui tutti, io compresa, facciamo parte)», ha scritto su Instagram. Stessa scelta ha fatto Alex Mucci, che nella vita pubblica contenuti intimi su Onlyfans, ma da più di tre anni mantiene la promessa di non esporre sul web la figlia Asia. Insomma, sul tema privacy il dibattito tra le mamme è ancora aperto. Dunque, non resta che affidarsi di nuovo alle parole di Francesca: «I limiti di ognuno sono soggettivi e personali. Io sono la mamma e decido per i miei figli quello che è meglio per loro». Questo rimane incontrovertibile, almeno finché i figli non saranno maggiorenni.
3. CARLY ANDERSON E IL SUO BUSINESS
Chiara Francini
Attrice, scrittrice e conduttrice televisiva
CARRIERA E MATERNITÀ: «ESSERE UNA BUONA MADRE SIGNIFICA ESSERE UNA DONNA DI SUCCESSO»
Carriera e maternità, un connubio non sempre facile da trovare. Anzi, per quattro donne su dieci la prima maternità è sinonimo di ostacolo per la propria professione. Di questo connubio, l’attrice Chiara Francini ha fatto un monologo che ha portato sul palco dell’Ariston nel 2023 e che racconta nei teatri da due anni.
Chiara Francini non è mamma, ma si è chiesta come sarebbe esserlo. Ha fatto i conti con un sentimento che oscilla tra curiosità e paura con cui tutte le donne, a un certo punto della loro vita, si scontrano. Le domande sono tante e difficili. Che madre potrei essere? Sarei in grado di crescere bene un figlio? Quanto cambierà la mia vita? Ed è proprio da questa domanda che si scopre l’altra faccia della medaglia, perché il desiderio di avere un figlio, a un certo punto, per molte donne, finisce per scontrarsi con la realtà.
La vita cambia, e se fino a quel momento il centro di tutto poteva essere la carriera, quel figlio rischia di diventare un ostacolo.
Di Elena Betti ed Elena Cecchetto
Sul palco di Sanremo 2023 ha raccontato cosa significa essere una donna senza figli circondata da donne che invece hanno fatto della maternità il proprio obiettivo.
A Sanremo ho deciso di recitare un monologo tratto dal mio libro Forte e Chiara che sto anche portando in scena nei teatri. Mi sono interrogata su cosa significasse essere donna, analizzandone tutti i vari aspetti, e ho capito che la maternità è un aspetto fondamentale. È un miracolo che solo noi donne possiamo compiere e sperimentare e mi sono sempre domandata come ci si sentisse a diventare madri. Io non sono mamma, ma vivo su questa altalena perpetua su cui vivono tantissime donne. Oscilliamo tra un forte senso di emancipazione e questa sorta di richiamo che viene dalla società. Un richiamo che ci dice che dovremo desiderare di diventare madri e finisce per rimbombare in maniera naturale dentro di noi.
Forte e Chiara è appena tornato nei teatri – a febbraio sarà anche al teatro Brancaccio di Roma – quanto pensa sia importante portare un argomento così delicato come la maternità su un palco e in chiave ironica? Io tratto l’argomento in chiave ironica, ma quello che è davvero fondamentale è che venga narrata la verità, qualcosa che conosco. Con Forte e Chiara sto provando a raccontare la mia verità, cosa significa essere donna, una creatura profondamente sfaccettata che a un certo punto della vita potrebbe intersecarsi con la figura di una madre o meno.
In ogni caso si tratta di una creatura che dal momento in cui apre gli occhi avrà per sempre dentro di sé al tempo stesso un peso e un miracolo. Come diceva Oriana Fallaci, essere una donna è un’avventura incredibile che non finisce mai. È importante raccontare il bello dell’essere donna, ma è altrettanto importante parlare anche dei tentennamenti, delle ombre, dei sensi di colpa che investono tutti gli esseri umani. Sono emozioni normali, assolutamente lecite. Io parlo delle donne perché è ciò che sono e perché, secondo me, nelle donne ci sono più sfumature, e quindi anche più luci e più ombre.
Il pubblico come reagisce solitamente di fronte a questo monologo? Pensa che in due anni la sensibilizzazione degli spettatori sul tema sia effettivamente cambiata.
Il dialogo con il pubblico su un tema come questo è vivifico per natura. È caratterizzato dalla presenza di due interlocutori e quando faccio teatro è esattamente questo che provo, la bellezza del dar vita ad un dialogo tra me e il pubblico.
Mi capita spesso che alla fine dello spettacolo molte persone mi vengono vicine per condividere con me il loro stupore di fronte al fatto che lo spettacolo sembra parli di loro.
Fortunatamente siamo tutti diversi, ma i colori sono gli stessi, è la sequenza dei colori che cambia. Io credo che l’arte in generale, i libri, il teatro, il cinema debbano proprio fare questo, debbano essere degli affreschi di fronte ai quali ci si stupisce ma ci si riflette e ci si rivede o meno.
Le sue parole nel monologo evidenziano un forte senso di autocritica rispetto al non aver avuto figli fino a ora.
Penso che il momento della maternità sia un momento di fronte al quale ogni donna deve trovarsi e con il quale deve dialogare. È inevitabile, un rito di passaggio, sia che tu decida e riesca ad avere figli, sia che tu non ci riesca o decida di non averne.
In ogni caso, molte donne dovranno fare i conti con la consapevolezza e il senso di colpa di vedere che quello che tutti avevano descritto come un miracolo, in realtà potrebbe non esserlo. Anzi, potrebbe essere una croce.
E come si può affrontare l’idea che la maternità, spesso idealizzata come un miracolo, possa invece essere vissuta come una croce?
Con la verità, è sempre il punto di partenza. Verità e coraggio di riflettere sulla maternità, e, soprattutto, bisogna essere oneste con noi stesse. Sicuramente la pressione della società di fronte a una donna che sceglie di non diventare madre semplicemente perché non vuole, esiste. Ma va di parai passo con una sorta di voce interiore dentro ogni donna. C’è la pressione della società, ma secondo me c’è anche una sorta di pressione ontologica dentro la donna stessa.
Crede che la maternità possa essere compatibile con una vita professionale intensa e gratificante, o inevitabilmente si deve fare una scelta tra le due?
Io in realtà non lo so perché non sono madre e non riesco a figurarmi questa condizione. Però penso che le donne siano le creature più straordinarie che esistano e quindi credo che sia assolutamente possibile. In ogni caso si tratterà di una scelta e questo è l’importante, scegliere significa essere liberi.
Crede che la società, o nel suo caso il mondo dello spettacolo, offra abbastanza supporto alle donne che scelgono di non avere figli, o che mettono la carriera prima della maternità?
Io non credo che nessuno premi nessuno. Diventare madre, sia che tu faccia l’attrice, sia che tu faccia la commessa o la gelataia o l’avvocato, è sempre e necessariamente un qualcosa che deve afferire profondamente alla donna. Quello dell’attrice è un mestiere che può essere organizzato, ma l’organizzazione dipende sempre dalla scelta della donna, in questo caso dell’attrice, che strutturerà il suo lavoro in base alle proprie scelte. Il mondo dello spettacolo non fa distinzione nel sostenere una donna che è o non è madre. .
Nella sua riflessione sull’eventualità di diventare madre, emerge un certo senso di timore. Quali sono, secondo lei, gli aspetti più difficili del pensare alla maternità oggi?
Non credo che esista una donna che non provi almeno un briciolo di timore o un momento di incertezza riguardo a un evento così significativo e trasformativo come la maternità. Questo non riguarda solo me, ma credo che sia una sensazione universale che accomuna tutte le donne. L’aspetto più difficile del pensare alla maternità, per me, è la consapevolezza che sia un impegno irreversibile. Inoltre, la maternità è un mistero, qualcosa che non si può veramente comprendere fino a quando non la si vive in prima persona. Nonostante tutto, resta un’esperienza incredibile e un miracolo della vita.
Una donna di successo può essere una buona madre? Essere una buona madre significa già essere una donna di successo. Credo che una donna che diventa madre debba prima di tutto attraversare con grazia, con grande delicatezza e profondità questo momento straordinariamente unico. Non credo ci sia lo spazio di chiedersi se si riesce a conciliare la maternità con la carriera, in quel momento penso che una donna sia solo travolta da quello che accade e credo che debba viverlo in maniera completa.
Si considera ancora una donna che si sente completa senza figli, o pensa che ci sia una parte di lei che si sentirebbe realizzata solo diventando madre?
Non mi sono mai sentita né completa senza figli, né mai ho pensato che sarei stata completa se diventassi madre. Non è una questione di mancanza o di completezza, è una questione. Che afferisce alla vita, al caso, alla volontà e al destino di una donna.
Libro. La copertina di Forte e chiara, edito da Rizzoli
INTERVISTATO
Chiara Francini, nata a Firenze nel 1979, è un’ attrice, conduttrice e scrittrice italiana. Per Rizzoli ha pubblicato i romanzi bestseller “Non parlare con la bocca piena”, “Mia madre non lo deve sapere”, “Un anno felice” e “Il cielo stellato fa le fusa”.
METODI
Le tecniche alternative per concepire
A cura di E.B. ed E.C.
La procreazione medicalmente assistita (PMA) comprende tecniche progettate per facilitare il concepimento in coppie che non possono concepire spontaneamente
1. FECONDAZIONE IN VITRO (FIV)
Questa tecnica prevede l’unione di un ovulo e uno spermatozoo in laboratorio, utilizzando gameti del partner maschile o di un donatore. Gli embrioni fecondati vengono poi trasferiti nell’utero della madre.
2. INIEZIONE
INTRACITOPLASMATICA DI SPERMATOZOI (ICSI)
Tecnica di procreazione assistita che consiste nell’introduzione diretta di uno spermatozoo all’interno di un ovocita per facilitarne la fecondazione.
3.INSEMINAZIONE INTRAUTERINA
Tecnica di fecondazione in vivo che consiste nell’introduzione del liquido seminale, trattato in laboratorio, direttamente nell’utero, per facilitare l’incontro tra ovociti e spermatozoi. Questa procedura può essere ripetuta ciclicamente.
Infertilità come il lutto, «Non
Affrontare l’infertilità può essere emotivamente complesso, con sentimenti paragonabili a un lutto. Tra comunicazione di coppia, isolamento sociale e pressioni culturali, emerge l’importanza di uno stile di vita sano e di un supporto psicologico per affrontare questo percorso
Di Elena Betti ed Elena Cecchetto
«Quando si affronta l’infertilità, le emozioni sono equiparabili a quelle di un lutto. È comune sentirsi sbagliati, ma anche provare invidia e rabbia verso le persone care che aspettano un bambino». Così la Dottoressa Sara Lindaver, psicologa e psicoterapeuta esperta nel sostegno psicologico all’infertilità e alla sterilità, racconta come sia importante «non sentirsi in colpa per dei sentimenti assolutamente legittimi».
le fasi emotive e il ruolo della terapia
Come nei lutti, infatti, la coppia attraversa diverse fasi emotive. In primis quella di negazione, che si manifesta con domande quali “Non può essere vero” o “Perché gli altri sì e noi no?”. In questo stadio è fondamentale intraprendere un percorso terapeutico, onde evitare di credere sia meglio sentirsi in colpa: «L’aiuto psicologico serve ad esaminare altri aspetti di sé; capita che le per-
sone preferiscano credere di aver qualcosa di sbagliato piuttosto che accettare di essere impotenti davanti a questa situazione». Solo una volta accettato questo sentimento, capendo che un figlio è un desiderio e non un bisogno, è possibile superare il trauma. «Togliere questo aspetto di necessità nell’avere un figlio è un aspetto fondamentale nel sostegno ai pazienti. La coppia deve vivere il bambino come un desiderio, come un qualcosa che può dare un valore aggiunto, ma che non necessariamente toglie qualcosa se non arriva» spiega la Dottoressa Lindaver. Nel momento in cui questo concetto viene assimilato dalla coppia e viene «elaborato il lutto per il figlio biologico, è possibile pensare ad opzioni alternative come l’adozione o altre forme di accoglienza».
ansia, tabù e comunicazione
zando che se i due sono stati bene insieme come coppia senza figli possono continuare a farlo: «non scegliamo il partner perché sia una macchina riproduttiva. Quando all’infertilità viene riconosciuta una causa specifica spesso si dice “meglio che lui o lei mi lasci, almeno può avere un bambino con qualcun altro”. Anche qui entra in aiuto la psicoterapia, che va a lavorare sugli aspetti di sé che portano certi pensieri».
ritrovare intimità e gli spazi personali
Un figlio è un valore aggiunto e non toglie qualcosa se non arriva
Tra le altre emozioni comuni vi sono sicuramente ansia e paura, spesso anche legate al fatto che l’infertilità è ancora un tabù nella società. Per questo può succedere che il tema diventi tabù anche all’interno della coppia, andando a intaccare un rapporto che fino ad allora non aveva subito alcuna battuta d’arresto: «Essendo un problema che riguarda entrambi, spesso i membri della coppia si trovano a non sapere di poter contare sul rapporto dell’altro. Succede che entrambi dicano “è già una situazione difficile, non voglio appesantire il partner parlandone”. È un dolore talmente intimo che anche nella coppia non ci sono parole per affrontarlo. Insomma, ognuno si rinchiude nel proprio dolore e il senso di colpa ti fa sentire sbagliato, non degno di stare con quella persona». Un problema che con la terapia può essere superato, realiz-
La comunicazione, però, diventa essenziale anche per mantenere l’intimità e la complicità all’interno di una relazione. Slegare il sesso finalizzato alla procreazione e il sesso mirato al puro piacere carnale risulta particolarmente difficile in contesti simili, ma questa separazione consente di rafforzare e accrescere la connessione emotiva tra l’uomo e la donna, che diventa fondamentale per mantenere vivo il legame di coppia. Affrontare insieme questa complessità può contribuire a preservare l’equilibrio emotivo e la serenità nel rapporto. Legittimo, inoltre, è anche il bisogno di isolamento sociale che affligge alcune persone in questo periodo di vita, dove la percezione di disagio può essere forte. «Può essere utile concedersi qualche attimo della propria vita lontano da situazioni in cui la maternità è un tema rilevante. Ovviamente è diverso per ogni coppia: c’è chi preferisce avere supporto dai familiari e chi preferisce glissare eventuali domande indesiderate ed evitare temporaneamente persone con pancioni e bambini piccoli. È una situazione che si vive nell’intimità». Questo desiderio di allontanamento, seppur comprensibile, è una scelta perso -
3. CONGELAMENTO OVULI
Tecnica che permette la crioconservazione degli ovociti per preservare la fertilità femminile. È utilizzata per consentire di posticipare una gravidanza per motivi medici o personali.
3. OVODONAZIONE
Donazione di ovuli da parte di una donna per consentire una fecondazione eterologa a coppie con problemi di fertilità. La procedura richiede l’estrazione degli ovociti mediante un intervento chirurgico noto come puntura follicolare.
3. MATERNITÀ SURROGATA
Pratica in cui una donna si impegna a portare avanti una gravidanza per conto di genitori intenzionali. L’embrione impiantato viene creato artificialmente, utilizzando ovociti e spermatozoi provenienti dai genitori commitenti o da donatori.
3. ADOZIONE
Processo legale attraverso cui una persona o coppia diventa genitore di un bambino non biologicamente loro. Il bambino entra a far parte legalmente della nuova famiglia, con l’interruzione dei legami legali con i genitori biologici.
bisogna sentirsi in colpa»
nale che riflette la necessità di preservare la propria serenità in un momento delicato.
infertilità: questione culturale e biologica
L’infertilità, però, non è solo una questione biologica. Si tratta, infatti, anche di un fenomeno profondamente influenzato da fattori culturali e sociali. L’idea della “famiglia tradizionale”, composta da genitori e figli, continua a esercitare una pressione significativa, sebbene questa visione stia gradualmente mutando. Per chi affronta l’infertilità, queste aspettative culturali possono amplificare il senso di inadeguatezza o fallimento, rendendo cruciale il supporto psicologico per elaborare tali dinamiche. Parallelamente, vivendo in un contesto in cui la denatalità è un dato di fatto, «è essenziale promuovere una maggiore consapevolezza sui fattori che possono influenzare la fertilità, permettendo scelte informate e consapevoli. Ad esempio, il picco di fertilità femminile si colloca tra i 25 e i 35 anni, con una progressiva diminuzione della riserva ovarica e un aumento del rischio di anomalie genetiche dopo i 35 anni».
prendersi cura della fertilità Tuttavia, non è solo l’età a influenzare la fertilità, ma anche lo stile di vita riveste un ruolo fondamentale in questo contesto. «Alimentazione sana, attività fisica regolare, l’astensione dal fumo e la moderazione nel consumo di alcol sono comportamenti che possono prevenire molti problemi legati alla fertilità sia per le donne che per gli uomini» sottolinea la Dottoressa Lindaver. Prendersi cura della propria fertilità, quindi, non significa soltanto pianificare il proprio futuro riproduttivo, ma rappresenta anche un vero e proprio atto di amore verso se stessi. È un modo per vivere la propria vita con maggiore consapevolezza.
Intervistata. La Dottoressa Sara Lindaver, psicologa e psicoterapeuta
Una parte del mondo che
La demografia non è una scienza esatta e per questo motivo i dati vengono rivisti continuamente.
Se una parte del mondo sta invecchiando, un’altra invece cresce
anche nel 2017 dalla BBC in un documentario, lascia intendere che i 38 figli non siano stati una scelta della donna. Ma se è vero che quasi tutto il mondo sta assistendo a una decrescita demografica, la sua storia è consuetudine o eccezione?
i dati dell’onu
Mariam Nabatanzi nel villaggio di Kabimbiri viene chiamata Nalongo Muzaala Bana. In uno dei dialetti ugandesi del luogo significa “la madre gemella che produce quattro gemelli”. La sua storia è stata raccontata nel 2019 dal periodico ELLE, che ha titolato l’articolo: «La storia di Mariam Nabatanzi, la mamma single di 38 figli che non dobbiamo lasciare da sola». All’epoca Mariam aveva 39 anni e 38 figli. È una donna ugandese e in Uganda il tasso di natalità nel 2023 è di circa 5,6 figli per donna, quasi il doppio della media globale. Già questo potrebbe spiegare la grande fertilità di Mariam, ma la verità è un’altra. Mariam Nabatanzi ha una predisposizione genetica all’iperovulazione, patologia che le ha fatto avere quasi esclusivamente parti trigemellari. Dal punto di vista medico significa che si verifica una doppia ovulazione che raddoppia la possibilità di rimanere incinta, visto che gli ovuli che possono essere fecondati sono due o più. La vita tormentata di Mariam, raccontata
In uno studio del 2022 l’Onu aveva stimato che nel 2050 la popolazione mondiale avrebbe raggiunto i 9,7 miliardi di abitanti e che sarebbe arrivata a quasi 10 miliardi nel 2100. La ricerca si basava prevalentemente su quella parte del globo considerata in via di sviluppo, quindi su Africa, America del Sud e parte dell’Asia. A due anni dall’esposizione della ricerca i trend non sembrano seguire questo andamento propositivo. Infatti, sempre secondo i dati Onu, la fertilità globale è passata da 5,0 figli nel 1950 a circa 2,3 figli nel 2020 ed è diminuita ancora nel 2024 con 2,1 figli per donna. Non ci è concesso sapere cosa accadrà nel 2050, però possiamo analizzare questi numeri che parlano di calo della natalità a livello globale. La ragione è che la demografia non è una scienza esatta ed è il motivo per il quale anche i dati dell’Onu, che sono considerati come i più affidabili, vengono corretti continuamente e solitamente al ribasso. Ma siamo davvero così certi che il mondo stia solo invecchiando?
l’eccezione
Ci sono alcuni Paesi che seguono un trend completamente diverso. Sono veri e propri “campioni di natalità”, come l’Uganda di Mariam Nabatanzi che oggi vede quasi 5 figli per donna. L’India, nel 2023, ha superato la popolazione della Cina - che a livello mondiale ha
quasi sempre detenuto un record - ed è arrivata a 1,429 miliardi di abitanti, anche se nel 2024 ha registrato 1/3 in meno delle nascite. Alcuni Paesi africani non sembrano minimamente toccati dalla denatalità. Il Niger registra circa 46,6 nascite ogni 1000 abitanti, seguito dall’Angola con 41,1 nascite ogni 1000 abitanti e il Benin con 40,3. Poi c’è la Nigeria che da sola conta un sesto di tutta la popolazione del continente africano e prospetta di diventare il terzo Paese più popoloso del mondo entro il 2050. Questo perché c’è una disponibilità enorme di abitanti e, quindi, le coppie che si apprestano a fare figli, con condizioni di vita tendenzialmente buone, sono tante. In questi casi la storia di Mariam Nabatanzi, anche se portata agli eccessi, può essere verosimile.
il parere dei demografi
Ma allora perché i dati dell’Onu sono stati rivisti? Perché si basano su una percentuale a livello mondiale e prendono in considerazione anche l’Europa, dove la realtà è molto diversa rispetto ai Paesi citati. Infatti, i dati Onu mostrano nel nostro continente un calo netto da 5,0 figli per donna a metà dello scorso secolo a 1,7 figli per donna nel 2023. Chiaramente, se si cerca di fare una media mondiale questi valori devono essere presi in considerazione e vanno a incidere sui risultati. Anche se, se si confrontano i numeri dei “Paesi campioni” con quelli europei, sembra veramente di relazionarsi a due galassie completamente diverse. Ma questo non significa che tutto il mondo stia morendo. Significa semplicemente che le abitudini riproduttive si sono modificate nel tempo. Secondo la demografa Patrizia Farina dell’Università Bicocca di Milano, «non c’è stata una
Di Francesca Neri
Foto. A sinistra alcuni bambini dall’Uganda, il 5° paese per natalità al mondo. Al centro due bambini dall’India e a destra una mamma con suo figlio
IL CASO A cura di F.N.
La paura infondata della sostituzione etnica
L’estinzione delle popolazioni bianche, le grandi migrazioni, la paura di essere invasi. Sono solo alcune delle teorie che ruotano attorno al boom demografico dei paesi africani. È una narrazione reale o una visione complottista?
le grandi migrazioni
Il timore di un’eventuale sostituzione etnica, che vedrebbe la popolazione europea rimpiazzata dalle giovani e pimpanti generazioni africane, nasce da una preoccupazione ben più profonda. Una paura latente che si nutre di flussi migratori e dati irreali.
frenata al cosiddetto boom demografico. Si è solo arrestato il tasso di crescita e quindi la percentuale» ed è per questo che i dati vanno rivisti e corretti. Quindi, anche se il tasso di crescita è in frenata la popolazione mondiale nel 2100 arriverà comunque, probabilmente, a 10 miliardi di abitanti. «Si tratta di un effetto moltiplicativo dovuto a delle abitudini», dice la professoressa Farina. La spiegazione è semplice e basta prendere l’esempio della Nigeria, vera e propria campionessa di natalità. Qui ci sono famiglie numerosissime: se ogni famiglia fa quattro figli e questi quattro figli, una volta arrivati in età riproduttiva, ne fanno altri quattro, la popolazione si moltiplica. Quindi, anche se si riducono i figli desiderati, le popolazioni che per decenni hanno ereditato le abitudini delle generazioni precedenti danno comunque un numero assoluto elevato. È una situazione attitudinale che non dipende dal tasso di fecondità, ma dalla fascia della popolazione mondiale in età giovanile ed è per questo che in alcuni Paesi la natalità non scende. Ma quella dei Paesi africani, dell’India e di alcuni Stati sudamericani è una parabola che l’Europa ha raggiunto in 150 anni di vita. Il boom demografico di questi Paesi, di cui sentiamo parlare in televisione, che leggiamo sui quotidiani e che ogni tanto ci spaventa, è stato, in realtà, lo stesso che il nostro continente ha sperimentato per quasi mezzo secolo. Ma allora cosa è cambiato?
«La verità è che i Paesi a sviluppo economico avanzato stanno morendo», sostiene Farina. Se l’età dei decessi si dilata sempre di più e le nascite sono sempre meno, l’abitudine riproduttiva della generazione in età giovanile sarà per forza minore. Disponibilità economiche,
tasso di occupazione femminile, possibilità o meno di fare figli, scelte razionali o irrazionali sono soltanto alcune delle motivazioni che influiscono sulla crescita o decrescita demografica. Ma la spiegazione principale, che può sembra re anche la più banale, è che nel ventunesimo secolo non c’è bisogno di fare sei figli nella speranza che ne sopravvivano due, grazie alla diminuzione della mortalità infantile. Farina sottolinea questo punto, quasi sorridendo: «Si tratta di due mondi diversi che seguono tempistiche diverse». In realtà anche i Paesi “campioni di natalità” stanno subendo una piccola recessione.
L’esempio africano ne è la prova dal momento che da 7 figli per donna all’inizio del secolo si è passati a 5,6 in circa 20 anni. Questo perché il mondo si sta assestando ed è come se la demografia andasse per fasce. «Se i primi ad invecchiare sono stati i Paesi definiti “avanzati”, nel 2050 ci saranno altri Stati che arriveranno ai nostri livelli e nel 2100 altri ancora», dice la professoressa. Sono vere entrambe le parti, esistono dei Paesi campioni di natalità, ma va sottolineato che il loro boom demografico è ciclico come lo è stato quello dell’Europa più di un secolo fa.
Il nostro mondo non sta morendo, sta solo cambiando, si sta assestando. E, anche se le storie come quella di Mariam Nabatanzi sono rare, non significa che un calo demografico a livello globale sia per forza un male. Piuttosto, significa che c’è controllo sulla natalità che implica un migliore sfruttamento delle risorse a nostra disposizione e una maggiore tutela della donna. Quindi, il futuro ci aspetta in 10 miliardi, ma un po’ più vecchi.
Eppure, i numeri parlano chiaro: il 2024 registra il 64% in meno degli sbarchi nel nostro territo-rio, secondo il cruscotto aggiornato del Ministero dell’Interno. Ma c’è di più, perché solo una minima parte delle persone che arrivano hanno realmente intenzione di fermarsi in Europa.
La stragrande maggioranza sfrutta il vecchio continente per spostarsi verso il Nord America e l’Asia. Infatti, la popolazione straniera in Italia è pari a circa il 2% del totale, secondo i valori ISTAT.
la nostra discendenza
La tendenza non sembra proprio quella di un’invasione. L’altro elemento da prendere in considerazione è che le migrazioni sono un fenomeno intrinseco nel nostro pianeta, fin dalla sua nascita. Quindi, pensare che la popolazione bianca europea derivi da un’unica discendenza antropologica è fuorviante. L’invecchiamento dell’Europa non è assimilabile a un’estinzione, così come non si può vedere la crescita demografica dell’Africa come un tentativo di infiltrazione.
La verità è che i dati dimostrano che non vi è alcuna base scientifica alla teoria complottista della sostituzione etnica.
IULM per tutti con “IULM for the city”
L’Università rinnova il suo impegno nella diffusione della cultura con il progetto “IULM for the city”. Ripartono nel secondo semestre i corsi aperti alla cittadinanza milanese. Un viaggio nel sapere a cui possono partecipare tutti.
vita cittadina.
Nello scorso semestre, sono già stati proposti due di questi corsi. “Psicoanalisi dell’arte”, tenuto dallo psicoanalista Massimo Recalcati, sugli strumenti delle dottrine psicoanalitiche (Freud e Lacan). E “Antropologia del cibo”, tenuto dalla giornalista e critica enogastronomica Annalisa Cavaleri, con l’obiettivo di condurre i partecipanti in un viaggio alla scoperta di riti e simboli antichi legati al cibo.
la novità dell’ai
L’Intelligenza artificiale. Un fenomeno che è sempre più presente nel nostro mondo e di fronte al quale è difficile rimanere indifferenti. Non a caso, durante la cerimonia d’apertura del nuovo anno accademico in IULM, anche la rettrice Valentina Garavaglia ha dedicato spazio all’argomento.
«Il rapporto con l’Intelligenza artificiale e le nuove tecnologie è stimolante» ha detto la professoressa, aggiungendo che «anche se non siamo un ateneo dedicato a materie scientifiche e tecnologiche, nel 2022 abbiamo inaugurato il primo Corso di Laurea Magistrale in Intelligenza Artificiale, impresa e società».
La rettrice ha sottolineato che «nel secondo semestre, l’ateneo proporrà un nuovo corso di IULM for the City che riguarderà un ciclo di lezioni dal titolo: “Intelligenza artificiale: nuova tecnologia o nuova era per l’umanità?”».
Tratterà l’AI con una proposta di alfabetizzazione di un certo livello, trasversale e centrata non solo sulla tecnologia, ma sulle implicazioni etiche e culturali dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
l’università diventa portavoce della cultura milanese
L’ateneo rinnova il suo ruolo da protagonista nella diffusione della cultura con IULM for the City, anche per l’anno 2024-25. Con il
predecessore dell’attuale rettrice, il professor Gianni Canova, la IULM ha avuto l’intuizione di stringere sempre più una relazione con la città e la società civile e di allargare la democrazia culturale.
L’idea che l’Università IULM porta avanti è quella di diventare un punto di riferimento per il sapere aperto a tutti nella città di Milano. Ormai da anni ogni semestre partono alcuni appuntamenti fissi sotto il nome di IULM for the City. Cicli di lezioni di 48 ore che per gli studenti fanno curriculum e valgono 6 CFU e gratuite per i cittadini. Un’occasione che dà ai partecipanti la possibilità di fruire di una serie di nozioni veicolate proprio tra i banchi dell’università in modo del tutto gratuito e su tematiche di loro interesse.
i corsi di “iulm for the city” per il 2025 Il professor Gianni Canova insegnerà “Storia del cinema italiano”, con l’obiettivo di stimolare la riflessione critica sui modelli estetici, linguistici, produttivi che hanno influenzato la cultura di massa italiana, attraverso l’analisi di alcuni capolavori del cinema italiano. Angelo Panebianco, nel corso “Teoria delle relazioni internazionali”, offrirà una visione completa sui principali orientamenti e teorie dei rapporti internazionali passati e presenti.
Roberto Vecchioni e Stefania Mancuso terranno l’insegnamento “La contemporaneità dell’Antico”, che esplorerà come l’antichità influenzi la creazione dell’immaginario contemporaneo attraverso diversi tipi di arte. Il manager Pierfrancesco Barletta sarà il responsabile del ciclo di lezioni in “Comunicazione sportiva” in cui sarà esaminato lo sport dal punto di vista della comunicazione e del marketing.
L’università IULM propone un corso di “IULM for the city” dedicato all’AI dal titolo “intelligenza artificale: nuova tecnologia o nuova era per l’umanità?”
Alla base di questa idea, c’è il desiderio di diffondere un sapere che sia sempre più solidale, democratico e alla portata di tutti. E i numeri dei partecipanti parlano da soli: nel primo e nel secondo semestre dell’anno accademico 2023-2024 a otto corsi di “IULM for the City” hanno partecipato migliaia di allievi, tra studenti e cittadini. Un risultato fenomenale, che sottolinea ulteriormente la volontà della IULM di far parte della
La giornalista Nicoletta Polla-Mattiot terrà l’insegnamento “Ecologia del silenzio”. L’idea è quella di pensare il silenzio come forma profonda di comunicazione, anche in un mondo sempre più chiassoso e logorroico. Il regista televisivo Davide Rampello si occuperà di “Arti e mestieri dei territori”, nel quale presenterà il patrimonio dei beni culturali in tutta la sua ricchezza e diversità. Per non rischiare di perdere quest’opportunità, assicuratevi il posto tramite l’iscrizione direttamente dal sito dell’Università!
Di Pietro Santini e Riccardo Severino
Foto. La locandina di “IULM for the city”
La IULM combatte la violenza di genere
La IULM si pone al fianco delle donne vittime di violenza di genere. Inaugurando una nuova collaborazione con il Centro Antiviolenza Centri d’Acqua
Di Chiara Balzarini e Michela De Marchi Giusto
L’Università Iulm di Milano fa della lotta alla violenza di genere la sua priorità, grazie alla nuova collaborazione con il Centro Antiviolenza Cerchi d’Acqua. L’iniziativa rientra nel Piano di Uguaglianza di Genere 2022-2024. Il progetto è rivolto a tutte le donne dell’Università IULM coinvolte in situazioni di violenza. Studentesse ma non solo: anche personale docente e tecnico amministrativo. Un occhio di riguardo della IULM verso la lotta alla violenza di genere.
Il Centro Antiviolenza Cerchi d’Acqua è una cooperativa nata a Milano nel 2000 con l’obiettivo di aiutare le donne vittime di violenza di genere. Il team del Centro è composto da psicologhe, psicoterapeute, avvocate e assistenti sociali che garantiscono supporto e riservatezza. A ciascuna donna il centro offre gratuitamente accoglienza telefonica, sostegno psicologico, consulenza legale, finanziaria e molto altro. Cerchi d’Acqua fa parte di D.i.Re (Donne in Rete Contro la Violenza) e della Rete antiviolenza Milano. Il progetto D.i.Re si articola in 88 organizzazioni in tutta Italia che offrono aiuto a oltre 23mila donne. L’associazione gestisce 117 Centri antiviolenza e 66 Case rifugio, luoghi di accoglienza che offrono protezione a tutte le donne che si vogliano allontanare da situazioni pericolose o allarmanti.
La Rete Antiviolenza del Comune di Milano
agisce in egual misura, rispondendo alle esigenze delle vittime su tutto il territorio meneghino. Lo scopo di entrambi i gruppi è rendere visibile il fenomeno della violenza maschile e promuovere un cambiamento culturale. Molte volte, però, le donne sottostimano gli atti di repressione e non ritengono allarmanti le loro situazioni. Nessun segnale deve essere sottovalutato e in caso di necessità ogni donna può chiamare il Numero Anti Violenza e Stalking 1522. Un servizio pubblico, gratuito e attivo 24 ore su 24, promosso dal Dipartimento per le pari opportunità.
L’Università, oltre al nuovo canale di ascolto, offre ai ragazzi il già presente Servizio di Counseling Psicologico. Con l’aiuto di professionisti, gli alunni in difficoltà personali, relazionali o di studio saranno accompagnati in un percorso per affrontare i problemi e sviluppare le risorse interne.
L’accordo stipulato tra la IULM e il Centro Antiviolenza Cerchi d’Acqua si inserisce nel quadro di iniziative già presenti in Ateneo volte a contrastare la violenza di genere, come descritto nel Piano di Uguaglianza di Genere (GEP - Gender Equality Plan) 2022-2024. Ovvero uno strumento con il quale l’Ateneo esplicita la propria strategia a supporto dell’equilibrio di genere.
Grazie a questo accordo con il Centro Antiviolenza Cerchi d’Acqua, l’Università IULM ribadisce l’importanza della lotta alla violenza di genere, garantendo il suo pieno sostegno alle donne della sua comunità.
EVENTI IULM inaugura il 56° anno accademico
A cura di Matteo Carminati
Lo scorso 10 dicembre l’Università IULM ha inaugurato l’anno accademico 2024/2025, il primo sotto la guida di una rettrice: la professoressa Valentina Garavaglia. L’evento ha visto la partecipazione di autorità, studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo.
Tra gli interventi, quelli del Vicesindaco di Milano Anna Scavuzzo, del Vicepresidente della Regione Marco Alparone, del Presidente del CDA Giovanni Puglisi e del rappresentante degli studenti Matteo Leone.
Presente alla Cerimonia anche la Ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini. La Rettrice ha sottolineato l’importanza di «errare in cerca della meta», valorizzando l’esperienza dei fallimenti, mentre la ministra Bernini ha esortato a «uscire dalla comfort zone».
È stato ribadito l’impegno dell’Università come luogo di crescita personale e collettiva, promuovendo l’internazionalizzazione e l’incontro tra discipline creative e tecnico-scientifiche.
La cerimonia ha anche celebrato la ritualità accademica, rinnovando la missione educativa dell’ateneo come «luogo di trasformazione».
In chiusura, l’orchestra Milano Strings Academy ha eseguito brani di Queen, Morricone e Coldplay, trasmettendo un messaggio di speranza e passione per il futuro.
la parola dell’anno
In continuità con l’iniziativa Word of the Year del precedente rettorato, la Rettrice Valentina Garavaglia ha scelto la parola “strategia” per quest’anno accademico.
Un termine che racchiude «tutto ciò che permette di trasformare le idee in realtà concrete, anticipando i cambiamenti e guardando al futuro con determinazione».
Gli studenti e il personale sono invitati a proporre iniziative legate a questa parola, scrivendo a wordoftheyear@iulm.it.
orizzontali
1. Il declino delle nascite - 10. Il personaggio del cane bianco a pallini rossi - 14. Neonato, pupo - 15. Uno dei Paesi con il più alto tasso di nascite (foto) - 17. Le prime tre vocali - 18. Gruppo, équipe - 19. Orfano a metà - 20. Un pezzo degli scacchi - 22. Un osso del braccio - 23. Dj olandese - 25. Il Paese della “politica sul figlio unico” - 27. Casa automobilistica torinese - 28. Celebre ponte di Venezia - 30. Lati al centro - 31. Guasto di dispositivi elettronici - 32. Taranto - 33. Recipiente per ceneri - 35. Viti alla rovescia - 37. Lo fondò Mattei - 39. Nel cuore della teca - 40. Io al plurale - 41. Il Mago della Città di smeraldo - 43. Ex compagnia aerea italiana - 46. Subcultura derivata dal punk - 48. Capoluogo di provincia piemontese - 50. Giovani servitori - 52. Contenuto pubblicato sui social - 54. Mezzo futuro - 55. Preposizione latina57. Né sì né no - 58. L’attrice raffigurata in copertina - 62. Cracker salati di forma ottagonale - 63. Varese - 64. Antica città greca65. Acceso sull’interruttore - 66. Grosso camion - 67. Il fiume più lungo d’Italia - 69. Latticino in vasetto - 72. Superbo, altero - 74. Monza e Brianza - 75. Il giorno di marzo in cui fu assassinato Giulio Cesare - 76. Abitudini - 77. Padre di Edipo - 78. Gli estremi dell’ornitorinco - 80. L’attore Connery (iniziali) - 81. Vicende, avvenimenti - 82. Nel faro e nel tiro - 83. Venezia senza pari - 85. Pilastri, colonne - 87. Rappresentazioni teatrali - 90. Troncamento di ora - 91. Nel cane e nelle banane - 92. Elettrocardiogramma (sigla) - 93. L’isola dei faraglioni - 95. Piccolo comune ai piedi del Monte Vulture - 99. Secondo il proverbio, si cerca nel pagliaio - 101. Né noi né voi - 102. Atomo elettricamente carico - 103. Volatile da cortile - 104. Provoca pelle giallastra.
verticali
2. Vi si è fermato Cristo in un romanzo di Carlo Levi3. Appena venuti al mondo4. L’ultimo caso latino
- 5. Bevanda da infuso6. Nella religione romana, spiriti degli antenati7. Impossibilità di avere figli
- 13. Preposizione articolata16. Orlando, ex sindaco di Palermo - 18. Piccoli ometti azzurri - 19. Infiammazione dell’orecchio - 21. L’ultimo album di Tony Effe24. Congiuntivo del verbo essere - 26. Appartamenti agli ultimi piani - 29. Terni34. Comune laziale noto come “città dei papi” - 36. Libro voluminoso - 38. L’insieme dei viventi - 39. Valoroso principe troiano - 42. Nella tazza e nella colza - 44. Disco più lungo dell’EP - 45. Intelligenza artificiale (sigla) - 46. Pancia, ventre - 47. Privo di luce, poco chiaro - 49. Quotati perdenti - 51. Storica azienda toscana produttrice di porcellane53. Il principio attivo della cannabis - 56. Esplosione delle nascite nel secondo Dopoguerra - 59. Financial Times (sigla) - 60. Piccola imperfezione - 61. Interno (abbr.) - 62. Periodo formativo - 66. Trapani - 67. Gravoso - 68. Oggetto velocissimo70. Allegro, di compagnia - 71. Spaghetti giapponesi73. Pietra di origine vulcanica - 74. Illusioni ottiche tipiche del deserto - 79. Elemento numero 56 della tavola periodica - 80. Colpi di pistola84. Don Diego de la Vega - 86. Film del 1994 con protagonisti Natalie Portman e Jean Reno88. Assicurazione obbligatoria per i veicoli - 89. La cantante Carey (iniziali) - 94. Il “per” spagnolo - 96. Vale come “e non” - 97. La fine di Icaro98. Orange County (sigla)100. In mezzo alla robotica.